N. 119 ORDINANZA (Atto di promovimento) 9 aprile 2020

Ordinanza  del  9  aprile  2020  della  Corte  dei   conti   -   Sez.
giurisdizionale per la Toscana sul ricorso proposto da Abiosi Antonia
e altri contro Istituto nazionale della  previdenza  sociale  -  INPS
sede di Roma, Istituto nazionale della previdenza sociale - INPS sede
di Firenze e Ministero dell'economia e delle finanze. 
 
Pensioni - Legge di bilancio 2019 - Trattamenti pensionistici diretti
  a carico del Fondo pensioni lavoratori dipendenti,  delle  gestioni
  speciali  dei  lavoratori  autonomi,   delle   forme   sostitutive,
  esclusive ed esonerative dell'assicurazione generale obbligatoria e
  della Gestione separata di cui  all'articolo  2,  comma  26,  della
  legge 8  agosto  1995,  n.  335,  i  cui  importi  complessivamente
  considerati superano 100.000 euro lordi su base annua -  Intervento
  di  decurtazione  percentuale,  per  la  durata  di  cinque   anni,
  dell'ammontare lordo annuo. 
Pensioni - Legge di bilancio  2019  -  Rivalutazione  automatica  dei
  trattamenti pensionistici per il periodo 2019-2021 - Meccanismo  di
  rivalutazione  -  Intervento  di  riduzione   della   rivalutazione
  automatica delle pensioni di elevato importo. 
- Legge 30 dicembre 2018, n. 145 (Bilancio di previsione dello  Stato
  per l'anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il  triennio
  2019-2021), art. 1, commi 260, 261, 262, 263, 264, 265, 266, 267  e
  268. 
(GU n.37 del 9-9-2020 )
 
                         LA CORTE DEI CONTI 
           Sezione giurisdizionale per la Regione Toscana 
 
    in composizione monocratica ha pronunciato la seguente  ordinanza
sul ricorso iscritto al  n.  61587/PC  del  registro  di  segreteria,
proposto dai signori: 
        Abiosi Antonia (C.F. BSANTN53A69F839V), 
        Andronio Luigi (C.F. NDRLGU44B20H501J), 
        Aronica Carmela (C.F. RNCCML51B14B520U), 
        Banci Antonio (C.F. BNCNTN48H13D612U), 
        Bechi Paolo (C.F. BCHPLA48P11D612F), 
        Bellagamba Giovanni (C.F. BLLGNN40D10D612S), 
        Boncampagni Emma (C.F. BNCMME50D56A390F), 
        Campo Stefano Salvatore Rosario (C.F. CMPSFN36C25B429A), 
        Cappelli Alberto (C.F. CPPLRT44L17D612Q), 
        Cappuccio Giammarco (C.F. CPPGMR34R07A509E), 
        Cariti Giuseppe (C.F. CRTGPP35M06F432X), 
        Cataliotti Luigi (C.F. CTLLGU41A12F656B), 
        Cini Adriano (C.F. CNIDRN41R24D612K), 
        Crivelli Antonio (C.F. CRVNTN47E27D612K), 
        D'Amora Raffaele (C.F. DMRRFL48A14L845N), 
        D'Onofrio Grazia (C.F. DNFGRZ54P41I8090), 
        De Giorgio Giovanni (C.F. DGRGNN42L15H703Q), 
        De Lalla Uberto (C.F. DLLBRT35L01G702Q), 
        De Matteis Aldo (C.F. DMTLDA37C13H047D), 
        De Simone Giulio (C.F. DSMGLI48D03H501I), 
        Di Nubila Vincenzo (C.F. DNBVCN40A19F023C), 
        Donini Nicoletta (C.F. DNNNLT47D46D612M), 
        Drago Fabio Massimo (C.F. DRGFMS40P23Z315R), 
        Favara Franco (C.F. FVRFNC32D22H501I), 
        Fleury Francesco (C.F. FLRFNC36M25D612Z) 
        Germano' Alberto Natale (C.F. GRMLRT36T30H224M), 
        Giambartolomei Giuliano (C.F. GMBGLN45E08H501I), 
        Gironi Emilio (C.F. GRNMLE41H30C933G), 
        La Cava Vittorio (C.F. LCVVTR27R17E716N), 
        Loche Bruno (C.F. LCHBRN35M08B354M), 
        Lombardi Sandra (C.F. LMBSDR52M60G879V), 
        Maiorano Pasquale (C.F. MRNPQL44M22F587M), 
        Maradei Francesco (C.F. MRDFNCC44D22H590W), 
        Marchini Mauro (C.F. MRCMRA37T01H501E), 
        Marchionni Mauro (C.F. MRCMRA40A26D612H), 
        Maresca Bruno (C.F. MRSBRN50T11F839P), 
        Mascagni Pietro (C.F. MSCPTR50M13I726M), 
        Massetani Giovacchino (C.F. MSSGCC39A12I232B), 
        Mazzi Roberto (C.F. MZZRRT47L13D612G), 
        Merlo Rodrigo (C.F. MRLRRG49H25C351E), 
        Miranda Mario Raffaele Felice (C.F. MRNMRF43M04A015E), 
        Mocali Piero (C.F. MCLPRI38P25D612I), 
        Muntoni Giampaolo (C.F. MNTGPL44A03D612G), 
        Nannucci Ubaldo (C.F. NNNBLD33B02D612W), 
        Nistico' Fausto (C.F. NSTFST5305C352H), 
        Notaro Santi (C.F. NTRSNT44D01I754H), 
        Occhipinti Paolo (C.F. CCHPLA47H3OH163W), 
        Ognibene Enrico (C.F. GNBNRC41B11E463K), 
        Ottati Paolo Casare (C.F. TTTPCS44R17L219G), 
        Padoin Paolo (C.F. PDNPLA47A25D612X), 
        Palazzo Salvatore (C.F. PLZSVT38T28D189K), 
        Pappalardo Francesco (C.F. PPPFNC49E03C746Q), 
        Pavone Pasquale (C.F. PVNPQL34R25L049R), 
        Pedone Vincenzo (C.F. PDNVCN46R28147C), 
        Quattrocchi Giuseppe (C.F. QTTGPP38R26F158C), 
        Rados Bruno (C.F. RDSBRN43R16C129C), 
        Ravone Michele (C.F. RVNMHL37S28F839C), 
        Romagnoli Luisa (C.F. RMGLSU54D6E974T), 
        Ruggiero Anna (C.F. RGGNNA47R41F839I), 
        Santilli Renato (C.F. SNTRNT32S25A345Z), 
        Sapere Vincenzo (C.F. SPRVCN38C18E037J), 
        Scarselli Gianfranco (C.F. SCRGFR42B28F656A), 
        Signorelli Antonio (C.F. SGNNTN47E01L049K), 
        Simonetti Maria Laura (C.F. SMNMLR53T62A006E), 
        Soresina Giuseppe (C.F. SRSGPP39D15E625G), 
        Taddei Gian Luigi (C.F. TDDGLG46C02D612L), 
        Tony Piero (C.F. TNYPRI41H03M149X), 
        Vallini Carlo (C.F. VLLCRL43T11C609H), 
        Varriale Bruno (C.F. VRRBRN50H06F839U), 
    tutti rappresentati e  difesi  dall'avv.  Gaetano  Viciconte  pec
gaetano.viciconte@gmail.com  e  presso   quest'ultimo   elettivamente
domiciliati in Firenze, Viale G. Mazzini n. 60; 
    Contro: 
        a) l'Istituto nazionale della previdenza sociale -  INPS,  in
persona del legale rappresentante pro tempore con sede in  Roma,  via
Ciro il Grande n. 21; 
        b) l'Istituto nazionale della previdenza sociale -  INPS,  in
persona del legale rappresentante pro tempore  con  sede  in  Firenze
Viale Belfiore n. 28/A; 
    e nei confronti del Ministero dell'economia e delle  finanze,  in
persona del Ministro pro  tempore  rappresentato  e  difeso  ex  lege
dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Firenze,  presso  cui  e'
domiciliato in Firenze via Degli Arazzieri n. 4; 
    per l'accertamento: 
        a)  del   diritto   alla   corresponsione   del   trattamento
pensionistico rivalutato senza il blocco imposto dall'art.  1,  comma
260, della legge 30 dicembre 2018, n. 145; 
        b)  del   diritto   alla   corresponsione   del   trattamento
pensionistico spettante senza la riduzione imposta dall'art. l, comma
261, della legge 30 dicembre 2018, n. 145; 
    e  per  l'annullamento  e/o   la   dichiarazione   di   nullita',
invalidita' e/o efficacia, in parte qua  del  cedolino  del  mese  di
giugno 2019,nonche'  di  quelli  successivi  recanti  le  illegittime
riduzioni contestate nel ricorso; nonche' per la  condanna  dell'INPS
alla restituzione delle somme indebitamente non erogate dal  mese  di
giugno/luglio 2019 ivi compresa la quota relativa alle mensilita'  da
gennaio 2019 a maggio 2019, nonche' di tutte le somme che nelle  more
del presente giudizio fossero indebitamente erogate  in  applicazione
dell'art. 1, commi 260 e 261 della legge 30 dicembre  2018,  n.  145,
oltre interessi e rivalutazione monetaria sino al soddisfo. 
    Nella pubblica udienza del 17 dicembre 2019 sono comparsi  l'avv.
Gaetano Viciconte per i ricorrenti  e  l'avv.  Silvano  Imbrieci  per
l'INPS,  non  comparsi  l'Avvocatura  dello  Stato  ed  il  Ministero
dell'economia. 
    Visti gli atti e documenti di causa; 
 
                                Fatto 
 
    1. Le parti ricorrenti, tutti dipendenti pubblici  in  quiescenza
con varie qualifiche, chiedono la declaratoria di illegittimita'  de:
a) la decurtazione operata dall'INPS, sul  trattamento  pensionistico
corrisposto, in base ad aliquote percentuali e disciplinata dall'art.
1, commi da 261 a 268 della legge 30 dicembre 2018, n. 145 (legge  di
bilancio 2019) con riferimento ad importi complessivamente  superiori
ad euro 100.000 lordi, su base annua, a decorrere dal 1° gennaio 2019
e  sino  al  31  dicembre  2023;  b)  la  perequazione  dei  medesimi
trattamenti pensionistici per gli anni  2019,  2020  e  2021  siccome
designata dalla normativa di cui all'art.  1,  comma  260,  legge  30
dicembre 2018, n. 145. 
    2. La richiamata normativa dispone in siffatto modo: 
    «260. Per il periodo 2019 - 2021 la rivalutazione automatica  dei
trattamenti pensionistici, secondo il meccanismo stabilito  dall'art.
34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, e' riconosciuta: 
        a) per i trattamenti pensionistici  complessivamente  pari  o
inferiori a tre volte il trattamento minimo INPS nella misura del 100
per cento; 
        b) per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori
a tre volte il trattamento minimo INPS e con riferimento  all'importo
complessivo dei trattamenti medesimi: 
          1)  nella  misura  del  97  per  cento  per  i  trattamenti
pensionistici complessivamente pari a quattro  volte  il  trattamento
minimo INPS. Per le pensioni di importo  superiore  a  tre  volte  il
predetto trattamento minimo e inferiore a  tale  limite  incrementato
della quota di  rivalutazione  automatica  spettante  sulla  base  di
quanto previsto dalla  lettera  a),  l'aumento  di  rivalutazione  e'
comunque  attribuito  fino  a   concorrenza   del   predetto   limite
maggiorato. Per le pensioni di importo superiore a quattro  volte  il
predetto trattamento minimo e inferiore a  tale  limite  incrementato
della quota di  rivalutazione  automatica  spettante  sulla  base  di
quanto previsto dal presente numero, l'aumento  di  rivalutazione  e'
comunque  attribuito  fino  a   concorrenza   del   predetto   limite
maggiorato; 
          2)  nella  misura  del  77  per  cento  per  i  trattamenti
pensionistici  complessivamente  superiori   a   quattro   volte   il
trattamento minimo  INPS  e  pari  o  inferiori  a  cinque  volti  il
trattamento minimo INPS. Per  le  pensioni  di  importo  superiore  a
cinque volte il predetto trattamento minimo e inferiore a tale limito
incrementato della quota di rivalutazione automatica spettante  sulla
base  di  quanto  previsto  dal   presente   numero,   l'aumento   di
rivalutazione e' comunque attribuito fino a concorrenza del  predetto
limite maggiorato; 
          3)  nella  misura  del  52  per  cento  per  i  trattamenti
pensionistici  complessivamente   superiori   a   cinque   volte   il
trattamento minimo INPS e pari o inferiori a sei volte il trattamento
minimo INPS. Per le pensioni di importo  superiore  a  sei  volte  il
predetto trattamento minimo e inferiore a  tale  limite  incrementato
della quota di  rivalutazione  automatica  spettante  sulla  base  di
quanto previsto dal presente numero, l'aumento  di  rivalutazione  e'
comunque  attribuito  fino  a   concorrenza   del   predetto   limite
maggiorato; 
          4)  nella  misura  del  47  per  cento  per  i  trattamenti
pensionistici complessivamente superiore a sei volte  il  trattamento
minimo INPS e pari o inferiori a otto  volte  il  trattamento  minimo
INPS. Per le pensioni di importo superiore a otto volte  il  predetto
trattamento minimo e inferiore a tale limite incrementato della quota
di rivalutazione automatica spettante sulla base di  quanto  previsto
dal  presente  numero,  l'aumento  di   rivalutazione   e'   comunque
attribuito fino a concorrenza del predetto limite maggiorato; 
          5)  nella  misura  del  45  per  cento  per  i  trattamenti
pensionistici complessivamente superiori a otto volte il  trattamento
minimo INPS e pari o inferiori a nove  volte  il  trattamento  minimo
INPS. Per le pensioni di importo superiore a nove volte  il  predetto
trattamento minimo e inferiore a tale limite incrementato della quota
di rivalutazione automatica spettante sulla base di  quanto  previsto
dal  presente  numero,  l'aumento  di   rivalutazione   e'   comunque
attribuito fino a concorrenza del predetto limite maggiorato; 
          6)  nella  misura  del  40  per  cento  per  i  trattamenti
pensionistici complessivamente superiore a nove volte il  trattamento
minimo INPS. 
    261. A decorrere dalla data di entrata in vigore  della  presente
legge e per la durata di cinque  anni,  i  trattamenti  pensionistici
diretti a carico del  Fondo  pensioni  lavoratori  dipendenti,  delle
gestioni speciali dei lavoratori autonomi, delle  forme  sostitutive,
esclusive ed esonerative dell'assicurazione generale  obbligatoria  e
della Gestione separata di cui all' art. 2, comma 26, della  legge  8
agosto 1995, n.  335,  i  cui  importi  complessivamente  considerati
superino  100.000  euro  lordi  su  base  annua,  sono   ridotti   di
un'aliquota di riduzione pari al 15 per cento per la parte  eccedente
il predetto importo fino a 130.000 euro, pari al 25 per cento per  la
parte eccedente i 130.000 euro fino a 200.000, pari al 30  per  cento
per la parte eccedente 200.000 euro fino a 350.000 euro, pari  al  35
per cento per la parte eccedente 350.000 euro fino a 500.000  euro  e
pari al 40% per la parte eccedente 500.000 euro. 
    262.  Gli  importi  di  cui  al  comma  261  sono  soggetti  alla
rivalutazione automatica secondo il  meccanismo  stabilito  dall'art.
34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448. 
    263. La riduzione di cui al comma 261 si applica  in  proporzione
agli  importi  dei  trattamenti  pensionistici,  ferma  restando   la
clausola di salvaguardia di cui al comma 267. La riduzione di cui  al
comma 261 non si applica comunque alle pensioni intermedie  liquidate
con il sistema contributivo. 
    264. Gli organi costituzionali  e  di  rilevanza  costituzionale,
nell'ambito della loro autonomia, si adeguano  alle  disposizioni  di
cui ai commi da 261 a 263 e 265 dalla data di entrata in vigore della
presente legge. 
    265. Presso l'INPS e gli  altri  enti  previdenziali  interessati
sono  istituiti  appositi  fondi  denominati  «Fondo  risparmio   sui
trattamenti pensionistici di importo elevato» in cui  confluiscono  i
risparmi derivati dai commi da 261 a  263.  Le  somme  ivi  confluite
restano accantonate. 
    266. Nel fondo  di  cui  al  comma  265  affluiscono  le  risorse
rivenienti dalla riduzione di cui ai commi da 261  a  263,  accertate
sulla base del procedimento di cui all'art. 14 della legge  7  agosto
1990, n. 241. 
    267. Per  effetto  dell'applicazione  dei  commi  da  261  a  263
l'importo complessivo dei trattamenti pensionistici diretti non  puo'
comunque essere inferiore a 100.000 euro lordi su base annua. 
    268. Sono esclusi dall'applicazione delle disposizioni di cui  ai
commi da  261  a  263  le  pensioni  di  invalidita',  i  trattamenti
pensionistici di invalidita' di cui alla legge  12  giugno  1984,  n.
222, i trattamenti  pensionistici  riconosciuti  ai  superstiti  e  i
trattamenti riconosciuti a favore  delle  vittime  del  dovere  o  di
azioni terroristiche di cui alla legge 13 agosto 1980, n. 466 e  alla
legge 3 agosto 2004, n. 206». 
    3.  L'articolato  normativo,  osservano  le   parti   ricorrenti,
determina due manovre per i  ricorrenti,  percettori  di  trattamento
pensionistico che eccede euro 100.000 lordi annui, l'una di  «blocco»
della perequazione per  gli  anni  2019,  2020  e  2021,  l'altra  di
«taglio» con decurtazione sull'ammontare della pensione da un  minimo
del 15% ad un massimo del 40%, poiche' in attivita' lavorativa  hanno
versato contributi con il sistema cd. misto per  obblighi  di  legge,
mentre  per  le  pensioni  interamente  liquidate  con   il   sistema
contributivo  si  esclude  tale  misura  ablativa  sulla  somma   del
trattamento previdenziale. 
    4. Le parti ricorrenti hanno presentato diffida il 1° luglio 2019
innanzi all'INPS competente per materia  ad  erogare  il  trattamento
pensionistico  decurtato,  richiedendo   che   l'ente   previdenziale
continuasse ad erogare il trattamento pensionistico gia' in godimento
senza operare la decurtazione prevista dalla detta normativa,  e  con
l'avvertenza che, decorsi sessanta giorni dal ricevimento,  avrebbero
adito le competenti sedi giurisdizionali senza ulteriore  avviso  per
tutelare i propri diritti. 
    Non avendo ricevuto alcun riscontro alla  istanza,  i  ricorrenti
hanno dedotto la  legittimazione  processuale  ad  adire  il  giudice
contabile ai sensi dell'art. 153 del codice di giustizia contabile. 
    In conseguenza delle  molteplici  istanze  presentate  l'INPS  ha
emanato la circolare n. 44 del 2019 per  fornire  la  interpretazione
sull'applicazione dell'art. 1, comma 260 della legge n. 145/2018 e la
circolare n. 62/2019 in riferimento all'art. 1, commi da  261  a  268
della legge n. 145/2018. 
    5. Lamentano, i ricorrenti, di aver subito  una  misura  ablativa
eccessivamente  onerosa  sul  trattamento   pensionistico.   che   ha
cagionato un danno alla loro situazione economica, e tale  misura  e'
solo l' ultima manovra economica in  ordine  di  tempo  destinata  ad
incidere sui trattamenti pensionistici (cfr., in precedenza, legge 23
dicembre 1999, n. 488, legge 24 dicembre 2003, n. 350,  decreto-legge
6 luglio 2011, n. 98, convertito con modificazioni in legge 15 luglio
2011, n. 111; legge 27 dicembre 2013, n. 147). 
    Rilevano i ricorrenti che nella  specie  gli  atti  con  i  quali
l'INPS ha applicato il  blocco  della  perequazione  del  trattamento
pensionistico  ai  sensi  dell'art.  1,  comma  260  della  legge  n.
145/2018, e la decurtazione disciplinata dall'art. 1, commi 261 e ss.
della   medesima   legge,   in   conseguenza   della   illegittimita'
costituzionale della detta normativa, sono illegittimi per violazione
dei parametri costituzionali ed eurounitari in materia di trattamenti
pensionistici, nonche' per eccesso di potere per aver dato attuazione
alla richiamata normativa incostituzionale viziata da diversi profili
di incostituzionalita'. 
    5.1. Una  prima  censura  sollevata  dai  ricorrenti  attiene  la
violazione degli articoli 3,36  e  38  della  Costituzione  sotto  il
profilo della irragionevolezza del prelievo di cui all'art. 1,  comma
261, della legge n. 145/2018. 
    Le  parti  attoree,  dopo  aver  richiamato   il   principio   di
ragionevolezza  che,  secondo   la   giurisprudenza   costituzionale,
rappresenta il cardine intorno a cui devono  ruotare  le  scelte  del
legislatore nella materia pensionistica ed  assurge  a  principio  di
sistema, osservano che la Consulta ha ribadito  l'applicabilita'  del
criterio della proporzionalita' alla quantita' e qualita' del  lavoro
prestato (art. 36, comma 1 Cost.)  e  del  criterio  di  adeguatezza,
(art. 38, comma 2 Cost.) anche  ai  trattamenti  di  quiescenza,  in,
specie considerando le aspettative di vita e con essa  il  diritto  a
condurre una esistenza libera e  dignitosa,  ai  sensi  dell'art.  36
Cost.  Sicche'  proporzionalita'  ed  adeguatezza,   per   la   Corte
costituzionale,  non  devono   sussistere   solo   al   momento   del
collocamento a riposo, ma essere assicurate anche nel  prosieguo,  in
relazione ai mutamenti del potere d'acquisto della moneta. Da qui  la
considerazione  che  la  riduzione   quantitativa   dei   trattamenti
pensionistici   appare   irragionevole   oltre   che   arbitraria   e
discriminatoria per i soggetti  interessati,  atteso  che  il  blocco
della perequazione  e  le  riduzioni  imposte  non  sono  fondati  su
interessi generali. La normativa oggetto di  censura  deroga  d'altra
parte alla disciplina generale di cui all'art.  34,  comma  1,  della
legge 23 dicembre  1998,  n.  448,  siccome  modificato  dall'art.  1
decreto-legge n. 65/2015 ed afferma (art. 1, comma 260,  della  legge
n. 145/2018) che  «per  il  periodo  2019  -  2021  la  rivalutazione
automatica  dei  trattamenti  pensionistici,  secondo  il  meccanismo
stabilito dall'art. 34, comma 1, della legge  23  dicembre  1998,  n.
448, e' riconosciuta: 
        a) per i trattamenti pensionistici  complessivamente  pari  o
inferiori a tre volte il trattamento minimo INPS nella misura del 100
per cento: 
        b) per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori
a tre volte il trattamento minimo INPS e con riferimento  all'importo
complessivo dei trattamenti medesimi: 
          1)  nella  misura  del  97  per  cento  per  i  trattamenti
pensionistici complessivamente pari a quattro  volte  il  trattamento
minimo INPS. 
    Per le pensioni di importo superiore  a  tre  volte  il  predetto
trattamento minimo e inferiore a tale limite incrementato della quota
di rivalutazione automatica spettante sulla base di  quanto  previsto
dalla lettera a), l'aumento di rivalutazione e'  comunque  attribuito
fino a concorrenza del predetto limite maggiorato. Per le pensioni di
importo superiore a quattro volte il predetto  trattamento  minimo  e
inferiore a tale limite incrementato  della  quota  di  rivalutazione
automatica spettante sulla  base  di  quanto  previsto  dal  presente
numero, l'aumento di rivalutazione  e'  comunque  attribuito  fino  a
concorrenza del predetto limite maggiorato; 
          2)  nella  misura  del  77  per  cento  per  i  trattamenti
pensionistici  complessivamente  superiori   a   quattro   volte   il
trattamento minimo  INPS  e  pari  o  inferiori  a  cinque  volti  il
trattamento minimo INPS. Per  le  pensioni  di  importo  superiore  a
cinque volte il predetto trattamento minimo e inferiore a tale limito
incrementato della quota di rivalutazione automatica spettante  sulla
base  di  quanto  previsto  dal   presente   numero,   l'aumento   di
rivalutazione e' comunque attribuito fino a concorrenza del  predetto
limite maggiorato; 
          3)  nella  misura  del  52  per  cento  per  i  trattamenti
pensionistici  complessivamente   superiori   a   cinque   volte   il
trattamento minimo INPS e pari o inferiori a sei volte il trattamento
minimo INPS. Per le pensioni di importo  superiore  a  sei  volte  il
predetto trattamento minimo e inferiore a  tale  limite  incrementato
della quota di  rivalutazione  automatica  spettante  sulla  base  di
quanto previsto dal presente numero, l'aumento  di  rivalutazione  e'
comunque  attribuito  fino  a   concorrenza   del   predetto   limite
maggiorata; 
          4)  nella  misura  del  47  per  cento  per  i  trattamenti
pensionistici complessivamente superiore a sei volte  il  trattamento
minimo INPS e pari o inferiori a otto  volte  il  trattamento  minimo
INPS. Per le pensioni di importo superiore a otto volte  il  predetto
trattamento minimo e inferiore a tale limite incrementato della quota
di rivalutazione automatica spettante sulla base di  quanto  previsto
dal  presente  numero,  l'aumento  di   rivalutazione   e'   comunque
attribuito fino a concorrenza del predetto limite maggiorato; 
          5)  nella  misura  del  45  per  cento  per  i  trattamenti
pensionistici complessivamente superiori a otto volte il  trattamento
minimo INPS e pari o inferiori a nove  volte  il  trattamento  minimo
INPS. Per le pensioni di importo superiore a nove volte  il  predetto
trattamento minimo e inferiore a tale limite incrementato della quota
di rivalutazione automatica spettante sulla base di  quanto  previsto
dal  presente  numero,  l'aumento  di   rivalutazione   e'   comunque
attribuito fino a concorrenza del predetto limite maggiorato; 
          6)  nella  misura  del  40  per  cento   peri   trattamenti
pensionistici complessivamente superiore a nove volte il  trattamento
minimo INPS». 
    La richiamata  disciplina  blocca,  lamentano  i  ricorrenti,  la
perequazione a scaglioni, non osservando  i  criteri  indicati  dalla
Corte costituzionale al legislatore ed individuati nei  seguenti:  al
la misura eccezionale  deve  essere  circoscritta  temporalmente  (la
sentenza n. 250/2017 prevede un biennio); b)  il  sacrificio  imposto
deve essere proporzionato al livello di trattamento pensionistico; c)
la misura deve  essere  giustificata  da  impellenti  ed  eccezionali
esigenze di bilancio o di impegni di spesa in materia previdenziale i
cui risparmi devono essere diretti a fini 
    I tre criteri non sono stati rispettati, considerato  che  vi  e'
stata continuita' tra il triennio 2014 - 2016 ed il triennio  2019  -
2021 (cfr. dossier sulla  legge  di  bilancio  -  profili  finanziari
pp.78-79)  ed  il  danno  cagionato  ai   ricorrenti   e'   eccessivo
addizionando la sommatoria tra l'abbattimento del potere d'acquisto e
gli effetti decurtativi di cui all'art. 1, comma 261, della legge  n.
145/2018, mentre la norma oggetto di censura nulla dispone in  merito
agli scopi che il legislatore si pone di raggiungere con tale misura,
non disponendo per il perseguimento di finalita' solidaristiche  endo
- previdenziali ne' per l'intento (seppur insufficiente) di  un  mero
risparmio di spesa. 
    Parimenti la disposizione dell'art. 1, comma 261, della legge  n.
145/2018 supera i criteri della ragionevolezza e proporzionalita', in
quanto non  garantisce  la  tutela  della  capacita'  reddituale  dei
soggetti interessati rispetto alla erosione  determinata  dal  valore
d'acquisto della moneta, non e'  proporzionata  rispetto  agli  scopi
(non indicati) ne' e' posta per porre freno ad impellenti esigenze di
bilancio. 
    5.2.  Altra  violazione  e'  costituita  dal  conflitto  con  gli
articoli 2.3, 36 e 38 della Costituzione per il profilo della  natura
non temporanea dei sacrifici imposti dall'art.  1,  comma  261  della
legge n. 145/2018. La giurisprudenza costituzionale ha sostenuto  che
- in tema di interventi restrittivi sui trattamenti economici -  sono
imposti sacrifici economici costituzionalmente  sostenibili  solo  se
tali  sacrifici  hanno  il  carattere  della  eccezionalita',   della
contingenza, della non arbitrarieta', della  stretta  attinenza  allo
scopo prefissato nonche' della temporaneita' limitata  degli  stessi,
ed in presenza di esigenze di contenimento della spesa  pubblica  per
fini solidaristici (sent.  n.  250/2017,  169/2017  e  n.  108/2018),
criteri  inapplicati  nella  specie  in   specie   in   ordine   alla
«contingente  situazione  finanziaria»  o  «impellenti  esigenze   di
finanza pubblica», anche considerato che ogni eventuale  perdita  del
potere di acquisto del  trattamento,  anche  se  limitato  a  periodo
brevi, e' per sua natura definitiva  e  che  per  tale  ragione  deve
essere  salvaguardato  il  potere  di  acquisto   dei   rapporti   di
quiescenza. 
    Nella specie non vi e' stato alcun bilanciamento degli  interessi
in gioco (esigenze di contenimento della spesa pubblica  ed  esigenze
di  tutela  dei  diritti  economici  dei  pensionati)   con   effetti
definitivi  ed  irreversibili  sulla   situazione   economica   della
categoria dei pensionati e considerato che le pensioni, sia  pure  di
maggiore consistenza, potrebbero non essere  sufficientemente  difese
in relazione ai mutamenti del potere d'acquisto  della  moneta  (come
insegnato dalla Corte costituzionale) e che la disposizione  si  pone
all'interno di un ciclo continuo  di  disposizioni  che  decurtano  i
trattamenti pensionistici dei ricorrenti (a  scaglioni  temporali  di
tre anni ciascuno, tra il 2000 ed il  2016,  vi  sono  stati  quattro
prelievi rubricati dal legislatore come «contributo di  solidarieta'»
l'art. 3, legge n. 488/1989, art. 3, comma 102,  legge  n.  350/2003,
art. 18, comma 22-bis, decreto-legge n. 98/2011, art. 1,  comma  486,
legge n. 177/2013). 
    5.3. Ulteriore ragione di censura e' costituita dalla  violazione
degli articoli 2, 3, 36, comma 1, e 38, comma 2,  della  Costituzione
per il profilo della irragionevolezza e sproporzionalita'  intrinseca
della disciplina a causa della genericita' delle  misure  introdotte,
non  essendo  stata  giustificata  una   inderogabile   esigenza   di
contenimento della spesa pubblica ne' la misura imposta e' agganciata
ad alcun intento solidaristico. 
    5.4. I ricorrenti lamentano anche la violazione degli articoli 3,
36 e 38 della Costituzione  per  il  profilo  della  irragionevolezza
della misura del prelievo. 
    Si censura la norma sotto un duplice profilo, sia per il  quantum
delle aliquote (da un minimo del 15% ad un massimo del 40%) a  fronte
del 6% e del 18% - quest'ultimo definito dalla  Corte  costituzionale
«ai  limiti»  (sent.  n.  173/2016)  in  altra  previsione  normativa
scrutinata (art. 1, comma 486, legge n. 147/2013), sia per la scelta,
fermo restando il principio di discrezionalita' legislativa,  operata
per il trattamento «di pensione anticipata cd. quota 100»  e  per  le
«disposizioni urgenti in materia di  cittadinanza»  determinativi  di
ben piu' consistenti spese (con un rapporto. osservano  i  ricorrenti
di 1 a 100 tra incrementi di spesa e risparmio della medesima). 
    5.5. Ulteriore  censura  e'  costituita  dalla  violazione  degli
articoli 3, 23.  36,  38  e  53  della  Costituzione  per  la  natura
giuridica - di tributo - configurabile nella specie in  quanto  viene
imposta arbitrariamente una misura economica che ha natura di imposta
speciale   (decurtazione   patrimoniale   priva   di   un    rapporto
sinallagmatico  tra  le  parti,  prelievo  coattivo  collegato   alla
pubblica  spesa  inerente  ad  un   presupposto   economico   dettato
dall'indice di capacita' contributiva dei soggetti interessati  dalla
disposizione), ne' l'art. 1, comma 265, della legge  n.  145/2018  ha
una finalita'  solidaristica  in  generale  o  endoprevidenziale,  ed
incidendo peraltro la normativa su redditi  -  di  pensione  -  ormai
consolidati  nel  loro  ammontare  e  non  suscettivi  di   modifiche
migliorative sul piano sinallagmatico. 
    5.6. Vi e' anche secondo i ricorrenti  la  violazione,  da  parte
dell'art. 1, comma 261, della legge n. 145/2018, degli articoli 2, 3,
comma 2, 36, comma 1, e 38, comma 2, 53  della  Costituzione  per  il
profilo della arbitrarieta' e della disparita' di trattamento per una
sola categoria di cittadini, essendosi  operata  una  violazione  del
principio  di  universalita'  e  del  principio  di  uguaglianza  del
prelievo a parita' di presupposto d'imposta economicamente rilevante. 
    Nella specie il provvedimento restrittivo non e'  stato  previsto
all'interno di un quadro complessivo di sacrifici imposti a  tutti  i
cittadini, ed ulteriore profilo  di  vizio  deriva  dalla  esclusione
della detta misura per i superstiti  (art.  1,  comma  261)  titolari
della pensione di reversibilita'. 
    5.7. Altro vizio si fonda sul conflitto con gli articoli 3, 36  e
38 della  Costituzione  per  l'irragionevole  raffronto  tra  sistema
previdenziale contributivo e retributivo in quanto la norma  esclude,
ex art. 1, comma 262, dalla  decurtazione  patrimoniale  le  pensioni
liquidate con il sistema contributivo. 
    I  ricorrenti  censurano  le  misure  ablative  dei   trattamenti
economici circoscritte solo ad una determinata categoria di soggetti,
a parita'  di  capacita'  contributiva  (Corte  cost.  n.  223/2013),
asserendo che per di piu'  la  decurtazione  e'  operata  in  maniera
discriminatoria sui soli percettori di reddito  da  pensione  e,  tra
questi, sul  trattamento  pensionistico  «diretto»  e  non  calcolato
«interamente» attraverso un meccanismo  ascrivibile  al  cd.  «metodo
contributivo», con  compromissione  della  funzione  di  solidarieta'
sociale  attribuita  alla  pubblica   amministrazione.   Peraltro   i
ricorrenti riscuotono  solo  la  minor  somma  tra  i  due  risultati
ottenuti a seguito del doppio calcolo disposto dall'art. 24, comma 2.
del decreto-legge n. 2011/2011, siccome modificato dall'art. 1, comma
707, della legge n. 190/2014  (legge  di  stabilita'  del  2015);  ne
consegue che ingiustificata e discriminatoria  appare  la  esclusione
dalla decurtazione sia di chi fruisce  di  un  sistema  pensionistico
maturato con il sistema contributivo, sia di chi si  e'  beneficiario
dei trattamenti  della  cd.  gestione  separata  INPS.  La  norma  in
siffatto modo colpisce solo una parte della platea dei pensionati con
trattamenti elevati, essendo esclusi i pensionati di  altre  gestioni
previdenziali ed incidendo in siffatto modo su una sola categoria, in
distonia  con  quanto   affermato   da   orientamenti   della   Corte
costituzionale (sent. n. 223/2012) non includendo  sia  i  pensionati
percettori di trattamento pensionistico di pari importo, ma a  carico
di gestioni diverse dall'INPS, sia i percettori di redditi di omologo
livello, in particolare considerando che la riduzione del trattamento
pensionistico non costituisce un prelievo una tantum ma protratto nel
tempo (cinque anni). 
    5.8. Ulteriore parametro violato e' costituito  dalla  violazione
degli articoli 3, 36, 38, 97, 101 e 104, comma 1 della  Costituzione,
per  il  profilo  della  lesione  dell'imparzialita'  della  pubblica
amministrazione e dell'indipendenza della magistratura. 
    Una declinazione di tale  posizione  riguarda  la  posizione  dei
pubblici dipendenti la cui imparzialita' e' garantita da un  adeguato
trattamento economico, e dell'indipendenza della magistratura, la cui
imparzialita' va salvaguardata anche sotto il profilo economico, come
affermato da numerose decisioni della Corte costituzionale  (cfr.  ex
plurimis  n.  223/2012)  ma  anche  di   orientamenti   della   Corte
comunitaria (CGUE Grande Sez. 27 ottobre  2018  causa  C-64/16).  Non
sussistono, pertanto, condizioni legittimanti la disciplina censurata
in  quanto  la  medesima:   a)   non   possiede   alcun   tratto   di
proporzionalita'; b) non  produce  effetti  limitati  nel  tempo  (in
quanto la normativa si estende per ben cinque anni e  si  estende  ad
analoghe disposizioni «punitive» precedenti;  c)  colpisce  una  sola
categoria di pubblici funzionari; d)  non  persegue  alcun  obiettivo
perequativo. 
    5.9. I ricorrenti prospettano anche la violazione degli  articoli
3, 36, 38, 97, 101 e 104, comma 1 della Costituzione, per il  profilo
della lesione dell'imparzialita'  della  pubblica  amministrazione  e
dell'indipendenza  della  magistratura  anche   per   l'irragionevole
raffronto  tra  sistema  previdenziale  contributivo  e   retributivo
codificandosi, in siffatto modo, una disparita'  di  trattamento  nei
confronti dei magistrati pensionati con sistema retributivo  che,  da
uno  studio  dell'INPS  del  2015,  hanno   subito   riduzioni   piu'
consistenti da quelli subiti di chi gode del sistema  contributivo  e
sono, nella specie, ulteriormente decurtati per ulteriori cinque anni
di una consistente aliquota del proprio trattamento pensionistico. 
    5.10. Si eccepisce inoltre anche la violazione dell'art. 1, commi
261 e 265, della legge n. 145/2018 in riferimento  agli  articoli  3,
36, 38 e 97 Cost. per il profilo  della  sottrazione  di  somme  alla
gestione previdenziale per  accantonamento  delle  somme  nel  «Fondo
risparmio sui trattamenti pensionistici», ma  senza  che  il  sistema
previdenziale possa beneficiarne per qualsiasi attivita'  degli  enti
previdenziali, compromettendo in siffatto modo il principio  di  buon
andamento della pubblica amministrazione. 
    5.11. Ulteriore censura attiene il conflitto dell'art.  1,  comma
261 con gli articoli 3 e 81 della Costituzione e dell'art.  21  della
legge n. 196/2009, in quanto la decurtazione imposta va ben oltre  lo
spazio temporale di programmazione del bilancio dello stato  previsto
dalla legge che si riferisce  ad  un  periodo  triennale,  e  siccome
deriva, oltre che dalla normativa citata. dall'art. 1, comma 1, della
legge n. 145/2018, mentre la misura ablativa censurata  comprende  un
periodo quinquennale. 
    5.12. Viene anche sollevata la violazione degli articoli  3,  36,
38 e 42, nonche' degli  articoli  97  e  117,  comma  1,  Cost.,  con
riferimento al principio di legittimo affidamento e degli articoli  6
e 13 della  Convenzione  europea  per  la  salvaguardia  dei  diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali nonche'  della  tutela  della
proprieta' privata cosi' come tutelati  dall'ordinamento  dell'Unione
europea, anche in riferimento all'art. 1 del Primo Prot. AGG. 
    La tesi attorea lamenta la incostituzionalita'  della  richiamata
normativa per violazione del principio del legittimo  affidamento  la
cui tutela  costituisce  un  «principio  connaturato  allo  stato  di
diritto» (Corte cost. n. 103/2013), in quanto il «taglio» interviene,
modificandoli in peius, su rapporti di durata sorti prima  della  sua
entrata  in  vigore,  determinando  una  specie   di   retroattivita'
impropria in quanto applicata sulle situazioni in  essere,  connotate
da  una  posizione  giuridica  consolidata,  ne'  ricorrono  esigenze
inderogabili  o  condizioni  eccezionali  giustificativi  il   vulnus
economico. 
    Il principio di affidamento, lamentano i ricorrenti  (cfr.  Corte
costituzionale n.  108/2019  nonche'  n.  89/2018),  trova  copertura
costituzionale nell'art. 3, quale  manifestazione  del  valore  della
certezza del diritto, ed e' riconosciuto  dalla  Convenzione  europea
dei diritti dell'uomo, ed in merito  la  giurisprudenza  della  Corte
europea dei diritti dell'uomo  ha  statuito  che  il  mero  interesse
finanziario pubblico non costituisce ragione di per se' sufficiente a
giustificare interventi retroattivi senza alcuna prevedibilita',  con
interventi   peggiorativi   proporzionati   rispetto    all'obiettivo
perseguito e per «interessi pubblici  sopravvenuti»:  sicche'  vi  e'
nella specie la violazione  della  Convenzione  europea  dei  diritti
dell'uomo costituente violazione dell'art.  117  della  Costituzione,
oltre alla violazione  dell'art.  42  della  Costituzione  in  quanto
decurtazione relativa a somme nella disponibilita' dei  ricorrenti  e
costituente  un  «onere   anomalo   ed   esorbitante   (secondo   una
qualificazione assegnata dalla Corte europea dei diritti dell'uomo ai
caratteri connotanti la limitazione) e non connotate da un  carattere
temporale. 
    5.13. Viene, infine, prospettato  la  violazione  dell'art.  117,
comma 1, Cost. per violazione degli articoli 21 e 25 della  Carta  di
Nizza, degli  articoli  10  e  157  del  Trattato  sul  funzionamento
dell'Unione europea, dell'art. 15 del Pilastro  europeo  dei  diritti
sociali, della direttiva 2000/78/CE i quali  stabiliscono  un  quadro
generale per la parita' di trattamento in materia di occupazione e di
condizioni di lavoro. 
    La normativa oggetto di censura, osserva la parte attorea, non si
presenta rispettosa dei principi comunitari  di  non  discriminazione
per ragioni di patrimonio e/o eta',  di  parita'  di  trattamento  ed
integrazione socio/economica degli anziani,  nonche'  di  adeguatezza
dei trattamenti retributivi,  con  riferimento  all'inclusione  negli
stessi di tutti i vantaggi attuali e futuri, anche in riferimento  ai
contributi corrisposti, non essendo escluso che talune prestazioni  -
corrisposte dopo la cessazione dal rapporto di lavoro - possano avere
carattere di retribuzione. 
    La Corte di giustizia della UE ha chiarito piu' volte che,  sotto
l'egida dell'art. 157  del  Trattato  sul  funzionamento  dell'Unione
europea,  trovano  tutela  tutte  le   retribuzioni,   anche   quelle
consistenti  in  prestazioni  corrisposte  dopo  la  cessazione   del
rapporto di lavoro. 
    5.14. Concludono, i ricorrenti, per  raccoglimento  del  ricorso,
previa  rimessione  alla  Corte  costituzionale  della  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 1, commi da 260  a  268.  della
legge n. 145 del 2018, e per: 
        accertare e dichiarare il  diritto  alla  corresponsione  del
trattamento pensionistico spettante ai ricorrenti senza la  riduzione
imposta dall'art. 1, comma 261, della legge 30 dicembre 2018, n 145; 
        accertare e dichiarare il  diritto  alla  corresponsione  dei
ricorrenti del trattamento pensionistico rivalutato senza  il  blocco
di cui comma 260, della legge 30 dicembre 2018, n. 145; 
        annullare o dichiarare  nullo,  invalido  e/o  inefficace  il
cedolino pensionistico dei ricorrenti (tranne la  dott.ssa  Simonetti
Maria Laura) relativo al  mese  di  giugno  2019  e  con  riferimento
espresso alla dott.ssa Simonetti Maria Laura del mese di luglio 2019,
nonche' di quelli successivi recanti  le  illegittime  riduzioni  ivi
rilevate; 
        condannare l'INPS alla restituzione delle somme indebitamente
non erogate ai ricorrenti nel mese di giugno 2019, nonche'  nel  mese
di luglio 2019 con riferimento alla dott.ssa Simonetti  Maria  Laura,
ivi compresa la quota relativa alle  mensilita'  da  gennaio  2019  a
maggio/giugno 2019, nonche' di tutte le somme che  nelle  more  della
definizione del presente giudizio  non  fossero  indebitamente  state
erogate, in applicazione dell'art. 1, commi 260 e 261, della legge 30
dicembre 2018 ,n. 145, oltre interessi e rivalutazione monetaria sino
al soddisfo. 
    6.  Con  memoria  depositata  in  data  2  dicembre  2019  si  e'
costituito  in  giudizio   l'INPS   contestando   le   eccezioni   di
costituzionalita' sollevate dai ricorrenti. 
    6.1. In ordine alle norme che dispongono  la  decurtazione  della
pensione  l'istituto  eccepisce  il  rispetto  del  parametro   della
temporaneita' del prelievo, rappresentando il quinquennio un  periodo
specificamente circoscritto  (peraltro  nella  sentenza  della  Corte
costituzionale n. 173/2016 non era stato fissato  un  limite  massimo
della durata del prelievo), e peraltro non vi e' continuita'  tra  le
diverse misure adottate dal legislatore nel  corso  degli  anni,  ne'
omogeneita' di contenuti, per cui non vi e' consolidamento nel  tempo
dell'incidenza sulle pensioni piu' elevate (nessuna riduzione in  tal
senso era stata disposta dal 2007 al 2011). 
    6.2. Con riferimento al carattere selettivo del contributo l'ente
previdenziale sostiene la coerenza e  ragionevolezza  dell'esclusione
delle categorie di pensionati amministrate dagli enti  di  previdenza
obbligatori (decreto legislativo n. 504/1994 e n.  103/1996),  avendo
la Corte costituzionale (n. 7/2017)  riconosciuto  la  necessita'  di
preservare l'equilibrio della gestione e del vincolo di  destinazione
tra contributi e prestazioni, mentre la esclusione  dei  titolari  di
trattamenti ai superstiti si radica  sulla  peculiarita'  del  regime
giuridico delle pensioni ai superstiti determinate in misura  ridotta
sin dall'inizio (che  puo'  arrivare  sino  al  50%)  e  soggette  ad
ulteriori possibili decurtazioni in caso di cumulo con altri  redditi
dei beneficiari ai sensi della Tab. F della legge n. 335/1995. 
    6.3. L'INPS rigetta anche  l'asserito  carattere  discriminatorio
del contributo, rispetto ai cittadini percettori di redditi  omologhi
non da pensione, osservando che tale connotazione e' stata piu' volte
esclusa dalla Corte  costituzionale  (Corte  cost.  n.  160/2007)  in
relazione a disposizioni omologhe a quella  contestata,  valorizzando
la  funzione  solidaristica  interna  al  sistema   previdenziale   e
l'attitudine delle pensioni piu' elevate a sostenere tali  temporanei
sacrifici. 
    6.4. Sulla irragionevole discriminazione dei soggetti incisi,  in
relazione  ai  percettori  di  trattamenti  pensionistici   liquidati
interamente secondo il meccanismo contributivo,  osserva  l'INPS  che
per  questi  ultimi  la  pensione  e'  determinata  in  funzione  dei
contributi  versati  nel  corso  della   vita   lavorativa.   sicche'
risulterebbe «superflua  e  perfino  ingiusta»  l'imposizione  di  un
prelievo  aggiuntivo.  Parimenti  congrua  appare  la  soggezione  al
contributo dei titolari di trattamenti liquidati con  il  sistema  di
calcolo cd. misto, considerato che  essi  beneficiano  di  una  terza
quota di  pensione,  afferente  ai  contributi  versati  dopo  il  31
dicembre 2011, che puo' determinare un importo complessivo  superiore
a quello ottenibile con il meccanismo interamente contributivo. 
    6.5. Priva di fondamento, osserva  l'istituto  previdenziale,  e'
l'asserita sottrazione al sistema previdenziale delle somme acquisite
per  effetto  della  disciplina  contestata,  considerata  l'espressa
previsione normativa - art. 1, comma 265 - dell'accantonamento  delle
citate risorse in Fondi istituiti presso le gestioni previdenziali, e
ritenuta la sussistenza della procedura della conferenza dei  servizi
per la decisione sulla  destinazione  delle  stesse,  per  cui  viene
individuata  una  specifica  finalita'   istituzionale   alle   somme
acquisite. 
    6.6. Non e' condivisibile  neanche  la  censura  in  ordine  alla
irragionevolezza dei contributo sul  piano  quantitativo  considerato
che la Corte costituzionale si limita (cfr. sentenza n. 173/2016)  ad
individuare dei  parametri  di  portata  generale  (sostenibilita'  e
proporzionalita'  del  prelievo),  e  vista  l'adeguata  presenza  di
scaglioni reddituali (cinque invece dei tre previsti dalla  legge  n.
147/2013), con espressa previsione di una  clausola  di  salvaguardia
secondo cui  «l'importo  complessivo  dei  trattamenti  pensionistici
diretti non puo' comunque essere inferiore a 100.000  euro  lordi  su
base annua». 
    6.7. Ne', osserva  la  parte  resistente,  puo'  configurarsi  il
prelievo come avente la natura di tributo, in  assenza  di  due  (dei
tre) elementi delle fattispecie tributarie, ovvero  la  definitivita'
della decurtazione patrimoniale a carico dei soggetti  passivi  e  la
destinazione delle risorse acquisite al finanziamento delle pubbliche
spese: in tal senso depongono la durata quinquennale del  prelievo  -
quindi transitorio - e l'accantonamento dei  risparmi  conseguiti  in
Fondi previdenziali specificamente previsti. Neppure si  realizza  la
dedotta violazione dell'art. 23 della  Costituzione,  trattandosi  di
prestazioni patrimoniali imposte per un  arco  temporale  limitato  e
finalizzate  ad  un  circuito  di  solidarieta'  interno  al  sistema
previdenziale. 
    6.8. Infondata e' anche l'eccezione  di  incostituzionalita'  con
riferimento  all'asserita  lesione  del  principio  di   affidamento,
essendosi affermato nella giurisprudenza costituzionale un  indirizzo
interpretativo (n. 22/2003, n. 160/2007, n. 223/2012, n.  116/2013  e
n. 173/2016) per cui tale tipologia di contributi e' ammessa  purche'
non arbitraria, non  lesiva  in  maniera  eccessiva  delle  legittime
aspettative  del  soggetto  inciso  e  sorretto   da   finalita'   di
solidarieta' previdenziale, requisiti sussistenti nel caso oggetto di
scrutinio. 
    6.9. Da disattendere e' anche l'eccezione  afferente  la  lesione
dei  principi  di  imparzialita'  della  pubblica  amministrazione  e
dell'indipendenza della magistratura, non investendo la  decurtazione
i trattamenti retributivi, ne'  sussistendo  equiparabilita'  tra  le
pensioni e le retribuzioni (cfr. Corte costituzionale n. 124/2017), e
d'altro  canto  esiste  una  portata  generale  del  contributo   che
comprende anche pensionati del settore privato e quindi  non  essendo
l'incidenza circoscritta al settore pubblico. 
    6.10.  L'istituto  previdenziale  respinge   anche   le   censure
concernenti la violazione dell'art. 81  della  Costituzione  e  delle
norme comunitarie sotto molteplici profili che prevedono  il  divieto
di discriminazione tra le persone in ragione dell'eta'. 
    Con riferimento alla violazione dell'art. 81  della  Costituzione
non appare conferente il  parametro  costituzionale  evocato  ne'  la
ratio  dell'allegata  violazione,  non  essendo  comunque  idonea  ad
integrarla in alcun modo il solo elemento della  durata  quinquennale
del prelievo. In  ordine  ai  principi  comunitari  di  tutela  degli
anziani, essi non implicano l'esclusione di interventi normativi  che
modifichino in senso riduttivo i trattamenti pensionistici, ne' nella
specie appare configurabile alcuna lesione del diritto delle  persone
anziane «ad una vita dignitosa  ed  indipendente  »  o  di  quello  a
«partecipare alla vita sociale e  culturale»,  vista  l'incidenza  su
pensioni di significativo importo. 
    6.11. Sull'intervento di contrazione del  meccanismo  perequativo
delle pensioni (art. 1, comma 260, legge n. 145/2018), l'INPS osserva
che appare infondata l'eccezione di incostituzionalita', in quanto la
norma attuale ha introdotto un numero piu'  elevato  di  aliquote  in
relazione ai diversi scaglioni reddituali ed ha disposto  percentuali
di perequazione in larga parte piu' favorevoli rispetto alla  omologa
disciplina vigente nel pregresso  arco  temporale  2014  -  2018.  Ne
deriva il rispetto dei  criteri  di  progressivita'  parametrati  sui
canoni di proporzionalita' ed adeguatezza  dell'intervento  riduttivo
secondo gli insegnamenti  della  Corte  costituzionale  (sentenze  n.
70/2015 e 250/2017). 
    Conclude l'INPS  per  la  reiezione  di  tutte  le  eccezioni  di
costituzionalita' prospettate dalle parti attrici con  rigetto  della
domanda preliminare di sospensione del giudizio  e  remissione  degli
atti alla Corte costituzionale e, nel merito, chiede il  rigetto  del
ricorso per infondatezza delle domande avanzate dai  ricorrenti,  con
ogni consequenziale statuizione in ordine alle spese di lite. 
    7. Con memoria difensiva l'Avvocatura  distrettuale  dello  Stato
deduce la non ascrivibilita' alla fattispecie tributaria della  norma
contestata, siccome affermato anche dalla Corte  costituzionale  (con
la sentenza n. 173/2016) in una vicenda analoga e ribadito  in  altra
sentenza (n. 213/2017) afferenti a  «risparmi»  di  cui  all'art.  1,
comma 487, della legge n. 147/2013. 
    Osserva   l'avvocatura   erariale   che   il   ricalcolo    opera
correttamente, su quei trattamenti che in tutto od in parte non hanno
una correlazione, un «rapporto di sinallagmaticita'» con  l'ammontare
dei contributi versati e che prevede aliquote che comunque restano al
di sotto del «vantaggio percentuale»  connesso  all'applicazione  del
sistema retributivo rispetto a quello contributivo. In ogni  caso  la
riduzione e' sostenibile, vista la salvaguardia del  trattamento  non
inferiore ad euro 100.000,00. 
    Quanto  alla  riduzione   per   scaglioni   del   meccanismo   di
perequazione dei trattamenti di  cui  all'art.  1,  comma  260,  tale
provvedimento e'  in  linea  con  altri  provvedimenti  di  contenuto
sostanzialmente  analogo  scrutinati  dalla  Corte  costituzionale  e
ritenuti infondati (sent. n. 250/2017), in quanto  interventi  aventi
natura e finalita' perequative riferiti alle pensioni piu' elevate ma
anche con la previsione del tetto massimo (immutabile e non  soggetto
a indicizzazioni o adeguamenti)  delle  retribuzioni  dei  funzionari
pubblici di cui agli articoli 23-ter decreto-legge n. 201/2011 e  13,
comma 1, decreto-legge n. 66/2014,  ritenuti  legittimi  dalla  Corte
costituzionale anche in ordine alla perpetuazione degli  effetti  nel
tempo (sent. n. 124/2017). 
    Nella odierna udienza di discussione le  parti  ricorrenti  hanno
insistito per la rimessione degli atti alla Corte costituzionale,  in
particolare sotto  il  profilo  della  violazione  del  principio  di
affidamento, richiamando alcuni orientamenti della Corte europea  dei
diritti dell'uomo (sentenza 8 ottobre 2013 Da Concecao Mateus  contro
Portogallo e Santos Januario contro  Portogallo)  e  depositando  una
nota dell'INPS avvalorante la  rilevante  e  perdurante  perdita  del
potere d'acquisto dei magistrati pensionati, atti su cui  l'INPS  non
si e' opposta. Le parti  ricorrenti  hanno  inoltre  insistito  sulle
ulteriori questioni  di  costituzionalita'  e  sull'accoglimento  del
ricorso, mentre il legale difensore  dell'INPS  si  e'  rimessa  alla
memoria chiedendo il rigetto del ricorso. Quindi la  causa  e'  stata
introitata per la decisione. 
 
                               Diritto 
 
    1. Il  giudizio  in  esame  ha  ad  oggetto  la  richiesta  della
rideterminazione   del   trattamento   pensionistico   avanzato   dai
ricorrenti senza le decurtazioni introdotte dalla  contrazione  della
rivalutazione automatica per il triennio  2019/2021  (art.  1,  comma
260, legge 30 dicembre 2018, n.  145)  e  dal  prelievo  sull'importo
annuale lordo, previsto per il quinquennio 2019/2023 (art.  1,  comma
261 legge 30 dicembre 2018, n. 145). Le parti ricorrenti  a  sostegno
delle pretese formulate hanno eccepito la violazione della  normativa
in quanto confliggente con molteplici disposizioni della Costituzione
ed in specie con gli articoli 2, 3, 23, 36, 38, 42, 53, 81, 97,  101,
104 e 117 ma anche con la Convenzione europea dei diritti  dell'uomo,
costituente violazione dell'art. 117 della Costituzione. 
    2. La Corte costituzionale ha emesso numerose pronunce aventi  ad
oggetto  gli  interventi  legislativi  di  compressione  dei  diritti
patrimoniali acquisiti dai percettori  di  trattamenti  pensionistici
nonche' di revisione del meccanismo di perequazione automatica  degli
stessi, introdotti dall'art. 34, comma 1, legge  n.  448/1998  ed  in
entrambe  le  materie  ha  affermato  che  la  discrezionalita'   del
legislatore  nell'adozione  di  misure  che  incidono   sui   diritti
previdenziali non preclude la necessita' di verificare,  per  ciascun
intervento, il rispetto dei fondamentali principi di  ragionevolezza,
adeguatezza ed affidamento. 
    In ordine al prelievo nella sentenza n. 173/2016 si  e'  statuito
che «in linea di  principio,  il  contributo  di  solidarieta'  sulle
pensioni puo' ritenersi  misura  consentita  al  legislatore  ove  la
stessa non ecceda i limiti entro i quali e' necessariamente costretta
in  forza  del   combinato   operare   dei   principi,   appunto   di
ragionevolezza, di affidamento e della tutela previdenziale (articoli
3 e 38 Cost.), il cui rispetto e' oggetto di uno scrutinio  «stretto»
di  costituzionalita',  che  impone  un   grado   di   ragionevolezza
complessiva ben piu' elevato di quello che,  di  norma,  e'  affidato
alla mancanza di arbitrarieta'».  In  riferimento  alla  perequazione
nella sentenza n. 250/2017 si e' affermato che  «la  discrezionalita'
spettante al legislatore  nella  scelta  dei  meccanismi  diretti  ad
assicurare nel  tempo  l'adeguatezza  dei  trattamenti  pensionistici
trova  pur  sempre  un  limite  nel  "criterio  di  ragionevolezza"».
Quest'ultimo,  «cosi'  come  delineato  dalla  giurisprudenza  citata
(della Corte costituzionale) in relazione ai principi contenuti negli
articoli 36, primo comma, e 38, secondo comma, Cost., circoscrive  la
discrezionalita' del legislatore e vincola le sue scelte all'adozione
di soluzioni coerenti  con  i  parametri  costituzionali»  (sent.  n.
70/2015).   Sicche'   «ne   consegue   che   la   sussistenza   della
discrezionalita'  legislativa...  non  esclude   la   necessita'   di
verificare nel merito le scelte di volta in volta operate  ...  quale
che  sia  il  contesto  giuridico  e  di  fatto  nel  quale  esse  si
inseriscono, contesto nel  quale  questa  Corte,  nel  compiere  tale
verifica, non potra', ovviamente non tenere conto». 
    3.1. Violazione degli articoli 3, 53 ed 81 della Costituzione. 
    Le parti ricorrenti osservano che la  misura  adottata  (art.  1,
commi da 261 a 268, legge n. 145/2018) e contestata in  questa  sede,
costituisce una  misura  economica  avente  natura  tributaria  e  di
imposta speciale, ritenuta la decurtazione patrimoniale priva  di  un
rapporto  sinallagmatico  tra  le  parti,  costituente  un   prelievo
coattivo collegato alla pubblica spesa ed inerente ad un  presupposto
economico  determinato  dall'indice  di  capacita'  contributiva  dei
soggetti interessati dalla censurata norma, ed  inoltre  non  ha  una
finalita' solidaristica o endoprevidenziale. 
    Sulla natura del  tributo  costante  giurisprudenza  della  Corte
costituzionale ha individuato lo stesso nel «prelievo coattivo che e'
finalizzato al concorso alle pubbliche spese ed e' posto a carico  di
un soggetto passivo in base ad  uno  specifico  indice  di  capacita'
contributiva» (ex  multis  sentenze  n.  102/2008,  n.  269/2017,  n.
250/2017, n. 173/2016, n. 70/2015 e n. 116/2013 e n. 223/2012). 
    Va ricordato sul tema  che  la  omologa  misura  (art.  1,  comma
486/2013)  e'  stata  ritenuta   dalla   Corte   costituzionale   non
sussumibile nella categoria del tributo «non essendo  acquisito  allo
Stato ne' destinato alla fiscalita'  generale,  ed  essendo,  invece,
prelevato in via diretta dall'INPS e dagli altri  enti  previdenziali
coinvolti, i quali - anziche'  versarli  all'Erario  in  qualita'  di
sostituti di imposta  -  lo  trattengono  all'interno  delle  proprie
gestioni,   con    specifiche    finalita'    solidaristiche    endo-
previdenziali, anche per quanto attiene ai trattamenti  dei  soggetti
cosiddetti "esodati"». 
    Analogamente la Consulta aveva ritenuto costituzionale l'art.  37
della legge 23  dicembre  1999,  n.  488  (legge  finanziaria  2000),
ritenuto non  in  conflitto  con  gli  articoli  3  e  53  in  quanto
finalizzato a realizzare «un  circuito  di  solidarieta'  interno  al
sistema  previdenziale»  (ordinanza  n.  22  del  2003),  e   neppure
contraria agli articoli 2, 36 e 38 Cost. (ordinanza n. 160 del 2007)»
Si e'  pertanto  assegnata  alla  detta  decurtazione  la  natura  di
«prelievo  inquadrabile  nel  genus  delle  prestazioni  patrimoniali
imposte per legge, di cui all'art. 23 Cost., avente la  finalita'  di
contribuire agli oneri del sistema previdenziale (sentenza n. 178 del
2000, ordinanza n. 22/2003). 
    Di converso nella norma censurata (art. 1, commi 261 e 265  della
legge  n.  145/2018)  non  appare  individuata  alcuna   destinazione
«vincolata»    delle    risorse    a     finalita'     solidaristiche
endo-previdenziali, atteso che la previsione sottrae  le  somme  alla
gestione  previdenziale  accantonandole  nel  «Fondo  risparmio   sui
trattamenti pensionistici», senza che il sistema previdenziale  possa
beneficiarne per l'attivita' degli  enti  previdenziali,  ed  essendo
pertanto la misura correlata ad  alcun  intento  solidaristico  vista
l'assenza di individuazione delle finalita' perseguite. Nella  specie
le somme restano semplicemente accantonate non potendo  disporne  gli
enti previdenziali per  un  tempo  indeterminato  ed  indeterminabile
nella propria gestione per fini solidaristici, vista l'assenza di una
indicazione legislativa  in  merito,  prevedendo  la  norma  in  modo
alquanto generico la previsione della Conferenza dei servizi  per  la
determinazione delle somme da destinare ad essi. 
    Pertanto l'effetto e'  contraddittorio  ed  illogico  perche'  si
comprimono i diritti patrimoniali dei  pensionati  interessati  dalla
norma senza che  il  sistema  previdenziale  possa  beneficiarne  per
predisporre  programmi  di  tutela  della  collettivita'.  La  misura
imposta non aggancia, in sostanza, le sue finalita' ad alcun  intento
solidaristico, ma e' prevista unicamente nel Dossier sulla  legge  di
Bilancio - Profili finanziari, redatto dal  Servizio  Bilancio  dello
Stato della Camera dei deputati del 23 dicembre 2018, che afferma che
le  risorse  saranno  destinate  all'INPS,   senza   addurre   alcuna
motivazione. 
    Vieppiu' il documento delle Camere redatto nel gennaio 2019  dopo
l'approvazione della legge di bilancio  (legge  n.  145/2018)  e  del
disegno di legge  collegato  in  materia  fiscale  (decreto-legge  n.
119/2018, conv. con legge n. 138/2018)  in  cui  sono  analizzati  la
composizione e gli  effetti  sui  saldi  di  finanza  pubblica  della
manovra di bilancio 2019/2021, la riduzione e  la  rimodulazione  dei
trattamenti pensionistici di maggior importo  vengono  indicati  come
meri interventi di riduzione  della  spesa,  senza  alcuna  specifica
finalizzazione istituzionale (e rappresentate come meri interventi di
riduzione della spesa), come ordinari strumenti di finanziamento  dei
livelli di spesa approvati (in termini Servizio Bilancio del Senato e
Servizio Bilancio dello della Camera Dossier Gennaio 2019  -  manovra
di bilancio  2019  -  2021  -  Effetti  sui  saldi  e  conto  risorse
impieghi). 
    Assume significato  anche  la  questione  che  la  incidenza  sul
trattamento pensionistico dei ricorrenti non e' stata giustificata da
una inderogabile esigenza di contenimento della spesa pubblica,  anzi
la manovra di bilancio per il 2019 (per il triennio sino al 2021)  e'
stata  connotata  da  un  carattere  «espansivo»  per   il   compatto
previdenziale (con ampliamento degli aventi diritto  al  collocamento
in quiescenza) a  fronte  dei  requisiti  previsti  dalla  legge  cd.
Fornero (trattamento di pensione anticipata cd. quota 1,00). 
    Appare evidente che in siffatto  contesto  non  si  configura  la
introduzione di norme introdotte in una situazione  emergenziale  cui
si fa fronte attraverso  uno  strumento  «straordinario»  di  ausilio
(Corte costituzionale n. 250/2017, n. 169 /2017 e n. 108/2018) bensi'
di mezzi di  copertura  aggiuntivi  delle  spese  pubbliche  mediante
imposizione con prelievo a carico di alcune categorie  di  pensionati
discriminati rispetto a soggetti non incisi a parita'  di  condizioni
reddituali ed al di fuori  di  un  quadro  complessivo  di  sacrifici
imposti, in violazione del principio di universalita' e del principio
di uguaglianza, atteso che l'art. 53  «non  consente  trattamenti  in
pejus di determinate categorie di  redditi  da  lavoro»:  cfr.  Corte
costituzionale n. 116/2013. 
    Il prelievo «selettivo» avente natura tributaria ed  avente  come
destinatari gli odierni ricorrenti  e  sussumibili  nella  fiscalita'
generale, deriva dall'arco temporale  efficace  per  la  decurtazione
pari a cinque anni, e quindi superiore allo  spazio  temporale  della
programmazione di bilancio di cui  agli  articoli  e  3  e  81  della
Costituzione ed in violazione dell'art. 21 della  legge  n.  196/2009
che si riferisce ad un arco temporale triennale a fronte della misura
ablativa quinquennale, con  effetti  sommatoci  ad  altre  misure  di
decurtazioni subite negli anni precedenti. 
    Sicche' un soggetto collocato in quiescenza nel 2014 si  trova  a
percepire in un decennio la pensione intera unicamente per il biennio
2017 e 2018 (considerati i quattro prelievi rubricati dal legislatore
come «contributo di solidarieta'», art. 3, legge n. 488/1989, art. 3,
comma 102, legge n. 350/2003, art. 18, comma 22-bis, decreto-legge n.
98/2011, art. 1, comma 486, legge n. 177/2013) manifestando  la  vera
natura dell'intervento di riduzione delle pensioni di importo elevato
di cui all'art. 1, commi da 261 a 268 della legge n. 145/2018  avente
natura  sostanzialmente  tributaria,  considerato  che  in   concreto
«determina una decurtazione patrimoniale arbitrariamente duratura del
trattamento pensionistico, con acquisizione al bilancio  statale  del
relativo gettito e costituisce un prelievo coattivo correlato ad  uno
specifico indice di capacita' contributiva , che esprime  l'idoneita'
del soggetto passivo  alla  obbligazione  tributaria.  Nei  descritti
termini esso si presenta confliggente con  i  principi  di  cui  agli
articoli 3 e 53 della Costituzione, gravando soltanto  su  specifiche
categorie di  pensionati  e  non  su  tutti  i  cittadini:  con  cio'
risultando ingiustificatamente discriminatorio e non  rispettoso  dei
canoni  fondamentali  di  uguaglianza  a  parita'  di  reddito  e  di
universalita'  dell'imposizione»:  in  siffatto  modo  Corte   conti,
Sezione  Giurisdizionale  per  il  Friuli-Venezia  Giulia  n.  6/2019
(ord.). 
    L'intervento selettivo a carico dei pensionati, vista  la  natura
di retribuzione differita del  trattamento  pensionistico,  determina
una grave violazione del principio di ragionevolezza che, secondo gli
orientamenti della giurisprudenza costituzionale determina  il  perno
introno al quale devono  ruotare  le  scelte  del  legislatore  nella
materia pensionistica, venendo  il  maggior  prelievo  a  gravare  su
redditi ormai consolidati nel loro ammontare, collegati soggetti  che
hanno esaurito la loro vita lavorativa, rispetto ai quali non risulta
piu' possibile neppure disegnare sul piano sinallagmatico il rapporto
di lavoro. 
    3.2. Violazione degli articoli 3, 23, 36 e 38 della Costituzione. 
    Ove non si ritenesse il prelievo de quo avente natura tributaria,
permarrebbero i dubbi di  costituzionalita'  della  detta  misura  ai
sensi dei criteri e principi elaborati dalla Corte costituzionale  in
occasione del giudizio  di  costituzionalita'  sul  contributo  posto
sulle pensioni piu' elevate dall'art. 1, comma  486  della  legge  n.
147/2013: a tale contributo la Consulta ha  assegnato  la  natura  di
prestazione patrimoniale imposta per legge,  ai  sensi  dell'art.  23
Costituzione. 
    Anche alla luce di tale processo interpretativo la disciplina non
puo' essere scrutinata  positivamente  visto  quanto  statuito  dalla
sentenza n. 173/2016 secondo cui «dal combinato operare dei principi,
appunto,  di  ragionevolezza,   di   affidamento   e   della   tutela
previdenziale  (articoli  3  e  38  Cost.)  il  rispetto  dei  canoni
costituzionali   e'   oggetto   di   uno   scrutinio   "stretto"   di
costituzionalita', che impone un grado di ragionevolezza  complessiva
ben piu' elevato di quello che, di norma, e' affidato  alla  mancanza
di arbitrarieta'». 
    Visto il parametro valutativo di «stretta  costituzionalita'»  si
individuano  le  condizioni  in  presenza   delle   quali   risultano
adeguatamente bilanciati «la garanzia del legittimo affidamento nella
sicurezza giuridica con altri valori costituzionalmente rilevanti»  e
che la Corte determina in siffatto modo: «in definitiva il contributo
di   solidarieta',   per   superare   lo   scrutinio   "stretto"   di
costituzionalita'  e  palesarsi   dunque   come   misura   improntata
effettivamente alla solidarieta' previdenziale  (articoli  2  e  38),
deve: operare all'interno del complessivo sistema  della  previdenza;
essere imposto dalla crisi contingente e grave del predetto  sistema:
incidere sulle pensioni  piu'  elevate  (in  rapporto  alle  pensioni
minime):  presentarsi  come  prelievo  sostenibile:   rispettare   il
principio di proporzionalita': essere comunque utilizzato come misura
una tantum». 
    I  parametri  indicati  dalla   Corte   costituzionale   appaiono
disattesi dalla legge n. 145/2018 (art. 1. commi  261  -  268)  sotto
molteplici profili. 
    In primo luogo non e' dato rinvenire nell'ordito normativo alcuna
condizione di eccezionalita'  e/o  di  specifica  crisi  del  sistema
previdenziale cui si debba far fronte con il prelievo de qua, anzi la
medesima decurtazione  e'  «organica»  ad  una  manovra  di  bilancio
complessivamente espansiva proprio nel settore previdenziale. 
    Non ricorrono, inoltre, i presupposti di una «solidarieta' forte»
e «mutualita' intergenerazionale» posta  a  fondamento  del  positivo
giudizio di ragionevolezza sull'intervento selettivo del legislatore,
ne' appare esistente una sicura destinazione intra-previdenziale  dei
risparmi attesi,  sussistendo  di  converso  una  serie  di  elementi
indicativi della destinazione di tali  risorse  (risparmi  di  spesa)
alla  ordinaria  copertura  delle  spese  previste  nella  legge   di
bilancio, diventando in siffatto modo strumento di «sistema». 
    D'altro canto si e' gia' richiamata nella presente  ordinanza  la
ripetitivita' delle scelte del legislatore di operare (al di la'  del
biennio di «intervallo» - 2017 - 20181 una  ritenuta  quinquennale  -
che «rischia» di essere definitiva  vista  la  condizione  anagrafica
della maggior parte dei  ricorrenti  -  sulle  pensioni  oggetto  del
giudizio, costituente non tanto prelievo una tantum -  come  invocato
dalla  Corte  costituzionale  -,  ma  come  ordinario  meccanismo  di
finanziamento del sistema previdenziale con  un  sacrificio  imposto,
anche sotto il profilo dell'affidamento, ad una ristretta cerchia dei
soggetti, sostitutivo di un intervento di una fiscalita' generale nei
confronti di tutti i cittadini in violazione degli articoli 3, 23, 36
e  38  della   Costituzione   (cfr.   anche   Corte   conti   Sezione
giurisdizionale Regione Lazio n. 308/2019 ord.). 
    Ne' l'ammontare elevato dei trattamenti oggetto di decurtazione e
l'articolazione del  contributo  secondo  diverse  aliquote  appaiono
idonee a configurare le condizioni stabilite dalla richiama  sentenza
della Corte costituzionale n. 173/2016. 
    4. Violazione degli articoli 3, 36 e 38 della Costituzione. 
    Anche l'intervento di revisione del meccanismo  di  rivalutazione
delle pensioni (art. 1, comma  260,  della  legge  n.  145/2018)  non
appare immune da censure di incostituzionalita'. 
    La  richiamata   norma   interviene   sul   sistema   della   cd.
indicizzazione delle pensioni, rimodulando i limiti  di  perequazione
gia' introdotti dall' art. 1, comma  483,  della  legge  n.  147/2013
(legge di stabilita' 2014) per il triennio 2014 - 2016, ed in seguito
estesi anche al 2017 e 2018 dall'art. 1, comma 286,  della  legge  n.
208/2015. La vigente disciplina riconosce la perequazione sulla  base
di aliquote decrescenti, relative  ai  trattamenti  pensionistici  di
importo complessivo fino a nove volte  il  trattamento  minimo  INPS,
mentre   la   disciplina   previgente   considerava   i   trattamenti
pensionistici con importo complessivo sino a sei volte il trattamento
minimo. 
    Tale intervento si inserisce in un trend  di  provvedimenti  che,
nell'ottica di una medesima ratio  ispiratrice,  ha  depotenziato  (e
talora  del  tutto   escluso)   la   perequazione   dei   trattamenti
pensionistici di maggior importo a decorrere dall'anno 2012. 
    Il dossier  parlamentare  del  dicembre  2018  ha  richiamato  la
legislazione susseguitasi in materia: l'art. 34, comma 1, della legge
n. 448/1998 costituente la  norma  fondante  della  perequazione  dei
trattamenti  pensionistici,  l'art.  69,  comma  l,  della  legge  n.
388/2000, che prevede una prima distribuzione del meccanismo  secondo
«fasce» reddituali, il «blocco» biennale previsto  per  il  2012/2013
previsto nella cd. legge Fornero (art. 24, comma 25 del decreto-legge
n.  201/2011,  abrogativo  del  precedente  art.  18,  comma  3,  del
decreto-legge   n.   98/2011)    poi    scrutinato    e    dichiarato
incostituzionale  dalla  Corte  costituzionale  con  la  sentenza  n.
70/2015, ed in seguito riproposto con  il  decreto-legge  n.  65/2015
(confermativa  in  sostanza  del  blocco  biennale  sui   trattamenti
superiori a sei volte il minimo  INPS),  sino  alla  rideterminazione
introdotta con l'art. 1, comma 483 della legge n. 147/2013 (protratta
anche per il 2017/2018). 
    In ordine alla revisione /rimodulazione  e  relativo  blocco  del
sistema perequativo a decorrere dal 2012  e  sulla  costituzionalita'
della   modulazione    della    perequazione,    la    giurisprudenza
costituzionale  ha  avuto  modo  di   pronunciarsi   affermando   che
«dall'analisi  dell'evoluzione  normativa  in  subiecta  materia,  si
evince che la perequazione automatica dei  trattamenti  pensionistici
e' uno strumento di natura tecnica, volto a garantire  nel  tempo  il
rispetto del criterio di adeguatezza  di  cui  all'art.  38,  secondo
comma, Cost. Tale strumento si presta contestualmente a innervare  il
principio di sufficienza della retribuzione di cui all'art. 36 Cost.,
principio applicato, per costante giurisprudenza di questa Corte,  ai
trattamenti di quiescenza, intesi quale retribuzione  differita  (fra
le altre, sentenza n. 208 del 2014 e sentenza n. 116 del  2013).  Per
le sue caratteristiche di neutralita' e obiettivita'  e  per  la  sua
strumentalita'  rispetto   all'attuazione   dei   suddetti   principi
costituzionali,  la  tecnica  della  perequazione  si  impone,  senza
predefinirne le modalita', sulle scelte discrezionali del legislatore
cui spetta di intervenire per determinare in concreto il  quantum  di
tutela  di  volta  in  volta  necessario.  Un  tale  intervento  deve
ispirarsi ai principi costituzionali di cui agli articoli  36,  primo
comma,  e   38,   secondo   comma,   Cost.,   principi   strettamente
interconnessi, proprio in ragione delle finalita' che perseguono.  La
ragionevolezza di tali finalita' consente di predisporre e perseguire
un progetto di eguaglianza sostanziale, conforme al dettato dell'art.
3, secondo comma. Cost. cosi' da evitare disparita' di trattamento in
danno dei destinatari dei trattamenti pensionistici (cfr. sentenza n.
70/2015)». 
    Il dictum della  Corte  costituzionale  evidenzia  che  anche  lo
scrutinio   di   ragionevolezza   delle   misure   di    contenimento
dell'indicizzazione  delle  pensioni  si  esprima   sul   piano   del
bilanciamento tra valori costituzionali, e  nella  finalita'  secondo
cui i canoni di proporzionalita' ed adeguatezza delle retribuzioni  e
delle  pensioni  «non  devono  sussistere  soltanto  al  momento  del
collocamento a riposo, ma vanno costantemente  assicurate  anche  nel
prosieguo, in relazione ai  mutamenti  del  potere  d'acquisto  della
moneta,  senza  che  cio'   comporti   un'automatica   ed   integrale
coincidenza tra il livello delle pensioni  e  l'ultima  retribuzione,
poiche' e' riservata al legislatore una sfera di discrezionalita' per
l'attuazione,  anche   graduale,   dei   termini   suddetti»:   Corte
costituzionale n. 70/2015. 
    Occorre  considerare,  inoltre,  che  ogni  blocco  o   riduzione
dell'adeguamento delle pensioni determina una perdita del  potere  di
acquisto  non  piu'  recuperabile  e   sostanzialmente   definito   e
strutturale, atteso che le successive rivalutazioni saranno calcolate
non sul valore reale originario,  ma  sull'ultimo  importo  nominale,
eroso dal mancato adeguamento. 
    In  tali  termini  la  Corte  costituzionale  ha  rimarcato,  nel
giudizio delle scelte del legislatore, la sussistenza di obiettive  e
specifiche  esigenze  di  finanza  pubblica,  al  fine  di  giudicare
ragionevole, o meno, la prevalenza di queste sui diritti dei soggetti
che hanno subito decurtazioni, nell'ambito dei principi di  cui  agli
articoli 3, 36 e 38 della Costituzione. 
    Su tale profilo  la  sentenza  n.  250/2017  ha  riconosciuto  la
legittimita'  costituzionale  della  riduzione   della   perequazione
introdotta con l'art. 24, commi 25 e  25-bis,  del  decreto-legge  n.
201/2011 (convertito, con modificazioni,  dalla  legge  n.  214/2011)
come  sostituito  (il  comma  25)  e  inserito  (il   comma   25-bis)
rispettivamente, dai numeri 1) e 2)  del  comma  1  dell'art.  1  del
decreto-legge n. 65/2015 (convertito, con modificazioni, dalla  legge
n. 109/2015 rilevando che  le  norme  esaminate  fossero  relative  a
puntuali  ragioni   giustificative,   debitamente   evidenziate   nei
documenti bilancio. La  Corte  ha  osservato  che  «nel  valutare  la
compatibilita' delle misure  di  adeguamento  delle  pensioni  con  i
vincoli posti dalla finanza pubblica, questa Corte ha  sostenuto  che
manovre correttive attuate dal Parlamento ben  possono  escludere  da
tale adeguamento le pensioni  "di  importo  piu'  elevato"  (ord.  n.
256/200.1). Nel replicare, in piu' occasioni, una  tale  scelta,  che
privilegia  i  trattamenti  pensionistici  di  modesto  importo,   il
legislatore soddisfa un canone  di  non  irragionevolezza  che  trova
riscontro nei  maggiori  margini  di  resistenza  delle  pensioni  di
importo piu' alto rispetto agli effetti dell'inflazione». 
    Le  indicate  interpretazioni  rese  dalla  Corte  costituzionale
consentono di affermare che l'intervento normativa sulla perequazione
censurato in questa sede evidenzia  due  profili  di  criticita'.  In
primo  luogo  non  e'  giustificato   da   specifiche   esigenze   di
contenimento della spesa pubblica, ma e'  compreso  tra  i  mezzi  di
copertura delle spese approvate  con  la  manovra  di  bilancio,  non
essendo  specifico  il  vincolo  teleologico  che  dovrebbe   fondare
l'ammissibilita' di un bilanciamento  dei  valori  costituzionali  di
proporzionalita' ed adeguatezza in senso «sfavorevole» ai  percettori
dei trattamenti pensionistici piu' elevati. Altro aspetto attiene  al
consolidamento  temporale  (dieci   anni   consecutivi)   del   minor
adeguamento del potere d'acquisto delle pensioni colpite (dal 2012 al
2021) che, articolato  in  dieci  anni,  non  appare  ascrivibile  al
criterio della transitorieta', ed in cui molto  rilevante  appare  il
cd. effetto di trascinamento e la  definitivita'  della  decurtazione
derivante   dalla   mancata/   limitata   perequazione,   soprattutto
considerando  gli  effetti  addizionali  derivanti  dalla   riduzione
dell'importo del trattamento annuo in sei dei dieci anni  considerati
(dal 2014 al 2016 e dal 2019 al 2021). 
    Ne deriva  la  dubbia  legittimita'  costituzionale  della  norma
esaminata  -  per  violazione  degli  articoli  3,  36  e  38   della
Costituzione - in ordine al profilo non  transitorio  dell'intervento
di graduazione del meccanismo perequativo e della carenza di adeguate
e  motivate  ragioni  di  finanza  pubblica  giustificanti   la   sua
introduzione. La  ritenuta  insussistenza  di  elementi  qualificanti
permette di affermare che la disciplina  introdotta  dal  legislatore
non  e'  ragionevole,  in  quanto  confliggente  con  i   canoni   di
proporzionalita' ed adeguatezza delle pensioni, posti a  salvaguardia
delle  pensioni  nel  corso  del  tempo  (seppure  non  nella  misura
corrispondente) al variare delle dinamiche retributive. 
    Ne' tale mancanza genetica e funzionale appare  compensabile  dal
dato della progressivita' della  minore  indicizzazione,  in  assenza
delle   condizioni   di   ammissibilita'   previste    dalla    Corte
costituzionale  (sent.  n.  70/2015):   «la   sospensione   a   tempo
indeterminato  del  meccanismo  perequativo,  ovvero   la   frequente
reiterazione di misure tese a paralizzarlo esporrebbero il sistema ad
evidenti tensioni con gli invalicabili principi di  ragionevolezza  e
proporzionalita',  poiche'  risulterebbe  incrinata   la   principale
finalita' di tutela, insita nel meccanismo della perequazione, quella
che  prevede  una  difesa  modulare  del  potere  d'  acquisto  delle
pensioni». 
    5. Violazione degli articoli 3, 42 e 117 della Costituzione. 
    La suddette considerazioni  permettono  di  ritenere  violato  il
principio di affidamento, in specie con  il  «taglio»  imposto  dalla
legge n. 145/2018  ai  trattamenti  pensionistici  modificandoli,  in
peius, su rapporti di durata sorti prima della sua entrata in vigore. 
    Il Giudice delle leggi ha affermato (sent. n.  103/2013)  che  il
divieto di retroattivita' della legge, previsto  dall'art.  11  delle
Preleggi costituisce «valore fondamentale di civilta' giuridica»  che
si declina nell'ambito penale come divieto di retroattivita' in malam
partem che non subisce alcuna deroga, ai  sensi  dell'art.  25  della
Costituzione (cfr. ex plurimis Corte costituzionale n. 236/2011 e  n.
78/2012), mentre in ambito extrapenale il legislatore  puo'  adottare
norme retroattive ma solo «purche' la retroattivita'  trovi  adeguata
giustificazione nell'esigenza di tutelare principi, diritti e beni di
rilievo  costituzionale,   che   costituiscono   altrettanto   motivi
imperativi di interesse generale, ai sensi della Convenzione  europea
dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (CEDU). 
    Sulla specifica questione  la  giurisprudenza  costituzionale  ha
elaborato «una serie di limiti  generali  sull'efficacia  retroattiva
delle leggi, attinenti alla  salvaguardia,  oltre  che  dei  principi
costituzionali, di altri fondamentali valori di  civilta'  giuridica,
posti  a  tutela  dei  destinatari  della  norma   e   dello   stesso
ordinamento»: 
        «il rispetto del principio generale di ragionevolezza, che si
riflette nel  divieto  di  introdurre  ingiustificate  disparita'  di
trattamento»; 
        «la tutela dell'affidamento legittimamente sorto nei soggetti
quale principio connaturato allo Stato di diritto»; 
        «la coerenza e la certezza dell'ordinamento giuridico»; 
        «il rispetto delle funzioni costituzionalmente  riservate  al
potere giudiziario» (sentenze n. 209/2010 e n. 103/2013). 
        Con recente decisione n. 108/2019 la Corte costituzionale  ha
affermato che «il divieto di irretroattivita' della legge costituisce
principio fondamentale di civilta' giuridica e  il  legislatore  puo'
approvare  disposizioni  con  efficacia   retroattiva,   purche'   la
retroattivita'  trovi  adeguata  giustificazione   nell'esigenza   di
tutelare principi, diritti  e  beni  di  rilievo  costituzionale  (ex
plurimis   sentenza   n.   170/2013)   una   legge   che   intervenga
retroattivamente a ridurre attribuzioni  di  natura  patrimoniale  va
sottoposta a  stretto  scrutinio  di  ragionevolezza».  La  Corte  ha
inoltre  affermato  che  «tra  i   limiti   che   la   giurisprudenza
costituzionale ha individuato all'ammissibilita' di leggi con effetto
retroattivo, rileva particolarmente...  l'affidamento  legittimamente
sorto  nei  soggetti  interessati  alla  stabile  applicazione  della
disciplina   modificata»,    affidamento    che    trova    copertura
costituzionale nell'art. 3 della Costituzione, e' ritenuto  principio
connaturato allo Stato di diritto (cfr. sentenze n. 73 del  2017,  n.
170 e 160 del  2013,  n.  78  del  2012  e  n.  209/2010)  ed  e'  da
considerarsi ricaduta e declinazione "soggettiva" dell'indispensabile
carattere  di   coerenza   di   un   ordinamento   giuridico,   quale
manifestazione del valore della certezza di diritto»... 
    L'aspettativa  radicata  e  qualificata,  pur  non  impedendo  al
legislatore di modificare in peius  la  disciplina  dei  rapporti  di
durata, tuttavia non prevede che le disposizioni retroattive «possano
trasmodare in un regolamento irrazionale ed arbitrariamente  incidere
sulle situazioni sostanziali poste in  essere  da  leggi  precedenti,
frustrando cosi' anche l'affidamento del  cittadino  nella  sicurezza
pubblica che  costituisce  elemento  fondamentale  ed  indispensabile
dello stato di diritto» (sent. n. 36/1985). In ordine all'affidamento
meritevole di tutela in quanto qualificato nella  sua  stabilita'  la
sentenza n. 89/2018 lo ha  disegnato  come  «il  consolidamento,  nel
tempo, della  situazione  normativa  che  ha  generato  la  posizione
giuridica incisa dal nuovo assetto regolatorio, sia perche' protratta
per un periodo sufficientemente lungo, sia per  essere  sorta  in  un
contesto giuridico sostanziale atto a far  sorgere  nel  destinatario
una ragionevole fiducia nel suo mantenimento» (sent. n. 56/2015). 
    Il principio era stato gia' oggetto di applicazione con  sentenza
n.  822  del  1988  secondo  cui  «non  puo'  dirsi  consentita   una
modificazione legislativa che, intervenendo o in  una  fase  avanzata
del rapporto di lavoro oppure quando gia' sia subentrato lo stato  di
quiescenza, peggiorasse, senza una inderogabile esigenza,  in  misura
notevole ed in maniera definitiva, un  trattamento  pensionistico  in
precedenza spettante, con la conseguente irrimediabile  vanificazione
delle aspettative legittimamente nutrite dal lavoratore per il  tempo
successivo alla cessazione della propria attivita' lavorativa». 
    Ribadendo il principio  stabilito  la  Corte  costituzionale  (n.
208/2014) ha affermato che «il diritto alla pensione costituisce  una
situazione  soggettiva  di  natura  patrimoniale,   imprescrittibile,
assistita da speciali garanzie di certezza  e  stabilita'  e  da  una
particolare tutela da parte dell'ordinamento (sentenza n.  116/2013),
anche in ragione della condizione oggettiva di debolezza  in  cui  il
titolare viene a trovarsi, dia nell'ambito del rapporto  obbligatorio
che si instaura con  l'amministrazione  sia  nella  particolare  fase
della  vita  in  cui  l'uscita  dall'attivita'  lavorativa  e  l'eta'
comportano un difficile adattamento al nuovo stato». 
    La peculiare situazione giuridica consolidata di cui  titolari  i
ricorrenti puo' essere compressa, secondo  la  Corte  costituzionale,
unicamente (sent.  n.  203/2016),  tra  l'altro,  per:  a)  interessi
pubblici  sopravvenuti;  b)  con   un   intervento   innovativo,   ma
prevedibile. 
    In ordine al primo aspetto la sentenza n. 108/2019  ha  affermato
che «nel solco di una giurisprudenza della Corte europea dei  diritti
dell' uomo che non considera il mero interesse  finanziario  pubblico
ragione di per se' sufficiente a giustificare interventi  retroattivi
(sentenze 7 giugno 2011, Agrati contro Italia; 25 novembre 2010 Lilly
France contro Francia...), questa Corte ha  gia'  affermato  che  una
disciplina retroattiva non puo'  tradire  l'affidamento  del  privato
specie se maturato con il consolidamento di  situazioni  sostanziali,
pur se l'intervento  retroattivo  sia  dettato  dalla  necessita'  di
contenere la spesa pubblica o di far fronte ad esigenze  eccezionali»
( sentenza n. 216 del 2015 e n.  170  del  2013).  In  tal  senso  il
principio di affidamento, riconosciuto dalla Convenzione europea  dei
diritti  dell'uomo  art.  6  della   Convenzione   europea   per   la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta'  fondamentali  ed
art. 1 Protocollo n. 1 allegato alla Convenzione, comporta che la sua
violazione determina anche la  violazione  dell'art.  117,  comma  1,
Cost., che vincola la legge italiana  ad  osservare  la  Convenzione,
elevando non un adattamento dell' ordinamento interno all'ordinamento
pattizio ma a parametro di legittimita'  costituzionale  il  rispetto
dei vincoli derivanti dagli obblighi internazionali  contenuti  nelle
leggi di esecuzione. 
    In materia la Corte costituzionale ha  statuito  in  materia  (n.
109/2017) che «nell'attivita' interpretativa che gli spetta ai  sensi
dell'art. 101, secondo comma, Cost., il giudice comune ha  il  dovere
di evitare violazioni della Convenzione europea e  di  applicarne  le
disposizioni, sulla base dei principi di diritto espressi dalla Corte
europea  dei  diritti  dell'uomo,   specie   quando   il   caso   sia
riconducibile a precedenti di questa ultimo (sentenza n. 68 del  2017
n. 276 e n. 36 del 2016). In tale attivita' egli incontra,  tuttavia,
il limite costituito dalla presenza di una  legislazione  interna  di
contenuto contrario alla Convenzione europea per la salvaguardia  dei
diritti dell'uomo e delle  liberta'  fondamentali:  in  un  caso  del
genere - verificata  l'impraticabilita'  di  una  interpretazione  in
senso convenzionalmente conforme, non potendo disapplicare  la  norma
interna, ne' farne applicazione, avendola ritenuta in  contrasto  con
la Convenzione e, pertanto, con la Costituzione, alla luce di  quanto
disposto dall'art. 117, primo comma Cost. - deve sollevare  questione
di legittimita' costituzionale della norma interna, per violazione di
tale parametro costituzionale (ex plurimis sentenze n.  150/2015,  n.
264/2012, n. 113/2011, n. 93/2010, n. 311 e n. 239 del 2009)». 
    Non appare sussistere  nella  specie  neppure  la  prevedibilita'
dell'evento considerato che i pensionati odierni  ricorrenti  avevano
sopportato altri sacrifici, e non  era  prevedibile  una  sostanziale
«stabilizzazione   delle   compressioni»,   rendendo    imprevedibile
l'ipotesi di un nuovo taglio che aveva ad oggetto somme astrattamente
gia' nella disponibilita' dei ricorrenti, violando in  siffatto  modo
anche l'art. 42 della Costituzione determinando una  misura  ablativa
della proprieta' privata,  e  colpendo  una  specifica  categoria  di
soggetti, senza che sia stato svolto alcun giudizio di  bilanciamento
tra gli interessi coinvolti. pur  essendo  chiara  la  giurisprudenza
costituzionale in  materia  (sent.  n.  7012015,  n.  116/2013  e  n.
223/2012). 
    6. Per quanto sopra esposto, visti l'art. 134 Cost. e la legge 11
marzo 1953, n. 87, art. 23, dichiara rilevanti e  non  manifestamente
infondate le questioni di legittimita' costituzionale: 
        dell'art. 1, comma 260, della legge 30 dicembre 2018, n.  145
avente ad oggetto «Bilancio di  previsione  dello  Stato  per  l'anno
finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019 -  2021»
per contrasto con gli articoli 3, 23, 36 e 38 della Costituzione,  in
ordine  all'intervento   di   riduzione   per   un   triennio   della
rivalutazione automatica delle pensioni di elevato importo; 
        dell'art. 1, commi da 261 a 268 della legge 30 dicembre 2018,
n. 145 avente ad oggetto «Bilancio  di  previsione  dello  Stato  per
l'anno finanziario  2019  e  bilancio  pluriennale  per  il  triennio
2019-2021» per contrasto con gli articoli 3, 23, 36, 38, 42, 53 e  81
nonche'  dell'art.  117,  primo  comma  della  Costituzione  rispetto
all'art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei  diritti
dell'uomo e delle liberta'  fondamentali  (CEDU)  e  all'art.  1  del
Protocollo addizionale di  detta  Convezione  firmata  a  Roma  il  4
novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4  agosto  1955,
n. 848  in  quanto  norme  interposte  in  ordine  all'intervento  di
decurtazione percentuale  per  un  quinquennio  dell'ammontare  lordo
annuo dei medesimi trattamenti. 
    Si dispone,  in  conseguenza,  la  sospensione  del  giudizio  in
epigrafe, ordinando l'immediata trasmissione degli  atti  alla  Corte
costituzionale e gli adempimenti a cura della cancelleria di  cui  al
dispositivo. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Visti l'art. 134 della Costituzione e la legge 11 marzo 1953,  n.
87,  art.  23,  questo  giudice  unico  dichiara  rilevanti   e   non
manifestamente infondate le questioni di legittimita' costituzionale: 
        dell'art. 1, comma 260, della legge 30 dicembre 2018, n.  145
avente ad oggetto «Bilancio di  previsione  dello  Stato  per  l'anno
finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019 - 2021»,
per contrasto con gli articoli 3, 36  e  38  della  Costituzione,  in
ordine  all'intervento   di   riduzione   per   un   triennio   della
rivalutazione automatica delle pensioni di elevato importo; 
        dell'art. 1, commi da 261 a  268,  della  legge  30  dicembre
2018, n. 145, avente ad oggetto «Bilancio di previsione  dello  Stato
per anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019
- 2021» per contrasto con gli articoli 3, 23,  36,  38,  42,  53,  81
nonche'  dell'art.  117,  primo  comma  della  Costituzione  rispetto
all'art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei  diritti
dell'uomo e delle liberta'  fondamentali  (CEDU)  e  all'art.  1  del
Protocollo addizionale di  detta  Convezione  firmata  a  Roma  il  4
novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4  agosto  1955,
n. 848  in  quanto  norme  interposte  in  ordine  all'intervento  di
decurtazione percentuale  per  un  quinquennio  dell'ammontare  lordo
annuo dei medesimi trattamenti. 
    Sospende il giudizio in corso e dispone l'immediata  trasmissione
degli atti alla Corte costituzionale. 
    Dispone, altresi', che  a  cura  della  cancelleria  la  presente
ordinanza sia notificata alle parti del giudizio di  legittimita'  ed
al  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  e  sia  comunicata  ai
Presidenti delle due Camere del Parlamento. 
    Cosi' deciso in Firenze, nella pubblica  udienza  del  giorno  17
dicembre 2019. 
 
                Il Giudice unico delle pensioni: Bax