N. 127 ORDINANZA (Atto di promovimento) 16 luglio 2020
Ordinanza del 16 luglio 2020 del G.U.P. del Tribunale di Piacenza nel procedimento penale a carico di F. A.. Processo penale - Giudizio abbreviato - Modifiche normative introdotte con la legge n. 33 del 2019 - Previsione che non e' ammesso il giudizio abbreviato per i delitti puniti con la pena dell'ergastolo - Abrogazione del secondo e del terzo periodo del comma 2 dell'articolo 442 del codice di procedura penale. - Codice di procedura penale, art. 438, comma 1-bis, inserito dall'art. 1 [, comma 1, lettera a),] della legge 12 aprile 2019, n. 33 (Inapplicabilita' del giudizio abbreviato ai delitti puniti con la pena dell'ergastolo); legge 12 aprile 2019, n. 33, art. 3.(GU n.38 del 16-9-2020 )
TRIBUNALE DI PIACENZA Ufficio dei Giudici per le indagini preliminari Il Giudice dell'Udienza preliminare, sentita l'eccezione formulata dall'avv. Andrea Perini, difensore dell'imputato F. A., all'udienza del 16 luglio 2020, con la quale e' stato chiesto di sollevare la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 438, comma 1-bis, del codice di procedura penale e dell'art. 3, legge 12 aprile 2019, n. 33, in relazione agli articoli 3, 27,commi 2 e 3, 111, commi 2 e 5, Cost.; lette le memorie depositate dalla difesa dell'imputato; sentiti il Pubblico Ministero e il difensore delle parti civili; Osserva 1. Premessa. Si procede nei confronti di F. A., rinviato a giudizio per la violazione degli articoli 575, 577 comma 1 n. 1 del codice penale, come descritta all'interno del seguente capo di imputazione: «perche' dopo una colluttazione, colpiva ripetutamente la moglie convivente E. A. D. con un coltello da cucina provocandole plurime ferite, una delle quali risultata mortale: la colpiva infatti al collo (nella regione antero-laterocervicale sinistra) in modo tale da trapassarlo quasi completamente da parte a parte cosi' procurandole rapidamente la morte per emorragia e asfissia. Con la aggravante di aver commesso il fatto ai danni del coniuge. Fatto commesso il ..., in data 6 maggio 2019. Con la recidiva generica». All'udienza odierna l'imputato ha chiesto di essere giudicato con il rito abbreviato, invocando un'interpretazione «costituzionalmente orientata» dell'art. 438, comma 1-bis, del codice di procedura penale, nella parte in cui esclude la possibilita' di accedere al giudizio abbreviato quando si procede per reati puniti con la pena dell'ergastolo. In seguito alla dichiarazione di inammissibilita' di tale richiesta ad opera di questo G.U.P., la difesa ha eccepito l'illegittimita' costituzionale del suddetto art. 438, comma 1-bis, del codice di procedura penale, nonche' dell'art. 3, legge 12 aprile 2019, n. 33 (il quale aveva abrogato il secondo e il terzo periodo del comma 2 dell'art. 442 del codice di procedura penale) in relazione a una serie di parametri costituzionali, in precedenza menzionati. La questione risulta rilevante e non manifestamente infondata. 2. La rilevanza della questione. Come noto, la legge 12 aprile 2019, n. 33, entrata in vigore il successivo 20 aprile 2019, all'art. 1 ha previsto l'inserimento, nel testo dell'art. 438 del codice di procedura penale, del comma 1-bis, con il quale viene stabilito che «non e' ammesso il giudizio abbreviato per i delitti puniti con la pena dell'ergastolo». Come conseguenza di tale statuizione, l'art. 3 della stessa legge ha disposto l'abrogazione del secondo e terzo periodo del comma 2 dell'art. 442 del codice di procedura penale, i quali disciplinavano le modalita' di computo delle riduzioni sanzionatorie nelle ipotesi di condanna all'esito di giudizio abbreviato per delitti puniti con la pena dell'ergastolo. Le modifiche normative appena descritte risultano applicabili al caso di specie, anzitutto in quanto la contestazione del reato di omicidio volontario riguarda un fatto avvenuto il 6 maggio 2019, quindi successivamente all'entrata in vigore della legge n. 33 del 2019, inoltre perche' il richiamo della circostanza aggravante di cui all'art. 577, comma 1, n. 1 del codice penale rende il reato per il quale si procede punibile con la sanzione dell'ergastolo. Cio' premesso, l'accertamento della legittimita' costituzionale del comma 1-bis dell'art. 438 del codice di procedura penale assume rilevanza nel procedimento in corso in quanto la vigenza di tale disposizione impedisce all'imputato di accedere al giudizio abbreviato. In proposito, non sono possibili letture alternative in grado di superare la preclusione in discorso, ad esempio sostenendo che, tecnicamente, il delitto per cui si procede e' sanzionato con la pena dell'ergastolo solo per effetto della contestazione dell'aggravante speciale sopra richiamata e che, dunque, sarebbe possibile ammettere il giudizio abbreviato per l'accertamento del reato di omicidio volontario, indipendentemente dalle ricadute sanzionatorie derivanti dal computo di eventuali aggravanti speciali. L'opzione interpretativa suggerita in tal senso dalla difesa, richiamando distinzioni tra delitti circostanziati e non circostanziati che sono state operate in altri interventi legislativi (tra i quali quello in tenia di «messa alla prova», con legge 28 aprile 2014, n. 67), non si ritiene percorribile nel caso di specie. L'intervento normativo attuato con la legge n. 33 del 2019, infatti, come si avra' modo di precisare in seguito, non e' stato volto ad escludere dal novero delle ipotesi nelle quali si possa procedere con il rito abbreviato una determinata categoria di reati, ma ha proprio perseguito il chiaro scopo di evitare che la peculiare premialita' sanzionatoria associata a questo procedimento speciale, per il caso di condanna, possa di fatto stemperare la gravita' di fatti percepiti come di estremo allarme sociale. Da questo punto di vista, nell'ottica del legislatore del 2019, l'attenzione e' stata evidentemente focalizzata sull'esigenza di impedire la realizzazione di un certo tipo di risultato finale, ritenuto non coerente con la tenuta del sistema (e stridente con la sensibilita' dell'opinione pubblica), piuttosto che disciplinare a priori un catalogo di illeciti - circostanziati o non circostanziati - per i quali escludere l'accesso al rito abbreviato. Del resto, come correttamente sottolineato dalla difesa dell'imputato, la volonta' legislativa, tendente a porre in rilievo gli effetti sul piano sanzionatorio di determinate contestazioni piu' che la loro riconducibilita' a un certo novero di fattispecie, si percepisce nitidamente nell'inserimento, avvenuto sempre con legge n. 33 del 2019, del nuovo comma 1-bis dell'art. 441-bis del codice di procedura penale, il quale prevede che «se, a seguito delle contestazioni, si procede per delitti puniti con la pena dell'ergastolo, il giudice revoca, anche d'ufficio, l'ordinanza con cui era stato disposto il giudizio abbreviato e fissa l'udienza preliminare o la sua eventuale prosecuzione». Nel concetto di nuove contestazioni, infatti, deve ritenersi compresa anche quella di una circostanza aggravante ad effetto speciale, capace di influire sulla punibilita' del fatto con la pena dell'ergastolo, che comporta, secondo quanto previsto dalla nuova nonna, la revoca dell'ammissione del giudizio abbreviato e il ritorno alla fase dell'udienza preliminare. Fatta questa premessa circa l'impossibilita' di pervenire a interpretazioni «costituzionalmente orientate» della normativa impugnata, si conferma il profilo della rilevanza della questione, in quanto appare pacifico che il procedimento nel quale e' stata proposta l'eccezione di incostituzionalita' dell'art. 438, comma 1-bis del codice di procedura penale, a seguito della declaratoria di inammissibilita' dell'istanza di giudizio abbreviato formulata dalla difesa, non e' suscettibile di proseguire senza che la norma oggetto sia sottoposta a scrutinio di legittimita' costituzionale. In particolare, per l'imputato F. non sussistono altre strade se non quella del processo ordinario, connotato, nell'ipotesi di emissione di decreto di rinvio a giudizio, dalla celebrazione del dibattimento di fronte alla Corte di Assise. Nel caso di emissione di sentenza di non luogo a procedere ai sensi dell'art. 425 del codice di procedura penale, poi, l'imputato resterebbe comunque a rischio di una possibile revoca del provvedimento conclusivo della fase processuale, alle condizioni previste dagli articoli 434 ss. del codice di procedura penale. Entrambe le prospettive appena enunciate, alle quali si aggiungono ulteriori conseguenze pregiudizievoli - pensando ad esempio al prolungamento del periodo di custodia cautelare durante il dibattimento - rendono fondata l'aspirazione difensiva alla definizione del processo con rito abbreviato, rispetto alla quale unico strumento di tutela resta la proposizione di incidente di costituzionalita'. Si aggiunga, infine, una chiosa relativa alle ricadute della nuova disciplina sul tema dell'esecuzione della pena in caso di condanna, in relazione al quale, non potendo piu' contare sulle sostituzioni sanzionatorie previste dall'art. 442, comma 2, del codice di procedura penale nel testo precedente all'avvenuta abrogazione, il condannato all'ergastolo vedrebbe restringersi notevolmente la possibilita' di fruire, in termini di tempo e di opportunita', di una serie di benefici penitenziari. Sulla base di simili considerazioni va affermata la rilevanza della questione che si inoltra alla Corte costituzionale. 3. La non manifesta infondatezza. Tenuto conto delle argomentazioni illustrate dalla difesa dell'imputato all'udienza odierna e all'interno di apposita memoria depositata agli atti, questo Giudice reputa la questione di legittimita' costituzionale delle norme oggetto non manifestamente infondata unicamente in relazione ai parametri rappresentati dagli articoli 3, 27, comma 2 e 111, comma 2, Cost. Non si condivide, invece, la prospettazione difensiva in ordine alla presunta illegittimita' costituzionale delle disposizioni impugnate in relazione all'articoli 27, comma 3, e all'art. 111, comma 5, Cost. Conviene partire dall'illustrazione del presunto contrasto tra il nuovo testo dell'art. 438, comma 1-bis, del codice di procedura penale e l'art. 27, comma 2, Cost., espressione della presunzione di non colpevolezza in materia penale. Al riguardo, si richiama il contenuto della relazione accompagnatoria della proposta di legge n. 392 del 27 marzo 2018, nella parte in cui riporta le seguenti osservazioni a sostegno dell'iniziativa legislativa assunta: «Se, infatti, consentire la scelta del giudizio abbreviato risulta giustificabile in via generale per motivi legati a esigenze deflative, cio' non sembra accettabile per reati che, in ragione della loro gravita', il codice penale punisce tanto severamente e che creano un grave allarme sociale nell'opinione pubblica. Desta sconcerto l'applicazione, molte volte, di pene notevolmente ridotte rispetto alla pena perpetua inizialmente prevista dal codice penale». Ebbene, come gia' accennato in precedenza, appare evidente che la scelta normativa di escludere l'accesso al rito abbreviato sia stata attuata al precipuo scopo di evitare che il meccanismo delle riduzioni sanzionatorie operante in caso di condanna possa provocare effetti in contrasto con la percezione della gravita' di certi episodi delittuosi da parte dell'opinione pubblica. L'opzione seguita risulta espressione della discrezionalita' del legislatore e, come detto, risponde all'esigenza di soddisfare le istanze punitive provenienti da una parte dell'elettorato: sennonche', la disciplina volta al perseguimento di tale scopo appare chiaramente in contrasto con la presunzione di non colpevolezza. In altri termini, nell'impedire a un imputato rinviato a giudizio per reati astrattamente puniti con la pena dell'ergastolo di accedere al rito abbreviato solo ed esclusivamente per evitare il rischio che, in caso di condanna, la pena possa risultare troppo mite rispetto al comune sentire, il legislatore ha implicitamente anticipato un'affermazione di colpevolezza dell'accusato, precludendo allo stesso di fruire di una modalita' procedurale di accertamento dei fatti e delle responsabilita' che non necessariamente deve concludersi con una sentenza di condanna. Ancorche' nei lavori preparatori dell'attuale Codice di procedura penale il giudizio abbreviato fosse stato definito «patteggiamento sul rito» con innegabile attribuzione di valore specifico alla premialita' dell'istituto per l'ipotesi di condanna, non si puo' negare che la consistente riduzione di pena prevista in favore del condannato sia controbilanciata dall'accettazione di un giudizio «allo stato degli atti» senza possibilita' per il richiedente - quanto meno nelle forme dell'abbreviato «semplice» - di beneficiare del metodo del contraddittorio nella formazione della prova. In questo senso, tuttavia, l'accettazione del processo celebrato sulla sola base delle risultanze investigative non puo' essere collegata univocamente alla convinzione dell'imputato di essere condannato, ma puo' ben essere sostenuta dall'intenzione di ottenere una pronuncia di proscioglimento nel merito proprio fondata su lacune o incertezze degli esiti delle indagini, non suscettibili di ulteriore sbocco probatorio nella fase dibattimentale. Alla luce di queste considerazioni, e' evidente che lo sbarramento all'accesso al rito abbreviato, disciplinato unicamente attraverso il riferimento alla tipologia di pena irrogabile in caso di condanna, comporta un'illegittima violazione del principio di cui all'art. 27, comma 2, Cost., impedendo all'imputato - presunto non colpevole - di poter contare su una procedura piu' snella e celere rispetto a quella dibattimentale per giungere all'accertamento della sua eventuale responsabilita', ma anche al suo proscioglimento. A questo tema si lega la compressione del principio della ragionevole durata del processo, salvaguardato dall'art. 111, comma 2, Cost. Il valore appena menzionato rappresenta, all'interno del dettato costituzionale, una garanzia della giurisdizione, ma non puo' essere sottaciuta la sua diretta assonanza con il canone enunciato nel par. 1 dell'art. 6 C.e.d.u. tra i diritti soggettivi dell'accusato, norma da ritenersi di rango costituzionale, visto il meccanismo di richiamo dei principi sovranazionali assicurato dall'art. 117 Cost. La limitazione dell'accesso al giudizio abbreviato per colui che risulta imputato di un delitto astrattamente punito con la pena dell'ergastolo influisce indubbiamente sulle prospettive di celerita' di un processo che, in assenza di alternative, deve essere necessariamente celebrato secondo il rito ordinario. Valutando come, per la previsione di cui all'art. 5 del codice di procedura penale, la competenza a giudicare i delitti sanzionati con la pena dell'ergastolo spetti alla Corte di Assise, si devono prendere in considerazione una serie di fattori che inevitabilmente incidono sulla durata della fase processuale, per ragioni che possono essere ricondotte alla fisiologia del sistema e ad alcune situazioni patologiche. In prima battuta, e' chiaro che lo svolgimento di udienze dibattimentali dedicate all'assunzione di prove orali - tra le quali vanno ricomprese non solo le testimonianze ma anche l'esame di periti e consulenti tecnici - cosi come l'impossibilita' di fruire, se non con il consenso delle parti, di contributi probatori gia' confezionati al termine delle indagini (quali ad esempio le trascrizioni sommarie delle conversazioni intercettate), costituiscono elementi di sicura rilevanza nella valorizzazione dei tempi processuali. A cio' si aggiungano, come fattore di rischio di allungamento dei tempi del processo, le probabilita' di mutamento in corso di causa della composizione di un collegio formato, come quello della Corte di Assise, da otto giudici, con un rischio concreto di ripetizione dell'istruttoria dibattimentale ben piu' tangibile rispetto a quanto potrebbe verificarsi nel corso di un giudizio «allo stato degli atti» celebrato di fronte a un giudice monocratico. Oltre a tali aspetti, come detto, non puo' ignorarsi l'incidenza di disfunzioni patologiche del sistema, le quali non sono state oggetto di intervento normativa contestualmente alla modifica legislativa oggi oggetto di impugnazione. Ci si riferisce, in proposito, alle note difficolta' di organizzazione di processi di competenza della Corte di Assise in realta' di uffici giudiziari medio-piccoli (come Piacenza), dove non e' generalmente prevista l'istituzione di sezioni appositamente dedicate a simili incombenze, con il problema della calendarizzazione di udienze «eccezionali» rispetto al regime ordinario delle trattazioni assegnate ai giudici togati in servizio pressa il Tribunale. I profili appena delineati rendono palese come la scelta di ridurre le possibilita' di accesso al giudizio abbreviato, escludendo simile modalita' di accertamento dei fatti per determinati illeciti, comporti una illegittima compressione sia dell'aspettativa dell'imputato alla celebrazione di un processo in tempi congrui - tanto piu' allorche', come nel caso di F., lo stesso si trovi in stato di custodia cautelare - sia del principio della ragionevole durata del processo quale garanzia della giurisdizione e valvola di equilibrato funzionamento del sistema. Richiamate tutte le osservazioni appena svolte, si conclude l'illustrazione della questione di legittimita' costituzionale delle specifiche previsioni introdotte con legge n. 33 del 2019 concentrandosi sulla violazione dell'art. 3 Cost., sotto il profilo dell'eguaglianza e della ragionevolezza. In proposito, giova rilevare come le disposizioni impugnate abbiano inteso delimitare l'ambito di operativita' del giudizio abbreviato, identificando un'importante eccezione rispetto alla regola generale che consente l'accesso a tale rito speciale per tutte le tipologie di reato. La preclusione in discorso risulta fondata sulla previsione in astratto della punibilita' con l'ergastolo del delitto per il quale si procede. Si tratta di una scelta frutto della discrezionalita' del legislatore che, in linea di principio, puo' sicuramente operare nell'individuazione delle tipologie di reato per le quali non consentire la celebrazione del processo attraverso riti diversi da quello ordinario (cosi' Corte cost., ord. n. 455 del 28 dicembre 2006 in tema di patteggiamento). Il limite di tale discrezionalita', tuttavia, viene individuato dalla giurisprudenza costituzionale appena citata nell'arbitrarieta' delle scelte legislative, che si pongano in contrasto con criteri di ragionevolezza. Da questo punto di vista, non puo' negarsi che la nuova norma di cui all'art. 438, comma 1-bis, del codice di procedura penale, nell'impedire la trattazione del processo «allo stato degli atti» per l'imputato accusato di reati punti con la pena dell'ergastolo, realizzi un'irragionevole disparita' di trattamento tra situazioni omogenee e, contemporaneamente, parifichi ingiustificatamente situazioni assolutamente eterogenee, come peraltro evidenziato dalla difesa di F. A. Questo soggetto e' stato rinviato a giudizio per l'omicidio volontario della moglie: orbene, a causa dell'imputazione formulata a suo carico, che contempla la contestazione dell'aggravante di cui all'art. 577, comma 1, n. 1) del codice penale, egli non puo' ottenere di essere giudicato con le forme del rito abbreviato, mentre tale opportunita' non gli sarebbe stata preclusa se lui e la vittima fossero stati divorziati oppure legati da relazione affettiva ormai cessata, alla luce del disposto dell'art. 577, ult. comma, del codice penale. In altri termini, il disvalore penale del fatto, che in caso di accertamento con sentenza definitiva comporta - legittimamente - conseguenze sanzionatorie diverse per le situazioni appena menzionate, assume rilievo determinante nel condizionare, prima ancora di giungere all'applicazione della pena, le modalita' di svolgimento del processo. Un processo nel quale colui che e' accusato di aver ucciso il coniuge, cosi' come il presunto autore di ogni altro omicidio, potrebbe avere l'intenzione di essere giudicato con il rito abbreviato anche per arrivare piu' celermente alla propria assoluzione, non solo per ottenere uno sconto di pena in caso di condanna. La normativa attualmente in vigore, come si e' visto, preclude categoricamente una simile scelta, salva la possibilita' di «recupero» della riduzione sanzionatoria qualora, all'esito del dibattimento, il giudice dovesse riconoscere che sussistevano !e condizioni per la celebrazione del rito abbreviato, ai sensi del novellato art. 438, comma 6-ter, del codice di procedura penale. Proprio ragionando sulla portata di quest'ultima previsione normativa, si coglie un ulteriore profilo di irragionevolezza tra situazioni omogenee, che rende la nuova disciplina insanabilmente in contrasto con l'art. 3 Cost. Si pensi all'ipotesi in cui, proprio in tema di omicidio volontario, l'imputato venisse rinviato a giudizio ad esempio con la contestazione dell'aggravante della premeditazione, ex art. 577, comma 1, n. 3) del codice di procedura penale. Ebbene, qualora all'esito del processo (ordinario, celebrato innanzi alla Corte di Assise) la predetta circostanza aggravante dovesse essere esclusa, vi sarebbe la possibilita', per l'imputato che in udienza preliminare aveva sentito dichiarare inammissibile la propria richiesta di giudizio abbreviato, di godere della riduzione di un terzo della pena irroganda. Un beneficio non fruibile, invece, allorche' l'aggravante ad effetto speciale fosse bilanciata con eventuali circostanze attenuanti, in grado di incidere in senso favorevole sul computo dell'eventuale pena applicabile, ma senza dar luogo alle diminuzioni previste dall'art. 442 del codice di procedura penale. In simili situazioni, a prescindere dall'operativita' o meno della riduzione sanzionatoria, non puo' sfuggire l'illogicita' dell'attribuzione al Pubblico Ministero del potere di condizionare in maniera irreversibile, attraverso la contestazione di una circostanza aggravante la cui fondatezza possa essere accertata solo all'esito del dibattimento, la modalita' di svolgimento del processo, precludendo all'imputato ab origine la scelta del giudizio abbreviato, come ai tempi in cui, prima dell'entrata in vigore della legge 16 dicembre 1999, n. 479, l'organo della pubblica accusa era tenuto a esprimere il proprio consenso sulla richiesta di tale rito speciale. Si tratta, a ben vedere, di un'ulteriore dimostrazione della violazione del principio di eguaglianza, da intendersi come irragionevolezza della disciplina regolatrice di fattispecie analoghe. L'incongruenza della scelta legislativa si percepisce anche nell'aver destinato a una stessa preclusione processuale situazioni eterogenee, creando un'illogica parita' di trattamento tra le stesse. Basti pensare, al riguardo, che il catalogo dei reati punibili con la pena dell'ergastolo ricomprende al suo interno fattispecie completamente diverse tra di loro, sia per bene giuridico tutelato (evidenti le differenze tra il delitto di strage e quello di sequestro di persona a scopo di estorsione), sia per la tipologia di comportamento delittuoso sanzionato. Il minimo comun denominatore rappresentato dalla punibilita' con l'ergastolo, inoltre, finisce per raggruppare delitti che il legislatore del 2019 definisce nelle proprie intenzioni come di «grave allarme sociale», ma che non trovano corrispondenza nei cataloghi di illeciti gia' qualificati in tal modo per altri fini. Solo a titolo di esempio, si pensi all'elenco dei reati di cui all'art. 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale, rispetto ai quali si giustifica l'impiego di particolari strumenti di indagine; oppure ai delitti per i quali, ai sensi dell'art. 275, comma 3, del codice di procedura penale opera la presunzione di adeguatezza della custodia cautelare in carcere. Altro significativo riferimento alla conclamata gravita' dei reati si coglie nella disciplina di cui all'art. 4-bis legge 26 luglio 1975, n. 354, il quale impedisce ai relativi responsabili di godere di determinati benefici penitenziari. In altri termini, nella delimitazione dell'ambito operativo del giudizio abbreviato sono stati ricompresi una serie di delitti, accomunati esclusivamente dalla previsione sanzionatoria della pena dell'ergastolo, senza che sia ravvisabile, a livello di politica criminale, un tentativo di coordinamento con altre elencazioni di delitti definibili come di particolare gravita'. A ben vedere, a difettare di coerenza sistematica e' proprio la ragione giustificatrice stessa dell'intervento normativo attuato con legge n. 33 del 2019, nella parte in cui ha introdotto il comma 1-bis dell'art. 438 del codice di procedura penale, abrogando contestualmente il secondo e il terzo periodo del comma 2 dell'art. 442 del codice di procedura penale. Come si e' sottolineato in precedenza, infatti, il principio ispiratore della novella legislativa e' stato rappresentato dall'esigenza di evitare gli effetti «sconcertanti» derivanti dall'operativita' del meccanismo delle riduzioni sanzionatorie nelle ipotesi di delitti puniti con la pena dell'ergastolo. Ebbene, pur nel rispetto della discrezionalita' del legislatore, la scelta di limitare l'accesso al giudizio abbreviato nelle ipotesi in cui sia contestato un reato punito con la pena dell'ergastolo finisce per dar luogo a irragionevoli disparita' di trattamento e alle violazioni sopra enunciate di importanti valori costituzionali. E una simile opzione appare tanto piu' irragionevole, quanto piu' si pensi che la determinazione della pena in concreto e la sua proporzionalita' rispetto alla gravita' dei fatti da accertare dipende in larga misura dall'operativita' di altri e diversi istituti, dal meccanismo di bilanciamento delle circostanze alla valorizzazione dei criteri di cui agli articoli 132 e 133 del codice penale. Alla luce di tali considerazioni, si reputa non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale proposta in relazione ai parametri di cui agli articoli 3, 27, comma 2, 111, comma 2, Cost. 4. Le censure manifestamente infondate. Rispetto ai rilievi mossi dalla difesa dell'imputato, non si ritiene di condividere la valutazione di non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale con riguardo ai parametri di cui all'art. 27, comma 3, Cost. e 111, comma 5, Cost. Si reputa infatti che la normativa impugnata non abbia direttamente inciso in maniera illegittima sulla tendenza alla rieducazione del trattamento sanzionatorio applicabile all'imputato cui risulti preclusa la scelta del giudizio abbreviato, proprio perche', come sottolineato dalla difesa di F., la giurisprudenza costituzionale ha ormai da tempo escluso che vi sia contrasto tra l'affermazione del principio rieducativo della pena nel testo costituzionale e l'istituto dell'ergastolo. Dunque, una modifica normativa che possa, a livello statistico, comportare un ipotetico aumento di condanne alla pena dell'ergastolo - vista la restrizione delle ipotesi di accesso al rito abbreviato e di conseguente sostituzione, in caso di condanna, della pena della reclusione a quella perpetua, secondo la normativa oggi abrogata - non puo' ritenersi di per se' illegittima per violazione dell'art. 27, comma 3, Cost. Anche in relazione al tema della contrarieta' della normativa introdotta dalla legge n. 33 del 2019 con l'art. 111, comma 5, Cost., non si ravvisano dubbi di illegittimita' costituzionale, che rendano necessaria la proposizione di apposito incidente di costituzionalita'. Pur apprezzando, al riguardo, le argomentazioni esposte dalla difesa di F., non ci si puo' esimere dal sottolineare che la previsione del comma 5 dell'art. 111 Cost. si limiti ad affermare il principio per il quale eventuali eccezioni alla regola del contraddittorio nella formazione della prova, fondate sulla valorizzazione del consenso dell'imputato, debbano essere appositamente disciplinate dalla legge. Benche' in un noto precedente la giurisprudenza costituzionale (sentenza n. 184 del 26 giugno 2009) avesse avuto modo di sottolineare che il contraddittorio nel momento genetico della prova rappresenti «precipuamente» uno strumento di salvaguardia del rispetto delle prerogative dell'imputato, resta fermo il fatto che l'ambito di operativita' di tale consenso deve essere circoscritto dal legislatore ordinario, cosa che, in ultima analisi, e' avvenuta nel contesto della legge n. 33 del 2019. E' possibile - anzi doveroso - interrogarsi sulla ragionevolezza, anche in chiave sistematica, di tale intervento normativo, ma lo stesso non puo' definirsi in sospetto contrasto con il dettato costituzionale per il solo fatto di aver ristretto il ventaglio delle possibili espressioni del consenso dell'imputato nell'accesso ai riti speciali, inteso come eccezione alla regola del contraddittorio nella formazione della prova. Da questo punto di vista, infatti, il principio della riserva di legge espresso dall'art. 111, comma 5, Cost. puo' dirsi rispettato. 5. Le questioni gia' proposte. Si evidenzia, infine, come con ordinanza datata 6 novembre 2019 il G.U.P. presso il Tribunale di La Spezia abbia sollevato questione di legittimita' costituzionale dell'art. 438, comma 1-bis, del codice di procedura penale, con riferimento agli articoli 3 e 111, comma 2, Cost., nonche' dell'art. 5, legge n. 33 del 2019 in rapporto agli articoli 117 Cost. e 7 Cedu. Il provvedimento e' stato iscritto al n. 1/2020 del Registro delle questioni di legittimita' costituzionale attualmente pendenti. Va inoltre segnalato che, con ordinanza del 26 novembre 2019, la Corte di Assise di Torino ha dichiarato non manifestamente infondata, sebbene rilevante nel giudizio a quo, analoga questione di costituzionalita', sollevata dalla difesa di imputato che aveva proposto istanza di ammissione al giudizio abbreviato dichiarata inammissibile perche' tardiva. Un'ultimissima considerazione nel segnalare Corte costituzionale che il presente procedimento riguarda un imputato sottoposto alla misura della custodia cautelare in carcere, per la quale la difesa ha prestato il consenso alla sospensione dei termini massimi ai sensi dell'art. 304, comma 4, del codice di procedura penale in relazione all'art. 304, comma 1, lett. a) del codice di procedura penale, con termine massimo ex art. 304, comma 6, del codice di procedura penale in scadenza il 7 maggio 2021.
P. Q. M. Visto l'art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87; solleva la questione di legittimita' costituzionale: dell'art. 438, comma 1-bis, del codice di procedura penale, come inserito dall'art. 1, legge 12 aprile 2019, n. 33; dell'art. 3, legge n. 33 del 2019, nella parte in cui ha abrogato l'art. 442, comma 2, secondo e terzo periodo, del codice di procedura penale; con riferimento agli articoli 3, 27, comma 2, 111, comma 2, Cost.; sospende il giudizio in corso sino all'esito del giudizio incidentale di legittimita' costituzionale. Dispone che, a cura della Cancelleria, gli atti siano immediatamente trasmessi alla Corte costituzionale e che la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Da' atto che la presente ordinanza e' stata letta in udienza e che, pertanto, essa deve intendersi notificata a coloro che sono o devono considerarsi presenti, ai sensi dell'art. 148, comma 5, del codice di procedura penale. Piacenza, 16 luglio 2020 Il Giudice: Milani