N. 120 ORDINANZA (Atto di promovimento) 26 maggio 2020

Ordinanza del 26 maggio 2020 del Tribunale  amministrativo  regionale
per il Friuli-Venezia Giulia sul  ricorso  proposto  da  Z.G.  contro
Ministero dell'interno, UTG - Prefettura Udine. 
 
Misure di prevenzione - Codice delle leggi antimafia - Effetti  delle
  misure di prevenzione - Previsione che gli effetti  automaticamente
  interdittivi all'ottenimento, tra gli altri, di "altre iscrizioni o
  provvedimenti   a   contenuto   autorizzatorio,   concessorio,    o
  abilitativo  per  lo  svolgimento  di  attivita'   imprenditoriali,
  comunque denominati", conseguono anche alla condanna (definitiva  o
  pronunciata in secondo grado) per il reato di cui all'art.  640-bis
  del codice penale. 
- Decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159  (Codice  delle  leggi
  antimafia e delle misure di prevenzione, nonche' nuove disposizioni
  in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1  e
  2 della legge 13 agosto 2010, n.  136),  art.  67,  comma  8,  come
  modificato dall'art. 24, comma 1, lettera d), del  decreto-legge  4
  ottobre 2018, n. 113 (Disposizioni urgenti in materia di protezione
  internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica,  nonche'  misure
  per la funzionalita' del Ministero dell'interno e  l'organizzazione
  e il funzionamento dell'Agenzia nazionale per  l'amministrazione  e
  la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalita'
  organizzata),  convertito,  con  modificazioni,  nella   legge   1°
  dicembre 2018, n. 132. 
(GU n.38 del 16-9-2020 )
 
                IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE 
                    PER IL FRIULI-VENEZIA GIULIA 
                            Sezione Prima 
 
    Ha pronunciato  la  presente  ordinanza  sul  ricorso  numero  di
registro generale 238 del 2019, proposto  da  G.Z.,  rappresentato  e
difeso dagli avvocati Luca De Pauli e Mara Del Bianco, con  domicilio
digitale come da PEC da Registri di Giustizia; 
    Contro Ministero dell'interno (Prefettura - Ufficio  territoriale
del Governo di Udine, Prefetto di Udine), in persona del Ministro pro
tempore, rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura  distrettuale
dello Stato di Trieste, presso la quale e', del  pari,  per  legge  e
domiciliato in Trieste, piazza Dalmazia, 3; 
    Per l'annullamento: 
        a) del provvedimento protocollo n. 53096, dd. 10 luglio  2019
del sig. Prefetto  di  Udine,  recante  comunicazione  «che,  per  le
motivazioni suindicate, nei confronti del sig. Z.G., nato a L. ,  l'.
, residente a C. , sussistono alla data odierna le cause di  divieto,
di sospensione  o  di  decadenza  di  cui  all'art.  67  del  decreto
legislativo n.  159/2011»  con  effetto  di  «informazione  antimafia
interdittiva», notificato a mani proprie in data 15 luglio 2019; 
        b)  dei  presupposti  verbali  delle  riunioni   del   Gruppo
Interforze costituito presso la Prefettura di Udine - UTG con decreto
n. 33611 dd. 2 maggio 2019, «durante le quali e' stato  convenuto  di
disporre un  provvedimento  interdittivo  ai  sensi  della  normativa
antimafia» (di cui e' menzione  nel  provvedimento  sub  a),  ma  mai
comunicati ne' partecipati e di estremi sconosciuti); 
        c) di tutti gli altri  atti  a  tali  provvedimenti  comunque
connessi, presupposti e/o conseguenti, anche non conosciuti; 
    Visti il ricorso e i relativi allegati; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Visto  l'atto  di  costituzione   in   giudizio   del   Ministero
dell'interno; 
    Relatore nell'udienza pubblica del  giorno  29  gennaio  2020  la
dott.ssa Manuela Sinigoi e  uditi  per  le  parti  i  difensori  come
specificato nel verbale; 
La vicenda fattuale 
    Il ricorrente - condannato con sentenza del Tribunale  di  Udine,
Uff. GIP,  n.  167/2017  depositata  il  14  marzo  2017  e  divenuta
irrevocabile il 28 aprile 2017, pronunciata ex art. 444 c.p.p.,  alla
pena di mesi tre e giorni diciotto, convertita nella  multa  di  euro
ventisettemila, per il reato di cui  all'art.  640-bis  c.p.  (truffa
aggravata per il conseguimento  di  erogazioni  pubbliche),  commesso
nell'anno 2013, reato consistente nell'aver posto in essere  artifizi
e  raggiri  per  conseguire  fondi  europei  dell'importo   di   euro
42.000,00,  facendo  risultare  lavori  di  ristrutturazione  di   un
immobile  per  finalita'  di  commercializzazione   dell'acquacoltura
regionale, «in luogo della vera natura degli  interventi,  che  erano
funzionali alla ristrutturazione di  un  immobile  ad  uso  abitativo
nell'interesse  dell'imputato  e  del  suo  nucleo  familiare»  -  ha
impugnato  innanzi  a  questo  Tribunale  amministrativo   regionale,
invocandone   l'annullamento,   il    provvedimento    in    epigrafe
compiutamente indicato, adottato ai sensi degli articoli 67 e 92  del
decreto legislativo n. 159/2011 (codice antimafia),  come  modificato
dall'art. 24, comma 1, lettera d), decreto-legge  n.  113  del  2018,
convertito, con modificazioni, nella legge n. 132 del 2018,  con  cui
il Prefetto di Udine ha comunicato alla locale Camera  di  commercio,
industria, artigianato e agricoltura che nei confronti  del  medesimo
sussistono le cause di divieto, di sospensione o di decadenza di  cui
all'art.  67,  automaticamente  ostative  al   conseguimento   o   al
mantenimento   di   iscrizioni   o    provvedimenti    a    contenuto
autorizzatorio, concessorio, o  abilitativo  per  lo  svolgimento  di
attivita' imprenditoriali, comunque denominati. 
    L'Amministrazione ha fatto, invero,  esplicita  applicazione  nei
suoi  confronti  della  previsione  contenuta   nell'ultimo   periodo
dell'art. 67, comma 8, introdotto dall'art. 24, comma 1,  lettera  d)
del  decreto-legge  4  ottobre  2018,   n.   113,   convertito,   con
modificazioni, dalla legge 1° dicembre 2018,  n.  132,  il  quale  ha
previsto che  gli  effetti  automaticamente  interdittivi  conseguono
anche alla condanna (definitiva o pronunciata in secondo  grado)  per
il reato di cui all'art. 640-bis c.p.,  cosi'  ampliando  le  ipotesi
contemplate dalla  disposizione,  originariamente  riferite  ai  casi
della sottoposizione ad una misura di prevenzione definitiva prevista
dal libro I, titolo I, capo II del  codice  antimafia,  oppure  dalla
condanna (definitiva o anche non definitiva,  purche'  confermata  in
appello) per uno dei gravi reati  associativi  di  cui  all'art.  51,
comma 3-bis del codice di  procedura  penale  (delitti,  consumati  o
tentati, di cui agli  articoli  416,  sesto  e  settimo  comma,  416,
realizzato allo  scopo  di  commettere  taluno  dei  delitti  di  cui
all'art. 12, commi 1, 3 e 3-ter, del testo unico  delle  disposizioni
concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla  condizione
dello straniero, di cui al decreto legislativo  25  luglio  1998,  n.
286, 416, realizzato allo scopo di commettere delitti previsti  dagli
articoli 473 e 474, 600, 601, 602, 416-bis, 416-ter, 452-quaterdecies
e 630 del codice penale, per i  delitti  commessi  avvalendosi  delle
condizioni previste dal predetto  art.  416-bis  ovvero  al  fine  di
agevolare  l'attivita'  delle  associazioni  previste  dallo   stesso
articolo, nonche' per i delitti previsti dall'art. 74 del testo unico
approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990,
n. 309, e dall'art. 291-quater del testo unico approvato con  decreto
del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43). 
    L'interessato ha quindi, come  detto,  gravato  il  provvedimento
lesivo, denunciandone l'illegittimita' per: 
        1. «Violazione e/o falsa applicazione di legge (art. 3, legge
7 agosto  1990,  n.  241)  -  Violazione  del  principio  del  giusto
procedimento»; 
        2.  «Violazione  e/o  falsa  applicazione  di   legge   (art.
67, decreto legislativo 6  settembre  2011,  n.  159,  in   relazione
all'art. 25,  comma  2  della  Costituzione  e  all'art.  2  c.p.)  -
Violazione del principio di irretroattivita'  della  legge  penale  -
Violazione dell'art. 7 CEDU»; 
        3.  «Violazione  e/o  falsa  applicazione  di   legge   (art.
67, decreto  legislativo 6  settembre  2011,  n.  159,  in  relazione
all'art. 444 e all'art. 445 c.p. - art. 14 preleggi) - Violazione del
principio di tassativita' in materia sanzionatoria»; 
        4.  «Violazione  e/o  falsa   applicazione   di   legge   per
incostituzionalita' in parte qua dell'art. 67, decreto  legislativo 6
settembre 2011, n. 159, con particolare  riferimento  all'inserimento
dell'art.  640-bis  c.p.  nell'elenco   dei   reati   che   implicano
l'emanazione della "interdittiva antimafia" ad  opera  dell'art.  24,
comma 1,  lettera  d)  del decreto-legge  4  ottobre  2018,  n.  113,
convertito, con modificazioni, dalla legge 1º dicembre 2018,  n.  132
(violazione dell'art. 3 della Costituzione, 25 della Costituzione, 27
della Costituzione, 38 della  Costituzione,  41  della  Costituzione,
anche in relazione agli articoli 6 e 7 CEDU e all'art. 49 della Carta
dei  diritti  fondamentali  dell'Unione  europea  -  violazione   del
principio di ragionevolezza e di proporzionalita' - eccesso di potere
legislativo)». 
    Il  Ministero  dell'interno,  costituito  in  giudizio   con   il
patrocinio dell'Avvocatura distrettuale dello Stato  di  Trieste,  ha
puntualmente  controdedotto  alle  avverse  censure  e  invocato   la
reiezione del ricorso. 
    All'esito dell'udienza camerale dell'11  settembre  2019,  questo
Tribunale,  con  ordinanza  cautelare  n.  74/2019,  ha  denegato  al
ricorrente l'invocata misura cautelare, osservando che: 
        «-  nei  procedimenti  volti  all'adozione  dell'interdittiva
antimafia non e' dovuta la comunicazione  di  cui  all'art.  7  della
legge  n.  241/1990,  trattandosi  di  procedimenti   intrinsecamente
caratterizzati da riservatezza e urgenza (cfr.  Consiglio  di  Stato,
sez. III, 28 giugno 2017, n. 3171; id, sez. VI, 29 febbraio 2008,  n.
756; id, sez. V, 12 giugno 2007, n. 3126 e 28 febbraio 2006, n. 851); 
        - la giurisprudenza amministrativa  ha  gia'  avuto  modo  di
affermare   che    l'interdittiva    antimafia    e'    provvedimento
amministrativo al quale deve essere riconosciuta natura  cautelare  e
preventiva, in un'ottica di bilanciamento tra la tutela dell'ordine e
della sicurezza  pubblica  e  la  liberta'  di  iniziativa  economica
riconosciuta dall'art. 41  della  Costituzione  (cfr.  Ad.  Plen.  n.
3/2018), derivandone che il carattere non punitivo e,  anzi,  la  sua
assimilabilita' ad una misura di sicurezza, consente di  ritenere  la
relativa applicazione assoggettata alla disciplina dettata  dall'art.
200 c.p. in tema di successione di leggi nel tempo; 
        - la norma che viene in rilevo  non  ha  sottratto  alla  sua
applicazione le sentenze di applicazione  della  pena  su  richiesta,
sentenze che - si rammenta -  sono  equiparate  dalla  legge  ad  una
sentenza di condanna; 
        - risultano  condivisibili  le  argomentazioni  della  difesa
erariale laddove richiama l'attenzione sul fatto  che  "  ...  L'art.
640-bis c.p., introdotto  dal  legislatore  come  causa  ostativa  al
rilascio della liberatoria antimafia, e' una disposizione quanto  mai
opportuna, considerato il carattere  persuasivo  e  la  capacita'  di
espansione geografica delle attivita' imprenditoriali da parte  delle
associazioni  mafiose",  il  che  vale  di  per  se',  non   solo   a
giustificare l'estensione  dell'applicazione  dei  commi  1,  2  e  4
dell'art.  67  del decreto  legislativo n.  159/2011  a   reati   non
tipicamente "mafiosi",  ma  anche  e  soprattutto  a  precludere,  al
contempo,  a  questo  giudice  una  valutazione  di   non   manifesta
infondatezza   della   questione   di   legittimita'   costituzionale
prospettata dal ricorrente; 
        - la sussistente (e irrevocabile) condanna per  il  reato  di
cui all'art. 640-bis c.p. (Truffa aggravata per il  conseguimento  di
erogazioni  pubbliche)  e',  dunque,   circostanza   (paccamente   e)
automaticamente ostativa al rilascio della liberatoria». 
    Tale decisione e' stata, pur tuttavia riformata dal Consiglio  di
Stato,  sez.  III,  con  ordinanza  18  ottobre  2019,  n.  5291,  in
accoglimento dell'appello proposto dall'interessato. 
    Il giudice di appello ha ritenuto, in particolare,  la  pronuncia
di  questo  Tar  «parzialmente  condivisibile,  con   riguardo   alle
argomentazioni riferite all'insussistenza della violazione  dell'art.
7 della legge n. 241/1990 e  all'equiparazione  tra  la  sentenza  di
condanna e quella pronunciata in esito alla richiesta congiunta delle
parti del processo penale (patteggiamento)», ma necessitante, invece,
di ulteriore approfondimento, in sede  di  merito,  in  relazione  ai
«temi  decisori  relativi  alla  portata  retroattiva   della   nuova
previsione di cui all'art. 67, comma 8, ultimo  periodo  e,  in  ogni
caso,  i  temi  relativi   alla   intrinseca   ragionevolezza   della
disposizione,  anche  in  relazione  ai  profili  di  non   manifesta
infondatezza   delle   questioni   di   legittimita'   costituzionale
prospettati dalla parte ricorrente e comunque rilevabili di ufficio». 
    In vista dell'udienza pubblica del 29 gennaio 2020,  fissata  per
la trattazione del  ricorso,  il  ricorrente  ha  dimesso  memoria  a
migliore e conclusiva illustrazione delle proprie difese, insistendo,
in particolare, sui profili di denunciata  incostituzionalita'  della
norma di cui e' stata fatta applicazione nel caso  concreto,  traendo
in tal senso conforto dalle diffuse e motivate riflessioni svolte  al
riguardo dal Consiglio di Stato in  sede  di  appello  dell'ordinanza
cautelare di questo Tribunale. 
    La causa e' stata, quindi, chiamata alla detta  udienza  e,  poi,
trattenuta in decisione. 
    All'esito della Camera di Consiglio che  ne  e'  seguita,  questo
Tribunale  amministrativo   regionale,   melius   re   perpensa,   ha
pronunciato la seguente ordinanza, ritenendo, invero,  sussistenti  i
presupposti  per  sollevare  d'ufficio  questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 67, comma  8,  del  decreto  legislativo  n.
159/2011  (codice  antimafia),  introdotto  dall'art.  24,  comma  1,
lettera d) del decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113, convertito,  con
modificazioni, dalla legge 1° dicembre 2018, n.  132  per  violazione
dei principi di proporzionalita' e ragionevolezza di cui  all'art.  3
della  Costituzione  e  degli  articoli  25,  27,  38  e   41   della
Costituzione, anche in relazione agli articoli 6 e 7  CEDU,  laddove,
all'ultimo  periodo,  prevede   che   gli   effetti   automaticamente
interdittivi all'ottenimento, tra gli altri, di «altre  iscrizioni  o
provvedimenti a contenuto autorizzatorio, concessorio, o  abilitativo
per lo svolgimento di attivita' imprenditoriali, comunque denominati»
(art.  67,  comma  1,  lettera  f)  conseguono  anche  alla  condanna
(definitiva o pronunciata in secondo  grado)  per  il  reato  di  cui
all'art. 640-bis c.p.. 
Rilevanza della questione 
    La questione e' rilevante per le seguenti ragioni. 
    Al fine del decidere viene in  rilievo  la  disposizione  di  cui
all'art. 67, comma 8, del decreto  legislativo  n.  159/2011  (codice
antimafia),  introdotto  dall'art.  24,  comma  1,  lettera  d)   del
decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113, convertito, con  modificazioni,
dalla legge 1° dicembre 2018, n. 132, che  recita:  «Le  disposizioni
dei commi 1, 2 e 4 si applicano anche  nei  confronti  delle  persone
condannate con  sentenza  definitiva  o,  ancorche'  non  definitiva,
confermata in grado di appello, (...) per i  reati  di  cui  all'art.
640, secondo comma, n. 1), del codice penale, commesso a danno  dello
Stato o di un altro ente pubblico,  e  all'art.  640-bis  del  codice
penale.» 
    In  virtu'  di  tale  disposizione,  di  cui  ha  fatto  puntuale
applicazione il Prefetto  di  Udine,  sono  state,  invero,  ritenute
sussistenti  a  carico  del  ricorrente,  le  cause  di  divieto,  di
sospensione o  di  decadenza  di  cui  all'art.  67,  automaticamente
ostative  al  conseguimento  o  al  mantenimento  di   iscrizioni   o
provvedimenti a contenuto autorizzatorio, concessorio, o  abilitativo
per lo svolgimento di attivita' imprenditoriali, comunque denominati. 
    Secondo il tenore letterale  della  norma,  il  ricorso  dovrebbe
essere respinto poiche' il ricorrente ha riportato una  condanna  per
il reato di cui all'art. 640-bis c.p.. 
    Laddove venisse, tuttavia, accolta la questione  di  legittimita'
costituzionale dianzi sinteticamente prospettata il presente giudizio
avrebbe   un   esito   diverso,    in    quanto    la    riconosciuta
incostituzionalita' in parte qua della norma oggetto di  applicazione
determinerebbe,  per  l'appunto,   l'annullamento   dell'informazione
antimafia  interdittiva  notificata  al  ricorrente   quale   effetto
automatico della condanna riportata. 
    Il Tribunale ritiene, peraltro, che la norma positiva, cosi' come
formulata, non lascia, allo stato,  alcuno  spazio  per  un'eventuale
lettura  costituzionalmente  orientata  nei  sensi  prospettati   dal
ricorrente (ovvero  escludendone  la  portata  retroattiva,  riferita
cioe' a comportamenti posti in  essere  e/o  a  sentenze  pronunciate
prima della sua entrata in vigore), dato  che,  come  gia'  osservato
nell'ordinanza con cui  e'  stata  denegata  al  medesimo  la  tutela
cautelare invocata, la  natura  cautelare  e  preventiva  tipicamente
propria dell'interdittiva  antimafia  ovvero  il  suo  carattere  non
punitivo e, anzi, la sua assimilabilita' ad una misura di  sicurezza,
consente di  ritenere  la  relativa  applicazione  assoggettata  alla
disciplina dettata dall'art. 200 c.p. in tema di successione di leggi
nel tempo. 
    Ad avviso del collegio il profilo della retroattivita'  potrebbe,
dunque, essere apprezzato solo in uno con quello della ragionevolezza
della disposizione, ma cio' pare possibile  solo  nell'ambito  di  un
giudizio di costituzionalita' e non, in via meramente interpretativa,
da parte di questo giudice, ostandovi, per l'appunto, la formulazione
della norma che prevede un automatismo ostativo al conseguimento o al
mantenimento   di   iscrizioni   o    provvedimenti    a    contenuto
autorizzatorio, concessorio, o  abilitativo  per  lo  svolgimento  di
attivita' imprenditoriali, comunque denominati nei confronti  di  chi
ha subito condanna per truffa aggravata. 
Sulla non manifesta infondatezza della questione 
    Il  collegio  condivide,  innanzitutto,  facendole  proprie,   le
motivate osservazioni svolte dalla III sezione del Consiglio di Stato
nella su indicata ordinanza cautelare n. 5281/2019, laddove e'  stato
posto, in particolare, l'accento sul fatto che: 
        «in linea generale, le  misure  di  prevenzione  antimafia  a
carattere  interdittivo  possono  legittimamente  attribuire  rilievo
anche a fatti (e reati) accaduti in un tempo  precedente  all'entrata
in vigore della disciplina che le prevede,  in  considerazione  della
loro funzione preventiva e non afflittiva; 
        occorre  peraltro  verificare,  di  volta  in  volta,  se  la
previsione  di  un  effetto  interdittivo  automatico  conseguente  a
determinate condanne penali persegua la finalita'  di  completare  il
trattamento  sanzionatorio  correlato  al   reato   o   si   colleghi
all'interesse pubblico primario  del  contrasto  alle  organizzazioni
mafiose; 
        nella   materia   della   prevenzione   della    criminalita'
organizzata,  infatti,  il  legislatore  ordinario  e'  titolare   di
un'ampia  discrezionalita'  valutativa  nella  scelta  delle   misure
ritenute idonee allo scopo, ancorche' esse  incidano  sulle  liberta'
economiche e si fondino su accertamenti semplificati; 
        detta discrezionalita' puo' legittimamente manifestarsi anche
attraverso la previsione di effetti interdittivi automatici collegati
al verificarsi  di  determinate  circostanze  considerate  pienamente
indicative del rischio di contaminazione mafiosa del tessuto  sociale
ed economico; 
        tuttavia, anche nella definizione di tali ipotesi resta fermo
il necessario controllo di ragionevolezza e di proporzionalita' delle
disposizioni legislative, ex art. 3  della  Costituzione,  secondo  i
parametri sviluppati dalla giurisprudenza della Corte costituzionale,
nonche' l'esigenza di rispettare i criteri imposti della CEDU e dalla
Carta di Nizza in materia di tutela dei diritti fondamentali; 
        in tale prospettiva, e', allo stato, dubbia la ragionevolezza
della norma inserita nell'ultimo periodo dell'art. 67, comma 8, nella
misura in cui essa parifica -  ai  fini  della  determinazione  degli
automatici effetti interdittivi - alla  situazione  della  definitiva
adozione di una misura di prevenzione tipica, adottata all'esito  dei
procedimenti di cui al libro primo, titolo I,  capo  II,  del  codice
antimafia, e alla situazione della condanna  di  gravissimi  reati  a
struttura associativa,  finalizzati  alla  commissione  di  specifici
delitti (espressione quindi di un'attivita' criminale organizzata  di
carattere economico) la diversa ipotesi della condanna per  il  reato
di cui all'art. 640-bis,  il  quale  non  ha  struttura  associativa,
risulta  punito  con  sanzioni   molto   inferiori   e,   nella   sua
configurazione  normativa,  non  e'  necessariamente   correlato   ad
attivita' della criminalita' organizzata (come, del resto, risulta in
concreto accertato dalla  sentenza  di  condanna  patteggiata  subita
dall'appellante); 
        il dubbio sulla  ragionevolezza  di  tale  previsione  deriva
altresi' dalla circostanza che  la  condanna  per  il  reato  di  cui
all'art. 640-bis (insieme alle ipotesi di condanna per  altri  titoli
di reato, previsti 353, 353-bis, 603-bis, 629, 644, 648-bis,  648-ter
del codice penale, dei delitti di cui all'art. 51, comma  3-bis,  del
codice di  procedura  penale  e  di  cui  all'art.  12-quinquies  del
decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito,  con  modificazioni,
dalla legge 7 agosto 1992, n. 356)  nello  stesso  codice  antimafia,
all'art. 84, comma 4, lettera a) e' opportunamente  considerato  come
elemento  da  cui  e'  possibile  inferire   (senza,   pero',   alcun
automatismo probatorio) la sussistenza  di  un  rischio  concreto  di
infiltrazione mafiosa  o  della  criminalita'  organizzata,  ai  fini
dell'adozione di un'informativa interdittiva; 
        in  tal   senso,   nel   contesto   dell'art.   84,   risulta
perfettamente  coerente  la  collocazione  dell'art.  640-bis  tra  i
"delitti-spia"  significativamente  indicativi  della  capacita'   di
penetrazione  nell'economia  legale  da  parte   della   criminalita'
organizzata, come ben evidenziato dal decreto cautelare presidenziale
n. 4808/2019». 
    Alla luce di quanto  sin  qui  riportato  pare,  quindi,  potersi
rilevare, come gia' anche la III sezione del Consiglio di Stato,  che
il previsto effetto interdittivo automatico  della  condanna  per  il
reato di cui all'art.  640-bis,  previsto  dall'art.  67  del  codice
antimafia,  potrebbe   risultare,   allo   stato,   irragionevolmente
sproporzionato rispetto  alla  finalita'  preventiva  perseguita  dal
legislatore,  il  che  alimenta  anche   l'ulteriore   dubbio   sulla
legittimita'  della   sua   applicabilita'   retroattiva,   potendosi
ipotizzare che la sua finalita' sia sostanzialmente  punitiva  e  non
preventiva,   con   la   conseguente   applicazione   dei    principi
costituzionali e convenzionali in materia di  irretroattivita'  delle
norme penali. 
    Con riguardo al profilo della ritenuta violazione dei principi di
proporzionalita'  e  ragionevolezza   di   cui   all'art.   3   della
Costituzione pare, inoltre, opportuno ricordare che la ragionevolezza
delle leggi e' corollario del principio di uguaglianza ed  esige  che
le disposizioni normative contenute in atti aventi  valore  di  legge
siano  adeguate,  o  congruenti,  rispetto  al  fine  perseguito  dal
legislatore, con la conseguenza che sussiste la  violazione  di  tale
principio laddove si riscontri una contraddizione all'interno di  una
disposizione legislativa, oppure tra essa ed  il  pubblico  interesse
perseguito che costituisce un  limite  al  potere  discrezionale  del
legislatore, impedendone un esercizio arbitrario. 
    Nel caso di specie, il dubbio di costituzionalita'  riguarda  una
norma la quale fa  derivare  un  effetto  interdittivo  automatico  a
carico di soggetti che sono stati condannati  per  un  reato  (truffa
aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche)  che  non  e'
riconducibile  tout  court  alla  criminalita'  organizzata  di  tipo
mafioso e che puo', al  piu',  costituire  mera  circostanza  da  cui
desumere, nello specifico caso concreto e attraverso una  compiuta  e
diffusa  valutazione  di  carattere  necessariamente   discrezionale,
elementi  sintomatici  di  contiguita'  al  fenomeno  mafioso   della
specifica condotta posta  in  essere.  La  disposizione,  laddove  fa
derivare automatici effetti ostativi,  appare,  quindi,  eccedere  lo
scopo che si propone che e' quello di contrastare, mediante  apposite
misure di carattere preventivo, il dilagare dell'ingerenza  da  parte
della criminalita' organizzata nel  tessuto  socio-economico,  che  -
come ripetutamente evidenziato dal Consiglio di Stato  -  ha  effetti
inquinanti e falsanti il libero e  naturale  sviluppo  dell'attivita'
economica nei settori infiltrati, con grave vulnus, non solo  per  la
concorrenza, ma per la stessa liberta' e dignita'  umana  (ex  multis
Cons. Stato, sez. III, 24 aprile 2020, n. 2651). 
    Al collegio pare, dunque, che  l'automatismo  previsto  nel  caso
specifico   non   sia   direttamente   e   immediatamente   correlato
all'interesse pubblico generale a preservare l'integrita' del tessuto
economico sociale di mercato libero e  competitivo  e  che  piuttosto
elida, in spregio ai principi di proporzionalita' e ragionevolezza di
cui  all'art.  3  della  Costituzione,  la  liberta'  di   iniziativa
economica privata assicurata dall'art. 41  della  Costituzione  e  la
possibilita'   di   svolgere   qualsivoglia   attivita'   lavorativa,
professionale ed economica soggetta a «iscrizioni o  provvedimenti  a
contenuto autorizzatorio, concessorio, o abilitativo». 
    Nel caso di specie - pur non essendovi (o, comunque, non  essendo
stata  data  alcuna  evidenza)   della   sussistenza   di   effettive
correlazioni  alla  «mafia»  della  condotta  posta  in  essere   dal
ricorrente e sanzionata con la condanna da cui in sede amministrativa
sono state fatte derivare nei confronti  del  ricorrente  conseguenze
cosi' gravemente pregiudizievoli in forza della norma di legge di cui
viene  messa  in  dubbio  la  costituzionalita'  -  il  provvedimento
impugnato incide,  invero,  compromettendola,  sull'intera  attivita'
imprenditoriale del medesimo, soggetta a regime autorizzatorio, quali
l'iscrizione alla Camera di commercio e all'albo professionale  degli
ingegneri. 
    Nessun utile elemento che possa  indurre  a  ritenere,  comunque,
ragionevolmente giustificato l'inserimento del reato di cui  all'art.
640-bis  c.p.  tra  quelli  aventi  immediata  e  automatica  valenza
ostativa risulta, peraltro, ritraibile nemmeno dagli atti preparatori
della legge (relazione che accompagna il decreto-legge n.  113/2018 -
Atto Senato n. 840, p. 21), ove si legge che:  «La  disposizione  che
modifica il comma 8 dell'art. 67 (art. 24, comma 1,  lettera  d)  del
decreto-legge) e' finalizzata ad estendere gli effetti dei divieti  e
delle decadenze previsti dai commi 1,  2  e  4  del  citato  articolo
derivanti dall'applicazione di misure di  prevenzione  nei  confronti
delle persone condannate con sentenza definitiva o,  ancor  che'  non
definitiva, confermata in grado di appello,  anche  per  i  reati  di
truffa ai danni dello Stato o altro ente  pubblico  di  cui  all'art.
640, secondo comma, numero 1), del codice penale,  e  per  quello  di
truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, di cui
all'art. 640-bis del medesimo codice. A seguito di  tale  intervento,
conseguentemente, si applicano ai predetti  soggetti  le  fattispecie
ostative che impediscono il rilascio della documentazione  antimafia,
delle comunicazioni antimafia di cui all'art. 84  e  delle  verifiche
antimafia di cui all'art. 85 del codice antimafia. 
    Ed invero i reati di truffa ai danni dello  Stato  o  altro  ente
pubblico, di cui all'art. 640, secondo comma, numero 1),  del  codice
penale e di truffa  aggravata  per  il  conseguimento  di  erogazioni
pubbliche, di cui all'art. 640-bis dello  stesso  codice,  nonostante
siano nella prassi le  attivita'  delittuose  poste  in  essere  piu'
frequentemente per ottenere il controllo illecito degli appalti,  non
figurano, nel quadro normativo attuale, tra le ipotesi  rilevanti  al
fine del diniego del rilascio della documentazione antimafia. A  tale
lacuna pone rimedio la disposizione  in  commento,  che  modifica  il
comma 8 dell'art. 67 del codice antimafia». 
    Come  opportunamente  osservato  dal  ricorrente  nella   memoria
dimessa in vista dell'odierna udienza, i reati  di  truffa  ai  danni
dello Stato o altro  ente  pubblico  (art.  640  c.p.)  e  di  truffa
aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche (art.  640-bis
c.p.), attribuiti alla competenza  dei  Tribunali  territoriali,  non
rientrano, infatti, nel novero di  quelli  effettivamente  legati  ad
attivita' distorsive in materia di appalti pubblici [come ad es. art.
353 c.p. (turbata liberta' degli incanti), art. 353-bis c.p. (turbata
liberta' del procedimento di scelta del contraente),  art.  354  c.p.
(astensione  dagli  incanti);  art.  356  c.p.  (frode  in  pubbliche
forniture)], sicche' ritenere che gli stessi siano «nella  prassi  le
attivita' delittuose poste in essere piu' frequentemente per ottenere
il controllo illecito degli appalti»  costituisce,  in  effetti,  una
«non giustificazione» che viepiu' avvalora  l'irragionevolezza  della
disposizione legislativa in  questione,  in  quanto  non  offre,  tra
l'altro, alcuna evidenza delle concrete ed effettive ragioni per  cui
sono stati messi sullo stesso piano dei gravissimi  reati  menzionati
all'art. 51, comma 3-bis  c.p.p.  (attributi  alla  competenza  della
Procura Distrettuale Antimafia e quindi al  Tribunale  distrettuale),
essendo oltremodo palese il diverso grado di disvalore delle condotte
rispettivamente sanzionate. 
    Da ultimo preme, inoltre, ribadire, come gia' dianzi  anticipato,
che l'irragionevole assimilazione nel contesto della  norma  che  qui
viene in rilievo del reato di cui all'art.  640-bis  c.p.  a  quelli,
decisamente piu' gravi, indicati all'art. 51, comma 3-bis, c.p.p.  si
traduce sostanzialmente in un inasprimento, peraltro in assenza di un
previa ed equa valutazione giudiziale  e  del  legittimo  e  compiuto
esercizio di tutte le prerogative difensive, del regime sanzionatorio
previsto  per  il  reato  che  assume   rilievo,   che   si   scontra
inevitabilmente con i principi di cui agli articoli  25  e  27  della
Costituzione, anche in  relazione  agli  articoli  6  e  7  CEDU,  in
particolare laddove,  come  nel  caso  di  specie,  siffatti  effetti
pregiudizievoli vengono fatti derivare anche da sentenze  pronunciate
antecedentemente all'entrata in vigore dell'art. 24, comma 1, lettera
d)  del  decreto-legge  4  ottobre  2018,  n.  113,  convertito,  con
modificazioni, dalla legge 1° dicembre 2018, n. 132, che ha  inserito
l'art. 640-bis c.p.p.  all'interno  dell'art.  67,  comma  8, decreto
legislativo n. 159/2011. 
    Per le ragioni sin qui esposte, il collegio, ritenendo  rilevante
e  non  manifestamente  infondata  la   questione   di   legittimita'
costituzionale dianzi prospettata, la  solleva  d'ufficio,  ai  sensi
dell'art. 23 della  legge  n.  87  dell'11  maggio  1983,  e  dispone
l'immediata  trasmissione  degli  atti  alla  Corte   costituzionale,
sospendendo, al contempo, il giudizio in corso. 
    Ogni ulteriore statuizione in rito, in merito e  in  ordine  alle
spese e' riservata alla decisione definitiva. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Il  Tribunale  amministrativo  regionale  per  il  Friuli-Venezia
Giulia, Sezione Prima, dichiara  rilevante  per  la  definizione  del
presente giudizio e non manifestamente infondata, per le  ragioni  di
cui in motivazione, la questione di costituzionalita'  dell'art.  67,
comma 8, del decreto  legislativo  n.  159/2011  (codice  antimafia),
introdotto dall'art. 24, comma 1,  lettera  d)  del  decreto-legge  4
ottobre 2018, n. 113, convertito, con modificazioni, dalla  legge  1°
dicembre 2018, n. 132 per violazione dei principi di proporzionalita'
e ragionevolezza  di  cui  all'art.  3  della  Costituzione  e  degli
articoli 25, 27, 38 e 41 della Costituzione, anche in relazione  agli
articoli 6 e 7 CEDU, laddove, all'ultimo  periodo,  prevede  che  gli
effetti automaticamente interdittivi all'ottenimento, tra gli  altri,
di «altre iscrizioni  o  provvedimenti  a  contenuto  autorizzatorio,
concessorio,  o  abilitativo  per   lo   svolgimento   di   attivita'
imprenditoriali, comunque denominati» (art. 67, comma 1,  lettera  f)
conseguono anche alla condanna (definitiva o pronunciata  in  secondo
grado) per il reato di cui all'art. 640-bis c.p.. 
    Conseguentemente   solleva   la   questione    di    legittimita'
costituzionale della norma citata nei sensi dianzi precisati. 
    Sospende,  per  l'effetto,  il  giudizio  fino  alla  definizione
dell'incidente di costituzionalita' di  cui  alla  questione  data  e
ordina   la   immediata   trasmissione   degli   atti   alla    Corte
costituzionale. 
    Manda alla Segreteria  di  provvedere  alla  notificazione  della
presente ordinanza alle parti in causa e al Presidente del  Consiglio
dei ministri, nonche' alla comunicazione della stessa  ai  Presidenti
delle due Camere del Parlamento. 
    Ordina che la  presente  ordinanza  sia  eseguita  dall'autorita'
amministrativa. 
    Vista la richiesta dell'interessato e ritenuto che  sussistano  i
presupposti di cui all'art. 52, comma 1, del decreto  legislativo  30
giugno 2003, n. 196, a tutela dei  diritti  o  della  dignita'  della
parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento
delle  generalita'  nonche'  di  qualsiasi  altro  dato   idoneo   ad
identificare la parte medesima. 
    Cosi' deciso in Trieste nella Camera di Consiglio del  giorno  29
gennaio 2020 con l'intervento dei magistrati: 
        Oria Settesoldi, Presidente; 
        Manuela Sinigoi, consigliere, estensore; 
        Nicola Bardino, referendario. 
 
                      Il Presidente: Settesoldi 
 
                                                 L'estensore: Sinigoi