N. 121 ORDINANZA (Atto di promovimento) 30 marzo 2020
Ordinanza del 30 marzo 2020 della Corte d'appello di Bologna nel procedimento penale a carico di G. G.. Processo penale - Divieto di un secondo giudizio - Inapplicabilita' nei confronti di imputato gia' giudicato per il medesimo fatto in un procedimento amministrativo conclusosi con una sanzione amministrativa irrevocabile di carattere sostanzialmente penale secondo i criteri fissati dalla giurisprudenza della Corte EDU. - Codice di procedura penale, art. 649.(GU n.39 del 23-9-2020 )
LA CORTE D'APPELLO DI BOLOGNA Sezione I penale Riunita in Camera di consiglio nelle persone di: dott. Luca Ghedini - Presidente; dott.ssa Anna Mori - Consigliere rel.; dott. Enrico Saracini - Consigliere; Visti gli atti del procedimento sopra indicato a carico di G. G. in relazione al reato di cui all'art. 2, decreto legislativo n. 74/2000 e la richiesta difensiva, gia' avanzata in primo grado e rigettata dal GUP con ordinanza in data 13 novembre 2017, di rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia europea, osserva quanto segue. Preliminarmente occorre ricordare che il predetto G. veniva condannato con sentenza del GUP presso il Tribunale di Ravenna in data 28 marzo 2018 alla pena sospesa di mesi 8 e giorni 10 di reclusione in relazione al reato di cui agli artt. 81 cpv cp e 2 decreto legislativo n. 74/2000 perche', al fine di evadere I'IVA per le annualita' 2011 e 2012, indicava nelle dichiarazioni presentate negli anni successivi elementi passivi fittizi, in particolare annotando fatture emesse dalla ditta VAS Project di Z. V. oggettivamente e soggettivamente inesistenti; in Ravenna in data 21 settembre 2012 e 19 settembre 2013. Nel corso dell'udienza preliminare la difesa depositava documentazione dalla quale emergeva che, in relazione ai medesimi fatti, il G. era stato sanzionato in sede amministrativa con provvedimento irrevocabile. Come anticipato, la medesima difesa formulava istanza di rinvio pregiudiziale affinche' la Corte europea valutasse se la norma di cui all'art. 50 CDFUE fosse ostativa alla possibilita' di celebrare un procedimento penale in caso di sanzione amministrativa irrevocabile, inflitta in esito a procedimento avente il medesimo oggetto. Il GUP con il provvedimento di cui sopra, richiamata la sentenza della Grande Camera della CEDU nel procedimento AB contro Norvegia, osservava come nel caso di specie tra i procedimenti in parola sussistesse una connessione cronologica e sostanziale sufficientemente stretta, da giustificare la duplicazione delle procedure, rispondenti ad esigenze in parte diverse quale, ad esempio, quella di sanzionare maggiormente una condotta fraudolenta non considerata in sede amministrativa. La questione veniva riproposta in sede d'appello. Dato atto di tutto cio', questa Corte ritiene di dover preliminarmente osservare che il rimedio da adottarsi nel caso di specie a fronte, come si vedra', di un'indubbia ipotesi di ne bis in idem nel senso precisato dalla giurisprudenza della CEDU non e' il rinvio pregiudiziale, bensi' la proposizione di questione di legittimita' costituzionale avente ad oggetto l'art. 649 del codice di procedura penale per violazione dell'art. 117 della Costituzione. Ai fini che interessano si deve richiamare la sentenza della Corte costituzionale n. 43 del 2 marzo 2018 la quale, ha stabilito che, nel caso in cui il giudice nazionale su una materia non compresa nel diritto dell'Unione ravvisi una violazione del principio del ne bis in idem come elaborato dalla giurisprudenza della CEDU, e' necessario sollevare la relativa questione di legittimita' costituzionale. Vero e' che nel caso di specie veniva contestata, quale finalita' della condotta, un'evasione IVA, ma si ritiene che tale circostanza non muti la conclusione sopra richiamata. Ai sensi dell'art. 51 CDFUE, infatti, la Corte di giustizia e' competente in relazione all'attuazione del diritto dell'Unione, settore nel quale indubbiamente rientra l'evasione IVA, quest'ultima imposta armonizzata a livello europeo. La materia devoluta a questa Corte ha pero' contenuto piu' ampio rispetto alla semplice evasione dell'IVA poiche', se da un lato la contestazione e' relativa all'infedelta' della dichiarazione, e dunque ad una rappresentazione non veritiera della complessiva situazione reddituale dell'appellante, dall'altro il primo giudice argomentava ampiamente in ordine al riflesso che la condotta incriminata, concretatasi nell'esporre elementi passivi fittizi, produceva anche in relazione alle imposte sui redditi. In subordine si deve osservare che la sentenza della Corte costituzionale n. 269/2017 ha statuito che quando una norma viola una garanzia prevista sia dalla Carta di Nizza, sia dalla Costituzione interna (la quale comprende i principi CEDU quale parametro interposto ex art. 117), il giudice deve sollevare questione di legittimita' costituzionale. Si ritiene che il caso di specie sia dunque sottratto alla cognizione della Corte di Lussemburgo. Cio' premesso, compito della Corte e' allora innanzitutto quello di valutare se nel caso di specie sussista una violazione del richiamato principio del ne bis in idem, posto che in caso contrario la questione sarebbe irrilevante. Ai fini che interessano occorre evidenziare che in relazione alla medesima condotta (ovvero avere posto in detrazione un'IVA indetraibile in quanto conseguente ad operazioni inesistenti) l'imputato veniva sottoposto a procedimento amministrativo conclusosi nel gennaio del 2016; in quella sede oltre all'ammontare dell'imposta non pagata il G. veniva condannato a corrispondere una sanzione pari ad euro 14.726,18, come da cartella esattoriale notificata al predetto in data 14 giugno 2017 (cfr. documento n. 1 allegato alla memoria difensiva depositata all'udienza dell'8 novembre 2017). Al momento del giudizio di primo grado la sanzione amministrativa era dunque divenuta definitiva, non presentando alcuna rilevanza, come pure statuito dalla richiamata sentenza della Corte costituzionale n. 43 del 2018, la circostanza che essa fosse o meno stata pagata (e posto che in ogni caso il prevenuto iniziava a corrispondere importi rateizzati ben prima del rinvio a giudizio). Primo problema da affrontare e' allora se la sanzione di cui sopra debba qualificarsi come «sostanzialmente penale» in forza dei cd. Criteria Engel elaborati nella celeberrima sentenza Engel/Paesi Bassi. Com'e' noto, quest'ultima pronuncia ai fini che interessano attribuisce rilievo alla qualificazione giuridica, alla natura ed al grado di severita' della sanzione inflitta, ed in particolare alla circostanza che quest'ultima concreti un quid pluris rispetto all'imposta evasa e presenti dunque un significativo grado di afflittivita', idoneo a produrre un effetto dissuasivo e non meramente restitutorio. Orbene, nella specie il G., a fronte di importi indetraibili pari ad euro 15.433,80 per il 2011 e 3.780 per l'anno successivo si vedeva infliggere, in esito al procedimento amministrativo richiamato, una sanzione sicuramente rilevante ed afflittiva, la quale produceva un indubbio effetto deterrente e puo' dunque considerarsi, alla luce dei criteri richiamati, sostanzialmente penale. Cio' non e' pero' ancora sufficiente a riscontrare la rilevanza della questione, dovendosi anche accertare se nel caso di specie sussistano gli ulteriori presupposti per ravvisare un'ipotesi di ne bis in idem, sempre alla luce dei principi elaborati dalla Corte di Strasburgo. Sul punto la sentenza AB/Norvegia del 18 novembre 2016 veniva richiamata, a sostegno delle rispettive e contrapposte tesi, sia dal GUP, sia dalla difesa, ed e' pertanto necessario riassumerne il contenuto. In essa in particolare innanzitutto si ribadisce, ai fini della sussistenza del ne bis in idem, la necessita' dell'identita' soggettiva ed oggettiva dei procedimenti, gia' richiesta dalla sentenza Grande Stevens/Italia del 2014. A modifica di quanto statuito in quest'ultima pronuncia, la quale lasciava scarsi margini interpretativi ai giudice nazionale, AB/Norvegia ammette pero' la possibilita' di un doppio giudizio, e dunque esclude una violazione del principio in oggetto, subordinandola ai presupposti che seguono: i procedimenti devono avere finalita' complementari e relative ad aspetti diversi della condotta; la raccolta e valutazione delle prove deve essere coordinata ed evitare duplicazioni; l'instaurazione di due distinti procedimenti deve essere prevedibile; la pena inflitta nell'ultimo deve tenere conto di quella comminata nel precedente; essi devono essere strettamente connessi; le sanzioni devono essere riconducibili alla medesima area penale. Nel caso concreto i due procedimenti avevano, come gia' osservato, sicuramente identico oggetto ed erano stati aperti a carico del medesimo soggetto (ovvero l'imputato in qualita' di titolare della relativa impresa individuale). Il GUP pero', nel rigettare la richiesta difensiva, valorizzava come pure gia' rilevato la sussistenza di una stretta connessione tra gli stessi («close connection in substance and in time»), la quale legittimerebbe la doppia celebrazione alla luce della giurisprudenza richiamata. Per accertare se cio' risponda al vero occorre ripercorrere la cronologia dei fatti. In particolare, il Processo verbale di constatazione redatto a carico dell'impresa individuale del G. e' datato 16 dicembre 2015 e l'iscrizione dello stesso nei registro degli indagati risale al 22 dicembre 2015; deve dunque ritenersi che, quantomeno fino alla conclusione dei procedimento amministrativo in data 28 gennaio 2016, le due procedure abbiano avuto uno sviluppo parallelo. I profili di connessione si limitano pero' a questo, non emergendo dagli atti alcuna utilizzazione coordinata della prova, ovvero complementarieta' dell'oggetto dell'accertamento: se, in particolare, quest'ultimo e' in entrambi i casi relativo all'impossibilita' di detrazione dell'IVA in conseguenza dell'inesistenza delle sottostanti operazioni, e' noto quanto alle fonti di' prova che il PVC non e' integralmente utilizzabile nel procedimento penale, contenendo presunzioni non applicabili in quella sede. Ne' puo' ritenersi che la sanzione amministrativa non tenga conto e non fornisca adeguata risposta alla connotazione fraudolenta della condotta penalmente rilevante, attesa l'entita' significativa della stessa in rapporto alla concreta lesione cagionata al Fisco. A cio' deve aggiungersi che, seppure per un limitato periodo vi e' stata una contemporanea pendenza, il procedimento penale e' proseguito per lungo tempo dopo la chiusura di quello amministrativo (la sentenza di primo grado e' successiva di oltre due anni). In un caso analogo la sentenza Bjarni Armansson/Finlandia del 16 aprile 2019 ravvisava una violazione del principio del ne bis in idem e la sentenza Nodet/Francia, pure del 2019, riteneva analoga violazione in un caso in cui le procedure erano state simultanee per due anni, osservando esclude altresi' come, per ritenere ammissibile la duplicazione dei procedimenti ed escludere il ne bis in idem, il giudice nazionale debba accertare la contemporanea presenza di tutti i richiamati presupposti. Applicando detti principi al caso di specie, deve quindi ritenersi che la sanzione penale subita dal G. sia stata una duplicazione di quella amministrativa, con conseguente violazione del principio del ne bis in idem posto dall'art. 4 Prot. 7 CEDU come sopra interpretato dalla Corte di Strasburgo. Occorre allora domandarsi quale sia il rimedio adottabile dal giudice penale nazionale, e ad avviso di questa Corte la risposta al quesito, sulla quale si fonda l'ulteriore requisito della non manifesta infondatezza della questione, e' che nessun rimedio e' accordato dall'ordinamento. L'art. 649 del codice di procedura penale, infatti, richiama unicamente la sentenza o il decreto penale di condanna; ne' sarebbe ammissibile un'interpretazione estensiva che consenta di annoverare tra le cause ostative ad un secondo giudizio il provvedimento amministrativo divenuto irrevocabile, trattandosi, a differenza dei decreto di archiviazione, di atto del tutto estraneo al procedimento penale. Tale preclusione appare pero' dubbia sotto il profilo della conformita' alla normativa europea sopra richiamata e dunque all'art. 117 della Costituzione, per cui si ritiene di dover sollevare d'ufficio la relativa questione.
P.Q.M. Visto l'art. 23, legge n. 87/1953; Solleva, con riferimento all'art. 117 della Costituzione in relazione all'art. 4 prot. 7 CEDU questione di legittimita' costituzionale dell'art. 649 del codice di procedura penale nella parte in cui non preclude un nuovo giudizio nel caso in cui il medesimo soggetto sia gia' stato giudicato per il medesimo fatto in un procedimento amministrativo conclusosi con una sanzione amministrativa irrevocabile, da considerarsi sostanzialmente penale alla luce dei criteri fissati dalla giurisprudenza CEDU. Dispone la sospensione del giudizio e l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Dispone che la presente ordinanza sia notificata alle parti ed al Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Bologna, 16 gennaio 2020 Il Presidente: Ghedini Il Cons. estensore: Mori