N. 105 ORDINANZA (Atto di promovimento) 16 dicembre 2019
Ordinanza del 16 dicembre 2019 emessa dalla Camera Arbitrale presso l'Autorita' Nazionale Anticorruzione - ANAC sul ricorso proposto da Centria srl c/Comuni di Figline e Incisa Valdarno, Cavriglia e Montevarchi . Energia - Attivita' di distribuzione di gas - Avviamento della procedura di gara - Interpretazione nel senso che il gestore uscente resta obbligato, oltre che alla prosecuzione della gestione del servizio fino alla data di decorrenza del nuovo affidamento, al pagamento del canone di concessione previsto dal contratto. - Legge 11 dicembre 2016, n. 232 (Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2017 e bilancio pluriennale per il triennio 2017-2019), art. 1, comma 453.(GU n.37 del 9-9-2020 )
CAMERA ARBITRALE per i contratti pubblici lodo parziale Il Collegio arbitrale composto dai signori: Prof. Avv. Fiorenzo Liguori - Presidente; Avv. Elisa Burlamachi - Arbitro; Prof. Avv. Luca Righi - Arbitro; costituito per la risoluzione della controversia tra: Centria s.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall'avv. Stefano Ferla, con domicilio eletto in Milano, largo Quinto Alpini, n. 12; e Comuni di Figline e Incisa Valdarno, Cavriglia e Montevarchi, in persona dei rispettivi legali rappresentanti p.t., rappresentati e difesi dall'avv. Giovanni Calugi, con domicilio eletto in Firenze, via Giulio Capponi, n. 26; Ha emesso il seguente lodo Fatto Con atto introduttivo di arbitrato in data 23.2.2018, la Societa' A.R.L. Centria, ai sensi della clausola compromissoria contenuta nell'art. 23 del contratto del 17.9.2002, stipulato da essa societa' con i Comuni di Montevarchi, Caviglia, Figline e Incisa valdarno designava in seno al costituendo Collegio arbitrale quale proprio arbitro l'avv. Luca Nanni ed invitava i suddetti Comuni a provvedere alla designazione dell'arbitro di propria competenza. Con lo stesso atto, dopo avere esposto le vicende del contratto del 17.9.2002, avente ad oggetto l'affidamento in concessione del servizio di distribuzione del gas naturale, formulava le seguenti conclusioni: in via principale, accertare e dichiarare che Centria non e' tenuta a riconoscere ai Comuni convenuti il canone di concessione previsto all'art. 6 del contratto rep. N. 304 del 17.9.2002, dopo la scadenza del contratto stesso (30.9.2014) o, al piu' tardi, trascorso un anno da predetta scadenza (30.9.2015). In via subordinata, accertare e dichiarare il diritto di Centria a rideterminare il canone di cui all'art. 6 del citato contratto con decorrenza dalla scadenza o, al piu' tardi, con decorrenza da un anno oltre la scadenza e con riferimento alla fase di gestione ope legis del servizio ex art. 14, c. 7, d.lgs. n. 164/2000, al fine di rispettare l'equilibrio economico-giuridico complessivo con gli enti locali convenuti, in coerenza con il regime gestionale ope legis limitato alla ordinaria amministrazione e con quanto stabilito, in aderenza ai principi generali e di settore, dall'art. 5, c. 5, del contratto tipo approvato con d.m. 5.2.2013, nonche' conformemente alle norme e ai principi richiamati nel presente atto e ad ogni altro eventuale criterio che potra' essere enucleato nel corso della presente procedura; in ogni caso, determinare la misura del canone spettante agli enti affidanti nella fase di gestione ope legis del servizio, anche previa apposita C.T.U., nel rispetto dell'equilibrio giuridico-economico del rapporto complessivo con detti enti e in coerenza con il regime di gestione limitata all'ordinaria amministrazione e con quanto stabilito dal contratto tipo di cui al citato d.m., nonche' conformemente alle norme e ai principi richiamati e ogni altro eventuale criterio che potra' essere enucleato nel corso della procedura arbitrale. I Comuni di Montevarchi, Cavriglia, Figline e Incisa Valdarno, con atto datato 15.3.2018, provvedevano alla designazione dell'arbitro di loro competenza nella persona del Prof. Avv. Luca Righi, formulando le seguenti conclusioni: in via preliminare, dichiarare l'inefficacia sopravvenuta e/o la nullita' della clausola compromissoria contenuta nell'art. 23 del contratto inter partes, e quindi l'incompetenza del Collegio Arbitrale a decidere la controversia; in ipotesi impugnata di rigetto dell'eccezione di incompetenza, respingere le domande formulate da Centria in quanto infondate in fatto e in diritto e respingere l'istanza istruttoria formulata da Centria in quanto inutile al fine di decidere. In via riconvenzionale, veniva richiesta la condanna di Centria al pagamento del canone contrattuale nella sua quota fissa e nella sua quota variabile, previo ordine a Centria S.r.l. di fornire ai Comuni i dati relativi al valore della produzione detratto il costo di acquisto del gas per l'anno 2017, ripartito in relazione al territorio di ciascun Comune. La Centria S.r.l. provvedeva alla designazione di un diverso arbitro, nella persona dell'Avv. Elisa Burlamacchi, ed il Consiglio della Camera Arbitrale per i contratti pubblici presso l'ANAC provvedeva, nella seduta del 17.10.2018, a nominare il Collegio arbitrale nelle persone: del Prof. Avv. Fiorenzo Liguori, terzo arbitro con funzioni di Presidente, dell'Avv. Elisa Burlamacchi, Componente, designato da Centria S.r.l.; e del Prof. Avv. Luca Righi, Componente, designato dai Comuni. Intervenuta l'accettazione della nomina, il Collegio si costituiva in data 5.2.2019 presso la Camera Arbitrale, sede del Collegio, ed assegnava alle parti un doppio termine per il deposito di memorie e documenti. Le parti provvedevano al deposito di una prima memoria e di memorie di replica entrambe con corredo documentale. In sede di prima memoria, Centria provvedeva a riformulare le sue conclusioni nei termini che seguono: in via principale, accertare e dichiarare l'insussistenza dell'obbligo di Centria S.r.l. di corrispondere ai Comuni convenuti il canone di concessione nella medesima misura prevista dall'art. 6 del contratto inter partes, per tutto il periodo di gestione ope legis intercorrente tra la scadenza del suddetto contratto e la decorrenza del nuovo affidamento; dichiarare conseguentemente infondata e rigettare la domanda riconvenzionale proposta dai Comuni; accertare e dichiarare che il canone spettate ai Comuni convenuti nella fase di gestione ope legis dopo la scadenza della concessione deve essere determinato sulla base di quanto previsto dalla disciplina di settore, ovvero comunque sulla base dei principi in materia di regolazione tariffaria affermati dall'Autorita' di regolazione del settore, secondo il criterio della remunerazione del capitale investito, riconosciuto dalla regolazione tariffaria per la parte di impianto degli enti concedenti, salva ogni precisazione in fase istruttoria e tenendo conto dei dedotti ulteriori fattori di alterazione del sinallagma contrattuale; accertare conseguentemente, previa apposita C.T.U., la misura del canone spettante ai Comuni nella fase di gestione ope legis del servizio. In subordine, nell'ipotesi in cui il Collegio non ritenga di poter interpretare l'art. 1, c. 453, legge n. 232/2016 in conformita' del diritto comunitario e delle norme costituzionali, si e' chiesta la disapplicazione della suddetta interpretazione per illegittimita' comunitaria e la rimessione alla Corte costituzionale della questione di legittimita' della medesima disposizione. In via ulteriormente subordinata, per l'ipotesi in cui fosse ritenuta legittima ed efficace la proroga delle condizioni attuali, si e' chiesto di accertare il diritto di Centria a rideterminare il suddetto canone e l'obbligo dei Comuni di rinegoziarlo al fine di rispettare l'equilibrio economico-giuridico del rapporto complessivo con i medesimi Comuni in forza della legge o dell'accordo inter partes. In via istruttoria, si e' chiesto di disporre C.T.U. ai fini della determinazione del canone annuo spettante ai Comuni convenuti nella fase di gestione ope legis del servizio in applicazione dei criteri indicati e previa ogni specificazione ritenuta opportuna o necessaria. All'udienza del 16.4.2019, esperito senza risultato il tentativo di bonario componimento, i difensori delle parti procedevano alla trattazione orale della controversia all'esito della quale il Collegio si riservava la decisione. Con lodo non definitivo sottoscritto in data 26-27 settembre 2019 il Collegio ha dichiarato la propria competenza a decidere la controversia, rinviando ogni altra statuizione e prorogando di 180 giorni il termine per la pronuncia. Diritto 1. Centria ha proposto il giudizio allo scopo di fare accertare l'infondatezza della pretesa dei Comuni a percepire lo stesso canone di concessione previsto dal contratto di affidamento. Secondo Centria una tale pretesa - benche' appaia ad un primo esame del tutto coerente con le disposizioni dell'articolo 3 dell'accordo del 14.11.2014 e dell'articolo 14, co. 7, d.lgs. n. 164 del 2000, come autenticamente interpretato dall'art. 1, co. 453, l. n. 232 del 2016 - sarebbe incompatibile con i vincoli di diritto comunitario in materia di contratti pubblici, e tale contrasto renderebbe nulla la proroga quinquennale di cui all'accordo del 14.11.2014. La pretesa dei Comuni di ottenere il canone originariamente previsto anche per tutto il tempo della proroga sarebbe inoltre, secondo Centria, in grado di alterare l'equilibrio giuridico economico riconducibile al contratto di concessione, frutto di una offerta calibrata sulla durata dodicennale della gestione (oltre ad un eventuale anno di proroga tacita). L'attrice, dunque, invoca l'interpretazione conforme al diritto comunitario e alle norme costituzionali delle disposizioni in tema di proroga, le quali diversamente contrasterebbero con i vincoli comunitari e costituzionali nella parte in cui impongono la permanenza del canone originario, e chiede che venga accertato, previa C.T.U., il giusto canone da corrispondere ai Comuni sulla base di quanto previsto dalla disciplina di settore ovvero dei principi in materia tariffaria secondo il criterio della remunerazione del capitale investito e tenendo conto degli ulteriori fatti di alterazione dell'equilibrio dei rapporti tra le parti (sopravvenuta esclusione dell'attivita' di vendita, impossibilita' di procedere ad un piano di investimenti nel tempo della gestione prorogata, andamento tariffario restrittivo, inidoneita' del canone originario a consentire il recupero degli investimenti operati dal gestore). In via subordinata, qualora cioe' l'interpretazione conforme proposta non fosse praticabile, Centria chiede la disapplicazione dell'art. 1, co. 453, 1. n. 232 del 2016 per illegittimita' comunitaria e la rimessione alla Corte costituzionale della questione di legittimita' costituzionale di tale disposizione. Infine, in via ulteriormente subordinata, Centria chiede che, qualora il Collegio ritenga legittima ed efficace la proroga delle condizioni contrattuali relative al canone, venga comunque accertato il suo diritto alla rideterminazione del canone e l'obbligo dei Comuni di rinegoziarlo al fine di rispettare l'equilibrio giuridico economico complessivo. Quanto alla domanda di Centria di accertamento dell'infondatezza della pretesa dei Comuni a vedersi corrisposto il medesimo canone originariamente previsto anche per tutto il tempo (cinque anni di gestione in proroga) il Collegio osserva che siffatta pretesa trova la sua fonte negoziale nell'accordo sottoscritto dalle parti in data 14.11.2014. Ai sensi dell'articolo 3 di' tale accordo contrattuale, Centria si impegnava a "continuare la gestione del pubblico servizio di distribuzione del gas nei territori comunali - come imposto dall'articolo 14, co. 7, d.lgs. n. 164 del 2000 - adempiendo a tutti gli obblighi dell'impresa di distribuzione previsti dalla normativa di settore e mantenendo in essere le medesime obbligazioni e garanzie ordinate nella concessione originaria". Il patto e' intervenuto prima della norma di interpretazione autentica e ne ha anticipato il contenuto chiarificatore nell'ambito del rapporto tra le parti, essendo evidente che tra le "medesime obbligazioni" non puo' non rientrare il pagamento del canone originario pattuito. L'articolo 14, comma 7, del decreto legislativo n. 164 del 2000, prevede che "il gestore uscente resta comunque obbligato a proseguire la gestione del servizio limitatamente all'ordinaria amministrazione, fino alla data di decorrenza del nuovo affidamento". L'applicazione di questa disposizione aveva in un primo tempo dato vita ad un contenzioso promosso da concessionari che sostenevano di non essere tenuti, essendo venuto meno il rapporto contrattuale originario, a corrispondere ai concedenti il canone previsto dal contratto. Dopo qualche oscillazione giurisprudenziale, presero partito sulla questione prima la AEEGSI con il comunicato del 19.5.2016 (ove si legge che "il silenzio normativo in punto di canone per l'affidamento non pare di per se' sufficiente ad escludere l'obbligo di pagamento del medesimo canone") e poi decisivamente il legislatore, con la disposizione di interpretazione autentica dettata dall'articolo 1, co. 453,1. n. 232 del 2016, secondo la quale "l'articolo 14 comma 7 del decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 164, si interpreta nel senso che il gestore uscente resta obbligato al pagamento di canone di concessione previsto dal contratto". Tanto chiarito in via generale, occorre dare atto che nella specie siamo in presenza di un patto contrattuale espresso che obbliga al pagamento del canone previsto in origine per tutta la durata della proroga, con una disposizione (pienamente conforme alla previsione legislativa di interpretazione autentica appena citata) che si e' voluto inserire in un accordo stipulato per superare la durata annuale della proroga originariamente prevista (art. 18) disciplinando il rapporto in termini espliciti anche sulla questione dubbia del canone. In una tale situazione, nella quale e' intervenuta prima ancora della disposizione di interpretazione autentica una proroga espressa alle stesse condizioni dettate dal contratto originariamente stipulato (per il principio che la proroga debba necessariamente intervenire alle medesime condizioni originarie, cfr. Cons. Stato, sez. III, 2.3.2018, n. 1337), il Collegio ritiene che non resti altro da esaminare al riguardo, se non le deduzioni di Centria relative alla prospettata nullita' della proroga negoziale nonche' alla ipotizzata incompatibilita' della legge nazionale con il diritto eurounitario e con le norme costituzionali. Quanto al primo profilo, e cioe' alla pretesa nullita' dell'accordo del 2014, il Collegio ritiene che l'eventuale contrasto con la disciplina eurounitaria non possa essere ascritto alla categoria della nullita'. Le ipotesi di nullita', infatti, costituiscono un numerus clausus, e devono essere pertanto espressamente previste e tipizzate come tali, laddove le altre ipotesi di non conformita' a disposizioni di legge sono destinate a confluire nella categoria generale dell'annullabilita'. Il collegio ricorda a riguardo che la comminatoria di nullita' del rinnovo (tacito) dei contratti pubblici era in effetti dettata dall'articolo 6 della legge 24 dicembre 1993, n. 537. Una tale comminatoria non e' stata pero' riproposta dalle disposizioni successive in tema di proroga, ed anzi risulta abrogata dall'art. 256, d.lgs. n. 163 del 2006. La proroga resta una situazione guardata con sfavore anche dal legislatore nazionale e rigorosamente circoscritta alle ipotesi di transizione da un affidamento con gara all'altro, e tuttavia difetta una espressa comminatoria di nullita' per le ipotesi di abuso dello strumento. Dunque le deliberazioni dei Comuni convenuti che hanno disposto in tal senso e che precedono l'accordo negoziale del 14.11.2014 avrebbero dovuto essere impugnate, ove ritenute illegittime, entro il termine di decadenza. Anche a prescindere da ogni considerazione sulla problematica configurabilita' di una posizione di interesse in capo a chi si e' giovato di una proroga che (ora) ritiene illegittima, e' sufficiente constatare che nessuna impugnativa e' stata da Centria prodotta e pertanto l'accordo e gli atti ad esso preordinati sono pertanto diventati inoppugnabili. L'attrice del resto prospetta una ipotesi di nullita' per violazione del diritto comunitario che, alla luce di una giurisprudenza ormai consolidata, si deve ritenere inconfigurabile, come conferma anche l'articolo 21-septies della 1.n. 241 del 90 che non include tra le ipotesi di nullita' tassativamente previste la violazione del diritto comunitario. In passato si era invero discusso se una ipotesi di nullita' potesse essere costituita dagli atti adottati dall'amministrazione in applicazione di norme nazionali contrastanti con il diritto europeo. Dopo qualche originaria oscillazione e', come si e' detto, prevalso l'orientamento che qualifica un atto siffatto come semplicemente annullabile, come annullabili sono, a livello europeo, anche gli atti emanati in violazione dei Trattati. L'eventuale violazione del diritto europeo implica dunque un vizio di legittimita' con conseguente annullabilita' dell'atto amministrativo con esso contrastante. Da cio' discendono due conseguenze fondamentali: sul piano processuale, vi e' l'onere di produrre l'impugnativa entro il termine di decadenza, mentre su quello sostanziale si configura l'obbligo per l'amministrazione di dare corso all'applicazione dell'atto, fatto salvo l'esercizio del potere di autotutela (Cons. Stato, sez. VI. 31.3.2011. n. 1983). L'accordo e gli atti amministrativi che lo hanno approvato sono dunque divenuti inoppugnabili e pertanto la disciplina negoziale contenuta dispiega piena efficacia tra le parti. 2. La difesa dell'impresa attrice invoca l'interpretazione conforme al diritto comunitario e alle norme costituzionali della disposizione di interpretazione autentica in questione. Al riguardo il Collegio ritiene che l'inequivocabile portata letterale della norma impedisca ogni sforzo interpretativo del tipo di quelli proposti nelle difese di Centria. Centria chiede anche, in via subordinata, qualora l'interpretazione conforme da essa proposta non fosse ritenuta praticabile, la disapplicazione dell'art. 1, co. 453, 1. n. 232 del 2016 per illegittimita' comunitaria e la rimessione alla Corte costituzionale della questione di legittimita' costituzionale di tale disposizione sollevata sotto molteplici e concatenati profili. Il Collegio osserva preliminarmente che in caso di "doppio contrasto" di una disposizione nazionale - con i principi costituzionali e le norme di diritto europeo - secondo l'orientamento piu' recente della Corte costituzionale (sent. 269 del 2017) la questione deve essere rimessa in primo ordine dinanzi alla Corte nazionale, dando cosi' valore al giudizio condotto su parametri interni. Il Collegio osserva altresi' che la natura pattizia delle obbligazioni assunte da Centria, peraltro in epoca precedente di circa due anni rispetto all'emanazione della disposizione di interpretazione autentica, rendono irrilevanti, ai fini della decisione circa la sussistenza dell'obbligo di corrispondere il canone per i primi cinque anni, le eccezioni di incostituzionalita' mosse nei confronti dell'art. 1, co. 453, l. n. 232 del 2016. Centria tuttavia ha proposto l'azione di accertamento anche con riguardo al tempo successivo al termine di scadenza della proroga pattizia: di conseguenza le molteplici questioni di costituzionalita' poste assumono rilevanza ai fini della decisione della domanda di accertamento con riferimento al periodo successivo alla vigenza quinquennale dell'accordo del 14.11.2014. Proprio in ragione di una tale proiezione temporale, sembrano al Collegio rilevanti e non manifestamente infondati i prospettati dubbi di legittimita' costituzionale dell'art. 1, co. 453, della l. n. 232 del 2016, nella parte in cui la disposizione investe le problematiche relative alla potenzialmente illimitata durata della gestione ex lege del servizio, con particolare riferimento alla violazione degli articoli 3 e 97 della Costituzione. Se infatti la fonte pattizia dell'obbligo di garantire la prosecuzione del servizio copre i primi cinque anni di gestione, rendendo irrilevanti gli effetti della disposizione sospettata di incostituzionalita', la prosecuzione del rapporto per il tempo successivo a tale periodo e la relativa disciplina trovano la loro fonte esclusivamente nella legge. Il profilo emerge anche dall'esame degli orientamenti dei Tribunali di merito, che se in qualche caso hanno ritenuto che la norma di interpretazione autentica conferma l'opzione interpretativa a favore dell'ultrattivita' dell'intera concessione-contratto, e non esclusivamente della sola obbligazione negoziale di pagamento del canone, sicche' non e' fondato sostenere che "proseguono solo gli obblighi ma non i diritti" (Trib. Bergamo, sez. III, 22 febbraio 2017, n. 452), in qualche altro affermano che tale disposizione, attesa l'assenza di un termine oltre il quale l'adempimento degli obblighi contrattuali debba interrompersi, costituirebbe una proroga di fatto a tempo indeterminato, incidendo negativamente sui principi di certezza del diritto e di legittimo affidamento (Trib. Lucca, 30 settembre 2019, n. 2546). Pare dunque al Collegio profilabile il contrasto dell'art. 1, co. 453, 1. n. 232 del 2016, con i principi di ragionevolezza e di certezza del diritto, nonche' di legittimo affidamento del gestore del servizio, alla luce della considerazione che l'impresa non poteva prevedere di dover corrispondere il medesimo canone anche una volta scaduto il termine quinquennale. Con riferimento alla violazione del canone di ragionevolezza, che ha assunto un connotato conformativo rispetto ad ogni parametro costituzionale, la disposizione sembra essere anche incongrua e inadeguata rispetto al fine che intende perseguire (Corte cost. n. 43 del 1997), rinvenibile come si e' detto nella prosecuzione della gestione del servizio per il tempo strettamente necessario all'espletamento della nuova procedura ad evidenza pubblica. Applicando in concreto la disposizione, l'impresa resta obbligata ad una illimitata gestione del servizio non piu' per sua scelta volontaria ma per il protrarsi oltre ogni ragionevole previsione della situazione di stallo sul fronte delle nuove procedure di affidamento. La gestione ex lege risulta, peraltro, espressamente limitata all'ordinaria amministrazione e come tale appare, almeno potenzialmente, meno vantaggiosa per il gestore. La dilatazione degli impegni assunti oltre il termine pattizio va ben al di la' di quanto era ragionevole prevedere, non solo al momento di formulazione dell'offerta ma, cio' che qui rileva, al momento della sottoscrizione dell'accordo del 14.11.2014. Avendo riguardo, in particolare, ai profili di illegittimita' costituzionale per violazione dei principi di certezza del diritto e di tutela del legittimo affidamento, viene in rilievo anche la giurisprudenza sulla ammissibilita' della legge di interpretazione autentica, la quale - come e' stato chiarito - puo' dirsi costituzionalmente legittima, qualora abbia lo scopo di chiarire «situazioni di oggettiva incertezza del dato normativo», in ragione di «un dibattito giurisprudenziale irrisolto», o di «ristabilire un'interpretazione piu' aderente alla originaria volonta' del legislatore [...] a tutela della certezza del diritto e dell'eguaglianza dei cittadini, cioe' di principi di preminente interesse costituzionale» (sentenza n. 78 del 2012). Essa deve, tuttavia, anche rispettare una serie di limiti «attinenti alla salvaguardia, oltre che dei principi costituzionali, anche di altri fondamentali valori di civilta' giuridica, posti a tutela dei destinatari della norma e dello stesso ordinamento, tra i quali vanno ricompresi il rispetto del principio generale di ragionevolezza [...]; la tutela dell'affidamento legittimamente sorto nei soggetti quale principio connaturato allo Stato di diritto; la coerenza e la certezza dell'ordinamento giuridico; il rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario (sentenza n. 209 del 2010)» (Corte cost., n. 308 del 2013). Nella specie, sebbene l'art. 1, co. 453,1. n. 232 del 2016 abbia inteso chiarire una situazione di incertezza determinata dall'art. 14, co. 7, d.lgs. n. 164 del 2000, la stessa disposizione sembra porsi in contrasto con i principi di sicurezza dei rapporti giuridici e di legittimo affidamento dell'operatore economico. Secondo l'orientamento consolidato della Corte costituzionale, non sembra decisivo verificare se la norma censurata abbia carattere effettivamente interpretativo (e sia percio' retroattiva) ovvero sia innovativa con efficacia retroattiva, quanto piuttosto accertare se la retroattivita' della legge "trovi adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza, di tutela del legittimo affidamento e di certezza delle situazioni giuridiche, atteso che essa si limita ad assegnare alla disposizione interpretata un significato riconoscibile come una delle possibili letture del testo originario" (Corte cost., n. 78 del 2012; Corte cost., 93 del 2011). Con riferimento ai rapporti di durata - come quello oggetto del presente giudizio - la Corte ha stabilito che la nuova disciplina debba essere valutata sotto il profilo della razionalita', in modo che non sia leso l'affidamento del privato nella certezza giuridica (Corte cost., n. 525 del 2000). A ben vedere, in questo caso l'art. 1, co. 453, 1. n. 232 del 2016, nella parte in cui non prevede un termine di durata dello svolgimento del servizio, comporta il rischio di una sua protrazione illimitata agli stessi patti e condizioni originari, che l'impresa ha ritenuto di poter rispettare soltanto per un periodo limitato, ancorche' da essa stessa consapevolmente prorogato per cinque anni. La potenzialmente illimitata protrazione della proroga e' appunto conseguenza dell'interpretazione autentica operata da una norma che non prevedendo neppure, come talvolta accade, il richiamo alla formula del "termine ragionevole", o della "ragionevole durata" per lo svolgimento "ultrattivo" del servizio, pare contrastare con l'affidamento legittimo degli operatori economici e le esigenze di certezza dei rapporti giuridici. L'inerzia della pubblica amministrazione, o comunque i ritardi e le inadempienze che non hanno consentito ancora di bandire la gara, non possono del resto ragionevolmente essere "scaricati" sull'imprenditore che abbia avuto la ventura di aggiudicarsi il servizio in una epoca diversa e con condizioni diverse, ne' tantomeno sugli operatori economici che - nonostante sia ormai decorso il termine quinquennale di proroga - attendono l'indizione di una nuova procedura di gara per l'affidamento del servizio. Sotto questo ultimo profilo, l'art. 1, co. 453, 1. n. 232 del 2016, oltre a presentare dei profili di illegittimita' costituzionale per violazione dell'art. 3 Cost. in relazione alla evidente tensione della disposizione con il parametro di ragionevolezza, sembra porsi in contrasto anche con l'art. 97 Cost., in tema di buon andamento nell'organizzazione e nell'attivita' amministrativa.
P.Q.M. Il Collegio arbitrale istituito presso la Camera Arbitrale dell'ANAC, Visti gli artt. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 819-bis, co. 3, c.p.c., ritenuta la rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, co. 453, della legge n. 232 del 2016, in relazione agli articoli 3 e 97 della Costituzione, sospende il giudizio e trasmette gli atti, a cura della Segreteria, alla Corte costituzionale. Ordina che la presente ordinanza sia notificata, a cura della Segreteria della Camera Arbitrale, a tutte le parti in causa ed al Presidente del Consiglio dei Ministri e che sia comunicata al Presidente del Senato della Repubblica ed al Presidente della Camera dei deputati. Ai sensi e per gli effetti dell'art. 819-bis, co. 3, c.p.c., fissa in 30 giorni dal deposito della decisione della Corte costituzionale il termine per il deposito dell'istanza di prosecuzione del giudizio. Cosi' deciso in Roma, nelle Camere di Consiglio del 17.9.2019 e del 16.12.2019. Il Presidente: Liguori Arbitri: Burlamacchi-Righi