N. 99 ORDINANZA (Atto di promovimento) 29 aprile 2020

Ordinanza  del  29  aprile  2020  della  Corte  di   cassazione   nel
procedimento civile promosso da Ministero dell'interno e Sindaco  del
Comune di V. n.q. di Ufficiale del Governo c/F.P., B.F. in proprio  e
quali genitori di B.F.P.. 
 
Stato civile - Filiazione -  Procreazione  medicalmente  assistita  -
  Riconoscimento di sentenze  straniere  -  Intrascrivibilita'  degli
  atti formati all'estero contrari all'ordine pubblico -  Divieto  di
  surrogazione  di  maternita'  -  Preclusione,   secondo   l'attuale
  conformazione   del    diritto    vivente,    del    riconoscimento
  dell'efficacia   del   provvedimento   giurisdizionale    straniero
  attestante il legame di filiazione dal  genitore  intenzionale  non
  biologico, legato al genitore  biologico  da  matrimonio  celebrato
  all'estero, di un minore nato, all'estero, con le  modalita'  della
  gestazione per altri (cosiddetta "maternita' surrogata"). 
- Legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme  in  materia  di  procreazione
  medicalmente assistita), art. 12, comma 6; decreto  del  Presidente
  della Repubblica 3  novembre  2000,  n.  396  (Regolamento  per  la
  revisione e la semplificazione dell'ordinamento dello stato civile,
  a norma dell'art. 2, comma 12, della legge 15 maggio 1997, n. 127),
  art. 18; legge 31 maggio 1995, n. 218 (Riforma del sistema italiano
  di diritto internazionale privato), art. 64, comma 1, lettera g). 
(GU n.35 del 26-8-2020 )
 
                   LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE 
 
 
                        Prima Sezione Civile 
 
    Composta dagli ill.mi sigg.ri magistrati 
        Giacinto Bisogni - Presidente; 
        Giulia Iofrida - consigliere; 
        Rosario Caiazzo - consigliere - rel.; 
        Laura Scalia - consigliere; 
        Andrea Fidanzia - consigliere. 
    Ordinanza  interlocutoria  sul  ricorso  n.  30401/2018  proposto
da Ministero dell'interno,  in  persona  del  Ministro  pro  tempore;
sindaco del Comune di V. nella qualita'  di  Ufficiale  del  Governo,
elett.te domiciliati in Roma, alla via dei Portoghesi n.  12,  presso
l'Avvocatura generale dello Stato, che li  rappresenta  e  difende  -
ricorrenti; 
    Contro F. P., B. F., in proprio e quali genitori del minore B. F.
P., elett.te domiciliati presso l'avv. Alexander Schuster,  il  quale
li  rappresenta  e  difende,  con  procura  speciale  in   calce   al
controricorso e ricorso incidentale - controricorrenti; 
    Contro procuratore generale presso la Corte di appello di Venezia
- intimato; 
    Nonche' F. P., B. F., in proprio e quali genitori del  minore  B.
F. P., elett.te domiciliati  presso  l'avv.  Alexander  Schuster,  il
quale li rappresenta e difende, con  procura  speciale  in  calce  al
controricorso e ricorso incidentale - ricorrenti incidentali; 
    Contro  Ministero  dell'interno,  in  persona  del  Ministro  pro
tempore, sindaco del Comune di V., nella qualita'  di  Ufficiale  del
Governo, elett.te domiciliati in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12,
presso l'Avvocatura  generale  dello  Stato,  che  li  rappresenta  e
difende - intimati; 
    Avverso  la  sentenza  n.  6775/2018  della  Corte  d'appello  di
Venezia, depositata il 16 luglio 2018; 
    Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza  del
5 dicembre 2019 dal cons., dott. Caiazzo Rosario; 
    Udito il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore
generale,  dott.ssa  Zeno  Immacolata  la  quale  ha   concluso   per
l'accoglimento del quarto motivo del  ricorso  principale  e  per  il
rigetto degli altri motivi e del ricorso incidentale; 
    Udito, per i ricorrenti, l'Avvocato dello  Stato  Ferrante  Wally
che ha chiesto l'accoglimento del ricorso principale; 
    Udito,  per  i   controricorrenti   e   ricorrenti   incidentali,
l'avvocato Schuster Alexander il quale  ha  chiesto  il  rigetto  del
ricorso principale e l'accoglimento del ricorso incidentale. 
 
                           Fatti di causa 
 
    I sigg.ri P. F. e F. B. hanno proposto ricorso  ex  art.  702-bis
del codice di procedura civile alla Corte di appello di V. a  seguito
del rifiuto loro opposto dall'ufficiale di stato civile del Comune di
V. di trascrivere l'atto di nascita del  minore  P.  B.  F.  nato  in
Canada il..., nel quale si attesta che il medesimo e' il  figlio  dei
ricorrenti. 
    Al riguardo,  i  ricorrenti,  cittadini  italiani,  coniugati  in
Canada, con matrimonio trascritto in Italia nei registro delle unioni
civili nel 2017, hanno allegato che:  il  bambino  era  nato  con  le
modalita'  tipiche  della  gestazione  per  altri  (cd.   «maternita'
surrogata»), essendo la fecondazione avvenuta tra un ovocita  di  una
donatrice anonima e i  gameti  di  P.  F.,  con  successivo  impianto
dell'embrione nell'utero di una diversa donna, non anonima, che aveva
portato a termine la gravidanza e partorito il  bambino;  al  momento
della nascita le  autorita'  canadesi  avevano  formato  un  atto  di
nascita nel quale era indicato, come unico genitore, P. F. mentre ne'
la donatrice dell'ovocita, ne'  la  cd.  «madre  gestazionale»  erano
dichiarate madri del minore. A seguito del ricorso presso la  Suprema
Corte della British Columbia, i ricorrenti avevano ottenuto, in  data
8 novembre 2017, una sentenza nella quale si dichiarava che  entrambi
erano genitori del minore con la conseguente  modifica  dell'atto  di
nascita. L'ufficiale di stato civile del Comune di  V.,  aveva  pero'
rifiutato la richiesta  avanzata  il...,  di  rettificare  l'atto  di
nascita, sia perche' gia' esisteva un atto di nascita trascritto, sia
per  l'assenza  di  dati  normativi  certi  e  di  precedenti   nella
giurisprudenza di legittimita' favorevoli alla richiesta. Pertanto, i
ricorrenti hanno chiesto, a norma dell'art. 67, legge 2 agosto  1995,
n. 218, l'esecutorieta' in Italia della sentenza emessa in Canada nel
2017, al fine di ottenere la trascrizione dell'atto  di  nascita  del
minore,  invocando  l'applicazione  del  combinato   disposto   degli
articoli  33,  65  e  66  legge  n.  218/1995,  e  rilevando  la  non
contrarieta' all'ordine pubblico della  suddetta  sentenza  canadese,
gia' passata in giudicato, e la liceita'  delle  condotte  che  hanno
determinato la nascita del bambino secondo le leggi del Paese in  cui
sono state poste in essere. 
    L'Avvocatura dello Stato si e'  costituita  per  il  sindaco  del
Comune di V.  e  per  il  Ministero  dell'interno,  sollevando  varie
eccezioni  preliminari  e  d'inammissibilita'   della   domanda   per
contrarieta' all'ordine pubblico; parimenti il pubblico ministero  e'
intervenuto opponendosi all'accoglimento del ricorso. 
    Con ordinanza del 16 luglio 2018, la Corte d'appello di  Venezia,
in accoglimento del ricorso, ha  accertato  che  la  sentenza  emessa
dalla Suprema Corte della British Columbia in data 8 settembre 2017 -
che aveva riconosciuto P. F. e F. B. quali genitori di P. B. F.  nato
il... a K... in Canada - possedeva i requisiti per il  riconoscimento
a norma dell'art. 67, legge n. 218/1995. 
    In  particolare,  la  Corte  territoriale  veneziana  nella   sua
motivazione  osserva  che:   va   preliminarmente   riconosciuta   la
legittimazione processuale del sindaco del Comune di V., nella  veste
di Ufficiale di Governo, e del Ministero dell'interno. Nel merito  la
circostanza che nel sistema delle fonti interne non sia  previsto  il
matrimonio tra soggetti dello stesso sesso,  e  quindi  che  non  sia
concesso di attribuire automaticamente ad entrambi la responsabilita'
genitoriale  del  minore   nato   dalla   procreazione   medicalmente
assistita, si risolve nell'evidenza di una diversita'  di  discipline
sostanziali, ma non  e'  di  per  se'  indice  dell'esistenza  di  un
principio   superiore   fondante   e   irrinunciabile    dell'assetto
costituzionale o dell'ordinamento dell'Unione europea. Nella  materia
in esame vige tra i diritti  fondamentali  la  tutela  del  superiore
interesse del minore in ambito interno e internazionale, come sancita
dalle  convenzioni  internazionali.  Nell'ambito  di  questa  assetto
l'ordine pubblico internazionale impone l'esigenza imprescindibile di
assicurare al minore la conservazione dello status  e  dei  mezzi  di
tutela di cui possa validamente giovarsi in  base  alla  legislazione
nazionale applicabile, in particolare del diritto  al  riconoscimento
dei legami familiari ed al  mantenimento  dei  rapporti  con  chi  ha
legalmente assunto il riferimento della responsabilita'  genitoriale.
Ne' puo' ricondursi all'ordine pubblico la previsione che  il  minore
debba  avere  genitori  di  sesso  diverso,  posto  che  nel   nostro
ordinamento e' contemplata la possibilita' che il  minore  abbia  due
figure genitoriali dello  stesso  sesso  nel  caso  in  cui  uno  dei
genitori abbia ottenuto la rettificazione dell'attribuzione del sesso
con gli effetti di cui all'art.  4,  legge  n.  164/1982.  Quanto  ai
divieti di ricorrere alla procreazione medicalmente assistita di  cui
alla  legge  n.  12,  comma  2,  legge  n.  40/2004,  le  scelte  del
legislatore  italiano  appaiono  frutto  di  discrezionalita'  e  non
esprimono principi fondanti a livello  costituzionale  che  impegnino
l'ordine pubblico. Ne' puo' ritenersi rilevante  la  sanzione  penale
comminata dal sesto comma  dell'art.  12  della  predetta  legge  che
punisce  chiunque,  in  qualsiasi  forma,   realizzi,   organizzi   o
pubblicizzi la maternita' surrogata dato che il divieto e la sanzione
penale non si sovrappongono alla valutazione  del  miglior  interesse
del minore concepito all'estero con tali tecniche, il quale non  puo'
essere privato dello status legittimamente acquisito nel paese in cui
e' nato. 
    Ricorre in Cassazione l'Avvocatura dello Stato nell'interesse del
Ministero dell'interno e del sindaco di V., con quattro motivi. 
    P. F. e P. B. quali esercenti la responsabilita' genitoriale  sul
minore P. resistono con controricorso, eccependo l'inammissibilita' e
l'infondatezza del ricorso; i  controricorrenti  propongono  altresi'
ricorso  incidentale  affidato  ad  un  unico   motivo   condizionato
all'accoglimento di uno o piu' motivi del ricorso principale. 
 
                          Motivi di ricorso 
 
    Con il primo motivo del ricorso principale si deduce  il  difetto
assoluto di giurisdizione, a norma dell'art. 360, comma 1, del codice
di procedura civile, in quanto nell'ordinamento  giuridico  nazionale
non  esiste  una  norma  che  legittimi  una  piena  bigenitorialita'
omosessuale, come affermata dal giudice canadese. 
    Con il secondo motivo si denunzia  violazione  dell'art.  95  del
decreto  del  Presidente  della  Repubblica  n.   396/2000,   essendo
competente in materia il tribunale in primo grado. La Corte d'appello
ha erroneamente ritenuto che  l'oggetto  del  procedimento  fosse  il
riconoscimento  dell'efficacia  del   provvedimento   giurisdizionale
straniero nell'ordinamento italiano, mentre invece i ricorrenti hanno
richiesto la trascrizione dell'atto di  nascita  straniero  ai  sensi
dell'art. 28, comma 2, lettera e), del decreto del  Presidente  della
Repubblica  n.  396/2000,  impugnando  il   provvedimento   con   cui
l'ufficiale  di  stato  civile  aveva  rifiutato  di  trascrivere  il
suddetto provvedimento giurisdizionale canadese,  venendo  dunque  in
rilievo un'opposizione al rifiuto di trascrizione che,  a  norma  del
citato art. 95, e' proponibile con ricorso innanzi al tribunale. 
    Con il terzo motivo si denunzia violazione e  falsa  applicazione
dell'art. 112 del codice di procedura civile, in  relazione  all'art.
360, comma 1, n. 4, del codice di procedura civile, avendo  la  Corte
d'appello  omesso  di  pronunciarsi  sull'eccezione  di  difetto   di
legittimazione attiva del padre intenzionale F. B. a rappresentare il
minore. 
    Con il quarto motivo si denunzia violazione e falsa  applicazione
degli articoli 16 e  65,  legge  n.  218/1995,  18  del  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 396/2000, 5 e 12, commi 2° e 6°, legge
n. 40/2005,  in  quanto  l'ordinanza  impugnata  confligge  con  vari
principi fondanti l'ordine pubblico, tra cui la nozione di filiazione
intesa nell'ordinamento italiano  quale  discendenza  da  persone  di
sesso  diverso,  come  disciplinata  dalle  norme   in   materia   di
fecondazione assistita, anche eterologa, nonche' con il divieto della
cd. «maternita' surrogata», fattispecie costituente reato secondo  la
legge italiana. 
    L'unico motivo del ricorso incidentale denunzia la  violazione  e
la falsa applicazione degli articoli  100  del  codice  di  procedura
civile  e  67,  legge  n.  218/1995,  avendo  erroneamente  la  Corte
d'appello considerato il  Ministero  e  il  sindaco  controricorrenti
legittimati passivi, poiche' il primo non aveva competenze in materia
di stato civile, mentre il sindaco non era titolare di  un  interesse
proprio rispetto all'istanza di trascrizione. 
    Anzitutto, sono da esaminare  i  primi  tre  motivi  del  ricorso
principale  e  l'unico  dell'incidentale  per   il   loro   carattere
logico-preliminare rispetto alla suddetta questione  di  legittimita'
costituzionale. Tali motivi sono infondati,  anche  alla  luce  della
motivazione della recente sentenza delle Sezioni Unite della Corte di
cassazione, n. 12193/19. 
    I   primi   due   motivi   possono   inoltre   essere   esaminati
congiuntamente poiche' tra loro connessi. 
    Sussiste la giurisdizione del giudice ordinario adito, poiche' il
giudizio  fonda  la  causa  petendi  sull'accertamento   di   diritti
fondamentali (rectius, sulla prospettazione di tali diritti,  e  cio'
basta a innescare la giurisdizione). 
    Il procedimento ex  art.  67  della legge  n.  218  del  1995  si
differenzia da quello di rettificazione degli atti dello stato civile
disciplinato dal decreto del Presidente della Repubblica n.  396  del
2000, in quanto, pur con esso concorrente, ha una piu' ampia portata,
avendo  per  oggetto  il  riconoscimento  dello  status  accertato  o
costituito dal provvedimento straniero. Cio' giustifica  una  lettura
allargata della legittimazione a partecipare a tale giudizio. 
    Il rifiuto di procedere  alla  trascrizione  nei  registri  dello
stato civile di un provvedimento giurisdizionale  straniero,  con  il
quale sia stato accertato il rapporto di  filiazione  tra  un  minore
nato  all'estero  e  un  cittadino  italiano,  da'  luogo,   se   non
determinato  da  vizi  formali,  a  una  controversia  di  stato,  da
risolversi mediante il procedimento disciplinato dall'art.  67  della
legge n. 218 del 1995, in contraddittorio con il sindaco, in qualita'
di ufficiale dello  stato  civile  destinatario  della  richiesta  di
trascrizione,  ed  eventualmente  con  il   Ministero   dell'interno,
legittimato  a  spiegare  intervento  in  causa  e  ad  impugnare  la
decisione, in virtu' della competenza ad esso attribuita  in  materia
di tenuta dei registri dello stato civile. 
    Quanto al ricorso incidentale  va  ribadito  che  il  sindaco  e'
l'organo il cui rifiuto di trascrizione da' origine alla controversia
e  come  tale  e'  direttamente  interessato   alle   conseguenze   e
all'attuazione  della   pronuncia   di   delibazione;   l'ordine   di
trascrizione (o di cancellazione della  trascrizione  gia'  eseguita)
riveste infatti un ruolo centrale e non accessorio nella decisione ex
art. 67. 
    Dall'altro lato, il  sindaco  e'  Ufficiale  di  Governo,  organo
periferico  dell'amministrazione  statale  dell'interno,   alla   cui
competenza il decreto del Presidente della Repubblica n. 396 del 2000
ha trasferito le attribuzioni in materia di tenuta dei registri dello
stato civile e contro la quale possono essere esperite tra l'altro le
azioni di risarcimento di eventuali danni derivanti dalla (effettuata
od omessa) trascrizione. Anche il Ministero dell'interno ha  pertanto
un interesse autonomo, concreto e attuale a partecipare al  giudizio,
mentre tuttavia il Ministero dell'interno  interveniente  ed  essendo
parte a pieno  titolo  del  giudizio  di  riconoscimento  puo'  anche
impugnare il provvedimento a se' sfavorevole. 
    Infine il terzo motivo del ricorso principale  e'  infondato,  in
quanto  e'  evidente  che  la  Corte  d'appello   abbia   pronunciato
implicitamente sull'eccezione di difetto di legittimazione di  F.  B.
decidendo sulla domanda di  quest'ultimo  in  ordine  al  diritto  di
essere inserito - quale «padre d'intenzione» - nell'atto  di  nascita
del figlio di P. F. cui e' legato da matrimonio celebrato in Canada. 
    Il quarto motivo  di  ricorso  e  la  questione  di  legittimita'
costituzionale del divieto di trascrizione. 
    Il quarto motivo e' il fulcro del ricorso  principale  e  suscita
una pluralita'  di  questioni,  affrontate  e  decise  dalla  recente
sentenza n. 12193/2019 delle Sezioni Unite, che rivestono un  rilievo
costituzionale e sono decisive ai fini dei riconoscimento o meno  del
provvedimento giudiziario canadese. 
    Il collegio ritiene che ricorrano  i  presupposti  per  rimettere
alla Corte costituzionale la questione di legittimita' costituzionale
degli articoli 12, comma 6, legge n. 40 del 2004, 18 del decreto  del
Presidente della Repubblica n. 396/2000, 64, comma  1°,  lettera  g),
legge n. 218/1995, se interpretati alla luce  della  citata  sentenza
delle  Sezioni  Unite  laddove  si  esclude,  attraverso  il   limite
dell'ordine pubblico,  fissato  in  linea  generale  e  astratta  dal
legislatore,   la   possibilita'   del   riconoscimento,   ai    fini
dell'efficacia in Italia, di provvedimenti giurisdizionali  stranieri
che  accertino  il  diritto  di  essere  inserito  -  quale  genitore
d'intenzione - nell'atto di nascita del figlio della persona  cui  si
e' legati da matrimonio celebrato all'estero, nato con  le  modalita'
della gestazione per altri (cd. «maternita' surrogata»). 
    Al  fine  di   prospettare   tale   questione   di   legittimita'
costituzionale, occorre  muovere  dalla  motivazione  della  predetta
sentenza delle Sezioni Unite n. 12193 del 2019. 
    Il cardine di tale motivazione e' fondato sul rilievo per cui  il
riconoscimento dell'efficacia  di  un  provvedimento  giurisdizionale
straniero, con il quale sia stato accertato il rapporto di filiazione
tra un minore nato all'estero mediante  il  ricorso  alla  maternita'
surrogata  e  il  genitore  d'intenzione,  nella   specie   cittadino
italiano, trova ostacolo nel divieto di surrogazione  di  maternita',
previsto  dall'art.  12,  comma  6,  della  legge  n.  40  del  2004,
qualificabile come principio di ordine pubblico, in  quanto  posto  a
tutela di valori  fondamentali,  quali  la  dignita'  della  donna  e
l'istituto dell'adozione. Secondo le Sezioni Unite la tutela di  tali
valori, non irragionevolmente ritenuti prevalenti sull'interesse  del
minore, nell'ambito di un bilanciamento effettuato  direttamente  dal
legislatore, al quale il  giudice  non  puo'  sostituire  la  propria
valutazione,  non  esclude  peraltro  la  possibilita'  di  conferire
comunque rilievo al rapporto con il genitore  intenzionale,  mediante
il ricorso ad altri strumenti giuridici e specificamente, nel  nostro
ordinamento, all'adozione in casi particolari, prevista dall'art. 44,
comma 1, lettera d), della legge n. 184 del 1983. 
    Le Sezioni Unite si sono confrontate direttamente con il divieto,
sanzionato penalmente, dell'art. 12, comma 6, della legge n.  40  del
2004,   legge,    quest'ultima,    considerata    «costituzionalmente
necessaria». Tale divieto,  secondo  le  Sezioni  Unite,  mostra  con
chiarezza che, anche dopo gli interventi della Corte  costituzionale,
la legge n. 40 del  2004  continua  a  distinguere  tra  fecondazione
eterologa e maternita' surrogata. Ne discende che il  divieto  penale
contenuto in una legge  siffatta  va  considerato  espressivo  di  un
superiore principio di ordine pubblico che, come chiarito anche dalla
Corte costituzionale  con  la  sentenza  n.  272  del  2017,  mira  a
sanzionare una pratica che offende in modo intollerabile la  dignita'
umana e fa dunque riferimento a valori  superiori  e  fondanti.  Cio'
comporta che non puo' essere trascritto ne' riconosciuto in Italia il
provvedimento giudiziale straniero che,  riconoscendo  implicitamente
la validita' dell'accordo  di  maternita'  surrogata  attribuisce  la
paternita' (o la maternita') anche al genitore intenzionale  che  non
ha apportato alcuno contributo biologico alla procreazione. 
    Tale conclusione, secondo  le  Sezioni  Unite,  non  si  pone  in
contrasto con il superiore interesse del  minore:  sia  perche'  tale
interesse non ha valore assoluto  e  puo'  affievolirsi  rispetto  ad
altri  valori,  rientrando  tale  valutazione  bilanciata  anche  nel
margine di apprezzamento che la Corte europea dei  diritti  dell'uomo
comunque riconosce agli stati ai fini della decisione di  autorizzare
o meno la pratica di maternita' surrogata e gli effetti giuridici  ad
essa collegati; sia perche' l'interesse del minore  a  restare  nella
coppia (anche dello  stesso  sesso)  di  cui  fa  parte  il  genitore
d'intenzione e' pur sempre tutelabile attraverso l'adozione  in  casi
particolari di cui all'art. 44, comma 1, lettera d)  della  legge  n.
184 del 1983, secondo  l'orientamento  inaugurato  da  Cassazione  n.
12962 del 2016. Alla luce di questa ricostruzione, le  Sezioni  Unite
hanno concluso che gli effetti del riconoscimento  del  provvedimento
straniero, di cui e' stata chiesta la  trascrizione,  si  pongono  in
contrasto con l'ordine pubblico ex art.  64,  comma  1,  lettera  g),
della legge n. 218 del 1995. 
    Il parere del 10 aprile 2019 della  Grande  Chambre  della  Corte
europea dei diritti umani. 
    Successivamente, in data 10 aprile 2019, e' stato  pubblicato  il
parere consultivo della Grande Camera della Corte europea dei diritti
dell'uomo sulla richiesta preventiva della  Adunanza  plenaria  della
Corte di cassazione francese (decisa con arret interlocutoire n.  638
del 5 ottobre 2018 e trasmessa con lettera del 12 ottobre 2018). 
    Tale parere e' stato reso, per la prima volta, in esecuzione  del
Protocollo n.  16  allegato  alla  Convenzione  europea  dei  diritti
dell'uomo, entrato in  vigore  il  1º  ottobre  2018  -  ma  non  per
l'Italia, che non lo ha ancora  reso  esecutivo-;  al  riguardo,  nel
rapporto esplicativo allo  stesso  protocollo  si  evidenzia  che  la
formulazione  di  cui  all'art.  1,  par.  1,  del  protocollo,  trae
ispirazione  dall'art.  43,  par.  2,  della  Convenzione,  il  quale
sancisce che il rinvio di un  caso  dinanzi  alla  Grande  Camera  e'
ammesso quando  «la  questione  oggetto  del  ricorso  solleva  gravi
problemi di interpretazione o di applicazione della Convenzione o dei
suoi protocolli, o  comunque  un'importante  questione  di  carattere
generale». 
    La dottrina ha chiarito che il parere reso dalla  Grande  Camera,
nell'ambito  del  predetto  protocollo,   costituisce   un   giudizio
astratto, teso a chiarire in via preliminare il contenuto delle norme
convenzionali, fornendo quindi un ausilio ai  giudici  nazionali  che
potranno, cosi', prevenirne la violazione ovvero, se  gia'  commessa,
porvi rimedio. 
    La vicenda che ha portato alla richiesta di parere consultivo  e'
nota inserendosi nella procedura  di  riesame  del  giudicato  emesso
dalla Corte di cassazione francese  dopo  la  decisione  dei  leading
cases Menesson e Labassee c. Francia da parte della Corte europea dei
diritti dell'uomo (C.E.D.U., 26 giugno  2014,  ric.  nn.  65192/11  e
65941/11). Con tali pronunce del 2011 la Corte  europea  dei  diritti
dell'uomo ha  sancito  la  violazione  da  parte  della  Francia  del
diritto, tutelato dall'art. 8 della C.E.D.U.,  alla  vita  privata  e
familiare dei  figli  e  la  non  adeguata  considerazione  del  loro
superiore interesse per effetto del diniego di  riconoscimento  della
filiazione - legittimamente acquisita negli Stati Uniti in seguito  a
gestazione per  altri  -  nei  confronti  del  padre  intenzionale  e
biologico.  La  giurisdizione  francese  e'   stata   successivamente
investita di una richiesta di riesame  del  giudicato  per  cio'  che
concerne il permanente rifiuto  di  trascrivere  nei  registri  dello
stato civile il riconoscimento della filiazione anche  nei  confronti
della madre intenzionale che non aveva  contribuito  al  concepimento
mediante donazione dei propri gameti. La Corte di cassazione francese
ha  formulato  nei  seguenti  termini  le  questioni  che  ha  inteso
sottoporre alla Corte europea dei diritti dell'uomo  con  la  propria
richiesta  di  parere  consultivo:  a)  se  uno  Stato  parte   della
Convenzione, rifiutando  di  trascrivere  nei  registri  dello  stato
civile l'atto di nascita  di  un  bambino  nato  all'estero  mediante
gestazione per altri, nella parte in cui tale atto designa come madre
legale la madre intenzionale - mentre la  trascrizione  dell'atto  di
nascita e'  ammessa  laddove  designa  come  padre  legale  il  padre
intenzionale in quanto padre biologico - eccede il proprio margine di
apprezzamento  di  cui  dispone  con  riferimento  all'art.  8  della
Convenzione E.D.U. e se deve distinguersi a seconda  che  il  bambino
sia stato concepito o meno con i gameti della madre intenzionale;  b)
nella ipotesi di una risposta positiva a uno dei  precedenti  quesiti
se la possibilita' per la madre intenzionale di  adottare  il  figlio
del  suo  coniuge,  padre  biologico,  permette  di   rispettare   le
prescrizioni  dell'art.  8  della  Convenzione  costituendo  un  modo
alternativo di instaurazione del  rapporto  di  filiazione  nei  suoi
confronti. 
    Con il proprio parere consultivo la  Corte  europea  dei  diritti
dell'uomo ha risposto positivamente al primo quesito  (non  ritenendo
attinente all'oggetto della procedura prevista dal protocollo  n.  16
la questione sulla rilevanza della  donazione  dei  gameti  da  parte
della madre intenzionale)  e,  rispondendo  al  secondo  quesito,  ha
affermato che l'adozione  da  parte  della  madre  intenzionale  puo'
ritenersi accettabile, come modello alternativo di instaurazione  del
rapporto legale di filiazione, a condizione che le modalita' previste
dal diritto interno per l'adozione  garantiscano  la  effettivita'  e
celerita'  del   riconoscimento   e   che   esso   risulti   conforme
all'interesse superiore del minore. 
    Nel ritenere che tale risposta della Corte  europea  dei  diritti
dell'uomo si ponga in conflitto con il  diritto  vivente  in  Italia,
cosi come si e' venuto a configurare all'esito della citata pronuncia
delle  Sezioni   Unite,   il   collegio   considera   particolarmente
significativi  i  seguenti  passaggi  della  motivazione  del  parere
consultivo. 
    In primo luogo il richiamo alla Convenzione di New York del 1989,
ratificata in Italia con legge n. 176  del  27  maggio  1991,  e,  in
particolare, ai suoi articoli 2, 3, 7, 8, 9 e  18  che  disegnano  lo
statuto  dei  diritti  inviolabili  dei  minori.  La  Convenzione  in
particolare sancisce: a) l'obbligo per gli stati parti di  rispettare
e garantire i diritti enunciati nella Convenzione  a  prescindere  da
ogni considerazione di razza, di colore,  di  sesso,  di  lingua,  di
religione, di opinione, politica o altra, del fanciullo  o  dei  suoi
genitori o  rappresentanti  legali,  dalla  loro  origine  nazionale,
etnica o sociale,  dalla  loro  situazione  finanziaria,  dalla  loro
incapacita', dalla loro nascita o da ogni altra  circostanza;  b)  la
tutela da ogni forma di discriminazione o di sanzione, motivate dalla
condizione  sociale,   dalle   attivita',   opinioni   professate   o
convinzioni dei suoi genitori, dei suoi rappresentanti legali  o  dei
suoi  familiari;  c)  la  considerazione  preminente   dell'interesse
superiore del minore in tutte le decisioni delle pubbliche  autorita'
che lo riguardano;  d)  il  diritto  del  minore  alla  registrazione
immediata al momento della nascita  e,  da  allora,  a  un  nome,  ad
acquisire una cittadinanza e nella misura del possibile, a  conoscere
i suoi genitori e ad essere allevato da essi, a veder  preservata  da
ingerenze  illegali  la  propria  identita',  ivi  compresa  la   sua
nazionalita', il suo nome e le sue relazioni  familiari,  cosi'  come
riconosciute dalla legge; e) il diritto a  non  essere  separato  dai
suoi genitori, se  non  quando  sia  necessario  nel  suo  preminente
interesse, e di intrattenere rapporti personali  e  contatti  diretti
regolari con entrambi i genitori anche se risiedono in stati diversi;
f) il riconoscimento ad entrambi  i  genitori  della  responsabilita'
comune nei  confronti  del  figlio  per  cio'  che  concerne  la  sua
educazione e la cura del suo sviluppo.  In  secondo  luogo  la  Corte
europea ha affrontato immediatamente la questione  del  rapporto  fra
l'interesse superiore del minore - che, ha ribadito  la  Corte,  deve
sempre prevalere quando e' in discussione la sua situazione personale
- e il margine di apprezzamento attribuito agli stati nel riconoscere
il rapporto di filiazione nei confronti del genitore intenzionale che
non sia anche genitore biologico. A tal  fine  ha  richiamato  quanto
gia' affermato nelle sentenze  del  2011  e  cioe'  che  sebbene  sia
concepibile che la Francia possa desiderare di scoraggiare  i  propri
cittadini  dal  ricorrere,  recandosi  all'estero,  a  un  metodo  di
procreazione che  proibisce  nel  proprio  territorio,  tuttavia  gli
effetti del mancato riconoscimento non investono solo le persone  che
hanno operato la scelta di  adottare  le  modalita'  procreative  non
consentite dall'ordinamento francese. Invero, gli effetti del divieto
di riconoscimento si ripercuotono sui minori  che  vedono  gravemente
inciso il diritto al rispetto della loro vita privata e familiare. 
    Il riferimento della Corte all'art. 8 della  Convenzione  europea
viene  subito  circostanziato  come  impossibilita'   di   conciliare
l'interesse superiore del minore, che va valutato caso per caso,  con
le conseguenze di un divieto generale e  assoluto  di  riconoscimento
del legame di filiazione con il genitore intenzionale in quanto  tali
conseguenze sono lesive della  stessa  identita'  del  minore  e  del
diritto alla continuita' dello status filiationis, compromettendo  il
radicamento del minore nel contesto familiare  in  cui  e'  nato;  in
sostanza sono lesive di tutti quei diritti  che  costituiscono,  alla
luce della Convenzione di New York, il nucleo inviolabile  della  sua
protezione. Cio' a giudizio della Corte europea restringe il  margine
di apprezzamento degli stati e impone al diritto interno  di  offrire
la possibilita' del riconoscimento del legame di  filiazione  con  il
genitore intenzionale. 
    Tale riconoscimento deve essere  reso  sempre  possibile  e  puo'
essere negato solo se,  in  casi  particolari,  cio'  corrisponda  in
concreto all'interesse superiore  del  minore  ma  la  Corte  europea
ritiene che non necessariamente il  riconoscimento  debba  coincidere
con la trascrizione nei registri  dello  stato  civile  dell'atto  di
nascita  legalmente  formato  all'estero.  Agli  stati  parti   della
Convenzione, che attualmente adottano al riguardo soluzioni  diverse,
va  riservato  un  piu'  ampio   margine   di   apprezzamento   sulla
possibilita' di predisporre modalita' alternative  alla  trascrizione
dell'atto di nascita e la adozione da parte del genitore d'intenzione
ben puo' essere una modalita' alternativa al riconoscimento. Tuttavia
la Corte fissa due condizioni perche' l'adozione  possa  considerarsi
un mezzo ugualmente rispettoso  dell'art.  8  della  Convenzione.  Le
condizioni previste per l'adozione devono essere idonee  a  garantire
l'effettivita' del riconoscimento  del  legame  di  filiazione  e  la
procedura deve essere rapida e non esporre il minore a una  protratta
situazione  di  incertezza  giuridica  circa  il  riconoscimento  del
legame. Se la Convenzione non impone agli  stati  di  riconoscere  ab
initio un legame di filiazione con il genitore intenzionale cio'  che
richiede l'interesse superiore del minore - da valutare in  concreto,
caso per caso - e' che questo legame costituito legalmente all'estero
venga riconosciuto non oltre il momento della  sua  concretizzazione.
Accertamento quest'ultimo che non  puo'  che  essere  compiuto  dalle
Autorita' nazionali competenti le quali  potranno  valutare,  tenendo
conto delle circostanze particolari del caso di specie, se  e  quando
tale legame si sia concretizzato. 
    Alla luce della motivazione del  parere  consultivo  della  Corte
europea dei diritti dell'uomo si intravedono chiaramente due  profili
di conflitto non superabili con la  attuale  situazione  del  diritto
vivente in Italia  come  configurato  dalla  recente  sentenza  delle
Sezioni Unite. 
    Il  primo  di  tali  profili  e'  l'attribuzione  al  divieto  di
maternita' surrogata dello statuto di principio  di  ordine  pubblico
internazionale prevalente a  priori  sull'interesse  del  minore  per
effetto di una  scelta  compiuta  dal  legislatore  italiano  in  via
generale e astratta dalla valutazione del singolo caso concreto. 
    Una tale configurazione, che si basa sulla rilevanza del  divieto
di gestazione per altri, sancito penalmente dall'art. 12 della  legge
n. 40 del 2004, si scontra, in  primo  luogo,  con  la  constatazione
della Corte europea per cui, se e'  legittimo  che  uno  Stato  parte
della Convenzione imponga misure dissuasive nei confronti dei  propri
cittadini che intendano ricorrere all'estero a forme di  procreazione
vietate nel proprio territorio, anche se tali misure  incidano  sulle
situazioni  soggettive  di  coloro  che  mettano  in   pratica   tale
intendimento, tuttavia non  e'  consentito  agli  stati  di  adottare
misure che incidano negativamente sulla situazione soggettiva di  chi
nasce da una gestazione per altri e abbiano  l'effetto  di  negare  i
diritti inviolabili connessi alla identita' personale  del  minore  e
alla sua appartenenza al nucleo familiare  di  origine.  Diritti  che
risultano definitivamente fissati  dall'atto  di  nascita  legalmente
formato nell'ordinamento del paese in cui il minore e' nato. 
    In secondo luogo il principio della preminenza dell'interesse del
minore impedisce al legislatore di imporre una  sua  compressione  in
via  generale  e  astratta  e  di  determinare  conseguentemente   un
affievolimento ex lege del diritto  al  riconoscimento  dello  status
filiationis legalmente acquisito all'estero. Un  simile  diniego  non
puo' che essere il frutto di una valutazione in sede  giurisdizionale
e sulla base di una considerazione rigorosa  del  caso  concreto  che
conduca a ritenere, in via eccezionale, corrispondente  all'interesse
specifico  del  minore  il  mancato  riconoscimento  dello  stato  di
filiazione. 
    In  questa  prospettiva  anche  la   predisposizione   di   mezzi
alternativi alla trascrizione dell'atto di nascita formato all'estero
assume nella motivazione  della  Corte  europea  la  valenza  di  una
diversa  ma  equiparata  forma   di   riconoscimento   dello   status
filiationis e non  la  predisposizione  o  la  utilizzazione  di  uno
strumento di minor tutela confacente  a  una  situazione  di  diritto
affievolito. 
    Cio' evidenzia il secondo inconciliabile profilo di conflitto con
l'attuale configurazione del diritto vivente che, alla stregua  della
pronuncia  delle  Sezioni  Unite,  ritiene   adeguata   alla   tutela
dell'interesse del minore la presenza nel sistema  normativo  di  una
modalita' alternativa alla trascrizione dell'atto di nascita e  cioe'
la  possibilita'  per  il  genitore  di  intenzione   di   richiedere
l'adozione in casi particolari ex art. 44, lettera d) della legge  n.
184/1983. Un istituto  che  per  le  ragioni  che  si  esporranno  in
prosieguo non risulta affatto idoneo a garantire quella  effettivita'
e celerita' di attribuzione dello status filiationis  ritenute  dalla
Corte europea dei diritti dell'uomo le condizioni imprescindibili per
qualificare la modalita' alternativa alla trascrizione rispettosa del
diritto alla tutela della vita privata e familiare del minore. 
  Rilevanza  del  parere   consultivo   e   impossibilita'   di   una
interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente conforme. 
    Il collegio ritiene che nella decisione della causa non si  possa
prescindere dal predetto parere della Grande Camera che, sebbene  non
direttamente vincolante, impone  scelte  ermeneutiche  differenti  da
quelle adottate dalle Sezioni Unite nella sentenza del 2019. Tuttavia
la impossibilita' di una  opzione  interpretativa  in  contrasto  con
quello che allo  stato  costituisce  il  diritto  vivente,  per  come
interpretato  dalla  piu'  alta  istanza   della   giurisdizione   di
legittimita', direttamente chiamata a pronunciarsi su  una  questione
di massima importanza, e,  per  altro  verso,  la  impossibilita'  di
confermare una linea interpretativa  che,  per  quanto  si  e'  detto
sinora, si ritiene in contrasto con la posizione espressa dalla Corte
europea sullo  stesso  tema,  induce  a  sollevare  la  questione  di
costituzionalita' degli articoli 12, comma 6, della legge n.  40  del
2004, 64, comma 1, della legge n. 218 del 1995, nonche' dell'art.  18
del  decreto  del  Presidente  della  Repubblica   n.   396/2000   se
interpretati, come attualmente nel diritto vivente, come  impeditivi,
in via generale e senza valutazione concreta dell'interesse superiore
del  minore,  della  trascrizione  dell'atto  di  nascita  legalmente
costituito all'estero di un  bambino  nato  mediante  gestazione  per
altri nella parte in cui esso  attesta  la  filiazione  dal  genitore
intenzionale non biologico,  specie  se  coniugato  con  il  genitore
intenzionale biologico. Si  ravvisa  infatti  il  contrasto  di  tale
interpretazione con l'art.  117,  comma  1,  della  Costituzione,  in
relazione all'art. 8 della Convenzione europea dei diritti  dell'uomo
e agli articoli 2, 3, 7, 8, 9, 10 e 18 della Convenzione di New  York
del 20 novembre 1989 delle Nazioni Unite nonche'  all'art.  24  della
Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. 
    Al riguardo, a parere del giudice rimettente,  non  e'  possibile
una interpretazione costituzionalmente e  convenzionalmente  conforme
delle norme in questione attraverso  un'esegesi  adeguatrice.  Se  e'
vero che una tale verifica e' un obbligo del giudice a quo perche' la
prospettazione d'incostituzionalita' delle norme  costituisce  sempre
una extrema ratio tuttavia, nella fattispecie in  esame,  utilizzando
gli ordinari poteri ermeneutici, la soluzione conforme a Costituzione
e alla C.E.D.U. non e' praticabile, se non contraddicendo la  recente
statuizione delle Sezioni Unite.  Parallelamente  la  verifica  della
rispondenza  del  diritto  vivente  ai  principi  costituzionali   in
relazione a quelli convenzionali non potrebbe che  avvenire  mediante
la  richiesta,  che  anche  le  Sezioni  Unite  sarebbero  tenute   a
prospettare, di un intervento interpretativo del giudice delle leggi,
o che, eventualmente, si estrinsechi  in  una  pronuncia  additiva  o
manipolativa delle norme che  s'intendono  sottoporre  al  vaglio  di
costituzionalita'. 
    In particolare, va osservato che la sentenza delle Sezioni Unite,
per l'autorevolezza dell'organo giudiziario da cui promana -  la  cui
funzione e' appunto quella di assicurare con  le  sue  decisioni  nel
territorio nazionale l'esatta osservanza e l'uniforme interpretazione
delle  norme  di  diritto,  vale  a  dire  la   cosiddetta   funzione
nomofilattica della Suprema Corte - ha certamente formato un  diritto
vivente sull'interpretazione delle norme applicate nella  fattispecie
concreta da cui il giudice a quo non puo' prescindere nella sua opera
diretta a  rinvenire  nell'ordinamento  giuridico  un'interpretazione
costituzionalmente conforme delle medesime norme. 
    E'   noto   che   nella   giurisprudenza   della   stessa   Corte
costituzionale, in conformita' di autorevole insegnamento dottrinale,
il tenore letterale  della  norma  o  il  diritto  vivente  sono,  in
astratto, riguardati come principali ostacoli  alla  ricerca  di  una
soluzione conforme  a  Costituzione.  Ma  al  riguardo,  il  collegio
rimettente  non  ignora  anche  che,  in   particolare,   l'eventuale
resistenza opposta dalla prevalente interpretazione giurisprudenziale
della  disposizione  normativa  e'  ritenuta   in   molte   occasioni
superabile, in quanto uniformarsi al diritto vivente  e'  considerata
«facolta'»  e  non  «obbligo»  per  il  giudice  a  quo   (v.   Corte
costituzionale, sent. n. 350 del 1997). 
    Nel caso concreto, pero', non appare possibile  che  il  collegio
decida  la  causa  fornendo  un'interpretazione   della   fattispecie
astratta che si contrapponga e superi quella adottata  dalle  Sezioni
Unite, essendo cio' precluso, per quanto esposto, dalla natura  della
pronuncia che e' ontologicamente  orientata  a  radicare  il  diritto
vivente  al  fine  di   garantire   la   certezza   e   l'uniformita'
dell'applicazione    del    diritto,    quale    bene    fondamentale
dell'ordinamento  giuridico.  Cio'  appare  viepiu'  evidente  se  si
considera che le Sezioni Unite, nel pronunciare la sentenza predetta,
sono state espressamente investite  da  una  sezione  semplice  della
Suprema Corte al fine di affermare  il  principio  di  diritto  nella
complessa materia in esame. 
    Ora, tenuto anche conto del sopravvenuto  parere  espresso  dalla
Grande Camera della CEDU  -  come  sopra  illustrato  -  il  collegio
ritiene che la formulazione delle  disposizioni  normative  applicate
nella  fattispecie  offra  una  resistenza  insuperabile  ad   essere
interpretata in modo conforme alla Convenzione e  alla  Costituzione,
se interpretate secondo la citata sentenza delle Sezioni Unite e  del
diritto vivente cosi' formatosi. 
    Al riguardo, in conformita' di  quanto  ritiene  la  dottrina,  a
norma dell'art. 374, comma 3, del  codice  di  procedura  civile,  va
osservato che il collegio della sezione semplice della Suprema  Corte
non e' posto di fronte alla secca  alternativa  tra  l'uniformare  la
propria decisione al principio di  diritto  enunciato  dalle  sezioni
unite - per dirimere un contrasto  o  una  questione  di  massima  di
particolare importanza - e la rimessione con ordinanza interlocutoria
del ricorso alle Sezioni Unite, esponendo le ragioni del dissenso. Il
collegio della sezione semplice puo' sottrarsi a  questa  alternativa
attivando l'incidente suscettibile di condurre a una declaratoria  di
incostituzionalita', e  quindi  alla  rimozione,  della  disposizione
sottostante al principio enunciato dalle Sezioni Unite. 
    La stessa Corte costituzionale  ha  convalidato  questo  percorso
interpretativo con la sentenza n. 3 del 2015, esaminando la questione
sollevata  dal   giudice   a   quo   il   quale   aveva   prospettato
l'impossibilita' di  un'interpretazione  costituzionalmente  conforme
delle norme impugnate  attesa  la  sussistenza  del  diritto  vivente
formatosi a seguito di una sentenza delle Sezioni Unite. 
  Conflitto con i principi d'inviolabilita' dei diritti  fondamentali
del minore,  d'uguaglianza,  non  discriminazione,  ragionevolezza  e
proporzionalita'. 
    Il  contrasto  del  diritto  vivente  appare  peraltro  a  questo
collegio sussistere  anche  in  relazione  ai  principi  fondamentali
affermati dalla Carta e dalla giurisprudenza costituzionale  italiana
in materia di diritti inviolabili del minore e diritto  d'eguaglianza
correlato ai rapporti di filiazione e pertanto  il  collegio  intende
altresi' prospettare questione di legittimita'  costituzionale  delle
stesse disposizioni  citate  in  precedenza  per  contrasto  con  gli
articoli 2, 3, 30 e 31 della Costituzione se interpretate secondo  la
sentenza n. 12193/19 delle Sezioni Unite. 
    I   principi   di   uguaglianza   e   di   non   discriminazione,
specificamente in  relazione  alla  nascita,  sono  consacrati  nella
Costituzione negli articoli 2, 3, 30 e 31. Al riguardo, va  osservato
che l'interpretazione - fatta propria dalle Sezioni Unite  -  secondo
cui il riconoscimento del provvedimento straniero di inserimento  del
padre d'intenzione nello stato di nascita del minore e' precluso  dal
limite dell'ordine pubblico, sulla base del disvalore espresso  dalla
sanzione penale comminata per la  fattispecie  della  gestazione  per
altri (cd. maternita' «surrogata»), si  pone  in  contrasto  con  gli
articoli 2, 30 e 31  della  Costituzione.  Invero,  l'interpretazione
delle Sezioni Unite e' d'ostacolo all'inalienabile diritto del minore
all'inserimento e  alla  stabile  permanenza  nel  nucleo  familiare,
inteso come formazione sociale tutelata dalla  Carta  Costituzionale,
attesa l'impossibilita' di sancire la paternita' legale del  genitore
d'intenzione. E' evidente che la tutela del diritto del  minore  alla
propria identita' e alla formazione e al consolidamento del  rapporto
di filiazione  all'interno  della  propria  famiglia,  legittimamente
costituitasi in conformita' della legge canadese, sia infirmata da un
riconoscimento parziale dell'atto di  stato  civile  che  escluda  il
padre d'intenzione sulla base di considerazioni estranee alla  tutela
del minore. 
    Al riguardo, il collegio  intende  sottoporre  al  giudice  delle
leggi la questione di costituzionalita' anche sotto  il  profilo  del
bilanciamento degli interessi costituzionalmente  rilevanti,  che,  a
giudizio del collegio, e' stato  realizzato  con  modalita'  tali  da
determinare il sacrificio e la compressione dell'interesse  superiore
del minore in una ottica incompatibile con il dettato  costituzionale
(cfr., da ultimo, Corte costituzionale, sentenza n. 236 del  2018)  e
comunque con modalita' e in una misura irrazionale sproporzionata  ed
eccessiva con l'effetto di ribaltare la gerarchia di  valori  sottesa
alla Carta costituzionale, incentrata sul principio personalistico di
tutela dei diritti fondamentali della persona. Occorre, in proposito,
muovere dal rilievo che l'ordine pubblico internazionale costituisce,
anche secondo l'orientamento di una autorevole dottrina, il  criterio
di ragionevolezza sulla base  del  quale  s'istituisce  la  gerarchia
assiologica tra norme, postulando che  l'applicazione  di  una  legge
straniera o il riconoscimento di efficacia di un atto straniero  puo'
spingersi sino al punto di creare, nel caso concreto,  una  frattura,
rispetto all'ordinamento interno, derivante  dall'applicazione  della
legge straniera o dal  riconoscimento  dell'atto  straniero,  ma  non
oltre il punto in cui il contrasto concerna i principi fondamentali e
irrinunziabili  del   nostro   sistema   ordinamentale,   ossia,   in
particolare, i principi ispirati alla tutela dei diritti fondamentali
della persona umana e della sua dignita'. 
    Invero, la stessa  nozione  di  ordine  pubblico  recepita  dalle
Sezioni  Unite,  attraverso  il  riferimento  primario  ai   principi
costituzionali,  implica   che,   dinanzi   a   valori   fondamentali
dell'individuo, l'interesse  pubblico  (anche  se  assistito  da  una
sanzione penale) passi necessariamente in secondo piano,  secondo  il
principio  ermeneutico  di  bilanciamento  tra  principi  di   ordine
pubblico di  rango  costituzionale  e  principi  di  ordine  pubblico
derivanti da discrezionalita' legislativa, con la conseguenza che, in
questo caso, la nozione di ordine pubblico va  circoscritta  ai  soli
valori supremi e vincolanti  contenuti  nella  Costituzione  e  nelle
Carte dei diritti fondamentali sovranazionali. 
    E' quindi possibile affermare che la nozione di  ordine  pubblico
internazionale, anche se intesa come comprensiva della  rilevanza  di
norme interne inderogabili, e di rilevanza penale,  nella  tradizione
giuridica domestica (cd. ordine pubblico discrezionale) non possa mai
comportare  la  lesione  di  diritti   fondamentali   dell'individuo,
manifestazione di valori supremi e vincolanti della cultura giuridica
che ci appartiene, trasfusi  nella  Costituzione,  nella  Convenzione
europea del 1950 e nella Carta dei diritti  fondamentali  dell'Unione
europea,  che  rappresentano  un  ordine   pubblico   gerarchicamente
superiore (cd. ordine pubblico costituzionale). 
    Invero, come e' stato rilevato da autorevole dottrina, la  tutela
dell'interesse superiore del minore - anche sotto  il  profilo  della
sua identita' personale, familiare e sociale  -  e  il  principio  di
ordine pubblico solo  apparentemente  possono  apparire  due  entita'
contrapposte perche', invece, e' proprio il preminente interesse  del
minore, in quanto espressione della inviolabilita' dei diritti  della
persona umana, a concorrere alla formazione del principio  di  ordine
pubblico, ed a  costituire  un  valore  che  e'  parte  integrante  e
costitutiva dell'ordine giuridico italiano. 
    In  questo  contesto  di   principi   fondanti   dell'ordinamento
costituzionale  italiano  fa   legislazione   e   la   giurisprudenza
costituzionale  e  ordinaria  hanno  delineato  progressivamente   la
unificazione e l'unicita' dello stato di figlio a  prescindere  dalle
condizioni di  nascita  e  dalle  modalita'  con  le  quali  viene  a
istituirsi il rapporto di filiazione. Ne'  puo'  affermarsi  che  sia
principio generale del nostro ordinamento giuridico che lo  stato  di
filiazione sia esclusivamente  legato  al  contributo  biologico  del
genitore  al  concepimento  e  alla  nascita  del   figlio;   invero,
l'adozione  e  la  legittimita'   dell'accesso   alle   tecniche   di
procreazione eterologa smentiscono tale assunto. 
    Per altro  verso  la  possibilita'  per  la  donna  di  partorire
anonimamente e di non costituire il legame di filiazione smentisce un
nesso indissolubile fra genitorialita' biologica e giuridica. 
    Ne' tale compressione del diritto del minore alla  sua  identita'
personale e sociale puo' trovare  la  sua  legittimazione  in  quanto
espressiva della rilevanza del principio di dignita' della donna come
elemento anche esso costitutivo e indefettibile dell'ordine pubblico.
Il  riconoscimento  della  decisione  straniera  non  comporta  alcun
riconoscimento del contratto  di  «maternita'  surrogata»  -  la  cui
illiceita' nell'ordinamento italiano non  viene  in  discussione  nel
caso in esame - ma ha come effetto il riconoscimento dello  status  e
dell'identita'  del  figlio,  acquisite  insieme  alla   cittadinanza
canadese,  e  al  diritto  fondamentale  a  instaurare  un   rapporto
familiare con coloro che si sono liberamente impegnati ad accoglierlo
assumendone le relative responsabilita' e formando una  famiglia  che
ha pieno riconoscimento sia  nell'ordinamento  canadese,  in  cui  si
consente il matrimonio fra persone dello stesso sesso e la gestazione
per altri, sia nell'ordinamento italiano in cui  tale  riconoscimento
e' gia' concretamente in atto come unione  civile.  Un  bilanciamento
fra i diritti inviolabili del minore  e  l'interesse  dello  Stato  a
impedire una forma di procreazione che ritiene lesiva della  dignita'
della donna appare  pertanto  del  tutto  improprio.  Nessuna  tutela
deriva  alla  donna  dal  mancato  riconoscimento  del  rapporto   di
filiazione con il genitore intenzionale. Mancato riconoscimento  che,
come si e' detto, lede invece gravemente il figlio. Lo  Stato  tutela
la dignita' della donna vietando la  gestazione  per  altri  nel  suo
ordinamento ma non puo'  affievolire  i  diritti  inviolabili  di  un
minore, che e' nato  all'estero  e  vi  ha  acquisito  legalmente  il
proprio status e la propria identita' personale, come conseguenza  di
un improprio bilanciamento dei diritti inviolabili del minore con  la
propria legittima  volonta'  di  scoraggiare  i  propri  cittadini  a
recarsi all'estero per eludere il divieto della gestazione per altri.
Come ha affermato chiaramente nel  suo  parere  consultivo  la  Corte
europea dei diritti  dell'uomo,  seguendo  una  linea  interpretativa
pienamente aderente ai nostri valori costituzionali, la  compressione
del diritto del minore alla  sua  identita'  personale,  familiare  e
sociale non puo' verificarsi per  effetto  di  una  condotta  altrui,
anche se penalmente illecita nel nostro ordinamento. 
    L'interpretazione ostativa al  riconoscimento  appare  dunque  in
contrasto con l'art. 2 e l'art. 3 della Costituzione,  in  quanto  il
diniego di  trascrizione  dell'atto  di  stato  civile,  nella  parte
afferente all'inserimento del padre  d'intenzione,  sovrapponendo  il
divieto penalistico inerente alla  cd.  «maternita'  surrogata»  alla
tutela del diritto del minore alla pienezza del suo status,  comporta
la conseguenza di discriminare i nati nell'attribuzione  dello  stato
di figlio a seconda delle circostanze della nascita e della modalita'
di  gestazione.  Oltre  a  questa  lesione  del  principio   di   non
discriminazione che ha una chiara  codificazione  nella  Costituzione
italiana,  nella  C.E.D.U.,  nella  Carta  dei  diritti  fondamentali
dell'Unione europea e, come si e' detto,  nella  Convenzione  di  New
York del  1989  sui  diritti  dei  minori,  l'interpretazione  appare
irragionevole perche' distingue i  genitori  riconosciuti  come  tali
dall'ordinamento straniero sulla base del loro apporto biologico alla
procreazione. Infatti, se alla  base  della  interpretazione  seguita
dalle Sezioni  Unite  vi  e'  la  ricognizione  del  disvalore  della
maternita'  surrogata  e  della  rilevanza  della   sanzione   penale
comminata dall'art. 12, comma 6, della legge n. 40/2004,  appare  del
tutto irragionevole  e  contraddittorio  consentire  la  trascrizione
dell'atto di stato civile in cui e' inserito il solo padre biologico,
autore della condotta procreativa realizzata in pieno  contrasto  con
la  norma  penale,  e  precludere  invece   il   riconoscimento   del
provvedimento giudiziario straniero che ha legittimato  l'inserimento
nello stato civile della famiglia anche  del  padre  d'intenzione  il
quale e' rimasto estraneo a tale condotta. 
    L'affermazione della esclusione in via  generale  e  aprioristica
del riconoscimento, attribuita, da parte delle  Sezioni  Unite,  alla
scelta sanzionatoria del legislatore non tiene inoltre in alcun conto
la legislazione del  paese  in  cui  e'  avvenuta  la  nascita  e  il
riconoscimento.  Invero,  non  puo'  apparire  irrilevante   che   la
gestazione in questione sia avvenuta nel pieno rispetto  delle  leggi
di un Paese, quale il Canada, che  condivide  i  fondamentali  valori
della nostra Costituzione e legittima solo la «maternita'  surrogata»
altruistica, cioe' senza corrispettivo e diretta a fornire sostegno a
favore di una nascita, che altrimenti non potrebbe avvenire,  con  il
consenso, accertato  dalle  autorita'  giurisdizionali,  della  madre
gestazionale e/o genetica a non assumere lo status  di  genitore  per
favorire l'avvento di una nuova vita. Tale  fattispecie  ispirata  da
intenti solidaristici va distinta da quelle ipotesi in  cui,  invece,
questa  stessa  pratica  e'  realizzata   con   finalita'   di   tipo
commerciale.   Situazioni,   queste    ultime,    che    all'evidenza
meriterebbero una differente valutazione  in  termini  assiologici  e
normativi, alle quali invece - seguendo la linea  interpretativa  che
ricostruisce in termini assoluti il limite dell'ordine pubblico -  si
e' costretti ad accordare il medesimo trattamento. 
    Seguendo  l'interpretazione  sin  qui  contestata  il   risultato
ottenuto  dall'opposizione  del  limite  dell'ordine  pubblico   alla
trascrizione e' in definitiva quello  di  far  ricadere  gli  effetti
negativi sul soggetto  che  non  ha  alcuna  responsabilita'  per  le
modalita' in cui e' stato concepito ed e' nato e sul soggetto che non
ha contribuito alla procreazione mentre alcuna tutela viene ad essere
attribuita  alla  donna  che  ha  portato  a  termine  la  gestazione
nell'esercizio  di  un  potere  di  autodeterminazione  che   le   e'
riconosciuto dal proprio ordinamento. Si tratta  in  sostanza  di  un
bilanciamento fra diritti e interessi che non hanno alcuna  attinenza
con i soggetti che ne sono titolari e con le loro condotte. 
    Secondo le Sezioni Unite il riconoscimento dell'efficacia  di  un
provvedimento giurisdizionale  straniero,  con  il  quale  sia  stato
accertato il rapporto di filiazione tra un  minore,  nato  all'estero
mediante  il  ricorso  alla  maternita'  surrogata,  e  il   genitore
d'intenzione, munito della cittadinanza italiana, trova ostacolo  nel
divieto di surrogazione  di  maternita'  che  e'  qualificabile  come
principio di ordine pubblico, anche in  quanto  posto  a  tutela  del
valore fondamentale  rappresentato  dall'istituto  dell'adozione.  Ma
anche questa ragione di bilanciamento che determina  l'affievolimento
dell'interesse del minore non  si  sottrae  a  una  critica  sotto  i
profili ampiamente esaminati  in  precedenza  della  astrattezza  del
giudizio di prevalenza attribuito al legislatore e della compressione
dei diritti inviolabili  del  minore.  Ne'  appare  rispondere  a  un
criterio di ragionevolezza e proporzionalita' attribuire  al  ricorso
alla maternita' surrogata un  attentato  all'istituto  dell'adozione.
L'attribuzione dello status filiationis nei  confronti  del  genitore
intenzionale non  biologico  dipende,  allo  stesso  modo  di  quanto
avviene  per  la  fecondazione  eterologa,  dalla  attuazione  di  un
progetto genitoriale che appartiene alla  coppia  legata  da  vincolo
matrimoniale. Ne' puo' affermarsi che nell'ordinamento  italiano  sia
presente un principio assoluto di favor adoptionis e anzi  questo  e'
da escludere per  le  coppie  dello  stesso  sesso  cui  e'  preclusa
l'adozione. Per quanto riguarda poi  la  sottrazione  a  un  giudizio
preventivo sull'idoneita' genitoriale il raffronto dell'accesso a una
forma di procreazione medicalmente assistita  con  l'adozione  appare
improprio  perche'  l'idoneita'   genitoriale   e'   attribuita   per
principio,  e   salva   una   verifica   giudiziale   conseguente   a
comportamenti pregiudizievoli per il minore nel corso della relazione
familiare, a  qualsiasi  persona  e  si  estende  necessariamente  al
coniuge per garantire il pieno  inserimento  del  futuro  nato  nella
discendenza e nella  vita  familiare.  Un  tale  giudizio  preventivo
sull'interesse del minore a veder riconosciuto lo status  filiationis
nel nostro ordinamento non e' comunque estraneo  al  procedimento  di
delibazione secondo l'indicazione della  Corte  europea  dei  diritti
dell'uomo che ritiene ineliminabile una  valutazione  caso  per  caso
intesa a verificare la realizzazione in concreto  dell'interesse  del
minore alla trascrizione. 
    Infine, di non minore rilevanza appare  la  lesione  delle  norme
costituzionali che tutelano la vita familiare e l'esplicazione  della
personalita'  nelle  formazioni  sociali.  Disposizioni  che,  per  i
profili  che  qui  interessano,  vengono  sempre  piu'   strettamente
ricollegate dalla Corte costituzionale all'art. 8  della  Convenzione
E.D.U.  e  alla  giurisprudenza  della  Corte  europea.   L'accezione
dell'endiadi «vita privata e familiare» va  intesa  in  senso  ampio,
comprensiva di ogni espressione della personalita' e  dignita'  della
persona ed anche del diritto all'identita' dell'individuo. In  questa
prospettiva   si   e'   sempre   piu'   chiaramente   affermata   una
valorizzazione dei legami familiari secondo i principi di uguaglianza
e di bigenitorialita' affinche' i minori  possano  fruire  pienamente
della relazione genitoriale e i genitori possano entrambi partecipare
a pieno titolo alla cura e alla educazione dei figli  e  ad  adottare
congiuntamente le decisioni piu' importanti che li riguardano. 
    Ora, richiamando quanto sopra esposto circa  il  parere  espresso
dalla Grande Camera il 10 aprile 2019, occorre evidenziare  che  esso
ha valorizzato tali parametri, che  ha  ritenuto  decisivi,  evocando
specificamente il migliore interesse del minore ed il ridotto margine
di apprezzamento riservato ai paesi contraenti in materia,  ribadendo
il carattere sopraordinato del primo e le ragioni  delle  restrizioni
del secondo. A  parere  del  collegio,  tale  ultimo  rilievo  appare
rivestire    un'inequivoca    decisivita'     nell'orientare     ogni
interpretazione del giudice nazionale nel  senso  di  considerare  la
discrezionalita' del singolo Paese come  recessiva  laddove  essa  si
esprima attraverso norme che non garantiscano, come si e'  detto,  la
tutela piena dei diritti del minore alla propria identita'  ma  anche
alla piena fruizione ed espressione  della  propria  vita  familiare.
L'applicazione della sanzione  penale  -  che  la  giurisprudenza  ha
comunque  escluso  per  la  coppia  che  vi  ricorre,  se   praticata
all'estero, anche  in  ordine  al  reato  di  alterazione  di  stato,
previsto dall'art. 567, comma secondo, codice penale  (Cass.  penale,
sezione V n. 13525 del 10 marzo 2016 e Cassazione penale, sezione  VI
n. 48696 del  10  marzo  2016)  -  e  la  predisposizione  di  misure
dissuasive per la sua  elusione  non  puo'  legittimare  altresi'  la
incisione dei rapporti familiari successivi alla condotta sanzionata.
Un limite questo che costituisce un principio generale e fondamentale
dell'ordinamento italiano per come si e'  configurato  attraverso  le
piu'  importanti  riforme  in  materia  familiare  che  hanno  inteso
eliminare qualsiasi discriminazione dei figli in relazione alla  loro
nascita e realizzare una condizione di pari dignita' dei genitori nel
loro rapporto con i figli, finalita' che sono una chiara  espressione
dei valori riconosciuti dalla Costituzione italiana  (articoli  30  e
31) e dalla Unione europea oltre che dalle Convenzioni internazionali
cui l'Italia ha aderito sin dall'immediato dopoguerra, nello  spirito
che attraversa tutta la Costituzione, di piena  adesione  alla  nuova
rilevanza  dei  diritti  umani  anche  nella   sfera   dei   rapporti
internazionali. 
    Il disconoscimento del rapporto di filiazione  nei  confronti  di
uno dei genitori legalmente riconosciuti dall'ordinamento  del  paese
di nascita e di cittadinanza comporta  la  alterazione  dei  rapporti
familiari con  ripercussioni  gravemente  nocive  nei  confronti  del
minore  che  vede  messa  in  discussione  e  negata  la  unicita'  e
inscindibilita'  della  sua  relazione  genitoriale  nello  spazio  e
subisce una grave menomazione ex post della relazione con il genitore
intenzionale e gli effetti negativi di una artificiale situazione  di
disparita'  e  di  potenziale  conflittualita'  fra  coloro  che   ha
percepito come entrambi suoi genitori. In questa  prospettiva  appare
quanto mai pertinente l'utilizzazione nel suddetto parere  consultivo
della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e
delle liberta' fondamentali dell'espressione  «concretizzazione»  del
legame come momento in cui viene in essere  la  irreversibilita'  del
diritto  del  minore  al  pieno   riconoscimento   del   suo   status
filiationis.  In  altri  termini  l'appartenenza  a   una   comunita'
familiare non tollera geometrie variabili in funzioni  del  luogo  in
cui  si  trova  o  andra'  a  vivere  il  minore.  Cio'  che  si   e'
concretizzato deve essere riconosciuto  pienamente  alla  stregua  di
quello che si realizza con la trascrizione dell'atto di  nascita.  Il
margine di discrezionalita' per gli  stati  e'  ampio  per  cio'  che
concerne  la  scelta   delle   modalita'   del   riconoscimento,   ma
estremamente  limitato  per  cio'  che  concerne  il  contenuto   del
riconoscimento  che  deve  essere  effettivo  e  tempestivo  per  non
protrarre la situazione di vulnerabilita' del minore come conseguenza
del mancato riconoscimento immediato. Al riguardo, giova  evidenziare
che l'opzione ermeneutica formulata dalle Sezioni Unite,  secondo  la
quale la pretesa sanzionatoria dello Stato deve prevalere sui diritti
e  sull'interesse  del  bambino,  attraverso  il  filtro  dell'ordine
pubblico,  non  trova  conferma  nella  giurisprudenza  della   Corte
costituzionale che in varie pronunce ha affermato con  chiarezza  che
il disvalore che la legge attribuisce alla condotta dei genitori,  al
punto anche di sanzionarla penalmente, non  puo'  riverberarsi  sulla
condizione  giuridica   del   figlio,   ne'   per   quanto   riguarda
l'accertamento di  status,  ne'  per  quanto  riguarda  le  relazioni
personali. Al riguardo, va  richiamato  qui  quell'importante  filone
giurisprudenziale della Corte costituzionale formatosi in riferimento
agli automatismi legislativi (cfr., ex multis, Corte  costituzionale,
sentenza n. 31 del 2012, e n. 7  del  2013):  esso,  pur  riguardando
ipotesi differenti da quella qui in discussione,  viene  comunque  in
rilievo perche' il giudice delle leggi ha censurato proprio sotto  il
profilo  della   ragionevolezza,   ai   sensi   dell'art.   3   della
Costituzione, congegni normativi che, al pari  di  quello  al  centro
dell'odierna questione, precludono al giudice «ogni  possibilita'  di
valutazione e di bilanciamento, nel caso concreto». 
    Infatti,  con  tali  pronunce   la   Corte   costituzionale   ha,
rispettivamente, escluso che la condanna per il reato di  alterazione
di stato o  di  soppressione  di  stato  giustifichi,  come  sanzione
accessoria, l'automatica decadenza dalla potesta'/responsabilita' dei
genitori,  dovendo  anche  in   tal   caso   il   giudice   valutare,
nell'esclusivo interesse  del  bambino,  l'effettiva  qualita'  della
relazione e l'opportunita' di salvaguardarla. 
    Si pensi, inoltre, nell'ambito del  medesimo  orientamento,  alla
sentenza   n.   494   del   28   novembre   2002,    che    dichiaro'
costituzionalmente illegittimo l'art. 278 del codice civile abr. che,
in ordine all'incesto, impediva le indagini  sulla  paternita'  e  la
maternita'. 
    Puo' dunque dirsi che, in materia di status il legislatore  e  la
giurisprudenza  hanno   definitivamente   abbandonato   ogni   logica
sanzionatoria;  invero,  se  la  tutela  dei  diritti   del   bambino
costituisce fine primario  dell'ordinamento,  allora  essa  non  puo'
essere sacrificata per condannare il comportamento dei  genitori.  Il
fatto che  la  nascita  sia  dovuta  ad  una  condotta  degli  adulti
riprovata dall'ordinamento anche con il  ricorso  a  sanzioni  penali
(l'adulterio, lo stupro, l'incesto, negli  esempi  sopra  riportati),
non impedisce piu' di costituire legalmente lo stato di figlio. 
  Incostituzionalita'  del  divieto  di  trascrizione  dell'atto   di
nascita  in  mancanza  di  un  modo  alternativo  e   conforme   alle
prescrizioni dell'art. 8  C.E.D.U.  di  riconoscimento  dello  status
filiationis. 
    Alla luce di queste considerazioni non  puo'  ritenersi  adeguato
alle prescrizioni del parere consultivo del 9  aprile  2019  il  modo
alternativo di riconoscimento cui fa riferimento la  decisione  delle
Sezioni Unite e cioe' l'adozione ex art. 44, lettera d)  della  legge
n. 184/1983. 
    In primo luogo, va osservato che tale forma di adozione non  crea
un vero rapporto di filiazione ma il riconoscimento di una situazione
affettiva cui attribuisce si' diritti e doveri ma che  nega  comunque
al figlio e all'adottante  il  diritto  a  una  relazione  pienamente
equiparata alla filiazione e pone il genitore non  biologico  in  una
situazione di inferiorita' rispetto al genitore biologico. 
    L'adozione in casi particolari di cui all'art. 44, lettera d) non
crea legami parentali con i congiunti dell'adottante  ed  esclude  il
diritto a succedere nei loro confronti. 
    In sostanza vi e' - sempre che il  procedimento  di  adozione  in
casi  particolari  si  concluda  positivamente   -   una   sorta   di
declassamento (downgrade) della relazione genitoriale e dello  status
filiationis che non puo' legittimarsi in alcun modo  paragonandolo  a
quello del matrimonio fra persone dello stesso sesso in unione civile
previsto  dal  legislatore  del  2016.  In   quest'ultimo   caso   la
riqualificazione   del   rapporto   non   crea   alcuna    arbitraria
discriminazione all'interno del nucleo familiare e preserva  comunque
i diritti e doveri derivanti  per  il  diritto  civile  italiano  dal
matrimonio. Ne' una legittimazione puo' essere ricercata  dall'essere
il vincolo matrimoniale instaurato fra persone  dello  stesso  sesso,
che nel nostro ordinamento non  possono  accedere  alle  tecniche  di
procreazione assistita. La stessa condizione di non  riconoscibilita'
da parte del genitore intenzionale non biologico  riguarda  anche  le
coppie eterosessuali e una ipotetica differenziazione del  regime  di
trascrizione degli atti di nascita sulla base della  eterosessualita'
dei coniugi o della loro  omosessualita'  incontrerebbe  comunque  la
preclusione  nei  principi,  a  cui  si  e'  fatto   riferimento   in
precedenza, di non discriminazione nei confronti  del  minore  e  dei
suoi genitori e nel carattere inviolabile  dei  diritti  fondamentali
del minore alla identita' e alla vita familiare. Ne consegue, allora,
che l'unica giustificazione rinvenibile del diniego di riconoscimento
del provvedimento dello Stato canadese legittimante l'inserimento del
padre d'intenzione nell'atto di nascita del minore e' appunto  quella
di un effetto espansivo  della  sanzione  penale  nei  confronti  del
minore e del genitore intenzionale non biologico, ma si tratta di una
giustificazione della quale  ci  si  e'  ampiamente  occupati  sinora
evidenziando  il  suo  conflitto   con   le   norme   costituzionali,
convenzionali e internazionali. 
    Per altro verso, l'istituto non corrisponde  al  requisito  della
tempestivita'  trattandosi  di  un  procedimento  finalizzato  ad  un
provvedimento che richiede un lungo e complesso  iter  processuale  e
decisionale perche' non consiste in una delibazione di una  pronuncia
giurisdizionale straniera che, se  pure  effettuata  con  riferimento
all'interesse superiore  del  minore  e  quindi  con  una  attenzione
specifica al caso concreto, comporta come esito finale il recepimento
di uno status gia' codificato in una statuizione  giurisdizionale  da
dichiarare  efficace  nel  nostro  ordinamento.  Il  procedimento  di
adozione e' invece finalizzato a  una  creazione  di  una  situazione
soggettiva ad hoc e specificamente propria  del  nostro  ordinamento.
Pertanto, tale procedimento comporta una articolazione e complessita'
decisamente superiore rispetto al procedimento di delibazione di  una
sentenza straniera, esponendo pertanto il minore a un  lungo  periodo
di  incertezza  giuridica  sulla  propria  condizione   personale   e
determinando una preclusione o, comunque, una serie di ostacoli gravi
all'esercizio della responsabilita' genitoriale da parte del genitore
intenzionale che la richiede. 
    Inoltre, l'adozione in casi particolari ex art. 44, lettera d) e'
soggetta alla volonta' del genitore intenzionale di adire l'autorita'
giudiziaria italiana per richiederla e quindi lascia  aperta  la  sua
possibilita' di  sottrarsi  all'assunzione  di  responsabilita'  gia'
manifestata e legittimata nel paese in cui il minore e' nato; ipotesi
questa che potra' verificarsi specificamente nel caso di crisi  della
coppia genitoriale. Piu' grave e', per  altro  verso,  la  condizione
inversa e cioe' la soggezione dell'adozione ex art.  44,  lettera  d)
all'assenso all'adozione da parte del genitore biologico che potrebbe
venir  meno  in  caso  di  separazione  o  divorzio,  ma   anche   di
sopravvenuto decesso. 
    In definitiva, il collegio  non  ritiene  esistenti  nel  sistema
normativo italiano attuale  istituti  che  consentano  una  forma  di
riconoscimento del legame di filiazione alternativa alla trascrizione
dell'atto  di  nascita  o   al   riconoscimento   del   provvedimento
giurisdizionale straniero che instauri il legame di filiazione  anche
con il genitore intenzionale non biologico nei confronti  del  minore
nato mediante ricorso all'estero alla pratica  della  gestazione  per
altri. Conformemente alla ratio sottesa al  parere  consultivo  della
Corte europea dei diritti  dell'uomo  sembra  potersi  affermare  che
l'istituto  dell'adozione  in  casi   particolari   potrebbe   semmai
costituire una forma di tutela del rapporto affettivo insorto con  il
genitore  intenzionale  nei  casi  particolari  in   cui   il   pieno
riconoscimento dello status filiationis non si dimostri concretamente
rispondente all'interesse del minore. 
    Anche sotto  questo  profilo  relativo  al  deficit  di  istituti
alternativi vanno  pertanto  sollevate  le  precedenti  questioni  di
legittimita'  costituzionale.  In  definitiva,  le  valutazioni   che
precedono inducono a prospettare al giudice delle leggi la  questione
di legittimita' costituzionale degli  articoli  12,  comma  6,  della
legge n. 40 del 2004, 64, comma 1, lettera g), della legge n. 218 del
1995 e 18 del decreto del Presidente  della  Repubblica  n.  396/2000
(che vieta la trascrizione negli atti dello stato civile  degli  atti
formati all'estero  se  contrari  all'ordine  pubblico),  perche'  in
contrasto con gli articoli 2, 3, 30, 31 e 117, comma 1 - in relazione
all'art. 8  CEDU  -  della  Costituzione,  se  interpretati,  secondo
l'attuale conformazione del diritto vivente, come impeditivi, in  via
generale e senza valutazione concreta  dell'interesse  superiore  del
minore, della trascrizione dell'atto di nascita legalmente costituito
all'estero di un bambino nato mediante  gestazione  per  altri  nella
parte in cui esso attesta la filiazione dal genitore intenzionale non
biologico,  specie  se  coniugato  con   il   genitore   intenzionale
biologico.  
 
                               P.Q.M. 
 
    Letti gli articoli-134 e 137 della Costituzione,  1  della  legge
costituzionale  9  febbraio  1948,  n.  1,  e  art.  23  della  legge
costituzionale 11 marzo 1953, n. 87. 
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 12, comma 6, della legge n.  40
del  2004,  degli  articoli  18  del  decreto  del  Presidente  della
Repubblica n. 396/2000, e 64, comma 1, lettera g), legge n. 218/1995,
nella parte in cui non consentono, secondo l'interpretazione  attuale
del diritto vivente,  che  possa  essere  riconosciuto  e  dichiarato
esecutivo, per contrasto  con  l'ordine  pubblico,  il  provvedimento
giudiziario straniero relativo  all'inserimento  nell'atto  di  stato
civile di un minore procreato con le modalita' della  gestazione  per
altri (altrimenti detta  «maternita'  surrogata»)  del  cd.  genitore
d'intenzione non biologico, per contrasto con gli articoli 2, 3,  30,
31, 117, comma 1, della Costituzione, quest'ultimo in relazione  agli
articoli 8 della Convenzione europea per la  protezione  dei  diritti
umani e delle liberta' fondamentali,  2,  3,  7,  8,  9  e  18  della
Convenzione 20 novembre 1989 delle  Nazioni  Unite  sui  diritti  dei
minori, ratificata in Italia con legge n. 176 del 27  maggio  1991  e
dell'art.  24  della  Carta  dei  diritti  fondamentali   dell'Unione
europea. 
    Dispone che la presente ordinanza sia notificata alle  parti,  al
Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata al Presidente  del
Senato e al Presidente della Camera dei deputati. 
    Dispone che, all'esito, il fascicolo  sia  trasmesso,  unitamente
alla prova delle eseguite notificazioni e comunicazioni,  alla  Corte
costituzionale. 
    Dispone che sia omessa l'indicazione dei nominativi  e  dei  dati
identificativi delle parti. 
    Sospende il giudizio. 
    Dispone che sia omessa l'indicazione dei nominativi  e  dei  dati
identificativi delle parti. 
    Sospende il giudizio. 
        Cosi' deciso  in  Roma,  nella  Camera  di  consiglio  del  5
dicembre 2019. 
 
                       Il Presidente: Bisogni 
 
 
                                       Il giudice relatore: Caiazzo