N. 118 ORDINANZA (Atto di promovimento) 9 aprile 2020
Ordinanza del 9 aprile 2020 della Corte dei conti - Sezione giurisdizionale per la Toscana sul ricorso proposto da Cardoni Carlo Luigi contro l'Istituto nazionale della previdenza sociale - INPS e altri. Pensioni - Legge di bilancio 2019 - Trattamenti pensionistici diretti a carico del Fondo pensioni lavoratori dipendenti, delle gestioni speciali dei lavoratori autonomi, delle forme sostitutive, esclusive ed esonerative dell'assicurazione generale obbligatoria e della Gestione separata di cui all'articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335, i cui importi complessivamente considerati superano 100.000 euro lordi su base annua - Intervento di decurtazione percentuale, per la durata di cinque anni, dell'ammontare lordo annuo. - Legge 30 dicembre 2018, n. 145 (Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021), art. 1, commi 261, 262, 263, 264, 265, 266, 267 e 268.(GU n.37 del 9-9-2020 )
LA CORTE DEI CONTI Sezione giurisdizionale per la Regione Toscana in composizione monocratica Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso iscritto al n. 61574/PC del registro di Segreteria, proposto dal dott. Carlo Luigi Cardoni (C.F. CRDCLL46A02G478E) rappresentato e difeso dall'avv. Mario Rampini pec mario.rampini@avvocatiperugiapec.it elettivamente domiciliato presso l'avv. Duccio Maria Traina pec avvducciomariatraina@cnfpec.it in Firenze alla via Lamarmora n. 14 - avverso: a) l'Istituto nazionale della previdenza sociale - INPS, in persona del legale rappresentante pro tempore con sede in Roma - via Ciro il Grande n. 21; b) l'Istituto nazionale della previdenza sociale - INPS di Perugia, in persona del legale rappresentante pro tempore domiciliato per la carica presso la sede provinciale dell'INPS di Firenze, con sede in Firenze - viale Belfiore n. 28/A; c) il Presidente del Consiglio dei ministri, in persona del Presidente del Consiglio dei ministri, domiciliato per legge l'Avvocatura distrettuale dello Stato di Firenze - via Degli Arazzieri n. 4; d) il Ministero dell'economia e delle finanze, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato per legge presso l'Avvocatura distrettuale dello Stato di Firenze - via Degli Arazzieri n. 4 - rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Firenze, presso cui e' domiciliato in Firenze - via Degli Arazzieri n. 4: per l'accertamento del diritto del ricorrente ad ottenere il trattamento pensionistico dallo stesso goduto anteriormente al 1° gennaio 2019, escludendo la riduzione del trattamento stesso ex art. 1, comma 261, della legge n. 145 del 2018; l'annullamento e/o disapplicazione dei cedolini pensionistici a decorrere dal 1° giugno 2019 nella parte in cui recano le illegittime riduzioni operate; la condanna dell'INPS al pagamento in favore del ricorrente, degli importi trattenuti sul trattamento pensionistico a decorrere dal 1° gennaio 2019, oltre interessi al tasso legale e rivalutazione monetaria dal 1° gennaio 2019 al soddisfo. Nella pubblica udienza del 17 dicembre 2019 sono comparsi l'avv. Mario Rampini per la parte ricorrente e l'avv. Silvano Imbrieci per l'INPS, non comparsi la Presidenza del Consiglio dei ministri, l'Avvocatura distrettuale dello Stato ed il Ministero dell'economia e delle finanze. Visti gli atti e documenti di causa; Fatto 1. La parte ricorrente, dipendente pubblico in quiescenza nella qualita' di magistrato amministrativo, a partire dal mese di giugno 2019 si e' visto ridurre significativamente, con decorrenza 1° gennaio 2019, il trattamento pensionistico erogato dall'INPS a seguito della entrata in vigore della legge 30 dicembre 2018, n. 145 che ha disposto all'art. 1, commi 261, 262, 263, 265, 266, 267 e 268: «261. A decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge e per la durata di cinque anni, i trattamenti pensionistici diretti a carico del Fondo pensioni lavoratori dipendenti, delle gestioni speciali dei lavoratori autonomi, delle forme sostitutive, esclusive ed esonerative dell'assicurazione generale obbligatoria e della Gestione separata di cui all'art. 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335, i cui importi complessivamente considerati superino 100.000 euro lordi su base annua, sono ridotti di un'aliquota di riduzione pari al 15 per cento per la parte eccedente il predetto importo fino a 130.000 euro, pari al 25 per cento per la parte eccedente i 130.000 euro fino a 200.000, pari al 30 per cento per la parte eccedente 200.000 euro fino a 350.000 euro, pari al 35 per cento per la parte eccedente 350.000 euro fino a 500.000 euro e pari al 40% per la parte eccedente 500.000 euro. 262. Gli importi di cui al comma 261 sono soggetti alla rivalutazione automatica secondo il meccanismo stabilito dall'art. 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448. 263. La riduzione di cui al comma 261 si applica in proporzione agli importi dei trattamenti pensionistici, ferma restando la clausola di salvaguardia di cui al comma 267. La riduzione di cui al comma 261 non si applica comunque alle pensioni intermedie liquidate con il sistema contributivo. 265. Presso l'INPS e gli altri enti previdenziali interessati sono istituiti appositi fondi denominati "Fondo risparmio sui trattamenti pensionistici di importo elevato" in cui confluiscono i risparmi derivati dai commi da 261 a 263. Le somme ivi confluite restano accantonate. 266. Nel fondo di cui al comma 265 affluiscono le risorse rivenienti dalla riduzione di cui ai commi da 261 a 263, accertate sulla base del procedimento di cui all'art. 14 della legge 7 agosto 1990, n. 241. 267. Per effetto dell'applicazione dei commi da 261 a 263 l'importo complessivo dei trattamenti pensionistici diretti non puo' comunque essere inferiore a 100.000 euro lordi su base annua. 268. Sono esclusi dall'applicazione delle disposizioni di cui ai commi da 261 a 263 le pensioni di invalidita', i trattamenti pensionistici di invalidita' di cui alla legge 12 giugno 1984, n. 222, i trattamenti pensionistici riconosciuti ai superstiti e i trattamenti riconosciuti a favore delle vittime del dovere o di azioni terroristiche di cui alla legge 13 agosto 1980, n. 466 e alla legge 3 agosto 2004, n. 206». 2. La parte ricorrente censura la manovra di «taglio» con decurtazione sull'ammontare della pensione da un minimo del 15% ad un massimo del 40%, poiche' in attivita' lavorativa ha versato contributi con il sistema cd. misto per obblighi di legge, mentre per le pensioni interamente liquidate con il sistema contributivo si esclude tale misura ablativa sulla somma del trattamento previdenziale. La parte ricorrente ha presentato atto di significazione e diffida innanzi all'INPS competente per materia ad erogare il trattamento pensionistico decurtato, richiedendo che l'ente previdenziale continuasse ad erogare il trattamento pensionistico gia' in godimento senza operare la decurtazione prevista dalla detta normativa e con la revoca delle ritenute (e riaccreditamento degli importi gia' trattenuti). Non avendo l'Amministrazione dato alcun riscontro alla istanza il ricorrente deduce la legittimazione processuale ad adire il giudice contabile ai sensi dell'art. 153 del codice di giustizia contabile e si attiva in sede giudiziale, previa declaratoria della rilevanza e non manifesta infondatezza delle questioni di illegittimita' costituzionale illustrate nel ricorso per l'annullamento delle disposizioni citate e per una pronuncia di accertamento del proprio diritto ad ottenere il trattamento pensionistico in atto goduto sino alla data del 31 dicembre 2018, nonche' del diritto ad ottenere la restituzione delle somme trattenute in forza di disposizioni legislative costituzionalmente illegittime, oltre interessi e rivalutazione monetaria dall'effettivo prelievo al soddisfo. 3.1. Il ricorrente richiama i prelievi di varia natura disposti sul trattamento economico e pensionistico nei confronti dei dipendenti pubblici in tema di pensioni (art. 37, legge n. 488/1999, art. 3, comma 2, legge n. 350/2003, art. 18, comma 22-bis, decreto-legge n. 98/2011 conv. in legge n. 111/2011, art. 1, commi 486 e 487, legge n. 147/2013) e, per quel che qui interessa, la legge n. 145/2018, art. 1, commi da 261 a 268. Sulle disposizioni legislative incidenti negativamente sui detti trattamenti ed i principi disposti al riguardo la Corte costituzionale era stata chiamata piu' volte a pronunciarsi, stabilendo un perimetro al di fuori del quale il prelievo coattivo e' violativo del precetto costituzionale, ed i limiti sanciti dalla Corte sui trattamenti economici sono applicabili al trattamento di quiescenza, vista la ormai consolidata natura di retribuzione differita assegnata alla pensione. Richiamando alcune specifiche pronunce (223/2012, 116/2013 e 173/2016, il ricorrente osserva che la Corte ha affermato: a) la necessita' nel prelievo del rispetto dei principi di ragionevolezza, di affidamento e della tutela previdenziale (articoli 3 e 38 Cost), il cui rispetto e' oggetto di scrutinio "stretto" di costituzionalita', che impone un grado di ragionevolezza, complessiva ben piu' elevato di quello che, di norma, e' affidato alla mancanza di arbitratrieta'";.... con un intervento ablativo sicuramente ragionevole, non imprevedibile e sostenibile". Sicche' «il contributo deve operare come misura di solidarieta' forte, mirata a puntellare il sistema pensionistico, e di sostegno previdenziale ai piu' deboli, anche in un'ottica di mutualita' intergenerazionale, siccome imposta da una situazione di grave crisi del sistema stesso, indotta da vari fattori - endogeni ed esogeni - che devono essere oggetto di attenta ponderazione da parte del legislatore a fronte della quale soltanto puo' consentirsi di derogare (in termini accettabili) al principio di affidamento in ordine al mantenimento del trattamento pensionistico gia' maturato». «Un contributo sulle pensioni costituisce, pero', una misura del tutto eccezionale, nel senso che non puo' essere ripetitivo e tradursi in un meccanismo di alimentazione del sistema di previdenza», rilevando che la incidenza delle pensioni deve essere contenuta in limiti di sostenibilita' e non superare livelli apprezzabili, nel senso che le aliquote non possono essere eccessive. La Corte costituzionale ha affermato che il contributo, per superare lo scrutinio «stretto» di solidarieta' deve palersarsi come misura improntata effettivamente alla solidarieta' previdenziale e deve quindi «operare all'interno del complessivo sistema di previdenza; essere imposto dalla crisi contingente e grave del predetto sistema; incidere sulle pensioni piu' elevate (in rapporto alle pensioni minime), presentarsi come prelievo sostenibile; rispettare il principio di proporzionalita'; essere comunque utilizzato come misura una tantum» (nella specie - art. 1, comma 486 - legge n. 147/2013 sussistevano, sia pure al limite, tali condizioni): in siffatto modo Corte costituzionale n. 173/2016. 3.2. Osserva la parte ricorrente che la censurata normativa (art. 1, commi da 261 a 268 della legge n. 145/2018) aveva superato il perimetro di costituzionalita' per la insussistenza di una crisi contingente e grave del sistema previdenziale (violazione articoli 2, 3, 35, 36 e 38 della Cost) omettendo qualsiasi causa giuridica intraprevidenziale e solidaristica e la medesima assenza derivava dalla non operativita' della normativa per le pensioni interamente liquidate con il sistema contributivo, incidendo unicamente sui trattamenti pensionistici sulla base del pregresso sistema retributivo o misto. L'assenza di grave crisi del sistema previdenziale si evinceva anche da interventi legislativi (cd quota 100) che aveva ampliato la platea dei pensionati con una consistente spesa (4 miliardi per il 2019 e 8 miliardi e mezzo per il 20121): art. 14, decreto-legge n. 4/2019, conv. in legge n. 26/2019), ed inoltre il «fondo risparmio sui trattamenti pensionistici di importo elevato in cui confluiscono i risparmi dai commi 261 a 263. Le somme ivi confluite restano accantonate», non consente l'immediato impego delle risorse derivanti dalla riduzione censurata, e cio' determinava la non ravvisabilita' di una effettiva solidarieta' previdenziale a sostegno dei piu' deboli. 3.3. La parte ricorrente eccepiva anche la violazione del principio di irragionevolezza e del principio sulla tutela dell'affidamento (violazione articoli 2, 3, 35, 36, 38 e 42 Cost). determinando una sostanziale reformatio in peius del pregresso sistema normativo, operando dunque retroattivamente (retroattivita' impropria), situazione giustificata giustificato solo da principi, diritti e beni di rilievo costituzionale (sentenze n. 170/2013 e n. 89/2018)) e che, con particolare riferimento alla categoria dei pensionati e' particolarmente censurabile, in quanto categoria debole priva di potere contrattuale (sentenza n. 116/2013). 3.4. Si assumeva anche la insussistenza del criterio di ragionevolezza con riguardo alla esclusione del prelievo per tutte le pensioni liquidate con il sistema contributivo (violazione dell'artt. 2, 3, 35, 36 e 38 Cost.) non essendo giustificata la premessa secondo cui il taglio deve colpire le «pensioni non giustificate dai contributi versati», atteso che sussiste anche una natura solidaristica del sistema retributivo che, dopo i quaranta anni di contribuzione effettua versamenti inutili al fine del calcolo della pensione con versamenti che vanno ad esclusivo vantaggio del sistema pensionistico, situazione che non si verifica nel sistema contributivo. Ne derivava una ingiustificata discriminazione unicamente in base al sistema di computo e liquidazione delle pensioni (retributivo o contributivo). 3.5. Ulteriore profilo di violazione degli articoli 2, 3, 36 e 38 della Cost. derivava dalla configurazione del prelievo di specie non come prelievo una tantum e per un periodo di tempo ragionevole (sentenza n. 173/2016), ma come un prelievo per un «abnorme» periodo (cinque anni). Il contributo sulle pensioni, differentemente da quanto precisato dalla Corte costituzionale (n. 173/2016), non ha costituito una misura del tutto eccezionale, considerata la ripetitivita' e la traduzione in un meccanismo di alimentazione del sistema di previdenza con carattere di continuita' nell' arco di tredici anni (1° agosto 2011 - 31 dicembre 2024). 3.6. La durata quinquennale e l'elevatezza delle aliquote dimostrano la insostenibilita' del prelievo che riduce sensibilmente la pensione, con irragionevolezza delle aliquote in considerazione degli scaglioni e delle aliquote previsti dall'art. 1, comma 261 se confrontati con la progressivita' delle aliquote IRPEF considerati quali parametri di ragionevolezza. Parimenti sussisteva una disparita' di trattamento per le categorie di pensionati appartenenti a regimi previdenziali non previsti dal detto comma 261 a parita' di reddito (lavoratori autonomi ed imprenditori). 3.7. Concludeva la parte ricorrente per: l'accertamento del diritto ad ottenere il trattamento pensionistico dallo stesso goduto anteriormente al 1° gennaio 2019, escludendo la riduzione del trattamento stesso ex art. 1, comma 261, della legge n. 145 del 2018; l'annullamento e/o disapplicazione dei cedolini pensionistici a decorrere dal 1° giugno 2019 nella parte in cui recano le illegittime riduzioni operate; la condanna dell'INPS al pagamento in favore del ricorrente, degli importi trattenuti sul trattamento pensionistico a decorrere dal 1° gennaio 2019, oltre interessi al tasso legale e rivalutazione monetaria dal 1° gennaio 2019 al soddisfo; la condanna dell'INPS alla refusione delle spese legali ed accessori di legge. 4. Con memoria depositata si e' costituito in giudizio l'INPS contestando le eccezioni di costituzionalita' sollevate dal ricorrente. In ordine alle norme che dispongono la decurtazione della pensione l'istituto eccepisce il rispetto del parametro della temporaneita' del prelievo, rappresentando il quinquennio un periodo specificamente circoscritto (peraltro nella sentenza della Corte costituzionale n. 173/2016 non era stato fissato un limite massimo della durata del prelievo), e peraltro non vi e' continuita' tra le diverse misure adottate dal legislatore nel corso degli anni, ne' omogeneita' di contenuti, per cui non vi e' consolidamento nel tempo dell'incisione sulle pensioni piu' elevate (nessuna riduzione in tal senso era stata disposta dal 2007 al 2011). Con riferimento al carattere selettivo del contributo l'ente previdenziale sostiene la coerenza e ragionevolezza dell'esclusione di alcune categorie di pensionati. (amministrate dagli enti di previdenza obbligatori (decreti legislativi n. 504/1994 e n. 103/1996), avendo la Corte costituzionale (7/2017) riconosciuto la necessita' di preservare l'equilibrio della gestione e del vincolo di destinazione tra contributi e prestazioni. Priva di fondamento e' l'asserita sottrazione al sistema previdenziale delle somme acquisite per effetto della disciplina contestata, considerata l'espressa previsione normativa - art. 1, comma 265 - dell'accantonamento delle citate risorse in fondi istituiti presso le gestioni previdenziali, e ritenuta la sussistenza della procedura della conferenza dei servizi per la decisione sulla destinazione delle stesse. Parimenti non e' condivisibile neanche la censura in ordine alla irragionevolezza del contributo sul piano quantitativo considerato che la Corte costituzionale si limita (cfr. sentenza n. 173/2016) ad individuare dei parametri di portata generale (sostenibilita' e proporzionalita' del prelievo), e vista l'adeguata presenza di scaglioni reddituali (5 invece dei tre previsti dalla legge n. 147/2013), con espressa previsione di una clausola di salvaguardia secondo cui «l'importo complessivo dei trattamenti pensionistici diretti non puo' comunque essere inferiore a 100.000 euro lordi su base annua». Ne', osserva l'INPS, puo' configurarsi il prelievo come avente la natura di tributo, in assenza di due (dei tre) elementi delle fattispecie tributarie, ovvero la definitivita' della decurtazione patrimoniale a carico dei soggetti passivi e la destinazione delle risorse acquisite al finanziamento delle pubbliche spese: in tal senso depongono la durata quinquennale del prelievo - quindi transitorio - e l'accantonamento dei risparmi conseguiti in fondi previdenziali specificamente previsti. Conclude l'INPS per: a) la declaratoria di difetto di legittimazione passiva con conseguente estromissione dal giudizio, b) rigetto della domanda di preliminare sospensione del giudizio e remissione degli atti alla Corte costituzionale, c) il rigetto delle domande perche' infondate. Il tutto con ogni consequenziale statuizione in ordine alle spese di lite. 5. Con memoria difensiva l'Avvocatura distrettuale dello Stato deduce la legittimita' della norma, l'assenza di natura tributaria nella norma contestata, siccome affermato anche dalla Corte costituzionale (con la sentenza n. 173/2016) in una vicenda analoga, ma anche in altra sentenza (n. 213/2017) afferenti a «risparmi» di cui all'art. 1, comma 487, della legge n. 147/2013. Osserva l'avvocatura erariale che il ricalcolo opera, correttamente, su quei trattamenti che in tutto od in parte non hanno una correlazione, un «rapporto di sinallagmaticita'» con l'ammontare dei contributi versati e che prevede aliquote che comunque restano al di sotto del «vantaggio percentuale» connesso all'applicazione del sistema retributivo rispetto a quello contributivo. In ogni caso la riduzione e' sostenibile, vista la salvaguardia del trattamento non inferiore ad euro 100.000,00. Conclude per l'inammissibilita' del ricorso e, previa la manifesta infondatezza della questione di costituzionalita', per il rigetto, con ogni conseguenza anche in ordine alle spese. Nella odierna udienza di discussione la parte ricorrente e il legale difensore dell'INPS insistono su quanto dedotto con gli atti defensionali; quindi la causa viene introitata per la decisione. Diritto 1. Il giudizio in esame ha ad oggetto la richiesta della rideterminazione del trattamento pensionistico avanzato dal ricorrente senza le decurtazioni introdotte dal prelievo sull'importo annuale lordo, previsto per il quinquennio 2019/2023 (art. 1, comma 261, legge 30 dicembre 2018, n. 145). La parte ricorrente a sostegno delle pretese formulate ha eccepito la violazione della normativa in quanto confliggente con molteplici disposizioni della Costituzione ed in specie con gli articoli 2, 3, 23, 36, 38, 42, 53, 81, 97, 101, 104 e 117 ma anche con la Convenzione europea dei diritti dell'uomo, costituente anche violazione dell'art. 117 Costituzione. 2. La Corte costituzionale ha emesso numerose pronunce aventi ad oggetto gli interventi legislativi di compressione dei diritti patrimoniali acquisiti dai percettori di trattamenti pensionistici, ed ha statuito che la discrezionalita' del legislatore nell'adozione di misure che incidono sui diritti previdenziali non preclude la necessita' di verificare, per ciascun intervento, il rispetto dei fondamentali principi di ragionevolezza, adeguatezza ed affidamento. In ordine al prelievo nella sentenza n. 173/2016 si e' statuito che «in linea di principio, il contributo di solidarieta' sulle pensioni puo' ritenersi misura consentita al legislatore ove la stessa non ecceda i limiti entro i quali e' necessariamente costretta in forza del combinato operare dei principi, appunto di ragionevolezza, di affidamento e della tutela previdenziale (articoli 3 e 38 Cost), il cui rispetto e' oggetto di uno scrutinio "stretto" di costituzionalita', che impone un grado di ragionevolezza complessiva ben piu' elevato di quello che, di norma, e' affidato alla mancanza di arbitrarieta'». 3.1. Le parti ricorrenti osservano che la misura adottata (art. 1, commi da 261 a 268 della legge n. 245/2018), e contestata in questa sede, costituisce una misura economica avente natura tributaria e di imposta speciale, ritenuta la decurtazione patrimoniale priva di un rapporto sinallagmatico tra le parti, costituente un prelievo coattivo collegato alla pubblica spesa ed inerente ad un presupposto economico determinato dall'indice di capacita' contributiva dei soggetti interessati dalla censurata norma, ed inoltre non ha una finalita' solidaristica o endoprevidenziale. Sulla natura del tributo costante giurisprudenza della Corte costituzionale ha individuato lo stesso nel «prelievo coattivo che e' finalizzato al concorso alle pubbliche spese ed e' posto a carico di un soggetto passivo in base ad uno specifico indice di capacita' contributiva» (ex multis sentenze n. 102/2008, n. 269/2017, n. 250/2017, n. 173/2016, n. 70/2015 e n. 116/2013 e n. 223/2012). Va ricordato sul tema che la omologa misura (art. 1, comma 486/2013) e' stata ritenuta dalla Corte costituzionale non sussumibile nella categoria del tributo «non essendo acquisito allo Stato ne' destinato alla fiscalita' generale, ed essendo, invece, prelevato in via diretta dall'INPS e dagli altri enti previdenziali coinvolti, i quali - anziche' versarli all'Erario in qualita' di sostituti di imposta - lo trattengono all'interno delle proprie gestioni, con specifiche finalita' solidaristiche endo-previdenziali, anche per quanto attiene ai trattamenti dei soggetti cosiddetti "esodati"». Analogamente la Consulta aveva ritenuto costituzionale l'art. 37 della legge 23 dicembre 1999, n. 488 (legge finanziaria 2000), ritenuto non in conflitto con gli articoli 3 e 53 in quanto finalizzato a realizzare «un circuito di solidarieta' interno al sistema previdenziale» (ordinanza n. 22 del 2003), e neppure contraria agli articoli 2, 36 e 38 Cost. (ordinanza n. 160 del 2007)». Si e' pertanto assegnata alla detta decurtazione la natura di «prelievo inquadrabile nel genus delle prestazioni patrimoniali imposte per legge, di cui all'art. 23 Cost., avente la finalita' di contribuire agli oneri del sistema previdenziale (sentenza n. 178 del 2000, ordinanza n. 22/2003). Di converso nella norma censurata (art. 1, commi 261 e 265 della legge n. 145/2018) non appare individuata alcuna destinazione «vincolata» delle risorse a finalita' solidaristiche endo-previdenziali, atteso che la previsione sottrae le somme alla gestione previdenziale accantonandole nel «Fondo risparmio sui trattamenti pensionistici», senza che il sistema previdenziale possa beneficiarne per l'attivita' degli enti previdenziali, ed essendo pertanto la misura correlata ad alcun intento solidaristico vista l'assenza di individuazione delle finalita' perseguite. Nella specie le somme restano semplicemente accantonate non potendo disporne gli enti previdenziali per un tempo indeterminato ed indeterminabile nella propria gestione per fini solidaristici, vista l'assenza di una indicazione legislativa in merito, prevedendo la norma in modo alquanto generico la previsione della Conferenza dei servizi per la determinazione delle somme da destinare ad essi. Pertanto l'effetto e' contraddittorio ed illogico perche' si comprimono i diritti patrimoniali dei pensionati interessati dalla norma senza che il sistema previdenziale possa beneficiarne per predisporre programmi di tutela della collettivita'. La misura imposta non aggancia, in sostanza, le sue finalita' ad alcun intento solidaristico, ma e' prevista unicamente nel Dossier sulla legge di bilancio - Profili finanziari, redatto dal Servizio bilancio dello Stato della Camera dei deputati del 23 dicembre 2018, che afferma che le risorse saranno destinate all'INPS, senza addurre alcuna motivazione. Vieppiu' il documento delle Camere redatto nel gennaio 2019 dopo l'approvazione della legge di bilancio (legge n. 145/2018) e del disegno di legge collegato in materia fiscale (decreto-legge n. 119/2018, conv. con legge n. 138/2018) in cui sono analizzati la composizione e gli effetti sui saldi di finanza pubblica della manovra di bilancio 2019/2021, la riduzione e la rimodulazione dei trattamenti pensionistici di maggior importo vengono indicati come meri interventi di riduzione della spesa, senza alcuna specifica finalizzazione istituzionale (e rappresentate come meri interventi di riduzione della spesa), come ordinari strumenti di finanziamento dei livelli di spesa approvati (in termini Servizio bilancio del Senato e Servizio bilancio dello della Camera Dossier gennaio 2019 - manovra di bilancio 2019-2021 - Effetti sui saldi e conto risorse impieghi). Assume significato anche la questione che la incidenza sul trattamento pensionistico dei ricorrenti non e' stata giustificata da una inderogabile esigenza di contenimento della spesa pubblica, anzi la manovra di bilancio per il 2019 (per il triennio sino al 2021) e' stata connotata da un carattere «espansivo» per il comparto previdenziale (con ampliamento degli aventi diritto al collocamento in quiescenza) a fronte dei requisiti previsti dalla legge cd. Fornero (trattamento di pensione anticipata cd. quota 100). Appare evidente che in siffatto contesto non si configura la introduzione di norme introdotte in una situazione emergenziale cui si fa fronte attraverso uno strumento «straordinario» di ausilio (Corte costituzionale n. 250/2017, n. 169/2017 e n. 108/2018) bensi' di mezzi di copertura aggiuntivi delle spese pubbliche mediante imposizione con prelievo a carico di alcune categorie di pensionati discriminati rispetto a soggetti non incisi a parita' di condizioni reddituali ed al di fuori di un quadro complessivo di sacrifici imposti, in violazione del principio di universalita' e del principio di uguaglianza atteso che l'art. 53 «non consente trattamenti in pejus di determinate categorie di redditi da lavoro»: cfr. Corte costituzionale n. 116/2013. Il prelievo «selettivo» avente natura tributaria ed avente come destinatari gli odierni ricorrenti e sussumibili nella fiscalita' generale, deriva dall'arco temporale efficace per la decurtazione pari a cinque anni, e quindi superiore allo spazio temporale della programmazione di bilancio di cui agli articoli e 3 e 81 della Costituzione ed in violazione dell'art. 21 della legge n. 196/2009 che si riferisce ad un arco temporale triennale a fronte della misura ablativa quinquennale, con effetti sommatori ad altre misure di decurtazioni subite negli anni precedenti. Sicche' un soggetto collocato in quiescenza nel 2014 si trova a percepire in un decennio la pensione intera unicamente per il biennio 2017 e 2018 (considerati i quattro prelievi rubricati dal legislatore come «contributo di solidarieta'», art. 3, legge n. 488/1989, art. 3, comma 102, legge n. 350/2003, art. 18, comma 22-bis, decreto-legge n. 98/2011, art. 1, comma 486, legge n. 177/2013) manifestando la vera natura dell'intervento di riduzione delle pensioni di importo elevato di cui all'art. 1, commi da 261 a 268 della legge n. 145/2018 , avente natura sostanzialmente tributaria, considerato che in concreto «determina una decurtazione patrimoniale arbitrariamente duratura del trattamento pensionistico, con acquisizione al bilancio statale del relativo gettito e costituisce un prelievo coattivo correlato ad uno specifico indice di capacita' contributiva, che esprime l'idoneita' del soggetto passivo all'obbligazione tributaria. Nei descritti termini esso si presenta confliggente con i principi di cui agli articoli 3 e 53 della Costituzione, gravando soltanto su specifiche categorie di pensionati e non su tutti i cittadini: con cio' risultando ingiustificatamente discriminatorio e non rispettoso dei canoni fondamentali di uguaglianza a parita' di reddito e di universalita' dell'imposizione»: in siffatto modo Corte conti, Sezione giurisdizionale per il Friuli-Venezia Giulia n. 6/2019 (ord.). L'intervento selettivo a carico dei pensionati, vista la natura di retribuzione differita del trattamento pensionistico, determina una grave violazione del principio di ragionevolezza che, secondo gli orientamenti della giurisprudenza costituzionale determina il perno introno al quale devono ruotare le scelte del legislatore nella materia pensionistica, venendo il maggior prelievo «a gravare su redditi ormai consolidati nel loro ammontare, collegati a soggetti che hanno esaurito la loro vita lavorativa, rispetto ai quali non risulta piu' possibile neppure disegnare sul piano sinallagmatico il rapporto di lavoro». 3.2. Violazione degli articoli 3, 23, 36 e 38 della Cost. Ove non si ritenesse il prelievo de quo avente natura tributaria, permarrebbero i dubbi di costituzionalita' della detta misura ai sensi dei criteri e principi elaborati dalla Corte costituzionale in occasione del giudizio di costituzionalita' sul contributo posto sulle pensioni piu' elevate dall'art. 1, comma 486 della legge n. 147/2013: a tale contributo la Consulta ha assegnato la natura di prestazione patrimoniale imposta per legge, ai sensi dell'art. 23 Costituzione. Anche alla luce di tale processo interpretativo la disciplina non puo' essere scrutinata positivamente visto quanto statuito dalla sentenza n. 173/2016 secondo cui «dal combinato operare dei principi, appunto, di ragionevolezza, di affidamento e della tutela previdenziale (articoli 3 e 38 Cost.) il rispetto dei canoni costituzionali e' oggetto di uno scrutinio "stretto" di costituzionalita', che impone un grado di ragionevolezza complessiva ben piu' elevato di quello che, di norma, e' affidato alla mancanza di arbitrarieta'». Visto il parametro valutativo di «stretta costituzionalita'» si individuano le condizioni in presenza delle quali risultano adeguatamente bilanciati «la garanzia del legittimo affidamento nella sicurezza giuridica con altri valori costituzionalmente rilevanti» e che la Corte determina in siffatto modo: «in definitiva il contributo di solidarieta', per superare lo scrutinio "stretto" di costituzionalita' e palesarsi dunque come misura improntata effettivamente alla solidarieta' previdenziale (articoli 2 e 38), deve: operare all'interno del complessivo sistema della previdenza; essere imposto dalla crisi contingente e grave del predetto sistema; incidere sulle pensioni piu' elevate (in rapporto alle pensioni minime); presentarsi come prelievo sostenibile; rispettare il principio di proporzionalita'; essere comunque utilizzato come misura una tantum». I parametri indicati dalla Corte costituzionale appaiono disattesi, dalla legge n. 145/2018 (art. 1, commi 261-268) sotto molteplici profili. In primo luogo non e' dato rinvenire nell'ordito normativo alcuna condizione di eccezionalita' e/o di specifica crisi del sistema previdenziale cui si debba far fronte con il prelievo de quo, anzi la medesima decurtazione e' «organica» ad una manovra di bilancio complessivamente espansiva proprio nel settore previdenziale. Non ricorrono, inoltre, i presupposti di una «solidarieta' forte» e «mutualita' intergenerazionale» poste a fondamento del positivo giudizio di ragionevolezza sull'intervento selettivo del legislatore, ne' appare esistente una sicura destinazione intra-previdenziale dei risparmi attesi, sussistendo di converso una serie di elementi indicativi della destinazione di tali risorse (risparmi di spesa) alla ordinaria copertura delle spese previste nella legge di bilancio, diventando in siffatto modo strumento di «sistema». D'altro canto si e' gia' richiamata nella presente ordinanza la ripetitivita' delle scelte del legislatore di operare (al di la' del biennio di «intervallo» - 2017 - 2018) una ritenuta quinquennale - che «rischia» di essere definitiva vista la condizione anagrafica della maggior parte dei ricorrenti - sulle pensioni oggetto del giudizio, costituente non tanto prelievo una tantum - come invocato dalla Corte costituzionale -, ma come ordinario meccanismo di finanziamento del sistema previdenziale con un sacrificio imposto, anche sotto il profilo dell'affidamento, ad una ristretta cerchia dei soggetti sostitutivo di un intervento di una fiscalita' generale nei confronti di tutti i cittadini in violazione degli articoli 3, 23, 36 e 38 della Costituzione (cfr. anche Corte conti Sezione giurisdizionale Regione Lazio n. 308/2019 ord.). Ne' l'ammontare elevato dei trattamenti oggetto di decurtazione e l'articolazione del contributo secondo diverse aliquote appaiono idonee a configurare le condizioni stabilite dalla richiama sentenza della Corte costituzionale n. 173/2016. 4. Violazione degli articoli 3, 42 e 117 della Costituzione. La suddette considerazioni permettono di ritenere violato il principio di affidamento, in specie con il «taglio» imposto dalla legge n. 145/2018 ai trattamenti pensionistici modificandoli, in peius, su rapporti di durata sorti prima della sua entrata in vigore. Il Giudice delle leggi ha affermato (sentenza n. 103/2013) che il divieto di retroattivita' della legge, previsto dall'art. 11 delle Preleggi costituisce «valore fondamentale di civilta' giuridica» che si declina nell'ambito penale come divieto di retroattivita' in malam partem che non subisce alcuna deroga, ai sensi dell'art. 25 della Costituzione (cfr. ex plurimis Corte costituzionale n. 236/2011 e n. 78/2012), mentre in ambito extrapenale il legislatore puo' adottare norme retroattive ma solo «purche' la retroattivita' trovi adeguata giustificazione nell'esigenza di tutelare principi, diritti e beni di rilievo costituzionale, che costituiscono altrettanto motivi imperativi di interesse generale, ai sensi della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (CEDU)». Sulla specifica questione la giurisprudenza costituzionale ha elaborato «una serie di limiti generali sull'efficacia retroattiva delle leggi, attinenti alla salvaguardia, oltre che dei principi costituzionali, di altri fondamentali valori di civilta' giuridica, posti a tutela dei destinatari della norma e dello stesso ordinamento»: «il rispetto del principio generale di ragionevolezza, che si riflette nel divieto di introdurre ingiustificate disparita' di trattamento»; «la tutela dell'affidamento legittimamente sorto nei soggetti quale principio connaturato allo Stato di diritto»; «la coerenza e la certezza dell'ordinamento giuridico; il rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario» (sentenza n. 209/2010 e n. 103/2013). Con recente decisione n. 108/2019 la Corte costituzionale ha affermato che «il divieto di irretroattivita' della legge costituisce principio fondamentale di civilta' giuridica il legislatore puo' approvare disposizioni con efficacia retroattiva, purche' la retroattivita' trovi adeguata giustificazione nell'esigenza di tutelare principi, diritti e beni di rilievo costituzionale (ex plurimis sentenza n. 170/2013)..... una legge che intervenga retroattivamente a ridurre attribuzioni di natura patrimoniale va sottoposta a stretto scrutinio di ragionevolezza». La Corte ha inoltre affermato che «tra i limiti che la giurisprudenza costituzionale ha individuato all'ammissibilita' di leggi con effetto retroattivo, rileva particolarmente... l'affidamento legittimamente sorto nei soggetti interessati alla stabile applicazione della disciplina modificata», affidamento che trova copertura costituzionale nell'art. 3 Cost., e' ritenuto principio connaturato allo Stato di diritto (cfr. sentenze n. 73 del 2017, n. 170 e n. 160 del 2013, n. 78 del 2012 e n. 209/2010), ed e' da considerarsi ricaduta e declinazione «soggettiva» dell'indispensabile carattere di coerenza di un ordinamento giuridico, quale manifestazione del valore della certezza di diritto». L'aspettativa radicata e qualificata, pur non impedendo al legislatore di modificare in peius la disciplina dei rapporti di durata, tuttavia non prevede che le disposizioni retroattive «possano trasmodare in un regolamento irrazionale ed arbitrariamente incidere sulle situazioni sostanziali poste in essere da leggi precedenti, frustrando cosi' anche l'affidamento del cittadino nella sicurezza pubblica che costituisce elemento fondamentale ed indispensabile dello stato di diritto» (sentenza n. 36/1985). In ordine all'affidamento meritevole di tutela in quanto qualificato nella sua stabilita' la sentenza n. 89/2018 lo ha disegnato come «il consolidamento, nel tempo, della situazione normativa che ha generato la posizione giuridica incisa dal nuovo assetto regolatorio, sia perche' protratta per un periodo sufficientemente lungo, sia per essere sorta in un contesto giuridico sostanziale atto a far sorgere nel destinatario una ragionevole fiducia nel suo mantenimento» (sentenza n. 56/2015). Il principio era stato gia' oggetto di applicazione con sentenza n. 822 del 1988 secondo cui «non puo' dirsi consentita una modificazione legislativa che, intervenendo o in una fase avanzata del rapporto di lavoro oppure quando gia' sia subentrato lo stato di quiescenza, peggiorasse, senza una inderogabile esigenza, in misura notevole ed in maniera definitiva, un trattamento pensionistico in precedenza spettante, con la conseguente irrimediabile vanificazione delle aspettative legittimamente nutrite dal lavoratore per il tempo successivo alla cessazione della propria attivita' lavorativa». Ribadendo il principio stabilito la Corte costituzionale (n. 208/2014) ha affermato che «il diritto alla pensione costituisce una situazione soggettiva di natura patrimoniale, imprescrittibile, assistita da speciali garanzie di certezza e stabilita' e da una particolare tutela da parte dell'ordinamento (sentenza n. 116/2013), anche in ragione della condizione oggettiva di debolezza in cui il titolare viene a trovarsi, sia nell'ambito del rapporto obbligatorio che si instaura con l'amministrazione sia nella particolare fase della vita in cui l'uscita dall'attivita' lavorativa e l'eta' comportano un difficile adattamento al nuovo stato». La peculiare situazione giuridica consolidata di cui titolari i ricorrenti puo' essere compressa, secondo la Corte costituzionale, unicamente (sentenza n. 203/2016), tra l'altro, per: a) interessi pubblici sopravvenuti; b) con un intervento innovativo, ma prevedibile. In ordine al primo aspetto la sentenza n. 108/2019 ha affermato che «nel solco di una giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo che non considera il mero interesse finanziario pubblico ragione di per se' sufficiente a giustificare interventi retroattivi (sentenze 7 giugno 2011, Agrati contro Italia; 25 novembre 2010 Lilly France contro Francia), questa Corte ha gia' affermato che una disciplina retroattiva non puo' tradire l'affidamento del privato, specie se maturato con il consolidamento di situazioni sostanziali, pur se l'intervento retroattivo sia dettato dalla necessita' di contenere la spesa pubblica o di far fronte ad esigenze eccezionali» (sentenza n. 216 del 2015 e n. 170 del 2013). In tal senso il principio di affidamento, riconosciuto dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo art. 6 Cedu ed art. 1 Protocollo n. 1 allegato alla Convenzione, comporta che la sua violazione determina anche la violazione dell'art. 117, comma 1, Cost., che vincola la legge italiana ad osservare la Convenzione, elevando non un adattamento dell'ordinamento interno all'ordinamento pattizio ma a parametro di legittimita' costituzionale il rispetto dei vincoli derivanti dagli obblighi internazionali contenuti nelle leggi di esecuzione. In materia la Corte costituzionale ha statuito in materia (109/2017) che «nell'attivita' interpretativa che gli spetta ai sensi dell'art. 101, secondo comma, Cost., il giudice comune ha il dovere di evitare violazioni della Convenzione europea e di applicarne le disposizioni, sulla base de i principi di diritto espressi dalla Corte Edu, specie quando il caso sia riconducibile a precedenti di quest'ultimo (sentenza n. 68 del 2017, n. 276 e n. 36 del 2016). In tale attivita' egli incontra, tuttavia, il limite costituito dalla presenza di una legislazione interna di contenuto contrario alla CEDU: in un caso del genere - verificata l'impraticabilita' di una interpretazione in senso convenzionalmente conforme, non potendo disapplicare la norma interna, ne' farne applicazione, avendola ritenuta in contrasto con la Convenzione e, pertanto, con la Costituzione, alla luce di quanto disposto dall'art. 117, primo comma Cost. - deve sollevare questione di legittimita' costituzionale della norma interna, per violazione di tale parametro costituzionale (ex plurimis sentenze n. 150/2015, n. 264/2012, n. 113/2011, n. 93/2010, n. 311 e n. 239 del 2009)». Non appare sussistere nella specie neppure la prevedibilita' dell'evento considerato che i pensionati odierni ricorrenti avevano sopportato altri sacrifici, e non era prevedibile una sostanziale «stabilizzazione delle compressioni», rendendo imprevedibile l'ipotesi di un nuovo taglio che aveva ad oggetto somme astrattamente gia' nella disponibilita' dei ricorrenti, violando in siffatto modo anche l'art. 42 della Costituzione determinando una misura ablativa della proprieta' privata, e colpendo una specifica categoria di soggetti, senza che sia stato svolto alcun giudizio di bilanciamento tra gli interessi coinvolti, pur essendo chiara la giurisprudenza costituzionale in materia (sentenza n. 70/2015, n. 116/2013 e n. 223/2012). 6. Per quanto sopra esposto, visti gli art. 134 Cost. e la legge 11 marzo 1953, n. 87, art. 23, dichiara rilevanti e non manifestamente infondate le questioni di legittimita' costituzionale: dell'art. 1, commi da 261 a 268, relativo alla riduzione del trattamento pensionistico previsto dalla legge 30 dicembre 2018, n. 145 avente ad oggetto «Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021» per contrasto con gli art. 3, 23, 36, 38, 42, 53 e 81 nonche' dell'art. 117, primo comma della Costituzione rispetto all'art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (CEDU) e all'art. 1 del Protocollo addizionale di detta Convezione firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848 in quanto norme interposte in ordine all'intervento di decurtazione percentuale per un quinquennio dell'ammontare lordo annuo dei medesimi trattamenti. Si dispone, in conseguenza, la sospensione del giudizio in epigrafe, ordinando l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e gli adempimenti a cura della Cancelleria di cui al dispositivo.
P.Q.M. Visti gli art. 134 Cost. e la legge 11 marzo 1953, n. 87, art. 23, questo giudice unico dichiara rilevanti e non manifestamente infondate le questioni di legittimita' costituzionale: dell'art. 1, commi da 261 a 268, relativo alla riduzione del trattamento pensionistico previsto dalla legge 30 dicembre 2018, n. 145 avente ad oggetto «Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021» per contrasto con gli art. 3, 23, 36, 38, 42, 53, e 81 nonche' dell'art. 117, primo comma della Costituzione rispetto all'art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (CEDU) e all'art. 1 del Protocollo addizionale di detta Convezione firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848 in quanto norme interposte in ordine all'intervento di decurtazione percentuale per un quinquennio dell'ammontare lordo annuo dei medesimi trattamenti. Sospende il giudizio in corso e dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Dispone, altresi', che a cura della Cancelleria la presente ordinanza sia notificata alle parti del giudizio di legittimita' ed al Presidente del Consiglio dei ministri e sia comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Cosi' deciso in Firenze, nella pubblica udienza del giorno 17 dicembre 2019. Il Giudice unico delle pensioni: Bax