N. 115 ORDINANZA (Atto di promovimento) 9 giugno 2020
Ordinanza del 9 giugno 2020 del Tribunale di sorveglianza di Sassari nel procedimento di sorveglianza di Z. P.. Ordinamento penitenziario - Misure urgenti in materia di detenzione domiciliare o di differimento della pena per motivi connessi all'emergenza sanitaria da COVID-19 - Provvedimento di ammissione alla detenzione domiciliare o al differimento della pena per motivi connessi all'emergenza sanitaria da COVID-19 dei condannati e degli internati per i delitti di cui agli artt. 270, 270-bis, 416-bis del codice penale e 74, comma 1, del d.P.R. n. 309 del 1990, o per un delitto commesso avvalendosi delle condizioni o al fine di agevolare l'associazione mafiosa, o per un delitto commesso con finalita' di terrorismo ai sensi dell'art. 270-sexies del codice penale, nonche' dei condannati e degli internati sottoposti al regime previsto dall'art. 41-bis della legge n. 354 del 1975 - Valutazione della permanenza dei motivi legati all'emergenza sanitaria - Previsione che la rivalutazione venga effettuata entro il termine di quindici giorni dall'adozione del provvedimento e, successivamente, con cadenza mensile e immediatamente nel caso in cui il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria comunichi la disponibilita' di strutture penitenziarie o di reparti di medicina protetta. Ordinamento penitenziario - Misure urgenti in materia di detenzione domiciliare o di differimento della pena per motivi connessi all'emergenza sanitaria da COVID-19 - Norma transitoria - Applicabilita' della disposizione di cui all'art. 2 del decreto-legge n. 29 del 2020 ai provvedimenti di ammissione alla detenzione domiciliare o di differimento della pena adottati successivamente al 23 febbraio 2020. - Decreto-legge 10 maggio 2020, n. 29 (Misure urgenti in materia di detenzione domiciliare o differimento dell'esecuzione della pena, nonche' in materia di sostituzione della custodia cautelare in carcere con la misura degli arresti domiciliari, per motivi connessi all'emergenza sanitaria da COVID-19, di persone detenute o internate per delitti di criminalita' organizzata di tipo terroristico o mafioso, o per delitti di associazione a delinquere legati al traffico di sostanze stupefacenti o per delitti commessi avvalendosi delle condizioni o al fine di agevolare l'associazione mafiosa o con finalita' di terrorismo, nonche' di detenuti e internati sottoposti al regime previsto dall'articolo 41-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, nonche', infine, in materia di colloqui con i congiunti o con altre persone cui hanno diritto i condannati, gli internati e gli imputati), artt. 2 e 5.(GU n.34 del 19-8-2020 )
IL TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA di Sassari Composto da: dott. Ida Aurelia Soro, Presidente; dott. Riccardo De Vito, Magistrato di Sorveglianza relatore; dott. Marianna Melis, Esperto; dott. Carla Mulas, Esperto; e con l'intervento del sig. Procuratore Generale, nella persona dell'Avvocato Generale Maria Gabriella Pintus, a scioglimento della riserva espressa all'udienza del 4 giugno 2020 ha pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento ex articoli 666, 677, 678 codice di procedura penale, 2 del decreto-legge n. 29/2020 nei confronti di Z. P., nato a. il., attualmente domiciliato in., via., in espiazione della pena determinata con provvedimento di unificazione di pene concorrenti della Procura Generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Napoli in data 30 maggio 2020 (Esecuzione n.... SIPE). Decorrenza pena: 28 giugno 2007; fine pena: 18 agosto 2023. Osserva Con ordinanza del 23 aprile 2020 il Tribunale di Sorveglianza di Sassari disponeva nei confronti di P. Z. la sospensione della pena ai sensi dell'art. 147, comma l n. 2) del codice penale, nelle forme della detenzione domiciliare di cui all'art. 47-ter, comma 1-ter, dell'ordinamento penitenziario. Appare opportuno, in primo luogo, riassumere le motivazioni che hanno condotto a quella decisione. P. Z., sottoposto al regime differenziato di cui all'art. 41-bis, comma 2, dell'ordinamento penitenziario, era detenuto presso la Casa Circondariale di Sassari in espiazione della pena determinata con provvedimento di cumulo della Procura Generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Napoli in data 23 marzo 2020 (Esecuzione n... SIEP). Il 19 ottobre 2019, dopo che numerose analisi avevano confermato la presenza di sangue nelle urine, il detenuto fu sottoposto a visita ecografica, dalla quale risulto' la presenza nella vescica di una «tumefazione vegetante nella parete del fondo in paramediana, sn, con base di 21.4 mm e massimo spessore di 13.7 mm, a ecostruttura inomogenea con due minute calcificazioni nel contesto»; dopo una serie di ulteriori approfondimenti diagnostici, il 14 dicembre 2019 fu sottoposto a intervento chirurgico di resezione transuretrale di neoformazione vescicale (TURB). Gli esiti dell'esame istologico confermarono una diagnosi allarmante: «carcinoma papillifero di basso e focalmente alto grado». A decorrere dal 16 gennaio 2020, il detenuto inizio' a praticare «immunoterapia etrdocavitaria con instillazioni endovescicali con BCG» con cadenza settimanale. La terapia prosegui' tra alti e bassi, tanto che in data 18 febbraio 2020 l'urologo della Casa Circondariale di S. riscontro' la «presenza dei chiari segni di BCGite (infezione genito-urinaria da bacillo di Calmette-Guerin, n.d.e.)» e ne dispose la sospensione. Altre volte, peraltro, immunoterapia, era stata sospesa in ragione di diverse infezioni trattate con antibiotico. Terminato il ciclo di instillazioni, il paziente non pote' effettuare ulteriore controllo endovescicale per verificare i risultati della terapia. L'intervento chirurgico, infatti, era stato stabilito per il giorno 27 marzo 2020, ma la Clinica urologica dell'Azienda Ospedaliero-Universitaria di S., nel frattempo, era stata individuata come Centro Covid-19 e cio' impedi' l'effettuazione della resezione endoscopica bioptica (TUR-V). I successivi certificati medici acquisiti al procedimento - richiesti dal Tribunale al fine di valutare la consistenza della patologia, la possibilita' di cura e la compatibilita' delle condizioni di salute con il regime carcerario - dettero atto dell'impossibilita' di proseguire l'iter diagnostico e terapeutico proprio a causa dell'emergenza Covid-19. In data 31 marzo 2020 il Responsabile del Presidio attesto' che al paziente non poteva essere assicurato il follow up post-chirurgico e post-terapia in quanto il Centro clinico di riferimento era stato individuato come Centro Covid-19 e che era dunque opportuno il trasferimento del paziente presso altro Istituto che potesse garantire il prosieguo dell'iter diagnostico-terapeutico. Dopo numerosi rinvii - finalizzati all'individuazione di struttura penitenziaria attrezzata per quel trattamento o prossima a luogo di cura nel quale poter svolgere i richiesti esami diagnostici e le successive cure -, all'udienza del 23 aprile 2020 pervenne ulteriore certificato del responsabile del presidio di tutela della salute dei detenuti della Casa Circondariale di S., nel quale si confermava l'impossibilita' di' eseguire i controlli endoscopici previsti (necessari per poter proseguire la terapia) sia presso l'AOU di S. sia all'interno della C.C. di S. Tali controlli - da eseguire obbligatoriamente in ambiente ospedaliero - non potevano essere svolti presso altri istituti penitenziari, ne' in altre cliniche ospedaliere della Sardegna. Nella certificazione si ribadiva, inoltre, la «indifferibilita' del programma diagnostica-terapeutico previsto». Dopo aver tratteggiato la vicenda sanitaria che aveva interessato P. Z., l'ordinanza si soffermava sui presupposti giuridici della sospensione della pena per motivi di grave infermita' fisica e dava atto di quella consolidata giurisprudenza di legittimita' in base alla quale «ai fini dell'accoglimento di un'istanza di differimento facoltativo dell'esecuzione della pena detentiva per gravi motivi di salute, ai sensi dell'art. 147, comma primo, n. 2, del codice penale non e' necessaria un'incompatibilita' assoluta tra la patologia e lo stato di detenzione, ma occorre pur sempre che l'infermita' o la malattia siano tali da comportare un serio pericolo di vita, o da non poter assicurare la prestazione di adeguate cure mediche in ambito carcerario, o, ancora, da causare al detenuto sofferenze aggiuntive ed eccessive, in spregio al diritto alla salute e del senso di umanita' al quale deve essere improntato il trattamento penitenziario» (cosi, da ultimo e tra le tante, Cass., Sez. I, 17 maggio 2019, n. 27352). Veniva quindi illustrato che tali orientamenti apparivano conformi a un'interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente orientata dell'art. 147, comma primo, n. 2 del codice penale, volta a mettere in luce i principi di uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge senza distinzione di condizioni personali (art. 3 Cost.), di tutela della salute quale diritto fondamentale dell'individuo (art. 32 Cost.) e, infine, di divieto di trattamenti contrari al senso di umanita' (art. 27 Cost. e art. 3 CEDU). All'esito di un confronto tra storia clinica del paziente e testo normativo cosi' interpretato questo Tribunale reputava che nel caso di specie fossero integrati i presupposti dell'art. 147 n. 2 del codice penale e che P. Z. dovesse avere accesso al differimento della pena per grave infermita' fisica. Il detenuto, infatti, soffriva di una patologia grave e qualificata carcinoma papillifero di basso e focalmente alto grado della vescica - per la quale aveva subito un importante intervento chirurgico e un successivo ciclo di immunoterapia per instillazione endovescicale. Definita la gravita' della patologia, era anche rimasto provato che, a causa dell'emergenza pandemica legata a Sars-CoV-2, la cure «indifferibili» erano inattuabili nel circuito penitenziario, anche in regime di ricovero ex art. 11 dell'ordinamento penitenziario: il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria non aveva individuato alcun Istituto ove effettuare l'indifferibile follow-up diagnostico e terapeutico e la Direzione sanitaria aveva verificato l'impossibilita' di svolgere l'iter diagnostico-terapeutico all'interno delle strutture ospedaliere sarde. Non dare corso al differimento della pena, ad avviso del Tribunale, significava esporre il paziente al rischio di progressione di una malattia potenzialmente letale, in totale spregio dei diritti alla salute e a non subire un trattamento contrario al senso di umanita'. Dal punto di vista soggettivo, inoltre, gravava sul paziente un'incognita di vita o morte del tutto intollerabile e immeritata per ogni essere umano, una sofferenza aggiuntiva alla detenzione costituzionalmente e convenzionalmente non legittima. A questo argomento, nell'ordinanza del 23 aprile 2020, si aggiungeva un ulteriore profilo motivazionale, legato all'elevato rischio di complicanze in caso di contrazione dell'infezione virale Covid-19. P. Z., infatti, in quanto affetto da neoplasia attiva o in follow up, rientrava nel novero dei soggetti che, in base ai criteri contenuti nel protocollo del Presidio ospedaliero B. d V. (recepito dalla circolare del 21 marzo 2020 della Direzione generale Detenuti e Trattamento del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria), erano da ritenersi oggettivamente piu' vulnerabili davanti al Covid-19. Il Tribunale, effettuata la valutazione sanitaria, procedeva a un bilanciamento in concreto tra diritto alla salute del detenuto e interesse pubblico alla sicurezza. All'esito di detto bilanciamento, e a dimostrazione della decisione di differimento quale unico rimedio adottabile, venivano esposti i seguenti argomenti: 1) sussistenza di una patologia grave, non fronteggiabile con strumenti diagnostico-terapeutici in ambiente carcerario e, se non curata tempestivamente, tale da esporre la salute del detenuto a pericolo grave; 2) revoca della misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno ad opera del decreto della Corte di Appello di Napoli in data 22 gennaio 2015, nel quale e' dato leggere che «non puo' ritenersi che l'appartenenza dello Z. alla associazione camorristica, certamente attuale all'epoca del decreto emesso nell'anno 2004, fosse tale anche nell'anno 2011, atteso che, coerentemente con le premesse, il prolungato periodo di detenzione, posto in correlazione con la circostanza che il detenuto si costitui' spontaneamente in carcere e, nel corso del processo penale, rese confessione in ordine a gran parte dei reati contestati, condotta che rappresenta un inequivocabile sintomo di iniziale ravvedimento, inducono ad escludere la concreta operativita' della presunzione di perdurante pericolosita' al momento della formulazione del giudizio»; 3) pendenza di due procedimenti penali, ma per fatti risalenti a periodi coevi o antecedenti a quelli oggetto delle sentenze ricomprese nel cumulo in esecuzione; 4) comportamento processuale serbato dal detenuto nel procedimento camerale partecipato di sorveglianza, che evidenziava un interesse rivolto esclusivamente a soluzioni di cura, anche in ambito intramurario. Si rilevava, inoltre, che la pena residua da espiare era destinata a ridursi sensibilmente in ragione delle necessita' di ricomprendere, nel provvedimento di unificazione di pene concorrenti, l'ordinanza con la quale il Gup presso il Tribunale di Napoli in data 26 ottobre 2018 aveva riconosciuto, ai sensi dell'art. 671 del codice di procedura penale, il vincolo della continuazione tra quattro sentenze in esecuzione e rideterminato la pena complessiva di quelle sentenze in anni venti di reclusione. Il Tribunale aggiungeva che il differimento poteva essere concesso nelle forme della detenzione domiciliare, presso l'abitazione della moglie e dei figli ubicata nel paese di P., provincia di B. Le informazioni delle forze dell'ordine - Carabinieri del Comando Provinciale di B. e di C., Carabinieri della Stazione di P. - non evidenziavano controindicazioni. Sempre ai fini di un adeguato bilanciamento tra esigenze di cura e pericolosita' sociale, inoltre, veniva stabilito che la misura avesse la durata di mesi cinque, decisivi - sottolineava l'ordinanza - «per sapere gli esiti degli approfondimenti diagnostici» e «capire evoluzione della patologia e possibili cure». La detenzione domiciliare fu corredata poi da uno stringente regime di prescrizioni, ampliate con separato provvedimento del 29 aprile 2020, il quale, nello specificare il contenuto del divieto di non frequentare soggetti diversi dai conviventi, inibiva al detenuto domiciliare ogni comunicazione telefonica e informatica, fatte salve quelle con i presidi sanitari. Cosi' delineata la vicenda che ha condotto all'ordinanza ammissiva del 23 aprile 2020, occorre procedere all'esame dell'oggetto della procedura per la quale e' stata dapprima fissata udienza del 22 maggio 2020 e quindi, a seguito di rinvio per vizio di notifica dell'avviso, l'udienza odierna. Come noto, l'attuale procedimento e' stato instaurato ai sensi degli articoli 2 e 5 del decreto-legge 10 maggio 2020, n. 29, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale lo stesso 10 maggio ed entrato in vigore il giorno successivo. L'art. 2 del decreto in questione, per quel che qui interessa, dispone che quando i condannati e internati per i delitti di cui agli articoli 270, 270-bis, 416-bis del codice penale e 74, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, o per un delitto commesso avvalendosi delle condizioni o al fine di agevolare l'associazione mafiosa, o per un delitto commesso con finalita' di terrorismo ai sensi dell'art. 270-sexies del codice penale, nonche' i condannati e gli internati sottoposti al regime dell'art. 41-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, sono ammessi alla detenzione domiciliare o usufruiscono del differimento della pena per motivi connessi all'emergenza da Covid-19, il Magistrato o il Tribunale di Sorveglianza che ha adottato il provvedimento, acquisito il parere del Procuratore distrettuale antimafia del luogo in cui stato commesso il reato e del Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo per i condannati e internati gia' sottoposti al regime di cui al predetto art. 41-bis, valuta la permanenza dei motivi legati all'emergenza sanitaria entro il termine di quindici giorni dall'adozione del provvedimento e, successivamente, con cadenza mensile. La disposizione appena citata precisa che la valutazione e' effettuata immediatamente, anche prima della decorrenza dei termini sopra indicati, nel caso in cui il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria comunica la disponibilita' di strutture penitenziarie o di reparti di medicina protetta adeguati alle condizioni di salute del detenuto o dell'internato ammesso alla detenzione domiciliare o ad usufruire del differimento della pena. Sotto il profilo istruttorio (art. 2, comma 2) viene disposto che prima di provvedere l'autorita' giudiziaria sente l'autorita' sanitaria regionale, in persona del Presidente della Giunta della Regione, sulla situazione sanitaria locale e acquisisce dal Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria informazioni in ordine all'eventuale disponibilita' di strutture penitenziarie o di reparti di medicina protetta in cui il condannato o l'internato ammesso alla detenzione domiciliare o ad usufruire del differimento della po' riprendere la detenzione o l'internamento senza pregiudizio per le sue condizioni di salute. La decisione dell'autorita' giudiziaria e' assunta valutando se permangono i motivi che hanno giustificato l'adozione del provvedimento di ammissione alla detenzione domiciliare o al differimento di pena, nonche' la disponibilita' di altre strutture penitenziarie o di reparti di medicina protetta idonei ad evitare il pregiudizio per la salute del detenuto o dell'internato. Il provvedimento di revoca della detenzione domiciliare o del differimento della pena e' immediatamente esecutivo. La disciplina e' completata da una norma transitoria (art. 5), la quale, per quanto qui e' di interesse, impone che le disposizioni di cui all'art. 2 si applicano ai provvedimenti di ammissione alla detenzione domiciliare o di differimento della pena [...] adottati successivamente al 23 febbraio 2020. Per i provvedimenti gia' emessi alla data di entrata in vigore del presente decreto il termine di quindici giorni previsto dagli art. 2, comma 1, e 3, comma 1 - precisa la disposizione in questione - decorre dalla data di entrata in vigore del presente decreto. Proprio dalla disposizione transitoria appena menzionata scaturisce il presente procedimento. Questo Tribunale, al fine di rispettare il termine di quindici giorni dalla data di entrata in vigore del decreto-legge n. 29/2020, ha provveduto lo stesso 11 maggio 2020 alla fissazione di udienza camerale per la data del 22 maggio 2020, facendone dare avviso alla parti; un vizio di notifica del decreto al detenuto - come meglio argomentato nell'ordinanza 22 maggio 2020, da intendersi qui integralmente richiamata - ha quindi imposto il rinvio all'odierna udienza. Va osservato che lo stesso giorno di entrata in vigore del decreto-legge 29/2020, l'11 maggio 2020, il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ha inviato comunicazione - pervenuta a questo Tribunale in data 12 maggio 2020 - in ordine alla disponibilita' del reparto di medicina protetta dell'Ospedale B. d. V. Nella comunicazione, effettuata di iniziativa ai sensi dell'art. 2 del decreto-legge n. 29/2020, si da' atto che «con ordinanza di codesto Tribunale del 23 aprile 2020 il sig. P. Z., nato a. il., e' stato ammesso alla detenzione domiciliare sino al 22 settembre 2020, che «nella motivazione vi e' riferimento all'emergenza sanitaria Covid-19» e che il reparto di medicina protetta individuato e' da ritenersi «struttura adeguata al trattamento delle patologie del malato, come da certificazione sanitaria allegata». Instaurato il procedimento, il Tribunale ha proceduto all'istruttoria di rito prevista dal decreto-legge n. 29/2020 e ha acquisito agli atti i pareri del Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, pervenuto il 14 maggio 2020, e del Procuratore distrettuale antimafia del luogo in cui e' stato commesso il reato, pervenuto il 15 maggio 2020. Entrambe le note informative dei Procuratori, dopo aver svolto considerazioni in ordine all'attuale pericolosita' di P. Z., hanno espresso parere contrario alla protrazione della detenzione domiciliare, evidenziando soprattutto come il clan di appartenenza di Z. sia ancora attivo. Nei medesimi pareri, inoltre, si legge della preferibilita' di una soluzione che veda il reingresso di P. Z. nel reparto di medicina protetta della ASST SS P e C. di M., afferente alla Casa di Reclusione di M. - O. La disponibilita' di quest'ulteriore struttura, nel frattempo, e' stata comunicata dal Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria con nota del 15 maggio 2020, pervenuta e acquisita agli atti il successivo 16 maggio 2020. L'istruttoria e' stata completata mediante acquisizione della nota del Presidente della regione Sardegna sulla situazione sanitaria locale (pervenuta il 26 maggio 2020), nella quale e' dato leggere che «l'indice Rt (erre con t) regionale, che descrive il tasso di trasmissibilita' del virus Covid-19 dopo l'applicazione delle misure atte a contenere il diffondersi della malattia, e' attualmente pari a 0,24 e pertanto entro il valore soglia di 0,5 che garantisce il permanere della Regione nella cosi' detta Fase 2« e che «alla luce di tale risultato, ai sensi dell'Ordinanza del Presidente della regione n. 23 del 17 maggio 2020, a decorrere dal 18 maggio 2020 cessando di avere effetto tutte le misure limitative della circolazione all'interno del territorio regionale». E' stata inoltre acquisita la documentazione medica essenziale inerente al follow up diagnostico-terapeutico posto in essere sinora da P. Z. nel corso della misura domiciliare: visita urologica del 4 maggio 2020 nella struttura ospedaliera gia' indicata in sede di procedimento principale mediante allegazione del foglio di prenotazione; tomografia assiale computerizzata (TC) total body del 26 maggio 2020; ricovero nella medesima struttura ospedaliera, tra il 29 e il 31 maggio 2020, per effettuazione dell'operazione di resezione endoscopica bioptica. Il quadro degli elementi utili alla decisione e' completato da una relazione dei Carabinieri della Stazione delegata alla vigilanza e da ulteriori informazioni, sempre ad opera delle medesime forze dell'ordine, nelle quali si evidenzia che il 1° giugno 2020 si e' reso necessario un ulteriore ricovero del detenuto domiciliare. Agli atti, inoltre, e' presente il provvedimento di cumulo della Procura Generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Napoli che, dando atto della continuazione riconosciuta con ordinanza del GIP presso il Tribunale di Napoli in data 23 ottobre 2018, ridetermina la pena in anni venti di reclusione. L'attuale fine pena, pertanto, si colloca attualmente alla data del 18 agosto 2023. Cosi' delineato il quadro istruttorio, va rilevato che la difesa di P. Z. ha depositato approfondite memorie nelle quali, oltre ad allegare specifici elementi in ordine all'insussistenza nell'attualita' della pericolosita' del detenuto, ha dedotto, ai sensi dell'art. 23, comma 1, legge n. 87/1953, questione di legittimita' costituzionale in riferimento alle disposizione di legge degli articoli 1, 2 e 5 del decreto-legge n. 29/2020 per violazione degli articoli 3, 13, 25, comma 2, 27, comma 3, 32, 77, 101, 104 e 117 della Costituzione (quest'ultimo in relazione agli articoli 3 e 7 CEDU). Questo Tribunale, per le ragioni e con le precisazioni che seguono, ritiene rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dedotta dalla difesa in relazione agli articoli 2 e 5 del decreto-legge n. 29/2020 per violazione degli articoli 3, 27, comma 3, 32, 102, comma 1, 104, comma 1, della Costituzione, ritenendo assorbiti ulteriori profili. Al fine di meglio delineare i profili di rilevanza della questione occorre dar conto dell'applicabilita' delle disposizioni degli articoli 2 e 5 del decreto-legge n. 29/2020 alla detenzione domiciliare c.d. umanitaria concessa a P. Z. con ordinanza del 23 aprile 2020. Come gia' si e' avuto modo di osservare nel ripercorrere il testo di legge, i presupposti di applicazione del decreto-legge sono due: uno di carattere oggettivo e uno di carattere soggettivo. Occorre, infatti, da un lato essere stati ammessi alla detenzione domiciliare o usufruire del differimento della pena per motivi connessi all'emergenza da Covid-19 e, sotto il versante soggettivo, essere stati condannati o internati per uno dei delitti indicati nel primo comma dell'art. 2 - sostanzialmente delitti associativi di criminalita' organizzata o di terrorismo o finalizzati all'agevolazione di associazione di tipo mafioso o, ancora, commessi con finalita' di terrorismo - o essere comunque sottoposti al regime differenziato di cui all'art. 41-bis dell'ordinamento penitenziario. A tale duplice presupposto la norma transitoria di cui all'art. 5 del decreto-legge n. 29/2020 aggiunge un requisito temporale. La disciplina dettata dall'art. 2, infatti, si applica anche ai provvedimenti di ammissione alla detenzione domiciliare o di differimento della pena adottati successivamente al 23 febbraio 2020. Nella vicenda che qui occupa il presupposto soggettivo e il requisito temporale sono senza dubbio integrati. P. Z., infatti, ha riportato condanna per delitti di cui all'art. 416-bis del codice penale - in quanto elemento di vertice dell'organizzazione di tipo mafioso nota come clan dei Casalesi - e, inoltre, al momento del differimento della pena, era sottoposto al regime di cui all'art. 41-bis dell'ordinamento penitenziario Inoltre, il provvedimento di differimento della pena nelle forme della detenzione domiciliare c.d. umanitaria risale al 23 aprile 2020 e rientra appieno nell'orizzonte temporale coperto dalla norma transitoria. Ad avviso di questo Tribunale, inoltre, nel caso concreto ricorre anche il profilo oggettivo inerente ai motivi che hanno determinato la detenzione domiciliare, in quanto connessi all'emergenza da Covid-19, sia pure per le ragioni che di seguito verranno precisate e che non sono neutre rispetto alla proposizione della questione di costituzionalita'. Nella vicenda che ha condotto alla detenzione domiciliare di Z., infatti, l'emergenza da Covid-19 viene in rilievo, in un secondo momento, non quale causa della scarcerazione in ragione della maggiore vulnerabilita' del paziente in caso di eventuale contrazione della malattia, ma principalmente quale fattore impeditivo della cura in ambito intramurario di una patologia tumorale: una neoplasia vescicale, classificabile come carcinoma papillifero di basso e focalmente alto grado, del tutto irrelata e in nessun modo riconducibile al virus Sars-CoV-2. Sia la neoplasia sia le successive cure hanno inciso in maniera autonoma e grave sulle condizioni di salute di Z. ancor prima della diffusione della pandemia, tanto che, in data 31 gennaio 2020, l'Ufficio di Sorveglianza di Sassari aveva emesso un decreto - successivamente acquisito agli atti del procedimento concluso con l'ammissione alla detenzione domiciliare - nel quale veniva rigettata la domanda di differimento provvisorio della pena ai sensi dell'art. 684, comma 2, del codice di procedura penale, ma veniva contestualmente disposta «la comunicazione del presente provvedimento al DAP-Roma per quanto di competenza in ordine alla valutazione di un eventuale trasferimento del detenuto in un Istituto dotato di idoneo centro clinico per le cure e terapie antitumorali che lo stesso ha in corso e che determinano rilevanti effetti collaterali». Cio' detto, comunque, la pandemia ha assunto rilevanza quale motivo che - unitamente alla mancata individuazione di un istituto penitenziario dotato di centro clinico o prossimo a struttura ospedaliera idonea - ha determinato l'impossibilita' di curare la patologia del paziente in ambito intramurario, sia pure in regime di ricovero in luogo esterno di cura i sensi dell'art. 11 dell'ordinamento penitenziario. I presidi sanitari territoriali sardi, infatti, erano stati adibiti a centri Covid e questa circostanza ha provocato l'inattuabilita' degli «indifferibili» interventi diagnostici e terapeutici. Sul punto, un passaggio motivazionale dell'ordinanza di ammissione alla detenzione domiciliare e' chiaro: «definita la gravita' della patologia, e' anche indiscutibile che la stessa sia tale da esigere cure inattuabili nel circuito penitenziario, anche in regime di ricovero ex art. 11 dell'ordinamento penitenziario, a causa dell'emergenza pandemica legata a Sars-Cov-19». Come sopra evidenziato, inoltre, il Tribunale ha ritento che Z. a causa della sua patologia, fosse esposto a pericoli maggiori in caso di contrazione della malattia Covid-19. Non vi e' dubbio, pertanto, che l'ammissione alla detenzione domiciliare sia stata determinata anche da motivi connessi all'emergenza da Covid-19 e che il presupposto oggettivo di applicazione degli articoli 2 e 5 del decreto-legge n. 29/2020 sia integrato. La rivalutazione dei presupposti di ammissione alla misura, pertanto, deve essere posta in essere, anziche' nell'imminenza dello scadere del termine previsto da questo Tribunale - cinque mesi, con termine il 22 settembre 2020 - secondo le stringenti scansioni temporali previste dagli articoli 2 e 5 del decreto medesimo: quindici giorni dall'entrata in vigore del decreto-legge e poi con cadenza mensile. Va poi messo in rilievo che il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, di sua iniziativa, ha preso atto del riferimento all'emergenza a Covid-19 contenuta nell'ordinanza del 23 aprile 2020 e ha individuato autonomamente (gia' l'11 maggio 2020, lo stesso giorno dell'entrata in vigore delle disposizioni richiamate) la disponibilita' del reparto di medicina protetta dell'Ospedale B. d V. La comunicazione di disponibilita' ad opera del Dipartimento, pertanto, impone che ,ai sensi dell'art. 2 del decreto la permanenza dei motivi legati all'emergenza Covid-19 sia effettuata immediatamente e prima della decorrenza dei termini sopra indicati, salvo la compatibilita' con i termini del procedimento camerale disciplinato dalle nonne del codice di rito (articoli 666, 678 del codice di procedura penale) non derogate sul punto. I presupposti del provvedimento di detenzione domiciliare di P. Z., pertanto, sono soggetti alle frequenti e reiterate rivalutazioni imposte dalla legge, anziche' al controllo previsto, su domanda dell'interessato, alla scadenza del termine previsto dal provvedimento medesimo o ai controlli che in itinere si dovessero rendere necessari solo in caso di violazione delle prescrizioni. Tali frequenti rivalutazioni, inoltre, dovranno svolgersi non solo entro il confine temporale, ma anche entro il circoscritto perimetro istruttorio delineato dall'art. 2 del decreto-legge n. 29/2020. Allo stato, infatti, le emergenze istruttorie previste dal decreto-legge in questione (pareri dei menzionati organi inquirenti, comunicazioni Dap e informazioni dell'autorita' sanitaria locale) non ostano al ripristino della detenzione carceraria. Questo Tribunale, pertanto, reputa che il presente giudizio non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimita' che investe, in riferimento ai parametri di cui agli articoli 3, 27, comma 3, 32, 102, comma 1 e 104, comma 1, Cost., gli articoli 2 e 5 del decreto-legge n. 29 del 2020. Tanto specificato in punto di rilevanza, per delineare la non manifesta infondatezza della questione di costituzionalita' appare necessario focalizzare l'attenzione sul quadro normativo e sui principi che hanno governato - almeno sino all'entrata in vigore del decreto-legge n. 29/2020 - la detenzione domiciliare surrogatoria del differimento dell'esecuzione della pena, vale a dire la misura adottata nella vicenda che qui occupa. La disciplina derivante dall'art. 147, comma 1, n. 2, codice penale e dall'art. 47-ter, comma 1-ter, dell'ordinamento penitenziario e' volta ad assicurare che la pretesa punitiva non entri mai in conflitto con il diritto fondamentale di ogni individuo alla salute (art. 32 Cost.) e a non subire trattamenti contrari al senso di umanita' (articoli 27, comma 3, Cost. e 3 CEDU). Come gia' si e' avuto modo di osservare nell'ordinanza in data 23 aprile 2020, la preminenza del diritto alla salute sulla esecuzione della pena, nei casi in cui questa collida in maniera irriducibile con il primo, non e' derogabile, neppure nell'ipotesi di assoggettamento del detenuto malato al regime differenziato di cui' all'art. 41-bis dell'ordinamento penitenziario. La tutela dell'integrita' psico-fisica delle persone detenute, dunque, non si affievolisce di fronte alle legittime esigenze repressive dello Stato e prescinde dal livello di risocializzazione raggiunta dal detenuto e dai suoi progressi trattamentali. La centralita' del «bene salute», garantita dalle norme costituzionali e convenzionali sopra citate, e' recepita da alcune nonne cardinali dell'ordinamento penitenziario, le quali hanno ad oggetto l'assistenza sanitaria e la disciplina dei servizi sanitari fruibili in carcere (art. 11 dell'ordinamento penitenziario), nonche' l'organizzazione della vita detentiva con riferimento alla salubrita' dell'ambiente, all'igiene personale, alla pulizia dei locali, alle ore da trascorrere all'aperto (articoli 5 e ss. dell'ordinamento penitenziario). Nonostante le cogenti prescrizioni in ordine alle prestazioni sanitarie erogabili all'interno degli istituti penitenziari, accade che, quando la patologia sia tale da avere importanti ripercussioni sulla vita e sulla dignita' della persona detenuta, ad essere incompatibile con la tutela del diritto alla salute e' lo stesso mantenimento della condizione detentiva, che esporrebbe il detenuto a un trattamento inumano e degradante in violazione dell'art. 27, comma 3, Cost. e 3 CEDU. In alcune delle ipotesi per le quali si rende necessaria la soluzione extramuraria e' lo stesso legislatore a farsi carico del bilanciamento tra esigenze di sicurezza sociale correlate alla pericolosita' del soggetto e tutela del diritto alla salute, sancendo a livello di previsione generale e astratta la prevalenza di quest'ultima sulle prime. E' il caso, ad esempio, del differimento obbligatorio previsto nell'ipotesi in cui la pena detentiva deve aver luogo nei confronti di una persona affetta da una malattia particolarmente grave per effetto della quale le sue condizioni di salute risultano incompatibili con lo stato di detenzione, quando la persona si trova in uno stato della malattia cosi' avanzata da non rispondere piu', secondo le certificazioni del servizio sanitario penitenziario o esterno, ai trattamenti disponibili e alle terapie curative (art. 146, comma 1, n. 3, del codice penale). In altre circostanze, quando le patologie raggiungono un livello di gravita' minore, ma sono comunque tali da determinare condizioni di grave infermita' fisica (art. 147, comma 1, n. 2, del codice penale), il bilanciamento tra le contrapposte esigenze di tutela della salute e di sicurezza sociale e' rimesso al giudice ed e' subordinato al vaglio del concreto pericolo della commissione dei delitti da parte del detenuto affetto da infermita' (art. 147, ultimo comma, del codice penale). A questi istituti penalistici l'ordinamento penitenziario aggiunge la detenzione domiciliare c.d. in surroga di cui all'art. 47-ter, comma 1-ter, dell'ordinamento penitenziario La disposizione prevede che «quando potrebbe essere disposto il rinvio obbligatorio o facoltativo della esecuzione della pena ai sensi degli articoli 146 e 147 del codice penale, il Tribunale di Sorveglianza, anche se la pena supera il limite di cui al comma 1, puo' disporre l'applicazione della detenzione domiciliare, stabilendo un termine di durata di tale applicazione, termine che puo' essere prorogato». E' esattamente questa la misura applicata a P. Z. E' necessario ribadire, in questa sede, che ai fini dell'accoglimento di un'istanza di differimento facoltativo dell'esecuzione della pena detentiva per grave infermita' fisica, ai sensi dell'art. 147, comma 1, n. 2., del codice penale, non e' necessaria un'incompatibilita' assoluta tra la patologia e Io stato di detenzione, ma occorre pur sempre che l'infermita' o la malattia siano tali da comportare un serio pericolo di vita, o da non poter assicurare la prestazione di adeguate cure mediche in ambito carcerario, o, ancora, da causare al detenuto sofferenze aggiuntive ed eccessive, in spregio al diritto alla salute e del senso di umanita' al quale deve essere improntato il trattamento penitenziario (cosi', da ultimo e tra le tante, Cass., Sez. I, 17 maggio 2019, n. 27352). Nel caso di specie, per le ragioni sopra precisate, il sistema penitenziario non ha potuto garantire a P. Z. l'effettuazione di un adeguato percorso diagnostico-terapeutico a fronte di una patologia che, se non tempestivamente identificata e trattata, puo' condurre a esiti letali. Il Tribunale, dunque, effettuato un bilanciamento tra pericolosità-sociale residua ed esigenze di cura, ha ritenuto necessario disporre la misura contenitiva della detenzione domiciliare. La misura in questione si rivela uno strumento prezioso, che amplia il ventaglio delle risposte extramurarie nell'evenienza di seri problemi di salute dei detenuti e consente di' fuoriuscire dalla rigidita' di un'alternativa secca tra mantenimento della condizione detentiva e liberta' incondizionata correlata al rinvio dell'esecuzione. Come ha avuto modo di osservare la Corte costituzionale, nella pronuncia che ha consentito l'applicazione della detenzione in surroga anche ai casi di detenuti affetti da grave infermita' psichica, «l'istituto della detenzione domiciliare e' una misura che puo' essere modellata dal giudice in modo tale da salvaguardare il fondamentale diritto alla salute del detenuto, qualora esso sia incompatibile con la permanenza in carcere, e, contemporaneamente, le esigenze di difesa della collettivita'» (Corte cost. 99 del 2019). Questa opera di contemperamento tra diritto alla salute ed esigenze di difesa della collettivita' costituisce il proprium, l' «in se'» dell'attivita' giurisdizionale in materia di differimento della pena e di applicazione della detenzione domiciliare derogatoria. E' proprio in ragione di questo specifico contenuto discrezionale, involgente la tutela della liberta' personale e del diritto alla salute, che la Corte costituzionale (sentenza n. 114 del 1979) dichiaro' l'illegittimita' costituzionale dell'art. 589, comma quinto, del codice di procedura penale nella parte in cui - nel caso previsto dall'art. 147, comma 1, n. 2 del codice penale - attribuiva al Ministro il potere di sospendere l'esecuzione della pena, quando l'ordine di carcerazione del condannato era gia' stato eseguito. Alcuni passaggi di quella decisione meritano di essere riportati: «D'altra parte, qui si tratta di rinvio facoltativo dell'esecuzione della pena: agli organi giudiziari spetta pur sempre una competenza discrezionale, diversamente dalle altre ipotesi in cui, secondo il codice penale, detto rinvio e' obbligatorio. Il che implica che gli organi competenti sono chiamati non soltanto a verificare la presenza delle condizioni richieste dalla legge perche' sia sospesa l'esecuzione della pena, ma anche ad apprezzare opportunamente le ragioni giustificative della sospensione nella specie, la grave infermita' fisica dell'interessato - in rapporto ad altre considerazioni, le quali possono di volta in volta rilevare per il provvedimento da emettere». Di questo bilanciamento discrezionale tra ragioni della salute e ragioni della sicurezza fa parte anche l'apposizione di un termine finale sia al rinvio facoltativo sia alla detenzione domiciliare di cui all'art. 47-ter, comma 1-ter, dell'ordinamento penitenziario Se in riferimento alla misura domiciliare l'apposizione del termine e' espressamente previsto dalla disposizione di legge da ultimo richiamata - il tribunale di sorveglianza [...] puo' disporre l'applicazione della detenzione domiciliare, stabilendo un termine di durata di tale applicazione, termine che puo' essere prorogato -, in ordine all'istituto penalistico del rinvio facoltativo, in assenza di una espressa previsione legislativa al riguardo, e' stata la giurisprudenza stessa a ritenere «conforme al principio di ragionevolezza vincolare l'efficacia nel tempo di un provvedimento (che, per sua natura, non puo' essere indefinito) alla verificata persistenza della situazione di fatto che ne costituisce il presupposto» (in termini, Cass. Sez. I, 30 aprile 2001, n. 25928). Nel medesimo arresto si da' atto che, per essere legittima, la predeterminazione della data di caducazione del rinvio deve risultare «connessa alla durata della situazione ostativa all'esecuzione della pena». Nel caso di specie, infatti, la Corte di Cassazione censurava il provvedimento impugnato poiche' il termine apposto non si faceva carico di tale «connessione» ed anzi risultava «in contrasto con il riconoscimento della gravita' ed irreversibilita' delle condizioni cliniche del richiedente». Il termine apposto al rinvio e, per quel che qui interessa, alla detenzione domiciliare, dunque, e' intrinseco al provvedimento giurisdizionale e costituisce espressione del potere giurisdizionale di bilanciamento tra diritto alla salute e sicurezza sociale. Per quanto rilevato dalla giurisprudenza di legittimita' e' evidente che la scelta del termine, dovendosi plasmare sulle concrete esigenze di cura del paziente detenuto, e' una delle attivita' essenziali attraverso le quali l'autorita' giudiziaria, alla quale sola e' rimessa quella scelta, modella (Corte cost. 99 del 2019) l'istituto della detenzione domiciliare derogatoria. Questo Tribunale e' ben consapevole che l'apposizione del termine non deve indurre a trascurare che i provvedimenti di sorveglianza, nella generalita' dei casi, sono validi rebus sic stantibus, e, dunque, revocabili in caso di cambiamento dei presupposti che ne hanno legittimato l'adozione. E' altrettanto vero, tuttavia, che, sino all'intervento del decreto-legge n. 29/2020, il detenuto malato che aveva ottenuto un provvedimento di detenzione domiciliare in deroga poteva contare su un intervallo temporale circoscritto, definito e prorogabile, scelto dall'autorita' giudiziaria in ragione della continua evoluzione della sua patologia, delle sue condizioni di salute e delle esigenze di cura. All'interno di tale lasso temporale non vi era spazio per alcuna nuova valutazione ad opera dell'autorita' giudiziaria, salvo i casi di pericolo di commissione di delitti e di violazioni delle prescrizioni. In questa direzione, infatti, depongono sia il testo dell'ultimo comma dell'art. 147 del codice penale, in base al quale il provvedimento di cui al primo comma non puo' essere adottato o, se adottato, e' revocato se sussiste il concreto pericolo della commissione di delitti, sia, in riferimento alla detenzione domiciliare, la disposizione di cui all'art. 47-ter, comma 6, dell'ordinamento penitenziario, in base alla quale la detenzione domiciliare e' revocata se il comportamento del soggetto, contrario alla legge o alle prescrizioni dettate, appare incompatibile con la prosecuzione delle misure. In altri termini, sino ad oggi, una rivalutazione della persistenza delle ragioni del differimento e della detenzione domiciliare, da compiersi obbligatoriamente attraverso un'istruttoria concernente il comportamento dell'interessato in costanza di misura e le sue condizioni di salute, era consentita al tribunale di sorveglianza, ma poteva e doveva compiersi alla scadenza del termine individuato dalla autorita' giudiziaria in sede di concessione. Una conferma di questa conclusione arriva da un precedente di legittimita' sul punto, il quale affermava che «il provvedimento che concede il differimento possa e debba essere revocato qualora si accerti che siano cessate, per guarigione, quelle condizioni di grave infermita' che erano state alla base della concessione» (Cass. Sez. I, 16 febbraio 1995, n. 982). a vicenda che aveva dato causa a quella pronuncia riguardava la revoca di un provvedimento di differimento pena adottato nei confronti di persona affetta da cecita', la quale, in epoca successiva, non solo aveva ripreso una normale vita di relazione, ma aveva iniziato a dirigere un vasto traffico di stupefacenti. A ben vedere, dunque, la ragione determinante la revoca anticipata del provvedimento era collegata a un'ipotesi concreta di recidiva nel delitto, fattore legittimante la revoca ai sensi del richiamato ultimo comma dell'art. 147 del codice penale. Il quadro normativo appena delineato si e' modificato con l'entrata in vigore del decreto-legge n. 29/2020, il cui art. 1 introduce una modifica nell'art. 47-ter, comma 7, dell'ordinamento penitenziario Tale disposizione sanciva la revocabilita' di due ipotesi di detenzione domiciliare - quelle previste dai commi 1 e 1-bis del medesimo art. 47-ter - in caso del venir meno dei presupposti oggettivi che ne legittimavano l'adozione (limiti edittali della pena, eta' dei figli). In virtu' dell'art. 1 del decreto-legge n. 29/2020, alle due ipotesi di detenzione domiciliare di cui e' prevista la revoca per cessazione delle condizioni, si aggiunge la detenzione domiciliare in surroga del rinvio. Ad oggi, pertanto, anche in riferimento alla detenzione domiciliare surrogatoria sembra sia consentita una rivalutazione in ogni tempo del venir meno delle condizioni oggettive, di salute o di inattuabilita' delle cure in ambito penitenziario, che ne hanno determinato la concessione. Non pare dubbio che tale disposizione crei un pericolo di collisione con la disposizione che impone all'autorita' giudiziaria un termine, ma tale novum normativo non ricade nel fuoco della norma transitoria di cui all'art. 5 del decreto-legge n. 29/2020 e, pertanto, operera' soltanto per le detenzioni domiciliari concesse dalla data di entrata in vigore del decreto-legge. A diverso destino, viceversa, e' soggetta la disposizione di cui all'art. 2 del decreto in questione, che, per i differimenti della pena e le detenzioni domiciliari determinati da motivi connessi all'emergenza sanitaria da Covid-19 e nei confronti solo di alcune categorie di detenuti, impone che la rivalutazione avvenga immediatamente (in caso di comunicazione da parte del Dap di struttura penitenziaria o reparto di medicina protetta) e, comunque, entro quindici giorni dall'adozione del provvedimento e poi a cadenza mensile. Tale disposizione, in forza della norma transitoria, si applica ai provvedimenti adottati a decorrere dal 23 febbraio e i termini decorrono, anziche' dall'adozione del provvedimento, dalla data di entrata in vigore del provvedimento. Questo Tribunale dubita della legittimita' di tali disposizioni, di cui vede profili di contrasto con gli articoli 3, 27, comma 3, 32, 102, comma 1 e 104, comma 1 Cost. Per meglio esporre le questioni si procedera' a trattarle in ordine logico. Il primo profilo di dubbio sulla legittimita' costituzionale, non manifestamente infondato, si reputa sussistere per il contrasto delle disposizioni di cui agli articoli 2 e 5 del decreto-legge in questione con gli articoli 102, comma l, 104, comma 1, Cost. L'obbligo di rivalutazione della detenzione domiciliare secondo la scansione predetta - immediatamente, entro quindici giorni e poi a cadenza mensile -, ad avviso di questo Tribunale, invade la sfera di competenza riservata all'autorita' giudiziaria e viola il principio di separazione dei poteri, tanto piu' in quanto applicata retroattivamente ai provvedimenti gia' adottati a decorrere dal 23 febbraio 2020. Per quanto sopra argomentato, infatti, l'apposizione da parte dell'autorita' giudiziaria del termine alla detenzione domiciliare in surroga (il discorso verra' limitato a tale istituto, essendo quello applicato al caso di specie) non rappresenta una mera condizione di efficacia del provvedimento, ma costituisce parte integrante e esplicitazione di quel potere discrezionale, proprio dell'autorita' giurisdizionale, attraverso il quale si adegua la misura alle concrete condizioni di salute e alle necessita' di cura del detenuto malato, nel rispetto della sicurezza della collettivita'. In quest'ottica, l'art. 47-ter, comma 1-ter, dell'ordinamento penitenziario riserva esclusivamente all'autorita' giudiziaria il potere di stabilire un termine di durata dell'applicazione della detenzione domiciliare. Si tratta, infatti, di un termine che, oltre che tener conto delle esigenze di sicurezza, deve essere calibrato sulle condizioni di salute, sull'evoluzione della patologia e sulle necessita' terapeutiche del destinatario del provvedimento. In questa direzione depone la giurisprudenza di legittimita' prima citata. Nel caso che qui occupa, la scelta del termine di durata di cinque mesi della detenzione domiciliare applicata a P. Z. come e' dato leggere nella motivazione dell'ordinanza in data 23 aprile 2020, e' intrinseca al bilanciamento stesso ed e' stata dosata sulle esigenze terapeutiche e sanitarie del paziente: «sempre in termini di bilanciamento, appare opportuno stabilire che il differimento abbia la durata, al momento, di mesi cinque. Appare decisivo, infatti, sapere gli esiti degli approfondimenti diagnostici per capire evoluzione della patologia e possibili cure». Orbene, l'imposizione di termini diversi rispetto a quello deciso da questo Tribunale - eventualmente modificabile soltanto attraverso il rimedio endoprocessuale di tipo impugnatorio -, frutto del combinato disposto degli articoli 2 e 5 del decreto-legge, sconfina nella sfera di competenza riservata all'autorita' giudiziaria per un molteplice ordine di ragioni. A venire in rilievo non sono tanto i profili inerenti all'imposizione di una riassunzione della decisione per una nuova delibazione o alla anticipazione della rivalutazione, quanto la circostanza che la nuova valutazione a ritmi serrati - immediatamente o nei quindici giorni, e comunque ben prima del termine fissato dal giudice - impedisce una verifica istruttoria completa delle condizioni di salute del paziente, dell'evoluzione della sua patologia e all'esito dell'intervento diagnostico-terapeutico. La giurisprudenza sul punto, del resto, appare univoca nell'affermare che «la revoca della misura alternativa in precedenza concessa nei casi in cui potrebbe essere disposto il rinvio obbligatorio o facoltativo dell'esecuzione della pena ai sensi degli articoli 146 e 147 del codice penale e' condizionata all'accertamento della persistenza delle pregresse precarie condizioni di salute per verificare nell'ambito di una valutazione comparativa (...) tra le esigenze di tutela della collettivita' e quelle del rispetto del principio di umanita' della pena - se la situazione attuale di salute dei soggetto sia compatibile con il ripristino della detenzione in carcere» (in questo senso, Cass. Sez. I, 7 giugno 2017, n. 55049, Cass., Sez. I, 9 gennaio 2010, n. 44579). Tale principio di necessaria approfondita investigazione delle condizioni di salute del paziente destinatario del differimento, in caso di revoca del differimento stesso, e' a tal punto inderogabile da aver indotto la giurisprudenza di legittimita' a precisare che «nel caso di una situazione di salute particolarmente grave e tale da giustificare la incompatibilita' con il regime carcerario non e' sufficiente la valutazione delle condotta del soggetto, pur se contraria alla legge, come previsto per la detenzione domiciliare ordinaria, dovendo invece essere sottoposte a valutazione e comparazione anche le condizioni sanitarie del soggetto, la cui salute puo' essere sacrificata soltanto in presenza di condotte altamente negative e del tutto incompatibili con una situazione diversa dalla detenzione in carcere» (Cass. Sez. F, 21 agosto 2008, n. 34286). L'impossibilita' di svolgere un accertamento a tutto tondo sulle condizioni di salute del destinatario del provvedimento di detenzione domiciliare in surroga del rinvio e', nel caso che qui occupa, lampante. A fronte delle concrete esigenze sottese all'individuazione di un termine di cinque mesi, la rivalutazione immediata della decisione non consente di avere contezza dell'evoluzione del quadro clinico di P. Z. Dalla documentazione sanitaria presentata dalla difesa, infatti, emerge - circostanza che vale anche in punto di rilevanza della questione - che il paziente, in ragione della diagnosticata «neoplasia vescicale BCG trattata», tra il 29 maggio e il 31 maggio 2020 e' stato sottoposto a una «resezione endoscopica bioptica» e che «il successivo iter diagnostico-terapeutico sara' deciso in base all'esito dell'esame istologico [...] disponibile tra circa venti giorni». I Carabinieri della Stazione di P., inoltre, danno atto che il 1° giugno 2020 il paziente e' stato nuovamente ricoverato e poi trattenuto presso l'Osservazione Breve del Pronto Soccorso dell'Ospedale di B. in attesa di ulteriori visite da effettuare in data 2 giugno 2020 per possibile ricovero dello stesso presso il reparto Oncologico (cfr. nota Carabinieri Stazione di P. pervenuta il 4 giugno 2020). Allo stato, pertanto, la valutazione sulla persistenza dei motivi che hanno legittimato la misura domiciliare rimarrebbe privata, in ragione della stringente scansione temporale delle rivalutazioni stabilita nel decreto, della possibilita' di conoscere appieno tutti gli elementi inerenti alle condizioni sanitarie del soggetto, imprescindibili ai fini della nuova comparazione e ai fine del vaglio di idoneita' delle strutture indicate dal Dap. In altri termini la discrezionalita' giurisdizionale, nel caso di specie, non ha possibilita' di dispiegarsi in tutta la sua pienezza, finendo per divenire puramente ricognitiva delle uniche emergenze istruttorie affiorate nel procedimento: la comunicazione del Dap in ordine alla disponibilita' delle strutture protette, i pareri dei Procuratori delle Direzioni Antimafia Distrettuale e Nazionale, favorevoli al ripristino della detenzione in carcere, le informazioni dell'autorita' sanitaria, in persona del Presidente della Regione, sulla situazione relativa allo stato dell'emergenza sanitaria da Covid-19 nel territorio regionale ove e' ubicato l'istituto penitenziario dal quale l'istante e' stato scarcerato. Un tale restringimento della sfera di competenza riservata alla giurisdizione non appare conforme al disposto degli articoli 102 e 104 della Costituzione, oltre che, come si avra' modo di vedere, ai principi di cui all'art. 32 Cost. Certo, questo tribunale ha ben presente che i termini stabiliti dall'art. 2 del decreto-legge n. 29/2020 sono privi di sanzione e, dunque, potrebbero essere classificati come meramente ordinatori e non perentori. Ma, a parte la contrarieta' di tale soluzione alla ratio legis acceleratoria della rivalutazione, l'opzione del rinvio del procedimento ai fini di ottenere una compiuta conoscenza dell'evoluzione del quadro diagnostico e terapeutico di P. Z. comporterebbe di fatto la disapplicazione del decreto-legge e la vanificazione dei termini apposti dal legislatore. Oltre a essere pregiudicato il primo termine di quindici giorni, verrebbe obliterata di fatto anche la successiva cadenza mensile. Non pare, nel caso di specie, che l'interpretazione conforme e sistematica possa spingersi sino all'adozione di soluzioni in radicale contrasto con la lettera della legge e anche con le sue ragioni ispiratrici, desumibili dall'analisi tecnico-normativa allegata al disegno di legge di conversione del decreto-legge 10 febbraio 2020, n. 29. In quest'ultimo documento - inserito nell'atto Senato n. 1799 - e' dato leggere che l'intervento normativa «mira ad assicurare, anche nell'attuale emergenza, la massima protezione della sicurezza dei cittadini. Sicurezza che deve poter essere garantita non solo colmando, come fatto con l'art. 1, lacune esistenti nel sistema normativo, ma anche consentendo il ripristino della detenzione carceraria nei confronti di condannati e degli internati per delitti gravissimi o sottoposti al regime di detenzione di cui all'art. 41-bis dell'O.P [...] qualora i motivi, connessi all'emergenza sanitaria da Covid-19, che hanno determinato la fuoriuscita di costoro dall'ambito carcerario siano cessati o siano stati individuati strutture penitenziarie o reparti di medicina protetta in grado di prestare le terapie e le cure necessarie alla salute dei singoli detenuti». La sostanziale obliterazione dei termini del procedimento, correlata alla necessita' di approfondimenti istruttori calibrati sull'evoluzione di salute del beneficiario, appare dunque inconciliabile con la struttura procedimentale ipotizzata dal legislatore, tesa a privilegiare il ripristino dello stato detentivo. Ulteriore indice sintomatico di questa inconciliabilita' e' rilevabile dalla disciplina delle emergenze probatorie stabilita dal medesimo art. 2. Ai ritmi serrati delle rivalutazioni periodiche, infatti, si' accompagna un'istruttoria del tutto priva di acquisizioni relative alle condizioni di salute del detenuto. Sotto questo specifico profilo, per il momento, e' sufficiente accennare - con riferimento alla disciplina e alla scansione delle rivalutazioni dettata dall'art. 2 per i magistrati e i tribunali di sorveglianza - che la mancata previsione di approfondimenti istruttori aventi ad oggetto le effettive condizioni di salute del detenuto non pare lacuna casuale. Una siffatta mancanza, infatti, risalta ancora di piu' se messa a confronto con l'analoga disciplina prevista dal successivo art. 3 del decreto-legge con riferimento ai giudici della cautela. La disposizione, riferita agli imputati, e' pressoche' identica a quella prevista per i condannati, se non per un significativo passaggio previsto dall'ultimo periodo del comma 2, in base al quale «quando non e' in grado di decidere allo stato degli atti, il giudice puo' disporre, anche d'ufficio e senza formalita', accertamenti in ordine alle condizioni di salute di salute dell'imputato o procedere a perizia, nelle forme di cui agli articoli 220 del codice di procedura penale, acquisendone gli esiti nei successivi quindici giorni». Tale norma di chiusura, tesa ad attribuire poteri istruttori d'ufficio e a derogare alla cadenza della rivisitazione temporale, non si ritrova nelle disposizione contenute nell'art. 2, omissione che induce a confermare la rigidita' delle scansioni dei controlli. Il perimetro temporale ristretto e la conseguente impossibilita' di un'adeguata istruttoria sulle condizioni di salute, pertanto, impediscono di mettere a frutto lo spiraglio letterale contenuto nel penultimo periodo dell'art. 2 del decreto, laddove si precisa che l'autorita' giudiziaria - il magistrato o il tribunale di sorveglianza - provvede valutando, oltre ai motivi legati all'emergenza sanitaria, la «disponibilita' di altre strutture penitenziarie o di reparti di medicina protetta idonei ad evitare il pregiudizio per la salute del detenuto o dell'internato». Nel caso di specie, ad esempio, l'idoneita' dei reparti di medicina protetta tempestivamente comunicati dal Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria avrebbe dovuto essere valutata da questo tribunale con riferimento all'intervento diagnostico che lo Stato non era riuscito ad assicurare in ambito penitenziario: TC e operazione di resezione a fini di prelievo bioptico. Ad oggi, tuttavia, tali accertamenti sono stati effettuati, ma il quadro clinico e' in attesa della definizione correlata agli esiti dell'esame istologico. Come detto, risulta che il detenuto sia stato nuovamente ricoverato. Allo stato, pertanto, non essendo stabilizzato il quadro clinico e diagnostico non appare possibile neppure valutare l'idoneita' delle strutture indicate ad evitare il pregiudizio per la salute del detenuto. D'altro canto, anche una decisione di conferma della detenzione domiciliare - in senso contrario alla quale depongono comunque i pareri delle Procure, la comunicazione di strutture penitenziarie da parte del Dap e il parere dell'autorita' sanitaria locale -, oltre a non apparire in linea con la ratio normativa, finirebbe per essere espressione di una discrezionalita' giurisdizionale altrettanto dimidiata, in quanto amputata della possibilita' di stabilire un nuovo termine congruo con le condizioni di salute del paziente, con l'evoluzione della patologia e con le necessita' terapeutiche del medesimo. Anche in questo caso, infatti, il provvedimento subirebbe lo stesso destino di instabilita' dell'ordinanza originaria e sarebbe esposto a una rivalutazione immediata, in caso di comunicazione da parte del Dap di una nuova struttura, o comunque a cadenza mensile. Non vi sarebbe, pertanto, la possibilita' di una riedizione a tutto tondo del potere giurisdizionale di bilanciamento e comparazione, in forza del quale e' possibile e doveroso stabilire un termine di durata parametrato alle condizioni di salute del detenuto. Gli aspetti di limitazione dell'autonomia di valutazione discrezionale in capo all'autorita' giurisdizionale appaiono tanto piu' gravi in quanto estesi dalla norma transitoria a provvedimenti che tale valutazione avevano compiuto e, come nel caso di specie, avevano previsto un intervallo temporale rigorosamente calibrato sulle esigenze di salute del paziente detenuto. In proposito va detto che e' noto a questo Tribunale l'orientamento della Corte costituzionale in tema di rapporto tra violazione della riserva giurisdizionale, desumibile dal combinato disposto degli articoli 102, comma 1 e 104, comma 1 Cost., e decisioni giurisdizionali valide rebus sic stantibus (Corte cost. 85 del 2013). In quell'occasione la Corte ha ribadito che, non venendo in questione l'intangibilita' di un giudicato, ogni significativo mutamento del quadro normativa e materiale di riferimento reintroduce «il dovere del giudice di valutare compiutamente l'intera situazione» e pone «le premesse perche' si verifichino fatti che dovranno essere valutati nuovamente dai giudici, ove aditi nelle forme rituali». Per quanto sopra argomentato, tuttavia, la disciplina che estende il procedimento dell'art. 2 ai provvedimenti adottati sin dal 23 febbraio 2020 - dunque anche al provvedimento adottato da questo Tribunale il 23 aprile 2020 - contiene aspetti che non si limitano soltanto a porre le premesse, normative e materiali, perche' scaturisca il dovere del giudice di «valutare compiutamente l'intera situazione». Quel che accade nella vicenda in questione, e' che il nuovo intervento del giudice - oltre a essere imposto in maniera anticipata rispetto al termine che era nella sola facolta' del Tribunale stabilire - e' di fatto spogliato, in ragione della scansione temporale delle valutazioni e della conseguente limitatezza del quadro istruttorio, proprio della possibilita' di «valutare compiutamente l'intera situazione». Come e' stato prima osservato, la disciplina normativa e la costante giurisprudenza ribadiscono che i provvedimenti di revoca della detenzione domiciliare in surroga del rinvio, sia obbligatorio sia facoltativo, devono essere sorretti e sostenuti da una adeguata valutazione delle attuali condizioni di salute del detenuto domiciliare e della loro compatibilita' con il ripristino della detenzione carceraria. Tale valutazione, preliminare al piu' volte ricordato bilanciamento tra esigenze di tutela della collettivita' e principio di umanita' della pena, non appare possibile nel caso di specie con quella «compiutezza» che deve invece caratterizzare l'intervento del giudice. Del resto, la stessa disciplina dettata dall'art. 1 del decreto-legge, che consentira' per il futuro la rivalutazione in ogni tempo della detenzione domiciliare surrogatoria per il venir meno dei presupposti che ne hanno legittimato l'adozione - ad esempio, il riacquistato stato di salute del detenuto domiciliare -, non impone termini di rivalutazione, lasciando cosi che l'autorita' giudiziaria sia adita o si attivi d'iniziativa, con pienezza di poteri istruttori, appena presa contezza del modificarsi dei presupposti. Quanto gia' esposto vale anche a chiarire, in parte, per quali motivi questo Tribunale dubiti della legittimita' costituzionale degli articoli 2 e 5 in riferimento ai parametri di cui agli articoli 32 Cost. e 27, comma 3, Cost. Come si e' avuto modo di dire, non sempre la tutela del diritto alla salute puo' realizzarsi in ambito intramurario. E' da questa constatazione, pertanto, che scaturisce la necessita' ordinamentale di istituti come il rinvio obbligatorio e facoltativo della pena e la detenzione domiciliare surrogatoria di quei rinvii, i quali mirano ad ampliare il ventaglio degli strumenti di tutela del diritto alla salute e di umanizzazione della risposta punitiva nel rispetto della sicurezza collettiva. Ancora una volta appare prezioso richiamare le parole della gia' menzionata sentenza n. 99 del 2019 della Corte costituzionale, proprio in materia di detenzione domiciliare surrogatoria. Nel constatare la mancanza di interventi legislativi idonee a garantire ai condannati affetti da patologie psichiche la cura della salute mentale senza elusione del trattamento punitivo, la Corte ha valorizzato l'istituto della detenzione domiciliare surrogatoria - quella, appunto di cui all'art. 47-ter, comma 1-ter, dell'ordinamento penitenziario - quale strumento idoneo a ripristinare «un adeguato bilanciamento tra le esigenze della sicurezza della collettivita' e la necessita' di garantire il diritto alla salute dei detenuti (art. 32 Cost.) e di assicurare che nessun condannato sia mai costretto a scontare la pena in condizioni contrarie al senso di umanita' (art. 27, terzo comma Cost.), meno che mai un detenuto malato». Questo equilibrio tra diritto alla salute e umanizzazione della pena da un lato ed esigenze di sicurezza della collettivita' dall'altro - sotteso alla detenzione domiciliare sostitutiva del rinvio in caso di grave infermita' fisica del detenuto e rispondente ai parametri costituzionali di tutela della salute del detenuto malato - appare messo a repentaglio dalla disciplina degli articoli 2 e 5 del decreto-legge n. 29/2020. Il regime di frequenti rivalutazioni sopra descritto, infatti, sostanzia di per se' una ipotutela del diritto alla salute, tanto piu' in quanto imposto retroattivamente a detenuti che, come nel caso di P. Z., potevano contare, per svolgere le cure, su di un termine deciso dal tribunale proprio in ragione delle loro esigenze terapeutiche. La frequentissima rivalutazione della sussistenza dei presupposti della detenzione domiciliare, peraltro caratterizzata da una marcata tensione al ripristino della detenzione, incide di per se' su entrambi i diritti costituzionali garantiti, tra loro strettamente connessi: salute e umanita' della pena. Il condannato malato, gia' ammesso a una misura domiciliare idonea a garantirgli il diritto di potersi curare per un certo intervallo temporale, viene improvvisamente a trovarsi sottoposto a una reiterata e continua verifica della permanenza dei presupposti della misura stessa. Una sorta di rivalutazione permanente, tale da obbligare l'autorita' giudiziaria, che dovesse constatare la persistenza dei presupposti idonei a mantenere la misura, ad avviare immediatamente gli adempimenti inerenti alla notifica della nuova udienza utile a rispettare la cadenza mensile o, addirittura, a notificare immediatamente al detenuto malato l'avviso di udienza in caso di comunicazione da parte del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria di struttura penitenziaria o di reparto di medicina protetta idonei. In questa situazione di costante sottoposizione a giudizio, dunque, e' difficile ipotizzare che possa essere realmente garantita la continuita' delle cure, nonche' la progettazione e la realizzazione di quel percorso diagnostico-terapeutico non effettuabile in ambito intramurario e per il quale il detenuto e' stato ammesso alla detenzione domiciliare. Al di la' del dato inerente ai ritmi serrati delle rivalutazione, tuttavia, ulteriore e importante profilo di violazione del diritto alla salute si coglie, come prima anticipato, nella disciplina istruttoria della procedura delineata dall'art. 2, nella quale e' assente ogni riferimento a una verifica delle condizioni di salute del detenuto malato. Come gia' sottolineato, le uniche acquisizione istruttorie previste dalla disposizione citata sono costituite dalla informativa dell'autorita' sanitaria locale, nella persona del Presidente della regione, dai pareri del Procuratore nazionale e distrettuale antimafia, dalla comunicazione del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria in ordine alla disponibilita' di strutture penitenziarie o reparti di medicina protetta idonei. In sostanza la norma in questione da' forma a un procedimento che consente il solo monitoraggio in ordine all'effettiva persistenza dei motivi legati all'emergenza sanitaria nel luogo ove era allocato l'istituto di appartenenza del detenuto al momento dell'ammissione alla detenzione domiciliare. Anche in questo caso, la finalizzazione della procedura stabilita dall'art. 2 del decreto in questione alla sola verifica della persistenza dell'emergenza sanitaria e' desumibile, oltre che dall'interpretazione letterale e sistematica delle norme, anche dalla lettura della relazione tecnica allegata al disegno di legge di conversione. Nel documento in questione, infatti, si legge che «solo l'effettiva persistenza di quelle condizioni di emergenza epidemiologica - che avevano inciso sull'apprezzamento, da parte del magistrato o del tribunale di sorveglianza, dell'impossibilita' della prosecuzione del regime carcerario -potranno giustificare il proseguimento del regime alternativo», ragione per la quale «vengono dettati precise regole e termini processuali». Oggetto del giudizio, dunque, e' la verifica della persistenza o meno delle condizioni di emergenza sanitaria, con pretermissione della valutazione delle condizioni di salute del detenuto. Del resto, si e' gia' anticipato che a tale risultato porta l'esegesi del testo, condotta sulla base di alcuni indici sintomatici piuttosto rilevanti. Del primo si e' gia' detto: attiene all'assenza, nell'art. 2, di una norma di chiusura quale quella esplicitata nel successivo art. 3 e in base alla quale, in caso di impossibilita' di decisione allo stato degli atti, il giudice puo' disporre accertamenti sulle condizioni di salute dell'imputato o disporre perizia. Accanto a tale significativa mancanza, si colloca un altro criterio utile a confermare la soluzione ermeneutica sopra descritta. L'art. 2 del decreto in questione sancisce che la rivalutazione del provvedimento di ammissione al differimento della pena o alla detenzione domiciliare per motivi connessi all'emergenza sanitaria e' effettuata dal magistrato o dal tribunale che ha adottato il provvedimento. Si tratta di una significativa deroga al criterio di competenza territoriale sancito dall'art. 677, comma 2, del codice di procedura penale, per il quale «quando l'interessato non e' detenuto o internato, la competenza, se la legge non dispone diversamente, appartiene al tribunale o al magistrato di sorveglianza che ha giurisdizione sul luogo in cui l'interessato ha la residenza o il domicilio». Alla base di tale criterio di individuazione del giudice naturale si collocano ragioni di prossimita', di vicinanza e tenuta epistemologica della prova e di miglior accessibilita' alla tutela giudiziaria. Ora, ferma restando la facolta' della legge di disporre diversamente, e' evidente che la diversa allocazione della competenza, nel caso di specie, e' senza dubbio dovuto al particolare oggetto del giudizio di rivalutazione cucito dall'art. 2 del decreto n. 29/2020, concernente la sola rivisitazione della sussistenza dell'emergenza epidemiologica, con esclusione di ogni verifica attualizzante delle condizioni di salute del detenuto. Soltanto in questo modo, infatti, puo' giustificarsi una deroga al criterio che attribuirebbe la competenza al giudice del luogo ove il condannato e' domiciliato per l'esecuzione della misura (nel caso di specie, Brescia); giudice che, quanto meno per il dovere di autorizzare gli spostamenti dal domicilio per motivi di salute e di verificare il rispetto delle prescrizioni, e' in grado di avere migliore contezza, oltre che del comportamento del detenuto domiciliare, anche delle condizioni di salute, del percorso terapeutico e dell'evoluzione della patologia. Cio' detto, tuttavia, il nostro ordinamento non ammette revoche di pene alternative alla detenzione, concesse per ragioni di salute, che non siano adottate sulla base di un'attenta ponderazione di quelle ragioni di salute. Come gia' accennato, i conformi orientamenti giurisprudenziali sul punto richiedono che la revoca della misura alternativa in precedenza concessa nei casi in cui potrebbe essere disposto il rinvio obbligatorio o facoltativo dell'esecuzione della pena ai sensi degli articoli 146 e 147 c.p. sia condizionata all'accertamento della persistenza delle pregresse precarie condizioni di salute. Soltanto in tal modo, infatti, si potra' pervenire, nell'ambito di una congrua valutazione comparativa tra le esigenze di tutela della collettivita' e quelle del rispetto del principio di umanita' della pena, a capire se il ripristino della condizione detentiva e' possibile senza ledere il diritto alla salute della persona, tutelato dall'art. 32 Cost. come, inderogabile. Deve porsi in eminente rilievo che, secondo un principio costantemente ribadito dalla Corte costituzionale, il «nucleo irriducibile del diritto alla salute e' protetto dalla Costituzione come ambito inviolabile della dignita' umana, il quale impone di impedire la costituzione di situazione prive di tutela, che possano pregiudicare l'attuazione di quel diritto» e dei trattamenti sanitari indispensabili per concretizzarlo (Corte cost. 309 del 1999 , 252 del 2001). La somma dei due tratti caratterizzanti del modello procedimentale dell'art. 2, vale a dire «precise regole» istruttorie e «termini processuali», al contrario, comporta che la valutazione indirizzata al ripristino del regime carcerario porti con se' un serio rischio di ledere quel nucleo irriducibile, anche nei suoi aspetti di diritto alla continuita' terapeutica - ormai recepito come elemento essenziale del diritto alla salute (Corte cost. 274 del 2014) -, al consenso informato, alla non interruzione dell'alleanza terapeutica e alla indispensabile salute psicologica. Tale costellazione di diritti e' ormai indissolubilmente legata all'orbita del diritto alla salute. Nel caso di specie, nonostante il Tribunale, nei limiti del possibile, abbia posto attenzione alla verifica delle condizioni di salute del paziente (grazie anche alle produzioni difensive), la suaccennata collisione con i parametri di cui all'art. 32 Cost. e' plasticamente dimostrata da quanto prima riferito in ordine alla storia clinica di P. Z. dopo l'ammissione alla detenzione domiciliare. Il detenuto, occorre ricordare, e' stato ammesso alla misura domiciliare poiche' nell'ambito del sistema penitenziario, sia pure esteso ai sensi dell'art. 11 dell'ordinamento penitenziario ai luoghi civili di cura, non gli era stato garantito un «indifferibile» (in questi termini la certificazione sanitaria) follow up diagnostico e terapeutico per il carcinoma vescicale che gli era stato riscontrato a dicembre 2019 e per il quale aveva iniziato una terapia di instillazioni endovescicali. Come detto, questo Tribunale, nell'esercizio di un potere discrezionale che la legge gli attribuisce in via esclusiva, ha apposto alla detenzione domiciliare il termine di cinque mesi, al fine di consentire una rivalutazione dei presupposti della misura che disponesse di tutte le informazioni in ordine all'evoluzione del quadro sanitario. Conformemente a tale indicazione il detenuto, una volta giunto nel domicilio, ha dato avvio all'iter diagnostico che in carcere non aveva potuto effettuare e che e' stato cosi' previsto dall'ospedale al quale il detenuto ha fatto riferimento: 4 maggio visita urologica (la prenotazione era gia' allegata al procedimento che ha dato luogo alla misura); 26 maggio, presso il medesimo ospedale, TC torace senza e con MDC e TC Addome completo senza e con MDC; 29/31 maggio ricovero per esecuzione di resezione trans uretrale bioptica. All'esito di tale percorso e' stato stabilito che «il successivo iter diagnostico-terapeutico sara' deciso in base all'esito dell'esame istologico... disponibile tra circa venti giorni» (cfr. certificato U.O. di Urologia 31 maggio 2020 in atti). Allo sviluppo della vicenda appena descritta si aggiunge che Z., a causa di un malore improvviso, il 1° giugno veniva prima trasportato presso il Nosocomio di M. e poi, verso le ore 16,30, «trasferito all'ospedale civile di B., dove, dopo essere stato visitato, veniva trattenuto presso l'Osservazione Breve del Pronto Soccorso in attesa di ulteriori visita da effettuare in data 2 giugno 2020 per possibile ricovero dello stesso presso il reparto Oncologico». Alla data dell'udienza il paziente risultava ancora ricoverato (cfr. informazioni Carabinieri Stazione di P. pervenute il 3 e il 4 giugno 2020). E' del tutto evidente, pertanto, quanto il frequente obbligo di rivalutazione introdotto dal decreto-legge n. 29/2020 - con il suo portato di notifiche, adempimenti burocratici, necessita' di interazione con la difesa - possa di per se' interferire con una serena e congrua attenzione alla progettazione e realizzazione del percorso terapeutico, che il detenuto ha avviato e intrapreso potendo contare, in assenza di violazioni delle prescrizioni, su un termine di cinque mesi. Altrettanto indubitabile pare che i termini processuali che questo Tribunale e' chiamato a rispettare, unitamente alle insuperabili lacune istruttorie di cui si e' detto, corrono il rischio di portare a una decisione di ripristino della detenzione in assenza di una corretta stima della compatibilita' delle condizioni di salute del detenuto con le condizioni detentive. Allo stato, infatti, non potendosi capire appieno ne' la consistenza della patologia ne' le ragioni dell'ultimo ricovero appare difficile appurare anche l'idoneita' dei reparti di medicina protetta individuati dal Dap, i quali avevano soltanto assicurato la possibilita' di eseguire in tempi congrui gli accertamenti diagnostici che il detenuto aveva programmato e poi svolto per suo conto. Su questo specifico punto preme rilevare quanto rimarcato anche da un fondamentale arresto della Corte Edu, nel quale si riepilogano i principi riconosciuti dalla giurisprudenza di Strasburgo in materia di tutela del diritto di salute delle persone detenute (Corte Edu Provenzano c. Italia, 25 ottobre 2018, definitiva il 25 gennaio 2019, ric. 55080/13). La Corte europea, infatti, e' univoca nel sottolineare (p. 128) che «il mero fatto che un detenuto sia visitato da un medico e gli sia prescritta una determinata, cura non puo' condurre automaticamente a concludere che l'assistenza medica era adeguata» e che e' invece necessario che «il controllo sia regolare e sistematico e riguardi una strategia terapeutica globale finalizzata a curare adeguatamente i problemi di salute o a prevenire il loro aggravamento, piuttosto che ad affrontarli su base sintomatica». Nella vicenda che occupa questo Tribunale, pertanto, l'unico effetto che in concreto si realizzerebbe, in ragione dell'applicazione degli articoli 2 e 5 del decreto, e' la certa interruzione di un percorso terapeutico in atto. In questo stessa direzione, del resto, sembrano muovere le osservazioni della Procura generale di Sassari (cfr. memoria udienza 4 giugno 2020), le quali, pur pervenendo a una valutazione di manifesta infondatezza delle questioni di costituzionalita' proposte dai difensori, da' atto che «deve affermarsi la revocabilita' dei differimenti concessi per grave stato di salute tutte le volte in cui si accerti la successiva guarigione del condannato o comunque la disponibilita' delle strutture penitenziarie a prendersi cura adeguatamente delle condizioni di salute del detenuto risponde a un principio generale dell'ordinamento in questa materia». Quel che nel caso di specie rileva, per quanto sopra illustrato, e' proprio l'impossibilita', per tempi e regole, di apprezzare quei presupposti: guarigione e idoneita' delle cure. A cio' si aggiunga che il detenuto ha correttamente rispettato le stringenti prescrizioni correlate alla misura in atto, unica circostanza che, in caso contrario, avrebbe ben potuto dare atto a sospensione e revoca della misura, con interruzione del termine. Per riassumere, dunque, si puo' affermare che nel provvedimento del tribunale di sorveglianza e' contenuto un bilanciamento tra salute e sicurezza e il termine di cinque mesi altro non rappresenta che il periodo accordato - salvo violazioni delle prescrizioni o inerzia nella cura - per garantire effettivita' ed equilibrio di quel bilanciamento. Una rivalutazione improvvisa con le caratteristiche suaccennate, prevalentemente indirizzata al ripristino della detenzione, comporta una violazione del diritto alla salute, garantito dai connessi diritti alla continuita' terapeutica e all'alleanza medico-paziente; diritti validi per ogni persona con la sola differenza, che, nel caso della persona in detenzione domiciliare, si collocano in un orizzonte temporale definito dall'autorita' giudiziaria. Valutato il dubbio sotto il profilo della violazione dell'art. 32 Cost., rimane da esaminare la questione alla luce del parametro di cui all'art. 3 Cost. Il contrasto con l'art. 3 Cost. - come gia' rilevato da Ufficio sorveglianza Spoleto, ord. 26 maggio 2020, che ha sollevato questione per analogo profilo - sembra apprezzarsi sotto il profilo soggettivo dei destinatari del frequente regime di rivalutazioni disciplinato dall'art. 2 e retroattivamente applicato in ragione dell'art. 5. Le norme citate, infatti, riguardano i provvedimenti ammissivi alla detenzione domiciliare o al differimento della pena, connessi a motivi di emergenza da Covid-19, soltanto quando riguardano condannati o internati per i delitti di cui agli articoli 270, 270-bis, 416-bis del codice penale e 74, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, o per un delitto commesso avvalendosi delle condizioni o al fine di agevolare l'associazione mafiosa, o per un delitto commesso con finalita' di terrorismo ai sensi dell'art. 270-sexies del codice penale, nonche' i condannati e gli internati sottoposti al regime dell'art. 41-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354. Sulla base di una presunzione di pericolosita', correlata soltanto al titolo di reato e al regime detentivo, si individua, all'interno della platea dei detenuti ammessi a provvedimenti umanitari in ragione dell'emergenza sanitaria, una categoria di detenuti destinataria di un procedimento di frequente rivalutazione marcatamente teso al ripristino della detenzione carceraria, non assistito dal pieno dispiegarsi del potere discrezionale dell'autorita' giudiziaria e non garantito sotto il profilo della tutela del diritto alla salute e all'umanita' della pena. I profili per cui si dubita della ragionevolezza di tale disparita' di trattamento, non correlata a una valutazione di minor incidenza dell'emergenza epidemiologica su tali soggetti, sono molteplici. Deve essere in primo luogo messo in risalto che la tipizzazione per titoli di reato e la configurazione di altrettanti tipi di autore (Corte cost. 306 del 1993) appare tanto piu' grave nella vicenda che qui occupa in quanto non entra in collisione con i principi di proporzione e di individualizzazione della pena e del trattamento penitenziario, ma con i diritti fondamentali alla salute e all'umanita' della pena. In altri termini, l'automatismo che si denuncia, basato su una presunzione assoluta di pericolosita', non determina una compressione della finalita' rieducativa della pena, ma una ipotutela importante di diritti fondamentali. Non sembra che su questo terreno possa esservi alcuna differenza di trattamento che non sia il portato di una valutazione individualizzante dell'autorita' giudiziaria. Del resto, proprio in quest'ottica, e' pacifico - per dato normativo e costante interpretazione giurisprudenziale - che siano esclusi, dal novero delle misure cui si applicano le preclusioni di cui all'art. 4-bis dell'ordinamento penitenziario, tutti gli istituti nei quali a venire in gioco sono proprio le esigenze di salute dei detenuti e il principio di umanizzazione della pena. Sono infatti sottratti al perimetro applicativo delle limitazioni di cui al comma 1 dell'art. 4-bis dell'ordinamento penitenziario la sospensione dell'esecuzione della pena ai sensi degli articoli 146 e 147 del codice penale, la detenzione domiciliare di cui all'art. 47-ter, comma 1-ter, dell'ordinamento penitenziario, ma anche i permessi di necessita' ex art. 30 dell'ordinamento penitenziario, l'affidamento in prova terapeutico ai sensi dell'art. 94 del decreto del Presidente della Repubblica n. 309/90, le misure alternative concedibili ai soggetti affetti da AIDS conclamata o da grave immunodeficienza acquisita e, all'esito della pronuncia della Corte costituzionale n. 239 del 2014, la detenzione domiciliare speciale ex art. 47-quinquies dell'ordinamento penitenziario e quella di cui all'art. 47-ter, comma 1, lett. a) e b), dell'ordinamento penitenziario. Nel caso di specie l'automatica applicazione del rito ai soli tipi di autore e di detenuti individuati dall'art. 2, tra cui l'odierno detenuto domiciliare, preclude soltanto per questi un vaglio essenziale, approfondito e individualizzato dell'attualita' delle condizioni di salute e della loro compatibilita' con il ripristino della condizione carceraria. Si tratta, per come sopra specificato, di un vaglio necessario per pervenire a un corretto bilanciamento tra esigenze di sicurezza della collettivita' e tutela del diritto alla salute e all'umanizzazione della pena. Occorre aggiungere, peraltro, che l'automatismo dell'art. 2, per il quale solo alcune categorie di condannati rientrano nel novero di applicazione della procedura di revisione a intervalli frequenti, assume un contenuto di maggior preoccupazione in virtu' della disposizione transitoria di cui all'art. 5, che impone che le disposizioni di cui all'art. 2 si applicano ai provvedimenti adottati a decorrere dal 23 febbraio 2020. In quest'ordine di ragionamenti, infatti, si rileva che la presunzione di pericolosita' non agisce solo come fattore impeditivo per il futuro di valutazioni individualizzanti, ma si sovrappone e travalica bilanciamenti individualizzati gia' effettuati dai Tribunali. Caratteristica peculiare della disciplina transitoria in questione, infatti, e' quella di rivitalizzare una presunzione di pericolosita' sociale - tale da imporre il mancato rispetto del termine del tribunale, frequenti rivalutazioni e restringimenti dell'ambito di esplicazione del potere discrezionale - gia' superata dall'autorita' giudiziaria in sede di concessione della misure umanitaria. La vicenda concernente la concessione della detenzione domiciliare a P. Z. offre una rappresentazione di quanto accade. Il Tribunale, nell'esercizio dei suoi poteri discrezionali, aveva compiuto un bilanciamento tra ragioni di sicurezza e diritto del detenuto a effettuare cure in ambito intramurario basato su elementi individualizzanti (gravita' della patologia, entita' residua della pena da, espiare, revoca della misura di sicurezza per cessata pericolosita', idoneita' del domicilio, stringente regime di prescrizioni). Il portato di questo bilanciamento in concreto era costituito non soltanto dall'ammissione alla detenzione domiciliare derogatoria, ma dall'applicazione di un termine di durata specifico di tale pena alternativa. Ora, in ragione della riedizione normativa di una presunzione astratta, il paziente si trova esposto a un regime di rivalutazioni che, per quanto detto, oltre a non essere rispettoso del termine, contiene, ad avviso di questo Tribunale, preoccupanti aspetti di limitazione della sfera di competenza dell'autorita' giudiziaria e una riduzione di tutela dei diritti fondamentali alla salute e all'umanita' della pena. Ad avviso di questo Tribunale, dunque, sussiste contrasto dell'art. 2 del decreto-legge n. 29 del 10 maggio 2020, per come sin qui argomentato, con gli articoli 3, 27, comma 3, 32, 102, comma 1 e 104, comma l, Cost., nella parte in cui prevede che la rivalutazione della permanenza dei motivi legati all'emergenza sanitaria sia effettuata entro il temine di quindici giorni dall'adozione del provvedimento e, successivamente, con cadenza mensile e, ancora, immediatamente nel caso in cui il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria comunica la disponibilita' di strutture penitenziarie o di reparti di medicina protetta. Allo stesso modo questo Tribunale reputa che il contrasto con i succitati parametri costituzionali si manifesti nell'art. 5 del medesimo decreto-legge, nella parte in cui prevede che le disposizioni di cui all'art. 2 si applicano ai provvedimenti di ammissione alla detenzione domiciliare o di differimento della pena adottati successivamente al 23 febbraio 2020.
P. Q. M. Visti gli articoli 134 Cost. e 23 e ss. legge 11 marzo 1953, n. 87: dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2 del decreto-legge 10 maggio 2020, n. 29, nella parte in cui prevede che la rivalutazione della permanenza dei motivi legati all'emergenza sanitaria sia effettuata entro il termine di quindici giorni dall'adozione del provvedimento e, successivamente, con cadenza mensile e, ancora, immediatamente nel caso in cui il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria comunica la disponibilita' di strutture penitenziarie o di reparti di medicina protetta, per violazione degli articoli 3, 27, comma 3, 32, 102, comma 1 e 104, comma 1, Cost.; dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 5 del decreto-legge 10 maggio 2020, n. 29, nella parte in cui prevede che le disposizioni di cui all'art. 2 si applicano ai provvedimenti di ammissione alla detenzione domiciliare o di differimento della pena adottati successivamente al 23 febbraio 2020, per violazione degli articoli 3, 27, comma 3, 102, comma 1, e 104, comma l, Cost.; dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; sospende il procedimento in corso sino all'esito del giudizio incidentale di legittimita' costituzionale; ordina che a cura della Cancelleria la presente ordinanza di trasmissione degli atti sia notificata alle parti in causa, comunicata al pubblico ministero; dispone che la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri e sia comunicata ai Presidenti di Camera e Senato; manda alla Cancelleria per la cura degli adempimenti. Sassari, 4 giugno 2020 Il Presidente: Aurelia Soro Il Magistrato di sorveglianza est.: De Vito