N. 106 ORDINANZA (Atto di promovimento) 2 maggio 2020
Ordinanza del 2 maggio 2020 del Tribunale di Brescia nel procedimento civile promosso da Sultana Razia c/Istituto nazionale della previdenza sociale - Inps e Comune di San Zeno Naviglio.. Assistenza e solidarieta' sociale - Straniero - Reddito di inclusione (ReI) - Requisiti di residenza e di soggiorno - Previsione per i richiedenti, cittadini di paesi terzi, del possesso del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo. - Decreto legislativo 15 settembre 2017, n. 147 (Disposizioni per l'introduzione di una misura nazionale di contrasto alla poverta'), art. 3, comma 1, lettera a), numero 1).(GU n.37 del 9-9-2020 )
IL TRIBUNALE DI BRESCIA Sezione Lavoro Il Giudice del lavoro, dott. Maurizio Giuseppe Ciocca, nel procedimento introdotto ai sensi dell'art. 28 decreto legislativo n. 150/2011 da Sultana Razia con l'Avv. Guariso Alberto e l'Avv. Neri Livio, parte elettivamente domiciliata presso lo studio dei difensori in Milano, viale Regina Margherita n. 30 - Ricorrente; Contro I.N.P.S. con l'Avv. Mineo Alessandro, parte elettivamente domiciliata presso l'Avvocatura distrettuale dell'Ente in Brescia, via Bulloni n. 14; Comune di San Zeno Naviglio, con l'Avv. Lazzaroni Francesco e l'Avv. Raineri Paola, parte elettivamente domiciliata presso lo studio dei difensori in Montirone (BS), via del Palazzo n. 34 - Resistenti; Letti gli atti, esaminati i documenti, a scioglimento della riserva assunta in data 6 dicembre 2019, osserva In Fatto Con ricorso ex art. 702-bis codice di procedura civile depositato telematicamente il 22 febbraio 2019, Razia Sultana conveniva in giudizio I.N.P.S. e il Comune di San Zeno Naviglio innanzi al Tribunale di Brescia, sez. Lavoro, promuovendo un'azione civile contro la discriminazione ex art. 28 decreto legislativo n. 150/2011. Nel dettaglio, la ricorrente esponeva di essere una cittadina pakistana, titolare di un permesso di soggiorno per motivi di famiglia, e precisava di essere giunta in Italia nel corso del 2010 per ricongiungersi al marito, gia' titolare dello status di rifugiato. La parte deduceva altresi' che la coppia aveva avuto cinque figli, tre dei quali nati sul territorio italiano, e rappresentava che il coniuge aveva potuto fruire della misura del sostegno per l'Inclusione attiva da novembre 2017 ad agosto 2018. Razia Sultana allegava inoltre di essere rimasta vedova nel corso del mese di ottobre 2018 e di essersi successivamente rivolta al Comune di San Zeno Naviglio, ove risiedeva, al fine di conoscere se vi fosse la possibilita' di continuare a beneficiare della provvidenza in precedenza erogata in favore del marito. Ricevuta risposta negativa al riguardo, in data 14 gennaio 2019, la ricorrente presentava domanda per l'accesso al differente istituto del Reddito di inclusione, cui era seguito un diniego opposto dall'Ente locale per mancanza del titolo di soggiorno richiesto. Tanto premesso, la parte illustrava i presupposti e il contenuto di tale misura nazionale di contrasto alla poverta', disciplinata dal decreto legislativo n. 147/2017 in attuazione della delega conferita dall'art. 1, comma 1, lettera a), legge n. 33/2017, e si doleva della illegittimita' della previsione che imponeva, ai cittadini di Stati non appartenenti all'Unione europea, la titolarita' di un permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo. In particolare, Razia Sultana sosteneva che l'art. 3, comma 1, lettera a), n. 1, decreto legislativo n. 147/2017 si ponesse in contrasto con la Carta costituzionale in quanto il Reddito di inclusione mirava all'affrancamento da una condizione di poverta', rispondendo in tal senso ad un bisogno essenziale della persona e non potendo dunque conoscere alcuna limitazione, neppure in base alla durata della residenza sul suolo nazionale ovvero al titolo di soggiorno posseduto. In ogni caso, poi, la ricorrente riteneva che la medesima disposizione fosse irragionevole in quanto, da un lato, il requisito di una regolare permanenza di almeno cinque anni sul territorio italiano risultava di eccessiva entita', oltre che richiesto nei confronti dei soli cittadini stranieri, ed in quanto, dall'altro lato, il presupposto di una presenza stabile risultava gia' assicurato dall'ulteriore requisito della residenza in Italia da almeno un biennio nonche' dalla necessita' di aderire a un progetto personalizzato. Oltre a cio', la parte affermava che la richiesta di essere titolare di un permesso di soggiorno di lungo periodo fosse irragionevole anche laddove implicava, per l'accesso ad una prestazione volta al contrasto della poverta', la disponibilita' di un reddito non inferiore all'assegno sociale, ai sensi dell'art. 9 decreto legislativo n. 286/1998. Inoltre, sul piano statistico, Razia Sultana richiamava l'incidenza percentuale, rispetto alla media nazionale, delle famiglie straniere in stato di poverta' ed osservava la discrepanza tra tali dati e la quota di nuclei familiari, composti da soggetti privi di cittadinanza italiana, che avevano avuto accesso al Reddito di inclusione. La ricorrente precisava altresi' che, nel caso di specie, la provvidenza era stata negata esclusivamente in ragione del mancato possesso del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo, mentre non era stata posta in discussione la sussistenza degli altri presupposti stabiliti dal Legislatore. Infine, Razia Sultana invocava la conversione del rito, ai sensi dell'art. 4 decreto legislativo n. 150/2011, nel caso in cui il Giudicante avesse ritenuto che la fattispecie non potesse essere inquadrata nel contesto del diritto antidiscriminatorio, bensi' in un ordinario contenzioso previdenziale disciplinato dagli articoli 442 ss. codice di procedura civile. In considerazione di tutto cio', la parte riteneva rilevante e non manifestamente infondata la questione di costituzionalita' relativa all'art. 3, comma 1, lettera a), n. 1, decreto legislativo n. 147/2017, in particolare per contrasto con gli articoli 3, 31, 38 e 117 Cost., quest'ultimo con riferimento sia all'art. 14 della Convenzione europea dei Diritti dell'Uomo sia agli articoli 21 e 34, comma 3, della Carta dei Diritti fondamentali dell'Unione europea. Razia Sultana chiedeva pertanto, in via preliminare: (i) di sollevare questione di legittimita' costituzionale e di rimettere gli atti alla Consulta, sospendendo il presente procedimento; (ii) di accertare l'intervenuta violazione del principio di parita' di trattamento e dunque il carattere discriminatorio della condotta serbata dal Comune di San Zeno Naviglio e, occorrendo, da I.N.P.S.; (iii) di dichiarare il diritto della ricorrente a fruire del Reddito di Inclusione a far data dalla presentazione dell'istanza amministrativa del 14 gennaio 2019. La ricorrente, in via principale, domandava poi: (i) di ordinare al Comune di San Zeno Naviglio di riconoscere la prestazione in controversia e di trasmettere ad I.N.P.S. il suo nominativo quale avente diritto al Reddito di Inclusione; (ii) di ordinare ad I.N.P.S. di pagare a tale titolo, e con le medesime modalita' previste per i cittadini italiani, l'importo mensile di euro 200,00 per diciotto mesi di tempo e dunque l'ammontare complessivo di euro 3.600,00, ovvero la diversa somma ritenuta di giustizia; (iii) di condannare il Comune di San Zeno Naviglio e I.N.P.S., anche in solido tra loro, al risarcimento del danno patrimoniale derivante dal mancato accesso al progetto personalizzato di cui all'art. 6 decreto legislativo n. 147/2017, per un importo quantificato in euro 1.000,00 ovvero da liquidarsi ai sensi dell'art. 1226 del codice civile La parte, in subordine, invocava: (i) di ordinare al Comune di San Zeno Naviglio di sottoporle il progetto personalizzato di cui all'art. 6 decreto legislativo n. 147/2017 e di trasmettere lo stesso ad I.N.P.S. entro venti giorni dalla sua sottoscrizione; (ii) di ordinare ad I.N.P.S. di procedere all'erogazione del beneficio economico. Razia Sultana, in via ulteriormente gradata, domandava di condannare le controparti, anche in solido tra loro, al risarcimento del danno patrimoniale derivante dal mancato accesso alla procedura per l'attribuzione del Reddito di Inclusione, nella misura di euro 4.000,00 o nel diverso ammontare ritenuto di giustizia. Con vittoria delle spese di lite, da distrarsi in favore dei procuratori antistatari. Si costituiva ritualmente in giudizio I.N.P.S. contestando gli assunti avversari ed eccependo, innanzitutto, l'inammissibilita' del ricorso in quanto privo di specifiche deduzioni in ordine ad una condotta discriminatoria degli Enti resistenti. L'Amministrazione previdenziale riteneva inoltre di essere carente di legittimazione passiva, in quanto il soggetto deputato alla concessione della prestazione in controversia doveva essere identificato esclusivamente nel Comune di San Zeno Naviglio. Nel merito, poi, l'Istituto escludeva che vi fossero dei profili di incostituzionalita' nella disciplina del Reddito di Inclusione e richiamava la giurisprudenza in materia di assegno sociale, ravvisando un'analogia tra le due provvidenze. In ragione di tutto cio', I.N.P.S. domandava: (i) in via preliminare, di dichiarare inammissibile il ricorso ovvero di dichiarare la carenza di legittimazione passiva dell'Ente previdenziale; (ii) nel merito, di rigettare le pretese avversarie. Con vittoria delle spese di lite. Si costituiva altresi' in giudizio il Comune di San Zeno Naviglio contestando le deduzioni avversarie ed eccependo, innanzitutto, l'improcedibilita' della richiesta di mutamento del rito, nel caso in cui il Giudicante avesse ritenuto di dover qualificare la domanda alla stregua di un ordinario contenzioso previdenziale, stante l'assenza di una preventiva procedura amministrativa ai sensi della legge n. 533/1973. Nel merito, l'Ente locale negava di avere agito secondo un intento discriminatorio e sosteneva di essersi attenuto alle previsioni di legge, operando in buona fede e in modo tale da non poter essere ritenuto responsabile di alcun danno. Infine, il comune precisava di aver comunque coadiuvato la famiglia di Razia Sultana con contributi erogati, a vario titolo, nella misura di euro 18.700,00 in relazione al periodo di tempo compreso tra novembre 2016 e settembre 2018. Pertanto, il Comune di San Zeno Naviglio domandava di respingere la richiesta di mutamento del rito ai sensi dell'art. 4 decreto legislativo 150/2011 e, nel merito, chiedeva di respingere le pretese avversarie. Con vittoria delle spese di lite. La ricorrente e l'Ente locale depositavano in seguito note autorizzate. All'udienza del 6 dicembre 2019, il Giudice invitava le parti alla discussione e all'esito si riservava di decidere. In Diritto La questione di legittimita' costituzionale prospettata in ricorso appare rilevante e non manifestamente infondata, per le ragioni e nei limiti di seguito illustrati. Innanzitutto, si deve osservare che le eccezioni preliminari sollevate dalle parti resistenti non risultano meritevoli di accoglimento e non possono, pertanto, essere ritenute idonee a definire il giudizio. In primo luogo, non puo' essere condivisa la doglianza dell'Amministrazione previdenziale ove ha sostenuto che il ricorso sarebbe inammissibile in quanto Razia Sultana avrebbe introdotto una questione di puro diritto e non avrebbe illustrato alcuna specifica condotta discriminatoria. Al contrario, va osservato che la ricorrente si e' soffermata sulla questione di legittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 1, lettera a), n. 1, decreto legislativo n. 147/2017 allo scopo di poter domandare, nel corso del presente procedimento, l'erogazione del Reddito di Inclusione ovvero il risarcimento del danno derivante dal mancato accesso a tale misura di contrasto alla poverta' e all'esclusione sociale, sicche' si deve escludere che il caso di specie possa essere qualificato alla stregua di una lis ficta. Inoltre, la parte ha compiutamente enucleato la condotta discriminatoria in controversia, individuata nel diniego opposto, per ragioni di nazionalita', dal Comune di San Zeno Naviglio; ne' viene in rilievo il profilo della intenzionalita' del comportamento tenuto dall'Ente locale, trattandosi di un elemento estraneo rispetto alla fattispecie normativa. In considerazione di cio', va dunque esclusa la fondatezza della censura in esame. In secondo luogo, va altresi' disattesa l'eccezione di carenza di legittimazione passiva sollevata dall'Istituto resistente. Al riguardo, se da un lato risulta corretta l'osservazione secondo cui l'Ente previdenziale e' deputato unicamente all'erogazione e non alla concessione del Reddito di Inclusione, dall'altro lato si deve ritenere che cio' non escluda, anzi fondi, la necessita' di coinvolgere I.N.P.S. nel presente procedimento. Va infatti considerato che la legitimatio ad causam deve essere individuata sulla scorta delle prospettazioni della parte che agisce in giudizio e va altresi' rilevato che, nel caso di specie, Razia Sultana non si e' limitata a domandare l'accertamento di una discriminazione per ragioni di nazionalita', ma altresi' ha richiesto la rimozione dei conseguenti effetti dannosi. La legittimazione passiva di I.N.P.S. discende pertanto dal fatto che la ricorrente abbia invocato, da un lato, l'erogazione di una prestazione il cui pagamento rientra per legge tra le attribuzioni dell'Istituto nonche', dall'alto lato, un risarcimento del danno di cui l'Amministrazione previdenziale potrebbe essere chiamata a rispondere in via solidale con l'Ente locale. La doglianza di parte resistente non merita pertanto accoglimento. Da ultimo, si deve escludere la fondatezza dell'eccezione sollevata dal Comune di San Zeno Naviglio laddove ha prospettato l'inammissibilita' dell'istanza di conversione del rito, formulata dalla ricorrente ai sensi dell'art. 4 decreto legislativo n. 150/2011. Tale richiesta, difatti, e' stata ipotizzata da Razia Sultana solamente in via gradata, per il caso in cui il Giudicante non avesse ritenuto di poter inquadrare l'azione nel contesto del diritto antidiscriminatorio. Viceversa, il ricorso risulta integrare gli estremi di un'azione civile contro la discriminazione, della quale la ricorrente ha in particolare domandato l'accertamento e la cessazione, invocando poi l'erogazione della prestazione quale sanzione diretta a rimuovere gli effetti della lesione cagionata dalla condotta avversaria. Peraltro, la valutazione circa l'ammissibilita' dell'azione deve essere operata sulla base della domanda articolata in giudizio, sicche', a fronte di una doglianza per condotta discriminatoria per ragioni di nazionalita', la ricorrente risulta senz'altro legittimata ad agire con il rimedio in esame. In considerazione di tutto cio', la censura formulata in via preliminare dal Comune di San Zeno Naviglio non puo' essere accolta. Cio' posto, devono essere ora illustrate le ragioni che inducono a ritenere rilevante la questione di legittimita' costituzionale prospettata dalla ricorrente in relazione all'art. 3 decreto legislativo n. 147/2017 nella formulazione vigente tra il 1° luglio 2018 e il 31 marzo 2019, ovverosia a seguito delle modifiche introdotte dalla legge n. 205/2017 e prima dell'abrogazione del Reddito di Inclusione ad opera del decreto-legge n. 4/2019. Al riguardo, va innanzitutto evidenziato che la prestazione in esame e' stata istituita quale «misura unica a livello nazionale di contrasto alla poverta' e all'esclusione sociale» e, piu' precisamente, quale «misura a carattere universale, condizionata alla prova dei mezzi e all'adesione a un progetto personalizzato di attivazione e di inclusione sociale e lavorativa finalizzato all'affrancamento dalla condizione di poverta' (art. 2, comma 1 e comma 2, decreto legislativo n. 147/2017). Ancor piu' nel dettaglio, «il Rel e' riconosciuto, su richiesta, ai nuclei familiari che risultano, al momento della presentazione della richiesta e per tutta la durata dell'erogazione del beneficio, in possesso congiuntamente dei seguenti requisiti: a) con riferimento ai requisiti di residenza e di soggiorno, componente che richiede la misura deve essere congiuntamente: 1) cittadino dell'Unione o suo familiare che sia titolari del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente, ovvero cittadino di paesi terzi in possesso del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo; 2) residente in Italia, in via continuativa, da almeno due anni al momento di presentazione della domanda; b) con riferimento alla condizione economica, il nucleo familiare del richiedente deve essere in possesso congiuntamente di: 1) uu talare dell'ISEE, in corso di validita', non superiore ad euro 6.000; 2) un valore dell'ISRE non superiore ad euro 3.000; 3) un valore del patrimonio immobiliare, diverso dalla casa di abitazione, non superiore ad euro 20.000; 4) un valore del patrimonio mobiliare, non superiore ad una soglia di euro 6.000. accresciuta di euro 2.000 per ogni componente il nucleo familiare successivo al primo, fino ad un massimo di euro 10.000; 5) un valore non superiore alle soglie di cui ai numeri 1 e 2 relativamente all'ISEE e all'ISRE riferiti ad una situazione economica aggiornata nei casi e secondo le modalita' di cui ad agli articoli 10 e 11; c) con riferimento al godimento di beni durevoli e ad altri indicatori del tenore di vita, il nucleo familiari deve trovavi congiuntamente nelle seguenti condizioni: 1) nessun componente intestatario a qualunque titolo o avente piena disponibilita' di autoveicoli, ovvero motoveicoli immatricolati la prima volta nei ventiquattro mesi antecedenti la richiesta, fatti salvi gli autoveicoli e i motoveicoli per cui e' prevista una agevolazione fiscale in favore delle persone con disabilita' ai sensi della disciplina vigente; 2) nessun componente intestatario a qualunque titolo o avente piena disponibilita' di nati e imbarcazioni da diporto di cui all'art. 3, comma 1, del decreto legislativo 18 luglio 2005, n. 171» (art. 3, comma 1, decreto legislativo n. 147/2017). Nel periodo concernente la fattispecie in controversia - attesa l'intervenuta abrogazione, a far data dal 1° luglio 2018, dell'art. 3, comma 2, decreto legislativo n. 147/2017 ad opera dell'art. 1, comma 192, legge n. 205/2017 - non era invece richiesto l'ulteriore requisito della presenza, all'interno del nucleo familiare, di un minore di diciotto anni di eta', di una persona con disabilita' e di un suo genitore o tutore, di una donna in stato di gravidanza o di un lavoratore disoccupato di eta' pari o superiore a cinquantacinque anni. Tanto premesso, va rilevato che Razia Sultana, al momento della presentazione della domanda amministrativa del 14 gennaio 2019, risultava residente in Italia, in via continuativa, da almeno due anni e risultava altresi' in possesso delle condizioni economiche, sia reddituali sia patrimoniali, richieste dall'art. 3, comma 1, n. 2, lettera b) e lettera c), decreto legislativo n. 147/2017, secondo una circostanza di fatto che non solo e' stata compiutamente documentata in giudizio da parte ricorrente, ma che neppure e' stata contestata dagli Enti resistenti. Al contempo, e' documentale ed incontroverso che Razia Sultana sia cittadina pakistana e non sia in possesso di un permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo, pur risiedendo regolarmente sul territorio nazionale in forza di un permesso di soggiorno per motivi familiari. Da cio' consegue la rilevanza, nel caso concreto, della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 1, lettera a), n. 1, decreto legislativo n. 147/2017, posto che l'esito del presente giudizio dipende dalla conformita' o meno di tale disposizione alle norme della Carta fondamentale. Invero, ove si ritenesse che, ai fini dell'accesso al Reddito di Inclusione, nel caso di cittadini di Stati non appartenenti all'Unione europea, il requisito del possesso di un permesso di soggiorno di lungo periodo fosse esente da censure e da profili di incostituzionalita', il ricorso promosso da Razia Sultana dovrebbe essere respinto. Viceversa, lo stesso dovrebbe trovare accoglimento, con accertamento del carattere discriminatorio della condotta patita dalla ricorrente e con condanna delle controparti alla rimozione dei conseguenti effetti lesivi, perlomeno sotto forma di risarcimento del danno patrimoniale. Si ritiene pertanto che il presente procedimento non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimita' costituzionale relativa all'art. 3, comma 1, lettera a), n. 1, decreto legislativo n. 147/2017, che si reputa di dover proporre nei termini di seguito indicati. La questione in esame, secondo argomenti in parte corrispondenti a quanto gia' osservato dal Tribunale di Bergamo nel contesto, non del tutto coincidente, della previgente formulazione dell'art. 3 decreto legislativo n. 147/2017 (cfr. tribunale Bergamo, sez. lav., ordinanza 1 agosto 2019, in Gazzetta Ufficiale, 1ª Serie speciale - Corte costituzionale n. 3 del 15 gennaio 2020), non appare manifestamente infondata. Innanzitutto, e' necessario sottolineare che il Reddito di Inclusione costituisce, per espressa previsione normativa, una misura finalizzata all'affrancamento da una condizione di poverta' e da una situazione di emarginazione sociale. In particolare, tale provvidenza risulta essere stata strutturata quale mezzo per la promozione di un'esistenza libera e dignitosa, al dichiarato fine di «contribuire a rimuovere gli ostacoli economici e sociali che limitano la liberta' e eguaglianza dei cittadini e il pieno sviluppo della persona, di contrastare la poverta' e l'esclusione sociale e di ampliare le protezioni fornite dal sistema delle politiche sociali per renderlo piu' adeguato rispetto ai bisogni emergenti e piu' equo e omogeneo nell'accesso alle prestazioni», con l'adozione, «in attuazione dell'art. 3 della Costituzione e nel rispetto dei principi della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea», di una «misura nazionale di contrasto della poverta', intesa come impossibilita' di disporre delnnsieme dei beni e dei servizi necessari a condurre un livello di vita dignitoso, e dell'esclusione sociale» (art. 1, comma 1, legge n. 33/2017). L'istituto in esame appare dunque inserirsi nel solco di quegli interventi statuali che, fronteggiando situazioni di indigenza, risultano volti a favorire il «pieno sviluppo della persona umana» (art. 3, comma 2, Cost.) e, nello stesso senso, si deve considerare che il Reddito di Inclusione e' stato individuato, ai sensi dell'art. 117, comma 2, lettera m), Cost., quale livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti sociali che devono essere uniformemente garantiti sul territorio nazionale (cfr. art. 1, comma 1, lettera a), legge n. 33/2017). La misura disciplinata dal decreto legislativo n. 147/2017 risulta pertanto qualificabile alla stregua di una provvidenza volta «al sostentamento della persona nonche' alla salvaguardia di condizioni di vita accettabili per il contesto familiare» (Corte Cost., sentenza 15 marzo 2013, n. 40) e, in ragione di tali finalita' essenziali, risulta altresi' qualificabile «come parametro di ineludibile uguaglianza dl trattamento tra cittadini e stranieri regolarmente soggiornanti nel territorio dello Stato» (Corte Cost., sentenza 28 maggio 2010, n. 187). D'altro canto, la Consulta ha piu' volte avuto modo di osservare che la valutazione circa la «essenzialita'» di una prestazione previdenziale o assistenziale va effettuata «alla luce della configurazione normativa e della funzione sociale» che la stessa e' chiamata a svolgere, dovendosi dunque verificare se «integri o meno un rimedio destinato a consentire il concreto soddisfacimento dei 'bisogni primari' inerenti alla stessa sfera di tutela della persona umana, che e' compito della Repubblica promuovere e salvaguardare; rimedio costituente, dunque, un diritto fondamentale perche' garanzia per la stessa sopravivenza del soggetto. D'altra parte, la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo ha sottolineato come, 'in uno Stato democratico moderno, molti individui, per tutta o parte della loro vita, non possono assicurare il loro sostentamento che grazie a delle prestazioni di sicurezza o di previdenza sociale'. Sicche', 'da parte di numerosi ordinamenti giuridici nazionali viene riconosciuto che tali individui sono bisognosi di una certa sicurezza e prevedono, dunque, il versamento automatico di prestazioni, a condizione che siano soddisfatti i presupposti stabiliti per il riconoscimento dei diritti in questione' (la giu' citata decisione sulla riabilitata del 6 luglio 2005, Stato ed altri contro Regno Unito). Ove, pertanto, si tersi in tema di provvidenza destinata a far fronte al 'sostentamento' della persona, qualsiasi discrimine tra cittadini e stranieri regolarmente soggiornanti nel territorio dello Stato, fondato su requisiti divieni dalle condizioni soggettive, finirebbe per risultare in contrasto con il principio sancito dall'art. 14 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, avuto riguardo alla relativa lettura che, come si e' detto, e' stata in piu' circostanze offerta dalla Corte di Strasburgo» (C. Cost., sentenza 28 maggio 2010, n. 187, cit.; cfr. altresi' Corte costituzionale, sentenza 15 marzo 2013, n. 40, cit.). Si tratta di pronunce che, pur essendo state rese con riferimento all'assegno di invalidita' civile e all'indennita' di accompagnamento, oltre che alla pensione di inabilita', risultano fondate su argomentazioni del tutto pertinenti anche con riferimento al Reddito di Inclusione. Quest'ultimo istituto e' stato difatti introdotto quale «misura unica a livello nazionale di contrasto alla poverta' e all'esclusione sociale» (art. 2, comma 1, decreto legislativo n. 147/2017) e testimonia come, nel contesto economico e sociale di quel periodo, il Legislatore abbia ritenuto di dover intervenire a sostegno dei nuclei familiari che si siano trovati in una condizione di particolare indigenza ed isolamento, offrendo uno strumento finalizzato al sostentamento della persona umana in relazione a bisogni primari, sia con una sovvenzione in denaro, sia con una componente di servizi ad ampio spettro (cfr. art 2, comma 3, decreto legislativo n. 147/2017). Ne consegue che, come gia' affermato in altre occasioni dalla giurisprudenza costituzionale, non possono essere tollerate differenze di trattamento tra cittadini italiani e soggetti stranieri legalmente presenti nel territorio dello Stato, non essendo possibile, in simili ipotesi, «discriminare gli stranieri, stabilendo, nei loro confronti, particolari limitazioni per il godimento dei diritti fondamentali della persona, riconosciuti invece ai cittadini (sentenza n. 306 del 2008)» (Corte Cost., sentenza 28 maggio 2010, n. 187, cit.). Alla luce di tutto cio', l'art. 3, comma 1, lettera a), n. 1, decreto legislativo n. 147/2017 risulta in contrasto con plurime disposizioni costituzionali. Da un lato, si dubita infatti che la norma in esame sia conforme al principio di eguaglianza, tanto sotto il profilo di una ingiustificata disparita' di trattamento, rispondendo il Reddito di Inclusione a finalita' essenziali nei termini gia' delineati e non tollerando dunque alcuna distinzione per more ragioni di nazionalita', quanto sotto il profilo sostanziale, essendo compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano di fatto le condizioni di liberta' e di uguaglianza e che impediscono il pieno sviluppo della persona umana. Si ravvisano pertanto gli estremi di una violazione dell'art. 3 Cost. nonche' dell'art. 117, comma 1, Cost., quest'ultimo in relazione sia all'art. 14 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo sia agli articoli 20 e 21 della Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea in tema di principi di eguaglianza e di non discriminazione. Dall'altro lato, poi, si dubita della legittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 1, lettera a), n. 1, decreto legislativo n. 147/2017 apparendo lo stesso in contrasto con i doveri inderogabili di solidarieta' imposti, in materia di assistenza sociale, dagli articoli 2, 38 e 117, comma 1, Cost. Quest'ultimo, sia in relazione agli articoli 21 e 34, comma 3, della Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione europea, secondo cui, senza discriminazioni, a tutti coloro che non dispongano di risorse sufficienti deve essere garantito il diritto ad un'assistenza sociale volta ad assicurare un'esistenza dignitosa, al fine di contrastare l'esclusione sociale e la poverta', sia in relazione agli articoli 13 e 30 della Carta Sociale Europea, secondo cui ogni persona ha diritto all'assistenza sociale, laddove sia sprovvista di risorse sufficienti, nonche' alla protezione dalla poverta' e dall'emarginazione sociale. In ogni caso, quand'anche si ritenesse che il Reddito di Inclusione non possa essere qualificato alla stregua di una prestazione interna al nucleo dei bisogni essenziali della persona, la questione di legittimita' costituzionale relativa all'art. 3, comma 1, lettera a), n. 1, decreto legislativo n. 147/2017 risulterebbe comunque non manifestamente infondata per contrasto con l'art. 3, comma 1, Cost. Invero, se da un lato non appare revocabile in dubbio che il Legislatore possa circoscrivere la platea dei beneficiari di determinate prestazioni sociali, in particolare a motivo della limitatezza delle risorse destinate al loro finanziamento, dall'altro lato e' gia' stato rilevato che una simile limitazione «deve pur sempre rispondere al principio di ragionevolezza ex art. 3 Cost.» e che «tale principio puo' ritenersi rispettato solo qualora esista una 'causa normativa della differenziazione, che sia 'giustificata da una ragionevole correlazione tra la condizione cui e' subordinala l'attribuzione del beneficio e gli altri peculiari requisiti che ne condizionano il riconoscimento e ne definiscono la ratio (sentenza n. 107 del 2018). Una simile ragionevole causa normativa puo' in astratto consistere nella richiesta di un titolo che dimostri il carattere non episodico o di breve, durata della permanenza sul territorio dello Stato: anche in questi casi, peraltro, occorre pur sempre che sussista una ragionevole correlazione tra la richiesta e le situazioni di bisogno o di disagio, in lista delle quali le singole prestazioni sono state previste (sentenza n. 133 del 2013)» (C. Cost., sentenza 20 luglio 2018, n. 166). Va osservato che con quest'ultima decisione, relativa ad una prestazione diretta a soddisfare bisogni abitativi primari di persone in condizione di poverta', la Corte costituzionale ha ritenuto irragionevole il discrimine rappresentato, per i cittadini stranieri, da un radicamento territoriale particolarmente prolungato nel tempo. Si tratta di una pronuncia che risulta pertinente anche con riferimento alla fattispecie in controversia, sia in ragione del fatto che l'accesso al Reddito di Inclusione e' comunque subordinato ad una residenza sul territorio nazionale protratta, in via continuativa, per almeno due anni (cfr. art. 3, comma l, lettera a), n. 2, decreto legislativo n. 147/2017), sia in ragione del fatto che il possesso di un permesso di soggiorno di lungo periodo presuppone la titolarita' di un reddito minimo e di una conoscenza della lingua italiana, ai sensi dell'art. 9 decreto legislativo n. 286/1998, che non appaiono compatibili con situazioni di poverta' e di emarginazione che il Legislatore ha dichiaratamente voluto contrastare con l'introduzione della prestazione in esame (cfr. art. 2, comma 1 e comma 2, decreto legislativo n. 147/2017). Per un verso, dunque, il requisito di un radicamento territoriale di durata comunque non breve risulta gia' assicurato dalla necessita' di essere legalmente residenti in Italia da un lasso di tempo biennale che denota una certa stabilita' di permanenza sul suolo nazionale, di qualche l'ulteriore richiesta di possedere un permesso di soggiorno di lungo periodo, rivolta nei confronti dei soli cittadini di Stati non appartenenti all'Unione europea, non appare conforme a ragionevolezza. Per altro verso, poi, il mancato conseguimento di un permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo, ove determinato da un reddito annuale inferiore all'importo dell'assegno sociale o da una insufficiente conoscenza della lingua italiana, risulterebbe indicativo di una condizione di particolare bisogno, ancora maggiore rispetto a quella di stranieri che siano invece in possesso di tale titolo, sicche' la previsione posta dall'art. 3, comma 1, lettera a), n. 1, decreto legislativo n. 147/2017 appare irragionevole anche in relazione al fine, espressamente dichiarato dal Legislatore, di favorire un affrancamento da situazioni di poverta' e di esclusione sociale. Non emerge dunque alcuna ragionevole correlazione tra una residenza protratta per almeno un quinquennio, ovverosia per il tempo necessario ad ottenere il permesso soggiorno di lungo periodo, e la situazione di indigenza e di difficolta' che il Legislatore si e' proposto di fronteggiare con la misura introdotta dal decreto legislativo n. 147/2017. D'altro canto, tale irragionevolezza si evince anche in raffronto al fatto che il Reddito di Inclusione sia stato strutturato quale intervento volto a favorire un reinserimento economico e sociale a fronte di una situazione contingente di bisogno, come si desume, in particolare, dalla possibilita' di erogare il beneficio in denaro solo «per un periodo continuativo non superiore a diciotto mesi» di tempo, senza facolta' di rinnovo «se non trascorsi almeno sei mesi da quando ne e' cessato il godimento» (art. 4, comma 5, decreto legislativo n. 147/2017), nonche' dalla necessita' di delimitare la componente dei servizi alla persona, «anche nella sua durata, secondo principi di proporsionalita' appropriatezza e non eccedenza rispetto alle necessita' di sostegno del nucleo familiare rilettile, in coerenza con la valutazione multidimensionale e con le risorse disponibili, in funzione della corretta allocazione delle risorse medesime» (art. 6, comma 7, decreto legislativo n. 147/2017). Ne' appaiono venire rilievo, in questa sede, le argomentazioni gia' sviluppate dalla Consulta in relazione all'istituto dell'assegno sociale (cfr. Corte costituzionale, sentenza 15 marzo 2019, n. 50), posto che in quell'occasione il Giudice delle Leggi ha esaminato una misura, rivolta soltanto a persone di eta' superiore a sessantacinque anni, strutturata in modo radicalmente differente ed avente finalita' eterogenee rispetto al Reddito di Inclusione. Sulla scorta di tutto cio', l'art. 3, comma 1, lettera a), n. 1, decreto legislativo n. 147/2017 risulta porsi in contrasto, in termini di irragionevolezza, con l'art. 3, comma 1, Cost. Infine, e' necessario evidenziare che la descritta questione di legittimita' costituzionale non appare superabile ne' in via interpretativa, ne' sulla scorta delle previsioni recate dalla direttiva 2011/98/UE. Da un lato, il dato testuale dell'art. 3, comma 1, lettera a), n. 1, decreto legislativo n. 147/2017 risulta difatti inequivoco e non consente di pervenire ad una ermeneusi differente dal significato proprio delle parole scelte dal Legislatore ove, nel caso di cittadini di Paesi terzi, ha subordinato la fruizione del Reddito di Inclusione al possesso del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo. Dall'altro lato, poi, si ritiene di dover escludere che la prestazione in controversia ricada nell'ambito di applicazione dell'art. 12, par. 1, della direttiva 2011/98/UE, secondo cui «i lavoratori dei paesi terzi di cui all'art. 3, paragrafo 1, lettere b) e c), beneficiano dello stesso trattamento risentito ai cittadini dello Stato membro in cui soggiornano per quanto concerne: ... e) i settori della sicurezza sociale definiti nel regolamento (CE) n. 883/2004». Cio' in quanto il Reddito di Inclusione non appare rientrare tra le ipotesi delineate dall'art. 3 del regolamento CE 883/2004 e, in particolare, non risulta riconducibile al novero delle prestazioni familiari. In proposito, va osservato che la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell'Unione europea e' consolidata nell'affermare che «la distinzione fra prestazioni escluse dall'ambito di applicazione del regolamento n. 883/2004 e prestazioni che ti rientrano e' basata essenzialmente sugli elementi costitutivi di ciascuna prestazione, in particolare sulle sue finalita' e sui presupposti per la sua attribuzione, e non sul fatto che essa sia o no qualificata come prestazione di sicurezza sociale da una normativa nazionale (v., in tal senso, in particolare, sentenze del 16 luglio 1992, Hughes, C-78/91, EU:C:1992:331, punto 14; del 20 gennaio 2005, Noteboom, C-101/04, EU:C:2005:51, punto 24, e del 24 ottobre 2013. Lachheb. C-177/12, EU:C:2013:689, punto 28)» e che «una prestazione puo' essere considerata come una prestazione di sicurezza sociale qualora sia attribuita ai beneficiari prescindendo da ogni valutazione individuale e discrezionale delle loro esigenze personali, in base ad una situazione definita per legge, e si riferisca a uno dei rischi espressamente elencati nell'art. 3, paragrafo 1, del regolamento n. 883/2004 (v. in tal senso, in particolare, sentenze del 16 luglio 1992, Hughes, C-78/91, EU:C:1992:331, punto 15; del 15 marzo 2001, Offermanns, C-85/99, EU:C:2001:166, punto 28, nonche' del 19 settembre 2013, Hliddal e Bornand, C-216/12 e C-217/12, EU:C:2013:568, punto 48)» (CGUE, sez. VII, sentenza 21 giugno 2017, proc. C-449/16). Nel caso di specie, tuttavia, le finalita' sottese all'attribuzione del Reddito di Inclusione escludono che si tratti di una prestazione «in natura o in denaro destinato a compensare i carichi familiari» (art. 1, lettera j), reg. CE 883/2004), ne' appare possibile sostenere che l'erogazione di tale prestazione prescinda da ogni valutazione individuale e discrezionale delle specifiche esigenze del nucleo familiare. Invero, la provvidenza introdotta dal decreto legislativo n. 147/2017 non si presenta quale mero sussidio volto «in particolare a coprire in parte le spese che deve sopportare una persona avente uno o piu' figli a carico» (CGUE, sez. I, sentenza 14 giugno 2016, C-308/14), ma mira al piu' ampio e dichiarato scopo di contrastare la poverta' e l'esclusione sociale del nucleo familiare, che potrebbe peraltro essere costituito - in particolare a seguito dell'abrogazione dell'art. 3, comma 2, decreto legislativo n. 147/2017 - anche da un solo soggetto o da una coppia priva di prole, ai sensi dell'art. 3 decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 159/2013. D'altro canto, il Reddito di Inclusione e' uno strumento «articolato in due componenti: a) un beneficio economico, definito ai sensi dell'art. 4; b) una componente di servizi alla persona identificata, in esito ad una valutazione multidimensionale del bisogno del nucleo familiare di cui all'art. 5, nel progetto personalizzato di cui all'art. 6» (art. 2, comma 3, decreto legislativo n. 147/2017) e la fruizione della prestazione va preceduta da una «valutazione multidimensionale finalizzata ad identificare i bisogni del nucleo familiare e dei suoi componenti, tenuto conto delle risorse e dei fattori di vulnerabilita' del nucleo, nonche' dei fattori ambientali e di sostegno presenti. In particolare, sono oggetto di analisi: a) condizioni e funzionamenti personali e sociali; b) situazione economica; c) situazione lavorativa e profilo di occupabilita'; d) educazione, istruzione e formazione; e) condizione abitatitava; f) reti familiari, di prossimita' e sociali» (art. 5, comma 2, decreto legislativo n. 147/2017). In tal senso, il Reddito di Inclusione non appare finalizzato a compensare dei carichi di famiglia, quanto piuttosto a sollevare dallo stato di bisogno i nuclei familiari che presentano una condizione di poverta' e di emarginazione, non solo mediante l'erogazione di un sussidio economico, ma anche attraverso la predisposizione di un progetto personalizzato di attivazione e di inclusione sociale e lavorativa. In ragione di tutto cio', l'estraneita' della prestazione in controversia rispetto all'ambito di applicazione dell'art. 3, comma 1, lettera j), del regolamento CE 883/2004 puo' essere apprezzata sotto un duplice profilo. Da un lato, in quanto la provvidenza non e' riducibile ad una misura destinata a compensare i carichi familiari, ricomprendendo, in modo inscindibile, anche interventi di natura non strettamente economica al fine di favorire globalmente l'affrancamento da una condizione di poverta' e di esclusione sociale. Dall'altro lato, in quanto l'erogazione del Reddito di Inclusione presuppone una valutazione multidimensionale delle esigenze del singolo nucleo familiare, secondo una specifica analisi del caso concreto e secondo apprezzamenti anche discrezionali nella identificazione dei bisogni del richiedente e dei suoi congiunti. D'altro canto, che la nozione di prestazione familiare non possa essere estesa sino a ricomprendere una provvidenza quale il Reddito di Inclusione pare potersi evincere anche dal tenore letterale della disciplina sovranazionale, la quale tratteggia simili sussidi in termini meramente economici, in particolare laddove, «in caso di cumulo di diritti», si riferisce ad ipotesi di sospensione «fino a concorrenza dell'importo pretisto» nonche' all'erogazione di una «integrazione differeniale» (art. 68, reg. CE 883/2004). Ne' l'istituto introdotto dal d.lgs. n. 147/2017 appare riconducibile ad altre ipotesi previste dall'art. 3 del regolamento CE 883/2004. Da una parte, infatti, il Reddito di Inclusione non puo' all'evidenza essere qualificato alla stregua di una prestazione di malattia (lett. a), di invalidita' (lett. c), di vecchiaia (lett. d), per i superstiti (lett. e), per infortunio sul lavoro e malattie professionali (lett. t), di pensionamento anticipato (lett. i) ovvero quale assegno in caso di morte (lett. g). Dall'altra parte, poi, la misura in esame non risulta annoverabile tra le ipotesi di prestazioni di maternita' e di paternita' (lett. b) o di disoccupazione (lett. h), se solo si considera che il Legislatore ha espunto il riferimento alla genitorialita' inizialmente presente all'art. 3, comma 2, decreto legislativo n. 147/2017, in forza dell'art. 1, comma 190, legge n. 205/2017, e ha inoltre stabilito che, entro i limiti reddituali e patrimoniali di legge, il Reddito di Inclusione e' compatibile con lo svolgimento di un'attivita' lavorativa da parte di uno o piu' componenti il nucleo familiare, ai sensi dell'art. 11, comma 1, decreto legislativo n. 147/2017. Ne consegue l'impossibilita' di risolvere la presente vertenza in via interpretativa o in diretta applicazione di disposizioni sovranazionali. Alla luce di tutto cio', si rende necessario investire la Consulta della questione di' legittimita' costituzionale relativa all'art. 3, comma 1, lettera a), n. 1, decreto legislativo n. 147/2017 ove e' previsto che, per l'accesso al Reddito di Inclusione, i cittadini di Paesi non appartenenti all'Unione europea debbano essere titolari di un permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo. Secondo quanto gia' esposto, tale questione risulta rilevante e non manifestamente infondata in relazione agli articoli 2, 3, 38 e 117, comma 1, Cost., quest'ultimo con riferimento all'art. 14 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo, agli articoli 20, 21 e 34, comma 3 della Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione europea nonche' agli articoli 13 e 30 della Carta Sociale Europea, segnatamente in considerazione del fatto che la disposizione censurata appare determinare una irragionevole discriminazione in danno dei cittadini di Paesi terzi che, pur legittimamente soggiornanti in Italia, risultino privi di un permesso di soggiorno di lungo periodo.
P.Q.M. Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 1, lettera a), n. 1, decreto legislativo n. 147/2017 in relazione agli articoli 2, 3, 38 e 117, comma 1, Cost., quest'ultimo con riferimento all'art. 14 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, agli articoli 20, 21 e 34, comma 3, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea e agli articoli 13 e 30 della Carta sociale europea; Sospende il presente procedimento; Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Manda la cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 23, u.c., legge n. 87/1953. Brescia, 2 maggio 2020 Il giudice del lavoro: Ciocca