N. 64 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 31 luglio 2020

Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in
cancelleria il 31 luglio  2020  (del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri). 
 
Turismo - Norme della Regione Piemonte - Sostegno alle destinazioni e
  al marketing turistico - Riparti turismo  -  Previsione  di  misure
  straordinarie a favore di consorzi e societa' consortili,  sia  con
  iniziative  a  titolarita'  regionale  sia   con   concessioni   di
  contributi. 
Commercio - Norme della Regione Piemonte - Disposizioni in materia di
  autorizzazioni  commerciali  -  Esercizi  di  vicinato   gravemente
  danneggiati dal contesto emergenziale - Prevista  sospensione  fino
  al 31  gennaio  2021  della  presentazione  delle  domande  per  il
  rilascio di autorizzazioni per nuova apertura centri, trasferimento
  di sede,  ampliamento  di  superficie  delle  grandi  strutture  di
  vendita. 
Paesaggio (Tutela del) - Norme  della  Regione  Piemonte  -  Prevista
  riduzione dei termini della seconda conferenza di  copianificazione
  e valutazione di trenta giorni per la conclusione sia  in  caso  di
  variante  strutturale  che  generale  nonche'  per  la  proroga   -
  Riduzione di trenta giorni sia per  la  convocazione  della  seduta
  conclusiva della conferenza sulla  proposta  tecnica  del  progetto
  definitivo, sia per la convocazione in data successiva  rispetto  a
  quella prevista. 
Paesaggio (Tutela del) - Norme della Regione  Piemonte  -  Estensione
  delle  varianti  parziali  -  Prevista  fissazione  dei  limiti  di
  incremento  delle  superfici  territoriali  o   degli   indici   di
  edificabilita' previsti  dal  piano  regolatore  generale  vigente,
  nella misura prevista dalla normativa di  riferimento  -  Requisiti
  per l'incremento inerente ad aree non  interne  e  non  contigue  a
  centri o nuclei abitati. 
Edilizia e urbanistica - Norme della Regione Piemonte -  Destinazione
  d'uso temporanee  -  Previsione  che  il  Comune  possa  consentire
  l'utilizzazione temporanea di immobili, o parti di  essi,  per  usi
  diversi da quelli consentiti - Utilizzazione temporanea di immobili
  privati e pubblici per la realizzazione di iniziative di  rilevante
  interesse pubblico, non comportante il mutamento della destinazione
  d'uso  delle  unita'  immobiliari  interessate  -  Fissazione,  con
  convenzione comunale, dei criteri, dei termini e delle modalita' di
  utilizzo degli spazi urbani dismessi o in via di dismissione. 
- Legge della Regione Piemonte 29 maggio 2020, n. 13  (Interventi  di
  sostegno  finanziario  e   di   semplificazione   per   contrastare
  l'emergenza da Covid-19), artt. 23, comma 2; 52; 61; 62; e 79. 
(GU n.39 del 23-9-2020 )
 
                   AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO 
 
    Ecc.ma  Corte  costituzionale   ricorso   ex   art.   127   della
Costituzione del Presidente del Consiglio dei  ministri  pro-tempore,
rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura generale  dello  Stato
presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12, e' domiciliato
per legge, il quale  dichiara  di  voler  ricevere  le  comunicazioni
relative  al  presente  giudizio  al  seguente  indirizzo  di   posta
elettronica certificata: ags.rm@mailcert.avvocaturastato.it 
    Contro la Regione Piemonte, in persona del presidente in  carica,
con sede in Torino, piazza Castello n. 165 per la declaratoria  della
illegittimita' costituzionale degli articoli 23, comma 2, 52, 61,  62
e 79 della legge della  Regione  Piemonte  29  maggio  2020,  n.  13,
pubblicata nel Bollettino ufficiale della Regione Piemonte n. 22  del
28 maggio 2020 - Supplemento ordinario 29 maggio 2020, n.  5,  giusta
deliberazione del Consiglio dei ministri  assunta  nella  seduta  del
giorno 22 luglio 2020. 
 
                          Premesse di fatto 
 
    In data 29 maggio  2020,  nel  Supplemento  ordinario  n.  5  del
Bollettino ufficiale della Regione Piemonte, e' stata  pubblicata  la
legge regionale 29 maggio 2020,  n.  13,  intitolata  «Interventi  di
sostegno finanziario e di semplificazione per contrastare l'emergenza
da COVID-19». 
    Alcune  disposizioni  di  tale  legge   sono   costituzionalmente
illegittime. 
    Segnatamente, l'art. 23,  comma  2,  viola  l'art.  117,  secondo
comma, lettera e) della Costituzione; l'art. 52 si pone in  contrasto
con l'art. 117, secondo comma, lettere e) e m),  della  Costituzione;
l'art. 61 e' lesivo degli articoli 5 e 120 della Costituzione,  nella
parte in cui sanciscono il  principio  di  leale  collaborazione  tra
Stato e regioni, nonche' degli articoli  3,  9,  97  e  117,  secondo
comma, lettera s) della Costituzione; l'art. 62 viola gli articoli  5
e 120 della Costituzione, nella parte in cui sanciscono il  principio
di leale collaborazione tra Stato e regioni, nonche' gli articoli gli
articoli 9 e 117,  secondo  comma,  lettera  s)  della  Costituzione;
infine, l'art. 79 si pone in contrasto con l'art.  117,  terzo  comma
della Costituzione, in quanto eccede le competenze regionali e invade
quelle statali in materia di «governo del territorio». 
    Pertanto, le anzidette  disposizioni  vengono  impugnate  con  il
presente ricorso ex art. 127 della  Costituzione,  affinche'  ne  sia
dichiarata l'illegittimita' costituzionale e ne  sia  pronunciato  il
conseguente annullamento per i seguenti; 
 
                          Motivi di diritto 
 
I. L'art. 23, comma 2, della legge regionale Piemonte 29 maggio 2020,
n. 13 
    1.  Al  dichiarato  fine  di  favorire  il  ritorno  e  un  nuovo
consolidamento dei flussi turistici verso il Piemonte nelle fasi post
emergenza   da   COVID-19,   mediante   azioni    di    monitoraggio,
comunicazione, promozione, marketing e sostegno alle attivita'  degli
operatori  del  comparto,  l'art.  23,  intitolato   «Sostegno   alle
destinazioni e al marketing turistico - Riparti turismo»,  dispone  -
al comma 1 - che la regione adotti misure, straordinarie a favore dei
consorzi e delle societa' consortili di cui alla legge  regionale  11
luglio 2016,  n.  14,  recante  «Nuove  disposizioni  in  materia  di
organizzazione   dell'attivita'   di   promozione,   accoglienza    e
informazione turistica in Piemonte». 
    Il comma 2 dell'articolo in esame precisa che «Le azioni previste
al  comma  1  sono  finalizzate  alla   realizzazione   di   campagne
promozionali per il rilancio turistico della  regione  e  il  riavvio
economico dell'intera filiera del  comparto,  sia  con  iniziative  a
titolarita' regionale, sia con la concessione di contributi a  favore
di consorzi e societa' consortili di cui alla legge regionale n.  14/
2016». 
    I criteri e le procedure per  l'individuazione  delle  misure  di
sostegno saranno  stabiliti  in  dettaglio  con  deliberazione  della
giunta regionale (comma  3)  e  alla  copertura  dei  relativi  oneri
finanziari - quantificati nell'importo massimo di  euro  2.000.000,00
per l'annualita' 2020 (comma 4)  -  si  provvedera'  con  le  risorse
derivanti dalla riduzione di spesa di cui all'art. 31 (comma 5). 
    2. Nella parte in cui autorizza la  regione  ad  adottare  misure
straordinarie a favore delle societa' a prevalente capitale  pubblico
di cui alla legge regionale 11  luglio  2016,  n.  14  (i.e.  la  DMO
Turismo  Piemonte  -  Destination  Management  Organization   Turismo
Piemonte e le ATL - Agenzie di  accoglienza  e  promozione  turistica
locale), la disposizione impugnata  si  pone  in  evidente  contrasto
l'art. 117, comma 2, lettera e) della Costituzione,  che  attribuisce
alla  competenza  legislativa  esclusiva  statale  la  materia  della
«tutela della concorrenza». 
    3. E invero, gli interventi pubblici  a  sostegno  delle  imprese
sono qualificati dal diritto euro-unitario «aiuti di  Stato»  e  sono
disciplinati dal capo  I  del  titolo  VII  del  T.F.U.E.,  rubricato
«Regole di concorrenza». 
    Pertanto, come precisato da codesta Ecc.ma Corte, tali interventi
«coinvolgono i rapporti con l'Unione europea e incidono  sul  settore
della concorrenza, la cui disciplina si articola,  nell'attuale  fase
di integrazione sovranazionale, su due  livelli:  europeo  e  statale
[...]. Nel diritto comunitario, le regole della concorrenza non  sono
[...] limitate all'attivita' sanzionatoria della trasgressione  della
normativa antitrust, ma comprendono anche il regime di  aiuti  [...].
Dal punto di vista del diritto interno, la nozione di concorrenza non
puo' non  riflettere  quella  operante  in  ambito  comunitario,  che
comprende interventi regolativi, la  disciplina  antitrust  e  misure
destinate a promuovere un mercato aperto  e  in  libera  concorrenza.
Quando l'art. 117, secondo comma, lettera e),  affida  alla  potesta'
legislativa  esclusiva  statale  la  tutela  della  concorrenza,  non
intende certo limitarne la portata ad una sola delle sue declinazioni
di significato. Al contrario, proprio l'aver accorpato, nel  medesimo
titolo di competenza, la  moneta,  la  tutela  del  risparmio  e  dei
mercati finanziari, il sistema  valutario,  i  sistemi  tributario  e
contabile dello Stato, la perequazione delle risorse  finanziarie  e,
appunto, la tutela della concorrenza, rende palese  che  quest'ultima
costituisce  una  delle  leve  della  politica  economica  statale  e
pertanto non puo' essere  intesa  soltanto  in  senso  statico,  come
garanzia di interventi di regolazione e ripristino di  un  equilibrio
perduto» (cfr. sentenza n. 14 del 2004, enfasi aggiunte). 
    Gli «aiuti  di  Stato»  incompatibili  con  il  mercato  interno,
secondo la nozione ricavabile dall'art. 107 del T.F.U.E., «consistono
in agevolazioni di natura pubblica, rese in qualsiasi forma, in grado
di favorire talune  imprese  o  talune  produzioni  e  di  falsare  o
minacciare di falsare in tal modo la concorrenza, nella misura in cui
incidono sugli scambi tra gli Stati membri. I  requisiti  costitutivi
di detta nozione [...] possono essere cosi' sintetizzati: 
        a) intervento da parte dello Stato o di una sua articolazione
o comunque impiego di risorse pubbliche  a  favore  di  un  operatore
economico che agisce in libero mercato; 
        b) idoneita' di tale intervento ad incidere sugli scambi  tra
Stati membri; 
        c) idoneita' dello stesso a concedere  un  vantaggio  al  suo
beneficiario in modo tale da  falsare  o  minacciare  di  falsare  la
concorrenza [...]; 
        d) dimensione dell'intervento superiore alla soglia economica
minima che determina la sua configurabilita' come aiuto "de  minimis"
ai sensi del regolamento  della  Commissione  n.  1998/2006,  del  15
dicembre 2006. 
    La nozione di aiuto di Stato e'  quindi  di  natura  complessa  e
l'ordinamento comunitario riserva  alla  competenza  esclusiva  della
Commissione europea, sotto il controllo del tribunale e  della  Corte
di giustizia, la verifica  della  compatibilita'  dell'aiuto  con  il
mercato interno, nel rispetto dei regolamenti di procedura in vigore.
[...]   ai   giudici   nazionali    spetta    [...]    l'accertamento
dell'osservanza dell'art. 108, n. 3, T.F.U.E. [...] ed in particolare
se  i  soggetti  pubblici  conferenti  gli   aiuti   rispettino   gli
adempimenti e le procedure finalizzate alle verifiche  di  competenza
della Commissione europea» (cfr. sentenza n.  299  del  2013,  enfasi
aggiunte). 
    Siffatti adempimenti e  procedure  sono  precisati  -  a  livello
nazionale - dall'art. 45, comma 1 della legge 24  dicembre  2012,  n.
234, il quale stabilisce che «Le amministrazioni che notificano  alla
Commissione europea progetti volti a istituire o a  modificare  aiuti
di Stato ai  sensi  dell'art.  108,  paragrafo  3  del  Trattato  sul
funzionamento dell'Unione  europea,  contestualmente  alla  notifica,
trasmettono alla Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento
per  le  politiche  europee  una  scheda   sintetica   della   misura
notificata». 
    Come e'  noto,  rientrano  nell'ambito  della  nozione  di  aiuto
prevista dall'art. 107 del T.F.U.E. e sono soggetti agli  adempimenti
stabiliti dagli articoli 108 del T.F.U.E. e 45, comma 1  della  legge
24 dicembre 2012, n. 234, anche i contributi erogati in favore  delle
societa' a prevalente partecipazione pubblica. 
    Infatti, l'art. 106, paragrafo 1, T.F.U.E. precisa che «Gli Stati
membri non  emanano  ne'  mantengono,  nei  confronti  delle  imprese
pubbliche  e  delle  imprese  cui  riconoscono  diritti  speciali   o
esclusivi,  alcuna  misura  contraria  alle   norme   dei   trattati,
specialmente a quelle contemplate dagli articoli 18 e da  101  a  109
inclusi» (enfasi aggiunta). 
    Inoltre, la disciplina in esame trova applicazione anche nei casi
in  cui  la  finalita'  dell'aiuto  sia  quella  di   consentire   il
superamento delle crisi di impresa, come precisato dalla  Commissione
europea nella  Comunicazione  2014/C  249/01,  recante  «Orientamenti
sugli aiuti di Stato per il  salvataggio  e  la  ristrutturazione  di
imprese non finanziarie in difficolta'». 
    4. Sotto tale profilo, lo stesso legislatore statale, al fine  di
evitare indebiti vantaggi concorrenziali  in  favore  delle  societa'
pubbliche, ha disciplinato le  crisi  di  impresa  di  tali  societa'
nell'art. 14 del decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175  -  Testo
unico in materia di societa' a partecipazione pubblica. 
    Tale disposizione prevede che «1. Le  societa'  a  partecipazione
pubblica  sono  soggette  alle  disposizioni  sul  fallimento  e  sul
concordato preventivo, nonche', ove ne  ricorrano  i  presupposti,  a
quelle in  materia  di  amministrazione  straordinaria  delle  grandi
imprese in stato di insolvenza di cui al decreto legislativo 8 luglio
1999,  n.  270,  e  al  decreto-legge  23  dicembre  2003,  n.   347,
convertito, con modificazioni, dalla legge 18 febbraio 2004,  n.  39.
[...]. 
    5. Le amministrazioni di cui all'art. 1, comma 3 della  legge  31
dicembre 2009, n. 196,  non  possono,  salvo  quanto  previsto  dagli
articoli 2447 e 2482-ter del codice civile, sottoscrivere aumenti  di
capitale, effettuare trasferimenti straordinari, aperture di credito,
ne' rilasciare garanzie a  favore  delle  societa'  partecipate,  con
esclusione delle societa' quotate e degli istituti  di  credito,  che
abbiano  registrato,  per  tre  esercizi  consecutivi,   perdite   di
esercizio ovvero che abbiano utilizzato riserve  disponibili  per  il
ripianamento  di  perdite  anche  infrannuali.  Sono  in  ogni   caso
consentiti i trasferimenti straordinari alle societa' di cui al primo
periodo,  a  fronte  di  convenzioni,  contratti  di  servizio  o  di
programma relativi allo svolgimento di servizi di pubblico  interesse
ovvero alla realizzazione di investimenti, purche' le misure indicate
siano   contemplate   in   un   piano   di   risanamento,   approvato
dall'autorita' di regolazione di settore ove esistente  e  comunicato
alla Corte dei  conti  con  le  modalita'  di  cui  all'art.  5,  che
contempli il raggiungimento  dell'equilibrio  finanziario  entro  tre
anni. Al fine di salvaguardare la continuita'  nella  prestazione  di
servizi di pubblico interesse, a fronte  di  gravi  pericoli  per  la
sicurezza pubblica, l'ordine pubblico  e  la  sanita',  su  richiesta
della amministrazione interessata, con  decreto  del  Presidente  del
Consiglio  dei  ministri,   adottato   su   proposta   del   Ministro
dell'economia e delle finanze, di concerto  con  gli  altri  Ministri
competenti e soggetto a registrazione della Corte dei conti,  possono
essere autorizzati  gli  interventi  di  cui  al  primo  periodo  del
presente comma» (enfasi aggiunte). 
    Dunque, l'erogazione  di  contributi  in  favore  delle  societa'
pubbliche e' condizionata: 
        a) sia all'adempimento degli oneri procedimentali -  previsti
dal diritto interno e sovranazionale - in materia di aiuti di Stato; 
        b) sia, in caso di crisi di  impresa,  alla  sussistenza  dei
presupposti e all'osservanza delle prescrizioni di cui al citato art.
14 del T.U.S.P. 
    5. Nel caso  di  specie,  la  norma  impugnata  non  prevede  che
l'erogazione dei contributi in favore  delle  societa'  a  prevalente
capitale pubblico di cui alla legge regionale 11 luglio 2016, n.  14,
sia  condizionata  all'osservanza   delle   anzidette   prescrizioni,
stabilite - dal diritto interno e sovranazionale -  a  tutela  di  un
assetto pienamente concorrenziale del mercato. 
    Ne consegue, quindi, che l'art. 23, comma 2 della legge regionale
n. 13 del 2020 e' costituzionalmente illegittimo  per  la  violazione
dell'art. 117, comma 2, lettera e) della Costituzione. 
II. L'art. 52 della legge regionale Piemonte 29 maggio 2020, n. 13 
    1. L'art. 52 della legge regionale 29 maggio 2020,  n.  13  -  al
dichiarato  fine  di  contrastare  gli  effetti   dell'emergenza   da
COVID-19,  con  particolare  riguardo  agli  esercizi   di   vicinato
gravemente danneggiati dal contesto emergenziale - prevede che «a far
data dall'approvazione della presente legge  la  presentazione  delle
domande per il rilascio  di  autorizzazioni  per  nuova  apertura  di
centri,  trasferimento  di  sede,  ampliamento  di  superficie  degli
esercizi di vendita, di cui all'art. 9  del  decreto  legislativo  31
marzo 1998, n. 114 (Riforma della disciplina relativa al settore  del
commercio, a norma dell'art. 4, comma 4 della legge 15 marzo 1997, n.
59) ed alle relative disposizioni regionali di attuazione, e' sospesa
fino al 31  gennaio  2021,  fatti  salvi  gli  accordi  di  programma
approvati» (enfasi aggiunte). 
    2. La disposizione in esame, dunque, sospende  -  dal  29  maggio
2020 al 31 gennaio 2021 - la presentazione delle istanze di  rilascio
delle autorizzazioni necessarie, ai sensi dell'art. 9,  comma  1  del
decreto legislativo  31  marzo  1998,  n.  114,  per  l'apertura,  il
trasferimento di sede e  l'ampliamento  di  superficie  delle  grandi
strutture di vendita sul territorio regionale. 
    Ebbene, siffatta sospensione rappresenta  un  ostacolo  effettivo
alla libera concorrenza nella  Regione  Piemonte,  sotto  un  duplice
profilo, inter-regionale e intra-regionale: 
        a) da un lato, infatti, gli operatori economici della  grande
distribuzione che intendono  operare  nel  territorio  della  Regione
Piemonte si trovano esposti ad una vera e propria «paralisi» rispetto
ai competitori di altre regioni, anche limitrofe; 
        b) dall'altro, all'interno della medesima  Regione  Piemonte,
la sospensione  in  esame  costituisce  per  i  nuovi  esercenti  una
barriera all'entrata che pone  questi  ultimi  in  una  posizione  di
svantaggio rispetto agli  stessi  operatori  economici  della  grande
distribuzione  che  gia'  svolgono   un'attivita'   commerciale   sul
territorio regionale. 
    La  discriminazione  introdotta  dalla  disposizione   censurata,
quindi, e' sia interspaziale, fra operatori di regioni  diverse,  sia
inter-temporale, fra operatori gia'  presenti  nel  mercato  e  nuovi
esercenti. 
    In   tal   modo,   la   disposizione    regionale    interferisce
illegittimamente con la competenza esclusiva statale  in  materia  di
«tutela della concorrenza», la quale - con riferimento  all'esercizio
delle attivita' commerciali - trova espressione nell'art. 31, comma 2
del  decreto-legge  6  dicembre  2011,  n.   201,   convertito,   con
modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214. 
    Tale  disposizione  stabilisce   che   «Secondo   la   disciplina
dell'Unione europea e nazionale in materia di  concorrenza,  liberta'
di  stabilimento  e  libera  prestazione  di   servizi,   costituisce
principio generale dell'ordinamento nazionale la liberta' di apertura
di nuovi  esercizi  commerciali  sul  territorio  senza  contingenti,
limiti territoriali  o  altri  vincoli  di  qualsiasi  altra  natura,
esclusi quelli connessi alla  tutela  della  salute  dei  lavoratori,
dell'ambiente e dei beni culturali» (enfasi aggiunte). 
    Dunque, la liberta' di apertura di nuovi esercizi commerciali  su
tutto il territorio nazionale «senta contingenti, limiti territoriali
o altri vincoli di  qualsiasi  altra  natura»  puo'  essere  limitata
esclusivamente nei casi in  cui  sussistano  esigenze  connesse  alla
tutela  della  salute,  dei  lavoratori,  dell'ambiente  e  dei  beni
culturali. 
    Peraltro,  come  gia'   chiarito   da   codesta   Ecc.ma   Corte,
«L'eventuale  esigenza  di  contemperare  la   liberalizzazione   del
commercio con quelle di una maggiore tutela della salute, del lavoro,
dell'ambiente e dei beni culturali deve essere intesa sempre in senso
sistemico, complessivo e non frazionato» (cfr.  sentenze  n.  85  del
2013 e n. 264 del 2012), all'esito  di  un  bilanciamento  che  «deve
compiere il soggetto competente nelle  materie  implicate,  le  quali
nella specie afferiscono ad ambiti  di  competenza  statale,  tenendo
conto  che  la  tutela  della  concorrenza,  attesa  la  sua   natura
trasversale, assume carattere prevalente e funge, quindi,  da  limite
alla disciplina  che  le  regioni  possono  dettare  in  forza  della
competenza in materia di commercio» (cfr. sentenze n. 38 del  2013  e
n. 299 del 2012, enfasi aggiunte). 
    In altri termini, la liberalizzazione delle attivita' commerciali
puo' essere limitata soltanto a fronte  dell'esigenza  prevalente  di
salvaguardare  i  valori  fondamentali   sopra   indicati,   con   la
precisazione che essi «non possono essere  tutelati  dal  legislatore
regionale  attraverso  l'esercizio  della  competenza  residuale  del
commercio,  che  incontra  un  limite  nella  natura  trasversale   e
prevalente della tutela della concorrenza,  di  competenza  esclusiva
dello Stato» (cfr. sentenza n. 165 del 2014, enfasi aggiunta). 
    3. Nel caso di specie, la disposizione impugnata: 
        a) da un lato, non e' ispirata da ragioni di  protezione  dei
lavoratori, della salute, dell'ambiente o dei beni culturali; 
        b) dall'altro, non avrebbe  comunque  titolo  ad  intervenire
nella salvaguardia di tali valori, in quanto attinenti a materie  che
la  Costituzione  riserva  -  in  via  esclusiva  -  alla  competenza
legislativa dello Stato. 
    Ma,  soprattutto,  ha  una  chiara  -  e  dichiarata  -   valenza
anticoncorrenziale  nella  misura  in   cui   favorisce   determinati
operatori economici - quelli titolari di esercizi  di  vicinato  -  a
danno di altri - quelli titolari di grandi  strutture  di  vendita  -
discriminando, tra questi, quelli che aspirano ad iniziare una  nuova
attivita' commerciale da quelli che gia' la svolgono  nonche'  coloro
che operano sul  territorio  regionale  da  quelli  attivi  in  altre
regioni. 
    Infine, la norma censurata si pone in netta «controtendenza»  con
le misure di liberalizzazione finora approvate a livello statale  per
il  rilancio  dell'economia  dopo   l'emergenza   COVID-19,   che   -
contrariamente a quanto disposto dal  legislatore  regionale  -  sono
invece  volte  a  semplificare  e  ad   accelerare   i   procedimenti
amministrativi  di  rilascio  delle  autorizzazioni  concernenti   le
attivita' d'impresa. 
    Sotto  tale  profilo,  la  norma  censurata   -   ritardando   la
definizione  dei  procedimenti  amministrativi  di   rilascio   delle
autorizzazioni per la nuova apertura,  il  trasferimento  di  sede  e
l'ampliamento  di  superficie  dei  grandi  esercizi  di  vendita   -
interferisce altresi' con la  competenza  esclusiva  dello  Stato  in
materia di «determinazione dei livelli essenziali  delle  prestazioni
concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su
tutto il territorio nazionale»,  la  quale  -  con  riferimento  alla
disciplina  del  procedimento  amministrativo  -  trova   espressione
nell'art. 29 della legge n. 241 del 1990. 
    4. E invero, codesta Ecc.ma Corte ha gia' precisato che  «Secondo
l'art. 29 della legge n. 241 del 1990, nel testo  vigente  a  seguito
delle modifiche operate, da ultimo, dal decreto  legislativo  n.  126
del 2016, "attengono ai livelli essenziali delle prestazioni  di  cui
all'art.  117,  secondo  comma,  lettera  m)  della  Costituzione  le
disposizioni della presente legge concernenti  gli  obblighi  per  la
pubblica   amministrazione    di    garantire    la    partecipazione
dell'interessato al procedimento, di individuarne un responsabile, di
concluderlo entro il termine prefissato  e  di  assicurare  l'accesso
alla documentazione  amministrativa,  nonche'  quelle  relative  alla
durata massima dei procedimenti" (comma 2-bis). 
    In base al comma 2-ter, "attengono altresi' ai livelli essenziali
delle prestazioni di cui all'art.  117,  secondo  comma,  lettera  m)
della Costituzione le disposizioni della presente  legge  concernenti
la  presentazione  di  istanze,  segnalazioni  e  comunicazioni,   la
dichiarazione  di  inizio  attivita'  e  il  silenzio  assenso  e  la
conferenza di servizi, salva  la  possibilita'  di  individuare,  con
intese in sede di Conferenza unificata di cui all'art. 8 del  decreto
legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni,  casi
ulteriori in cui tali disposizioni non si applicano". 
    Il comma 2-quater dispone poi che "le regioni e gli enti  locali,
nel disciplinare i procedimenti amministrativi  di  loro  competenza,
non possono stabilire  garanzie  inferiori  a  quelle  assicurate  ai
privati dalle disposizioni  attinenti  ai  livelli  essenziali  delle
prestazioni di cui ai commi  2-bis  e  2-ter,  ma  possono  prevedere
livelli ulteriori di tutela [...]. 
    La regione  puo'  percio'  intervenire  su  specifici  profili  o
segmenti  del  procedimento  amministrativo  delineato  dalla   legge
statale, variandoli in senso migliorativo in termini di  semplicita',
snellezza  o  speditezza.  Cosi',  per  esempio,  fermo  restando  il
rispetto  delle  attribuzioni  statali  in  altre  materie,  potrebbe
ridurre i termini  assegnati  all'amministrazione  per  provvedere  o
eliminare singoli passaggi  procedimentali.  Cio'  che  invece  resta
precluso  al  legislatore  regionale  e'  di  introdurre  un  modello
procedimentale [...] incompatibile  con  quello  definito  a  livello
statale, [che] finirebbe per complicare le  attivita'  connesse  allo
svolgimento di un'impresa» (cfr. sentenza n.  246  del  2018,  enfasi
aggiunte). 
    5. Nel caso di specie,  la  disposizione  censurata  si  pone  in
evidente contrasto con siffatti principi di  diritto,  giacche'  essa
introduce - nell'ambito della Regione Piemonte e per i soli operatori
economici della grande distribuzione -  una  deroga  in  peius  delle
garanzie procedimentali previste - a livello statale - per l'avvio  e
l'esercizio delle attivita' economiche in esame. 
    Ne consegue, quindi, che l'art. 52 della legge  regionale  n.  13
del 2020, precludendo - dal 29 maggio  2020  al  31  gennaio  2021  -
l'apertura, il trasferimento di sede e  l'ampliamento  di  superficie
delle grandi strutture di vendita sul territorio piemontese, si  pone
in palese contrasto non solo con la  lettera  e),  ma  anche  con  la
lettera m), dell'art. 117, comma 2 della Costituzione. 
III. L'art. 61 della legge regionale Piemonte 29 maggio 2020, n. 13 
    1. L'art. 61 della legge regionale n.  13  del  2020,  intitolato
«Riduzione dei termini della seconda conferenza di copianificazione e
valutazione», dispone che «1. I  termini  per  la  conclusione  della
seconda  conferenza  di  copianificazione  e  valutazione,   previsti
all'art. 15, comma 11, legge regionale n. 56/1977,  sono  ridotti  di
trenta giorni sia in caso di variante strutturale,  sia  in  caso  di
variante  generale;  la  proroga  per  la   seconda   conferenza   di
copianificazione e valutazione, di cui all'art. 15,  comma  12  della
legge regionale n. 56/1977, e' ridotta, di norma, a trenta giorni. 
    2. I termini previsti all'art. 11, commi 4 e 6 del regolamento 23
gennaio 2017, n. 1/R (Disciplina della conferenza di copianificazione
e valutazione prevista  dall'art.  15-bis  della  legge  regionale  5
dicembre 1977, n. 56 "Tutela ed uso del suolo" e del  ruolo  e  delle
funzioni del rappresentante regionale) sono ridotti di trenta giorni»
(enfasi aggiunte). 
    Dunque, la norma impugnata riduce come segue i termini in materia
di conferenza di pianificazione e valutazione: 
        a) di trenta giorni il termine  -  prima  di  detta  modifica
normativa, di centoventi giorni - per la  conclusione  della  seconda
conferenza di copianificazione e valutazione prevista  dall'art.  15,
comma 11 della legge regionale  n.  56  del  1977,  sia  in  caso  di
variante strutturale sia in caso di variante generale; 
        b) di norma, a trenta giorni il  termine  -  prima  di  detta
modifica normativa, di sessanta giorni - per la proroga della seconda
conferenza di copianificazione e  valutazione  di  cui  all'art.  15,
comma 12 della legge regionale n. 56 del 1977; 
        c) di trenta giorni il termine  -  prima  di  detta  modifica
normativa, di novanta giorni, in caso di variante strutturale, oppure
di  centoventi  giorni,  in  caso  di  variante  generale  -  per  la
convocazione della seduta conclusiva della conferenza sulla  proposta
tecnica del progetto definitivo di  cui  all'art.  11,  comma  4  del
regolamento regionale 23 gennaio 2017, n. 1/R; 
        d) di trenta giorni il termine  -  prima  di  detta  modifica
normativa, non superiore a sessanta giorni - per la convocazione,  in
una  data  successiva  rispetto  a  quella  prevista,  della   seduta
conclusiva della  conferenza  sulla  proposta  tecnica  del  progetto
definitivo, ai sensi dell'art. 11, comma 6 del regolamento  regionale
23 gennaio 2017, n. 1/R. 
    2.   Tale   riduzione   dei   termini   procedimentali   disposta
unilateralmente dalla Regione Piemonte si pone anzitutto in contrasto
con  il  principio  di  leale  collaborazione  tra  Stato  e  regioni
desumibile dagli articoli 5 e 120 della Costituzione. 
    Infatti,  i   procedimenti   amministrativi   interessati   dalle
modifiche normative coinvolgono interessi pubblici la cui  tutela  e'
demandata in parte allo Stato e in parte alle regioni. 
    In  particolare,  come  chiarito  da  codesta  Ecc.ma  Corte,  e'
demandata  allo  Stato  la  tutela   dell'interesse   pubblico   alla
conservazione del patrimonio ambientale, paesaggistico  e  culturale;
mentre e' attribuita alle regioni la tutela  dell'interesse  pubblico
alla fruizione del territorio regionale, nonche' alla  valorizzazione
del proprio patrimonio paesaggistico e culturale  (cfr.  sentenza  n.
367 del 2007). 
    Nella  specie,  dunque,   va   ravvisata   «una   situazione   di
"concorrenza di competenze", comprovata dalla  constatazione  che  le
norme censurate  si  prestano  ad  incidere  contestualmente  su  una
pluralita' di materie, ponendosi all'incrocio di  diverse  competenze
("tutela dei beni culturali", "valorizzazione  dei  beni  culturali",
"commercio",    "artigianato")    attribuite    dalla    Costituzione
rispettivamente, o alla potesta' legislativa esclusiva  dello  Stato,
ovvero a quella concorrente  dello  Stato  e  delle  regioni,  ovvero
infine a quella  residuale  delle  regioni,  senza  che  (in  termini
"qualitativi" o "quantitativi") sia individuabile un ambito materiale
che possa considerarsi prevalente sugli altri» (cfr. sentenze n.  237
del 2009 e n. 219 del 2005, enfasi aggiunte). 
    Ne consegue che «l'impossibilita'  di  comporre  il  concorso  di
competenze statali e regionali mediante l'applicazione del  principio
di prevalenza, in assenza di criteri contemplati  in  Costituzione  e
avendo riguardo alla natura  unitaria  delle  esigenze  di  tutela  e
valorizzazione del patrimonio  culturale,  giustifica  l'applicazione
del principio di  leale  collaborazione,  che  deve,  in  ogni  caso,
permeare di se' i rapporti tra lo Stato e il sistema delle autonomie»
(cfr. sentenze n. 44 del 2014 e n. 273 del 2013, enfasi aggiunte). 
    E invero, proprio al fine di contemperare gli interessi  pubblici
(statali e regionali) coinvolti, il Ministero dei beni culturali e la
Regione Piemonte hanno stipulato, in data 14 marzo 2017, un  accordo,
nel quale hanno concordato le procedure e le tempistiche  concernenti
i  procedimenti  amministrativi  relativi  al   Piano   paesaggistico
regionale (PPR). 
    In particolare, l'art. 4 dell'accordo dispone che «1. Le Parti si
impegnano ad attuare il Ppr mediante la  verifica  della  conformita'
allo stesso degli interventi di  modifica  dello  stato  dei  luoghi,
attraverso le procedure di autorizzazione di  cui  all'art.  146  del
Codice, e a promuovere, ai sensi degli articoli 3 e 46 delle norme di
attuazione del Ppr, l'adeguamento alle previsioni  dello  stesso,  da
parte dei comuni, della citta' metropolitana, delle province e  degli
enti gestori delle aree naturali protette, dei relativi strumenti  di
pianificazione  entro  ventiquattro  mesi  dalla   data   della   sua
approvazione, assicurando la partecipazione degli organi ministeriali
al  procedimento  medesimo,  secondo   le   modalita'   organizzative
individuate nel parere n. 3011  del  1°  febbraio  2017  dell'Ufficio
legislativo del Ministero, nel rispetto delle disposizioni del titolo
II (Pianificazione territoriale e paesaggistica)  e  del  titolo  III
(Pianificazione urbanistica) della legge  regionale  n.  56/1977,  ai
sensi dell'art. 145,  comma  5  del  Codice,  nonche'  ai  sensi  del
successivo art.  146,  comma  5,  per  l'acquisizione  dell'esplicito
parere  del  Ministero  sull'avvenuto  adeguamento  degli   strumenti
urbanistici al Ppr. La regione entro il medesimo termine provvede  al
coordinamento  e  alla   verifica   di   coerenza   degli   atti   di
programmazione e di pianificazione regionale con  le  previsioni  del
Ppr, assicurandone l'informazione preventiva al Ministero, alfine  di
acquisirne le motivate osservazioni. 
    2. Le parti si impegnano a proseguire le attivita'  del  comitato
tecnico, ai fini dell'attuazione del Ppr, in  merito  alle  eventuali
indicazioni  da  formulare  per  l'applicazione  del  piano   e   per
monitorare e agevolare i processi di conformazione o  adeguamento  al
Ppr degli strumenti di  pianificazione  urbanistica  e  territoriale,
nonche' per le altre attivita'  congiunte  previste  dalle  norme  di
attuazione, attraverso l'adozione di linee-guida e atti di indirizzo,
predisposti anche in relazione  al  processo  di  semplificazione  in
materia di autorizzazione paesaggistica. 
    3. Le Parti si  riservano  in  ogni  caso  di  emanare  circolari
esplicative congiunte alfine della  corretta  applicazione  del  Ppr,
anche  con  particolare  riferimento   alla   disciplina   dei   beni
paesaggistici» (enfasi aggiunte). 
    L'accordo e' stato successivamente attuato - a livello  regionale
-  mediante  l'adozione  del  decreto  del  presidente  della  giunta
regionale 22 marzo  2019,  n.  4/R,  recante  «Attuazione  del  Piano
paesaggistico regionale del Piemonte (Ppr), ai sensi dell'art. 8-bis,
comma 7 della legge regionale 5 dicembre 1977, n. 56  (Tutela  e  uso
del suolo) e dell'art. 46, comma 10, delle norme  di  attuazione  del
Ppr». 
    In particolare, l'anzidetto  regolamento  «disciplina,  ai  sensi
dell'art. 145, comma 5 del decreto legislativo 22  gennaio  2004,  n.
42, recante "Codice dei beni culturali del paesaggio" (d'ora innanzi:
Codice) e dell'art.  4,  comma  1  dell'accordo  del  14  marzo  2017
stipulato tra l'allora Ministero dei beni e delle attivita' culturali
e del turismo e la Regione Piemonte ai sensi dell'art. 143,  comma  2
del Codice (d'ora innanzi: accordo), le modalita' di  attuazione  del
Ppr dettando disposizioni procedimentali per: 
        a) l'adeguamento al Ppr degli strumenti di pianificazione  di
cui all'art. 5, comma 2, delle NdA; 
        b) l'esame delle varianti agli  strumenti  di  pianificazione
che non costituiscono adeguamento di cui all'art. 46, comma 9,  delle
NdA; 
        c) la verifica di conformita'  degli  interventi  soggetti  a
procedimento di autorizzazione paesaggistica di cui all'art. 146  del
Codice e all'art. 3 del decreto del Presidente  della  Repubblica  13
febbraio  2017,  n.  31  (Regolamento  recante  individuazione  degli
interventi esclusi dall'autorizzazione paesaggistica o  sottoposti  a
procedura autorizzatoria semplificata) con le disposizioni  normative
del Ppr; 
        d) la partecipazione del Ministero peri beni e  le  attivita'
culturali (d'ora innanzi: MiBAC) ai procedimenti per le  varianti  di
adeguamento al  Ppr  e  per  le  altre  varianti  agli  strumenti  di
pianificazione; anche per quanto attiene alla  positiva  verifica  da
parte   del   medesimo   MiBAC   (segretariato   e    soprintendenza)
dell'avvenuto adeguamento degli  strumenti  urbanistici  al  Ppr,  ai
sensi dell'art. 146, comma 5, secondo periodo del Codice; 
        e) la  realizzazione  dei  progetti  e  programmi  strategici
previsti dal Ppr» (enfasi aggiunte). 
    Come si evince dalle  disposizioni  sopra  menzionate,  l'accordo
stipulato con la Regione Piemonte  e  il  successivo  regolamento  di
attuazione  trovano  il  proprio  imprescindibile  presupposto  nella
disciplina  della  conferenza  di  copianificazione   e   valutazione
prevista dal titolo III della legge regionale n. 56 del 1977. 
    In   altri   termini,   al   fine   di   consentire    l'adeguato
contemperamento degli interessi pubblici  (statali  e  regionali)  in
gioco, la regione ha assunto l'impegno, nei confronti  del  Ministero
dei beni culturali, di disciplinare «congiuntamente» le modalita'  di
adeguamento  degli  strumenti  urbanistici  al  piano   paesaggistico
regionale, nonche' le modalita' per la  verifica  di  coerenza  delle
varianti. 
    Pertanto, la norma  impugnata,  incidendo  sulla  disciplina  dei
termini e, quindi, sulle  modalita'  operative  della  conferenza  di
copianificazione  e  valutazione   -   senza   alcun   coinvolgimento
dell'amministrazione  statale,  compartecipe  dell'attivita'   svolta
nella predetta sede procedimentale - si  pone  in  contrasto  con  il
principio di leale collaborazione sancito  dagli  articoli  5  e  120
della Costituzione. 
    3. Peraltro, occorre  evidenziare  che  il  coinvolgimento  degli
organi ministeriali espressamente previsto dall'art. 145 del  decreto
legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 - Codice dei beni culturali e  del
paesaggio.  Tale  disposizione,   intitolata   «Coordinamento   della
pianificazione paesaggistica con altri strumenti di  pianificazione»,
stabilisce che «1. La individuazione, da parte del  Ministero,  delle
linee fondamentali dell'assetto del territorio nazionale  per  quanto
riguarda la tutela del paesaggio, con finalita'  di  indirizzo  della
pianificazione, costituisce compito di rilievo  nazionale,  ai  sensi
delle vigenti disposizioni in materia di principi e criteri direttivi
per il conferimento di  funzioni  e  compiti  alle  regioni  ed  enti
locali. 
    2.  I   piani   paesaggistici   possono   prevedere   misure   di
coordinamento con gli strumenti di pianificazione territoriale  e  di
settore, nonche' con  i  piani,  programmi  e  progetti  nazionali  e
regionali di sviluppo economico. 
    3. Le previsioni dei piani paesaggistici di cui agli articoli 143
e 156 non sono derogabili da parte di  piani,  programmi  e  progetti
nazionali o regionali di sviluppo economico,  sono  cogenti  per  gli
strumenti urbanistici dei comuni, delle citta' metropolitane e  delle
province, sono immediatamente prevalenti sulle disposizioni  difformi
eventualmente contenute  negli  strumenti  urbanistici,  stabiliscono
norme di salvaguardia applicabili in  attesa  dell'adeguamento  degli
strumenti urbanistici e sono altresi' vincolanti per  gli  interventi
settoriali.  Per  quanto  attiene  alla  tutela  del  paesaggio,   le
disposizioni dei piani paesaggistici sono comunque  prevalenti  sulle
disposizioni contenute negli  atti  di  pianificazione  ad  incidenza
territoriale previsti dalle normative di settore, ivi compresi quelli
degli enti gestori delle aree naturali protette. 
    4. I comuni, le citta' metropolitane,  le  province  e  gli  enti
gestori delle  aree  naturali  protette  conformano  o  adeguano  gli
strumenti  di  pianificazione   urbanistica   e   territoriale   alle
previsioni dei piani paesaggistici,  secondo  le  procedure  previste
dalla legge regionale, entro i termini stabiliti dai piani medesimi e
comunque non oltre due anni dalla loro approvazione.  I  limiti  alla
proprieta'  derivanti  da  tali  previsioni  non  sono   oggetto   di
indennizzo. 
    5. La regione disciplina  il  procedimento  di  conformazione  ed
adeguamento  degli  strumenti  urbanistici  alle   previsioni   della
pianificazione paesaggistica,  assicurando  la  partecipazione  degli
organi ministeriali al procedimento medesimo» (enfasi aggiunte). 
    Come  chiarito  da  codesta  Ecc.ma   Corte,   la   ratio   della
partecipazione   degli   organi    ministeriali    ai    procedimenti
amministrativi disciplinati dal  codice  dei  beni  culturali  e  del
paesaggio  e'  quella  di  assicurare  l'adeguato   esercizio   della
«competenza tecnico-scientifica degli uffici amministrativi  preposti
alla tutela paesaggistica, ai quali soltanto spetta  di  compiere  la
verifica concreta di conformita' tra  l'intervento  progettato  e  le
disposizioni del piano paesaggistico, individuando la soluzione  piu'
idonea a far si' che l'interesse pubblico primario  venga  conseguito
con il minor sacrificio possibile degli  interessi  secondari»  (cfr.
sentenza n. 172 del 2018, enfasi aggiunte). 
    In  altri  termini,  il  coinvolgimento  dello  Stato  nel  corso
dell'istruttoria e' preordinato alla tutela dei valori  ambientali  e
paesaggistici, con riguardo ai quali codesta Ecc.ma ha affermato  che
«alle regioni non e' consentito apportare deroghe in  peius  rispetto
ai parametri di tutela [...] fissati dalla  normativa  statale  [...]
essendo ad esse consentito soltanto [...] di incrementare  i  livelli
della tutela» (cfr. sentenza n. 210 del 2016, enfasi aggiunte). 
    4.  Ebbene,  nel  caso  di  specie,  la  riduzione  dei   termini
procedimentali  prevista   dalla   norma   censurata   introduce   un
significativo peggioramento - nell'ambito della  Regione  Piemonte  -
dei  parametri  di  tutela  ambientale  e  paesaggistica,  in  quanto
preclude  l'adeguato  apporto  partecipativo  degli  organi   statali
preposti alla salvaguardia dei valori in esame, soprattutto nei  casi
in  cui  la  valutazione  tecnica  concerna  i  comuni  di   maggiori
dimensioni e i capoluoghi di provincia. 
    In altri termini, la tutela dei valori ambientali e paesaggistici
preclude alle regioni l'introduzione di  termini  procedimentali  non
congrui alla complessita' delle verifiche tecniche da espletare, che,
di fatto, vanificano la ratio della normativa statale nella parte  in
cui prevede il necessario coinvolgimento degli organi ministeriali. 
    In particolare, nella  specie,  la  significativa  riduzione  dei
termini  procedimentali  relativi  allo  svolgimento  della   seconda
conferenza di pianificazione non consente agli uffici  amministrativi
del Ministero dei beni culturali  -  in  sede  di  valutazione  delle
varianti strutturali e generali  degli  strumenti  urbanistici  -  di
svolgere un'istruttoria  adeguata  alla  delicatezza  dei  valori  in
gioco,   rendendo   particolarmente   difficile   la   partecipazione
dell'Amministrazioni statale alla fase di conformazione e adeguamento
degli strumenti urbanistici. 
    Cio' vale, in particolare, per i comuni  di  maggiori  dimensioni
(in termini di estensione territoriale e di  popolazione  residente),
rispetto ai quali  non  e'  ipotizzabile  che  la  valutazione  delle
varianti strutturali  e  generali  dello  strumento  urbanistico  sia
svolta   negli   esigui   termini    ora    previsti    ed    imposti
all'amministrazione centrale, la cui attivita' viene cosi' ad  essere
unilateralmente condizionata e fortemente compressa dalla Regione con
la norma qui impugnata. 
    5. Ne consegue la violazione, da parte dell'art. 61  della  legge
regionale  n.  13  del  2020,  non  solo  del  principio   di   leale
collaborazione sancito dagli articoli 5 e 120 della Costituzione,  ma
anche di altri parametri costituzionali e segnatamente: 
        a) degli articoli 3 e 97 della  Costituzione,  in  quanto  la
norma censurata, riducendo in via generalizzata i termini fissati  di
trenta giorni, e in alcuni  casi  dimezzandoli,  preclude  l'adeguato
svolgimento dell'istruttoria procedimentale, ponendosi  in  contrasto
con i principi di proporzionalita' e ragionevolezza, nonche'  con  il
principio di buon andamento della pubblica amministrazione; 
        b) degli  articoli  9  e  117,  comma  2,  lettera  s)  della
Costituzione, giacche' introduce - nell'ambito della Regione Piemonte
- una significativa deroga in peius nei livelli di tutela dei  valori
ambientali e paesaggistici, che devono essere  garantiti  in  maniera
omogenea ed uniforme su tutto il territorio nazionale. 
IV. L'art. 62 della legge regionale Piemonte 29 maggio 2020, n. 13 
    1. L'art. 62  della  legge  regionale  29  maggio  2020,  n.  13,
intitolato «Estensione delle varianti parziali», stabilisce che «1. I
limiti di incremento delle superfici territoriali o degli  indici  di
edificabilita' previsti dal  PRG  vigente,  relativi  alle  attivita'
produttive, direzionali, commerciali, turistico-ricettive, oggetto di
variante parziale di cui all'art. 17, comma 5, lettera f) della legge
regionale n. 56/1977, sono  fissati  rispettivamente  in  misura  non
superiore all'8 per cento nei comuni con popolazione residente fino a
diecimila abitanti,  al  4  per  cento  nei  comuni  con  popolazione
residente compresa tra i diecimila e i ventimila abitanti, al  3  per
cento nei comuni con  popolazione  residente  superiore  a  ventimila
abitanti. 
    2. L'incremento di cui al comma 1, oltre a quanto  gia'  previsto
dall'art.  17,  comma  6  della  legge  regionale  n.  56/1977,  puo'
riguardare anche aree non interne e non contigue a  centri  o  nuclei
abitati purche' sia contemporaneamente: 
        a) relativo a superficie gia'  individuata  cartograficamente
dal PRGC quale area destinata alle attivita' produttive, direzionali,
commerciali, turistico-ricettive o contiguo alla medesima superficie; 
        b) strettamente correlato all'ampliamento e  riorganizzazione
di un'attivita' esistente e insediata nelle aree di cui alla  lettera
a) da almeno tre anni; 
        c) non eccedente il 50 per cento  dell'originaria  superficie
fondiaria di cui alla lettera a); 
        d)  qualora   previsto   su   istanza   di   un   proponente,
espressamente revocabile nel caso  non  sia  stato  dato  inizio  dei
lavori ai sensi dell'art.  49,  comma  5  della  legge  regionale  n.
56/1977 entro tre anni dall'approvazione; 
        e)  adeguatamente  servito  dalle  opere  di   urbanizzazione
primaria» (enfasi aggiunte). 
    2. La norma impugnata incide sulla classificazione delle varianti
disciplinata dall'art. 17 della legge regionale n. 56 del 1977. 
    Tale  articolo,  rubricato  «Varianti  e  revisioni   del   piano
regolatore generale, comunale e intercomunale» distingue: 
        a) varianti generali al PRG, da formare e  approvare  con  la
procedura di cui all'art. 15 della legge regionale n. 56 del  1977  e
per le quali deve essere effettuata la VAS -  Valutazione  ambientale
strategica; 
        b) varianti strutturali al PRG, da formare e approvare con la
procedura di cui al citato art. 15, nell'ambito della quale i termini
per  la  conclusione  della  prima  e  della  seconda  conferenza  di
copianificazione e valutazione  sono  ridotti,  ciascuno,  di  trenta
giorni; 
        c) varianti parziali al PRG, da formare e  approvare  con  la
procedura prevista dall'art. 17, comma 7 della legge regionale n.  56
del 1977; 
        d) modifiche  che  non  costituiscono  varianti  al  PRG,  da
assumere con delibera del consiglio comunale, ai sensi dell'art.  17,
comma 13 della legge regionale n. 56 del 1977. 
    Ebbene, l'articolo impugnato - incidendo sull'art. 17, commi 5  e
6 della legge regionale n. 56 del 1977, che  disciplina  i  requisiti
che devono ricorrere affinche'  una  variante  al  PRG  possa  essere
qualificata  come  «variante  parziale»  -   produce   l'effetto   di
«declassare» a «varianti parziali» interventi che, sulla  base  della
disciplina  previgente,  erano  invece  qualificati  come   «varianti
generali». 
    In particolare, la disposizione censurata - al comma 1 - modifica
i limiti di incremento delle superfici territoriali o degli indici di
edificabilita' previsti dal  PRG  vigente,  relativi  alle  attivita'
produttive, direzionali, commerciali e  turistico-ricettive,  il  cui
superamento  comporta   la   qualificazione   della   variante   come
«generale». 
    E invero, l'art. 17, comma 5 della legge regionale n. 56 del 1977
- nella versione previgente - stabiliva che «Sono  varianti  parziali
al PRG le modifiche che  soddisfano  tutte  le  seguenti  condizioni:
[...] 
        j) non incrementano le superfici territoriali o gli indici di
edificabilita' previsti dal  PRG  vigente,  relativi  alle  attivita'
produttive, direzionali, commerciali, turistico-ricettive, in  misura
superiore al 6 per cento nei comuni con popolazione residente fino  a
diecimila abitanti,  al  3  per  cento  nei  comuni  con  popolazione
residente compresa tra i diecimila e i ventimila abitanti, al  2  per
cento nei comuni con  popolazione  residente  superiore  a  ventimila
abitanti» (enfasi aggiunte). 
    Dunque, l'art. 62, comma 1 della legge regionale 29 maggio  2020,
n. 13, incrementa i precedenti limiti dimensionali: 
        a) dal 6 all'8 per cento nei comuni con popolazione residente
fino a diecimila abitanti; 
        b) dal 3 al 4 per cento nei comuni con popolazione  residente
compresa tra i diecimila e i ventimila abitanti; 
        c) dal 2 al 3 per cento nei comuni con popolazione  residente
superiore a ventimila abitanti. 
    Inoltre, il successivo comma 2 precisa che tali incrementi  -  in
deroga all'art. 17, comma 6 della legge regionale n. 56  del  1977  -
possono riguardare «anche aree non interne e non contigue a centri  o
nuclei abitati». 
    3. Le modifiche normative, oggetto di impugnazione, hanno  quindi
gravi implicazioni sui livelli di  tutela  dei  valori  ambientali  e
paesaggistici. 
    Infatti, esse comportano: 
        a) da un lato, l'applicazione della procedura di formazione e
approvazione dell'intervento prevista dall'art.  17,  comma  7  della
legge n. 56 del  1977,  in  luogo  della  procedura  piu'  articolata
stabilita dall'art. 15 della legge regionale n. 56 del 1977,  con  la
precisazione ulteriore che  per  le  varianti  generali  deve  sempre
essere effettuata la VAS, ai sensi dell'art. 17, comma 3 della  legge
citata; 
        b) dall'altro, l'esclusione degli interventi qualificati come
varianti parziali dalle prescrizioni previste  -  con  riguardo  alle
varianti generali - dall'art. 46 delle norme di attuazione del  piano
paesaggistico regionale. 
    Segnatamente, l'art. 46, intitolato «Adeguamento al Ppr», dispone
quanto segue: 
    «[6].  Dall'approvazione  del  Ppr   le   province,   la   citta'
metropolitana e gli enti gestori delle  aree  naturali  protette  non
possono  adottare  nuovi  strumenti   di   pianificazione,   varianti
generali; o revisioni al proprio strumento che non siano  comprensive
dell'adeguamento al Ppr stesso. 
    [7].  Dall'approvazione  del  Ppr  i  comuni  o  le  loro   forme
associative che svolgono la funzione  in  materia  di  pianificazione
urbanistica non possono adottare varianti  generali  o  revisioni  ai
propri   strumenti   urbanistici   che    non    siano    comprensive
dell'adeguamento al Ppr stesso. 
    [8]. Dall'adozione del Ppr, ai sensi dell'art. 143, comma  9  del
Codice non sono  consentiti  sugli  immobili  e  nelle  aree  di  cui
all'art. 134  interventi  in  contrasto  con  le  prescrizioni  e  le
specifiche prescrizioni d'uso contenute nel Ppr stesso, pertanto esse
prevalgono sulle disposizioni incompatibili contenute  nella  vigente
strumentazione    territoriale,     urbanistica     e     settoriale.
Dall'approvazione del Ppr le previsioni  come  definite  all'art.  2,
comma  4,  relative  anche  alle  componenti,   sono   immediatamente
prevalenti  sulle  previsioni  degli  strumenti   di   pianificazione
eventualmente difformi. 
    [9]. Dall'approvazione del Ppr, anche in assenza dell'adeguamento
di cui ai commi 1 e 2 del presente articolo, ogni variante  apportata
agli strumenti di pianificazione, limitatamente  alle  aree  da  essa
interessate, deve essere coerente  e  rispettare  le  norme  del  Ppr
stesso. 
    [10]. Entro novanta giorni dall'approvazione del Ppr la  regione,
d'intesa  con  il  Ministero  e  sentita  la  commissione  consiliare
competente, con il regolamento di cui all'art. 8-bis, comma  7  della
legge regionale n. 56/1977 disciplina le modalita' di adeguamento  al
Ppr e la sua attuazione, nonche' le  modalita'  per  la  verifica  di
coerenza  delle  varianti  di  cui  al  comma  9,   individuando   la
documentazione egli adempimenti necessari  a  garantire  il  rispetto
delle  norme  del  Ppr,  e  stabilisce  il  regime  transitorio   per
l'approvazione degli strumenti di pianificazione in itinere alla data
di approvazione del Ppr stesso» (enfasi aggiunte). 
    Dalle anzidette prescrizioni, si evince che: 
        a) dopo l'approvazione del PPR, gli enti preposti non possano
approvare   varianti   generali    che    non    siano    comprensive
dell'adeguamento dell'intero strumento urbanistico al PPR stesso; 
        b) al contrario, per le  varianti  parziali  non  si  dispone
alcun adeguamento, in quanto le modifiche apportate agli strumenti di
pianificazione devono semplicemente essere coerenti con le norme  del
PPR limitatamente alle aree da esse interessate. 
    In  altri  termini,  le  varianti   generali   comportano   anche
l'adeguamento dell'intero strumento urbanistico al  PPR;  mentre  una
analoga prescrizione  non  e'  prevista  per  le  varianti  parziali,
rispetto alle quali occorre effettuare esclusivamente una valutazione
di  coerenza  con  il  PPR  limitata  alla  porzione  di   territorio
interessata dalla variante. 
    Ne consegue che l'art. 62 della legge regionale n.  13  del  2020
incide direttamente sull'adeguamento degli strumenti  urbanistici  al
PPR, sottraendo una serie  di  varianti  al  necessario  processo  di
conformazione  dello  strumento  urbanistico  comunale:   conseguenza
inaccettabile, ove si consideri che gli interventi  de  quibus  -  in
quanto potenzialmente idonei a determinare la trasformazione di suolo
inedificato - sono fortemente invasivi per l'ambiente e il paesaggio. 
    Pertanto, con riferimento ad essi, appare inadeguata -  a  fronte
dei delicati valori in gioco - una valutazione dei medesimi  limitata
e  parcellizzata,  senza  che  il  loro  inserimento   nel   contesto
urbanistico  avvenga  nel  quadro  dell'armonico  recepimento   delle
previsioni del PPR. 
    4. Del resto, proprio in considerazione della  delicatezza  degli
interessi pubblici (statali e regionali)  coinvolti,  il  codice  dei
beni culturali e del paesaggio prevede che: 
        a) l'elaborazione dei piani paesaggistici - con  riguardo  ai
beni paesaggistici di cui all'art. 143, comma 1, lettere b), c) e  d)
- avviene congiuntamente tra Ministero e regioni nelle forme previste
dal medesimo art. 143 (art. 135, comma 1); 
        b) anche  al  di  fuori  di  tali  ipotesi,  le  regioni,  il
Ministero dei beni culturali e  il  Ministero  dell'ambiente  possono
stipulare intese per la definizione delle modalita'  di  elaborazione
congiunta dei  piani  paesaggistici.  Nell'intesa  e'  stabilito  «il
termine entro il quale  deve  essere  completata  l'elaborazione  del
piano.  Il  piano  e'  oggetto  di  apposito  accordo  fra  pubbliche
amministrazioni, ai sensi dell'art. 15 della legge 7 agosto 1990,  n.
241. L'accordo stabilisce altresi' i presupposti, le modalita'  ed  i
tempi  per  la  revisione  del  piano,  con  particolare  riferimento
all'eventuale sopravvenienza di dichiarazioni emanate ai sensi  degli
articoli 140 e 141 o di  integrazioni  disposte  ai  sensi  dell'art.
141-bis. Il piano e' approvato con provvedimento regionale  entro  il
termine fissato nell'accordo. Decorso inutilmente  tale  termine,  il
piano, limitatamente ai beni paesaggistici di cui alle lettere b), c)
e d) del comma 1, e' approvato in via  sostitutiva  con  decreto  del
Ministro, sentito  il  Ministro  dell'ambiente  e  della  tutela  del
territorio e del mare» (art. 143, comma 2); 
        c)  l'individuazione,  da  parte  del  Ministero   dei   beni
culturali, «delle  linee  fondamentali  dell'assetto  del  territorio
nazionale per quanto riguarda la tutela del paesaggio, con  finalita'
di indirizzo della pianificazione,  costituisce  compito  di  rilievo
nazionale, ai sensi delle vigenti disposizioni in materia di principi
e criteri direttivi per il conferimento di funzioni  e  compiti  alle
regioni ed enti locali. [...] I piani paesaggistici possono prevedere
misure  di  coordinamento  con  gli   strumenti   di   pianificazione
territoriale e di settore, nonche' con i piani, programmi e  progetti
nazionali e regionali di sviluppo economico. [...] Le previsioni  dei
piani  paesaggistici  di  cui  agli  articoli  143  e  156  non  sono
derogabili da parte  di  piani,  programmi  e  progetti  nazionali  o
regionali di sviluppo  economico,  sono  cogenti  per  gli  strumenti
urbanistici dei comuni, delle citta' metropolitane e delle  province,
sono   immediatamente   prevalenti   sulle   disposizioni    difformi
eventualmente contenute  negli  strumenti  urbanistici,  stabiliscono
norme di salvaguardia applicabili in  attesa  dell'adeguamento  degli
strumenti urbanistici e sono altresi' vincolanti per  gli  interventi
settoriali.  Per  quanto  attiene  alla  tutela  del  paesaggio,   le
disposizioni dei piani paesaggistici sono comunque  prevalenti  sulle
disposizioni contenute negli  atti  di  pianificazione  ad  incidenza
territoriale previsti dalle normative di settore, ivi compresi quelli
degli enti gestori delle aree naturali protette. I comuni, le  citta'
metropolitane, le province e gli enti  gestori  delle  aree  naturali
protette  conformano  o  adeguano  gli  strumenti  di  pianificazione
urbanistica e territoriale alle previsioni dei  piani  paesaggistici,
secondo le procedure previste dalla legge regionale, entro i  termini
stabiliti dai piani medesimi e comunque non oltre due anni dalla loro
approvazione. I limiti alla proprieta' derivanti da  tali  previsioni
non sono oggetto  di  indennizzo.  [...]  La  regione  disciplina  il
procedimento  di  conformazione  ed   adeguamento   degli   strumenti
urbanistici  alle  previsioni  della  pianificazione   paesaggistica,
assicurando  la   partecipazione   degli   organi   ministeriali   al
procedimento medesimo» (cosi', con enfasi aggiunte,  il  gia'  citato
art. 145). 
    A tali disposizioni codesta Ecc.ma Corte ha gia' riconosciuto «il
rango di norme di grande riforma economico-sociale» (cfr. sentenze n.
103 del 2017, n. 210 del 2014 e n. 308 del 2013), precisando che, «in
ogni caso, in presenza di piu' competenze, quale quella  dello  Stato
in materia ambientale, e quella della regione  [...]  in  materia  di
edilizia ed urbanistica,  cosi'  intrecciate  ed  interdipendenti  in
relazione  alla  fattispecie  in  esame,  la  concertazione  in  sede
legislativa ed amministrativa risulta indefettibile per prevenire  ed
evitare aporie del sistema» (cfr. sentenza n. 178  del  2018,  enfasi
aggiunta). 
    E invero, proprio al fine di «prevenire  ed  evitare  aporie  del
sistema», il Ministero dei beni culturali e la Regione Piemonte hanno
stipulato - ai sensi degli articoli 143, comma 2 del codice dei  beni
culturali e 15 della legge n. 241 del 1990 - il gia'  citato  accordo
del 14 marzo 2017, relativo  al  piano  paesaggistico  regionale  del
Piemonte. 
    Ebbene, come sopra precisato, l'art. 4 dell'accordo  prevede  che
«l. Le parti si impegnano ad attuare  il  Ppr  mediante  la  verifica
della conformita' allo stesso  degli  interventi  di  modifica  dello
stato dei luoghi, attraverso le procedure di  autorizzazione  di  cui
all'art. 146 del Codice, e a promuovere, ai sensi degli articoli 3  e
46 delle norme di attuazione del Ppr, l'adeguamento  alle  previsioni
dello stesso, da parte dei comuni; della citta' metropolitana,  delle
province e degli enti  gestori  delle  aree  naturali  protette,  dei
relativi strumenti di pianificazione entro  ventiquattro  mesi  dalla
data della sua  approvazione,  assicurando  la  partecipazione  degli
organi ministeriali al procedimento medesimo,  secondo  le  modalita'
organizzative individuate nel parere n. 3011  del  1°  febbraio  2017
dell'Ufficio  legislativo   del   Ministero,   nel   rispetto   delle
disposizioni   del   titolo   II   (Pianificazione   territoriale   e
paesaggistica) e del titolo III  (Pianificazione  urbanistica)  della
legge regionale n. 56/1977, ai  sensi  dell'art.  145,  comma  5  del
Codice, nonche' ai sensi  del  successivo  art.  146,  comma  5,  per
l'acquisizione  dell'esplicito  parere  del  Ministero  sull'avvenuto
adeguamento degli strumenti urbanistici al Ppr. La regione  entro  il
medesimo  termine  provvede  al  coordinamento  e  alla  verifica  di
coerenza degli atti di programmazione e di  pianificazione  regionale
con le previsioni del Ppr, assicurandone l'informazione preventiva al
Ministero, alfine di acquisirne le motivate osservazioni. 
    2. Le parti si impegnano a proseguire le attivita'  del  comitato
tecnico, ai fini dell'attuazione del Ppr, in  merito  alle  eventuali
indicazioni  da  formulare  per  l'applicazione  del  piano   e   per
monitorare e agevolare i processi di conformazione o  adeguamento  al
Ppr degli strumenti di  pianificazione  urbanistica  e  territoriale,
nonche' per le altre attivita'  congiunte  previste  dalle  norme  di
attuazione, attraverso l'adozione di linee-guida e atti di indirizzo,
predisposti anche in relazione  al  processo  di  semplificazione  in
materia di autorizzazione paesaggistica. 
    3. Le parti si  riservano  in  ogni  caso  di  emanare  circolari
esplicative congiunte alfine della  corretta  applicazione  del  Ppr,
anche  con  particolare  riferimento   alla   disciplina   dei   beni
paesaggistici» (enfasi aggiunte). 
    5. Pertanto, anche in considerazione dell'accordo  stipulato  con
il Ministero dei beni culturali, la Regione Piemonte  avrebbe  dovuto
astenersi  dal  procedere  unilateralmente   all'introduzione   delle
modifiche  normative  censurate,  dato  che  esse,   riducendo,   con
l'aumento dei limiti di incremento  delle  superfici  territoriali  e
degli indici di edificabilita',  l'ambito  oggettivo  delle  varianti
generali ed ampliando di riflesso  quello  delle  varianti  parziali,
incidono in modo significativo sugli interventi oggetto di necessario
adeguamento al PPR  degli  strumenti  urbanistici,  diminuendo  cosi'
drasticamente, per effetto di  tale  «declassamento»,  i  livelli  di
tutela dei valori ambientali e paesaggistici. 
    6. Di qui la  violazione,  da  parte  dell'art.  62  della  legge
regionale n. 13 del 2020, sia  degli  articoli  9  e  117,  comma  2,
lettera s) della Costituzione, in ragione  del  pregiudizio  arrecato
alla tutela dell'ambiente e del paesaggio, sia del principio di leale
collaborazione desumibile dagli articoli 5 e 120 della  Costituzione,
stante  l'iniziativa  assunta  unilateralmente  dalla   regione,   in
violazione degli impegni assunti con l'amministrazione statale. 
V. L'art. 79 della legge regionale Piemonte 29 maggio 2020, n. 13 
    1. Infine, con il presente ricorso, si impugna  anche  l'art.  79
della legge regionale n. 13 del 2020, in  quanto  detta  disposizione
eccede le competenze regionali ed invade quelle statali in materia di
«governo del territorio», in violazione dell'art. 117, comma 3  della
Costituzione. 
    2. Segnatamente, l'art.  79,  intitolato  «Inserimento  dell'art.
8-bis nella legge regionale 8 luglio 1999, n. 19», statuisce che  «1.
Dopo l'art. 8 della  legge  regionale  n.  19/1999,  e'  inserito  il
seguente: 
    Art. 8-bis (Destinazioni d'uso temporanee). - 1.  Allo  scopo  di
attivare processi di recupero e valorizzazione di  immobili  e  spazi
urbani dismessi o in via di dismissione e favorire, nel contempo,  lo
sviluppo di iniziative economiche, sociali e culturali,  e  agevolare
gli interventi di rigenerazione urbana di cui all'art. 12 della legge
regionale n.  16/2018,  il  comune  puo'  consentire  l'utilizzazione
temporanea di immobili, o parti di essi, per usi  diversi  da  quelli
consentiti; l'uso temporaneo puo' riguardare sia immobili privati che
pubblici per la realizzazione di iniziative  di  rilevante  interesse
pubblico e non comporta il mutamento della destinazione  d'uso  delle
unita' immobiliari interessate;  in  assenza  di  opere  edilizie  e'
attuato senza titolo abilitativo. 
    2. L'uso temporaneo e' consentito, previo rispetto dei  requisiti
igienico-sanitari, ambientali e di sicurezza, se non  compromette  le
finalita' perseguite dalle destinazioni prevalenti previste dal  PRG,
per una sola volta e per un periodo di  tempo  non  superiore  a  tre
anni, prorogabili di altri due. 
    3. I criteri, i termini e le modalita' di utilizzo  degli  spazi,
di cui al comma 1, sono stabiliti con apposita convenzione  approvata
dal comune. 
    4. Nel caso di immobili pubblici, l'ente  proprietario  individua
il gestore attraverso apposito bando o avviso pubblico. 
    5. Nel caso di bandi rivolti  ai  soggetti  riferibili  al  terzo
settore per l'assegnazione di immobili e spazi di cui al comma  1,  i
soggetti  gestori  devono  comunque  essere  individuati  tra  quelli
iscritti agli specifici registri regionali e nazionali previsti dalla
normativa vigente. 
    6. Il comune nella convenzione puo' definire le  eventuali  opere
di  urbanizzazione  minime  necessarie   e   indispensabili   all'uso
temporaneo proposto; se le opere di cui al  precedente  periodo  sono
mantenute in quanto funzionali al successivo intervento  di  sviluppo
di rigenerazione dell'area, il  loro  costo  puo'  essere  scomputato
dagli oneri di urbanizzazione dovuti per  lo  stesso  intervento.  La
convenzione   disciplina,   altresi',   le   cause    di    decadenza
dall'assegnazione  di  immobili.  E'  fatto   salvo   il   successivo
adeguamento  degli  strumenti  urbanistici  nel  caso   in   cui   le
destinazioni  d'uso  temporanee  diventino  stabili,  verificando  la
dotazione degli standard urbanistici. 
    7. Sono fatte  salve  le  disposizioni  del  piano  paesaggistico
regionale (PPR) e  dei  piani  d'area  dei  parchi  e  delle  riserve
naturali  regionali,  previste  per  gli  immobili   e   gli   ambiti
assoggettati a tutela ai sensi del  decreto  legislativo  22  gennaio
2004, n. 42 (Codice dei beni culturali  e  del  paesaggio,  ai  sensi
dell'art. 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137)» (enfasi aggiunte). 
    3. Dunque, l'articolo  censurato  prevede  che  il  comune  -  al
dichiarato fine di recuperare e valorizzare immobili  dismessi  o  in
via di dismissione, nonche' per favorire lo  sviluppo  di  iniziative
economiche,  sociali  e  culturali  oppure  agevolare  interventi  di
rigenerazione urbana - ha la facolta' di «consentire» l'utilizzazione
temporanea di immobili, o parti di essi, per usi  diversi  da  quelli
consentiti. 
    L'uso  temporaneo  puo'  riguardare  sia  immobili  privati   che
pubblici «per la realizzazione di iniziative di  rilevante  interesse
pubblico e non comporta il mutamento della destinazione  d'uso  delle
unita' immobiliari interessate». 
    Si precisa, inoltre, che i criteri, i termini e le  modalita'  di
utilizzo degli spazi in  questione  saranno  stabiliti  con  apposita
convenzione approvata dal comune. 
    4.  L'articolo  impugnato  interferisce  -  anzitutto  -  con  le
definizioni  degli  interventi  edilizi  contenute  nell'art.  3  del
decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 - testo
unico delle  disposizioni  legislative  e  regolamentari  in  materia
edilizia. 
    E invero, il nuovo art. 8-bis della legge  regionale  n.  19  del
1999  prevede  che  i  comuni  possono  autorizzare  mutamenti  d'uso
temporanei di immobili o  di  parti  di  essi,  senza  che  sia  dato
comprendere in quale tipologia di intervento edilizio tale operazione
dovrebbe essere inquadrata. 
    Pertanto, si potrebbe ritenere che - mediante  la  previsione  in
esame  -  il   legislatore   regionale   abbia   inteso   introdurre,
nell'ordinamento giuridico regionale, una nuova e autonoma  tipologia
di intervento edilizio, non prevista dall'art. 3 del  T.U.E.;  oppure
che i mutamenti temporanei di destinazione  d'uso  potrebbero  essere
attuati mediante uno qualsiasi degli interventi edilizi indicati  nel
citato art. 3 del T.U.E. 
    Ebbene, in entrambe le ipotesi, la norma censurata violerebbe  le
disposizioni di principio stabilite dalla normativa statale  in  tema
di governo del territorio. 
    Nel primo caso,  infatti,  la  norma  censurata  introdurrebbe  -
nell'ambito della sola Regione Piemonte - una autonoma  tipologia  di
intervento  edilizio,   «scorporandola»   dalle   definizioni   degli
interventi edilizi previste dall'art. 3 del T.U.E. e valide su  tutto
il territorio nazionale. 
    Nel secondo caso, invece, la disposizione impugnata sortirebbe il
risultato di consentire mutamenti temporanei  di  destinazione  d'uso
anche  per  effetto  di  interventi  di  manutenzione   ordinaria   e
straordinaria, al di fuori e a prescindere  dalle  condizioni  e  dai
limiti previsti dalla norma statale di principio, la quale  configura
il mutamento di destinazione d'uso come semplice modalita'  attuativi
- rectius: effetto/conseguenza - degli  interventi  edilizi  da  essa
tipizzati,  con  esclusione,  appunto,  di  quelli  di   manutenzione
ordinaria e straordinaria di cui alle lettere a) e  b)  del  comma  1
dell'art. 3 citato. 
    Peraltro, l'utilizzo - da parte del legislatore regionale - della
generica  voce  verbale  «consentire»   non   consente   neppure   di
individuare quale sia - tra i titoli abilitativi previsti dal  T.U.E.
- quello mediante  il  quale  i  comuni  dovrebbero  legittimare  gli
interventi, cui si accompagnino opere edilizie,  previsti  dal  nuovo
art. 8-bis della legge regionale n. 19 del 1999. 
    I rilievi che precedono consentono dunque di concludere nel senso
che con la norma gravata il legislatore regionale ha introdotto: 
        a) una nuova tipologia di intervento edilizio,  in  contrasto
con il numerus clausus stabilito - a livello statale  -  dall'art.  3
del T.U.E; o comunque 
        b) un intervento attuabile attraverso diverse modalita',  ivi
inclusa la realizzazione di opere edilizie - come e' confermato dalla
previsione del comma 6, nel quale e' contemplata la eventualita'  che
l'intervento comporti anche «opere di  urbanizzazione»  necessarie  e
indispensabili all'uso temporaneo consentito -, la cui definizione e'
interamente lasciata alla autonomia negoziale delle parti, anche  con
riguardo al titolo abilitativo di volta in volta necessario. 
    5. La norma censurata,  peraltro,  non  pone  alcun  limite  alle
modifiche che possono essere apportate alla preesistente destinazione
d'uso dell'immobile, anche se - contraddittoriamente  -  precisa  che
l'intervento «non comporta  il  mutamento  della  destinazione  d'uso
delle unita' immobiliari interessate». 
    Dunque,  nonostante  tale  inciso,  la   disposizione   censurata
sembrerebbe ammettere anche usi temporanei che - in via  ordinaria  -
darebbero luogo, ai sensi dell'art. 23-ter del decreto del Presidente
della Repubblica n. 380 del 2001, a mutamenti di  destinazione  d'uso
«urbanisticamente rilevanti»,  introducendo  -  in  tal  modo  -  una
disciplina ancora una volta incompatibile con quella stabilita  dalla
norma statale di principio, con conseguente alterazione dell'unita' e
dell'omogeneita' del regime dei mutamenti  d'uso  vigente  a  livello
nazionale. 
    6. Infine, si evidenzia come il  nuovo  art.  8-bis  della  legge
regionale n. 19 del 1999  sembrerebbe  escludere  gli  interventi  de
quibus dall'ambito di applicazione oggettivo della  disciplina  delle
opere temporanee, prevista dall'art. 6, comma 1, lettera  e-bis)  del
T.U.E. 
    In particolare, tale disposizione prevede  che  «Fatte  salve  le
prescrizioni degli strumenti urbanistici  comunali,  e  comunque  nel
rispetto delle altre normative  di  settore  aventi  incidenza  sulla
disciplina dell'attivita' edilizia e,  in  particolare,  delle  norme
antisismiche,  di  sicurezza,  antincendio,  igienico-sanitarie,   di
quelle relative all'efficienza  energetica,  di  tutela  dal  rischio
idrogeologico, nonche' delle disposizioni contenute  nel  codice  dei
beni culturali e del paesaggio, di  cui  al  decreto  legislativo  22
gennaio 2004, n. 42, i seguenti interventi sono eseguiti senza  alcun
titolo abilitativo: [...] 
        e-bis) le opere stagionali  e  quelle  dirette  a  soddisfare
obiettive esigenze, contingenti e temporanee,  purche'  destinate  ad
essere immediatamente rimosse al cessare della temporanea  necessita'
e, comunque, entro un termine  non  superiore  a  centottanta  giorni
comprensivo dei tempi di allestimento  e  smontaggio  del  manufatto,
previa  comunicazione  di  avvio   dei   lavori   all'amministrazione
comunale» (enfasi aggiunte). 
    La norma censurata - al contrario - prevede che  il  comune  puo'
legittimare l'utilizzazione temporanea di immobili, o parti di  essi,
per  usi  diversi   da   quelli   consentiti,   evidentemente   dalle
disposizioni urbanistiche vigenti (comma 1), con il  solo  limite  di
non  compromettere  «le  finalita'  perseguite   dalle   destinazioni
prevalenti previste dal PRG» (comma 2). 
    In altri termini, la norma in questione - in violazione dell'art.
6, comma 1, lettera e-bis) del T.U.E. - prevede  che  l'utilizzazione
temporanea degli immobili de quibus possa avvenire  anche  in  deroga
agli strumenti urbanistici vigenti. 
    7.  Orbene,  come  precisato  da  codesta   Ecc.ma   Corte,   «la
definizione delle categorie di interventi edilizi a cui si collega il
regime dei  titoli  abilitativi  costituisce  principio  fondamentale
della materia di  competenza  legislativa  concorrente  fra  Stato  e
regioni  del  "governo   del   territorio",   vincolando   cosi'   la
legislazione regionale di dettaglio» (cfr. sentenza n. 303 del  2003,
enfasi aggiunte). 
    Inoltre, «le regioni possono si' estendere la disciplina  statale
dell'edilizia libera ad  interventi  "ulteriori"  rispetto  a  quelli
previsti dai commi 1 e 2 dell'art.  6  del  T.  U.E.,  ma  non  anche
differenziarne  il  regime  giuridico,  dislocando  diversamente  gli
interventi edilizi tra le attivita' deformalizzate, soggette a cil  e
cila.  L'omogeneita'  funzionale   della   comunicazione   preventiva
(asseverata o meno) rispetto alle  altre  forme  di  controllo  delle
costruzioni (permesso  di  costruire,  DIA,  SCIA),  deve  indurre  a
riconoscere alla norma che la prescrive  -  al  pari  di  quelle  che
disciplinano i titoli abilitativi edilizi - la  natura  di  principio
fondamentale della materia del "governo del  territorio",  in  quanto
ispirata  alla  tutela  di  interessi  unitari   dell'ordinamento   e
funzionale a garantire un assetto coerente  su  tutto  il  territorio
nazionale,   limitando   le   differenziazioni   delle   legislazioni
regionali» (cfr. sentenza n. 231 del 2016, enfasi aggiunte). 
    8. Nel caso di specie, la Regione Piemonte non si e' conformata a
siffatti  principi  di  diritto,  introducendo   -   nell'ordinamento
giuridico regionale - disposizioni di dettaglio in contrasto  con  le
norme di principio desumibili  dagli  articoli  3,  6  e  23-ter  del
decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001. 
    Di qui, il contrasto della norma censurata con l'art. 117,  comma
3 della Costituzione, rispetto al quale le citate norme del T.U.E. si
pongono quali «norme interposte». 
    9. Per il complesso delle ragioni che precedono: l'art. 23, comma
2 della legge regionale n. 13 del 2020 viola  l'art.  117,  comma  2,
lettera  e)  della  Costituzione;  l'art.  52  della  medesima  legge
regionale si pone in contrasto con l'art. 117, comma 2, lettere e)  e
m) della Costituzione; l'art. 61 della legge regionale  in  esame  e'
lesivo degli articoli 5 e 120 della Costituzione, nella parte in  cui
sanciscono il principio di leale collaborazione tra Stato e  regioni,
nonche' degli articoli 3, 9, 97 e 117,  comma  2,  lettera  s)  della
Costituzione; l'art. 62 della legge regionale de qua viola  anch'esso
gli  articoli  5  e  120  della  Costituzione,  nella  parte  in  cui
sanciscono il principio di leale collaborazione tra Stato e  regioni,
nonche' gli articoli gli articoli 9 e 117, comma 2, lettera s)  della
Costituzione; infine, l'art. 79 della legge  regionale  censurata  si
pone in contrasto con l'art. 117,  comma  3  della  Costituzione,  in
quanto eccede le competenze regionali  e  invade  quelle  statali  in
materia di «governo del territorio». 
 
                              P. Q. M. 
 
    Il Presidente del  Consiglio  dei  ministri  chiede  che  codesta
Ecc.ma  Corte  costituzionale  voglia  dichiarare  costituzionalmente
illegittimi, e conseguentemente annullare, peri motivi sopra indicati
ed illustrati, gli articoli 23, comma 2, 52, 61, 62 e 79 della  legge
della  Regione  Piemonte  29  maggio  2020,  n.  13,  pubblicata  nel
Bollettino ufficiale della Regione Piemonte n. 22 del 28 maggio  2020
- Supplemento ordinario 29 maggio 2020, n. 5, come  da  delibera  del
Consiglio dei ministri assunta nella  seduta  del  giorno  22  luglio
2020. 
    Con  l'originale  notificato  del  ricorso  si  depositeranno   i
seguenti atti e documenti: 
        1. attestazione relativa  alla  approvazione,  da  parte  del
Consiglio dei ministri nella riunione  del  giorno  22  luglio  2020,
della determinazione di impugnare la legge della Regione Piemonte  29
maggio 2020, n. 13, secondo i termini e per  le  motivazioni  di  cui
alla allegata relazione del Ministro per gli affari  regionali  e  le
autonomie; 
        2. copia  della  legge  regionale  impugnata  pubblicata  nel
Bollettino ufficiale della Regione Piemonte n. 22 del 28 maggio  2020
- Supplemento ordinario 29 maggio 2020, n. 5. 
    Con riserva di illustrare e sviluppare in prosieguo i  motivi  di
ricorso anche alla luce delle difese avversarie. 
      Roma, 27 luglio 2020 
 
                   L' avvocato dello Stato: Feola 
 
                       Il vice avvocato generale dello Stato: Mariani