N. 118 ORDINANZA (Atto di promovimento) 9 aprile 2020

Ordinanza  del  9  aprile  2020  della  Corte  dei  conti  -  Sezione
giurisdizionale per la Toscana sul ricorso proposto da Cardoni  Carlo
Luigi contro l'Istituto nazionale della previdenza sociale -  INPS  e
altri. 
 
Pensioni - Legge di bilancio 2019 - Trattamenti pensionistici diretti
  a carico del Fondo pensioni lavoratori dipendenti,  delle  gestioni
  speciali  dei  lavoratori  autonomi,   delle   forme   sostitutive,
  esclusive ed esonerative dell'assicurazione generale obbligatoria e
  della Gestione separata di cui  all'articolo  2,  comma  26,  della
  legge 8  agosto  1995,  n.  335,  i  cui  importi  complessivamente
  considerati superano 100.000 euro lordi su base annua -  Intervento
  di  decurtazione  percentuale,  per  la  durata  di  cinque   anni,
  dell'ammontare lordo annuo. 
- Legge 30 dicembre 2018, n. 145 (Bilancio di previsione dello  Stato
  per l'anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il  triennio
  2019-2021), art. 1, commi 261, 262, 263, 264, 265, 266, 267 e 268. 
(GU n.37 del 9-9-2020 )
 
                         LA CORTE DEI CONTI 
 
 
           Sezione giurisdizionale per la Regione Toscana 
 
 
                     in composizione monocratica 
 
    Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso iscritto  al  n.
61574/PC del registro di Segreteria, proposto dal dott.  Carlo  Luigi
Cardoni (C.F.  CRDCLL46A02G478E)  rappresentato  e  difeso  dall'avv.
Mario Rampini pec  mario.rampini@avvocatiperugiapec.it  elettivamente
domiciliato    presso    l'avv.    Duccio    Maria     Traina     pec
avvducciomariatraina@cnfpec.it in Firenze alla via Lamarmora n. 14  -
avverso: 
        a) l'Istituto nazionale della previdenza sociale -  INPS,  in
persona del legale rappresentante pro tempore con sede in Roma -  via
Ciro il Grande  n.  21;  b)  l'Istituto  nazionale  della  previdenza
sociale - INPS di Perugia, in persona del legale  rappresentante  pro
tempore  domiciliato  per  la  carica  presso  la  sede   provinciale
dell'INPS di Firenze, con sede in Firenze - viale Belfiore  n.  28/A;
c)  il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  in  persona   del
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  domiciliato   per   legge
l'Avvocatura  distrettuale  dello  Stato  di  Firenze  -  via   Degli
Arazzieri n. 4; d) il Ministero dell'economia  e  delle  finanze,  in
persona del  Ministro  pro  tempore,  domiciliato  per  legge  presso
l'Avvocatura  distrettuale  dello  Stato  di  Firenze  -  via   Degli
Arazzieri n. 4 -  rappresentato  e  difeso  ex  lege  dall'Avvocatura
distrettuale dello Stato di Firenze, presso  cui  e'  domiciliato  in
Firenze - via Degli Arazzieri n. 4: 
          per l'accertamento del diritto del ricorrente  ad  ottenere
il trattamento pensionistico dallo stesso goduto anteriormente al  1°
gennaio 2019, escludendo la riduzione del trattamento stesso ex  art.
1, comma 261,  della  legge  n.  145  del  2018;  l'annullamento  e/o
disapplicazione dei cedolini pensionistici a decorrere dal 1°  giugno
2019 nella parte in cui recano le illegittime riduzioni  operate;  la
condanna dell'INPS al  pagamento  in  favore  del  ricorrente,  degli
importi trattenuti sul trattamento pensionistico a decorrere  dal  1°
gennaio  2019,  oltre  interessi  al  tasso  legale  e  rivalutazione
monetaria dal 1° gennaio 2019 al soddisfo. 
    Nella pubblica udienza del 17 dicembre 2019 sono comparsi  l'avv.
Mario Rampini per la parte ricorrente e l'avv. Silvano  Imbrieci  per
l'INPS, non  comparsi  la  Presidenza  del  Consiglio  dei  ministri,
l'Avvocatura distrettuale dello Stato ed il Ministero dell'economia e
delle finanze. 
    Visti gli atti e documenti di causa; 
 
                                Fatto 
 
    1. La parte ricorrente, dipendente pubblico in  quiescenza  nella
qualita' di magistrato amministrativo, a partire dal mese  di  giugno
2019 si  e'  visto  ridurre  significativamente,  con  decorrenza  1°
gennaio  2019,  il  trattamento  pensionistico  erogato  dall'INPS  a
seguito della entrata in vigore della legge 30 dicembre 2018, n.  145
che ha disposto all'art. 1, commi 261, 262, 263, 265, 266, 267 e 268: 
        «261. A decorrere dalla  data  di  entrata  in  vigore  della
presente legge  e  per  la  durata  di  cinque  anni,  i  trattamenti
pensionistici  diretti  a  carico  del  Fondo   pensioni   lavoratori
dipendenti, delle gestioni speciali dei  lavoratori  autonomi,  delle
forme  sostitutive,  esclusive  ed   esonerative   dell'assicurazione
generale obbligatoria e della Gestione separata di  cui  all'art.  2,
comma  26,  della  legge  8  agosto  1995,  n.  335,  i  cui  importi
complessivamente considerati superino  100.000  euro  lordi  su  base
annua, sono ridotti di un'aliquota di riduzione pari al 15 per  cento
per la parte eccedente il predetto importo fino a 130.000 euro,  pari
al 25 per cento per la parte eccedente i 130.000 euro fino a 200.000,
pari al 30 per cento per la  parte  eccedente  200.000  euro  fino  a
350.000 euro, pari al 35 per cento per  la  parte  eccedente  350.000
euro fino a 500.000 euro e pari al 40% per la parte eccedente 500.000
euro. 
        262. Gli importi di cui  al  comma  261  sono  soggetti  alla
rivalutazione automatica secondo il  meccanismo  stabilito  dall'art.
34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448. 
        263.  La  riduzione  di  cui  al  comma  261  si  applica  in
proporzione  agli  importi  dei  trattamenti   pensionistici,   ferma
restando la  clausola  di  salvaguardia  di  cui  al  comma  267.  La
riduzione di cui al comma 261 non si applica comunque  alle  pensioni
intermedie liquidate con il sistema contributivo. 
        265. Presso l'INPS e gli altri enti previdenziali interessati
sono  istituiti  appositi  fondi  denominati  "Fondo  risparmio   sui
trattamenti pensionistici di importo elevato" in cui  confluiscono  i
risparmi derivati dai commi da 261 a  263.  Le  somme  ivi  confluite
restano accantonate. 
        266. Nel fondo di cui al comma  265  affluiscono  le  risorse
rivenienti dalla riduzione di cui ai commi da 261  a  263,  accertate
sulla base del procedimento di cui all'art. 14 della legge  7  agosto
1990, n. 241. 
        267. Per effetto dell'applicazione dei commi  da  261  a  263
l'importo complessivo dei trattamenti pensionistici diretti non  puo'
comunque essere inferiore a 100.000 euro lordi su base annua. 
        268. Sono esclusi dall'applicazione delle disposizioni di cui
ai commi da 261 a 263  le  pensioni  di  invalidita',  i  trattamenti
pensionistici di invalidita' di cui alla legge  12  giugno  1984,  n.
222, i trattamenti  pensionistici  riconosciuti  ai  superstiti  e  i
trattamenti riconosciuti a favore  delle  vittime  del  dovere  o  di
azioni terroristiche di cui alla legge 13 agosto 1980, n. 466 e  alla
legge 3 agosto 2004, n. 206». 
    2. La  parte  ricorrente  censura  la  manovra  di  «taglio»  con
decurtazione sull'ammontare della pensione da un minimo del 15% ad un
massimo  del  40%,  poiche'  in  attivita'  lavorativa   ha   versato
contributi con il sistema cd. misto per obblighi di legge, mentre per
le pensioni interamente liquidate  con  il  sistema  contributivo  si
esclude  tale   misura   ablativa   sulla   somma   del   trattamento
previdenziale. 
    La parte  ricorrente  ha  presentato  atto  di  significazione  e
diffida  innanzi  all'INPS  competente  per  materia  ad  erogare  il
trattamento   pensionistico   decurtato,   richiedendo   che   l'ente
previdenziale continuasse ad  erogare  il  trattamento  pensionistico
gia' in godimento senza operare la decurtazione prevista dalla  detta
normativa e con la revoca delle ritenute  (e  riaccreditamento  degli
importi gia' trattenuti). 
    Non avendo l'Amministrazione dato alcun riscontro alla istanza il
ricorrente deduce la legittimazione processuale ad adire  il  giudice
contabile ai sensi dell'art. 153 del codice di giustizia contabile  e
si attiva in sede giudiziale, previa declaratoria della  rilevanza  e
non  manifesta  infondatezza  delle   questioni   di   illegittimita'
costituzionale  illustrate  nel  ricorso  per  l'annullamento   delle
disposizioni citate e per una pronuncia di accertamento  del  proprio
diritto ad ottenere il trattamento pensionistico in atto goduto  sino
alla data del 31 dicembre 2018, nonche' del diritto  ad  ottenere  la
restituzione  delle  somme  trattenute  in  forza   di   disposizioni
legislative  costituzionalmente  illegittime,   oltre   interessi   e
rivalutazione monetaria dall'effettivo prelievo al soddisfo. 
    3.1. Il ricorrente richiama i prelievi di varia  natura  disposti
sul  trattamento  economico  e  pensionistico   nei   confronti   dei
dipendenti pubblici in tema di pensioni (art. 37, legge n.  488/1999,
art.  3,  comma  2,  legge  n.  350/2003,  art.  18,  comma   22-bis,
decreto-legge n. 98/2011 conv. in legge n. 111/2011,  art.  1,  commi
486 e 487, legge n. 147/2013) e, per quel che qui interessa, la legge
n. 145/2018, art. 1, commi da 261 a 268. 
    Sulle disposizioni legislative incidenti negativamente sui  detti
trattamenti  ed  i   principi   disposti   al   riguardo   la   Corte
costituzionale  era  stata  chiamata  piu'  volte   a   pronunciarsi,
stabilendo un perimetro al di fuori del quale il prelievo coattivo e'
violativo del precetto costituzionale,  ed  i  limiti  sanciti  dalla
Corte sui trattamenti economici sono applicabili  al  trattamento  di
quiescenza,  vista  la  ormai  consolidata  natura  di   retribuzione
differita assegnata alla pensione. 
    Richiamando alcune  specifiche  pronunce  (223/2012,  116/2013  e
173/2016, il ricorrente osserva che la Corte ha affermato: 
        a) la necessita' nel prelievo del rispetto  dei  principi  di
ragionevolezza, di affidamento e della tutela previdenziale (articoli
3 e 38 Cost), il cui rispetto e' oggetto di  scrutinio  "stretto"  di
costituzionalita', che impone un grado di ragionevolezza, complessiva
ben piu' elevato di quello che, di norma, e' affidato  alla  mancanza
di  arbitratrieta'";....  con  un  intervento  ablativo   sicuramente
ragionevole, non imprevedibile e sostenibile". Sicche' «il contributo
deve operare come misura di solidarieta' forte, mirata  a  puntellare
il sistema pensionistico, e di sostegno previdenziale ai piu' deboli,
anche in un'ottica di mutualita' intergenerazionale, siccome  imposta
da una situazione di grave crisi del sistema stesso, indotta da  vari
fattori - endogeni ed esogeni - che devono essere oggetto di  attenta
ponderazione da parte del legislatore a fronte della  quale  soltanto
puo' consentirsi di derogare (in termini accettabili) al principio di
affidamento in ordine al mantenimento del  trattamento  pensionistico
gia' maturato». 
    «Un contributo sulle pensioni costituisce, pero', una misura  del
tutto eccezionale,  nel  senso  che  non  puo'  essere  ripetitivo  e
tradursi  in  un  meccanismo  di   alimentazione   del   sistema   di
previdenza», rilevando che la incidenza delle  pensioni  deve  essere
contenuta  in  limiti  di  sostenibilita'  e  non  superare   livelli
apprezzabili, nel senso che le aliquote non possono essere eccessive. 
    La Corte costituzionale  ha  affermato  che  il  contributo,  per
superare lo scrutinio «stretto» di solidarieta' deve palersarsi  come
misura improntata effettivamente alla  solidarieta'  previdenziale  e
deve  quindi  «operare  all'interno  del   complessivo   sistema   di
previdenza; essere  imposto  dalla  crisi  contingente  e  grave  del
predetto sistema; incidere sulle pensioni piu' elevate  (in  rapporto
alle  pensioni  minime),  presentarsi  come   prelievo   sostenibile;
rispettare  il  principio  di   proporzionalita';   essere   comunque
utilizzato come misura una tantum»  (nella  specie -  art.  1,  comma
486 - legge n.  147/2013  sussistevano,  sia  pure  al  limite,  tali
condizioni): in siffatto modo Corte costituzionale n. 173/2016. 
    3.2. Osserva la parte ricorrente che la censurata normativa (art.
1, commi da 261 a 268 della legge  n.  145/2018)  aveva  superato  il
perimetro di costituzionalita' per  la  insussistenza  di  una  crisi
contingente e grave del sistema previdenziale (violazione articoli 2,
3, 35, 36 e  38  della  Cost)  omettendo  qualsiasi  causa  giuridica
intraprevidenziale e solidaristica e  la  medesima  assenza  derivava
dalla non operativita' della normativa per  le  pensioni  interamente
liquidate con  il  sistema  contributivo,  incidendo  unicamente  sui
trattamenti  pensionistici   sulla   base   del   pregresso   sistema
retributivo o misto. 
    L'assenza di grave crisi del sistema  previdenziale  si  evinceva
anche da interventi legislativi (cd quota 100) che aveva ampliato  la
platea dei pensionati con una consistente spesa (4  miliardi  per  il
2019 e 8 miliardi e mezzo per il 20121): art.  14,  decreto-legge  n.
4/2019, conv. in legge n. 26/2019), ed inoltre  il  «fondo  risparmio
sui trattamenti pensionistici di importo elevato in cui  confluiscono
i risparmi dai commi 261  a  263.  Le  somme  ivi  confluite  restano
accantonate», non consente l'immediato impego delle risorse derivanti
dalla riduzione censurata, e cio' determinava la  non  ravvisabilita'
di una effettiva  solidarieta'  previdenziale  a  sostegno  dei  piu'
deboli. 
    3.3.  La  parte  ricorrente  eccepiva  anche  la  violazione  del
principio  di  irragionevolezza  e   del   principio   sulla   tutela
dell'affidamento (violazione articoli 2, 3, 35, 36, 38  e  42  Cost).
determinando  una  sostanziale  reformatio  in  peius  del  pregresso
sistema normativo, operando dunque  retroattivamente  (retroattivita'
impropria), situazione giustificata giustificato  solo  da  principi,
diritti e beni di rilievo costituzionale (sentenze n. 170/2013  e  n.
89/2018)) e che,  con  particolare  riferimento  alla  categoria  dei
pensionati e' particolarmente censurabile, in quanto categoria debole
priva di potere contrattuale (sentenza n. 116/2013). 
    3.4.  Si  assumeva  anche  la  insussistenza  del   criterio   di
ragionevolezza con riguardo alla esclusione del prelievo per tutte le
pensioni liquidate con il sistema contributivo (violazione dell'artt.
2, 3, 35, 36 e 38 Cost.) non essendo giustificata la premessa secondo
cui  il  taglio  deve  colpire  le  «pensioni  non  giustificate  dai
contributi  versati»,  atteso   che   sussiste   anche   una   natura
solidaristica del sistema retributivo che, dopo i  quaranta  anni  di
contribuzione effettua versamenti inutili al fine del  calcolo  della
pensione con versamenti che vanno ad esclusivo vantaggio del  sistema
pensionistico,  situazione  che   non   si   verifica   nel   sistema
contributivo.  Ne   derivava   una   ingiustificata   discriminazione
unicamente in  base  al  sistema  di  computo  e  liquidazione  delle
pensioni (retributivo o contributivo). 
    3.5. Ulteriore profilo di violazione degli articoli 2, 3, 36 e 38
della Cost. derivava dalla configurazione del prelievo di specie  non
come prelievo una tantum  e  per  un  periodo  di  tempo  ragionevole
(sentenza n. 173/2016), ma come un prelievo per un «abnorme»  periodo
(cinque anni). 
    Il contributo sulle pensioni, differentemente da quanto precisato
dalla Corte costituzionale  (n.  173/2016),  non  ha  costituito  una
misura del tutto  eccezionale,  considerata  la  ripetitivita'  e  la
traduzione  in  un  meccanismo  di  alimentazione  del   sistema   di
previdenza con carattere di continuita' nell' arco  di  tredici  anni
(1° agosto 2011 - 31 dicembre 2024). 
    3.6.  La  durata  quinquennale  e  l'elevatezza  delle   aliquote
dimostrano la insostenibilita' del prelievo che riduce  sensibilmente
la pensione, con irragionevolezza delle  aliquote  in  considerazione
degli scaglioni e delle aliquote previsti dall'art. 1, comma  261  se
confrontati con la progressivita' delle  aliquote  IRPEF  considerati
quali  parametri  di   ragionevolezza.   Parimenti   sussisteva   una
disparita' di trattamento per le categorie di pensionati appartenenti
a regimi previdenziali non previsti dal detto comma 261 a parita'  di
reddito (lavoratori autonomi ed imprenditori). 
    3.7. Concludeva la parte ricorrente per: 
        l'accertamento  del  diritto  ad  ottenere   il   trattamento
pensionistico dallo stesso goduto anteriormente al 1°  gennaio  2019,
escludendo la riduzione del trattamento stesso ex art. 1, comma  261,
della legge n. 145 del 2018; 
        l'annullamento e/o disapplicazione dei cedolini pensionistici
a decorrere  dal  1°  giugno  2019  nella  parte  in  cui  recano  le
illegittime riduzioni operate; 
        la condanna dell'INPS al pagamento in favore del  ricorrente,
degli importi trattenuti sul trattamento  pensionistico  a  decorrere
dal 1° gennaio 2019, oltre interessi al tasso legale e  rivalutazione
monetaria dal 1° gennaio 2019 al soddisfo; 
        la condanna dell'INPS alla refusione delle  spese  legali  ed
accessori di legge. 
    4. Con memoria depositata si e'  costituito  in  giudizio  l'INPS
contestando  le  eccezioni   di   costituzionalita'   sollevate   dal
ricorrente. 
    In  ordine  alle  norme  che  dispongono  la  decurtazione  della
pensione  l'istituto  eccepisce  il  rispetto  del  parametro   della
temporaneita' del prelievo, rappresentando il quinquennio un  periodo
specificamente circoscritto  (peraltro  nella  sentenza  della  Corte
costituzionale n. 173/2016 non era stato fissato  un  limite  massimo
della durata del prelievo), e peraltro non vi e' continuita'  tra  le
diverse misure adottate dal legislatore nel  corso  degli  anni,  ne'
omogeneita' di contenuti, per cui non vi e' consolidamento nel  tempo
dell'incisione sulle pensioni piu' elevate (nessuna riduzione in  tal
senso era stata disposta dal 2007 al 2011). 
    Con riferimento al  carattere  selettivo  del  contributo  l'ente
previdenziale sostiene la coerenza e  ragionevolezza  dell'esclusione
di alcune  categorie  di  pensionati.  (amministrate  dagli  enti  di
previdenza  obbligatori  (decreti  legislativi  n.  504/1994   e   n.
103/1996), avendo la Corte costituzionale  (7/2017)  riconosciuto  la
necessita' di preservare l'equilibrio della gestione e del vincolo di
destinazione tra contributi e prestazioni. 
    Priva  di  fondamento  e'  l'asserita  sottrazione   al   sistema
previdenziale delle somme  acquisite  per  effetto  della  disciplina
contestata, considerata l'espressa  previsione  normativa -  art.  1,
comma  265 -  dell'accantonamento  delle  citate  risorse  in   fondi
istituiti presso le gestioni previdenziali, e ritenuta la sussistenza
della procedura della conferenza dei servizi per la  decisione  sulla
destinazione delle stesse. 
    Parimenti non e' condivisibile neanche la censura in ordine  alla
irragionevolezza del contributo sul  piano  quantitativo  considerato
che la Corte costituzionale si limita (cfr. sentenza n. 173/2016)  ad
individuare dei  parametri  di  portata  generale  (sostenibilita'  e
proporzionalita'  del  prelievo),  e  vista  l'adeguata  presenza  di
scaglioni reddituali (5  invece  dei  tre  previsti  dalla  legge  n.
147/2013), con espressa previsione di una  clausola  di  salvaguardia
secondo cui  «l'importo  complessivo  dei  trattamenti  pensionistici
diretti non puo' comunque essere inferiore a 100.000  euro  lordi  su
base annua». 
    Ne', osserva l'INPS, puo' configurarsi il prelievo come avente la
natura di tributo,  in  assenza  di  due  (dei  tre)  elementi  delle
fattispecie tributarie, ovvero la  definitivita'  della  decurtazione
patrimoniale a carico dei soggetti passivi e  la  destinazione  delle
risorse acquisite al finanziamento  delle  pubbliche  spese:  in  tal
senso  depongono  la  durata  quinquennale  del   prelievo -   quindi
transitorio - e l'accantonamento dei  risparmi  conseguiti  in  fondi
previdenziali specificamente previsti. 
    Conclude l'INPS per: 
        a) la declaratoria di difetto di legittimazione  passiva  con
conseguente estromissione dal giudizio, b) rigetto della  domanda  di
preliminare sospensione del giudizio e  remissione  degli  atti  alla
Corte costituzionale, c) il rigetto delle domande perche'  infondate.
Il tutto con ogni consequenziale statuizione in ordine alle spese  di
lite. 
    5. Con memoria difensiva l'Avvocatura  distrettuale  dello  Stato
deduce la legittimita' della norma, l'assenza  di  natura  tributaria
nella  norma  contestata,  siccome  affermato   anche   dalla   Corte
costituzionale (con la sentenza n. 173/2016) in una vicenda  analoga,
ma anche in altra sentenza (n. 213/2017) afferenti  a  «risparmi»  di
cui all'art. 1, comma 487, della legge n. 147/2013. 
    Osserva   l'avvocatura   erariale   che   il   ricalcolo   opera,
correttamente, su quei trattamenti che in tutto od in parte non hanno
una correlazione, un «rapporto di sinallagmaticita'» con  l'ammontare
dei contributi versati e che prevede aliquote che comunque restano al
di sotto del «vantaggio percentuale»  connesso  all'applicazione  del
sistema retributivo rispetto a quello contributivo. 
    In ogni caso la riduzione e' sostenibile, vista  la  salvaguardia
del trattamento non inferiore ad euro 100.000,00. 
    Conclude  per  l'inammissibilita'  del  ricorso  e,   previa   la
manifesta infondatezza della questione di costituzionalita',  per  il
rigetto, con ogni conseguenza anche in ordine alle spese. 
    Nella odierna udienza di discussione la  parte  ricorrente  e  il
legale difensore dell'INPS insistono su quanto dedotto con  gli  atti
defensionali; quindi la causa viene introitata per la decisione. 
 
                               Diritto 
 
    1. Il  giudizio  in  esame  ha  ad  oggetto  la  richiesta  della
rideterminazione   del   trattamento   pensionistico   avanzato   dal
ricorrente senza le decurtazioni introdotte dal prelievo sull'importo
annuale lordo, previsto per il quinquennio 2019/2023 (art.  1,  comma
261, legge 30 dicembre 2018, n. 145). 
    La  parte  ricorrente  a  sostegno  delle  pretese  formulate  ha
eccepito la violazione della normativa  in  quanto  confliggente  con
molteplici disposizioni della  Costituzione  ed  in  specie  con  gli
articoli 2, 3, 23, 36, 38, 42, 53, 81, 97, 101, 104 e  117  ma  anche
con la Convenzione europea dei diritti dell'uomo,  costituente  anche
violazione dell'art. 117 Costituzione. 
    2. La Corte costituzionale ha emesso numerose pronunce aventi  ad
oggetto  gli  interventi  legislativi  di  compressione  dei  diritti
patrimoniali acquisiti dai percettori di  trattamenti  pensionistici,
ed ha statuito che la discrezionalita' del legislatore  nell'adozione
di misure che incidono sui  diritti  previdenziali  non  preclude  la
necessita' di verificare, per ciascun  intervento,  il  rispetto  dei
fondamentali principi di ragionevolezza, adeguatezza ed affidamento. 
    In ordine al prelievo nella sentenza n. 173/2016 si  e'  statuito
che «in linea di  principio,  il  contributo  di  solidarieta'  sulle
pensioni puo' ritenersi  misura  consentita  al  legislatore  ove  la
stessa non ecceda i limiti entro i quali e' necessariamente costretta
in  forza  del   combinato   operare   dei   principi,   appunto   di
ragionevolezza, di affidamento e della tutela previdenziale (articoli
3 e 38 Cost), il cui rispetto e' oggetto di uno  scrutinio  "stretto"
di  costituzionalita',  che  impone  un   grado   di   ragionevolezza
complessiva ben piu' elevato di quello che,  di  norma,  e'  affidato
alla mancanza di arbitrarieta'». 
    3.1. Le parti ricorrenti osservano che la misura  adottata  (art.
1, commi da 261 a 268 della  legge  n.  245/2018),  e  contestata  in
questa  sede,  costituisce  una  misura   economica   avente   natura
tributaria  e  di  imposta   speciale,   ritenuta   la   decurtazione
patrimoniale priva  di  un  rapporto  sinallagmatico  tra  le  parti,
costituente un prelievo coattivo collegato  alla  pubblica  spesa  ed
inerente ad  un  presupposto  economico  determinato  dall'indice  di
capacita'  contributiva  dei  soggetti  interessati  dalla  censurata
norma,  ed   inoltre   non   ha   una   finalita'   solidaristica   o
endoprevidenziale. 
    Sulla natura del  tributo  costante  giurisprudenza  della  Corte
costituzionale ha individuato lo stesso nel «prelievo coattivo che e'
finalizzato al concorso alle pubbliche spese ed e' posto a carico  di
un soggetto passivo in base ad  uno  specifico  indice  di  capacita'
contributiva» (ex  multis  sentenze  n.  102/2008,  n.  269/2017,  n.
250/2017, n. 173/2016, n. 70/2015 e n. 116/2013 e n. 223/2012). 
    Va ricordato sul tema  che  la  omologa  misura  (art.  1,  comma
486/2013)  e'  stata  ritenuta   dalla   Corte   costituzionale   non
sussumibile nella categoria del tributo «non essendo  acquisito  allo
Stato ne' destinato alla fiscalita'  generale,  ed  essendo,  invece,
prelevato in via diretta dall'INPS e dagli altri  enti  previdenziali
coinvolti, i quali - anziche'  versarli  all'Erario  in  qualita'  di
sostituti di  imposta -  lo  trattengono  all'interno  delle  proprie
gestioni, con specifiche finalita' solidaristiche endo-previdenziali,
anche per quanto  attiene  ai  trattamenti  dei  soggetti  cosiddetti
"esodati"». 
    Analogamente la Consulta aveva ritenuto costituzionale l'art.  37
della legge 23  dicembre  1999,  n.  488  (legge  finanziaria  2000),
ritenuto non  in  conflitto  con  gli  articoli  3  e  53  in  quanto
finalizzato a realizzare «un  circuito  di  solidarieta'  interno  al
sistema  previdenziale»  (ordinanza  n.  22  del  2003),  e   neppure
contraria agli articoli 2, 36  e  38  Cost.  (ordinanza  n.  160  del
2007)». Si e' pertanto assegnata alla detta decurtazione la natura di
«prelievo  inquadrabile  nel  genus  delle  prestazioni  patrimoniali
imposte per legge, di cui all'art. 23 Cost., avente la  finalita'  di
contribuire agli oneri del sistema previdenziale (sentenza n. 178 del
2000, ordinanza n. 22/2003). 
    Di converso nella norma censurata (art. 1, commi 261 e 265  della
legge  n.  145/2018)  non  appare  individuata  alcuna   destinazione
«vincolata»    delle    risorse    a     finalita'     solidaristiche
endo-previdenziali, atteso che la previsione sottrae  le  somme  alla
gestione  previdenziale  accantonandole  nel  «Fondo  risparmio   sui
trattamenti pensionistici», senza che il sistema previdenziale  possa
beneficiarne per l'attivita' degli  enti  previdenziali,  ed  essendo
pertanto la misura correlata ad  alcun  intento  solidaristico  vista
l'assenza di individuazione delle finalita' perseguite. 
    Nella specie  le  somme  restano  semplicemente  accantonate  non
potendo disporne gli enti previdenziali per un tempo indeterminato ed
indeterminabile nella propria gestione per fini solidaristici,  vista
l'assenza di una indicazione legislativa  in  merito,  prevedendo  la
norma in modo alquanto generico la previsione  della  Conferenza  dei
servizi per la determinazione delle somme da destinare ad essi. 
    Pertanto l'effetto e'  contraddittorio  ed  illogico  perche'  si
comprimono i diritti patrimoniali dei  pensionati  interessati  dalla
norma senza che  il  sistema  previdenziale  possa  beneficiarne  per
predisporre programmi di tutela della collettivita'. 
    La misura imposta non aggancia, in sostanza, le sue finalita'  ad
alcun intento solidaristico, ma e' prevista  unicamente  nel  Dossier
sulla legge di bilancio - Profili finanziari,  redatto  dal  Servizio
bilancio dello Stato della Camera dei deputati del 23 dicembre  2018,
che afferma che le risorse saranno destinate all'INPS, senza  addurre
alcuna motivazione. 
    Vieppiu' il documento delle Camere redatto nel gennaio 2019  dopo
l'approvazione della legge di bilancio  (legge  n.  145/2018)  e  del
disegno di legge  collegato  in  materia  fiscale  (decreto-legge  n.
119/2018, conv. con legge n. 138/2018)  in  cui  sono  analizzati  la
composizione e gli  effetti  sui  saldi  di  finanza  pubblica  della
manovra di bilancio 2019/2021, la riduzione e  la  rimodulazione  dei
trattamenti pensionistici di maggior importo  vengono  indicati  come
meri interventi di riduzione  della  spesa,  senza  alcuna  specifica
finalizzazione istituzionale (e rappresentate come meri interventi di
riduzione della spesa), come ordinari strumenti di finanziamento  dei
livelli di spesa approvati (in termini Servizio bilancio del Senato e
Servizio bilancio dello della Camera Dossier gennaio  2019 -  manovra
di bilancio 2019-2021 - Effetti sui saldi e conto risorse impieghi). 
    Assume significato  anche  la  questione  che  la  incidenza  sul
trattamento pensionistico dei ricorrenti non e' stata giustificata da
una inderogabile esigenza di contenimento della spesa pubblica,  anzi
la manovra di bilancio per il 2019 (per il triennio sino al 2021)  e'
stata  connotata  da  un  carattere  «espansivo»  per   il   comparto
previdenziale (con ampliamento degli aventi diritto  al  collocamento
in quiescenza) a  fronte  dei  requisiti  previsti  dalla  legge  cd.
Fornero (trattamento di pensione anticipata cd. quota 100). 
    Appare evidente che in siffatto  contesto  non  si  configura  la
introduzione di norme introdotte in una situazione  emergenziale  cui
si fa fronte attraverso  uno  strumento  «straordinario»  di  ausilio
(Corte costituzionale n. 250/2017, n. 169/2017 e n. 108/2018)  bensi'
di mezzi di  copertura  aggiuntivi  delle  spese  pubbliche  mediante
imposizione con prelievo a carico di alcune categorie  di  pensionati
discriminati rispetto a soggetti non incisi a parita'  di  condizioni
reddituali ed al di fuori  di  un  quadro  complessivo  di  sacrifici
imposti, in violazione del principio di universalita' e del principio
di uguaglianza atteso che l'art.  53  «non  consente  trattamenti  in
pejus di determinate categorie di  redditi  da  lavoro»:  cfr.  Corte
costituzionale n. 116/2013. 
    Il prelievo «selettivo» avente natura tributaria ed  avente  come
destinatari gli odierni ricorrenti  e  sussumibili  nella  fiscalita'
generale, deriva dall'arco temporale  efficace  per  la  decurtazione
pari a cinque anni, e quindi superiore allo  spazio  temporale  della
programmazione di bilancio di cui  agli  articoli  e  3  e  81  della
Costituzione ed in violazione dell'art. 21 della  legge  n.  196/2009
che si riferisce ad un arco temporale triennale a fronte della misura
ablativa quinquennale, con  effetti  sommatori  ad  altre  misure  di
decurtazioni subite negli anni precedenti. 
    Sicche' un soggetto collocato in quiescenza nel 2014 si  trova  a
percepire in un decennio la pensione intera unicamente per il biennio
2017 e 2018 (considerati i quattro prelievi rubricati dal legislatore
come «contributo di solidarieta'», art. 3, legge n. 488/1989, art. 3,
comma 102, legge n. 350/2003, art. 18, comma 22-bis, decreto-legge n.
98/2011, art. 1, comma 486, legge n. 177/2013) manifestando  la  vera
natura dell'intervento di riduzione delle pensioni di importo elevato
di cui all'art. 1, commi da 261 a  268  della  legge  n.  145/2018  ,
avente natura sostanzialmente tributaria, considerato che in concreto
«determina una decurtazione patrimoniale arbitrariamente duratura del
trattamento pensionistico, con acquisizione al bilancio  statale  del
relativo gettito e costituisce un prelievo coattivo correlato ad  uno
specifico indice di capacita' contributiva, che  esprime  l'idoneita'
del  soggetto  passivo  all'obbligazione  tributaria.  Nei  descritti
termini esso si presenta confliggente con  i  principi  di  cui  agli
articoli 3 e 53 della Costituzione, gravando soltanto  su  specifiche
categorie di  pensionati  e  non  su  tutti  i  cittadini:  con  cio'
risultando ingiustificatamente discriminatorio e non  rispettoso  dei
canoni  fondamentali  di  uguaglianza  a  parita'  di  reddito  e  di
universalita'  dell'imposizione»:  in  siffatto  modo  Corte   conti,
Sezione  giurisdizionale  per  il  Friuli-Venezia  Giulia  n.  6/2019
(ord.). 
    L'intervento selettivo a carico dei pensionati, vista  la  natura
di retribuzione differita del  trattamento  pensionistico,  determina
una grave violazione del principio di ragionevolezza che, secondo gli
orientamenti della giurisprudenza costituzionale determina  il  perno
introno al quale devono  ruotare  le  scelte  del  legislatore  nella
materia pensionistica, venendo il  maggior  prelievo  «a  gravare  su
redditi ormai consolidati nel loro ammontare,  collegati  a  soggetti
che hanno esaurito la loro vita lavorativa,  rispetto  ai  quali  non
risulta piu' possibile neppure disegnare sul piano sinallagmatico  il
rapporto di lavoro». 
    3.2. Violazione degli articoli 3, 23, 36 e 38 della Cost. 
    Ove non si ritenesse il prelievo de quo avente natura tributaria,
permarrebbero i dubbi di  costituzionalita'  della  detta  misura  ai
sensi dei criteri e principi elaborati dalla Corte costituzionale  in
occasione del giudizio  di  costituzionalita'  sul  contributo  posto
sulle pensioni piu' elevate dall'art. 1, comma  486  della  legge  n.
147/2013: a tale contributo la Consulta ha  assegnato  la  natura  di
prestazione patrimoniale imposta per legge,  ai  sensi  dell'art.  23
Costituzione. 
    Anche alla luce di tale processo interpretativo la disciplina non
puo' essere scrutinata  positivamente  visto  quanto  statuito  dalla
sentenza n. 173/2016 secondo cui «dal combinato operare dei principi,
appunto,  di  ragionevolezza,   di   affidamento   e   della   tutela
previdenziale  (articoli  3  e  38  Cost.)  il  rispetto  dei  canoni
costituzionali   e'   oggetto   di   uno   scrutinio   "stretto"   di
costituzionalita', che impone un grado di ragionevolezza  complessiva
ben piu' elevato di quello che, di norma, e' affidato  alla  mancanza
di arbitrarieta'». 
    Visto il parametro valutativo di «stretta  costituzionalita'»  si
individuano  le  condizioni  in  presenza   delle   quali   risultano
adeguatamente bilanciati «la garanzia del legittimo affidamento nella
sicurezza giuridica con altri valori costituzionalmente rilevanti»  e
che la Corte determina in siffatto modo: «in definitiva il contributo
di   solidarieta',   per   superare   lo   scrutinio   "stretto"   di
costituzionalita'  e  palesarsi   dunque   come   misura   improntata
effettivamente alla solidarieta' previdenziale  (articoli  2  e  38),
deve: operare all'interno del complessivo sistema  della  previdenza;
essere imposto dalla crisi contingente e grave del predetto  sistema;
incidere sulle pensioni  piu'  elevate  (in  rapporto  alle  pensioni
minime);  presentarsi  come  prelievo  sostenibile;   rispettare   il
principio di proporzionalita'; essere comunque utilizzato come misura
una tantum». 
    I  parametri  indicati  dalla   Corte   costituzionale   appaiono
disattesi, dalla legge n. 145/2018  (art.  1,  commi  261-268)  sotto
molteplici profili. 
    In primo luogo non e' dato rinvenire nell'ordito normativo alcuna
condizione di eccezionalita'  e/o  di  specifica  crisi  del  sistema
previdenziale cui si debba far fronte con il prelievo de quo, anzi la
medesima decurtazione  e'  «organica»  ad  una  manovra  di  bilancio
complessivamente espansiva proprio nel settore previdenziale. 
    Non ricorrono, inoltre, i presupposti di una «solidarieta' forte»
e «mutualita' intergenerazionale» poste  a  fondamento  del  positivo
giudizio di ragionevolezza sull'intervento selettivo del legislatore,
ne' appare esistente una sicura destinazione intra-previdenziale  dei
risparmi attesi,  sussistendo  di  converso  una  serie  di  elementi
indicativi della destinazione di tali  risorse  (risparmi  di  spesa)
alla  ordinaria  copertura  delle  spese  previste  nella  legge   di
bilancio, diventando in siffatto modo strumento di «sistema». 
    D'altro canto si e' gia' richiamata nella presente  ordinanza  la
ripetitivita' delle scelte del legislatore di operare (al di la'  del
biennio di «intervallo» - 2017 - 2018)  una  ritenuta  quinquennale -
che «rischia» di essere definitiva  vista  la  condizione  anagrafica
della maggior parte  dei  ricorrenti -  sulle  pensioni  oggetto  del
giudizio, costituente non tanto prelievo una tantum -  come  invocato
dalla  Corte  costituzionale  -,  ma  come  ordinario  meccanismo  di
finanziamento del sistema previdenziale con  un  sacrificio  imposto,
anche sotto il profilo dell'affidamento, ad una ristretta cerchia dei
soggetti sostitutivo di un intervento di una fiscalita' generale  nei
confronti di tutti i cittadini in violazione degli articoli 3, 23, 36
e  38  della   Costituzione   (cfr.   anche   Corte   conti   Sezione
giurisdizionale Regione Lazio n. 308/2019 ord.). 
    Ne' l'ammontare elevato dei trattamenti oggetto di decurtazione e
l'articolazione del  contributo  secondo  diverse  aliquote  appaiono
idonee a configurare le condizioni stabilite dalla richiama  sentenza
della Corte costituzionale n. 173/2016. 
    4. Violazione degli articoli 3, 42 e 117 della Costituzione. 
    La suddette considerazioni  permettono  di  ritenere  violato  il
principio di affidamento, in specie con  il  «taglio»  imposto  dalla
legge n. 145/2018  ai  trattamenti  pensionistici  modificandoli,  in
peius, su rapporti di durata sorti prima della sua entrata in vigore. 
    Il Giudice delle leggi ha affermato (sentenza n. 103/2013) che il
divieto di retroattivita' della legge, previsto  dall'art.  11  delle
Preleggi costituisce «valore fondamentale di civilta' giuridica»  che
si declina nell'ambito penale come divieto di retroattivita' in malam
partem che non subisce alcuna deroga, ai  sensi  dell'art.  25  della
Costituzione (cfr. ex plurimis Corte costituzionale n. 236/2011 e  n.
78/2012), mentre in ambito extrapenale il legislatore  puo'  adottare
norme retroattive ma solo «purche' la retroattivita'  trovi  adeguata
giustificazione nell'esigenza di tutelare principi, diritti e beni di
rilievo  costituzionale,   che   costituiscono   altrettanto   motivi
imperativi di interesse generale, ai sensi della Convenzione  europea
dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (CEDU)». 
    Sulla specifica questione  la  giurisprudenza  costituzionale  ha
elaborato «una serie di limiti  generali  sull'efficacia  retroattiva
delle leggi, attinenti alla  salvaguardia,  oltre  che  dei  principi
costituzionali, di altri fondamentali valori di  civilta'  giuridica,
posti  a  tutela  dei  destinatari  della  norma   e   dello   stesso
ordinamento»: 
        «il rispetto del principio generale di ragionevolezza, che si
riflette nel  divieto  di  introdurre  ingiustificate  disparita'  di
trattamento»; 
        «la tutela dell'affidamento legittimamente sorto nei soggetti
quale principio connaturato allo Stato di diritto»; 
        «la coerenza e la certezza dell'ordinamento giuridico; 
        il rispetto delle funzioni  costituzionalmente  riservate  al
potere giudiziario» (sentenza n. 209/2010 e n. 103/2013). 
    Con recente decisione n.  108/2019  la  Corte  costituzionale  ha
affermato che «il divieto di irretroattivita' della legge costituisce
principio fondamentale di  civilta'  giuridica  il  legislatore  puo'
approvare  disposizioni  con  efficacia   retroattiva,   purche'   la
retroattivita'  trovi  adeguata  giustificazione   nell'esigenza   di
tutelare principi, diritti  e  beni  di  rilievo  costituzionale  (ex
plurimis  sentenza  n.  170/2013).....  una  legge   che   intervenga
retroattivamente a ridurre attribuzioni  di  natura  patrimoniale  va
sottoposta a  stretto  scrutinio  di  ragionevolezza».  La  Corte  ha
inoltre  affermato  che  «tra  i   limiti   che   la   giurisprudenza
costituzionale ha individuato all'ammissibilita' di leggi con effetto
retroattivo, rileva particolarmente...  l'affidamento  legittimamente
sorto  nei  soggetti  interessati  alla  stabile  applicazione  della
disciplina   modificata»,    affidamento    che    trova    copertura
costituzionale nell'art. 3 Cost., e' ritenuto  principio  connaturato
allo Stato di diritto (cfr. sentenze n. 73 del 2017, n. 170 e n.  160
del 2013, n. 78 del 2012  e  n.  209/2010),  ed  e'  da  considerarsi
ricaduta e declinazione «soggettiva» dell'indispensabile carattere di
coerenza di un ordinamento giuridico, quale manifestazione del valore
della certezza di diritto». 
    L'aspettativa  radicata  e  qualificata,  pur  non  impedendo  al
legislatore di modificare in peius  la  disciplina  dei  rapporti  di
durata, tuttavia non prevede che le disposizioni retroattive «possano
trasmodare in un regolamento irrazionale ed arbitrariamente  incidere
sulle situazioni sostanziali poste in  essere  da  leggi  precedenti,
frustrando cosi' anche l'affidamento del  cittadino  nella  sicurezza
pubblica che  costituisce  elemento  fondamentale  ed  indispensabile
dello  stato   di   diritto»   (sentenza   n. 36/1985).   In   ordine
all'affidamento meritevole di tutela in quanto qualificato nella  sua
stabilita'  la  sentenza  n.  89/2018  lo  ha  disegnato   come   «il
consolidamento, nel tempo, della situazione normativa che ha generato
la posizione giuridica incisa  dal  nuovo  assetto  regolatorio,  sia
perche' protratta per un  periodo  sufficientemente  lungo,  sia  per
essere sorta in un contesto giuridico sostanziale atto a far  sorgere
nel  destinatario  una  ragionevole  fiducia  nel  suo  mantenimento»
(sentenza n. 56/2015). 
    Il principio era stato gia' oggetto di applicazione con  sentenza
n.  822  del  1988  secondo  cui  «non  puo'  dirsi  consentita   una
modificazione legislativa che, intervenendo o in  una  fase  avanzata
del rapporto di lavoro oppure quando gia' sia subentrato lo stato  di
quiescenza, peggiorasse, senza una inderogabile esigenza,  in  misura
notevole ed in maniera definitiva, un  trattamento  pensionistico  in
precedenza spettante, con la conseguente irrimediabile  vanificazione
delle aspettative legittimamente nutrite dal lavoratore per il  tempo
successivo alla cessazione della propria attivita' lavorativa». 
    Ribadendo il principio  stabilito  la  Corte  costituzionale  (n.
208/2014) ha affermato che «il diritto alla pensione costituisce  una
situazione  soggettiva  di  natura  patrimoniale,   imprescrittibile,
assistita da speciali garanzie di certezza  e  stabilita'  e  da  una
particolare tutela da parte dell'ordinamento (sentenza n.  116/2013),
anche in ragione della condizione oggettiva di debolezza  in  cui  il
titolare viene a trovarsi, sia nell'ambito del rapporto  obbligatorio
che si instaura con  l'amministrazione  sia  nella  particolare  fase
della  vita  in  cui  l'uscita  dall'attivita'  lavorativa  e  l'eta'
comportano un difficile adattamento al nuovo stato». 
    La peculiare situazione giuridica consolidata di cui  titolari  i
ricorrenti puo' essere compressa, secondo  la  Corte  costituzionale,
unicamente (sentenza n. 203/2016), tra l'altro, per: 
        a) interessi pubblici sopravvenuti; 
        b) con un intervento innovativo, ma prevedibile. 
        In ordine  al  primo  aspetto  la  sentenza  n.  108/2019  ha
affermato che «nel solco di una giurisprudenza  della  Corte  europea
dei diritti dell'uomo che non considera il mero interesse finanziario
pubblico ragione di per se'  sufficiente  a  giustificare  interventi
retroattivi  (sentenze  7  giugno  2011,  Agrati  contro  Italia;  25
novembre 2010 Lilly France contro  Francia),  questa  Corte  ha  gia'
affermato  che  una   disciplina   retroattiva   non   puo'   tradire
l'affidamento del privato, specie se maturato con  il  consolidamento
di  situazioni  sostanziali,  pur  se  l'intervento  retroattivo  sia
dettato dalla necessita' di contenere la  spesa  pubblica  o  di  far
fronte ad esigenze eccezionali» (sentenza n. 216 del 2015  e  n.  170
del 2013). 
    In tal senso il  principio  di  affidamento,  riconosciuto  dalla
Convenzione europea dei diritti  dell'uomo  art.  6 Cedu  ed  art.  1
Protocollo n. 1  allegato  alla  Convenzione,  comporta  che  la  sua
violazione determina anche la  violazione  dell'art.  117,  comma  1,
Cost., che vincola la legge italiana  ad  osservare  la  Convenzione,
elevando non un adattamento dell'ordinamento interno  all'ordinamento
pattizio ma a parametro di legittimita'  costituzionale  il  rispetto
dei vincoli derivanti dagli obblighi internazionali  contenuti  nelle
leggi di esecuzione. 
    In  materia  la  Corte  costituzionale  ha  statuito  in  materia
(109/2017) che «nell'attivita' interpretativa che gli spetta ai sensi
dell'art. 101, secondo comma, Cost., il giudice comune ha  il  dovere
di evitare violazioni della Convenzione europea e  di  applicarne  le
disposizioni, sulla base de i  principi  di  diritto  espressi  dalla
Corte Edu, specie quando il caso sia riconducibile  a  precedenti  di
quest'ultimo (sentenza n. 68 del 2017, n. 276 e n. 36 del  2016).  In
tale attivita' egli incontra, tuttavia, il  limite  costituito  dalla
presenza di una legislazione  interna  di  contenuto  contrario  alla
CEDU: in un caso del genere - verificata  l'impraticabilita'  di  una
interpretazione in  senso  convenzionalmente  conforme,  non  potendo
disapplicare la  norma  interna,  ne'  farne  applicazione,  avendola
ritenuta  in  contrasto  con  la  Convenzione  e,  pertanto,  con  la
Costituzione, alla luce di quanto disposto dall'art. 117, primo comma
Cost. - deve sollevare questione di legittimita' costituzionale della
norma interna, per violazione di tale  parametro  costituzionale  (ex
plurimis sentenze n. 150/2015, n. 264/2012, n. 113/2011, n.  93/2010,
n. 311 e n. 239 del 2009)». 
    Non appare sussistere  nella  specie  neppure  la  prevedibilita'
dell'evento considerato che i pensionati odierni  ricorrenti  avevano
sopportato altri sacrifici, e non  era  prevedibile  una  sostanziale
«stabilizzazione   delle   compressioni»,   rendendo    imprevedibile
l'ipotesi di un nuovo taglio che aveva ad oggetto somme astrattamente
gia' nella disponibilita' dei ricorrenti, violando in  siffatto  modo
anche l'art. 42 della Costituzione determinando una  misura  ablativa
della proprieta' privata,  e  colpendo  una  specifica  categoria  di
soggetti, senza che sia stato svolto alcun giudizio di  bilanciamento
tra gli interessi coinvolti, pur  essendo  chiara  la  giurisprudenza
costituzionale in materia (sentenza n.  70/2015,  n.  116/2013  e  n.
223/2012). 
    6. Per quanto sopra esposto, visti gli art. 134 Cost. e la  legge
11  marzo  1953,  n.  87,  art.  23,   dichiara   rilevanti   e   non
manifestamente infondate le questioni di legittimita' costituzionale: 
        dell'art. 1, commi da 261 a 268, relativo alla riduzione  del
trattamento pensionistico previsto dalla legge 30 dicembre  2018,  n.
145 avente ad oggetto «Bilancio di previsione dello Stato per  l'anno
finanziario 2019 e bilancio pluriennale per  il  triennio  2019-2021»
per contrasto con gli art. 3,  23,  36,  38,  42,  53  e  81  nonche'
dell'art. 117, primo comma della  Costituzione  rispetto  all'art.  6
della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e
delle liberta'  fondamentali  (CEDU)  e  all'art.  1  del  Protocollo
addizionale di detta Convezione firmata a Roma il  4  novembre  1950,
ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848 in quanto
norme interposte in ordine all'intervento di decurtazione percentuale
per  un  quinquennio  dell'ammontare   lordo   annuo   dei   medesimi
trattamenti. 
    Si dispone,  in  conseguenza,  la  sospensione  del  giudizio  in
epigrafe, ordinando l'immediata trasmissione degli  atti  alla  Corte
costituzionale e gli adempimenti a cura della Cancelleria di  cui  al
dispositivo. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Visti gli art. 134 Cost. e la legge 11 marzo 1953,  n.  87,  art.
23, questo giudice unico  dichiara  rilevanti  e  non  manifestamente
infondate le questioni di legittimita' costituzionale: 
        dell'art. 1, commi da 261 a 268, relativo alla riduzione  del
trattamento pensionistico previsto dalla legge 30 dicembre  2018,  n.
145 avente ad oggetto «Bilancio di previsione dello Stato per  l'anno
finanziario 2019 e bilancio pluriennale per  il  triennio  2019-2021»
per contrasto con gli art. 3, 23,  36,  38,  42,  53,  e  81  nonche'
dell'art. 117, primo comma della  Costituzione  rispetto  all'art.  6
della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e
delle liberta'  fondamentali  (CEDU)  e  all'art.  1  del  Protocollo
addizionale di detta Convezione firmata a Roma il  4  novembre  1950,
ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848 in quanto
norme interposte in ordine all'intervento di decurtazione percentuale
per  un  quinquennio  dell'ammontare   lordo   annuo   dei   medesimi
trattamenti. 
    Sospende il giudizio in corso e dispone l'immediata  trasmissione
degli atti alla Corte costituzionale. 
    Dispone, altresi', che  a  cura  della  Cancelleria  la  presente
ordinanza sia notificata alle parti del giudizio di  legittimita'  ed
al  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  e  sia  comunicata  ai
Presidenti delle due Camere del Parlamento. 
      Cosi' deciso in Firenze, nella pubblica udienza del  giorno  17
dicembre 2019. 
 
                Il Giudice unico delle pensioni: Bax