N. 115 ORDINANZA (Atto di promovimento) 9 giugno 2020

Ordinanza del 9 giugno 2020 del Tribunale di sorveglianza di  Sassari
nel procedimento di sorveglianza di Z. P.. 
 
Ordinamento penitenziario - Misure urgenti in materia  di  detenzione
  domiciliare o  di  differimento  della  pena  per  motivi  connessi
  all'emergenza sanitaria da COVID-19 - Provvedimento  di  ammissione
  alla detenzione domiciliare o al differimento della pena per motivi
  connessi all'emergenza sanitaria da COVID-19 dei condannati e degli
  internati per i delitti di cui agli artt. 270, 270-bis, 416-bis del
  codice penale e 74, comma 1, del d.P.R. n. 309 del 1990, o  per  un
  delitto  commesso  avvalendosi  delle  condizioni  o  al  fine   di
  agevolare l'associazione mafiosa, o per  un  delitto  commesso  con
  finalita' di terrorismo ai sensi dell'art.  270-sexies  del  codice
  penale, nonche' dei condannati  e  degli  internati  sottoposti  al
  regime previsto dall'art. 41-bis della legge  n.  354  del  1975  -
  Valutazione  della  permanenza  dei  motivi  legati   all'emergenza
  sanitaria - Previsione che la rivalutazione venga effettuata  entro
  il termine di quindici giorni dall'adozione  del  provvedimento  e,
  successivamente, con cadenza mensile e immediatamente nel  caso  in
  cui il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria comunichi la
  disponibilita' di strutture penitenziarie o di reparti di  medicina
  protetta. 
Ordinamento penitenziario - Misure urgenti in materia  di  detenzione
  domiciliare o  di  differimento  della  pena  per  motivi  connessi
  all'emergenza  sanitaria  da  COVID-19  -   Norma   transitoria   -
  Applicabilita'  della  disposizione   di   cui   all'art.   2   del
  decreto-legge n. 29 del 2020 ai provvedimenti  di  ammissione  alla
  detenzione  domiciliare  o  di  differimento  della  pena  adottati
  successivamente al 23 febbraio 2020. 
- Decreto-legge 10 maggio 2020, n. 29 (Misure urgenti in  materia  di
  detenzione domiciliare o differimento dell'esecuzione  della  pena,
  nonche' in materia di  sostituzione  della  custodia  cautelare  in
  carcere  con  la  misura  degli  arresti  domiciliari,  per  motivi
  connessi all'emergenza sanitaria da COVID-19, di persone detenute o
  internate  per  delitti  di  criminalita'   organizzata   di   tipo
  terroristico o mafioso, o per delitti di associazione a  delinquere
  legati al traffico di sostanze stupefacenti o per delitti  commessi
  avvalendosi delle condizioni o al fine di agevolare  l'associazione
  mafiosa o con  finalita'  di  terrorismo,  nonche'  di  detenuti  e
  internati sottoposti al regime previsto dall'articolo 41-bis  della
  legge 26 luglio 1975,  n.  354,  nonche',  infine,  in  materia  di
  colloqui con i congiunti o con altre persone cui  hanno  diritto  i
  condannati, gli internati e gli imputati), artt. 2 e 5. 
(GU n.34 del 19-8-2020 )
 
                    IL TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA 
                             di Sassari 
 
    Composto da: 
      dott. Ida Aurelia Soro, Presidente; 
      dott. Riccardo De Vito, Magistrato di Sorveglianza relatore; 
      dott. Marianna Melis, Esperto; 
      dott. Carla Mulas, Esperto; 
    e con l'intervento del sig. Procuratore Generale,  nella  persona
dell'Avvocato Generale Maria Gabriella Pintus, 
    a scioglimento della riserva espressa all'udienza  del  4  giugno
2020  ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  nel  procedimento  ex
articoli  666,  677,  678  codice  di   procedura   penale,   2   del
decreto-legge n. 29/2020  nei  confronti  di  Z.  P.,  nato  a.  il.,
attualmente  domiciliato  in.,  via.,  in   espiazione   della   pena
determinata con provvedimento di  unificazione  di  pene  concorrenti
della Procura Generale della Repubblica presso la Corte di Appello di
Napoli in data 30 maggio 2020 (Esecuzione n.... SIPE). 
    Decorrenza pena: 28 giugno 2007; fine pena: 18 agosto 2023. 
 
                               Osserva 
 
    Con ordinanza del 23 aprile 2020 il Tribunale di Sorveglianza  di
Sassari disponeva nei confronti di P. Z. la sospensione della pena ai
sensi dell'art. 147, comma l n. 2) del  codice  penale,  nelle  forme
della detenzione domiciliare di cui  all'art.  47-ter,  comma  1-ter,
dell'ordinamento penitenziario. 
    Appare opportuno, in primo luogo, riassumere le  motivazioni  che
hanno condotto a quella decisione. 
    P. Z., sottoposto al regime differenziato di cui all'art. 41-bis,
comma 2, dell'ordinamento penitenziario, era detenuto presso la  Casa
Circondariale di Sassari in espiazione  della  pena  determinata  con
provvedimento di  cumulo  della  Procura  Generale  della  Repubblica
presso  la  Corte  di  Appello  di  Napoli  in  data  23  marzo  2020
(Esecuzione n... SIEP). 
    Il 19 ottobre 2019, dopo che numerose analisi avevano  confermato
la presenza di sangue nelle urine, il detenuto fu sottoposto a visita
ecografica, dalla quale risulto' la presenza  nella  vescica  di  una
«tumefazione vegetante nella parete del fondo in paramediana, sn, con
base di 21.4 mm  e  massimo  spessore  di  13.7  mm,  a  ecostruttura
inomogenea con due minute  calcificazioni  nel  contesto»;  dopo  una
serie di ulteriori approfondimenti diagnostici, il 14  dicembre  2019
fu sottoposto a intervento chirurgico di resezione  transuretrale  di
neoformazione vescicale (TURB). 
    Gli  esiti  dell'esame  istologico  confermarono   una   diagnosi
allarmante: «carcinoma papillifero di basso e focalmente alto grado». 
    A decorrere dal 16 gennaio 2020, il detenuto inizio' a  praticare
«immunoterapia etrdocavitaria  con  instillazioni  endovescicali  con
BCG» con cadenza settimanale. 
    La terapia prosegui' tra alti e  bassi,  tanto  che  in  data  18
febbraio 2020 l'urologo della Casa Circondariale di S. riscontro'  la
«presenza dei chiari segni di BCGite  (infezione  genito-urinaria  da
bacillo di Calmette-Guerin, n.d.e.)» e  ne  dispose  la  sospensione.
Altre volte, peraltro, immunoterapia, era stata sospesa in ragione di
diverse infezioni trattate con antibiotico. 
    Terminato il  ciclo  di  instillazioni,  il  paziente  non  pote'
effettuare  ulteriore  controllo  endovescicale  per   verificare   i
risultati della terapia. L'intervento chirurgico, infatti, era  stato
stabilito per il giorno  27  marzo  2020,  ma  la  Clinica  urologica
dell'Azienda Ospedaliero-Universitaria  di  S.,  nel  frattempo,  era
stata individuata come Centro Covid-19 e cio' impedi' l'effettuazione
della resezione endoscopica bioptica (TUR-V). 
    I successivi  certificati  medici  acquisiti  al  procedimento  -
richiesti dal Tribunale al fine  di  valutare  la  consistenza  della
patologia,  la  possibilita'  di  cura  e  la  compatibilita'   delle
condizioni  di  salute  con  il  regime  carcerario  -  dettero  atto
dell'impossibilita' di proseguire l'iter  diagnostico  e  terapeutico
proprio a causa dell'emergenza Covid-19. 
    In data 31 marzo 2020 il Responsabile del Presidio  attesto'  che
al paziente non poteva essere assicurato il follow up post-chirurgico
e post-terapia in quanto il Centro clinico di riferimento  era  stato
individuato come Centro  Covid-19  e  che  era  dunque  opportuno  il
trasferimento  del  paziente  presso  altro  Istituto   che   potesse
garantire il prosieguo dell'iter diagnostico-terapeutico. 
    Dopo  numerosi  rinvii  -   finalizzati   all'individuazione   di
struttura penitenziaria attrezzata per quel trattamento o prossima  a
luogo di cura nel quale poter svolgere i richiesti esami  diagnostici
e le successive cure -,  all'udienza  del  23  aprile  2020  pervenne
ulteriore certificato del responsabile del presidio di  tutela  della
salute dei detenuti della Casa Circondariale  di  S.,  nel  quale  si
confermava l'impossibilita'  di'  eseguire  i  controlli  endoscopici
previsti (necessari per poter proseguire la terapia) sia presso l'AOU
di S. sia all'interno della C.C. di S. Tali controlli -  da  eseguire
obbligatoriamente in  ambiente  ospedaliero  -  non  potevano  essere
svolti presso altri istituti  penitenziari,  ne'  in  altre  cliniche
ospedaliere  della  Sardegna.  Nella  certificazione   si   ribadiva,
inoltre, la «indifferibilita' del  programma  diagnostica-terapeutico
previsto». 
    Dopo aver tratteggiato la vicenda sanitaria che aveva interessato
P. Z., l'ordinanza si  soffermava  sui  presupposti  giuridici  della
sospensione della pena per motivi di grave infermita' fisica  e  dava
atto di quella consolidata giurisprudenza  di  legittimita'  in  base
alla quale «ai fini dell'accoglimento di un'istanza  di  differimento
facoltativo dell'esecuzione della pena detentiva per gravi motivi  di
salute, ai sensi dell'art. 147, comma primo, n. 2, del codice  penale
non e' necessaria un'incompatibilita' assoluta tra la patologia e  lo
stato di detenzione, ma occorre pur  sempre  che  l'infermita'  o  la
malattia siano tali da comportare un serio pericolo di vita, o da non
poter assicurare la prestazione di adeguate cure  mediche  in  ambito
carcerario, o, ancora, da causare al detenuto  sofferenze  aggiuntive
ed eccessive, in spregio al  diritto  alla  salute  e  del  senso  di
umanita'   al   quale   deve   essere   improntato   il   trattamento
penitenziario» (cosi, da ultimo e tra le tante,  Cass.,  Sez.  I,  17
maggio  2019,  n.  27352).  Veniva   quindi   illustrato   che   tali
orientamenti     apparivano     conformi     a     un'interpretazione
costituzionalmente e convenzionalmente orientata dell'art. 147, comma
primo, n. 2 del codice penale, volta a mettere in luce i principi  di
uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge senza distinzione
di condizioni personali (art. 3 Cost.), di tutela della salute  quale
diritto fondamentale dell'individuo (art. 32  Cost.)  e,  infine,  di
divieto di trattamenti contrari al senso di umanita' (art. 27 Cost. e
art. 3 CEDU). 
    All'esito di un confronto tra storia clinica del paziente e testo
normativo cosi' interpretato questo Tribunale reputava che  nel  caso
di specie fossero integrati i presupposti  dell'art.  147  n.  2  del
codice penale e che P. Z. dovesse avere accesso al differimento della
pena per grave infermita' fisica. 
    Il  detenuto,  infatti,  soffriva  di  una  patologia   grave   e
qualificata carcinoma papillifero di basso e  focalmente  alto  grado
della vescica - per la quale aveva subito  un  importante  intervento
chirurgico e un successivo ciclo di immunoterapia  per  instillazione
endovescicale.  Definita  la  gravita'  della  patologia,  era  anche
rimasto provato  che,  a  causa  dell'emergenza  pandemica  legata  a
Sars-CoV-2, la cure «indifferibili» erano  inattuabili  nel  circuito
penitenziario,   anche   in   regime   di   ricovero   ex   art.   11
dell'ordinamento penitenziario: il Dipartimento  dell'amministrazione
penitenziaria non aveva individuato  alcun  Istituto  ove  effettuare
l'indifferibile follow-up diagnostico e terapeutico  e  la  Direzione
sanitaria  aveva  verificato  l'impossibilita'  di  svolgere   l'iter
diagnostico-terapeutico  all'interno  delle   strutture   ospedaliere
sarde. 
    Non  dare  corso  al  differimento  della  pena,  ad  avviso  del
Tribunale, significava esporre il paziente al rischio di progressione
di una malattia potenzialmente letale, in totale spregio dei  diritti
alla salute e a non subire  un  trattamento  contrario  al  senso  di
umanita'.  Dal  punto  di  vista  soggettivo,  inoltre,  gravava  sul
paziente un'incognita di vita  o  morte  del  tutto  intollerabile  e
immeritata per ogni essere  umano,  una  sofferenza  aggiuntiva  alla
detenzione costituzionalmente e convenzionalmente non legittima. 
    A  questo  argomento,  nell'ordinanza  del  23  aprile  2020,  si
aggiungeva un ulteriore  profilo  motivazionale,  legato  all'elevato
rischio di complicanze in caso di contrazione  dell'infezione  virale
Covid-19. 
    P. Z., infatti, in quanto affetto da neoplasia attiva o in follow
up, rientrava nel  novero  dei  soggetti  che,  in  base  ai  criteri
contenuti nel protocollo del Presidio ospedaliero B. d  V.  (recepito
dalla circolare del 21 marzo 2020 della Direzione generale Detenuti e
Trattamento  del  Dipartimento  dell'amministrazione  penitenziaria),
erano  da  ritenersi  oggettivamente  piu'  vulnerabili  davanti   al
Covid-19. 
    Il Tribunale, effettuata la valutazione sanitaria, procedeva a un
bilanciamento in concreto tra diritto  alla  salute  del  detenuto  e
interesse pubblico alla sicurezza. 
    All'esito  di  detto  bilanciamento,  e  a  dimostrazione   della
decisione di differimento quale unico  rimedio  adottabile,  venivano
esposti i seguenti argomenti: 
      1) sussistenza di una patologia grave, non  fronteggiabile  con
strumenti diagnostico-terapeutici in ambiente carcerario  e,  se  non
curata tempestivamente, tale da esporre  la  salute  del  detenuto  a
pericolo grave; 
      2)  revoca  della  misura  di  prevenzione  della  sorveglianza
speciale con obbligo di soggiorno ad opera del decreto della Corte di
Appello di Napoli in data 22 gennaio 2015, nel quale e' dato  leggere
che «non puo' ritenersi che l'appartenenza dello Z. alla associazione
camorristica,  certamente  attuale  all'epoca  del   decreto   emesso
nell'anno  2004,  fosse  tale  anche  nell'anno  2011,  atteso   che,
coerentemente con le premesse, il prolungato periodo  di  detenzione,
posto in correlazione con la circostanza che il detenuto si costitui'
spontaneamente in carcere e, nel  corso  del  processo  penale,  rese
confessione in ordine a gran parte dei reati contestati, condotta che
rappresenta  un  inequivocabile  sintomo  di  iniziale  ravvedimento,
inducono ad escludere la concreta operativita' della  presunzione  di
perdurante pericolosita' al momento della formulazione del giudizio»; 
      3) pendenza di due procedimenti penali, ma per fatti  risalenti
a periodi  coevi  o  antecedenti  a  quelli  oggetto  delle  sentenze
ricomprese nel cumulo in esecuzione; 
      4)  comportamento  processuale   serbato   dal   detenuto   nel
procedimento camerale partecipato di sorveglianza, che evidenziava un
interesse rivolto esclusivamente a soluzioni di cura, anche in ambito
intramurario. 
    Si  rilevava,  inoltre,  che  la  pena  residua  da  espiare  era
destinata a ridursi sensibilmente  in  ragione  delle  necessita'  di
ricomprendere, nel provvedimento di unificazione di pene concorrenti,
l'ordinanza con la quale il Gup presso il Tribunale di Napoli in data
26 ottobre 2018 aveva riconosciuto, ai sensi dell'art. 671 del codice
di procedura penale,  il  vincolo  della  continuazione  tra  quattro
sentenze in esecuzione e rideterminato la pena complessiva di  quelle
sentenze in anni venti di reclusione. 
    Il  Tribunale  aggiungeva  che  il  differimento  poteva   essere
concesso   nelle   forme   della   detenzione   domiciliare,   presso
l'abitazione della moglie e  dei  figli  ubicata  nel  paese  di  P.,
provincia di B. Le informazioni delle forze dell'ordine - Carabinieri
del Comando Provinciale di B. e di C., Carabinieri della Stazione  di
P. - non evidenziavano controindicazioni. 
    Sempre ai fini di un adeguato bilanciamento tra esigenze di  cura
e pericolosita' sociale, inoltre,  veniva  stabilito  che  la  misura
avesse la durata di mesi cinque, decisivi - sottolineava  l'ordinanza
- «per sapere gli esiti degli approfondimenti diagnostici» e  «capire
evoluzione della patologia e possibili cure». 
    La detenzione domiciliare fu  corredata  poi  da  uno  stringente
regime di prescrizioni, ampliate con separato  provvedimento  del  29
aprile 2020, il quale, nello specificare il contenuto del divieto  di
non frequentare soggetti diversi dai conviventi, inibiva al  detenuto
domiciliare ogni comunicazione telefonica e informatica, fatte  salve
quelle con i presidi sanitari. 
    Cosi'  delineata  la  vicenda  che  ha   condotto   all'ordinanza
ammissiva  del  23   aprile   2020,   occorre   procedere   all'esame
dell'oggetto della procedura per la quale e' stata  dapprima  fissata
udienza del 22 maggio 2020 e quindi, a seguito di rinvio per vizio di
notifica dell'avviso, l'udienza odierna. 
    Come noto, l'attuale procedimento e' stato  instaurato  ai  sensi
degli articoli 2 e  5  del  decreto-legge  10  maggio  2020,  n.  29,
pubblicato nella Gazzetta Ufficiale lo stesso 10 maggio ed entrato in
vigore il giorno successivo. 
    L'art. 2 del decreto in questione, per quel  che  qui  interessa,
dispone che quando i condannati e internati per i delitti di cui agli
articoli 270, 270-bis, 416-bis del codice penale e 74, comma  1,  del
decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, o per
un delitto  commesso  avvalendosi  delle  condizioni  o  al  fine  di
agevolare l'associazione mafiosa,  o  per  un  delitto  commesso  con
finalita' di terrorismo ai  sensi  dell'art.  270-sexies  del  codice
penale, nonche' i condannati e gli  internati  sottoposti  al  regime
dell'art. 41-bis della legge 26 luglio 1975,  n.  354,  sono  ammessi
alla detenzione domiciliare o  usufruiscono  del  differimento  della
pena per motivi connessi all'emergenza da Covid-19, il  Magistrato  o
il Tribunale  di  Sorveglianza  che  ha  adottato  il  provvedimento,
acquisito il parere del Procuratore distrettuale antimafia del  luogo
in cui stato commesso il reato e del Procuratore nazionale  antimafia
e antiterrorismo per i condannati  e  internati  gia'  sottoposti  al
regime di cui al predetto  art.  41-bis,  valuta  la  permanenza  dei
motivi legati all'emergenza sanitaria entro il  termine  di  quindici
giorni  dall'adozione  del  provvedimento  e,  successivamente,   con
cadenza mensile. 
    La disposizione appena  citata  precisa  che  la  valutazione  e'
effettuata immediatamente, anche prima della decorrenza  dei  termini
sopra indicati, nel caso in cui il Dipartimento  dell'amministrazione
penitenziaria comunica la disponibilita' di strutture penitenziarie o
di reparti di medicina protetta adeguati alle  condizioni  di  salute
del detenuto o dell'internato ammesso alla detenzione  domiciliare  o
ad usufruire del differimento della pena. 
    Sotto il profilo istruttorio (art. 2, comma 2) viene disposto che
prima  di  provvedere  l'autorita'  giudiziaria   sente   l'autorita'
sanitaria regionale, in persona del  Presidente  della  Giunta  della
Regione,  sulla  situazione  sanitaria  locale   e   acquisisce   dal
Dipartimento  dell'amministrazione  penitenziaria   informazioni   in
ordine all'eventuale disponibilita' di strutture penitenziarie  o  di
reparti di medicina protetta  in  cui  il  condannato  o  l'internato
ammesso alla detenzione domiciliare o ad usufruire  del  differimento
della po' riprendere la detenzione o l'internamento senza pregiudizio
per le sue condizioni di salute. 
    La decisione dell'autorita' giudiziaria e' assunta  valutando  se
permangono  i  motivi   che   hanno   giustificato   l'adozione   del
provvedimento  di  ammissione  alla  detenzione  domiciliare   o   al
differimento di pena, nonche' la disponibilita'  di  altre  strutture
penitenziarie o di reparti di medicina protetta idonei ad evitare  il
pregiudizio  per  la  salute  del  detenuto  o   dell'internato.   Il
provvedimento  di  revoca  della   detenzione   domiciliare   o   del
differimento della pena e' immediatamente esecutivo. 
    La disciplina e' completata da una norma transitoria (art. 5), la
quale, per quanto qui e' di interesse, impone che le disposizioni  di
cui all'art. 2 si  applicano  ai  provvedimenti  di  ammissione  alla
detenzione domiciliare o di differimento della  pena  [...]  adottati
successivamente al 23 febbraio 2020. Per i provvedimenti gia'  emessi
alla data di entrata in vigore del presente  decreto  il  termine  di
quindici giorni previsto dagli art. 2,  comma  1,  e  3,  comma  1  -
precisa la disposizione in questione - decorre dalla data di  entrata
in vigore del presente decreto. 
    Proprio  dalla   disposizione   transitoria   appena   menzionata
scaturisce il presente procedimento. 
    Questo Tribunale, al fine di rispettare il  termine  di  quindici
giorni dalla data di entrata in vigore del decreto-legge n.  29/2020,
ha provveduto lo stesso 11 maggio 2020  alla  fissazione  di  udienza
camerale per la data del 22 maggio 2020, facendone dare  avviso  alla
parti; un vizio di notifica del decreto al  detenuto  -  come  meglio
argomentato  nell'ordinanza  22  maggio  2020,  da   intendersi   qui
integralmente richiamata - ha quindi imposto  il  rinvio  all'odierna
udienza. 
    Va osservato che lo  stesso  giorno  di  entrata  in  vigore  del
decreto-legge   29/2020,   l'11   maggio   2020,   il    Dipartimento
dell'amministrazione  penitenziaria  ha   inviato   comunicazione   -
pervenuta a questo Tribunale in data 12 maggio 2020 - in ordine  alla
disponibilita' del reparto di medicina protetta dell'Ospedale  B.  d.
V. Nella comunicazione, effettuata di iniziativa ai sensi dell'art. 2
del decreto-legge n. 29/2020, si  da'  atto  che  «con  ordinanza  di
codesto Tribunale del 23 aprile 2020 il sig. P. Z., nato a.  il.,  e'
stato ammesso alla detenzione domiciliare sino al 22 settembre  2020,
che «nella motivazione  vi  e'  riferimento  all'emergenza  sanitaria
Covid-19» e che il reparto di medicina  protetta  individuato  e'  da
ritenersi «struttura adeguata  al  trattamento  delle  patologie  del
malato, come da certificazione sanitaria allegata». 
    Instaurato   il   procedimento,   il   Tribunale   ha   proceduto
all'istruttoria di rito prevista dal decreto-legge n.  29/2020  e  ha
acquisito agli atti i pareri del Procuratore  nazionale  antimafia  e
antiterrorismo, pervenuto  il  14  maggio  2020,  e  del  Procuratore
distrettuale antimafia del luogo in cui e' stato commesso  il  reato,
pervenuto il  15  maggio  2020.  Entrambe  le  note  informative  dei
Procuratori, dopo aver svolto considerazioni  in  ordine  all'attuale
pericolosita'  di  P.  Z.,  hanno  espresso  parere  contrario   alla
protrazione della detenzione  domiciliare,  evidenziando  soprattutto
come il clan di appartenenza di Z. sia ancora attivo. 
    Nei medesimi pareri, inoltre, si legge  della  preferibilita'  di
una soluzione che veda il reingresso di P. Z. nel reparto di medicina
protetta della ASST  SS  P  e  C.  di  M.,  afferente  alla  Casa  di
Reclusione di M. - O. La disponibilita' di quest'ulteriore struttura,
nel    frattempo,    e'    stata    comunicata    dal    Dipartimento
dell'amministrazione penitenziaria  con  nota  del  15  maggio  2020,
pervenuta e acquisita agli atti il successivo 16 maggio 2020. 
    L'istruttoria e' stata  completata  mediante  acquisizione  della
nota del Presidente della regione Sardegna sulla situazione sanitaria
locale (pervenuta il 26 maggio 2020), nella quale e' dato leggere che
«l'indice Rt (erre  con  t)  regionale,  che  descrive  il  tasso  di
trasmissibilita' del virus Covid-19 dopo l'applicazione delle  misure
atte a contenere il diffondersi della malattia, e' attualmente pari a
0,24 e pertanto entro il valore  soglia  di  0,5  che  garantisce  il
permanere della Regione nella cosi' detta Fase 2« e che «alla luce di
tale risultato, ai sensi dell'Ordinanza del Presidente della  regione
n. 23 del 17 maggio 2020, a decorrere dal 18 maggio 2020 cessando  di
avere  effetto  tutte  le  misure   limitative   della   circolazione
all'interno del territorio regionale». 
    E' stata inoltre acquisita la  documentazione  medica  essenziale
inerente al follow up diagnostico-terapeutico posto in essere  sinora
da P. Z. nel corso della misura domiciliare: visita urologica  del  4
maggio 2020 nella struttura ospedaliera  gia'  indicata  in  sede  di
procedimento  principale   mediante   allegazione   del   foglio   di
prenotazione; tomografia assiale computerizzata (TC) total  body  del
26 maggio 2020; ricovero nella medesima struttura ospedaliera, tra il
29  e  il  31  maggio  2020,  per  effettuazione  dell'operazione  di
resezione endoscopica bioptica. 
    Il quadro degli elementi utili alla decisione  e'  completato  da
una relazione dei Carabinieri della Stazione delegata alla  vigilanza
e da ulteriori informazioni, sempre ad  opera  delle  medesime  forze
dell'ordine, nelle quali si evidenzia che il 1°  giugno  2020  si  e'
reso necessario un ulteriore ricovero del detenuto domiciliare. 
    Agli atti, inoltre, e' presente il provvedimento di cumulo  della
Procura Generale della Repubblica  presso  la  Corte  di  Appello  di
Napoli che, dando atto della continuazione riconosciuta con ordinanza
del GIP presso il Tribunale  di  Napoli  in  data  23  ottobre  2018,
ridetermina la pena in anni venti di reclusione. L'attuale fine pena,
pertanto, si colloca attualmente alla data del 18 agosto 2023. 
    Cosi' delineato il quadro istruttorio, va rilevato che la  difesa
di P. Z. ha depositato approfondite memorie  nelle  quali,  oltre  ad
allegare   specifici    elementi    in    ordine    all'insussistenza
nell'attualita' della pericolosita'  del  detenuto,  ha  dedotto,  ai
sensi  dell'art.  23,  comma  1,  legge  n.  87/1953,  questione   di
legittimita' costituzionale in riferimento alle disposizione di legge
degli articoli 1, 2 e 5 del decreto-legge n. 29/2020  per  violazione
degli articoli 3, 13, 25, comma 2, 27, comma 3, 32, 77,  101,  104  e
117 della Costituzione (quest'ultimo in relazione agli articoli 3 e 7
CEDU). 
    Questo Tribunale, per  le  ragioni  e  con  le  precisazioni  che
seguono,  ritiene  rilevante  e  non  manifestamente   infondata   la
questione di legittimita'  costituzionale  dedotta  dalla  difesa  in
relazione agli articoli 2  e  5  del  decreto-legge  n.  29/2020  per
violazione degli articoli 3, 27, comma 3,  32,  102,  comma  1,  104,
comma 1, della Costituzione, ritenendo assorbiti ulteriori profili. 
    Al  fine  di  meglio  delineare  i  profili  di  rilevanza  della
questione occorre dar conto  dell'applicabilita'  delle  disposizioni
degli articoli 2 e 5 del decreto-legge  n.  29/2020  alla  detenzione
domiciliare c.d. umanitaria concessa a P. Z.  con  ordinanza  del  23
aprile 2020. 
    Come gia' si e' avuto modo di osservare nel ripercorrere il testo
di legge, i presupposti di applicazione del decreto-legge  sono  due:
uno di carattere oggettivo e uno di  carattere  soggettivo.  Occorre,
infatti, da un lato essere stati ammessi alla detenzione  domiciliare
o  usufruire  del  differimento  della  pena  per   motivi   connessi
all'emergenza da Covid-19 e, sotto  il  versante  soggettivo,  essere
stati condannati o internati per uno dei delitti indicati  nel  primo
comma  dell'art.  2  -   sostanzialmente   delitti   associativi   di
criminalita'   organizzata   o   di    terrorismo    o    finalizzati
all'agevolazione di associazione di tipo mafioso o, ancora,  commessi
con finalita' di terrorismo - o essere comunque sottoposti al  regime
differenziato di cui all'art. 41-bis dell'ordinamento penitenziario. 
    A tale duplice presupposto la norma transitoria di cui all'art. 5
del decreto-legge n. 29/2020  aggiunge  un  requisito  temporale.  La
disciplina  dettata  dall'art.  2,  infatti,  si  applica  anche   ai
provvedimenti  di  ammissione  alla  detenzione  domiciliare   o   di
differimento della pena adottati successivamente al 23 febbraio 2020. 
    Nella vicenda che qui  occupa  il  presupposto  soggettivo  e  il
requisito temporale sono senza dubbio integrati. 
    P. Z., infatti, ha riportato condanna per delitti di cui all'art.
416-bis  del  codice  penale  -  in  quanto   elemento   di   vertice
dell'organizzazione di tipo mafioso nota come clan dei Casalesi -  e,
inoltre, al momento del differimento della pena,  era  sottoposto  al
regime di cui all'art. 41-bis dell'ordinamento penitenziario Inoltre,
il  provvedimento  di  differimento  della  pena  nelle  forme  della
detenzione domiciliare c.d. umanitaria risale al  23  aprile  2020  e
rientra  appieno  nell'orizzonte  temporale   coperto   dalla   norma
transitoria. 
    Ad avviso di questo Tribunale, inoltre, nel caso concreto ricorre
anche il profilo oggettivo inerente ai motivi che  hanno  determinato
la  detenzione  domiciliare,  in  quanto  connessi  all'emergenza  da
Covid-19, sia pure per le ragioni che di seguito verranno precisate e
che non sono neutre rispetto alla  proposizione  della  questione  di
costituzionalita'. 
    Nella vicenda che ha condotto alla detenzione domiciliare di  Z.,
infatti, l'emergenza da Covid-19 viene  in  rilievo,  in  un  secondo
momento,  non  quale  causa  della  scarcerazione  in  ragione  della
maggiore vulnerabilita' del paziente in caso di eventuale contrazione
della malattia, ma principalmente quale fattore impeditivo della cura
in ambito intramurario  di  una  patologia  tumorale:  una  neoplasia
vescicale, classificabile  come  carcinoma  papillifero  di  basso  e
focalmente  alto  grado,  del  tutto  irrelata  e  in   nessun   modo
riconducibile al virus Sars-CoV-2. 
    Sia la neoplasia sia le successive cure hanno inciso  in  maniera
autonoma e grave sulle condizioni di salute di Z. ancor  prima  della
diffusione della pandemia,  tanto  che,  in  data  31  gennaio  2020,
l'Ufficio di Sorveglianza  di  Sassari  aveva  emesso  un  decreto  -
successivamente acquisito agli atti  del  procedimento  concluso  con
l'ammissione alla detenzione domiciliare - nel quale veniva rigettata
la domanda di differimento provvisorio della pena ai sensi  dell'art.
684,  comma  2,  del  codice   di   procedura   penale,   ma   veniva
contestualmente disposta «la comunicazione del presente provvedimento
al DAP-Roma per quanto di competenza in ordine alla valutazione di un
eventuale trasferimento del detenuto in un Istituto dotato di  idoneo
centro clinico per le cure e terapie antitumorali che lo stesso ha in
corso e che determinano rilevanti effetti collaterali». 
    Cio' detto, comunque, la  pandemia  ha  assunto  rilevanza  quale
motivo che - unitamente alla mancata individuazione  di  un  istituto
penitenziario  dotato  di  centro  clinico  o  prossimo  a  struttura
ospedaliera idonea - ha determinato  l'impossibilita'  di  curare  la
patologia del paziente in ambito intramurario, sia pure in regime  di
ricovero  in  luogo  esterno   di   cura   i   sensi   dell'art.   11
dell'ordinamento penitenziario. 
    I presidi  sanitari  territoriali  sardi,  infatti,  erano  stati
adibiti  a  centri  Covid   e   questa   circostanza   ha   provocato
l'inattuabilita'  degli  «indifferibili»  interventi  diagnostici   e
terapeutici. Sul punto, un passaggio motivazionale dell'ordinanza  di
ammissione  alla  detenzione  domiciliare  e'  chiaro:  «definita  la
gravita' della patologia, e' anche indiscutibile che  la  stessa  sia
tale da esigere cure inattuabili nel circuito penitenziario, anche in
regime di ricovero ex art. 11 dell'ordinamento penitenziario, a causa
dell'emergenza pandemica legata a Sars-Cov-19». 
    Come sopra evidenziato, inoltre, il Tribunale ha ritento che Z. a
causa della sua patologia, fosse esposto a pericoli maggiori in  caso
di contrazione della malattia Covid-19. 
    Non vi e' dubbio,  pertanto,  che  l'ammissione  alla  detenzione
domiciliare  sia  stata  determinata   anche   da   motivi   connessi
all'emergenza  da  Covid-19  e  che  il  presupposto   oggettivo   di
applicazione degli articoli 2 e 5 del decreto-legge  n.  29/2020  sia
integrato.  La  rivalutazione  dei  presupposti  di  ammissione  alla
misura,   pertanto,   deve   essere   posta   in   essere,   anziche'
nell'imminenza dello scadere del termine previsto da questo Tribunale
- cinque mesi,  con  termine  il  22  settembre  2020  -  secondo  le
stringenti scansioni temporali previste dagli  articoli  2  e  5  del
decreto  medesimo:  quindici  giorni  dall'entrata  in   vigore   del
decreto-legge e poi con cadenza mensile. 
    Va poi messo in rilievo che il Dipartimento  dell'amministrazione
penitenziaria, di sua  iniziativa,  ha  preso  atto  del  riferimento
all'emergenza a Covid-19 contenuta nell'ordinanza del 23 aprile  2020
e ha individuato autonomamente (gia'  l'11  maggio  2020,  lo  stesso
giorno dell'entrata  in  vigore  delle  disposizioni  richiamate)  la
disponibilita' del reparto di medicina protetta dell'Ospedale B. d V. 
    La comunicazione di disponibilita'  ad  opera  del  Dipartimento,
pertanto, impone che ,ai sensi dell'art. 2 del decreto la  permanenza
dei   motivi   legati   all'emergenza   Covid-19    sia    effettuata
immediatamente e prima della decorrenza dei termini  sopra  indicati,
salvo la compatibilita'  con  i  termini  del  procedimento  camerale
disciplinato dalle nonne del codice di rito (articoli  666,  678  del
codice di procedura penale) non derogate sul punto. 
    I presupposti del provvedimento di detenzione domiciliare  di  P.
Z., pertanto, sono soggetti alle frequenti e reiterate  rivalutazioni
imposte dalla legge,  anziche'  al  controllo  previsto,  su  domanda
dell'interessato,   alla   scadenza   del   termine   previsto    dal
provvedimento medesimo o ai controlli che  in  itinere  si  dovessero
rendere necessari solo in caso di violazione delle prescrizioni. 
    Tali frequenti rivalutazioni,  inoltre,  dovranno  svolgersi  non
solo entro il confine  temporale,  ma  anche  entro  il  circoscritto
perimetro istruttorio delineato  dall'art.  2  del  decreto-legge  n.
29/2020. Allo stato, infatti, le emergenze istruttorie  previste  dal
decreto-legge in questione (pareri dei menzionati organi  inquirenti,
comunicazioni Dap e informazioni dell'autorita' sanitaria locale) non
ostano al ripristino della detenzione carceraria. 
    Questo Tribunale, pertanto, reputa che il presente  giudizio  non
possa  essere  definito  indipendentemente  dalla  risoluzione  della
questione di legittimita' che investe, in riferimento ai parametri di
cui agli articoli 3, 27, comma 3, 32, 102, comma 1 e  104,  comma  1,
Cost., gli articoli 2 e 5 del decreto-legge n. 29 del 2020. 
    Tanto specificato in punto di rilevanza,  per  delineare  la  non
manifesta infondatezza della questione  di  costituzionalita'  appare
necessario  focalizzare  l'attenzione  sul  quadro  normativo  e  sui
principi che hanno governato - almeno sino all'entrata in vigore  del
decreto-legge n. 29/2020 - la detenzione domiciliare surrogatoria del
differimento dell'esecuzione  della  pena,  vale  a  dire  la  misura
adottata nella vicenda che qui occupa. 
    La disciplina derivante dall'art. 147,  comma  1,  n.  2,  codice
penale   e   dall'art.   47-ter,   comma   1-ter,    dell'ordinamento
penitenziario e' volta ad assicurare  che  la  pretesa  punitiva  non
entri mai in conflitto con il diritto fondamentale di ogni  individuo
alla salute (art. 32 Cost.) e a non subire  trattamenti  contrari  al
senso di umanita' (articoli 27, comma 3, Cost. e 3 CEDU). 
    Come gia' si e' avuto modo di osservare nell'ordinanza in data 23
aprile 2020, la preminenza del diritto alla salute  sulla  esecuzione
della pena, nei casi in cui questa collida  in  maniera  irriducibile
con  il  primo,  non   e'   derogabile,   neppure   nell'ipotesi   di
assoggettamento del detenuto malato al regime differenziato  di  cui'
all'art. 41-bis dell'ordinamento penitenziario. 
    La tutela dell'integrita' psico-fisica  delle  persone  detenute,
dunque,  non  si  affievolisce  di  fronte  alle  legittime  esigenze
repressive dello Stato e prescinde dal livello  di  risocializzazione
raggiunta dal detenuto e dai suoi progressi trattamentali. 
    La  centralita'  del  «bene  salute»,   garantita   dalle   norme
costituzionali e convenzionali sopra citate, e'  recepita  da  alcune
nonne cardinali dell'ordinamento penitenziario,  le  quali  hanno  ad
oggetto l'assistenza sanitaria e la disciplina dei  servizi  sanitari
fruibili in carcere (art. 11 dell'ordinamento penitenziario), nonche'
l'organizzazione della vita detentiva con riferimento alla salubrita'
dell'ambiente, all'igiene personale, alla pulizia  dei  locali,  alle
ore da trascorrere all'aperto  (articoli  5  e  ss.  dell'ordinamento
penitenziario). 
    Nonostante le cogenti prescrizioni  in  ordine  alle  prestazioni
sanitarie erogabili all'interno degli istituti  penitenziari,  accade
che, quando la patologia sia tale da avere  importanti  ripercussioni
sulla vita  e  sulla  dignita'  della  persona  detenuta,  ad  essere
incompatibile con la tutela del diritto  alla  salute  e'  lo  stesso
mantenimento della condizione detentiva, che esporrebbe il detenuto a
un trattamento inumano e degradante in violazione dell'art. 27, comma
3, Cost. e 3 CEDU. 
    In alcune delle ipotesi per  le  quali  si  rende  necessaria  la
soluzione extramuraria e' lo stesso legislatore a  farsi  carico  del
bilanciamento  tra  esigenze  di  sicurezza  sociale  correlate  alla
pericolosita' del soggetto e tutela del diritto alla salute, sancendo
a  livello  di  previsione  generale  e  astratta  la  prevalenza  di
quest'ultima sulle prime. E' il caso, ad  esempio,  del  differimento
obbligatorio previsto nell'ipotesi in cui la pena detentiva deve aver
luogo  nei  confronti  di  una  persona  affetta  da   una   malattia
particolarmente grave per effetto della quale le  sue  condizioni  di
salute risultano incompatibili con lo stato di detenzione, quando  la
persona si trova in uno stato della malattia cosi'  avanzata  da  non
rispondere piu', secondo le  certificazioni  del  servizio  sanitario
penitenziario o esterno, ai trattamenti disponibili  e  alle  terapie
curative (art. 146, comma 1, n. 3, del codice penale). 
    In altre circostanze, quando le patologie raggiungono un  livello
di gravita' minore, ma sono comunque tali da  determinare  condizioni
di grave infermita' fisica (art. 147,  comma  1,  n.  2,  del  codice
penale), il bilanciamento tra  le  contrapposte  esigenze  di  tutela
della salute e di sicurezza sociale  e'  rimesso  al  giudice  ed  e'
subordinato al vaglio del concreto  pericolo  della  commissione  dei
delitti da parte del detenuto affetto da infermita' (art. 147, ultimo
comma, del codice penale). 
    A  questi  istituti   penalistici   l'ordinamento   penitenziario
aggiunge la detenzione domiciliare c.d. in surroga  di  cui  all'art.
47-ter, comma 1-ter, dell'ordinamento penitenziario  La  disposizione
prevede che «quando potrebbe essere disposto il rinvio obbligatorio o
facoltativo della esecuzione della pena ai sensi degli articoli 146 e
147 del codice penale, il Tribunale di Sorveglianza, anche se la pena
supera il limite di cui al  comma  1,  puo'  disporre  l'applicazione
della detenzione domiciliare, stabilendo un termine di durata di tale
applicazione, termine che puo' essere prorogato». 
    E' esattamente questa la misura applicata a P. Z. 
    E'  necessario  ribadire,   in   questa   sede,   che   ai   fini
dell'accoglimento   di   un'istanza   di   differimento   facoltativo
dell'esecuzione della pena detentiva per grave infermita' fisica,  ai
sensi dell'art. 147, comma 1,  n.  2.,  del  codice  penale,  non  e'
necessaria un'incompatibilita' assoluta tra la patologia e  Io  stato
di detenzione, ma occorre pur sempre che l'infermita' o  la  malattia
siano tali da comportare un serio pericolo di vita, o  da  non  poter
assicurare  la  prestazione  di  adeguate  cure  mediche  in   ambito
carcerario, o, ancora, da causare al detenuto  sofferenze  aggiuntive
ed eccessive, in spregio al  diritto  alla  salute  e  del  senso  di
umanita' al quale deve essere improntato il trattamento penitenziario
(cosi', da ultimo e tra le tante, Cass., Sez. I, 17 maggio  2019,  n.
27352). 
    Nel caso di specie, per le ragioni sopra  precisate,  il  sistema
penitenziario non ha potuto garantire a P. Z. l'effettuazione  di  un
adeguato percorso diagnostico-terapeutico a fronte di  una  patologia
che, se non tempestivamente identificata e trattata, puo' condurre  a
esiti letali. Il Tribunale, dunque, effettuato un  bilanciamento  tra
pericolosità-sociale  residua  ed  esigenze  di  cura,  ha   ritenuto
necessario  disporre   la   misura   contenitiva   della   detenzione
domiciliare. 
    La misura in questione si  rivela  uno  strumento  prezioso,  che
amplia il ventaglio delle  risposte  extramurarie  nell'evenienza  di
seri problemi di salute dei detenuti e consente di' fuoriuscire dalla
rigidita' di un'alternativa secca tra mantenimento  della  condizione
detentiva   e   liberta'   incondizionata   correlata    al    rinvio
dell'esecuzione. 
    Come ha avuto modo di osservare la  Corte  costituzionale,  nella
pronuncia  che  ha  consentito  l'applicazione  della  detenzione  in
surroga anche  ai  casi  di  detenuti  affetti  da  grave  infermita'
psichica, «l'istituto della detenzione domiciliare e' una misura  che
puo' essere modellata dal giudice in modo tale  da  salvaguardare  il
fondamentale diritto alla  salute  del  detenuto,  qualora  esso  sia
incompatibile con la permanenza in carcere, e, contemporaneamente, le
esigenze di difesa della collettivita'» (Corte cost. 99 del 2019). 
    Questa opera  di  contemperamento  tra  diritto  alla  salute  ed
esigenze di difesa della collettivita' costituisce  il  proprium,  l'
«in se'» dell'attivita' giurisdizionale in  materia  di  differimento
della  pena  e   di   applicazione   della   detenzione   domiciliare
derogatoria. 
    E'   proprio   in   ragione   di   questo   specifico   contenuto
discrezionale, involgente la tutela della liberta'  personale  e  del
diritto alla salute, che la Corte costituzionale (sentenza n. 114 del
1979) dichiaro' l'illegittimita' costituzionale dell'art. 589,  comma
quinto, del codice di procedura penale nella parte in cui - nel  caso
previsto dall'art. 147, comma 1, n. 2 del codice penale -  attribuiva
al Ministro il potere di sospendere l'esecuzione della  pena,  quando
l'ordine di carcerazione del  condannato  era  gia'  stato  eseguito.
Alcuni passaggi di quella decisione  meritano  di  essere  riportati:
«D'altra parte, qui si tratta di rinvio  facoltativo  dell'esecuzione
della pena: agli organi giudiziari spetta pur sempre  una  competenza
discrezionale, diversamente dalle altre ipotesi in  cui,  secondo  il
codice penale, detto rinvio e' obbligatorio. Il che implica  che  gli
organi competenti sono chiamati non soltanto a verificare la presenza
delle  condizioni  richieste  dalla   legge   perche'   sia   sospesa
l'esecuzione della pena, ma anche  ad  apprezzare  opportunamente  le
ragioni giustificative  della  sospensione  nella  specie,  la  grave
infermita'  fisica  dell'interessato   -   in   rapporto   ad   altre
considerazioni, le quali possono di volta in volta  rilevare  per  il
provvedimento da emettere». 
    Di questo bilanciamento discrezionale tra ragioni della salute  e
ragioni della sicurezza fa parte anche l'apposizione  di  un  termine
finale sia al rinvio facoltativo sia alla detenzione  domiciliare  di
cui all'art. 47-ter, comma 1-ter, dell'ordinamento  penitenziario  Se
in riferimento alla misura domiciliare l'apposizione del  termine  e'
espressamente  previsto  dalla  disposizione  di  legge   da   ultimo
richiamata  -  il  tribunale  di  sorveglianza  [...]  puo'  disporre
l'applicazione della detenzione domiciliare, stabilendo un termine di
durata di tale applicazione, termine che puo' essere prorogato -,  in
ordine all'istituto penalistico del rinvio facoltativo, in assenza di
una  espressa  previsione  legislativa  al  riguardo,  e'  stata   la
giurisprudenza  stessa  a  ritenere   «conforme   al   principio   di
ragionevolezza vincolare l'efficacia nel tempo  di  un  provvedimento
(che, per sua natura, non puo'  essere  indefinito)  alla  verificata
persistenza  della  situazione  di  fatto  che  ne   costituisce   il
presupposto» (in termini, Cass. Sez. I, 30 aprile  2001,  n.  25928).
Nel medesimo arresto si  da'  atto  che,  per  essere  legittima,  la
predeterminazione della data di caducazione del rinvio deve risultare
«connessa alla durata della situazione ostativa all'esecuzione  della
pena». Nel caso di specie, infatti, la Corte di Cassazione  censurava
il provvedimento impugnato poiche' il termine apposto non  si  faceva
carico di tale «connessione» ed anzi risultava «in contrasto  con  il
riconoscimento della gravita' ed  irreversibilita'  delle  condizioni
cliniche del richiedente». 
    Il termine apposto al rinvio e, per quel che qui interessa,  alla
detenzione  domiciliare,  dunque,  e'  intrinseco  al   provvedimento
giurisdizionale e costituisce espressione del potere  giurisdizionale
di bilanciamento tra diritto alla salute  e  sicurezza  sociale.  Per
quanto rilevato dalla giurisprudenza di legittimita' e' evidente  che
la scelta del termine, dovendosi plasmare sulle concrete esigenze  di
cura  del  paziente  detenuto,  e'  una  delle  attivita'  essenziali
attraverso le quali  l'autorita'  giudiziaria,  alla  quale  sola  e'
rimessa quella scelta, modella (Corte cost. 99 del  2019)  l'istituto
della detenzione domiciliare derogatoria. 
    Questo Tribunale e' ben consapevole che l'apposizione del termine
non deve indurre a trascurare che i  provvedimenti  di  sorveglianza,
nella generalita' dei casi,  sono  validi  rebus  sic  stantibus,  e,
dunque, revocabili in caso di  cambiamento  dei  presupposti  che  ne
hanno legittimato l'adozione. 
    E' altrettanto  vero,  tuttavia,  che,  sino  all'intervento  del
decreto-legge n. 29/2020, il detenuto malato che  aveva  ottenuto  un
provvedimento di detenzione domiciliare in deroga poteva  contare  su
un intervallo temporale circoscritto, definito e prorogabile,  scelto
dall'autorita' giudiziaria in ragione della continua evoluzione della
sua patologia, delle sue condizioni di salute  e  delle  esigenze  di
cura. All'interno di tale lasso  temporale  non  vi  era  spazio  per
alcuna nuova valutazione ad opera dell'autorita' giudiziaria, salvo i
casi di pericolo di commissione di  delitti  e  di  violazioni  delle
prescrizioni. In questa direzione, infatti, depongono  sia  il  testo
dell'ultimo comma dell'art. 147 del codice penale, in base  al  quale
il provvedimento di cui al primo comma non puo' essere adottato o, se
adottato,  e'  revocato  se  sussiste  il  concreto  pericolo   della
commissione  di  delitti,  sia,  in   riferimento   alla   detenzione
domiciliare,  la  disposizione  di  cui  all'art.  47-ter,  comma  6,
dell'ordinamento penitenziario, in  base  alla  quale  la  detenzione
domiciliare e' revocata se il comportamento del  soggetto,  contrario
alla legge o alle prescrizioni dettate, appare incompatibile  con  la
prosecuzione delle misure. 
    In  altri  termini,  sino  ad  oggi,  una   rivalutazione   della
persistenza  delle  ragioni  del  differimento  e  della   detenzione
domiciliare, da compiersi obbligatoriamente attraverso un'istruttoria
concernente il comportamento dell'interessato in costanza di misura e
le  sue  condizioni  di  salute,  era  consentita  al  tribunale   di
sorveglianza, ma poteva e doveva compiersi alla scadenza del  termine
individuato dalla autorita' giudiziaria in sede di concessione. 
    Una conferma di questa conclusione arriva  da  un  precedente  di
legittimita' sul punto, il quale affermava che «il provvedimento  che
concede il differimento possa e  debba  essere  revocato  qualora  si
accerti che siano cessate, per guarigione, quelle condizioni di grave
infermita' che erano state alla base della concessione»  (Cass.  Sez.
I, 16 febbraio 1995, n. 982). 
    a vicenda che aveva dato causa a quella pronuncia  riguardava  la
revoca  di  un  provvedimento  di  differimento  pena  adottato   nei
confronti  di  persona  affetta  da  cecita',  la  quale,  in   epoca
successiva, non solo aveva ripreso una normale vita di relazione,  ma
aveva iniziato a dirigere un vasto traffico di  stupefacenti.  A  ben
vedere, dunque, la ragione  determinante  la  revoca  anticipata  del
provvedimento era collegata a un'ipotesi  concreta  di  recidiva  nel
delitto, fattore legittimante  la  revoca  ai  sensi  del  richiamato
ultimo comma dell'art. 147 del codice penale. 
    Il  quadro  normativo  appena  delineato  si  e'  modificato  con
l'entrata in vigore del decreto-legge  n.  29/2020,  il  cui  art.  1
introduce una modifica nell'art. 47-ter,  comma  7,  dell'ordinamento
penitenziario Tale  disposizione  sanciva  la  revocabilita'  di  due
ipotesi di detenzione domiciliare - quelle previste  dai  commi  1  e
1-bis del  medesimo  art.  47-ter  -  in  caso  del  venir  meno  dei
presupposti  oggettivi  che  ne  legittimavano   l'adozione   (limiti
edittali della pena, eta' dei figli). 
    In virtu' dell'art. 1 del  decreto-legge  n.  29/2020,  alle  due
ipotesi di detenzione domiciliare di cui e' prevista  la  revoca  per
cessazione delle condizioni, si aggiunge la detenzione domiciliare in
surroga del rinvio. 
    Ad  oggi,  pertanto,  anche  in   riferimento   alla   detenzione
domiciliare surrogatoria sembra sia consentita una  rivalutazione  in
ogni tempo del venir meno delle condizioni oggettive, di salute o  di
inattuabilita' delle cure  in  ambito  penitenziario,  che  ne  hanno
determinato la concessione. Non pare  dubbio  che  tale  disposizione
crei un  pericolo  di  collisione  con  la  disposizione  che  impone
all'autorita' giudiziaria un termine, ma  tale  novum  normativo  non
ricade nel fuoco della  norma  transitoria  di  cui  all'art.  5  del
decreto-legge n.  29/2020  e,  pertanto,  operera'  soltanto  per  le
detenzioni domiciliari concesse dalla data di entrata in  vigore  del
decreto-legge. 
    A diverso destino, viceversa, e' soggetta la disposizione di  cui
all'art. 2 del decreto in questione, che, per  i  differimenti  della
pena e le  detenzioni  domiciliari  determinati  da  motivi  connessi
all'emergenza sanitaria da Covid-19 e nei confronti  solo  di  alcune
categorie  di  detenuti,  impone   che   la   rivalutazione   avvenga
immediatamente  (in  caso  di  comunicazione  da  parte  del  Dap  di
struttura penitenziaria o reparto di medicina protetta) e,  comunque,
entro quindici giorni dall'adozione del provvedimento e poi a cadenza
mensile. 
    Tale disposizione, in forza della norma transitoria,  si  applica
ai provvedimenti adottati a decorrere dal 23  febbraio  e  i  termini
decorrono, anziche' dall'adozione del provvedimento,  dalla  data  di
entrata in vigore del provvedimento. 
    Questo Tribunale dubita della legittimita' di tali  disposizioni,
di cui vede profili di contrasto con gli articoli 3, 27, comma 3, 32,
102, comma 1 e 104, comma 1 Cost. 
    Per meglio esporre le questioni  si  procedera'  a  trattarle  in
ordine logico. 
    Il primo profilo di dubbio sulla legittimita' costituzionale, non
manifestamente infondato, si reputa sussistere per il contrasto delle
disposizioni di  cui  agli  articoli  2  e  5  del  decreto-legge  in
questione con gli articoli 102, comma l, 104, comma 1, Cost. 
    L'obbligo di rivalutazione della detenzione  domiciliare  secondo
la scansione predetta - immediatamente, entro quindici giorni e poi a
cadenza mensile -, ad avviso di questo Tribunale, invade la sfera  di
competenza riservata all'autorita' giudiziaria e viola  il  principio
di  separazione  dei  poteri,  tanto   piu'   in   quanto   applicata
retroattivamente ai provvedimenti gia' adottati a  decorrere  dal  23
febbraio 2020. 
    Per quanto sopra argomentato,  infatti,  l'apposizione  da  parte
dell'autorita' giudiziaria del termine alla detenzione domiciliare in
surroga (il discorso verra' limitato a tale istituto, essendo  quello
applicato al caso di specie) non rappresenta una mera  condizione  di
efficacia  del  provvedimento,  ma  costituisce  parte  integrante  e
esplicitazione di quel potere discrezionale,  proprio  dell'autorita'
giurisdizionale,  attraverso  il  quale  si  adegua  la  misura  alle
concrete condizioni di salute e alle necessita' di cura del  detenuto
malato, nel rispetto della sicurezza della collettivita'. 
    In quest'ottica, l'art.  47-ter,  comma  1-ter,  dell'ordinamento
penitenziario riserva  esclusivamente  all'autorita'  giudiziaria  il
potere di stabilire un  termine  di  durata  dell'applicazione  della
detenzione domiciliare. Si tratta, infatti, di un termine che,  oltre
che tener conto delle esigenze di sicurezza,  deve  essere  calibrato
sulle condizioni di salute, sull'evoluzione della patologia  e  sulle
necessita' terapeutiche del destinatario del provvedimento. In questa
direzione depone la giurisprudenza di legittimita' prima citata. 
    Nel caso che qui occupa, la  scelta  del  termine  di  durata  di
cinque mesi della detenzione domiciliare applicata a P.  Z.  come  e'
dato leggere nella motivazione dell'ordinanza in data 23 aprile 2020,
e' intrinseca al  bilanciamento  stesso  ed  e'  stata  dosata  sulle
esigenze terapeutiche e sanitarie del paziente: «sempre in termini di
bilanciamento, appare opportuno stabilire che il  differimento  abbia
la durata, al momento, di  mesi  cinque.  Appare  decisivo,  infatti,
sapere  gli  esiti  degli  approfondimenti  diagnostici  per   capire
evoluzione della patologia e possibili cure». 
    Orbene, l'imposizione di termini diversi rispetto a quello deciso
da questo Tribunale - eventualmente modificabile soltanto  attraverso
il  rimedio  endoprocessuale  di  tipo  impugnatorio  -,  frutto  del
combinato disposto degli articoli 2 e 5 del  decreto-legge,  sconfina
nella sfera di competenza riservata all'autorita' giudiziaria per  un
molteplice ordine di ragioni. 
    A  venire  in  rilievo  non  sono  tanto   i   profili   inerenti
all'imposizione di una riassunzione della  decisione  per  una  nuova
delibazione o  alla  anticipazione  della  rivalutazione,  quanto  la
circostanza che la nuova valutazione a ritmi serrati - immediatamente
o nei quindici giorni, e comunque ben prima del termine  fissato  dal
giudice  -  impedisce  una  verifica   istruttoria   completa   delle
condizioni  di  salute  del  paziente,  dell'evoluzione   della   sua
patologia e all'esito dell'intervento diagnostico-terapeutico. 
    La  giurisprudenza  sul  punto,   del   resto,   appare   univoca
nell'affermare che «la revoca della misura alternativa in  precedenza
concessa  nei  casi  in  cui  potrebbe  essere  disposto  il   rinvio
obbligatorio o facoltativo dell'esecuzione della pena ai sensi  degli
articoli 146 e 147 del codice penale e' condizionata all'accertamento
della persistenza delle pregresse precarie condizioni di  salute  per
verificare nell'ambito di una valutazione comparativa  (...)  tra  le
esigenze di tutela della collettivita'  e  quelle  del  rispetto  del
principio di umanita' della pena - se la situazione attuale di salute
dei soggetto sia compatibile con il ripristino  della  detenzione  in
carcere» (in questo senso, Cass. Sez. I, 7  giugno  2017,  n.  55049,
Cass.,  Sez.  I,  9  gennaio  2010,  n.  44579).  Tale  principio  di
necessaria approfondita investigazione delle condizioni di salute del
paziente  destinatario  del  differimento,  in  caso  di  revoca  del
differimento stesso, e' a tal punto inderogabile da aver  indotto  la
giurisprudenza di legittimita' a  precisare  che  «nel  caso  di  una
situazione di salute particolarmente grave e tale da giustificare  la
incompatibilita' con il  regime  carcerario  non  e'  sufficiente  la
valutazione delle condotta del soggetto, pur se contraria alla legge,
come previsto per la detenzione domiciliare ordinaria, dovendo invece
essere sottoposte a valutazione e comparazione  anche  le  condizioni
sanitarie  del  soggetto,  la  cui  salute  puo'  essere  sacrificata
soltanto in presenza di  condotte  altamente  negative  e  del  tutto
incompatibili con una situazione diversa dalla detenzione in carcere»
(Cass. Sez. F, 21 agosto 2008, n. 34286). 
    L'impossibilita' di svolgere un accertamento a tutto tondo  sulle
condizioni di salute del destinatario del provvedimento di detenzione
domiciliare in surroga del  rinvio  e',  nel  caso  che  qui  occupa,
lampante. A fronte delle concrete esigenze sottese all'individuazione
di un termine  di  cinque  mesi,  la  rivalutazione  immediata  della
decisione non consente di avere contezza dell'evoluzione  del  quadro
clinico di P. Z.  Dalla  documentazione  sanitaria  presentata  dalla
difesa, infatti, emerge - circostanza che  vale  anche  in  punto  di
rilevanza della  questione  -  che  il  paziente,  in  ragione  della
diagnosticata «neoplasia vescicale BCG trattata», tra il 29 maggio  e
il 31 maggio 2020 e' stato sottoposto a  una  «resezione  endoscopica
bioptica» e che «il  successivo  iter  diagnostico-terapeutico  sara'
deciso in base all'esito dell'esame istologico [...] disponibile  tra
circa venti giorni». I Carabinieri della  Stazione  di  P.,  inoltre,
danno atto che il 1° giugno 2020  il  paziente  e'  stato  nuovamente
ricoverato e poi trattenuto presso l'Osservazione  Breve  del  Pronto
Soccorso dell'Ospedale  di  B.  in  attesa  di  ulteriori  visite  da
effettuare in data 2 giugno 2020 per possibile ricovero dello  stesso
presso il reparto Oncologico (cfr. nota Carabinieri  Stazione  di  P.
pervenuta il 4 giugno 2020). 
    Allo stato, pertanto, la valutazione sulla persistenza dei motivi
che hanno legittimato la misura domiciliare  rimarrebbe  privata,  in
ragione della  stringente  scansione  temporale  delle  rivalutazioni
stabilita nel decreto, della possibilita' di conoscere appieno  tutti
gli  elementi  inerenti  alle  condizioni  sanitarie  del   soggetto,
imprescindibili ai fini della nuova comparazione e ai fine del vaglio
di idoneita' delle strutture indicate dal Dap. 
    In altri termini la discrezionalita' giurisdizionale, nel caso di
specie, non ha possibilita' di dispiegarsi in tutta la sua  pienezza,
finendo per divenire puramente  ricognitiva  delle  uniche  emergenze
istruttorie affiorate nel procedimento: la comunicazione del  Dap  in
ordine alla disponibilita' delle strutture  protette,  i  pareri  dei
Procuratori  delle  Direzioni  Antimafia  Distrettuale  e  Nazionale,
favorevoli al ripristino della detenzione in carcere, le informazioni
dell'autorita' sanitaria, in persona del  Presidente  della  Regione,
sulla situazione relativa  allo  stato  dell'emergenza  sanitaria  da
Covid-19  nel  territorio  regionale  ove   e'   ubicato   l'istituto
penitenziario dal quale l'istante e' stato scarcerato. 
    Un tale restringimento della sfera di competenza  riservata  alla
giurisdizione non appare conforme al disposto degli  articoli  102  e
104 della Costituzione, oltre che, come si avra' modo di  vedere,  ai
principi di cui all'art. 32 Cost. 
    Certo, questo tribunale ha ben presente che i  termini  stabiliti
dall'art. 2 del decreto-legge n. 29/2020 sono privi  di  sanzione  e,
dunque, potrebbero essere classificati come  meramente  ordinatori  e
non perentori. Ma, a parte la contrarieta'  di  tale  soluzione  alla
ratio legis acceleratoria della rivalutazione, l'opzione  del  rinvio
del  procedimento  ai  fini  di  ottenere  una  compiuta   conoscenza
dell'evoluzione  del  quadro  diagnostico  e  terapeutico  di  P.  Z.
comporterebbe di fatto la  disapplicazione  del  decreto-legge  e  la
vanificazione dei termini apposti dal  legislatore.  Oltre  a  essere
pregiudicato il primo termine di quindici giorni, verrebbe obliterata
di fatto anche la successiva cadenza mensile. 
    Non pare, nel caso di specie, che  l'interpretazione  conforme  e
sistematica  possa  spingersi  sino  all'adozione  di  soluzioni   in
radicale contrasto con la lettera della legge  e  anche  con  le  sue
ragioni  ispiratrici,   desumibili   dall'analisi   tecnico-normativa
allegata al disegno di legge  di  conversione  del  decreto-legge  10
febbraio 2020, n. 29. In quest'ultimo documento - inserito  nell'atto
Senato n. 1799 - e' dato leggere che l'intervento normativa «mira  ad
assicurare, anche nell'attuale emergenza, la massima protezione della
sicurezza dei cittadini. Sicurezza che deve  poter  essere  garantita
non solo colmando, come fatto con  l'art.  1,  lacune  esistenti  nel
sistema  normativo,  ma  anche  consentendo   il   ripristino   della
detenzione carceraria nei confronti di condannati e  degli  internati
per delitti gravissimi o sottoposti al regime di  detenzione  di  cui
all'art.  41-bis  dell'O.P   [...]   qualora   i   motivi,   connessi
all'emergenza  sanitaria  da  Covid-19,  che  hanno  determinato   la
fuoriuscita di costoro dall'ambito carcerario siano cessati  o  siano
stati individuati  strutture  penitenziarie  o  reparti  di  medicina
protetta in grado di prestare le terapie e le  cure  necessarie  alla
salute dei singoli detenuti». 
    La  sostanziale  obliterazione  dei  termini  del   procedimento,
correlata alla necessita'  di  approfondimenti  istruttori  calibrati
sull'evoluzione   di   salute   del   beneficiario,   appare   dunque
inconciliabile  con  la  struttura  procedimentale   ipotizzata   dal
legislatore, tesa a privilegiare il ripristino dello stato detentivo. 
    Ulteriore  indice  sintomatico  di  questa  inconciliabilita'  e'
rilevabile dalla disciplina delle emergenze probatorie stabilita  dal
medesimo art. 2. Ai ritmi  serrati  delle  rivalutazioni  periodiche,
infatti,  si'  accompagna   un'istruttoria   del   tutto   priva   di
acquisizioni relative alle condizioni di salute del detenuto. 
    Sotto questo specifico profilo, per il  momento,  e'  sufficiente
accennare - con riferimento alla disciplina e  alla  scansione  delle
rivalutazioni dettata dall'art. 2 per i magistrati e i  tribunali  di
sorveglianza  -  che  la  mancata   previsione   di   approfondimenti
istruttori aventi ad oggetto le effettive condizioni  di  salute  del
detenuto non pare lacuna casuale.  Una  siffatta  mancanza,  infatti,
risalta ancora di piu' se messa a confronto con l'analoga  disciplina
prevista dal successivo art. 3 del decreto-legge con  riferimento  ai
giudici della cautela. La disposizione, riferita  agli  imputati,  e'
pressoche' identica a quella prevista per i condannati, se non per un
significativo passaggio previsto dall'ultimo periodo del comma 2,  in
base al quale «quando non e' in grado di decidere  allo  stato  degli
atti, il giudice puo' disporre, anche d'ufficio e  senza  formalita',
accertamenti  in  ordine  alle  condizioni  di   salute   di   salute
dell'imputato o procedere a perizia, nelle forme di cui agli articoli
220 del codice  di  procedura  penale,  acquisendone  gli  esiti  nei
successivi quindici giorni». 
    Tale norma di chiusura,  tesa  ad  attribuire  poteri  istruttori
d'ufficio e a derogare alla cadenza  della  rivisitazione  temporale,
non si ritrova nelle disposizione contenute  nell'art.  2,  omissione
che induce a confermare la rigidita' delle scansioni dei controlli. 
    Il perimetro temporale ristretto e la conseguente  impossibilita'
di un'adeguata istruttoria  sulle  condizioni  di  salute,  pertanto,
impediscono di mettere a frutto lo spiraglio letterale contenuto  nel
penultimo periodo dell'art. 2 del decreto,  laddove  si  precisa  che
l'autorita'  giudiziaria  -  il  magistrato   o   il   tribunale   di
sorveglianza  -  provvede   valutando,   oltre   ai   motivi   legati
all'emergenza  sanitaria,  la  «disponibilita'  di  altre   strutture
penitenziarie o di reparti di medicina protetta idonei ad evitare  il
pregiudizio per la salute del detenuto o dell'internato». 
    Nel caso di  specie,  ad  esempio,  l'idoneita'  dei  reparti  di
medicina  protetta  tempestivamente   comunicati   dal   Dipartimento
dell'amministrazione penitenziaria avrebbe dovuto essere valutata  da
questo tribunale con riferimento all'intervento  diagnostico  che  lo
Stato non era riuscito ad assicurare in ambito  penitenziario:  TC  e
operazione di  resezione  a  fini  di  prelievo  bioptico.  Ad  oggi,
tuttavia, tali accertamenti  sono  stati  effettuati,  ma  il  quadro
clinico  e'  in  attesa  della  definizione  correlata   agli   esiti
dell'esame istologico. Come detto, risulta che il detenuto sia  stato
nuovamente ricoverato. Allo stato, pertanto, non essendo stabilizzato
il quadro clinico e diagnostico non appare possibile neppure valutare
l'idoneita' delle strutture indicate ad evitare il pregiudizio per la
salute del detenuto. 
    D'altro canto, anche una decisione di conferma  della  detenzione
domiciliare - in senso contrario  alla  quale  depongono  comunque  i
pareri delle Procure, la comunicazione di strutture penitenziarie  da
parte del Dap e il parere dell'autorita' sanitaria locale -, oltre  a
non apparire in linea con la ratio normativa,  finirebbe  per  essere
espressione  di  una  discrezionalita'  giurisdizionale   altrettanto
dimidiata, in quanto amputata  della  possibilita'  di  stabilire  un
nuovo termine congruo con le condizioni di salute del  paziente,  con
l'evoluzione della patologia e con  le  necessita'  terapeutiche  del
medesimo. Anche in questo caso, infatti, il  provvedimento  subirebbe
lo stesso destino di instabilita' dell'ordinanza originaria e sarebbe
esposto a una rivalutazione immediata, in caso  di  comunicazione  da
parte del Dap di una nuova struttura, o comunque a  cadenza  mensile.
Non vi sarebbe, pertanto, la possibilita' di una riedizione  a  tutto
tondo del potere giurisdizionale di bilanciamento e comparazione,  in
forza del quale e' possibile  e  doveroso  stabilire  un  termine  di
durata parametrato  alle  condizioni  di  salute  del  detenuto.  Gli
aspetti di limitazione dell'autonomia di valutazione discrezionale in
capo all'autorita'  giurisdizionale  appaiono  tanto  piu'  gravi  in
quanto estesi  dalla  norma  transitoria  a  provvedimenti  che  tale
valutazione avevano compiuto e, come  nel  caso  di  specie,  avevano
previsto  un  intervallo  temporale  rigorosamente  calibrato   sulle
esigenze di salute del paziente detenuto. 
    In  proposito  va  detto  che  e'   noto   a   questo   Tribunale
l'orientamento della Corte costituzionale in  tema  di  rapporto  tra
violazione della riserva giurisdizionale,  desumibile  dal  combinato
disposto degli articoli  102,  comma  1  e  104,  comma  1  Cost.,  e
decisioni giurisdizionali valide rebus sic stantibus (Corte cost.  85
del 2013). In quell'occasione la Corte ha ribadito che,  non  venendo
in questione l'intangibilita' di  un  giudicato,  ogni  significativo
mutamento del quadro normativa e materiale di riferimento reintroduce
«il dovere del giudice di valutare compiutamente l'intera situazione»
e pone «le premesse perche' si verifichino fatti che dovranno  essere
valutati nuovamente dai giudici, ove aditi nelle forme rituali». 
    Per quanto sopra argomentato, tuttavia, la disciplina che estende
il procedimento dell'art. 2 ai  provvedimenti  adottati  sin  dal  23
febbraio 2020 - dunque anche  al  provvedimento  adottato  da  questo
Tribunale il 23 aprile 2020 - contiene aspetti che  non  si  limitano
soltanto  a  porre  le  premesse,  normative  e  materiali,   perche'
scaturisca il dovere del giudice di «valutare compiutamente  l'intera
situazione». 
    Quel che accade nella vicenda  in  questione,  e'  che  il  nuovo
intervento del giudice - oltre a essere imposto in maniera anticipata
rispetto al  termine  che  era  nella  sola  facolta'  del  Tribunale
stabilire -  e'  di  fatto  spogliato,  in  ragione  della  scansione
temporale delle  valutazioni  e  della  conseguente  limitatezza  del
quadro  istruttorio,  proprio   della   possibilita'   di   «valutare
compiutamente l'intera situazione». Come e' stato prima osservato, la
disciplina normativa e la costante giurisprudenza ribadiscono  che  i
provvedimenti di revoca della detenzione domiciliare in  surroga  del
rinvio, sia obbligatorio sia facoltativo, devono  essere  sorretti  e
sostenuti da una adeguata valutazione  delle  attuali  condizioni  di
salute del detenuto domiciliare e della loro  compatibilita'  con  il
ripristino della detenzione carceraria. Tale valutazione, preliminare
al piu' volte ricordato bilanciamento tra esigenze  di  tutela  della
collettivita'  e  principio  di  umanita'  della  pena,  non   appare
possibile nel caso di specie con quella «compiutezza» che deve invece
caratterizzare l'intervento del giudice. 
    Del  resto,  la  stessa  disciplina  dettata  dall'art.   1   del
decreto-legge, che consentira' per il futuro la rivalutazione in ogni
tempo della detenzione domiciliare surrogatoria per il venir meno dei
presupposti che ne hanno legittimato  l'adozione  -  ad  esempio,  il
riacquistato stato di salute del detenuto domiciliare -,  non  impone
termini di rivalutazione, lasciando cosi che l'autorita'  giudiziaria
sia  adita  o  si  attivi  d'iniziativa,  con  pienezza   di   poteri
istruttori, appena presa contezza del modificarsi dei presupposti. 
    Quanto gia' esposto vale anche a chiarire, in  parte,  per  quali
motivi questo  Tribunale  dubiti  della  legittimita'  costituzionale
degli articoli 2 e 5 in riferimento ai parametri di cui agli articoli
32 Cost. e 27, comma 3, Cost. 
    Come si e' avuto modo di dire, non sempre la tutela  del  diritto
alla salute puo' realizzarsi in ambito  intramurario.  E'  da  questa
constatazione, pertanto, che scaturisce la  necessita'  ordinamentale
di istituti come il rinvio obbligatorio e facoltativo della pena e la
detenzione domiciliare surrogatoria di quei rinvii, i quali mirano ad
ampliare il ventaglio degli strumenti  di  tutela  del  diritto  alla
salute e di umanizzazione della risposta punitiva nel rispetto  della
sicurezza collettiva. 
    Ancora una volta appare prezioso richiamare le parole della  gia'
menzionata sentenza  n.  99  del  2019  della  Corte  costituzionale,
proprio  in  materia  di  detenzione  domiciliare  surrogatoria.  Nel
constatare la mancanza di interventi legislativi idonee  a  garantire
ai condannati affetti da patologie psichiche  la  cura  della  salute
mentale  senza  elusione  del  trattamento  punitivo,  la  Corte   ha
valorizzato l'istituto della detenzione  domiciliare  surrogatoria  -
quella, appunto di cui all'art. 47-ter, comma 1-ter, dell'ordinamento
penitenziario - quale strumento idoneo a  ripristinare  «un  adeguato
bilanciamento tra le esigenze della sicurezza della  collettivita'  e
la necessita' di garantire il diritto alla salute dei detenuti  (art.
32 Cost.) e di assicurare che nessun condannato sia mai  costretto  a
scontare la pena in condizioni contrarie al senso di  umanita'  (art.
27, terzo comma Cost.), meno che mai un detenuto malato». 
    Questo equilibrio tra diritto alla salute e  umanizzazione  della
pena  da  un  lato  ed  esigenze  di  sicurezza  della  collettivita'
dall'altro - sotteso  alla  detenzione  domiciliare  sostitutiva  del
rinvio in caso di grave infermita' fisica del detenuto e  rispondente
ai parametri costituzionali  di  tutela  della  salute  del  detenuto
malato - appare messo a repentaglio dalla disciplina degli articoli 2
e 5 del decreto-legge n. 29/2020. 
    Il regime di frequenti rivalutazioni  sopra  descritto,  infatti,
sostanzia di per se' una ipotutela del  diritto  alla  salute,  tanto
piu' in quanto imposto retroattivamente a detenuti che, come nel caso
di P. Z., potevano contare, per svolgere le cure, su  di  un  termine
deciso  dal  tribunale  proprio  in  ragione  delle   loro   esigenze
terapeutiche. 
    La frequentissima rivalutazione della sussistenza dei presupposti
della detenzione domiciliare, peraltro caratterizzata da una  marcata
tensione al  ripristino  della  detenzione,  incide  di  per  se'  su
entrambi i diritti costituzionali garantiti,  tra  loro  strettamente
connessi: salute e umanita' della pena. 
    Il condannato malato,  gia'  ammesso  a  una  misura  domiciliare
idonea a garantirgli il  diritto  di  potersi  curare  per  un  certo
intervallo temporale, viene improvvisamente a trovarsi  sottoposto  a
una reiterata e continua verifica della  permanenza  dei  presupposti
della misura stessa. Una sorta di rivalutazione permanente,  tale  da
obbligare  l'autorita'  giudiziaria,  che   dovesse   constatare   la
persistenza dei presupposti idonei a mantenere la misura, ad  avviare
immediatamente gli adempimenti inerenti  alla  notifica  della  nuova
udienza utile a rispettare  la  cadenza  mensile  o,  addirittura,  a
notificare immediatamente al detenuto malato l'avviso di  udienza  in
caso di comunicazione da parte del Dipartimento  dell'amministrazione
penitenziaria di struttura penitenziaria o  di  reparto  di  medicina
protetta idonei. In questa situazione di  costante  sottoposizione  a
giudizio, dunque, e' difficile ipotizzare che possa essere  realmente
garantita la continuita' delle cure, nonche' la  progettazione  e  la
realizzazione   di   quel   percorso   diagnostico-terapeutico    non
effettuabile in ambito intramurario e per il  quale  il  detenuto  e'
stato ammesso alla detenzione domiciliare. 
    Al di la' del dato inerente ai ritmi serrati delle rivalutazione,
tuttavia, ulteriore e importante profilo di  violazione  del  diritto
alla salute  si  coglie,  come  prima  anticipato,  nella  disciplina
istruttoria della procedura delineata dall'art.  2,  nella  quale  e'
assente ogni riferimento a una verifica delle  condizioni  di  salute
del detenuto malato. 
    Come  gia'  sottolineato,  le  uniche  acquisizione   istruttorie
previste dalla disposizione citata sono costituite dalla  informativa
dell'autorita' sanitaria locale, nella persona del  Presidente  della
regione,  dai  pareri  del  Procuratore  nazionale   e   distrettuale
antimafia, dalla comunicazione del Dipartimento  dell'amministrazione
penitenziaria   in   ordine   alla   disponibilita'   di    strutture
penitenziarie o reparti di medicina protetta idonei. 
    In sostanza la norma in questione da' forma a un procedimento che
consente il solo monitoraggio in ordine all'effettiva persistenza dei
motivi legati all'emergenza sanitaria  nel  luogo  ove  era  allocato
l'istituto di appartenenza del detenuto  al  momento  dell'ammissione
alla detenzione domiciliare. 
    Anche in questo caso, la finalizzazione della procedura stabilita
dall'art. 2  del  decreto  in  questione  alla  sola  verifica  della
persistenza  dell'emergenza  sanitaria  e'  desumibile,   oltre   che
dall'interpretazione letterale e sistematica delle norme, anche dalla
lettura della relazione tecnica  allegata  al  disegno  di  legge  di
conversione. Nel documento in questione, infatti, si legge che  «solo
l'effettiva   persistenza   di   quelle   condizioni   di   emergenza
epidemiologica - che avevano inciso sull'apprezzamento, da parte  del
magistrato o del tribunale di sorveglianza, dell'impossibilita' della
prosecuzione  del  regime  carcerario   -potranno   giustificare   il
proseguimento del regime alternativo», ragione per la quale  «vengono
dettati precise regole e termini processuali». 
    Oggetto del giudizio, dunque, e' la verifica della persistenza  o
meno delle condizioni  di  emergenza  sanitaria,  con  pretermissione
della valutazione delle condizioni di salute del detenuto. 
    Del resto, si e' gia'  anticipato  che  a  tale  risultato  porta
l'esegesi del testo, condotta sulla base di alcuni indici sintomatici
piuttosto rilevanti. 
    Del primo si e' gia' detto: attiene all'assenza, nell'art. 2,  di
una norma di chiusura quale quella esplicitata nel successivo art.  3
e in base alla quale, in caso di  impossibilita'  di  decisione  allo
stato  degli  atti,  il  giudice  puo'  disporre  accertamenti  sulle
condizioni di salute dell'imputato o disporre perizia. 
    Accanto a  tale  significativa  mancanza,  si  colloca  un  altro
criterio utile a confermare la soluzione ermeneutica sopra descritta.
L'art. 2 del decreto in questione sancisce che la  rivalutazione  del
provvedimento  di  ammissione  al  differimento  della  pena  o  alla
detenzione domiciliare per motivi connessi all'emergenza sanitaria e'
effettuata  dal  magistrato  o  dal  tribunale  che  ha  adottato  il
provvedimento. Si tratta di una significativa deroga al  criterio  di
competenza territoriale sancito dall'art. 677, comma 2, del codice di
procedura penale, per il quale «quando l'interessato non e'  detenuto
o internato, la competenza, se la  legge  non  dispone  diversamente,
appartiene al tribunale  o  al  magistrato  di  sorveglianza  che  ha
giurisdizione sul luogo in cui l'interessato ha  la  residenza  o  il
domicilio». Alla base di tale criterio di individuazione del  giudice
naturale si collocano ragioni di prossimita', di vicinanza  e  tenuta
epistemologica della prova e di miglior  accessibilita'  alla  tutela
giudiziaria. 
    Ora,  ferma  restando  la  facolta'  della  legge   di   disporre
diversamente,  e'  evidente  che   la   diversa   allocazione   della
competenza, nel caso di specie, e' senza dubbio dovuto al particolare
oggetto del giudizio di rivalutazione cucito dall'art. 2 del  decreto
n. 29/2020,  concernente  la  sola  rivisitazione  della  sussistenza
dell'emergenza  epidemiologica,  con  esclusione  di  ogni   verifica
attualizzante delle condizioni di salute del  detenuto.  Soltanto  in
questo modo, infatti, puo' giustificarsi una deroga al  criterio  che
attribuirebbe la competenza al giudice del luogo ove il condannato e'
domiciliato per  l'esecuzione  della  misura  (nel  caso  di  specie,
Brescia); giudice che, quanto meno per il dovere di  autorizzare  gli
spostamenti dal domicilio per motivi di salute  e  di  verificare  il
rispetto delle prescrizioni, e' in grado di avere migliore  contezza,
oltre che del comportamento del  detenuto  domiciliare,  anche  delle
condizioni di salute,  del  percorso  terapeutico  e  dell'evoluzione
della patologia. 
    Cio' detto, tuttavia, il nostro ordinamento non  ammette  revoche
di pene alternative alla detenzione, concesse per ragioni di  salute,
che non siano adottate  sulla  base  di  un'attenta  ponderazione  di
quelle  ragioni  di  salute.  Come   gia'   accennato,   i   conformi
orientamenti giurisprudenziali sul punto  richiedono  che  la  revoca
della misura alternativa in  precedenza  concessa  nei  casi  in  cui
potrebbe  essere  disposto  il  rinvio  obbligatorio  o   facoltativo
dell'esecuzione della pena ai sensi degli articoli 146 e 147 c.p. sia
condizionata  all'accertamento  della  persistenza  delle   pregresse
precarie condizioni di salute. Soltanto  in  tal  modo,  infatti,  si
potra' pervenire, nell'ambito di una congrua valutazione  comparativa
tra le esigenze di tutela della collettivita' e quelle  del  rispetto
del principio di umanita' della pena, a capire se il ripristino della
condizione detentiva e' possibile senza ledere il diritto alla salute
della persona, tutelato dall'art. 32 Cost. come,  inderogabile.  Deve
porsi in eminente rilievo che,  secondo  un  principio  costantemente
ribadito dalla Corte  costituzionale,  il  «nucleo  irriducibile  del
diritto alla  salute  e'  protetto  dalla  Costituzione  come  ambito
inviolabile della dignita' umana, il  quale  impone  di  impedire  la
costituzione di situazione prive di tutela, che possano  pregiudicare
l'attuazione  di   quel   diritto»   e   dei   trattamenti   sanitari
indispensabili per concretizzarlo (Corte cost. 309 del 1999 , 252 del
2001). 
    La   somma   dei   due   tratti   caratterizzanti   del   modello
procedimentale dell'art. 2, vale a dire «precise regole»  istruttorie
e «termini processuali», al contrario, comporta  che  la  valutazione
indirizzata al ripristino del regime  carcerario  porti  con  se'  un
serio rischio di ledere quel  nucleo  irriducibile,  anche  nei  suoi
aspetti di diritto alla continuita' terapeutica - ormai recepito come
elemento essenziale del diritto alla  salute  (Corte  cost.  274  del
2014) -, al consenso informato, alla non  interruzione  dell'alleanza
terapeutica  e   alla   indispensabile   salute   psicologica.   Tale
costellazione di diritti e' ormai indissolubilmente legata all'orbita
del diritto alla salute. 
    Nel caso di specie,  nonostante  il  Tribunale,  nei  limiti  del
possibile, abbia posto attenzione alla verifica delle  condizioni  di
salute del paziente (grazie  anche  alle  produzioni  difensive),  la
suaccennata collisione con i parametri di cui all'art.  32  Cost.  e'
plasticamente dimostrata da quanto  prima  riferito  in  ordine  alla
storia  clinica  di  P.  Z.   dopo   l'ammissione   alla   detenzione
domiciliare. 
    Il detenuto, occorre ricordare,  e'  stato  ammesso  alla  misura
domiciliare poiche' nell'ambito del sistema penitenziario,  sia  pure
esteso ai sensi dell'art. 11 dell'ordinamento penitenziario ai luoghi
civili di cura, non gli era stato garantito  un  «indifferibile»  (in
questi termini la certificazione sanitaria) follow up  diagnostico  e
terapeutico per il carcinoma vescicale che gli era stato  riscontrato
a dicembre 2019  e  per  il  quale  aveva  iniziato  una  terapia  di
instillazioni   endovescicali.   Come   detto,   questo    Tribunale,
nell'esercizio  di  un  potere  discrezionale  che   la   legge   gli
attribuisce in via esclusiva, ha apposto alla detenzione  domiciliare
il termine di cinque mesi, al fine di  consentire  una  rivalutazione
dei presupposti della misura che disponesse di tutte le  informazioni
in ordine all'evoluzione del quadro sanitario. 
    Conformemente a tale indicazione il detenuto,  una  volta  giunto
nel domicilio, ha dato avvio all'iter diagnostico che in carcere  non
aveva potuto effettuare e che e' stato cosi'  previsto  dall'ospedale
al quale il detenuto ha fatto riferimento: 4 maggio visita  urologica
(la prenotazione era gia' allegata al procedimento che ha dato  luogo
alla misura); 26 maggio, presso il medesimo ospedale, TC torace senza
e con MDC e TC Addome completo senza e con MDC; 29/31 maggio ricovero
per esecuzione di resezione trans  uretrale  bioptica.  All'esito  di
tale  percorso  e'  stato   stabilito   che   «il   successivo   iter
diagnostico-terapeutico sara' deciso  in  base  all'esito  dell'esame
istologico... disponibile tra circa venti giorni»  (cfr.  certificato
U.O. di Urologia 31 maggio 2020 in atti). 
    Allo sviluppo della vicenda appena descritta si aggiunge che  Z.,
a  causa  di  un  malore  improvviso,  il  1°  giugno  veniva   prima
trasportato presso il Nosocomio di M. e  poi,  verso  le  ore  16,30,
«trasferito all'ospedale  civile  di  B.,  dove,  dopo  essere  stato
visitato, veniva trattenuto presso l'Osservazione  Breve  del  Pronto
Soccorso in attesa di ulteriori visita da effettuare in data 2 giugno
2020  per  possibile  ricovero  dello  stesso   presso   il   reparto
Oncologico». Alla data  dell'udienza  il  paziente  risultava  ancora
ricoverato (cfr. informazioni Carabinieri Stazione di P. pervenute il
3 e il 4 giugno 2020). 
    E' del tutto evidente, pertanto, quanto il frequente  obbligo  di
rivalutazione introdotto dal decreto-legge n. 29/2020 -  con  il  suo
portato  di  notifiche,  adempimenti   burocratici,   necessita'   di
interazione con la difesa - possa di  per  se'  interferire  con  una
serena e congrua attenzione alla progettazione  e  realizzazione  del
percorso terapeutico, che il detenuto ha avviato e intrapreso potendo
contare, in assenza di violazioni delle prescrizioni, su  un  termine
di cinque mesi. 
    Altrettanto indubitabile  pare  che  i  termini  processuali  che
questo  Tribunale  e'  chiamato   a   rispettare,   unitamente   alle
insuperabili lacune istruttorie  di  cui  si  e'  detto,  corrono  il
rischio di portare a una decisione di ripristino della detenzione  in
assenza di una corretta stima della compatibilita'  delle  condizioni
di salute del detenuto  con  le  condizioni  detentive.  Allo  stato,
infatti, non  potendosi  capire  appieno  ne'  la  consistenza  della
patologia  ne'  le  ragioni  dell'ultimo  ricovero  appare  difficile
appurare  anche  l'idoneita'  dei  reparti   di   medicina   protetta
individuati  dal  Dap,  i  quali  avevano  soltanto   assicurato   la
possibilita'  di  eseguire  in   tempi   congrui   gli   accertamenti
diagnostici che il detenuto aveva programmato e poi  svolto  per  suo
conto. Su questo specifico  punto  preme  rilevare  quanto  rimarcato
anche da un fondamentale  arresto  della  Corte  Edu,  nel  quale  si
riepilogano  i  principi   riconosciuti   dalla   giurisprudenza   di
Strasburgo in materia di tutela del diritto di salute  delle  persone
detenute (Corte Edu Provenzano c. Italia, 25 ottobre 2018, definitiva
il 25 gennaio 2019, ric. 55080/13). La  Corte  europea,  infatti,  e'
univoca nel sottolineare (p. 128) che «il mero fatto che un  detenuto
sia visitato da un medico e gli sia prescritta una determinata,  cura
non puo'  condurre  automaticamente  a  concludere  che  l'assistenza
medica era adeguata» e che e' invece necessario che «il controllo sia
regolare e sistematico e riguardi una strategia  terapeutica  globale
finalizzata a curare adeguatamente i problemi di salute o a prevenire
il  loro  aggravamento,  piuttosto  che  ad   affrontarli   su   base
sintomatica». 
    Nella vicenda che  occupa  questo  Tribunale,  pertanto,  l'unico
effetto   che   in   concreto   si    realizzerebbe,    in    ragione
dell'applicazione degli articoli 2 e  5  del  decreto,  e'  la  certa
interruzione di un percorso terapeutico in atto. 
    In questo  stessa  direzione,  del  resto,  sembrano  muovere  le
osservazioni della Procura generale di Sassari (cfr. memoria  udienza
4 giugno 2020),  le  quali,  pur  pervenendo  a  una  valutazione  di
manifesta infondatezza delle questioni di costituzionalita'  proposte
dai difensori, da' atto che «deve  affermarsi  la  revocabilita'  dei
differimenti concessi per grave stato di salute tutte le volte in cui
si accerti la successiva guarigione  del  condannato  o  comunque  la
disponibilita'  delle  strutture  penitenziarie  a   prendersi   cura
adeguatamente delle condizioni di salute del detenuto risponde  a  un
principio generale dell'ordinamento in questa materia». 
    Quel che nel caso di specie rileva, per quanto sopra  illustrato,
e' proprio l'impossibilita', per tempi e regole, di  apprezzare  quei
presupposti: guarigione e idoneita' delle cure. 
    A cio' si aggiunga che il detenuto ha correttamente rispettato le
stringenti  prescrizioni  correlate  alla  misura  in   atto,   unica
circostanza che, in caso contrario, avrebbe ben potuto  dare  atto  a
sospensione e revoca della misura, con interruzione del termine. 
    Per riassumere, dunque, si puo' affermare che  nel  provvedimento
del tribunale di  sorveglianza  e'  contenuto  un  bilanciamento  tra
salute e sicurezza e il termine di cinque mesi altro non  rappresenta
che il periodo accordato -  salvo  violazioni  delle  prescrizioni  o
inerzia nella cura - per garantire effettivita' ed equilibrio di quel
bilanciamento. 
    Una rivalutazione improvvisa con le caratteristiche  suaccennate,
prevalentemente indirizzata al ripristino della detenzione,  comporta
una violazione  del  diritto  alla  salute,  garantito  dai  connessi
diritti alla continuita' terapeutica e all'alleanza  medico-paziente;
diritti validi per ogni persona con la sola differenza, che, nel caso
della persona in detenzione domiciliare, si collocano in un orizzonte
temporale definito dall'autorita' giudiziaria. 
    Valutato il dubbio sotto il profilo della violazione dell'art. 32
Cost., rimane da esaminare la questione alla luce  del  parametro  di
cui all'art. 3 Cost. 
    Il contrasto con l'art. 3 Cost. - come gia' rilevato  da  Ufficio
sorveglianza Spoleto, ord. 26 maggio 2020, che ha sollevato questione
per analogo profilo - sembra apprezzarsi sotto il profilo  soggettivo
dei destinatari del frequente regime  di  rivalutazioni  disciplinato
dall'art. 2 e retroattivamente applicato in ragione dell'art. 5. 
    Le norme citate, infatti, riguardano  i  provvedimenti  ammissivi
alla detenzione domiciliare o al differimento della pena, connessi  a
motivi  di  emergenza  da  Covid-19,   soltanto   quando   riguardano
condannati o internati per  i  delitti  di  cui  agli  articoli  270,
270-bis, 416-bis del codice penale e 74, comma  1,  del  decreto  del
Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, o per un  delitto
commesso  avvalendosi  delle  condizioni  o  al  fine  di   agevolare
l'associazione mafiosa, o per un delitto commesso  con  finalita'  di
terrorismo ai sensi dell'art. 270-sexies del codice penale, nonche' i
condannati e gli internati  sottoposti  al  regime  dell'art.  41-bis
della legge 26 luglio 1975, n. 354. 
    Sulla  base  di  una  presunzione  di  pericolosita',   correlata
soltanto al titolo di reato e  al  regime  detentivo,  si  individua,
all'interno  della  platea  dei  detenuti  ammessi  a   provvedimenti
umanitari in  ragione  dell'emergenza  sanitaria,  una  categoria  di
detenuti destinataria di un procedimento di  frequente  rivalutazione
marcatamente teso al  ripristino  della  detenzione  carceraria,  non
assistito   dal   pieno   dispiegarsi   del   potere    discrezionale
dell'autorita' giudiziaria e non garantito  sotto  il  profilo  della
tutela del diritto alla salute e all'umanita' della pena. 
    I  profili  per  cui  si  dubita  della  ragionevolezza  di  tale
disparita' di trattamento, non correlata a una valutazione  di  minor
incidenza  dell'emergenza  epidemiologica  su  tali  soggetti,   sono
molteplici. 
    Deve essere in primo luogo messo in risalto che  la  tipizzazione
per titoli di reato e la configurazione di altrettanti tipi di autore
(Corte cost. 306 del 1993) appare tanto piu' grave nella vicenda  che
qui occupa in quanto non  entra  in  collisione  con  i  principi  di
proporzione e di individualizzazione della  pena  e  del  trattamento
penitenziario,  ma  con  i  diritti  fondamentali   alla   salute   e
all'umanita' della pena. 
    In altri termini, l'automatismo che si denuncia,  basato  su  una
presunzione assoluta di pericolosita', non determina una compressione
della finalita' rieducativa della pena, ma una  ipotutela  importante
di diritti fondamentali. Non  sembra  che  su  questo  terreno  possa
esservi alcuna differenza di trattamento che non sia  il  portato  di
una valutazione individualizzante dell'autorita' giudiziaria. 
    Del resto, proprio  in  quest'ottica,  e'  pacifico  -  per  dato
normativo e costante interpretazione giurisprudenziale  -  che  siano
esclusi, dal novero delle misure cui si applicano le  preclusioni  di
cui all'art. 4-bis dell'ordinamento penitenziario, tutti gli istituti
nei quali a venire in gioco sono proprio le esigenze  di  salute  dei
detenuti e il principio di umanizzazione  della  pena.  Sono  infatti
sottratti al perimetro applicativo delle limitazioni di cui al  comma
1  dell'art.  4-bis  dell'ordinamento  penitenziario  la  sospensione
dell'esecuzione della pena ai sensi degli  articoli  146  e  147  del
codice penale, la detenzione  domiciliare  di  cui  all'art.  47-ter,
comma 1-ter, dell'ordinamento penitenziario, ma anche i  permessi  di
necessita' ex art. 30 dell'ordinamento  penitenziario,  l'affidamento
in prova terapeutico ai sensi dell'art. 94 del decreto del Presidente
della Repubblica n. 309/90,  le  misure  alternative  concedibili  ai
soggetti affetti da  AIDS  conclamata  o  da  grave  immunodeficienza
acquisita e, all'esito della pronuncia della Corte costituzionale  n.
239 del 2014, la detenzione domiciliare speciale ex art. 47-quinquies
dell'ordinamento penitenziario e quella di cui all'art. 47-ter, comma
1, lett. a) e b), dell'ordinamento penitenziario. 
    Nel caso di specie l'automatica applicazione  del  rito  ai  soli
tipi di autore  e  di  detenuti  individuati  dall'art.  2,  tra  cui
l'odierno detenuto  domiciliare,  preclude  soltanto  per  questi  un
vaglio essenziale, approfondito  e  individualizzato  dell'attualita'
delle condizioni  di  salute  e  della  loro  compatibilita'  con  il
ripristino della condizione carceraria. Si  tratta,  per  come  sopra
specificato, di un vaglio necessario  per  pervenire  a  un  corretto
bilanciamento tra esigenze di sicurezza della collettivita' e  tutela
del diritto alla salute e all'umanizzazione della pena. 
    Occorre aggiungere, peraltro, che l'automatismo dell'art. 2,  per
il quale solo alcune categorie di condannati rientrano nel novero  di
applicazione della procedura di  revisione  a  intervalli  frequenti,
assume  un  contenuto  di  maggior  preoccupazione  in  virtu'  della
disposizione transitoria  di  cui  all'art.  5,  che  impone  che  le
disposizioni di cui all'art. 2 si applicano ai provvedimenti adottati
a decorrere dal 23 febbraio 2020. In  quest'ordine  di  ragionamenti,
infatti, si rileva che la presunzione  di  pericolosita'  non  agisce
solo  come  fattore  impeditivo  per   il   futuro   di   valutazioni
individualizzanti,  ma  si  sovrappone  e   travalica   bilanciamenti
individualizzati  gia'  effettuati  dai   Tribunali.   Caratteristica
peculiare della disciplina  transitoria  in  questione,  infatti,  e'
quella di rivitalizzare una presunzione di  pericolosita'  sociale  -
tale da imporre  il  mancato  rispetto  del  termine  del  tribunale,
frequenti rivalutazioni e restringimenti dell'ambito di  esplicazione
del potere discrezionale - gia' superata  dall'autorita'  giudiziaria
in sede di concessione della misure umanitaria. 
    La  vicenda   concernente   la   concessione   della   detenzione
domiciliare a P. Z. offre una rappresentazione di quanto  accade.  Il
Tribunale,  nell'esercizio  dei  suoi  poteri  discrezionali,   aveva
compiuto un bilanciamento tra ragioni  di  sicurezza  e  diritto  del
detenuto a effettuare cure in ambito intramurario basato su  elementi
individualizzanti (gravita' della patologia,  entita'  residua  della
pena da, espiare,  revoca  della  misura  di  sicurezza  per  cessata
pericolosita',  idoneita'  del  domicilio,   stringente   regime   di
prescrizioni). Il portato di questo  bilanciamento  in  concreto  era
costituito non soltanto dall'ammissione alla  detenzione  domiciliare
derogatoria, ma dall'applicazione di un termine di  durata  specifico
di tale pena alternativa. Ora, in ragione della riedizione  normativa
di una presunzione astratta, il paziente si trova esposto a un regime
di rivalutazioni che, per quanto detto, oltre a non essere rispettoso
del termine, contiene, ad avviso di  questo  Tribunale,  preoccupanti
aspetti di  limitazione  della  sfera  di  competenza  dell'autorita'
giudiziaria e una riduzione di tutela dei diritti  fondamentali  alla
salute e all'umanita' della pena. 
    Ad  avviso  di  questo  Tribunale,  dunque,  sussiste   contrasto
dell'art. 2 del decreto-legge n. 29 del 10 maggio 2020, per come  sin
qui argomentato, con gli articoli 3, 27, comma 3, 32, 102, comma 1  e
104, comma l, Cost., nella parte in cui prevede che la  rivalutazione
della  permanenza  dei  motivi  legati  all'emergenza  sanitaria  sia
effettuata entro il  temine  di  quindici  giorni  dall'adozione  del
provvedimento e, successivamente,  con  cadenza  mensile  e,  ancora,
immediatamente nel caso in cui il  Dipartimento  dell'amministrazione
penitenziaria comunica la disponibilita' di strutture penitenziarie o
di reparti di medicina protetta. 
    Allo stesso modo questo Tribunale reputa che il contrasto  con  i
succitati parametri  costituzionali  si  manifesti  nell'art.  5  del
medesimo  decreto-legge,  nella  parte  in   cui   prevede   che   le
disposizioni di cui all'art.  2  si  applicano  ai  provvedimenti  di
ammissione alla detenzione domiciliare o di differimento  della  pena
adottati successivamente al 23 febbraio 2020. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Visti gli articoli 134 Cost. e 23 e ss. legge 11 marzo  1953,  n.
87: 
      dichiara rilevante e non manifestamente infondata la  questione
di legittimita'  costituzionale  dell'art.  2  del  decreto-legge  10
maggio 2020, n. 29, nella parte in cui prevede che  la  rivalutazione
della  permanenza  dei  motivi  legati  all'emergenza  sanitaria  sia
effettuata entro il termine  di  quindici  giorni  dall'adozione  del
provvedimento e, successivamente,  con  cadenza  mensile  e,  ancora,
immediatamente nel caso in cui il  Dipartimento  dell'amministrazione
penitenziaria comunica la disponibilita' di strutture penitenziarie o
di reparti di medicina protetta, per violazione degli articoli 3, 27,
comma 3, 32, 102, comma 1 e 104, comma 1, Cost.; 
      dichiara rilevante e non manifestamente infondata la  questione
di legittimita'  costituzionale  dell'art.  5  del  decreto-legge  10
maggio 2020, n. 29, nella parte in cui prevede che le disposizioni di
cui all'art. 2 si  applicano  ai  provvedimenti  di  ammissione  alla
detenzione  domiciliare  o  di  differimento  della   pena   adottati
successivamente al 23 febbraio 2020, per violazione degli articoli 3,
27, comma 3, 102, comma 1, e 104, comma l, Cost.; 
      dispone  l'immediata  trasmissione  degli   atti   alla   Corte
costituzionale; 
      sospende il procedimento in corso sino all'esito  del  giudizio
incidentale di legittimita' costituzionale; 
      ordina che a cura della Cancelleria la  presente  ordinanza  di
trasmissione  degli  atti  sia  notificata  alle  parti   in   causa,
comunicata al pubblico ministero; 
      dispone che la presente ordinanza sia notificata al  Presidente
del Consiglio dei Ministri e sia comunicata ai Presidenti di Camera e
Senato; 
      manda alla Cancelleria per la cura degli adempimenti. 
        Sassari, 4 giugno 2020 
 
                     Il Presidente: Aurelia Soro 
 
                          Il Magistrato di sorveglianza est.: De Vito