N. 106 ORDINANZA (Atto di promovimento) 2 maggio 2020

Ordinanza del 2 maggio 2020 del Tribunale di Brescia nel procedimento
civile  promosso  da  Sultana  Razia   c/Istituto   nazionale   della
previdenza sociale - Inps e Comune di San Zeno Naviglio.. 
 
Assistenza e solidarieta' sociale - Straniero - Reddito di inclusione
  (ReI) - Requisiti di residenza e di soggiorno -  Previsione  per  i
  richiedenti, cittadini di paesi terzi, del possesso del permesso di
  soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo. 
- Decreto legislativo 15 settembre 2017,  n.  147  (Disposizioni  per
  l'introduzione di una misura nazionale di contrasto alla poverta'),
  art. 3, comma 1, lettera a), numero 1). 
(GU n.37 del 9-9-2020 )
 
                       IL TRIBUNALE DI BRESCIA 
                           Sezione Lavoro 
 
    Il Giudice  del  lavoro,  dott.  Maurizio  Giuseppe  Ciocca,  nel
procedimento introdotto ai sensi dell'art. 28 decreto legislativo  n.
150/2011 da Sultana Razia con l'Avv. Guariso Alberto  e  l'Avv.  Neri
Livio, parte elettivamente domiciliata presso lo studio dei difensori
in Milano, viale Regina Margherita n. 30 - Ricorrente; 
    Contro I.N.P.S. con l'Avv. Mineo Alessandro, parte  elettivamente
domiciliata presso l'Avvocatura distrettuale  dell'Ente  in  Brescia,
via Bulloni n. 14; 
    Comune di San Zeno Naviglio, con  l'Avv.  Lazzaroni  Francesco  e
l'Avv. Raineri  Paola,  parte  elettivamente  domiciliata  presso  lo
studio dei difensori in Montirone (BS),  via  del  Palazzo  n.  34  -
Resistenti; 
    Letti gli atti,  esaminati  i  documenti,  a  scioglimento  della
riserva assunta in data 6 dicembre 2019, osserva 
 
                              In Fatto 
 
    Con ricorso ex art. 702-bis codice di procedura civile depositato
telematicamente il 22  febbraio  2019,  Razia  Sultana  conveniva  in
giudizio I.N.P.S. e  il  Comune  di  San  Zeno  Naviglio  innanzi  al
Tribunale di  Brescia,  sez.  Lavoro,  promuovendo  un'azione  civile
contro la discriminazione ex art. 28 decreto legislativo n. 150/2011. 
    Nel dettaglio, la ricorrente esponeva  di  essere  una  cittadina
pakistana, titolare  di  un  permesso  di  soggiorno  per  motivi  di
famiglia, e precisava di essere giunta in Italia nel corso  del  2010
per  ricongiungersi  al  marito,  gia'  titolare  dello   status   di
rifugiato. 
    La parte deduceva altresi'  che  la  coppia  aveva  avuto  cinque
figli, tre dei quali nati sul territorio  italiano,  e  rappresentava
che il coniuge aveva potuto fruire  della  misura  del  sostegno  per
l'Inclusione attiva da novembre 2017 ad agosto 2018. 
    Razia Sultana allegava inoltre di essere rimasta vedova nel corso
del mese di ottobre 2018 e  di  essersi  successivamente  rivolta  al
Comune di San Zeno Naviglio, ove risiedeva, al fine di  conoscere  se
vi  fosse  la  possibilita'  di  continuare   a   beneficiare   della
provvidenza in precedenza erogata in favore del marito. 
    Ricevuta risposta negativa al riguardo, in data 14 gennaio  2019,
la ricorrente presentava domanda per l'accesso al differente istituto
del Reddito  di  inclusione,  cui  era  seguito  un  diniego  opposto
dall'Ente locale per mancanza del titolo di soggiorno richiesto. 
    Tanto premesso, la parte illustrava i presupposti e il  contenuto
di tale misura nazionale di contrasto alla poverta', disciplinata dal
decreto legislativo n. 147/2017 in attuazione della delega  conferita
dall'art. 1, comma 1, lettera a), legge n. 33/2017, e si doleva della
illegittimita' della previsione che imponeva, ai cittadini  di  Stati
non appartenenti all'Unione europea, la titolarita' di un permesso di
soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo. 
    In particolare, Razia Sultana sosteneva che l'art.  3,  comma  1,
lettera a), n. 1, decreto  legislativo  n.  147/2017  si  ponesse  in
contrasto con  la  Carta  costituzionale  in  quanto  il  Reddito  di
inclusione mirava all'affrancamento da una  condizione  di  poverta',
rispondendo in tal senso ad un bisogno essenziale della persona e non
potendo dunque conoscere alcuna limitazione,  neppure  in  base  alla
durata della residenza  sul  suolo  nazionale  ovvero  al  titolo  di
soggiorno posseduto. 
    In ogni  caso,  poi,  la  ricorrente  riteneva  che  la  medesima
disposizione fosse irragionevole in quanto, da un lato, il  requisito
di una regolare permanenza  di  almeno  cinque  anni  sul  territorio
italiano risultava di eccessiva  entita',  oltre  che  richiesto  nei
confronti dei soli cittadini  stranieri,  ed  in  quanto,  dall'altro
lato,  il  presupposto  di  una  presenza  stabile   risultava   gia'
assicurato dall'ulteriore requisito  della  residenza  in  Italia  da
almeno un biennio nonche' dalla necessita' di aderire a  un  progetto
personalizzato. 
    Oltre a cio', la parte  affermava  che  la  richiesta  di  essere
titolare  di  un  permesso  di  soggiorno  di  lungo  periodo   fosse
irragionevole  anche  laddove  implicava,  per   l'accesso   ad   una
prestazione volta al contrasto della poverta', la  disponibilita'  di
un reddito non inferiore all'assegno sociale, ai  sensi  dell'art.  9
decreto legislativo n. 286/1998. 
    Inoltre,  sul  piano   statistico,   Razia   Sultana   richiamava
l'incidenza  percentuale,  rispetto  alla  media   nazionale,   delle
famiglie straniere in stato di poverta' ed osservava  la  discrepanza
tra tali dati e la quota di nuclei familiari,  composti  da  soggetti
privi di cittadinanza italiana, che avevano avuto accesso al  Reddito
di inclusione. 
    La ricorrente precisava altresi' che,  nel  caso  di  specie,  la
provvidenza era stata negata esclusivamente in  ragione  del  mancato
possesso del permesso di  soggiorno  UE  per  soggiornanti  di  lungo
periodo, mentre non era stata posta  in  discussione  la  sussistenza
degli altri presupposti stabiliti dal Legislatore. 
    Infine, Razia Sultana invocava la conversione del rito, ai  sensi
dell'art. 4 decreto legislativo n.  150/2011,  nel  caso  in  cui  il
Giudicante avesse ritenuto che  la  fattispecie  non  potesse  essere
inquadrata nel contesto del diritto antidiscriminatorio, bensi' in un
ordinario contenzioso previdenziale disciplinato dagli  articoli  442
ss. codice di procedura civile. 
    In considerazione di tutto cio', la parte  riteneva  rilevante  e
non  manifestamente  infondata  la  questione  di   costituzionalita'
relativa all'art. 3, comma 1, lettera a), n. 1,  decreto  legislativo
n. 147/2017, in particolare per contrasto con gli articoli 3, 31,  38
e 117 Cost., quest'ultimo  con  riferimento  sia  all'art.  14  della
Convenzione europea dei Diritti dell'Uomo sia agli articoli 21 e  34,
comma 3, della Carta dei Diritti fondamentali dell'Unione europea. 
    Razia Sultana chiedeva  pertanto,  in  via  preliminare:  (i)  di
sollevare questione di legittimita' costituzionale e di rimettere gli
atti alla Consulta, sospendendo il  presente  procedimento;  (ii)  di
accertare  l'intervenuta  violazione  del  principio  di  parita'  di
trattamento e dunque  il  carattere  discriminatorio  della  condotta
serbata dal Comune di San Zeno Naviglio e, occorrendo,  da  I.N.P.S.;
(iii) di dichiarare il diritto della ricorrente a fruire del  Reddito
di  Inclusione  a   far   data   dalla   presentazione   dell'istanza
amministrativa del 14 gennaio 2019. 
    La ricorrente, in via principale, domandava poi: (i) di  ordinare
al Comune di San Zeno  Naviglio  di  riconoscere  la  prestazione  in
controversia e di trasmettere ad I.N.P.S.  il  suo  nominativo  quale
avente diritto al Reddito di Inclusione; (ii) di ordinare ad I.N.P.S.
di pagare a tale titolo, e con le medesime modalita' previste  per  i
cittadini italiani, l'importo mensile di  euro  200,00  per  diciotto
mesi di tempo e dunque  l'ammontare  complessivo  di  euro  3.600,00,
ovvero la diversa somma ritenuta di giustizia; (iii) di condannare il
Comune di San Zeno Naviglio e I.N.P.S., anche in solido tra loro,  al
risarcimento del danno patrimoniale derivante dal mancato accesso  al
progetto personalizzato di cui  all'art.  6  decreto  legislativo  n.
147/2017, per un importo quantificato  in  euro  1.000,00  ovvero  da
liquidarsi ai sensi dell'art. 1226 del codice civile 
    La parte, in subordine, invocava: (i) di ordinare  al  Comune  di
San Zeno Naviglio di sottoporle il  progetto  personalizzato  di  cui
all'art. 6 decreto legislativo n. 147/2017 e di trasmettere lo stesso
ad I.N.P.S. entro venti giorni  dalla  sua  sottoscrizione;  (ii)  di
ordinare  ad  I.N.P.S.  di  procedere  all'erogazione  del  beneficio
economico. 
    Razia  Sultana,  in  via  ulteriormente  gradata,  domandava   di
condannare le controparti, anche in solido tra loro, al  risarcimento
del danno patrimoniale derivante dal mancato accesso  alla  procedura
per l'attribuzione del Reddito di Inclusione, nella  misura  di  euro
4.000,00 o nel diverso ammontare ritenuto di giustizia. 
    Con vittoria delle spese di lite,  da  distrarsi  in  favore  dei
procuratori antistatari. 
    Si costituiva ritualmente in giudizio  I.N.P.S.  contestando  gli
assunti avversari ed eccependo, innanzitutto, l'inammissibilita'  del
ricorso in quanto privo di specifiche  deduzioni  in  ordine  ad  una
condotta discriminatoria degli Enti resistenti. 
    L'Amministrazione  previdenziale  riteneva  inoltre   di   essere
carente di legittimazione passiva, in  quanto  il  soggetto  deputato
alla concessione della  prestazione  in  controversia  doveva  essere
identificato esclusivamente nel Comune di San Zeno Naviglio. 
    Nel merito, poi, l'Istituto escludeva che vi fossero dei  profili
di incostituzionalita' nella disciplina del Reddito di  Inclusione  e
richiamava  la  giurisprudenza  in  materia   di   assegno   sociale,
ravvisando un'analogia tra le due provvidenze. 
    In  ragione  di  tutto  cio',  I.N.P.S.  domandava:  (i)  in  via
preliminare,  di  dichiarare  inammissibile  il  ricorso  ovvero   di
dichiarare   la   carenza   di   legittimazione   passiva   dell'Ente
previdenziale; (ii) nel merito, di rigettare le pretese avversarie. 
    Con vittoria delle spese di lite. 
    Si costituiva altresi' in giudizio il Comune di San Zeno Naviglio
contestando  le  deduzioni  avversarie  ed  eccependo,  innanzitutto,
l'improcedibilita' della richiesta di mutamento del rito, nel caso in
cui il Giudicante avesse ritenuto di  dover  qualificare  la  domanda
alla  stregua  di  un  ordinario  contenzioso  previdenziale,  stante
l'assenza di una preventiva procedura amministrativa ai  sensi  della
legge n. 533/1973. 
    Nel merito, l'Ente  locale  negava  di  avere  agito  secondo  un
intento  discriminatorio  e  sosteneva  di  essersi   attenuto   alle
previsioni di legge, operando in buona fede e in  modo  tale  da  non
poter essere ritenuto responsabile di alcun danno. 
    Infine, il  comune  precisava  di  aver  comunque  coadiuvato  la
famiglia di Razia Sultana con contributi  erogati,  a  vario  titolo,
nella misura di euro 18.700,00  in  relazione  al  periodo  di  tempo
compreso tra novembre 2016 e settembre 2018. 
    Pertanto, il Comune di San Zeno Naviglio domandava di  respingere
la richiesta di mutamento del  rito  ai  sensi  dell'art.  4  decreto
legislativo 150/2011 e, nel merito, chiedeva di respingere le pretese
avversarie. 
    Con vittoria delle spese di lite. 
    La ricorrente  e  l'Ente  locale  depositavano  in  seguito  note
autorizzate. 
    All'udienza del 6 dicembre 2019, il  Giudice  invitava  le  parti
alla discussione e all'esito si riservava di decidere. 
 
                             In Diritto 
 
    La  questione  di  legittimita'  costituzionale  prospettata   in
ricorso appare rilevante  e  non  manifestamente  infondata,  per  le
ragioni e nei limiti di seguito illustrati. 
    Innanzitutto, si deve  osservare  che  le  eccezioni  preliminari
sollevate  dalle  parti  resistenti  non  risultano   meritevoli   di
accoglimento e  non  possono,  pertanto,  essere  ritenute  idonee  a
definire il giudizio. 
    In  primo  luogo,  non  puo'  essere   condivisa   la   doglianza
dell'Amministrazione previdenziale ove ha sostenuto  che  il  ricorso
sarebbe inammissibile in quanto Razia Sultana avrebbe introdotto  una
questione di puro diritto e non avrebbe illustrato  alcuna  specifica
condotta discriminatoria. 
    Al contrario, va osservato che la  ricorrente  si  e'  soffermata
sulla questione di legittimita' costituzionale dell'art. 3, comma  1,
lettera a), n. 1, decreto legislativo n. 147/2017 allo scopo di poter
domandare, nel corso  del  presente  procedimento,  l'erogazione  del
Reddito di Inclusione ovvero il risarcimento del danno derivante  dal
mancato  accesso  a  tale  misura  di  contrasto  alla   poverta'   e
all'esclusione sociale, sicche' si deve  escludere  che  il  caso  di
specie possa essere qualificato alla stregua di una lis ficta. 
    Inoltre,  la  parte  ha  compiutamente  enucleato   la   condotta
discriminatoria in controversia, individuata nel diniego opposto, per
ragioni di nazionalita', dal Comune di San Zeno Naviglio;  ne'  viene
in rilievo il profilo della intenzionalita' del comportamento  tenuto
dall'Ente locale, trattandosi di un elemento estraneo  rispetto  alla
fattispecie normativa. 
    In considerazione di cio', va dunque esclusa la fondatezza  della
censura in esame. 
    In secondo luogo, va altresi' disattesa l'eccezione di carenza di
legittimazione passiva sollevata dall'Istituto resistente. 
    Al riguardo,  se  da  un  lato  risulta  corretta  l'osservazione
secondo   cui   l'Ente   previdenziale   e'    deputato    unicamente
all'erogazione e non alla  concessione  del  Reddito  di  Inclusione,
dall'altro lato si deve ritenere che cio' non escluda, anzi fondi, la
necessita' di coinvolgere I.N.P.S. nel presente procedimento. 
    Va infatti considerato che la legitimatio ad causam  deve  essere
individuata sulla scorta delle prospettazioni della parte che  agisce
in giudizio e va altresi' rilevato che, nel  caso  di  specie,  Razia
Sultana  non  si  e'  limitata  a  domandare  l'accertamento  di  una
discriminazione per ragioni di nazionalita', ma altresi' ha richiesto
la rimozione dei conseguenti effetti dannosi. 
    La legittimazione passiva di I.N.P.S. discende pertanto dal fatto
che la ricorrente abbia invocato, da un  lato,  l'erogazione  di  una
prestazione il cui pagamento rientra per legge  tra  le  attribuzioni
dell'Istituto nonche', dall'alto lato, un risarcimento del  danno  di
cui  l'Amministrazione  previdenziale  potrebbe  essere  chiamata   a
rispondere in via solidale con l'Ente locale. 
    La  doglianza   di   parte   resistente   non   merita   pertanto
accoglimento. 
    Da  ultimo,  si  deve  escludere  la  fondatezza   dell'eccezione
sollevata dal Comune di San  Zeno  Naviglio  laddove  ha  prospettato
l'inammissibilita' dell'istanza di conversione  del  rito,  formulata
dalla  ricorrente  ai  sensi  dell'art.  4  decreto  legislativo   n.
150/2011. 
    Tale richiesta, difatti, e' stata  ipotizzata  da  Razia  Sultana
solamente in via gradata, per il caso in cui il Giudicante non avesse
ritenuto di  poter  inquadrare  l'azione  nel  contesto  del  diritto
antidiscriminatorio. 
    Viceversa, il ricorso risulta integrare gli estremi di  un'azione
civile contro la discriminazione, della quale  la  ricorrente  ha  in
particolare domandato l'accertamento e la cessazione,  invocando  poi
l'erogazione della prestazione quale sanzione diretta a rimuovere gli
effetti della lesione cagionata dalla condotta avversaria. 
    Peraltro, la valutazione circa l'ammissibilita' dell'azione  deve
essere operata sulla  base  della  domanda  articolata  in  giudizio,
sicche', a fronte di una doglianza per condotta  discriminatoria  per
ragioni di nazionalita', la ricorrente risulta senz'altro legittimata
ad agire con il rimedio in esame. 
    In considerazione di tutto cio',  la  censura  formulata  in  via
preliminare dal Comune di San Zeno Naviglio non puo' essere accolta. 
    Cio' posto, devono essere ora illustrate le ragioni che  inducono
a ritenere rilevante  la  questione  di  legittimita'  costituzionale
prospettata  dalla  ricorrente  in  relazione  all'art.   3   decreto
legislativo n. 147/2017 nella formulazione vigente tra il  1°  luglio
2018 e  il  31  marzo  2019,  ovverosia  a  seguito  delle  modifiche
introdotte dalla  legge  n. 205/2017  e  prima  dell'abrogazione  del
Reddito di Inclusione ad opera del decreto-legge n. 4/2019. 
    Al riguardo, va innanzitutto evidenziato che  la  prestazione  in
esame e' stata istituita quale «misura unica a livello  nazionale  di
contrasto  alla  poverta'   e   all'esclusione   sociale»   e,   piu'
precisamente, quale «misura a carattere universale, condizionata alla
prova dei mezzi  e  all'adesione  a  un  progetto  personalizzato  di
attivazione  e  di  inclusione  sociale  e   lavorativa   finalizzato
all'affrancamento dalla condizione di poverta' (art.  2,  comma  1  e
comma 2, decreto legislativo n. 147/2017). 
    Ancor piu' nel dettaglio, «il Rel e' riconosciuto, su  richiesta,
ai nuclei familiari che risultano,  al  momento  della  presentazione
della richiesta e per tutta la durata dell'erogazione del  beneficio,
in possesso congiuntamente dei seguenti requisiti: a) con riferimento
ai requisiti di residenza e di soggiorno, componente che richiede  la
misura deve essere congiuntamente: 1)  cittadino  dell'Unione  o  suo
familiare che sia titolari del diritto di soggiorno o del diritto  di
soggiorno permanente, ovvero cittadino di paesi terzi in possesso del
permesso di soggiorno  UE  per  soggiornanti  di  lungo  periodo;  2)
residente in Italia, in via  continuativa,  da  almeno  due  anni  al
momento di presentazione  della  domanda;  b)  con  riferimento  alla
condizione economica, il nucleo familiare del richiedente deve essere
in possesso congiuntamente di: 1) uu talare dell'ISEE,  in  corso  di
validita', non superiore ad euro 6.000; 2) un  valore  dell'ISRE  non
superiore ad euro 3.000; 3) un  valore  del  patrimonio  immobiliare,
diverso dalla casa di abitazione, non superiore ad euro 20.000; 4) un
valore del patrimonio mobiliare, non superiore ad una soglia di  euro
6.000. accresciuta di  euro  2.000  per  ogni  componente  il  nucleo
familiare successivo al primo, fino ad un massimo di euro 10.000;  5)
un valore  non  superiore  alle  soglie  di  cui  ai  numeri  1  e  2
relativamente  all'ISEE  e  all'ISRE  riferiti  ad   una   situazione
economica aggiornata nei casi e secondo le modalita' di cui  ad  agli
articoli 10 e 11; c) con riferimento al godimento di beni durevoli  e
ad altri indicatori del tenore di  vita,  il  nucleo  familiari  deve
trovavi  congiuntamente  nelle   seguenti   condizioni:   1)   nessun
componente  intestatario  a   qualunque   titolo   o   avente   piena
disponibilita' di autoveicoli, ovvero  motoveicoli  immatricolati  la
prima volta nei ventiquattro mesi  antecedenti  la  richiesta,  fatti
salvi gli autoveicoli  e  i  motoveicoli  per  cui  e'  prevista  una
agevolazione fiscale in favore delle persone con disabilita' ai sensi
della  disciplina  vigente;  2)  nessun  componente  intestatario   a
qualunque titolo o avente piena disponibilita' di nati e imbarcazioni
da diporto di cui all'art. 3, comma 1,  del  decreto  legislativo  18
luglio 2005, n.  171»  (art.  3,  comma  1,  decreto  legislativo  n.
147/2017). 
    Nel periodo concernente la fattispecie in controversia  -  attesa
l'intervenuta abrogazione, a far data dal 1° luglio  2018,  dell'art.
3, comma 2, decreto legislativo n. 147/2017  ad  opera  dell'art.  1,
comma 192, legge n. 205/2017 - non era invece  richiesto  l'ulteriore
requisito della presenza, all'interno del  nucleo  familiare,  di  un
minore di diciotto anni di eta', di una persona con disabilita' e  di
un suo genitore o tutore, di una donna in stato di gravidanza o di un
lavoratore disoccupato di eta' pari  o  superiore  a  cinquantacinque
anni. 
    Tanto premesso, va rilevato che Razia Sultana, al  momento  della
presentazione della  domanda  amministrativa  del  14  gennaio  2019,
risultava residente in Italia, in via  continuativa,  da  almeno  due
anni e risultava altresi' in possesso  delle  condizioni  economiche,
sia reddituali sia patrimoniali, richieste dall'art. 3, comma  1,  n.
2, lettera b) e lettera c), decreto legislativo n. 147/2017,  secondo
una  circostanza  di  fatto  che  non  solo  e'  stata  compiutamente
documentata in giudizio da parte ricorrente, ma che neppure e'  stata
contestata dagli Enti resistenti. 
    Al contempo, e' documentale ed incontroverso  che  Razia  Sultana
sia cittadina pakistana e non sia  in  possesso  di  un  permesso  di
soggiorno UE  per  soggiornanti  di  lungo  periodo,  pur  risiedendo
regolarmente sul territorio nazionale in  forza  di  un  permesso  di
soggiorno per motivi familiari. 
    Da cio' consegue la rilevanza, nel caso concreto, della questione
di legittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 1, lettera  a),  n.
1, decreto legislativo n. 147/2017, posto che  l'esito  del  presente
giudizio dipende dalla conformita' o meno di tale  disposizione  alle
norme della Carta fondamentale. 
    Invero, ove si ritenesse che, ai fini dell'accesso al Reddito  di
Inclusione,  nel  caso  di  cittadini  di  Stati   non   appartenenti
all'Unione europea, il requisito  del  possesso  di  un  permesso  di
soggiorno di lungo periodo fosse esente da censure e  da  profili  di
incostituzionalita', il ricorso promosso da  Razia  Sultana  dovrebbe
essere respinto. 
    Viceversa,  lo  stesso   dovrebbe   trovare   accoglimento,   con
accertamento del  carattere  discriminatorio  della  condotta  patita
dalla ricorrente e con condanna delle controparti alla rimozione  dei
conseguenti effetti lesivi, perlomeno sotto forma di risarcimento del
danno patrimoniale. 
    Si ritiene pertanto che il presente procedimento non possa essere
definito  indipendentemente  dalla  risoluzione  della  questione  di
legittimita' costituzionale relativa all'art. 3, comma 1, lettera a),
n. 1, decreto  legislativo  n.  147/2017,  che  si  reputa  di  dover
proporre nei termini di seguito indicati. 
    La questione in esame, secondo argomenti in parte  corrispondenti
a quanto gia' osservato dal Tribunale di Bergamo  nel  contesto,  non
del tutto coincidente,  della  previgente  formulazione  dell'art.  3
decreto legislativo n. 147/2017 (cfr. tribunale Bergamo,  sez.  lav.,
ordinanza 1 agosto 2019, in Gazzetta Ufficiale, 1ª Serie  speciale  -
Corte  costituzionale  n.  3  del  15  gennaio  2020),   non   appare
manifestamente infondata. 
    Innanzitutto,  e'  necessario  sottolineare  che  il  Reddito  di
Inclusione costituisce, per espressa previsione normativa, una misura
finalizzata all'affrancamento da una condizione di poverta' e da  una
situazione di emarginazione sociale. 
    In particolare, tale provvidenza risulta essere stata strutturata
quale mezzo per la promozione di un'esistenza libera e dignitosa,  al
dichiarato fine di «contribuire a rimuovere gli ostacoli economici  e
sociali che limitano la liberta' e eguaglianza  dei  cittadini  e  il
pieno  sviluppo  della  persona,  di  contrastare   la   poverta'   e
l'esclusione sociale e di ampliare le protezioni fornite dal  sistema
delle politiche  sociali  per  renderlo  piu'  adeguato  rispetto  ai
bisogni  emergenti  e  piu'  equo  e   omogeneo   nell'accesso   alle
prestazioni»,  con  l'adozione,  «in  attuazione  dell'art.  3  della
Costituzione e nel rispetto dei  principi  della  Carta  dei  diritti
fondamentali  dell'Unione  europea»,  di  una  «misura  nazionale  di
contrasto della poverta',  intesa  come  impossibilita'  di  disporre
delnnsieme dei beni e dei servizi necessari a condurre un livello  di
vita dignitoso, e dell'esclusione sociale» (art. 1, comma 1, legge n.
33/2017). 
    L'istituto in esame appare dunque inserirsi nel solco  di  quegli
interventi  statuali  che,  fronteggiando  situazioni  di  indigenza,
risultano volti a favorire il «pieno sviluppo  della  persona  umana»
(art. 3, comma 2, Cost.) e, nello stesso senso, si  deve  considerare
che il Reddito di Inclusione e' stato individuato, ai sensi dell'art.
117, comma 2, lettera  m),  Cost.,  quale  livello  essenziale  delle
prestazioni  concernenti  i  diritti  sociali   che   devono   essere
uniformemente garantiti sul territorio nazionale (cfr. art. 1,  comma
1, lettera a), legge n. 33/2017). 
    La  misura  disciplinata  dal  decreto  legislativo  n.  147/2017
risulta pertanto qualificabile alla stregua di una provvidenza  volta
«al  sostentamento  della  persona  nonche'  alla   salvaguardia   di
condizioni di vita accettabili  per  il  contesto  familiare»  (Corte
Cost., sentenza 15 marzo 2013, n. 40) e, in ragione di tali finalita'
essenziali,  risulta  altresi'  qualificabile  «come   parametro   di
ineludibile uguaglianza dl  trattamento  tra  cittadini  e  stranieri
regolarmente soggiornanti nel territorio dello Stato»  (Corte  Cost.,
sentenza 28 maggio 2010, n. 187). 
    D'altro canto, la Consulta ha piu' volte avuto modo di  osservare
che la  valutazione  circa  la  «essenzialita'»  di  una  prestazione
previdenziale  o  assistenziale  va  effettuata  «alla   luce   della
configurazione normativa e della funzione sociale» che la  stessa  e'
chiamata a svolgere, dovendosi dunque verificare se «integri  o  meno
un rimedio destinato a consentire  il  concreto  soddisfacimento  dei
'bisogni primari' inerenti alla stessa sfera di tutela della  persona
umana, che e' compito della Repubblica  promuovere  e  salvaguardare;
rimedio costituente, dunque, un diritto fondamentale perche' garanzia
per  la  stessa  sopravivenza  del  soggetto.   D'altra   parte,   la
giurisprudenza  della  Corte  europea  dei   diritti   dell'uomo   ha
sottolineato  come,  'in  uno  Stato   democratico   moderno,   molti
individui, per tutta o parte della loro vita, non possono  assicurare
il loro sostentamento che grazie a delle prestazioni di  sicurezza  o
di previdenza sociale'. Sicche', 'da parte  di  numerosi  ordinamenti
giuridici  nazionali  viene  riconosciuto  che  tali  individui  sono
bisognosi di una certa sicurezza e prevedono, dunque,  il  versamento
automatico di prestazioni,  a  condizione  che  siano  soddisfatti  i
presupposti stabiliti per il riconoscimento dei diritti in questione'
(la giu' citata decisione sulla riabilitata del 6 luglio 2005,  Stato
ed altri contro Regno Unito). Ove, pertanto,  si  tersi  in  tema  di
provvidenza destinata a far fronte al 'sostentamento' della  persona,
qualsiasi  discrimine  tra   cittadini   e   stranieri   regolarmente
soggiornanti nel territorio dello Stato, fondato su requisiti divieni
dalle condizioni soggettive, finirebbe per risultare in contrasto con
il principio sancito  dall'art.  14  della  Convenzione  europea  dei
diritti dell'uomo, avuto riguardo alla relativa lettura che, come  si
e' detto, e'  stata  in  piu'  circostanze  offerta  dalla  Corte  di
Strasburgo» (C. Cost., sentenza 28 maggio 2010, n.  187,  cit.;  cfr.
altresi' Corte costituzionale, sentenza 15 marzo 2013, n. 40, cit.). 
    Si tratta di pronunce che, pur essendo state rese con riferimento
all'assegno   di   invalidita'    civile    e    all'indennita'    di
accompagnamento, oltre che alla  pensione  di  inabilita',  risultano
fondate su argomentazioni del tutto pertinenti anche con  riferimento
al Reddito di Inclusione. 
    Quest'ultimo istituto e' stato difatti introdotto  quale  «misura
unica a livello nazionale di contrasto alla poverta' e all'esclusione
sociale» (art.  2,  comma  1,  decreto  legislativo  n.  147/2017)  e
testimonia come, nel contesto economico e sociale di quel periodo, il
Legislatore abbia ritenuto di dover intervenire a sostegno dei nuclei
familiari che si siano  trovati  in  una  condizione  di  particolare
indigenza  ed  isolamento,  offrendo  uno  strumento  finalizzato  al
sostentamento della persona umana in relazione a bisogni primari, sia
con una sovvenzione in denaro, sia con una componente di  servizi  ad
ampio spettro (cfr. art 2, comma 3, decreto legislativo n. 147/2017). 
    Ne consegue che, come gia' affermato  in  altre  occasioni  dalla
giurisprudenza   costituzionale,   non   possono   essere   tollerate
differenze di trattamento tra cittadini italiani e soggetti stranieri
legalmente  presenti  nel  territorio  dello   Stato,   non   essendo
possibile,  in   simili   ipotesi,   «discriminare   gli   stranieri,
stabilendo,  nei  loro  confronti,  particolari  limitazioni  per  il
godimento dei diritti fondamentali della persona, riconosciuti invece
ai cittadini (sentenza n. 306 del 2008)» (Corte  Cost.,  sentenza  28
maggio 2010, n. 187, cit.). 
    Alla luce di tutto cio', l'art. 3, comma 1,  lettera  a),  n.  1,
decreto legislativo n. 147/2017  risulta  in  contrasto  con  plurime
disposizioni costituzionali. 
    Da un lato, si dubita infatti che la norma in esame sia  conforme
al  principio  di  eguaglianza,  tanto  sotto  il  profilo   di   una
ingiustificata disparita' di trattamento, rispondendo il  Reddito  di
Inclusione a finalita' essenziali nei termini gia'  delineati  e  non
tollerando  dunque   alcuna   distinzione   per   more   ragioni   di
nazionalita', quanto sotto il profilo  sostanziale,  essendo  compito
della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale
che limitano di fatto le condizioni di liberta' e  di  uguaglianza  e
che impediscono il pieno sviluppo della persona umana. 
    Si ravvisano pertanto gli estremi di una violazione  dell'art.  3
Cost.  nonche'  dell'art.  117,  comma  1,  Cost.,  quest'ultimo   in
relazione sia all'art.  14  della  Convenzione  Europea  dei  Diritti
dell'Uomo  sia  agli  articoli  20  e  21  della  Carta  dei  Diritti
Fondamentali dell'Unione Europea in tema di principi di eguaglianza e
di non discriminazione. 
    Dall'altro lato, poi, si dubita della legittimita' costituzionale
dell'art. 3, comma 1,  lettera  a),  n.  1,  decreto  legislativo  n.
147/2017 apparendo lo stesso in contrasto con i  doveri  inderogabili
di solidarieta' imposti, in  materia  di  assistenza  sociale,  dagli
articoli 2, 38 e 117, comma 1, Cost. 
    Quest'ultimo, sia in relazione agli articoli 21 e  34,  comma  3,
della Carta dei Diritti  Fondamentali  dell'Unione  europea,  secondo
cui, senza discriminazioni, a tutti  coloro  che  non  dispongano  di
risorse sufficienti deve essere garantito il diritto ad un'assistenza
sociale volta  ad  assicurare  un'esistenza  dignitosa,  al  fine  di
contrastare l'esclusione sociale e la poverta', sia in relazione agli
articoli 13 e 30  della  Carta  Sociale  Europea,  secondo  cui  ogni
persona ha diritto all'assistenza sociale, laddove sia sprovvista  di
risorse  sufficienti,  nonche'  alla  protezione  dalla  poverta'   e
dall'emarginazione sociale. 
    In  ogni  caso,  quand'anche  si  ritenesse  che  il  Reddito  di
Inclusione  non  possa  essere  qualificato  alla  stregua   di   una
prestazione interna al nucleo dei bisogni essenziali  della  persona,
la questione di  legittimita'  costituzionale  relativa  all'art.  3,
comma  1,  lettera  a),  n.  1,  decreto  legislativo   n.   147/2017
risulterebbe comunque non manifestamente infondata per contrasto  con
l'art. 3, comma 1, Cost. 
    Invero, se da un lato non appare  revocabile  in  dubbio  che  il
Legislatore  possa  circoscrivere  la  platea  dei   beneficiari   di
determinate  prestazioni  sociali,  in  particolare  a  motivo  della
limitatezza delle risorse destinate al loro finanziamento, dall'altro
lato e' gia' stato rilevato che  una  simile  limitazione  «deve  pur
sempre rispondere al principio di ragionevolezza ex art. 3  Cost.»  e
che «tale principio puo' ritenersi rispettato solo qualora esista una
'causa normativa della differenziazione, che sia 'giustificata da una
ragionevole  correlazione  tra  la  condizione  cui  e'   subordinala
l'attribuzione del beneficio e gli altri peculiari requisiti  che  ne
condizionano il riconoscimento e ne definiscono la ratio (sentenza n.
107 del  2018).  Una  simile  ragionevole  causa  normativa  puo'  in
astratto consistere nella richiesta di  un  titolo  che  dimostri  il
carattere non episodico o  di  breve,  durata  della  permanenza  sul
territorio dello Stato: anche in questi casi, peraltro,  occorre  pur
sempre che sussista una ragionevole correlazione tra la  richiesta  e
le situazioni di bisogno o  di  disagio,  in  lista  delle  quali  le
singole prestazioni sono state previste (sentenza n. 133  del  2013)»
(C. Cost., sentenza 20 luglio 2018, n. 166). 
    Va osservato che con  quest'ultima  decisione,  relativa  ad  una
prestazione diretta a soddisfare bisogni abitativi primari di persone
in condizione  di  poverta',  la  Corte  costituzionale  ha  ritenuto
irragionevole il discrimine rappresentato, per i cittadini stranieri,
da un radicamento territoriale particolarmente prolungato nel tempo. 
    Si tratta di una  pronuncia  che  risulta  pertinente  anche  con
riferimento alla fattispecie in  controversia,  sia  in  ragione  del
fatto che l'accesso al Reddito di Inclusione e' comunque  subordinato
ad  una  residenza  sul  territorio  nazionale  protratta,   in   via
continuativa, per almeno due anni (cfr. art. 3, comma l, lettera  a),
n. 2, decreto legislativo n. 147/2017), sia in ragione del fatto  che
il possesso di un permesso di soggiorno di lungo  periodo  presuppone
la titolarita' di un reddito minimo e di una conoscenza della  lingua
italiana, ai sensi dell'art. 9 decreto legislativo n.  286/1998,  che
non  appaiono  compatibili  con   situazioni   di   poverta'   e   di
emarginazione  che   il   Legislatore   ha   dichiaratamente   voluto
contrastare con l'introduzione della prestazione in esame (cfr.  art.
2, comma 1 e comma 2, decreto legislativo n. 147/2017). 
    Per un verso, dunque, il requisito di un radicamento territoriale
di durata comunque non breve risulta gia' assicurato dalla necessita'
di essere legalmente  residenti  in  Italia  da  un  lasso  di  tempo
biennale che denota una certa  stabilita'  di  permanenza  sul  suolo
nazionale, di qualche l'ulteriore richiesta di possedere un  permesso
di soggiorno  di  lungo  periodo,  rivolta  nei  confronti  dei  soli
cittadini di Stati non appartenenti all'Unione  europea,  non  appare
conforme a ragionevolezza. 
    Per altro verso, poi, il mancato conseguimento di un permesso  di
soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo, ove determinato da un
reddito annuale inferiore all'importo dell'assegno sociale o  da  una
insufficiente  conoscenza   della   lingua   italiana,   risulterebbe
indicativo di una condizione di particolare bisogno, ancora  maggiore
rispetto a quella di stranieri che siano invece in possesso  di  tale
titolo, sicche' la previsione posta dall'art. 3, comma 1, lettera a),
n. 1, decreto legislativo n. 147/2017 appare irragionevole  anche  in
relazione al  fine,  espressamente  dichiarato  dal  Legislatore,  di
favorire un affrancamento da situazioni di poverta' e  di  esclusione
sociale. 
    Non  emerge  dunque  alcuna  ragionevole  correlazione  tra   una
residenza protratta per almeno un quinquennio, ovverosia per il tempo
necessario ad ottenere il permesso soggiorno di lungo periodo,  e  la
situazione di indigenza e di difficolta' che  il  Legislatore  si  e'
proposto  di  fronteggiare  con  la  misura  introdotta  dal  decreto
legislativo n. 147/2017. 
    D'altro canto, tale irragionevolezza si evince anche in raffronto
al fatto che il Reddito di Inclusione  sia  stato  strutturato  quale
intervento volto a favorire un reinserimento economico  e  sociale  a
fronte di una situazione contingente di bisogno, come si  desume,  in
particolare, dalla possibilita' di erogare  il  beneficio  in  denaro
solo «per un periodo continuativo non superiore a diciotto  mesi»  di
tempo, senza facolta' di rinnovo «se non trascorsi almeno sei mesi da
quando ne  e'  cessato  il  godimento»  (art.  4,  comma  5,  decreto
legislativo n. 147/2017), nonche' dalla necessita' di  delimitare  la
componente dei servizi alla persona, «anche nella sua durata, secondo
principi di proporsionalita' appropriatezza e non eccedenza  rispetto
alle necessita'  di  sostegno  del  nucleo  familiare  rilettile,  in
coerenza con  la  valutazione  multidimensionale  e  con  le  risorse
disponibili, in funzione della  corretta  allocazione  delle  risorse
medesime» (art. 6, comma 7, decreto legislativo n. 147/2017). 
    Ne' appaiono venire rilievo, in questa  sede,  le  argomentazioni
gia' sviluppate dalla Consulta in relazione all'istituto dell'assegno
sociale (cfr. Corte costituzionale, sentenza 15 marzo 2019,  n.  50),
posto che in quell'occasione il Giudice delle Leggi ha esaminato  una
misura, rivolta soltanto a persone di eta' superiore a sessantacinque
anni, strutturata in modo radicalmente differente ed avente finalita'
eterogenee rispetto al Reddito di Inclusione. 
    Sulla scorta di tutto cio', l'art. 3, comma 1, lettera a), n.  1,
decreto legislativo  n.  147/2017  risulta  porsi  in  contrasto,  in
termini di irragionevolezza, con l'art. 3, comma 1, Cost. 
    Infine, e' necessario evidenziare che la descritta  questione  di
legittimita'  costituzionale  non  appare  superabile  ne'   in   via
interpretativa,  ne'  sulla  scorta  delle  previsioni  recate  dalla
direttiva 2011/98/UE. 
    Da un lato, il dato testuale dell'art. 3, comma 1, lettera a), n.
1, decreto legislativo n. 147/2017 risulta difatti inequivoco  e  non
consente di pervenire ad una  ermeneusi  differente  dal  significato
proprio  delle  parole  scelte  dal  Legislatore  ove,  nel  caso  di
cittadini di Paesi terzi, ha subordinato la fruizione del Reddito  di
Inclusione al possesso del permesso di soggiorno UE per  soggiornanti
di lungo periodo. 
    Dall'altro lato, poi,  si  ritiene  di  dover  escludere  che  la
prestazione  in  controversia  ricada  nell'ambito  di   applicazione
dell'art. 12, par. 1, della  direttiva  2011/98/UE,  secondo  cui  «i
lavoratori dei paesi terzi di cui all'art. 3, paragrafo 1, lettere b)
e c), beneficiano dello stesso  trattamento  risentito  ai  cittadini
dello Stato membro in cui soggiornano per quanto concerne: ...  e)  i
settori della sicurezza sociale  definiti  nel  regolamento  (CE)  n.
883/2004». 
    Cio' in quanto il Reddito di Inclusione non appare rientrare  tra
le ipotesi delineate dall'art. 3 del regolamento CE  883/2004  e,  in
particolare, non risulta riconducibile al  novero  delle  prestazioni
familiari. 
    In proposito, va osservato che la giurisprudenza della  Corte  di
Giustizia dell'Unione europea e' consolidata nell'affermare  che  «la
distinzione fra prestazioni escluse dall'ambito di  applicazione  del
regolamento n. 883/2004 e prestazioni  che  ti  rientrano  e'  basata
essenzialmente sugli elementi costitutivi di ciascuna prestazione, in
particolare  sulle  sue  finalita'  e  sui  presupposti  per  la  sua
attribuzione, e non sul fatto che essa  sia  o  no  qualificata  come
prestazione di sicurezza sociale da una normativa nazionale  (v.,  in
tal senso, in particolare,  sentenze  del  16  luglio  1992,  Hughes,
C-78/91, EU:C:1992:331, punto 14;  del  20  gennaio  2005,  Noteboom,
C-101/04, EU:C:2005:51, punto 24, e del  24  ottobre  2013.  Lachheb.
C-177/12, EU:C:2013:689, punto  28)»  e  che  «una  prestazione  puo'
essere considerata come una prestazione di sicurezza sociale  qualora
sia  attribuita  ai  beneficiari  prescindendo  da  ogni  valutazione
individuale e discrezionale delle loro esigenze personali, in base ad
una situazione definita per legge, e si riferisca a  uno  dei  rischi
espressamente elencati nell'art. 3, paragrafo 1, del  regolamento  n.
883/2004 (v. in tal senso, in particolare,  sentenze  del  16  luglio
1992, Hughes, C-78/91, EU:C:1992:331, punto 15; del  15  marzo  2001,
Offermanns,  C-85/99,  EU:C:2001:166,  punto  28,  nonche'   del   19
settembre   2013,   Hliddal   e   Bornand,   C-216/12   e   C-217/12,
EU:C:2013:568, punto 48)» (CGUE, sez. VII, sentenza 21  giugno  2017,
proc. C-449/16). 
    Nel   caso   di   specie,   tuttavia,   le   finalita'    sottese
all'attribuzione del Reddito di Inclusione escludono che si tratti di
una prestazione «in natura o  in  denaro  destinato  a  compensare  i
carichi familiari» (art. 1, lettera j), reg. CE 883/2004), ne' appare
possibile sostenere che l'erogazione di tale prestazione prescinda da
ogni  valutazione  individuale  e  discrezionale   delle   specifiche
esigenze del nucleo familiare. 
    Invero, la provvidenza  introdotta  dal  decreto  legislativo  n.
147/2017 non si presenta quale mero sussidio volto «in particolare  a
coprire in parte le spese che deve sopportare una persona avente  uno
o piu' figli a carico»  (CGUE,  sez.  I,  sentenza  14  giugno  2016,
C-308/14), ma mira al piu' ampio e dichiarato scopo di contrastare la
poverta' e l'esclusione sociale del nucleo  familiare,  che  potrebbe
peraltro   essere   costituito   -   in   particolare    a    seguito
dell'abrogazione  dell'art.  3,  comma  2,  decreto  legislativo   n.
147/2017 - anche da un solo soggetto o da una coppia priva di  prole,
ai sensi  dell'art.  3  decreto  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri n. 159/2013. 
    D'altro  canto,  il  Reddito  di  Inclusione  e'  uno   strumento
«articolato in due componenti: a) un beneficio economico, definito ai
sensi  dell'art.  4;  b)  una  componente  di  servizi  alla  persona
identificata, in  esito  ad  una  valutazione  multidimensionale  del
bisogno  del  nucleo  familiare  di  cui  all'art.  5,  nel  progetto
personalizzato  di  cui  all'art.  6»  (art.  2,  comma  3,   decreto
legislativo  n.  147/2017)  e  la  fruizione  della  prestazione   va
preceduta  da  una  «valutazione  multidimensionale  finalizzata   ad
identificare i bisogni del nucleo familiare e  dei  suoi  componenti,
tenuto conto delle  risorse  e  dei  fattori  di  vulnerabilita'  del
nucleo, nonche' dei fattori ambientali e  di  sostegno  presenti.  In
particolare, sono oggetto di analisi: a) condizioni  e  funzionamenti
personali  e  sociali;  b)  situazione   economica;   c)   situazione
lavorativa e profilo di occupabilita'; d)  educazione,  istruzione  e
formazione;  e)  condizione  abitatitava;  f)  reti   familiari,   di
prossimita' e sociali» (art.  5,  comma  2,  decreto  legislativo  n.
147/2017). 
    In tal senso, il Reddito di Inclusione non appare  finalizzato  a
compensare dei carichi di  famiglia,  quanto  piuttosto  a  sollevare
dallo  stato  di  bisogno  i  nuclei  familiari  che  presentano  una
condizione  di  poverta'  e  di  emarginazione,  non  solo   mediante
l'erogazione  di  un  sussidio  economico,  ma  anche  attraverso  la
predisposizione di un progetto personalizzato  di  attivazione  e  di
inclusione sociale e lavorativa. 
    In ragione di tutto  cio',  l'estraneita'  della  prestazione  in
controversia rispetto all'ambito di applicazione dell'art.  3,  comma
1, lettera j), del regolamento CE  883/2004  puo'  essere  apprezzata
sotto un duplice profilo. 
    Da un lato, in quanto la provvidenza non  e'  riducibile  ad  una
misura destinata a compensare i carichi familiari, ricomprendendo, in
modo  inscindibile,  anche  interventi  di  natura  non  strettamente
economica al fine di  favorire  globalmente  l'affrancamento  da  una
condizione di poverta' e di esclusione sociale. 
    Dall'altro lato, in quanto l'erogazione del Reddito di Inclusione
presuppone  una  valutazione  multidimensionale  delle  esigenze  del
singolo nucleo familiare, secondo  una  specifica  analisi  del  caso
concreto  e   secondo   apprezzamenti   anche   discrezionali   nella
identificazione dei bisogni del richiedente e dei suoi congiunti. 
    D'altro canto, che la nozione di prestazione familiare non  possa
essere estesa sino a ricomprendere una provvidenza quale  il  Reddito
di Inclusione pare potersi evincere anche dal tenore letterale  della
disciplina sovranazionale, la  quale  tratteggia  simili  sussidi  in
termini meramente economici, in  particolare  laddove,  «in  caso  di
cumulo di diritti», si riferisce ad ipotesi di  sospensione  «fino  a
concorrenza dell'importo  pretisto»  nonche'  all'erogazione  di  una
«integrazione differeniale» (art. 68, reg. CE 883/2004). 
    Ne'  l'istituto  introdotto  dal  d.lgs.   n.   147/2017   appare
riconducibile ad altre ipotesi previste dall'art. 3  del  regolamento
CE 883/2004. 
    Da  una  parte,  infatti,  il  Reddito  di  Inclusione  non  puo'
all'evidenza essere qualificato alla stregua di  una  prestazione  di
malattia (lett. a), di invalidita' (lett. c), di vecchiaia (lett. d),
per i superstiti (lett. e), per  infortunio  sul  lavoro  e  malattie
professionali (lett. t), di pensionamento anticipato (lett. i) ovvero
quale assegno in caso di morte (lett. g). 
    Dall'altra  parte,  poi,  la  misura   in   esame   non   risulta
annoverabile tra  le  ipotesi  di  prestazioni  di  maternita'  e  di
paternita' (lett. b) o  di  disoccupazione  (lett.  h),  se  solo  si
considera  che  il  Legislatore  ha  espunto  il   riferimento   alla
genitorialita' inizialmente presente all'art.  3,  comma  2,  decreto
legislativo n. 147/2017, in forza dell'art. 1, comma  190,  legge  n.
205/2017, e ha inoltre stabilito che, entro  i  limiti  reddituali  e
patrimoniali di legge, il Reddito di Inclusione e' compatibile con lo
svolgimento di  un'attivita'  lavorativa  da  parte  di  uno  o  piu'
componenti il nucleo familiare,  ai  sensi  dell'art.  11,  comma  1,
decreto legislativo n. 147/2017. 
    Ne consegue l'impossibilita' di risolvere la presente vertenza in
via  interpretativa  o  in  diretta  applicazione   di   disposizioni
sovranazionali. 
    Alla luce  di  tutto  cio',  si  rende  necessario  investire  la
Consulta della questione  di'  legittimita'  costituzionale  relativa
all'art. 3, comma  1,  lettera  a),  n.  1,  decreto  legislativo  n.
147/2017 ove e' previsto che, per l'accesso al Reddito di Inclusione,
i cittadini di Paesi  non  appartenenti  all'Unione  europea  debbano
essere titolari di un permesso di soggiorno UE  per  soggiornanti  di
lungo periodo. 
    Secondo quanto gia' esposto, tale questione risulta  rilevante  e
non manifestamente infondata in relazione agli articoli 2,  3,  38  e
117, comma 1, Cost., quest'ultimo con riferimento all'art.  14  della
Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo, agli articoli 20, 21 e 34,
comma 3 della Carta  dei  Diritti  Fondamentali  dell'Unione  europea
nonche'  agli  articoli  13  e  30  della  Carta   Sociale   Europea,
segnatamente  in  considerazione  del  fatto  che   la   disposizione
censurata appare determinare  una  irragionevole  discriminazione  in
danno  dei  cittadini  di  Paesi  terzi   che,   pur   legittimamente
soggiornanti in Italia, risultino privi di un permesso  di  soggiorno
di lungo periodo. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 1, lettera a),  n.  1,
decreto legislativo n. 147/2017 in relazione agli articoli 2, 3, 38 e
117, comma 1, Cost., quest'ultimo con riferimento all'art.  14  della
Convenzione europea dei diritti dell'uomo, agli articoli 20, 21 e 34,
comma 3, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione  europea  e
agli articoli 13 e 30 della Carta sociale europea; 
    Sospende il presente procedimento; 
    Dispone  l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
costituzionale; 
    Manda la cancelleria per gli  adempimenti  di  cui  all'art.  23,
u.c., legge n. 87/1953. 
        Brescia, 2 maggio 2020 
 
                    Il giudice del lavoro: Ciocca