N. 114 ORDINANZA (Atto di promovimento) 2 marzo 2020
Ordinanza del 2 marzo 2020 del Tribunale amministrativo regionale per il Friuli-Venezia Giulia sul ricorso proposto da C.G. c/Ministero dell'interno e altri. Impiego pubblico - Ordinamento del personale della Polizia di Stato - Dimissioni dai corsi - Prevista espulsione dal corso degli allievi e degli agenti in prova responsabili di mancanze punibili con sanzioni disciplinari piu' gravi della deplorazione. - Decreto del Presidente della Repubblica 24 aprile 1982, n. 335 (Ordinamento del personale della Polizia di Stato che espleta funzioni di polizia), art. 6-ter, comma 3.(GU n.38 del 16-9-2020 )
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL FRIULI-VENEZIA GIULIA (Sezione Prima) Ha pronunciato la presente ordinanza sul ricorso numero di registro generale 36 del 2020, proposto da G. C., rappresentato e difeso dagli avvocati Massimo Romano, Danilo Leva, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Contro Ministero dell'interno, Ministero interno - Dip. P. S. Polizia di Stato, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura distrettuale Trieste, domiciliataria ex lege in Trieste, piazza Dalmazia, 3; Ministero dell'interno, Dipartimento della Pubblica Sicurezza, Polizia di Stato, Scuola allievi Agenti di Trieste non costituiti in giudizio; Per l'annullamento, previa sospensione dell'efficacia: del decreto del Capo della Polizia, direttore generale della Pubblica Sicurezza del Dipartimento della Pubblica Sicurezza del Ministero dell'interno n. 333 - D/98.03.A.A.206° del 18 ottobre 2019, di espulsione del ricorrente dal 206° corso di formazione per Allievi Agenti della Polizia di Stato e cessazione dal servizio nell'Amministrazione della Pubblica Sicurezza a decorrere dalla data di notificazione del provvedimento, avvenuta il 23 ottobre 2019 (doc. 2); del provvedimento del direttore della Scuola allievi Agenti della Polizia di Stato di Trieste prot. 8544 del 10 ottobre 2019, di sospensione del giudizio di idoneita' al servizio di polizia del ricorrente, frequentatore del 206° corso di formazione, notificato in data 23 ottobre 2019 (doc. 3); nonche' di tutti gli atti presupposti, consequenziali e/o connessi, quali: la nota a firma direttore della Scuola Allievi Agenti della Polizia di Stato di Trieste prot. 8140 del 25 settembre 2019, concernente la proposta di espulsione del ricorrente dal 206° corso di formazione (doc. 4). il decreto del Presidente della Repubblica 25 ottobre 1981, n. 737, art. 6, punto 8; il decreto del Presidente della Repubblica 24 aprile 1982, n. 335, art. 6-ter, comma 3. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti tutti gli atti della causa; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell'interno e di Ministero interno - Dip. P. S. Polizia di Stato; Visto l'art. 23 della legge n. 87/1953; Vista l'ordinanza cautelare di questo Tribunale, n. 12 del 2020 del 29 febbraio 2020; Relatore nella Camera di consiglio del giorno 26 febbraio 2020 il dott. Luca Emanuele Ricci e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; La vicenda Il ricorrente impugna, con contestuale richiesta di misura cautelare, il decreto del Capo della Polizia (N... del ...) che ha disposto la sua espulsione dal 206° Corso per allievi agenti della Polizia di Stato e la cessazione dal servizio nell'Amministrazione, nonche' il provvedimento del direttore della Scuola allievi agenti della Polizia di Stato di Trieste (prot. del... ) che, nelle more dell'emanazione del primo, aveva sospeso il giudizio di idoneita' al sevizio. L'espulsione e' stata irrogata su proposta dello stesso direttore della Scuola, in applicazione del combinato disposto dell'art. 6-ter, commi 3 e 5 del decreto del Presidente della Repubblica n. 335/1982 - per cui «sono espulsi dal corso gli allievi e gli agenti in prova responsabili di mancanze punibili con sanzioni disciplinari piu' gravi della deplorazione», «la dimissione dal corso comporta la cessazione di ogni rapporto con l'amministrazione» - e dell'art. 6 comma 4, n. 8 del decreto del Presidente della Repubblica n. 737/1981 - che punisce con la sanzione della sospensione dal servizio la condotta di «uso non terapeutico di sostanze stupefacenti o psicotrope risultante da referto medico legale». Dagli accertamenti medico-legali disposti in occasione di un sinistro stradale, infatti, e' risultato che il ricorrente ha fatto uso di sostanza stupefacente del tipo cannabis, come dimostrato dal rinvenimento nelle urine dei relativi metaboliti. La circostanza emerge, inoltre, dalle dichiarazioni spontanee del medesimo, che ha confessato di aver fatto uso della sostanza, benche' alcuni giorni prima del sinistro. Tali dichiarazioni sono state rilasciate in data 22 agosto 2019 agli agenti recatisi presso l'ospedale in cui il ricorrente era ricoverato e dagli stessi agenti riportate nella relazione di servizio del 30 agosto 2019. Il ricorrente contesta, in primo luogo, la veridicita' dei fatti posti a fondamento degli atti impugnati, negando sia l'autenticita' della dichiarazione confessoria - la cui verbalizzazione e' avvenuta non nell'immediatezza dei fatti, ma ben 8 giorni dopo - che l'attendibilita' scientifica delle analisi effettuate. Deduce il generale difetto di contraddittorio nell'iter di irrogazione della sanzione e la sua insufficiente motivazione, anche in relazione alla particolare gravita' degli effetti. Lamenta, in particolare, il difetto di ragionevolezza e proporzionalita' del provvedimento assunto dall'Amministrazione. Le tracce di cannabis rinvenute sarebbero infatti indice di un uso della sostanza del tutto isolato e collocato nella pausa estiva delle attivita' didattiche, comportamento che non sarebbe quindi meritevole di una sanzione definitivamente preclusiva di ogni possibilita' di carriera nell'Amministrazione di Polizia. Valorizza, quindi, un'interpretazione della disposizione che tenga conto della gravita' in concreto della condotta, in particolare attribuendo all'espressione «uso non terapeutico di sostanze stupefacenti» di cui all'art. 6 comma 4, n. 8 del decreto del Presidente della Repubblica n. 737/1981 un significato tale da escludere il mero consumo una tantum. L'Amministrazione replica evidenziando la natura strettamente vincolata del provvedimento, giacche' l'espulsione dell'allievo agente e' prevista dall'art. 6-ter del decreto del Presidente della Repubblica n. 335/1982 come indefettibile conseguenza di comportamenti punibili - secondo il codice disciplinare applicabile agli agenti di ruolo - con una sanzione superiore alla deplorazione, non essendo peraltro necessario che la stessa sia effettivamente irrogata. La natio legislativa risiederebbe nel giudizio prognostico negativo circa l'affidabilita' nel corretto svolgimento delle funzioni, che puo' ragionevolmente effettuarsi nei confronti di chi si renda responsabile, in questa fase formativa e di addestramento, di violazioni disciplinari aventi particolare gravita'. In sede cautelare, la domanda ex art. 55 c.p.a. e' stata respinta (con l'ordinanza di questo Tribunale n. 12 del 29 febbraio 2020), per insufficiente specificazione dei profili di periculum in mora e per non essere stata dimostrata l'utilita' concreta del provvedimento interinale domandato, con contestuale rinvio a separato provvedimento per rimettere d'ufficio alla Corte costituzionale, ai sensi dell'art. 23 della legge n. 87/1953, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 6-ter comma 3 del decreto del Presidente della Repubblica n. 335/1982. I termini della questione di costituzionalita' Il Tribunale conviene con l'interpretazione della disposizione fatta propria dalla difesa erariale e riconosce la natura vincolata del provvedimento espulsivo. Ritiene pero' che l'art. 6-ter comma 3 del decreto del Presidente della Repubblica n. 335/1982 - per cui «sono espulsi dal corso gli allievi e gli agenti in prova responsabili di mancanze punibili con sanzioni disciplinari piu' gravi della deplorazione» - sia costituzionalmente illegittimo, nella parte in cui non prevede che la sanzione venga irrogata solo a seguito di un accertamento in contraddittorio con l'interessato della violazione e non consente di valutarne la gravita' in concreto, ne' di commisurare a questa la misura della sanzione. Per le suddette ragioni, la norma violerebbe il principio costituzionale di ragionevolezza (art. 3 Cost.), sotto il profilo della rigida automaticita' del meccanismo espulsivo vigente per gli allievi agenti e per gli agenti in prova (ragionevolezza intrinseca) e della radicale diversita' di regime rispetto agli agenti in servizio effettivo (disparita' di trattamento), nonche' quello del c.d. «giusto procedimento» (art. 97 Cost.), alla luce dell'assenza di qualsiasi forma di partecipazione dell'interessato nell'iter di irrogazione della sanzione e della compromissione che ne deriva al suo diritto di difesa (art. 24 Cost.). I requisiti: a) La rilevanza Sussiste il requisito della rilevanza, giacche' il giudizio non puo' essere definito «indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimita'» (art. 23, comma 2, legge n. 87/1953). L'art. 6-ter comma 3 del decreto del Presidente della Repubblica n. 335/1982 e' infatti la disposizione applicatile alla fattispecie in esame, in quanto, riferendosi alle mancanze punibili con sanzioni disciplinari piu' gravi della deplorazione», abbraccia il comportamento posto in essere dal ricorrente del giudizio a quo, cioe' l'uso non terapeutico di sostanza stupefacente di tipo cannabis. La disposizione contestata, infatti, rinvia indirettamente all'art. 6 comma 4 del decreto del Presidente della Repubblica n. 737/1981, ove sono elencate le infrazioni per cui puo' essere inflitta la sanzione della sospensione, tra le quali (al numero 8) la condotta sopra menzionata. E' opportuno, infine, precisare che la sospensione dal servizio - come risulta dall'elenco, in ordine di importanza, delle sanzioni disciplinari per il personale dell'Amministrazione di pubblica sicurezza contenuto nell'art. 1 del decreto del Presidente della Repubblica n. 737/1981 - e' considerata dall'ordinamento dell'Amministrazione di Polizia una sanzione disciplinare piu' grave della deplorazione. Ad ulteriore conferma della necessaria applicabilita' della disposizione qui contestata, si evidenzia che la stessa viene citata negli atti impugnati - in particolare nel decreto di espulsione del Capo della Polizia (pag. 2 «Ritenuto che sussistono i presupposti richiesti dall'art. 6-ter, comma 3 del citato decreto del Presidente della Repubblica 335/1982, e successive modificazioni») e nella relativa proposta del sirettore della scuola (pag. 3 «Alla luce di quanto riportato, si ritengono soddisfatte le condizioni previste dal sopra citato art. 6-ter del decreto del Presidente della Repubblica n. 335/1982 ...») - come presupposto giuridico della sanzione irrogata al ricorrente. La legittimita' dell'azione amministrativa nel giudizio a quo deve essere dunque necessariamente vagliata da questo Tribunale alla luce dell'art. 6-ter decreto del Presidente della Repubblica n. 335/1982, che fonda e disciplina il potere dell'Amministrazione nella fattispecie concreta. Soffermandosi, specificamente, sul profilo dell'attualita' della rilevanza, si evidenzia che la stessa non e' venuta meno per effetto della decisione sull'istanza cautelare (come da ordinanza n. 12/2020). Nell'attuale sistema processuale amministrativo, infatti, la sede cautelare non puo' piu' essere considerata alla stregua di un «giudizio» avente carattere di autonomia e potenziale autosufficienza rispetto al merito della decisione, su cui parametrare specificamente il requisito in esame. Il Tribunale conosce il dibattito giurisprudenziale sorto con riferimento ai rapporti tra incidente di legittimita' costituzionale e giudizio cautelare, nonche' i precedenti orientamenti della Corte costituzionale, che per lungo tempo ha ritenuto inammissibile, per difetto di rilevanza, la questione di legittimita' costituzionale sollevata dopo l'adozione del definitivo provvedimento cautelare. La questione era infatti ritenuta tardiva in relazione al giudizio cautelare, ormai conclusosi, e solo ipotetica con riferimento al (futuro ed eventuale) giudizio di merito, il cui svolgimento era rimesso all'iniziativa della parte interessata. Si e' quindi ideata una soluzione di compromesso, consistente nel sollevare la questione di costituzionalita' sospendendo lo stesso giudizio cautelare ed ogni valutazione sulfumus bonz zuris, previa concessione di una misura ad interim destinata ad esplicare i suoi effetti fino - alla pronuncia della Corte costituzionale e alla riassunzione in sede cautelare. Oggi, tuttavia, alla luce del mutato quadro normativa e alla indefettibilita' della pronuncia di merito, secondo quanto disposto dal nuovo Codice - decreto legislativo n. 104/2010 (cfr. art. 55 commi 4 e 11 c.p.a.), puo' ben affermarsi la permanente rilevanza della questione anche dopo la pronuncia sulla domanda cautelare e indipendentemente dall'accoglimento o dalla reiezione della stessa. Si veda, da ultimo, Corte costituzionale n. 200/2014 che ha sconfessato i precedenti orientamenti e affermato la necessita' di parametrare il requisito della rilevanza al giudizio nel suo complesso e non alla specifica fase cautelare («nel nuovo processo amministrativo la concessione della misura cautelare, ai sensi dell'art. 55, comma 11, del decreto legislativo n. 104 del 2010, comporta l'instaurazione del giudizio di merito senza necessita' di ulteriori adempimenti, con la conseguenza che la questione di legittimita' costituzionale non e' intempestiva rispetto a tale sede contenziosa, essendo ora il giudice provvisto di piena potesta' decisoria. La questione, quindi, deve considerarsi rilevante»). Si richiama altresi', con particolare riguardo ad un'ipotesi di reiezione della domanda cautelare, Corte costituzionale n. 102/2012 che ha disatteso l'eccezione di inammissibilita' sollevata dalla Regione, sempre in ragione della permanente rilevanza della questione di costituzionalita' con riferimento al merito («la prima eccezione non e' fondata giacche', dalla pur sintetica motivazione dell'ordinanza rimessione, si evince che il dubbio di costituzionalita' delle norme de quibus non viene sollevato per decidere l'istanza cautelare di sospensione del provvedimento impugnato, bensi' (dopo il rigetto di tale istanza) al fine di dare soluzione al giudizio «sotto il profilo del merito» e di accertare la validita' o meno del provvedimento medesimo per vizi derivati dalla eventuale illegittimita' costituzionale delle norme della legge regionale oggetto di censura). Nel presente giudizio a quo la domanda cautelare e' stata respinta per non essere stati adeguatamente circostanziati il periculum in mora e l'interesse ad agire in sede cautelare, in un contesto in cui appariva altamente verosimile l' inattuabilita' pratica della misura richiesta, cioe' l'ammissione con riserva agli esami. Gli effetti del provvedimento di espulsione non appaiono comunque irreversibili. Alla declaratoria di illegittimita' della disposizione contestata conseguirebbe, infatti, una pronuncia di annullamento del provvedimento di espulsione, a seguito della quale il ricorrente ben potrebbe essere riammesso in sovrannumero ad un corso successivo, previo eventuale riesercizio del potere sanzionatorio in senso conforme alle norme costituzionali (i cui esiti non sono, ovviamente, scrutinabili dal giudice). b) La non manifesta infondatezza Come anticipato, il Tribunale dubita della legittimita' costituzionale dell'art. 6-ter comma 3 del decreto del Presidente della Repubblica n. 335/1982 sotto tre distinti profili, che si ritengono non manifestamente infondati nei termini che seguono. 1. In primo luogo, si rileva l'irragionevolezza intrinseca, e quindi la diretta contrarieta' all'art. 3 della Costituzione, di una previsione che commini una sanzione rigida e predeterminata a fronte di una notevole varieta' di comportamenti, senza consentire all'Amministrazione alcuna considerazione dei caratteri specifici dell'infrazione, sotto il profilo della gravita' del fatto e dei profili di colpevolezza dell'autore, al fine di commisurare la risposta sanzionatoria. Si consideri, infatti, che per gli allievi agenti e gli agenti in prova l'espulsione e' prevista quale conseguenza obbligata in caso di «mancanze punibili con sanzioni disciplinari piu' gravi della deplorazione», cioe' per l'integrazione di una qualsiasi condotta per cui dovrebbe essere irrogata la sospensione dal servizio (art. 6 decreto del Presidente della Repubblica n. 737/1981) o la destituzione (art. 7 decreto del Presidente della Repubblica n. 737/1981). Le disposizioni da ultimo citate delineano una grande varieta' di comportamenti, in astratto certo accomunati da una particolare gravita' e riprovevolezza, ma che possono in concreto non esprimere un uniforme grado di offensivita' al prestigio della funzione o al suo regolare svolgimento e non ritenersi quindi meritevoli della massima sanzione. Le condotte elencate nelle suddette disposizioni, infatti, sono in molti casi descritte in termini generici, mediante fattispecie «aperte» che fanno uso di concetti giuridici indeterminati o implicanti giudizi di valore potenzialmente mutevoli («denigrazione dell'Amministrazione o dei superiori», «turbamento nella regolarita' o nella continuita' del servizio di istituto», «pubblico scandalo», «mancanza del senso dell'onore o del senso morale»), o ancora di nozioni tecnico-giuridiche onnicomprensive (quali quella di «sostanza stupefacente», o di «delitto non colposo») che sono invece oggetto, in altri rami dell'ordinamento, di una disciplina altamente differenziata sotto il profilo delle conseguenze giuridiche, a seconda dei caratteri della fattispecie concreta. Il rigido dettato dell'art. 6-ter comma 3 del decreto del Presidente della Repubblica n. 335/1982 impedisce pero' qualsiasi esplicazione di una - quanto mai necessaria - discrezionalita' tecnica da parte dell'Amministrazione, determinando per l'allievo agente o per l'agente in prova l' identica e gravissima conseguenza dell'espulsione con cessazione dal servizio, anche a fronte di comportamenti che, pur riconducibili al dettato normativa, presentino una trascurabile offensivita' in concreto. Una simile incongruenza non puo' manifestarsi invece per gli agenti in servizio effettivo, in virtu' di disposizioni che consentono l'esercizio di discrezionalita' nella valutazione dell'infrazione e l'opportuna gradazione dell'effetto giuridico della sanzione. L'art. 1 comma 2 del decreto del Presidente della Repubblica n. 737/1981 dispone infatti che le sanzioni disciplinari, elencate al comma precedente, «devono essere graduate, nella misura, in relazione alla gravita' delle infrazioni ed alle conseguenze che le stesse hanno prodotto per la Amministrazione o per il servizio». La stessa definizione della sanzione della sospensione (art. 6 comma 1 del decreto del Presidente della Repubblica n. 737/1981), che consiste nell'allontanamento dal servizio «per un periodo da uno a sei mesi», consente un'ampia elasticita' nella commisurazione della risposta punitiva, all'interno della cornice edittale. L'art. 6, comma 4 del medesimo decreto del Presidente della Repubblica precisa che la sospensione dal servizio «puo'» (e non deve) essere inflitta in presenza dei comportamenti di seguito elencati, configurando una discrezionalita' anche nell'an della risposta sanzionatoria. L'art. 13 comma 1 precisa che l'organo competente ad infliggere la sanzione «deve tener conto di tutte le circostanze attenuanti, dei precedenti disciplinari e di servizio del trasgressore, del carattere, dell'eta', della qualifica e dell'anzianita' di servizio». Nessuna di queste disposizioni e' pero' applicabile all'allievo agente o all'agente in prova, per i quali l'espulsione consegue sempre e indistintamente alla commissione di «mancanze punibili con sanzioni disciplinari piu' gravi della deplorazione». La disposizione prescinde, quindi, anche dall'effettiva irrogazione della sanzione e si accontenta della mera punibilita' in astratto del comportamento, per essere lo stesso sussumibile nel dettato normativo degli articoli 6 e 7 del decreto del Presidente della Repubblica n. 737/1981. Non si dubita che una violazione meriti di essere piu' gravemente punita quando commessa da colui che non appartiene ancora a pieno titolo all'amministrazione di Polizia. E' conforme a ragione, infatti, la previsione di una maggiore severita' delle valutazioni disciplinari e della risposta sanzionatoria nella fase che precede il servizio effettivo, per una piu' ampia discrezionalita' configurabile in capo all'Amministrazione in un periodo di formazione e di prova, nonche' per la particolare attenzione al comportamento che deve pretendersi dall'aspirante agente, il quale dovrebbe dimostrare di essere all'altezza della funzione da svolgere. Non puo' pero' razionalmente giustificarsi il rigido automatismo che l'art. 6-ter comma 3 del decreto del Presidente della Repubblica n. 335/1982 configura, anche in ragione della mancanza, come meglio si dira' in seguito, di un «luogo procedimentale» all'interno del quale possa collocarsi un piu' compiuto accertamento del fatto, nei suoi profili soggettivi ed oggettivi. Si richiama, in proposito, l'orientamento consolidato della Corte costituzionale, che in piu' occasioni ha dichiarato l' illegittimita' di automatismi sanzionatori, proprio per la loro indifferenza ai caratteri della fattispecie concreta, sul presupposto della «irragionevolezza intrinseca della sanzione indifferenziata per ipotesi marcatamente diverse in termini di gravita' della condotta» (Corte Cost. n. 88/2019). Possono, tra le tante, citarsi le seguenti pronunce: Corte costituzionale n. 88/2019, che ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 222, comma 2, quarto periodo, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada) nella parte in cui non prevede la possibilita', per il giudice penale che pronunci sentenza di condanna o patteggiamento per i reati di omicidio (art. 589-bis c.p.) e lesioni personali stradali (art. 590-bis c.p.), di dispon-e la sospensione della patente in alternativa alla revoca; Corte costituzionale n. 222/2018, che ha dichiarato l'illegittimita' della previsione in misura fissa e pari a dieci anni delle pene accessorie conseguenti alla condanna per il reato di bancarotta fraudolenta (art. 216 legge fallimentare); Corte costituzionale n. 268/2016, che ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale degli articoli 866, comma 1, 867, comma 3 e 923, comma 1, lettera i), del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66 (Codice dell'ordinamento militare), nella parte in cui non prevedono l'instaurarsi del procedimento disciplinare per la cessazione dal servizio per perdita del grado conseguente alla pena accessoria della interdizione temporanea dai pubblici uffici. La questione di legittimita' di cui alla sentenza da ultimo menzionata presenta, ad avviso del Tribunale, particolari analogie con la presente, avendo riguardato proprio un automatismo sanzionatorio disciplinare che conseguiva al mero accertamento di una violazione, senza la mediazione di un apposito procedimento amministrativo. In questo caso l'infrazione era pur sempre accertata, in tutti i suoi elementi, nel contesto di un giudizio penale, con le relative garanzie e l'elevatissimo margine di certezza («al di la' di ogni ragionevole dubbio, come recita l'art. 533 c.p.p.) che in tale sede guida l'accertamento della responsabilita'. E tuttavia, l'impossibilita' di graduare la sanzione disciplinare secondo criteri di proporzionalita' e adeguatezza al caso concreto ha condotto la Corte a ritenere le disposizioni contestate irragionevoli e quindi in contrasto con l'art. 3 della Costituzione. Piu' in generale, la Corte ha nel tempo espunto dall'ordinamento diverse ipotesi di presunzioni assolute, laddove le stesse non esprimessero un rapporto causa-effetto conforme all'id quod plerumque accidit. In particolare, ha affermato che: «l'irragionevolezza della presunzione assoluta si puo' cogliere tutte le volte in cui sia «agevole» formulare ipotesi di accadimenti reali contrari alla generalizzazione posta a base della presunzione stessa» (ex multis, sentenze n. 232 e n. 213 del 2013, n. 182 e n. 164 del 2011, n. 265 e n. 139 del 2010). Nel caso di specie, pur in una doverosa ottica di selezione morale nella fase che precede l'ingresso in servizio, si dubita che possa assolutamente presumersi l'indegnita' alla funzione di chi commetta «mancanze punitili con sanzioni disciplinari piu' gravi della deplorazione» anche quando l'infrazione presenti in concreto una minima gravita' e una trascurabile offensivita' ai valori e all'importanza del ruolo. 2. La violazione dell'art. 3 Cost. emerge anche sotto il profilo della disparita' di trattamento degli allievi agenti e degli agenti in prova, rispetto al regime valevole per gli agenti in servizio effettivo. La disposizione Costituzionale e' quindi invocata come norma interposta, assumendo come tertium comparationis i gia' citati articoli 1, 6, 7 del decreto del Presidente della Repubblica n. 737/1981, nonche' agli articoli 12 e ss. che prevedono il procedimento da seguire per irrogare il provvedimento disciplinare. Il regime sanzionatorio previsto dall'art. 6-ter, comma 3 del decreto del Presidente della Repubblica n. 335/1982 appare irragionevolmente discriminatorio con riferimento non alla maggiore gravita' della conseguenza punitiva, bensi' al suo automatismo, in totale carenza di una discrezionalita' applicativa e di qualsiasi garanzia procedimentale e partecipativa nell'irrogazione della stessa. Per quanto attiene all'automaticita' della sanzione e all'impossibilita' di graduarla si rinvia a quanto gia' argomentato nel punto precedente e alle disposizioni, ivi richiamate, che configurano un'ampia discrezionalita' applicativa a beneficio dei soli agenti in servizio effettivo (articoli 1 comma 2, 6 comma 1 e 4, 13 decreto del Presidente della Repubblica n. 737/1981). Con riguardo invece al profilo procedurale, si evidenzia che solo per gli agenti in servizio effettivo la legge prevede un apposito procedimento disciplinare, puntualmente normativizzato e scandito da diverse fasi, funzionati ad assicurare il contraddittorio - cfr. art. 13 comma 3: «nello svolgimento del procedimento deve essere garantito il contraddittorio» - e il diritto di difesa dell'interessato, nonche' ad addivenire al miglior accertamento del fatto e alla piu' giusta commisurazione della sanzione (articoli 12 e ss. del decreto del Presidente della Repubblica n. 737/1981). In particolare, all'agente in servizio deve essere contestato per iscritto l'addebito, con possibilita' di contro-dedurre anche attraverso produzioni documentali o audizione di testimoni (art. 14). Ampie possibilita' di difesa e di contraddittorio, avvalendosi della possibile assistenza di un difensore, si riscontrano poi nella successiva fase dell'iter procedimentale prevista, per le infrazioni piu' gravi e dopo un primo vaglio di fondatezza dell'incolpazione (art. 19, comma 6), di fronte ad un apposito organo, il consiglio di disciplina (art. 20). Emerge quindi la radicale diversita' rispetto al regime dell'allievo (o dell'agente in prova), che e' invece espulso in ragione del mero riscontro unilaterale, non sottoposto a particolari formalita' procedurali, di mancanze punibili con sanzioni disciplinari piu' gravi della deplorazione». Pur potendosi astrattamente ammettere una semplificazione procedimentale per chi ancora non appartiene definitivamente ai ranghi dell'Amministrazione di Polizia e non e' quindi assoggettabile ad un «potere disciplinare» in senso proprio, non puo' in alcun modo giustificarsi la radicale mancanza di un qualsiasi strumento partecipativo dell'interessato. 3. Anche prescindendo dal confronto con il regime giuridico valevole per altre categorie di soggetti, il quadro sopra delineato porta a ritenere che l'art. 6-ter comma 3 del decreto del Presidente della Repubblica n. 335/1982 si ponga in contrasto con l'art. 97 Cost. e in particolare con il principio del «giusto procedimento», quale canone fondamentale dell'azione amministrativa direttamente desumibile dai principi di legalita', buon andamento ed imparzialita'. Il principio invocato e' definito nella giurisprudenza della Corte costituzionale fin dalla risalente sentenza n. 13/1962, per cui «quando il legislatore dispone che si apportino limitazioni ai diritti dei cittadini, la regola che il legislatore normalmente segue e' quella di enunciare delle ipotesi astratte, predisponendo un procedimento amministrativo attraverso il quale gli organi competenti provvedano ad imporre concretamente tali limiti, dopo avere fatto gli opportuni accertamenti, con la collaborazione, ove occorra, di altri organi pubblici, e dopo avere messo i privati interessati in condizioni di esporre le proprie ragioni sia a tutela del proprio interesse, sia a titolo di collaborazione nell'interesse pubblico». Piu' di recente, nella sentenza n. 15/2017 - che ha censurato un meccanismo di automatica decadenza degli incarichi dirigenziali, disposta al fine di contenere la spesa pubblica - la Corte ha affermato che «la esistenza di una preventiva fase valutativi risulta essenziale anche per assicurare il rispetto dei principi del giusto procedimento, all'esito del quale dovra' essere adottato un atto motivato che ne consenta comunque un controllo giurisdizionale». Nel caso di specie difettano sia una idonea «distanza» tra ipotesi astratta e provvedimento, essendo quest'ultimo «a rime obbligate» in ragione del riscontro sommario di determinate condotte, sia un adeguato spazio valutativo dei fatti e degli interessi, non essendo prevista alcuna disciplina dell'iter procedimentale da seguire. La gia' citata sentenza della Corte costituzionale n. 268/2016, con riguardo all'irrogazione della sanzione disciplinare della cessazione dal servizio del militare, ha invece affermato l'indefettibilita' di una mediazione procedimentale, perfino nel caso in cui l'infrazione risulti da condanna penale passata in giudicato. Con riguardo ad una sanzione disciplinare, la cui irrogazione postula l'accertamento di una responsabilita', il giusto procedimento dovrebbe poi conformarsi, in particolare, all'art. 24 Cost., assicurando il diritto di difesa dell'interessato. La Corte costituzionale (nella sentenza 356/1995), pur precisando che «il diritto di difesa non si estende, nel suo pieno contenuto, oltre la sfera della giurisdizione», afferma tuttavia che anche in ambito procedimentale «deve essere salvaguardata una possibilita' di contraddittorio che garantisca un nucleo essenziale di valori inerenti ai diritti inviolabili della persona (sentenze n. 71 e n. 57 del 1995), quando possono derivare per essa sanzioni che incidono su beni, quale il mantenimento del rapporto di servizio o di lavoro, che hanno rilievo costituzionale». La necessita' di garantire in maniera effettiva tale diritto emerge in modo tanto piu' evidente, quanto piu' gravi sono le conseguenze giuridiche che il provvedimento determina. Puo' richiamarsi in proposito, quanto affermato dalla sentenza n. 126/1995 della Corte costituzionale, che ha dichiarato illegittimo l'art. 33 della legge 31 luglio 1954, n. 599 (Stato dei sottufficiali dell'Esercito, della Marina e dell'Aeronautica), nella parte in cui non prevede che al sottufficiale proposto per la dispensa dal servizio sia assegnato un termine per presentare, ove creda, le proprie osservazioni e sia data la possibilita' di essere sentito personalmente. La Corte, nel valutare la costituzionalita' di una disposizione che poteva determinare un effetto giuridico di estrema gravita' all'esito di un agire amministrativo del tutto unilaterale «privo di una qualsiasi forma di partecipazione o interlocuzione da parte dell'interessato», ne ha rilevato l'illegittimita' proprio in ragione della «carenza di garanzie procedimentali a presidio della difesa». Tutto cio' premesso, si evidenza che il caso da cui scaturisce il presente giudizio di costituzionalita' e' chiaramente esemplificativo della totale unilateralita' nella formazione della determinazione amministrativa: il ricorrente nel giudizio a qua e' stato espulso sulla base di un referto medico e, soprattutto, di una dichiarazione spontanea autoincriminante, rilasciata pero' in un contesto estraneo all'iter procedimentale di espulsione, in condizioni di oggettiva fragilita' psico-fisica (presso l'Ospedale in cui era ricoverato) e di particolare sorpresa (gli stessi agenti verbalizzati riferiscono che la dichiarazione confessoria e' stata rilasciata dal ricorrente «istintivamente e spontaneamente», poiche' «sorpreso dell'esito degliaccertamenti»), senza essere successivamente mai ascoltato a propria difesa. c) Il tentativo di interpretazione conforme Si rappresenta, infine, che il Tribunale non ha potuto dare alla disposizione un'interpretazione conforme ai precetti costituzionali che si ritengono violati, cio' risultando precluso dai confini ontologici dell'attivita' ermeneutica. La natura rigida, e quindi limitatamente interpretabile, dell'art. 6-ter comma 3 del decreto del Presidente della Repubblica n. 335/1982 emerge dal suo stesso dettato testuale, che si ripete: «sono espulsi dal corso gli allievi e gli agenti in prova responsabili di mancanze punibili con sanzioni disciplinari piu' gravi della deplorazione.» Dovendosi il giudice attenere al significato dei termini, singolarmente e nella loro reciproca connessione si evidenzia che: l'effetto giuridico e' previsto come automatica conseguenza del riscontro del presupposto oggettivo. Il tradizionale sillogismo del diritto amministrativo normapotere-effetto vede quale unica estrinsecazione del potere la sua necessaria intermediazione per l'adozione del provvedimento espulsivo, che si presenta pero' vincolato in tutti i suoi profili. Non possono ricavarsi spazi per l'esercizio di discrezionalita', essendo la norma costruita in termini lineari ed inequivoci («sono espulsi» e non «possono essere espulsi»), con l'uso del tempo presente indicativo con cui il legislatore normalmente disciplina la produzione degli effetti giuridici necessitati. non e' possibile graduare la risposta punitiva, giacche' non sono previste, per gli allievi agenti e per gli agenti in prova, altre sanzioni di minore gravita', diverse dall'espulsione. Le stesse, anche ove venissero autonomamente congegnate (mutuandone i caratteri dalle ipotesi di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 737/1981), porrebbero poi problemi di compatibilita' con il particolare contesto formativo e i relativi obblighi di frequenza dei corsi, che non potrebbero essere risolti dall'interprete. non e' possibile configurare per l'allievo agente un procedimento di accertamento della responsabilita' in senso maggiormente garantista, sulla falsariga del procedimento disciplinare valevole per gli agenti in servizio. La disposizione e' chiara nel far conseguire la sanzione al mero riscontro di condotte «punibili» con sanzioni piu' gravi della deplorazione, cosi' svilendo il momento dell'accertamento dell'infrazione al solo riscontro della possibilita' in astratto di irrogare la sanzione. Sulla circostanza si sofferma anche la difesa Erariale, laddove, del tutto condivisibilmente afferma: «Giova nuovamente sottolineare al riguardo che, ai fini della legittimita' dell'espulsione, e' sufficiente l'adozione di comportamenti per i quali e' astrattamente ipotizzabile una sanzione disciplinare superiore alla deplorazione, altrimenti il legislatore avrebbe previsto, quale presupposto, l'irrogazione della sanzione stessa». Nella specifica fattispecie, la ritenuta incostituzionalita' della norma non ha potuto essere corretta nemmeno attraverso l'interpretazione della disposizione da applicarsi in via mediata, cioe' cui l'art. 6, comma 4, del decreto del Presidente della Repubblica n. 737/1981 che al numero 8 prevede, tra le infrazioni punibili con la sanzione della sospensione, la condotta commessa dal ricorrente nel giudizio a quo («uso non terapeutico di sostanze stupefacenti o psicotrope risultante da referto medico legale»). Il riferimento all'uso, senza ulteriori specificazioni, impedisce di valorizzare i soli casi di assunzione abituale di stupefacente o di tossicodipendenza, dovendosi ritenere che il legislatore, se avesse inteso limitare l'applicazione della sospensione dal servizio alle sole ipotesi piu' gravi, avrebbe diversamente - e piu' esplicitamente - configurato il precetto. Tale interpretazione appare ancor meno praticabile laddove si consideri che, nell'ordinaria e diretta applicazione della disposizione (cioe' con riguardo agli agenti in servizio effettivo), non emerge alcuna esigenza di circoscrivere le condotte punibili, potendosi gia' ampiamente graduare la risposta sanzionatoria al fine di impedire misure sproporzionate. Per le ragioni esposte, il Tribunale amministrativo regionale per il Friuli-Venezia Giulia solleva d'ufficio ai sensi dell'art. 23 della legge n. 87/1953 la questione di legittimita' costituzionale delPart. 6-ter comma 3 del decreto del Presidente della Repubblica n. 335/1982, nella parte in cui, per gli allievi agenti e gli agenti in prova, riconnette automaticarnente la conseguenza espulsiva al mero riscontro di «mancanze punibili con sanzioni disciplinari piu' gravi della deplorazione», senza consentire una valutazione in concreto della gravita' dell'infrazione e una conseguente commisurazione della sanzione, ne' un procedimento di accertamento in contraddittorio della responsabilita', ritenendo la disposizione in insanabile contrasto con gli articoli 3 e 97 della Costituzione. Sospende, di conseguenza, il giudizio in corso. Ogni ulteriore statuizione in rito, in merito e in ordine alle spese e' riservata alla decisione definitiva.
P.Q.M. Il Tribunale amministrativo regionale per il Friuli-Venezia Giulia (Sezione Prima), ai sensi dell'art. 23 della legge n. 87/1953 dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 6-ter, comma 3 del decreto del Presidente della Repubblica n. 335/1982, con riferimento agli articoli 3 e 97 della Costituzione, per le ragioni di cui in motivazione. Sospende, per l'effetto, il presente giudizio fino alla definizione dell'incidente di costituzionalita'. Ordina l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Ordina che, a cura della segreteria, la presente ordinanza sia notificata alle parti ed al Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' comunicata ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Ordina che la presente ordinanza sia eseguita dall'Autorita' amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell'art. 10 del regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, atutela dei diritti o della dignita' della parte interessata, manda alla segreteria di procedere all'oscuramento delle generalita' nonche' di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la persona del ricorrente. Cosi deciso in Trieste nella Camera di consiglio del giorno 26 febbraio 2020 con l'intervento dei magistrati: Oria Settesoldi, Presidente; Lorenzo Stevanato, Consigliere; Luca Emanuele Ricci, Referendario, estensore. Il Presidente: Settesoldi L'estensore: Ricci