N. 128 ORDINANZA (Atto di promovimento) 15 dicembre 2019

Ordinanza del 15 dicembre 2019 del Tribunale di Roma nel procedimento
civile promosso da Estracom S.p.a. contro  Ministero  dello  sviluppo
economico. 
 
Telecomunicazioni - Codice delle comunicazioni elettroniche - Diritti
  amministrativi - Imposizione alle imprese  che  forniscono  reti  o
  servizi ai sensi dell'autorizzazione generale  o  alle  quali  sono
  stati concessi diritti di uso - Prevista finalita' di copertura dei
  soli costi amministrativi sostenuti per la gestione, il controllo e
  l'applicazione del regime di autorizzazione generale,  dei  diritti
  di uso e  degli  obblighi  specifici  prescritti  ai  fornitori  di
  servizi e di reti di  comunicazione  elettronica  -  Determinazione
  dell'importo secondo criteri legati all'estensione o al  numero  di
  abitanti di un certo territorio. 
- Decreto  legislativo  1°  agosto  2003,  n.   259   (Codice   delle
  comunicazioni elettroniche), art. 34,  in  combinato  disposto  con
  l'art. 1 All. 10 al medesimo testo di legge. 
(GU n.40 del 30-9-2020 )
 
                     TRIBUNALE ORDINARIO DI ROMA 
                       sezione seconda civile 
 
    Il Tribunale di Roma, in persona del giudice dott.ssa  Alessandra
Imposimato, ha emesso la seguente ordinanza  nella  causa  civile  di
primo grado iscritta al n. 66042 del ruolo generale  per  gli  affari
contenziosi dell'anno 2018, avente  ad  oggetto:  «altri  istituti  e
leggi speciali» e pendente tra: 
        Estracom S.p.a., in persona  del  legale  rappresentante  pro
tempore, elettivamente domiciliato in  Roma  via  di  Panico  n.  72,
presso e nello studio dell'avv. Eutimio Monaco, che lo rappresenta  e
difende per procura su foglio separato allegato alla  busta  eml  con
cui depositato, in via telematica, il ricorso introduttivo - attore; 
        e Ministero dello sviluppo economico, in persona del Ministro
pro tempore, rappresentato e difeso  dall'Avvocatura  Generale  dello
Stato, nonche' domiciliato ex lege presso gli uffici  dell'Avvocatura
in Roma via dei Portoghesi n. 12 - convenuto; 
 
                       Motivi della decisione 
 
1. fatti controversi. 
    1.1 Con il ricorso introduttivo della lite, la Estracom S.p.a. ha
chiesto al tribunale di: 
        «condann[are] il Ministero dello sviluppo economico ...  alla
restituzione, in favore di Estracom S.p.a., dei contributi, a  titolo
di costo amministrativo ex art. 34  del  Codice  delle  comunicazioni
elettroniche, pagati negli anni dal 2009  al  2018,  complessivamente
pari ad euro 444.450,00, oltre interessi fino al giorno di  effettivo
soddisfo;  ovvero,  in  subordine,  del  diverso   importo   ritenuto
illegittimo e non dovuto»... 
        ...il tutto con vittoria di spese della lite. 
    A motivo della domanda, ha esposto: 
        di  essere  una   societa'   operante   nel   settore   delle
telecomunicazioni,   titolare    di    «Licenza    individuale    per
l'installazione e fornitura di reti di  telecomunicazioni  aperte  al
pubblico»  con  limite  di  copertura  al  territorio  della  Regione
Toscana, nonche' di  «Licenza  individuale  per  la  prestazione  del
servizio  di  telefonia  vocale»,  sempre   circoscritta   all'ambito
territoriale della Regione Toscana, rilasciate dal MISE ai sensi  del
decreto  legislativo  n.   259/2003   (Codice   delle   comunicazioni
elettroniche); 
        di avere diritto  a  ripetere  tutte  le  somme  versate,  al
Ministero  dello   sviluppo   economico,   a   titolo   di   «diritti
amministrativi» (art. 34 ed allegato 10, art. 1, decreto  legislativo
n. 259/2003 - Codice delle comunicazioni  elettroniche)  nel  periodo
dal 2009 al 2018; 
        che il pagamento di tali diritti fosse indebito,  in  ragione
della illegittimita' delle norme, tra quelle recate dal Codice  delle
comunicazioni,  deputate  alla  determinazione  e  ripartizione   dei
diritti medesimi, in quanto adottate in  violazione  dei  principi  e
delle  prescrizioni  della  direttiva  2002/20/CE   («Direttiva   del
Parlamento europeo e del Consiglio relativa alle  autorizzazioni  per
le  reti  e  i  servizi  di  comunicazione  elettronica  -  direttiva
autorizzazioni»). 
    In particolare, la parte attrice ha esposto: 
        che la «direttiva -  autorizzazioni»  (2002/20/CE),  motivata
dall'esigenza di «istituire un  quadro  normativo  per  garantire  la
libera  prestazione  delle  reti  e  dei  servizi  di   comunicazione
elettronica» (considerando n. 3), e di garantire, ai fornitori  delle
reti e dei servizi di comunicazione elettronica, «diritti, condizioni
e   procedure   obiettivi,   trasparenti,   non   discriminatori    e
proporzionati»  (considerando  n.   4),   veniva   finalizzata   alla
«realizzazione di un mercato interno delle  reti  e  dei  servizi  di
comunicazione   elettronica   mediante    l'armonizzazione    e    la
semplificazione delle norme e delle condizioni di  autorizzazione  al
fine di agevolarne la fornitura in tutta la Comunita'» (art. 1); 
        che a termini  del  considerando  n.  30,  gli  Stati  membri
avrebbero potuto imporre, ai prestatori di servizi  di  comunicazione
elettronica, «... il pagamento di diritti amministrativi a  copertura
delle spese sostenute dall'autorita'  nazionale  di  regolamentazione
per la gestione del regime di autorizzazione e per la concessione dei
diritti d'uso», essendo peraltro «opportuno  che  la  riscossione  di
tali diritti si limit[asse] a coprire i costi amministrativi  veri  e
propri di queste attivita'», e dovendosi  «garantire  la  trasparenza
della    contabilita'    gestita    dall'autorita'    nazionale    di
regolamentazione  mediante  rendiconti  annuali  in  cui  figur[asse]
l'importo complessivo dei diritti riscossi e dei costi amministrativi
sostenuti», si' da consentire  alle  imprese  di  «verificare  se  vi
[fosse] equilibrio tra i costi e gli oneri ad esse imposti»; 
        che secondo il considerando n.  31,  «i  sistemi  di  diritti
amministrativi» non avrebbero dovuto  «distorcere  la  concorrenza  o
creare ostacoli per l'ingresso sul mercato», e  che  «un  esempio  di
alternativa leale, semplice e trasparente» per l'attribuzione di tali
oneri potesse essere quella «... collegata al fatturato»; 
        che  coerentemente  l'art.  12,  in   materia   di   «diritti
amministrativi»,   prescriveva   testualmente:    «1.    I    diritti
amministrativi imposti alle imprese che prestano servizi  o  reti  ai
sensi  dell'autorizzazione  generale  o  che   hanno   ricevuto   una
concessione dei diritti d'uso: a)  coprono  complessivamente  i  soli
costi amministrativi  che  saranno  sostenuti  per  la  gestione,  il
controllo e l'applicazione del regime di autorizzazione generale  dei
diritti d'uso e degli obblighi specifici di cui all'art. 6, paragrafo
2, che possono comprendere i costi di cooperazione internazionale, di
armonizzazione e di standardizzazione,  di  analisi  di  mercato,  di
sorveglianza del rispetto delle disposizioni e di altri controlli  di
mercato, nonche'  di  preparazione  e  di  applicazione  del  diritto
derivato e delle decisioni amministrative, quali decisioni in materia
di accesso e interconnessione; b) sono imposti alle  singole  imprese
in modo proporzionato, obiettivo e trasparente che minimizzi i  costi
amministrativi aggiuntivi e gli  oneri  accessori.  2.  Le  autorita'
nazionali di regolamentazione che impongono il pagamento  di  diritti
amministrativi sono tenute  a  pubblicare  un  rendiconto  annuo  dei
propri costi amministrativi e dell'importo  complessivo  dei  diritti
riscossi. Alla luce delle differenze tra l'importo totale dei diritti
e i costi amministrativi, vengono apportate opportune rettifiche»; 
        che lo  Stato  italiano,  in  dichiarata  applicazione  della
direttiva autorizzazioni, adottava il decreto legislativo n. 259/2003
(«Codice  delle  comunicazioni  elettroniche»),  con  cui,  peraltro,
veniva imposto il  pagamento  dei  «diritti  amministrativi»  secondo
criteri e modalita' difformi da  quelli  prescritti  dalla  normativa
eurounitaria, si' da risultare frustrati i principi di congruita', di
trasparenza,   di   proporzionalita',    di    rendicontazione,    di
determinazione sulla base del fatturato,  asseritamente  posti  dalla
direttiva autorizzazioni; 
        che, in particolare, l'art. 34  ed  allegato  10  del  Codice
venivano dedicati alla disciplina dei diritti amministrativi; 
        che l'art. 34, nella formulazione originaria (in vigore  sino
al 17 agosto 2015), misconoscendo «la distinzione operata nel 1  e  2
comma dell'art. 12  in  relazione  alla  normativa  ripartizione  dei
costi», non faceva alcuna distinzione tra i costi «da  destinarsi  al
MISE e all'AGCOM» (definita Autorita' di regolamentazione nazionale),
e rinviava all'all. 10 per la concreta quantificazione  dei  diritti,
indistintamente e globalmente considerati; 
        che  d'altronde  l'allegato  10  al  Codice,  art.  1,  nella
formulazione originaria (vigente sino al 24 dicembre 2013), ignorando
il  criterio  di  determinazione  dei  contributi  in  relazione   al
fatturato  delle  imprese   titolari   di   autorizzazioni   generali
all'installazione e  fornitura  di  reti  elettroniche,  ovvero  alla
prestazione  del  servizio  telefonico   accessibile   al   pubblico,
quantificava  i   diritti   amministrativi   in   misura   fissa   ed
esclusivamente    correlata    alla    «popolazione    potenzialmente
destinataria dell'offerta», venendo a modulare l'entita' del dovuto a
seconda che le «reti pubbliche di comunicazioni», ovvero la fornitura
del servizio telefonico accessibile al pubblico, fossero destinati  a
servire «l'intero territorio nazionale», ovvero «un territorio avente
fino a 10 milioni di abitanti», ovvero ancora un  «territorio  avente
fino a 200 mila abitanti»,  senz'alcun  riguardo  per  la  differente
consistenza economica, patrimoniale  e  finanziaria  tra  le  aziende
gestite dai singoli operatori, si' da prodursi l'iniqua assimilazione
di operatori «grandi, medi, piccolissimi», a causa dell'adozione  del
criterio della domanda potenziale e della popolazione residente; 
        che il decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145  apportava  una
circoscritta  rettifica  all'art.  1  allegato  10  al  Codice  delle
comunicazioni, prescrivendo una diversa metodologia di determinazione
dei diritti amministrativi solo per le  «imprese  con  un  numero  di
utenti  pari  o  inferiore  a  50.000»,  ma  fornitrici  di  reti  di
comunicazione  elettronica  o  di  telefonia,  destinate   all'intero
territorio nazionale; 
        che conseguentemente veniva  aperta,  a  carico  dello  Stato
italiano, la procedura  di  infrazione  n.  4020/2013,  per  «la  non
corretta  attuazione  della  direttiva  2002/20/CE»,  ravvisando   la
Commissione europea la violazione dei principi di  «proporzionalita',
obiettivita' e trasparenza»  posti  dalla  direttiva,  violazione  in
particolare  dovuta:  (a)  all'omessa  distinzione   tra   costi   di
pertinenza  del  Ministero  dello  sviluppo  economico  e  costi   di
pertinenza dell'AGCOM e dell'attivita' di regolazione e vigilanza del
mercato delle comunicazioni; (b) all'assenza di  prescrizioni  quanto
alla rendicontazione (annuale) dei diritti amministrativi riscossi  e
dei costi sostenuti;  (c)  alla  violazione  del  principio  di  «non
discriminazione» tra operatori, imponendosi il  pagamento  di  eguali
diritti amministrativi  in  ragione  di  circostanze  estrinseche  ed
indipendenti dalle dimensioni delle singole imprese; 
        che  lo  Stato   italiano,   per   ovviare   alla   procedura
d'infrazione avviata nei suoi confronti, con la legge  europea  2014,
n. 115 del 29 luglio 2015, entrata in vigore in data 18 agosto  2015,
procedeva  alla  riformulazione  dell'art.  34   del   Codice   delle
comunicazioni   elettroniche,   peraltro   procrastinando   (a   dire
dell'attrice) la violazione del diritto comunitario; 
        che  in  particolare   secondo   l'art.   34,   nella   nuova
formulazione (attualmente vigente): 
          «1. Oltre ai contributi di cui all'art. 35, possono  essere
imposti  alle  imprese  che  forniscono  reti  o  servizi  ai   sensi
dell'autorizzazione generale o alle quali sono stati concessi diritti
di uso, diritti amministrativi che coprano  complessivamente  i  soli
costi amministrativi  sostenuti  per  la  gestione,  il  controllo  e
l'applicazione del regime di autorizzazione generale, dei diritti  di
uso e degli obblighi specifici di  cui  all'art.  28,  comma  2,  ivi
compresi i costi di cooperazione internazionale, di armonizzazione  e
di standardizzazione, di analisi  di  mercato,  di  sorveglianza  del
rispetto delle disposizioni e di altri controlli di mercato,  nonche'
di preparazione e  di  applicazione  del  diritto  derivato  e  delle
decisioni amministrative, ed in particolare di decisioni  in  materia
di accesso e interconnessione. I diritti amministrativi sono  imposti
alle singole imprese in modo proporzionato, obiettivo  e  trasparente
che  minimizzi  i  costi  amministrativi  aggiuntivi  e   gli   oneri
accessori. 
          2. Per la copertura dei costi amministrativi sostenuti  per
le attivita' di competenza  del  Ministero,  la  misura  dei  diritti
amministrativi di cui al comma 1 e' individuata nell'allegato n. 10. 
          2-bis.  Per   la   copertura   dei   costi   amministrativi
complessivamente  sostenuti  per  l'esercizio   delle   funzioni   di
regolazione, di  vigilanza,  di  composizione  delle  controversie  e
sanzionatorie attribuite dalla legge all'Autorita' nelle  materie  di
cui al comma 1, la  misura  dei  diritti  amministrativi  di  cui  al
medesimo comma 1 e' determinata ai sensi dell'art. 1, commi 65 e  66,
della legge 23 dicembre  2005,  n.  266,  in  proporzione  ai  ricavi
maturati dalle imprese nelle  attivita'  oggetto  dell'autorizzazione
generale o della concessione di diritti d'uso. 
          2-ter.  Il  Ministero,  di  concerto   con   il   Ministero
dell'economia e delle finanze, e l'Autorita' pubblicano annualmente i
costi amministrativi sostenuti per le attivita' di cui al comma  1  e
l'importo complessivo dei diritti riscossi ai sensi, rispettivamente,
dei commi 2 e 2-bis. In base alle eventuali differenze tra  l'importo
totale dei  diritti  e  i  costi  amministrativi,  vengono  apportate
opportune rettifiche»; 
        che correlativamente la legge europea 2014 modificava  l'art.
1, allegato 10 al  Codice  delle  comunicazioni,  peraltro  lasciando
invariato il sistema di determinazione dei diritti amministrativi  in
misura fissa,  e  parametrata  non  gia'  al  fatturato  dei  singoli
operatori, bensi' all'ampiezza del bacino di utenza potenziale,  gia'
recato dalla normativa nazionale previgente. 
    Tutto cio' premesso la Estracom S.p.a., assumendo  che  anche  le
modifiche   apportate   al   Codice   delle   comunicazioni   fossero
assolutamente non «idonee a recepire gli obiettivi  comunitari»,  che
cio'  avesse  comportato  la  illegittimita'  di  tutti  i  pagamenti
eseguiti, dal 2009 al  2018,  a  titolo  di  diritti  amministrativi,
aggiungendo  inoltre  che  tale  illegittimita'  fosse   stata   gia'
acclarata  sia  dal  giudice  amministrativo  (definendo  un  nutrito
contenzioso attivato, dagli operatori, quanto ai diritti e contributi
imposti  dall'AGCOM),  sia  dalla  Corte  di  giustizia   dell'Unione
europea,  con  sentenza  del  18  luglio  2013,  ha   rassegnato   le
conclusioni su riportate, chiedendo favore delle spese della lite. 
    1.2 Attivato il  contraddittorio,  il  Ministero  dello  sviluppo
economico ha eccepito: (a) il difetto di giurisdizione del  tribunale
ordinario, spettando (a suo dire) la controversia alla competenza del
giudice amministrativo, ai sensi dell'art. 133, comma  1  lettera  m)
del  decreto   legislativo   n.   104/2010   (Codice   del   processo
amministrativo); (b) l'inammissibilita'  dell'azione  di  ripetizione
d'indebito, per quanto proposta in carenza dei presupposti  di  legge
(art. 2033 del codice civile), e non  potendo  il  giudice  ordinario
provvedere all'invocata  disapplicazione,  in  materia  rimessa  alla
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo; (c)  nel  merito,
che la  domanda  fosse  comunque  infondata,  giacche'  la  normativa
nazionale, cosi' come novellata dalla legge comunitaria del 2014, era
stata giudicata conforme alla direttiva autorizzazioni, tanto che  la
procedura di  infrazione  era  stata  archiviata;  (d)  l'intervenuta
prescrizione  del  credito  (da  ripetizione)  vantato  in   giudizio
dall'attrice. 
2. questioni pregiudiziali e preliminari. 
    2.1 sulla giurisdizione. 
    E' definibile unitamente  al  merito  (art.  187  del  codice  di
procedura   civile)   la   questione   di   giurisdizione   sollevata
dall'Avvocatura dello Stato, invocando l'applicazione  dell'art.  133
comma 1, lettera m)  decreto  legislativo  n.  104/2010  (Codice  del
processo amministrativo), che rimette  alla  giurisdizione  esclusiva
del giudice amministrativo  le  controversie  «aventi  ad  oggetto  i
provvedimenti in  materia  di  comunicazioni  elettroniche,  compresi
quelli relativi all'imposizione di servitu', nonche'  i  giudizi  che
riguardano l'assegnazione di diritti di uso delle frequenze, la  gara
e le altre procedure di cui ai commi da 8  a  13  dell'art.  1  della
legge 13 dicembre 2010, n. 220, incluse le procedure di cui  all'art.
4  del  decreto-legge 31  marzo  2011,   n.   34,   convertito,   con
modificazioni, dalla legge 26 maggio 2011, n. 75». 
    Come sara' meglio esposto a seguire, la Estracom S.p.a., societa'
operante nel settore delle telecomunicazioni e titolare  di  «licenza
individuale   per   l'installazione   e   fornitura   di   reti    di
telecomunicazioni aperte al pubblico» (c.d. licenza rete, all.  1  al
ricorso), nonche' di «licenza  individuale  per  la  prestazione  del
servizio di telefonia vocale» (c.d. licenza voce, all.  2),  entrambe
con limite di copertura al territorio della Regione Toscana, ha agito
per  la  ripetizione  (art.  2033  del  codice  civile)  di  tutti  i
contributi versati, al Ministero dello sviluppo economico, a  partire
dal 2009  al  2018,  a  titolo  di  diritti  amministrativi  previsti
dall'art. 34 nonche' dall'art.  1  all.  10  decreto  legislativo  n.
259/2003 (Codice delle comunicazioni elettroniche). 
    A motivo della domanda, ha dedotto che  tali  contributi  fossero
non dovuti, in ragione della «illegittimita' degli stessi, nella loro
determinazione e quantificazione in sede di trasposizione della norma
legislativa, in quanto contrari  ai  principi  comunitari  istitutivi
degli stessi» (pag. 2, secondo par. del ricorso). 
    In pratica, ha sostenuto che la norma dichiaratamente  attuativa,
della direttiva autorizzazioni (Direttiva 2002/20/CE: «Direttiva  del
Parlamento europeo e del Consiglio relativa alle  autorizzazioni  per
le  reti  e  i  servizi  di  comunicazione   elettronica   (direttiva
autorizzazioni)»)  quale  recata  dall'art.  34  del   Codice   delle
comunicazioni elettroniche e correlativo art. 1 all.  10  al  Codice,
avrebbe effettivamente disatteso i  principi  e  criteri  informatori
dettati,  dalla  norma  sovranazionale,  ai  fini   della   legittima
imposizione di diritti amministrativi «per la gestione, il  controllo
e l'applicazione del regime di autorizzazione generale,  dei  diritti
d'uso e degli obblighi specifici di  cui  all'art.  6,  paragrafo  2»
della Direttiva medesima. 
    In particolare, l'art. 34 del  Codice  e  l'art.  1  all.  10  al
Codice,  anche  all'esito  della   riscrittura   apportata   con   il
decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145 (convertito con  modificazioni
dalla legge 21 febbraio 2014, n. 9), infine con la  legge  29  luglio
2015, n. 115 (legge europea  2014),  avrebbero  conflitto  e  tuttora
confliggerebbero  con  il  principio  di  non   discriminazione,   di
trasparenza, di minimizzazione degli oneri accollati agli  operatori,
di    proporzionalita'    ai    costi    effettivamente     sostenuti
dall'Amministrazione,   posti   dall'art.    12    della    Direttiva
autorizzazioni, letto alla luce dei considerando n. 30 e  n.  31  (v.
pag. 6 e ss. del ricorso introduttivo Estracom). 
    Tale - in estrema sintesi - il merito del contendere, in disparte
della peculiare causa petendi, articolata a motivo della  domanda  di
ripetizione d'indebito (su cui ci si soffermera'  meglio  oltre),  e'
quantomai  opinabile  che  la  lite  sia  sussumibile  in  una  delle
controversie contemplate dall'art. 133 comma 1 lettera m) del  Codice
del  processo  amministrativo,  se  non  altro  perche':  (a)   nella
fattispecie l'attrice non discute della legittimita' di provvedimenti
adottati, dal Ministero dello sviluppo economico o dall'Autorita' per
le garanzie nelle comunicazioni (AGCOM), nell'ambito delle competenze
rispettivamente   attribuite    in    materia    di    «comunicazioni
elettroniche», bensi' della stessa conformita' del diritto interno  -
nello specifico,  dell'art.  34  ed  art.  1  all.  10  Codice  delle
comunicazioni elettroniche -  al  diritto  sovranazionale  (direttiva
autorizzazioni); (b) conseguentemente, non e' richiesto al  tribunale
di  scrutinare  incidentalmente  ed  eventualmente  disapplicare  dei
provvedimenti,   espressivi   di   discrezionalita'    amministrativa
(articoli 4 e 5 all. E legge n. 2248/1865) ai fini della tutela della
posizione giuridica sostanziale vantata dalla parte  attrice;  (c)  a
quest'ultima pare doversi attribuire -  sia  considerato  il  petitum
(domanda  di  ripetizione),  sia   considerata   la   causa   petendi
(inadempimento dello Stato agli obblighi assunti in sede  europea)  -
natura sostanziale di diritto soggettivo, a prescindere da  qualsiasi
analisi di fondatezza, nel merito; (d) e' opinione ormai  consolidata
della Corte regolatrice, che laddove  si  discuta  dell'inadempimento
dello Stato all'obbligo di  cooperazione  e  di  realizzazione  degli
obblighi posti dalle  direttive  (non  esecutive)  adottate  in  sede
europea (articoli 288, 291 del Trattato sul funzionamento dell'Unione
europea), la competenza spetti al giudice ordinario (v.  ex  plurimus
Cassazione n. 24353 del  29  novembre  2016,  in  materia  di  medici
specializzandi). 
    Donde  la  necessita'  di  rimettere  l'esame   della   questione
pregiudiziale di giurisdizione, alla definizione (nel  merito)  della
lite. 
    2.2 sull'eccezione di prescrizione. 
    Anche l'eccezione di prescrizione  e'  definibile  unitamente  al
merito della lite (art. 187 del codice di procedura civile). 
    Difatti, considerato che l'attrice ha agito  per  la  ripetizione
d'indebito,  il  credito  controverso  in  giudizio  e'  soggetto   a
prescrizione ordinaria decennale (art. 2946 del codice civile), ed il
termine  prescrizionale  non  puo'  dirsi  decorso,  in  relazione  a
ciascuna annualita', in data antecedente a quella  di  pagamento  dei
correlativi diritti amministrativi, giacche' tutti i pagamenti di cui
e'  chiesto  il  rimborso  risultano  operati   entro   il   decennio
antecedente la data del deposito del ricorso introduttivo (v. all. 5,
6, 7, 8, 9, 12, 13, 16 al ricorso), non parrebbero porsi questioni di
estinzione della pretesa creditoria della  Estracom  S.p.a.,  per  la
consumazione del termine prescrizionale di legge. 
    2.3 sulla domanda di ripetizione. 
    2.3.1  Qualche  ulteriore  notazione   pregiudiziale   si   rende
necessaria in ordine alla qualificazione della domanda ora  pervenuta
all'esame del tribunale (art. 116 del codice di procedura civile). 
    2.3.2 Come gia' detto, la Estracom  S.p.a.  ha  inteso  formulare
un'azione di ripetizione d'indebito, ex art. 2033 del codice  civile,
chiedendo di vedersi restituire tutte le somme il  cui  pagamento  e'
stato imposto, dal Ministero dello sviluppo  economico,  nel  periodo
2009 - 2018,  a  titolo  di  versamento  dei  diritti  amministrativi
previsti dall'art.  34  e  dall'art.  1  all.  10  del  Codice  delle
comunicazioni elettroniche (decreto legislativo n. 259/2003). 
    Sennonche',  l'azione  di  ripetizione  d'indebito  postula   (a)
l'intervenuta esecuzione di un pagamento; (b) che questo  non  sia  o
non fosse dovuto, per  assenza  (originaria  o  sopravvenuta)  di  un
titolo giustificativo o causa adquirendi (per  tutte,  Cassazione  n.
13207 del 28 maggio  2013:  «l'azione  di  ripetizione  di  indebito,
prevista dall'art. 2033 del codice  civile,  ha  per  suo  fondamento
l'inesistenza dell'obbligazione adempiuta da una parte, o perche'  il
vincolo  obbligatorio  non  e'  mai  sorto,  o  perche'  venuto  meno
successivamente, a seguito di annullamento, rescissione o inefficacia
connessa ad una condizione risolutiva avveratasi»). 
    Tuttavia, e' incontroverso che i «diritti amministrativi» di  cui
s'e' chiesta ripetizione in giudizio, siano stati esatti  e  riscossi
in forza dell'art. 34 del decreto  legislativo  n.  259/2003  (Codice
delle comunicazioni elettroniche). 
    Tale disposizione, nel  testo  originario,  vigente  sino  al  17
agosto 2015, testualmente prescriveva: 
        «1. Oltre ai contributi di cui  all'art.  35  (1)  ,  possono
essere imposti alle imprese che forniscono reti o  servizi  ai  sensi
dell'autorizzazione generale o alle quali sono stati concessi diritti
di uso, diritti amministrativi che coprano  complessivamente  i  soli
costi amministrativi  sostenuti  per  la  gestione,  il  controllo  e
l'applicazione del regime di autorizzazione generale, dei diritti  di
uso e degli obblighi specifici di  cui  all'art.  28,  comma  2,  ivi
compresi i costi di cooperazione internazionale, di armonizzazione  e
di standardizzazione, di analisi  di  mercato,  di  sorveglianza  del
rispetto delle disposizioni e di altri controlli di mercato,  nonche'
di preparazione e  di  applicazione  del  diritto  derivato  e  delle
decisioni amministrative, ed in particolare di decisioni  in  materia
di accesso e interconnessione. I diritti amministrativi sono  imposti
alle singole imprese in modo proporzionato, obiettivo  e  trasparente
che  minimizzi  i  costi  amministrativi  aggiuntivi  e   gli   oneri
accessori. 
        2. La misura dei diritti amministrativi di cui al comma 1  e'
riportata nell'allegato n. 10». 
    Correlativamente, l'art. 1 all. 10 al Codice delle  comunicazioni
elettroniche,   nel   testo   originario   recitava   (nelle    parti
d'interesse): 
        «1. Al fine di assicurare la copertura  degli  oneri  di  cui
all'art.  34,  comma  1,  del   Codice   le   imprese   titolari   di
autorizzazione generale  per  l'installazione  e  fornitura  di  reti
pubbliche di comunicazioni, comprese quelle  basate  sull'impiego  di
radiofrequenze, e per l'offerta del servizio  telefonico  accessibile
al pubblico, con esclusione di quello offerto  in  luoghi  presidiati
mediante apparecchiature terminali o attraverso l'emissione di  carte
telefoniche, sono  tenute  al  pagamento  annuo,  compreso  l'anno  a
partire dal quale l'autorizzazione generale decorre, di un contributo
che  e'  determinato  sulla  base  della  popolazione  potenzialmente
destinataria  dell'offerta.  Tale  contributo,  che  per   gli   anni
successivi a quello del conseguimento dell'autorizzazione deve essere
versato entro il 31 gennaio di ciascun anno, e' il seguente: 
          a)  nel  caso   di   fornitura   di   reti   pubbliche   di
comunicazioni: 
1) sull'intero territorio nazionale, 111.000,00 euro; 
2) su un territorio avente fino a 10 milioni di  abitanti,  55.500,00
euro; 
3) su un territorio avente fino a 200 mila abitanti, 27.750,00 euro; 
          b) nel caso di fornitura di servizio telefonico accessibile
al pubblico: 
1) sull'intero territorio nazionale, 66.500,00 euro; 
2) su un territorio avente fino a 10 milioni di  abitanti,  27.750,00
euro; 
3) su un territorio avente fino a 200 mila abitanti, 11.100,00 euro. 
    Successivamente - invariato l'art. 34 del medesimo testo di legge
- l'art. 1, all. 10 del Codice veniva novellato dall'art. 6, comma 4,
lettera a), del decreto-legge 23 dicembre 2013, n.  145  (convertito,
con modificazioni dalla legge 21 febbraio 2014, n.  9),  con  effetto
dal 24 dicembre 2013 (giusta art. 15 del  medesimo  decreto-legge  n.
145/2013), ed acquisiva il seguente tenore testuale: 
        «1. Al fine di assicurare la copertura  degli  oneri  di  cui
all'art.  34,  comma  1,  del   Codice   le   imprese   titolari   di
autorizzazione generale  per  l'installazione  e  fornitura  di  reti
pubbliche di comunicazioni, comprese quelle  basate  sull'impiego  di
radiofrequenze, e per l'offerta del servizio  telefonico  accessibile
al pubblico, con esclusione di quello offerto  in  luoghi  presidiati
mediante apparecchiature terminali o attraverso l'emissione di  carte
telefoniche, sono  tenute  al  pagamento  annuo,  compreso  l'anno  a
partire dal quale l'autorizzazione generale decorre, di un contributo
che  e'  determinato  sulla  base  della  popolazione  potenzialmente
destinataria  dell'offerta.  Tale  contributo,  che  per   gli   anni
successivi a quello del conseguimento dell'autorizzazione deve essere
versato entro il 31 gennaio di ciascun anno, e' il seguente: 
          a)  nel  caso   di   fornitura   di   reti   pubbliche   di
comunicazioni: 
1) sull'intero territorio nazionale,  111.000,00  euro  ad  eccezione
delle imprese con un numero di utenti pari o inferiore a 50.000; 
1-bis) per le imprese con un numero di  utenti  pari  o  inferiore  a
50.000, 300 euro ogni mille utenti; 
2) su un territorio avente fino a 10 milioni di  abitanti,  55.500,00
euro; 
3) su un territorio avente fino a 200 mila abitanti, 27.750,00 euro; 
          b) nel caso di fornitura di servizio telefonico accessibile
al pubblico: 
1) sull'intero territorio  nazionale,  66.500,00  euro  ad  eccezione
delle imprese con un numero di utenti pari o inferiore a 50.000; 
1-bis) per le imprese con un numero di  utenti  pari  o  inferiore  a
50.000, 100 euro ogni 1.000 utenti; 
2) su un territorio avente fino a 10 milioni di  abitanti,  27.750,00
euro; 
3) su un territorio avente fino a 200 mila abitanti, 11.100,00 euro». 
    Infine, la «legge europea 2014» (legge 29 luglio  2015,  n.  115)
provvedeva - con l'art. 5 - alla riscrittura  sia  dell'art.  34  che
dell'art. 1 all. 10 del Codice delle comunicazioni elettroniche. 
    Questi, nell'attuale formulazione (vigente dal 18  agosto  2015),
rispettivamente prescrivono: 
    l'art. 34: 
        «1. Oltre ai contributi di cui all'art.  35,  possono  essere
imposti  alle  imprese  che  forniscono  reti  o  servizi  ai   sensi
dell'autorizzazione generale o alle quali sono stati concessi diritti
di uso, diritti amministrativi che coprano  complessivamente  i  soli
costi amministrativi  sostenuti  per  la  gestione,  il  controllo  e
l'applicazione del regime di autorizzazione generale, dei diritti  di
uso e degli obblighi specifici di  cui  all'art.  28,  comma  2,  ivi
compresi i costi di cooperazione internazionale, di armonizzazione  e
di standardizzazione, di analisi  di  mercato,  di  sorveglianza  del
rispetto delle disposizioni e di altri controlli di mercato,  nonche'
di preparazione e  di  applicazione  del  diritto  derivato  e  delle
decisioni amministrative, ed in particolare di decisioni  in  materia
di accesso e interconnessione. I diritti amministrativi sono  imposti
alle singole imprese in modo proporzionato, obiettivo  e  trasparente
che  minimizzi  i  costi  amministrativi  aggiuntivi  e   gli   oneri
accessori. 
        2. Per la copertura dei costi amministrativi sostenuti per le
attivita'  di  competenza  del  Ministero,  la  misura  dei   diritti
amministrativi di cui al comma 1 e' individuata nell'allegato n. 10. 
        2-bis.   Per   la   copertura   dei   costi    amministrativi
complessivamente  sostenuti  per  l'esercizio   delle   funzioni   di
regolazione, di  vigilanza,  di  composizione  delle  controversie  e
sanzionatorie attribuite dalla legge all'Autorita' nelle  materie  di
cui al comma 1, la  misura  dei  diritti  amministrativi  di  cui  al
medesimo comma 1 e' determinata ai sensi dell'art. 1, commi 65 e  66,
della legge 23 dicembre  2005,  n.  266,  in  proporzione  ai  ricavi
maturati dalle imprese nelle  attivita'  oggetto  dell'autorizzazione
generale o della concessione di diritti d'uso. 
        2-ter.  Il  Ministero,   di   concerto   con   il   Ministero
dell'economia e delle finanze, e l'Autorita' pubblicano annualmente i
costi amministrativi sostenuti per le attivita' di cui al comma  1  e
l'importo complessivo dei diritti riscossi ai sensi, rispettivamente,
dei commi 2 e 2-bis. In base alle eventuali differenze tra  l'importo
totale dei  diritti  e  i  costi  amministrativi,  vengono  apportate
opportune rettifiche» 
    ... e l'art. 1 all. 10: 
        «1. Al fine di assicurare la copertura degli oneri di cui  al
comma  1  dell'art.  34  del   Codice,   le   imprese   titolari   di
autorizzazione generale per l'installazione e la  fornitura  di  reti
pubbliche di comunicazioni, comprese quelle  basate  sull'impiego  di
radiofrequenze, e le imprese titolari di autorizzazione generale  per
l'offerta  del  servizio  telefonico  accessibile  al  pubblico,  con
esclusione  di  quello  offerto   in   luoghi   presidiati   mediante
apparecchiature  terminali  o   attraverso   l'emissione   di   carte
telefoniche,  sono  tenute  al  pagamento  di  un  contributo  annuo,
compreso l'anno dal quale  decorre  l'autorizzazione  generale.  Tale
contributo, che per gli anni successivi a  quello  del  conseguimento
dell'autorizzazione deve  essere  versato  entro  il  31  gennaio  di
ciascun anno, anche nel caso di  rinuncia  qualora  inviata  in  data
successiva al 31 dicembre dell'anno precedente,  e'  determinato  nei
seguenti importi: 
          a)  nel  caso   di   fornitura   di   reti   pubbliche   di
comunicazioni: 
1) sull'intero territorio nazionale: 127.000 euro; 
2) su un territorio avente piu' di 1 milione e fino a 10  milioni  di
abitanti: 64.000 euro; 
3) su un territorio avente piu' di 200.000 e  fino  a  1  milione  di
abitanti: 32.000 euro; 
4) su un territorio avente fino a 200.000 abitanti: 17.000 euro; 
5) per le imprese che erogano il servizio  prevalentemente  a  utenti
finali in numero pari o inferiore a 50.000  :  500  euro  ogni  mille
utenti. Il numero degli utenti e' calcolato  sul  quantitativo  delle
linee attivate a ciascun utente finale; 
          b) nel caso di fornitura di servizio telefonico accessibile
al pubblico: 
1) sull'intero territorio nazionale: 75.500 euro; 
2) su un territorio avente piu' di 1 milione e fino a 10  milioni  di
abitanti: 32.000 euro; 
3) su un territorio avente piu' di 200.000  e  fino  a 1  milione  di
abitanti: 12.500 euro; 
4) su un territorio avente fino a 200.000 abitanti: 6.400 euro; 
5) per le imprese che erogano il servizio  prevalentemente  a  utenti
finali in numero pari o inferiore a 50.000  :  300  euro  ogni  mille
utenti. Il numero degli utenti e' calcolato  sul  quantitativo  delle
risorse di numerazione attivate a ciascun utente finale». 
    In disparte delle prescrizioni  della  normativa  europea,  giova
ripetere che e' pacifico e dedotto dalla stessa attrice che le  somme
di cui s'e' chiesta ripetizione in giudizio, siano state  versate  in
ottemperanza delle prescrizioni (tempo per tempo  vigenti)  dell'art.
34 e dell'art. 1 all. 10 al Codice delle  comunicazioni  elettroniche
(v. in particolare pag. 5, 7, 10 e 11 del ricorso Estracom S.p.a.). 
    D'altronde, la documentazione in atti testimonia che: 
        per le annualita' 2009 -  2013,  la  Estracom  S.p.a.,  quale
licenziataria del servizio di  fornitura  di  reti  di  comunicazione
elettronica  e  del  servizio  di  telefonia  (aperta  al  pubblico),
destinati a copertura di un territorio avente «fino a 10  milioni  di
abitanti»  (Regione  Toscana),  ha   versato   la   somma   di   euro
55.500,00/anno  quanto  alla  licenza  rete,  e  la  somma  di   euro
27.750,00/anno quanto alla licenza voce, ai sensi dell'all. 10 Codice
delle comunicazioni elettroniche, art. 1, comma 1, lettera a) n. 2, e
lettera b) n. 2, (v. all. 5 al ricorso); 
        per le annualita' 2014 - 2015 la Estracom S.p.a.,  in  quanto
operatore avente un numero di  utenti  finali  «pari  o  inferiore  a
50.000», ha versato la somma di euro 900,00/anno quanto alla  licenza
rete, e di euro 300,00/anno quanto alla licenza voce,  ai  sensi  del
novellato art. 1 all. 10  Codice  delle  comunicazioni  elettroniche,
comma 1, lettera a) n. 1-bis e lettera b), n. 1-bis (v. all. 6, 7,  8
e 9 al ricorso); 
        per le annualita' 2016 - 2018 la  parte  attrice,  in  quanto
erogatore dei servizi di  reti  di  comunicazione  elettronica  e  di
telefonia,  «prevalentemente  a  utenti  finali  in  numero  pari   o
inferiore a 50.000», ha versato la somma di euro 1.500,00 quanto alla
licenza rete e di euro 6.600,00 quanto alla licenza voce (complessivi
euro 8.100,00) per l'annualita'  2016,  la  somma  di  euro  1.500,00
quanto alla licenza rete e di euro 7.200,00 quanto alla licenza  voce
(complessivi 8.700,00) per l'annualita' 2017, infine la somma di euro
1.500,00 quanto alla licenza rete e  di  euro  7.500,00  quanto  alla
licenza voce (complessivi euro 9.000,00) per  l'annualita'  2018  (v.
all. 12, 13 e prospetto riepilogativo all. 16 al ricorso). 
    2.3.3  Tanto  premesso  quanto  al  titolo  giustificativo  delle
prestazioni (di pagamento) oggetto della lite, e' dubbio  che  questo
sia venuto meno, in assenza di  qualsivoglia  intervento  demolitorio
adottato dalla Corte costituzionale o dal  legislatore,  ex  art.  15
delle preleggi (abrogazione). 
    Ed occorre segnalare che, avendo la Estracom S.p.a.  agito  anche
per recuperare i pagamenti eseguiti  in  forza  dell'art.  34  Codice
delle comunicazioni elettroniche, dal 2009 al 2015,  in  forza  della
normativa  successivamente  modificata  dalla  legge  europea   2014,
dovrebbe potersi configurare, ai fini  intesi  dalla  parte  attrice,
l'abolizione delle originarie  disposizioni  recate  dall'art.  34  e
dall'art. 1 all. 10 del Codice, con effetto retroattivo. 
    A tal proposito, giova segnalare che le  «numerose  pronunce  del
giudice amministrativo» che - a dire della difesa attrice - avrebbero
invalidato la causa adquirendi, risultano riferite  ai  provvedimenti
adottati, dall'AGCOM, per la  determinazione  dei  contributi  dovuti
dagli operatori, ai sensi  dell'art.  1  comma  65  e  66,  legge  n.
266/2005 (v. ordinanza Consiglio di Stato, Sez.  VI,  in  all.  3  al
fascicolo  dell'Avvocatura),  e   comunque   non   potrebbero   dirsi
suscettive di produrre  l'abolizione  della  norma  primaria  che  e'
motivo della lite. 
    Allo stesso modo, la  sentenza  Corte  di  giustizia  dell'Unione
europea, Ottava Sezione, in data 18 luglio  2013,  resa  nelle  cause
riunite da C-228/12 a C-232/12, e da C-254/12 a C-258/12 (all. 11  al
ricorso) risulta esplicitamente riferita alle disposizioni  dell'art.
1 comma 65 e comma 66 della legge n. 266/2005 (v. punti 11,  12,  13,
16, 22 della sentenza), quindi a norme (nazionali) diverse da  quelle
che sono motivo del contendere, e comunque risulta  averne  affermato
la  compatibilita'  (a  determinate  condizioni)   con   il   diritto
eurounitario. 
    2.3.4 Tanto detto quanto alla plausibile persistenza - allo stato
- della causa adquirendi, giustificativa dei pagamenti operati  dalla
Estracom S.p.a., si e' gia' visto che la societa' attrice  evidenzia,
a  ragione  dell'istanza  di  ripetizione,  delle   circostanze   che
rimandano a tutt'altra fattispecie; quale quella  delineata  -  nella
giurisprudenza della Corte di giustizia dell'Unione europea, e quindi
nella giurisprudenza della corte nomofilattica italiana - in  termini
di responsabilita' dello Stato per omessa o  inesatta  trasposizione,
nel diritto interno, delle direttive comunitarie non esecutive. 
    In particolare,  la  difesa  attrice  segnala  che  la  Direttiva
2002/20/CE   («direttiva   -   autorizzazioni»)    veniva    motivata
dall'esigenza di «istituire un  quadro  normativo  per  garantire  la
libera  prestazione  delle  reti  e  dei  servizi  di   comunicazione
elettronica» (considerando n. 3), e dal proposito  di  garantire,  ai
fornitori delle reti e  dei  servizi  di  comunicazione  elettronica,
«diritti,  condizioni  e  procedure   obiettivi,   trasparenti,   non
discriminatori e proporzionati» (considerando n. 4), il tutto per  la
«realizzazione di un mercato interno delle  reti  e  dei  servizi  di
comunicazione   elettronica   mediante    l'armonizzazione    e    la
semplificazione delle norme e delle condizioni di  autorizzazione  al
fine di agevolarne la fornitura in tutta la Comunita'» (art. 1). 
    Soggiunge che, a termini del considerando n. 30, ai prestatori di
servizi di comunicazione elettronica avrebbe potuto «essere richiesto
il pagamento  di  diritti  amministrativi  a  copertura  delle  spese
sostenute  dall'autorita'  nazionale  di  regolamentazione   per   la
gestione del regime  di  autorizzazione  e  per  la  concessione  dei
diritti d'uso», essendo peraltro «opportuno  che  la  riscossione  di
tali diritti si limit[asse] a coprire i costi amministrativi  veri  e
propri  di  queste  attivita'»,  dovendosi  inoltre   «garantire   la
trasparenza della contabilita' gestita  dall'autorita'  nazionale  di
regolamentazione  mediante  rendiconti  annuali  in  cui  figur[asse]
l'importo complessivo dei diritti riscossi e dei costi amministrativi
sostenuti», si' da consentire  alle  imprese  di  «verificare  se  vi
[fosse] equilibrio tra i costi e gli oneri ad esse imposti». 
    Ancora, rimarca che, secondo il considerando n. 31, «i sistemi di
diritti  amministrativi»  non   avrebbero   dovuto   «distorcere   la
concorrenza o creare ostacoli per l'ingresso sul mercato», e che  «un
esempio  di  alternativa   leale,   semplice   e   trasparente»   per
l'attribuzione di  tali  diritti  potesse  essere  «una  ripartizione
collegata al fatturato». 
    Infine, fa presente che l'art. 12 della Direttiva, in materia  di
«diritti amministrativi», prescrivesse testualmente:  «1.  I  diritti
amministrativi imposti alle imprese che prestano servizi  o  reti  ai
sensi  dell'autorizzazione  generale  o  che   hanno   ricevuto   una
concessione dei diritti d'uso: a)  coprono  complessivamente  i  soli
costi amministrativi  che  saranno  sostenuti  per  la  gestione,  il
controllo e l'applicazione del regime di autorizzazione generale, dei
diritti d'uso e degli obblighi specifici di cui all'art. 6, paragrafo
2, che possono comprendere i costi di cooperazione internazionale, di
armonizzazione e di standardizzazione,  di  analisi  di  mercato,  di
sorveglianza del rispetto delle disposizioni e di altri controlli  di
mercato, nonche'  di  preparazione  e  di  applicazione  del  diritto
derivato e delle decisioni amministrative, quali decisioni in materia
di accesso e interconnessione; b) sono imposti alle  singole  imprese
in modo proporzionato, obiettivo e trasparente che minimizzi i  costi
amministrativi aggiuntivi e gli  oneri  accessori.  2.  Le  autorita'
nazionali di regolamentazione che impongono il pagamento  di  diritti
amministrativi sono tenute  a  pubblicare  un  rendiconto  annuo  dei
propri costi amministrativi e dell'importo  complessivo  dei  diritti
riscossi. Alla luce delle differenze tra l'importo totale dei diritti
e i costi amministrativi, vengono apportate opportune rettifiche». 
    Per contro - sempre secondo  l'assunto  della  difesa  attrice  -
l'art. 34 del Codice delle comunicazioni, come completato dall'art. 1
all. 10 al medesimo testo di legge (nella versione originaria), senza
distinguere tra diritti amministrativi correlati  alle  attivita'  di
regolazione demandate all'AGCOM (ivi  incluse  quelle  di  vigilanza,
regolazione delle controversie e sanzione), e diritti  amministrativi
correlati alle competenze, in materia, del Ministero  dello  sviluppo
economico, e senza prescrivere alcuna rendicontazione  finale,  abbia
esplicitamente   ragguagliato   i   diritti    amministrativi    alla
«popolazione potenzialmente destinataria dell'offerta». (art. 1  all.
10), discostandosi  anche  formalmente  dal  criterio  del  fatturato
indicato al considerando n. 31 della Direttiva,  cosi'  da  risultare
inficiati i principi di proporzionalita', minimizzazione degli  oneri
accollati agli operatori, trasparenza,  non  discriminazione,  libero
accesso al mercato dei fornitori, posti dalla medesima norma europea. 
    Allo stesso modo - sostiene l'attrice - la disciplina attualmente
recata dal combinato disposto art. 34 ed art. 1  all.  10  al  Codice
delle comunicazioni elettroniche, comunque si porrebbe  in  conflitto
con la norma europea, in quanto: 
        (a) recante un  criterio  di  determinazione  dei  contributi
(diritti amministrativi) del tutto sganciato dal  fatturato  prodotto
dagli operatori, ed invece correlato al bacino di utenza  (estensione
territoriale delle reti di comunicazione elettronica  o  dell'offerta
del servizio di telefonia, ovvero numero di utenti  finali  serviti),
si' da produrre l'irragionevole assimilazione delle imprese  presenti
sul  mercato,  a  prescindere  dall'effettiva  capacita'   economica,
finanziaria e redditivita' dei singoli  operatori,  con  preterizione
del principio di non discriminazione; 
        (b) non sufficientemente analitica, ne' puntuale, quanto agli
obblighi  di  rendicontazione,  con  preterizione  dei  principi   di
trasparenza, proporzionalita' e minimizzazione degli oneri  accollati
agli operatori, posti dalla direttiva autorizzazioni (v. pag. 11  del
ricorso). 
    2.3.5 Tali i motivi di doglianza in ricorso, occorre  evidenziare
che anche supponendo che l'art. 34 e l'art.  1  all.  10  del  Codice
delle comunicazioni elettroniche, nelle diverse formulazioni  assunte
in ordine di  tempo,  abbiano  lasciato  inattuati  gli  obiettivi  e
principi direttivi recati dalla  direttiva  autorizzazioni,  comunque
tale rilievo non gioverebbe, di per se' solo, agli  scopi  intesi  in
giudizio dalla parte attrice. 
    Cio' in quanto la  constatazione  della  (ipotizzata)  violazione
della norma europea, ad opera della norma nazionale, potrebbe  semmai
comportare di riconoscere all'attrice, ricorrendo tutte le  ulteriori
condizioni indicate dalla giurisprudenza  della  Corte  di  giustizia
europea,  un  diritto  di  credito  di   natura   indennitaria,   per
inadempimento delle obbligazioni assunte, in  ambito  europeo,  dallo
Stato-governo, non il diritto a vedersi ritornare i contributi pagati
in forza della norma interna (Corte di giustizia dell'Unione europea,
sentenza 19 novembre 1991, in  cause  C-6/90  e  C-9/90,  Francovich,
punto 33; Corte di giustizia, sentenza 5 marzo 1996, in cause C-46/93
e  C-48/93,  Brasserie  du  pêcheur,  punto  51:   «Un   diritto   al
risarcimento e' riconosciuto dal diritto comunitario in quanto  siano
soddisfatte tre condizioni,  vale  a  dire  che  la  norma  giuridica
violata sia preordinata a conferire diritti ai singoli, che si tratti
di violazione sufficientemente caratterizzata e, infine,  che  esista
un nesso causale diretto tra la  violazione  dell'obbligo  incombente
allo Stato e il danno subito dai soggetti lesi»; Cassazione n.  10813
del 17 maggio 2011 «in caso di  omessa  o  tardiva  trasposizione  da
parte del legislatore italiano nel termine prescritto delle direttive
comunitarie (nella specie, le direttive n. 75/362/CEE e n. 82/76/CEE,
non autoesecutive, in  tema  di  retribuzione  della  formazione  dei
medici specializzandi), sorge, conformemente ai principi  piu'  volte
affermati dalla Corte di giustizia dell'Unione  europea,  il  diritto
degli interessati al risarcimento dei danni che  va  ricondotto  allo
schema della responsabilita' per inadempimento dell'obbligazione  "ex
lege" dello Stato, di natura  indennitaria.  Tale  responsabilita'  -
dovendosi considerare il  comportamento  omissivo  dello  Stato  come
antigiuridico anche sul piano dell'ordinamento  interno  e  dovendosi
ricondurre ogni obbligazione nell'ambito della  ripartizione  di  cui
all'art. 1173 del codice civile - va inquadrata  nella  figura  della
responsabilita' "contrattuale", in  quanto  nascente  non  dal  fatto
illecito  di  cui   all'art.   2043   del   codice   civile,   bensi'
dall'inadempimento di un rapporto obbligatorio preesistente,  sicche'
il  diritto  al  risarcimento  del   relativo   danno   e'   soggetto
all'ordinario termine decennale di prescrizione»; conf. Cassazione n.
10814 del 17 maggio 2011 e Cassazione n. 17350 del  18  agosto  2011;
Cassazione Sez. Unite n. 9147 del 17 aprile 2009). 
    La  direttiva   autorizzazioni   non   e',   infatti,   esecutiva
(self-executing),  nella  parte  in  cui  si   occupa   dei   diritti
amministrativi imponibili agli operatori, necessitando  di  norme  di
completamento ed integrazione, per poter essere trasposta ed  attuata
in ambito nazionale. 
    Tanto viene riconosciuto apertamente nella sentenza CGUE  (Ottava
Sezione) n. 228 del 18 luglio  2013,  resa  nelle  cause  riunite  da
C-228/12 a C-232/12 e da  C-254/12  a  C-258/12,  avente  ad  oggetto
«alcune domande di pronuncia  pregiudiziale  proposte  ...  ai  sensi
dell'art. 267 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, dal
Tribunale  amministrativo   regionale   per   il   Lazio»,   vertenti
dell'interpretazione  dell'art.  12   della   direttiva   2002/20/CE,
sentenza  che  la  stessa  difesa  attrice  ha  inteso  segnalare  al
tribunale, pro domo propria (all. 11 al ricorso). 
    Al punto 41 della sentenza si legge infatti: 
        «D'altronde, la direttiva autorizzazioni non prevede  ne'  il
modo in cui determinare  l'importo  dei  diritti  amministrativi  che
possono essere imposti ai sensi dell'art. 12 di tale  direttiva,  ne'
le modalita' di prelievo di tali diritti. Cio' nondimeno, da un lato,
risulta dall'art. 12, paragrafo 2, della menzionata direttiva,  letto
alla luce del considerando 30 della medesima direttiva, che i diritti
in parola devono coprire i costi amministrativi effettivi  risultanti
dalle attivita' citate al punto 38 della presente sentenza e vi debba
essere equilibrio con tali costi.  Il  gettito  complessivo  di  tali
diritti percepito dagli Stati membri  non  puo'  quindi  eccedere  il
totale dei  costi  relativi  a  tali  attivita'  (v.,  per  analogia,
sentenza Telefonica de España,  cit.,  punto  27).  Dall'altro  lato,
l'art. 12, paragrafo 1, lettera b),  della  direttiva  autorizzazioni
esige che gli Stati membri  impongano  detti  diritti  amministrativi
alle singole imprese in modo proporzionato, obiettivo e trasparente». 
    In  disparte  che  il  giudice  nazionale  non  puo'  discostarsi
dall'interpretazione offerta, della norma  europea,  dalla  Corte  di
giustizia,   e'   innegabile   che   la   direttiva    autorizzazioni
(2002/20/CE), all'art. 12, non rechi un divieto assoluto  di  imporre
il pagamento di contributi (diritti  amministrativi)  agli  operatori
titolari  di  licenze  di  fornitura   di   reti   di   comunicazione
elettronica, o di licenze di fornitura del servizio telefonico aperto
al pubblico; piuttosto, va condiviso che la norma  europea  autorizzi
gli Stati  ad  imporre  il  pagamento  di  contributi,  dettando  dei
parametri,  condizioni  e   criteri   di   massima,   per   la   loro
determinazione, ripartizione  e  quantificazione,  da  completare  ed
integrare ad opera del legislatore nazionale. 
    Per contro, secondo  la  stessa  giurisprudenza  della  Corte  di
giustizia, solamente «in tutti i casi in cui le disposizioni  di  una
direttiva appaiano, dal punto di vista sostanziale, incondizionate  e
sufficientemente precise, esse possono essere  invocate  dai  singoli
dinanzi al giudice nazionale nei confronti dello Stato membro (v., in
particolare, sentenze del 12 luglio  1990,  Foster  e  a.,  C-188/89,
Racc. pag. I-3313,  punto  16,  e  del  20  marzo  2003,  Kutz-Bauer,
C-187/00, Racc. pag. I-2741, punto 69)»  (cosi'  il  punto  46  della
sentenza Corte giustizia dell'Unione europea sez. I, 6 marzo 2014, n.
595, in causa C-595/12, avente ad oggetto  la  domanda  di  pronuncia
pregiudiziale  proposta  alla  Corte,  ai  sensi  dell'art.  267  del
Trattato  sul  funzionamento  dell'Unione  europea,   dal   Tribunale
amministrativo regionale per il Lazio - Italia - con ordinanza del  4
ottobre 2012, pervenuta in  cancelleria  il  19  dicembre  2012,  nel
procedimento Napoli contro Ministero della giustizia). 
    Ancora di recente,  la  Corte  di  giustizia  ha  avuto  modo  di
ricordare (v. a  seguire  Corte  giustizia  dell'Unione  europea,  24
giugno 2019, n. 573, in causa C-573/17, punti 53 e ss.) che,  seppure
«Il  principio  del  primato  del  diritto  dell'Unione  sancisce  la
preminenza del diritto dell'Unione sul  diritto  degli  Stati  membri
(sentenza del 15 luglio 1964, Costa, 6/64, EU:C:1964:66, pagg. 1143 e
1144)», ed impone «... a tutte le istituzioni degli Stati  membri  di
dare pieno effetto alle varie norme dell'Unione, dato che il  diritto
degli Stati membri non puo' sminuire l'efficacia riconosciuta a  tali
differenti norme nel territorio dei suddetti Stati (v., in tal senso,
sentenze del 26  febbraio  2013,  Melloni,  C-399/11,  EU:C:2013:107,
punto 59, e del 4 dicembre 2018, Minister for Justice and Equality  e
Commissioner of An Garda  Siochana,  C-378/17,  EU:C:2018:979,  punto
39)», il medesimo principio «... del primato del diritto  dell'Unione
non puo' [...] condurre a rimettere  in  discussione  la  distinzione
essenziale tra le disposizioni  del  diritto  dell'Unione  dotate  di
effetto diretto  e  quelle  che  ne  sono  prive,  ne',  pertanto,  a
instaurare un regime unico di applicazione di tutte  le  disposizioni
del diritto dell'Unione da parte dei giudici nazionali» (punto 60). 
    La Corte ha infatti ribadito (punto 61) che: 
        «...  ogni  giudice  nazionale,   chiamato   a   pronunciarsi
nell'ambito delle proprie competenze, ha, in  quanto  organo  di  uno
Stato  membro,  l'obbligo  di  disapplicare  qualsiasi   disposizione
nazionale contraria a una disposizione del  diritto  dell'Unione  che
abbia effetto diretto nella controversia di cui e' investito (v.,  in
tal senso, sentenze dell'8 settembre 2010, Winner  Wetten,  C-409/06,
EU:C:2010:503, punto 55 e giurisprudenza ivi citata; 24 gennaio  2012
Dominguez, C-282/10, EU:C:2012:33, punto 41, nonche' del  6  novembre
2018, Bauer e Willmeroth, C-569/16 e C-570/16,  EU:C:2018:871,  punto
75)». 
    Ma ha precisato (punto 62): 
        «62. Per contro, una disposizione del diritto dell'Unione che
sia priva di effetto diretto non puo' essere fatta valere, in  quanto
tale,  nell'ambito  di  una  controversia  rientrante   nel   diritto
dell'Unione, al fine di escludere l'applicazione di una  disposizione
di diritto nazionale ad essa contraria». 
    La Corte di giustizia ha quindi concluso (punto 63): 
        «Il giudice nazionale non e' quindi tenuto, sulla  sola  base
del diritto dell'Unione, a disapplicare una disposizione del  diritto
nazionale incompatibile con una disposizione della Carta dei  diritti
fondamentali dell'Unione europea che, come il suo art. 27, sia  priva
di effetto diretto (v., in tal senso, sentenza del 15  gennaio  2014,
Association de mediation sociale, C-176/12, EU:C:2014:2, punti da  46
a 48). 64.  Parimenti,  l'invocazione  di  una  disposizione  di  una
direttiva  che   non   sia   sufficientemente   chiara,   precisa   e
incondizionata da vedersi riconoscere un  effetto  diretto  non  puo'
condurre,   sulla   sola   base   del   diritto   dell'Unione,   alla
disapplicazione di una disposizione nazionale ad opera di un  giudice
di uno Stato membro (v., in tal senso, sentenze del 24 gennaio  2012,
Dominguez C-282/10, EU:C:2012:33, punto 41; del 6 marzo 2014, Napoli,
C-595/12, EU:C:2014:128, punto 50; del 25  giugno  2015,  Indeliu  ir
investiciju draudimas e Nemaniunas,  C-671/13,  EU:C:2015:418,  punto
60, nonche' del  16  luglio  2015,  Larentia  +  Minerva  e  Marenave
Schiffahrt, C-108/14 e C-109/14, EU:C:2015:496, punti 51 e 52)». 
    Ne  consegue  che,  non  potendosi  riconoscere  tali   requisiti
all'art. 12 della direttiva autorizzazioni, anche letto unitamente ai
considerando n. 30 e n.  31,  alla  societa'  attrice  non  basti  di
denunciarne  la  violazione,  a  motivo  dell'azione  di  ripetizione
intentata in giudizio (v. Cassazione  Sez.  Trib.,  n.  5956  del  28
febbraio 2019: «nell'ipotesi in cui un'accisa sia stata pagata  sulla
base di una norma interna successivamente dichiarata in contrasto con
una direttiva europea da una sentenza della Corte  di  giustizia,  il
termine di decadenza per l'esercizio del diritto al rimborso  decorre
dalla data del versamento dell'imposta e non da  quella,  successiva,
in cui e' intervenuta la pronuncia, purche' detta direttiva,  benche'
non  tempestivamente   trasposta   nell'ordinamento   italiano,   sia
qualificabile come self  executing»). 
    2.3.6 L'impossibilita' di attribuire all'art. 12 della  direttiva
autorizzazioni  la  valenza  di  norma  self-executing,  preclude  al
tribunale anche di operare  la  disapplicazione  o  non  applicazione
della norma di diritto interno, ritenuta in conflitto con il  diritto
euro-unitario (si vedano i punti 63 e  64  della  sentenza  Corte  di
giustizia, su riportata). 
    2.3.7  E'  anche  precluso,  al  tribunale,  di  far  luogo  alla
interpretazione adeguatrice o interpretazione conforme della norma di
diritto interno, invocata nel suo scritto dalla difesa attrice. 
    Ed  infatti,  le  disposizioni  dell'art.  34  del  Codice  delle
comunicazioni elettroniche, lette in correlazione alla  norma  recata
dall'art. 1 all. 10 al medesimo Codice, hanno avuto in passato (nella
formulazione originaria) e tutt'oggi hanno un contenuto  estremamente
puntuale,   analitico,   correlato   a   parametri   chiaramente   ed
univocamente  predeterminati,  si'  da  non  essere  suscettibili  di
diverse interpretazioni, ne' di essere cosi' adeguate ai (piu'  lati)
parametri della norma europea. 
    In merito, e' stato affermato, nella giurisprudenza  della  Corte
di giustizia, che: 
        «Il  principio  di  interpretazione  conforme   del   diritto
nazionale e' tuttavia soggetto ad alcuni limiti. [...]  Il  principio
di  interpretazione  conforme  non  puo'  porsi   a   fondamento   di
un'interpretazione contra legem del diritto nazionale  (sentenza  del
29  giugno  2017,  Po.,   C-579/15,   EU:C:2017:503,   punto   33   e
giurisprudenza  ivi  citata).  In   altri   termini,   l'obbligo   di
interpretazione conforme cessa quando il diritto nazionale  non  puo'
ricevere un'applicazione tale da sfociare in un risultato compatibile
con  quello  perseguito  dalla  decisione  quadro  di  cui   trattasi
(sentenza dell'8 novembre 2016,  Ognyanov,  C-554/14,  EU:C:2016:835,
punto 66)» (cosi' dalla motivazione della  sentenza  Corte  giustizia
dell'Unione europea, 24 giugno 2019, n. 573, punti 74 - 76). 
    2.3.8  Posta  l'impossibilita'  di  adottare   un'interpretazione
conforme  del  diritto  interno,  o   di   seguire   la   via   della
disapplicazione o non applicazione della normativa nazionale,  questo
giudice ritiene altresi'  di  non  poter  rimettere,  alla  Corte  di
giustizia,  una  questione  pregiudiziale  interpretativa  ai   sensi
dell'art. 267 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea. 
    Si e' gia' detto infatti che la Estracom S.p.a. non ha agito  per
essere  indennizzata/risarcita  dei   (maggiori)   costi   ed   oneri
sopportati a cagione della ipotizzata (grave e manifesta)  violazione
del diritto eurounitario, bensi'  ha  chiesto  la  restituzione  tout
court (art. 2033 del codice civile) delle somme esatte dal  Ministero
dello sviluppo economico, a titolo di diritti amministrativi. 
    D'altronde e' stato riconosciuto, dalla stessa Corte di giustizia
(sentenza CGUE n. 228 del 18 luglio 2013, punto  41),  che  le  norme
euro-unitarie che dovrebbero offrire il termine di comparazione della
normativa nazionale, non siano provviste di effetti diretti. 
    Dunque  l'eventuale  accertamento,  ad  opera  della   Corte   di
giustizia, del conflitto tra il diritto eurounitario e  la  normativa
di diritto interno, non potendosi spingere sino all'abolizione  della
norma interna, non apporterebbe, all'istante, l'utilita'  sperata  in
giudizio. 
    2.3.9  All'esito  delle  considerazioni  che  precedono,  risulta
evidente che lo scrutinio di fondatezza della domanda  debba  passare
attraverso la valutazione di legittimita' costituzionale delle  norme
(di diritto interno) cui la difesa attrice imputa la  violazione  del
diritto eurounitario, scrutinio che spetta alla Corte costituzionale,
sicche' si profila indispensabile sollevare la questione  incidentale
di costituzionalita', apparendo questa rilevante e non manifestamente
infondata, per quanto di seguito considerato. 
    2.4 sulla questione di legittimita' costituzionale dell'art. 34 e
dell'art. 1 all. 10 del Codice delle comunicazioni elettroniche. 
    2.4.1 Per quanto sin qui esposto, non e' dubbio che la  questione
di  legittimita'  costituzionale  sia  rilevante,   ai   fini   della
decisione. 
    Si e' gia' detto che l'attrice ha prospettato di avere operato, a
beneficio del MISE, dei pagamenti non dovuti (art.  2033  del  codice
civile), ma si e' (sopra) osservato che tali  pagamenti  siano  stati
esatti in forza dell'art. 34 e dell'art. 1, all. 10 del Codice  delle
comunicazioni  elettroniche,  nelle  varie  formulazioni  assunte  in
ordine di tempo. 
    E' documentato in atti che la societa' ricorrente,  licenziataria
del servizio di fornitura di reti di comunicazione elettronica e  del
servizio di telefonia (aperto al pubblico) per  il  territorio  della
Regione Toscana, abbia versato, nel periodo 2009 - 2013, dei  diritti
amministrativi quantificati in misura fissa, e correlati al numero di
abitati presenti sul territorio servito dalla rete  di  comunicazione
elettronica apprestata,  e  dal  servizio  di  telefonia  offerto  al
pubblico (v. all. 5 e 16 al ricorso introduttivo). 
    E'  altresi'  documentato  che  la  Estracom  S.p.a.,  in  quanto
«impresa erogante il servizio  prevalentemente  a  utenti  finali  in
numero pari o inferiore a 50.000», abbia versato, dal 2014  al  2018,
dei  diritti  amministrativi  quantificati,  in  misura   fissa,   in
correlazione al «numero di utenti finali»  (prevalentemente)  serviti
dalla rete di comunicazioni elettroniche e dal servizio di  telefonia
di cui licenziataria (v. all. 6, 7, 8, 9, 12, 13, 16 al ricorso). 
    D'altronde,  le  diverse  formulazioni  acquisite   dalla   norma
nazionale, in ordine di  tempo,  sono  su  riportate  e  non  occorre
nuovamente trascriverle. 
    Come  gia'  visto,  tale  normativa  (titolo  giustificativo  dei
pagamenti) non e' stata oggetto di alcun  intervento  demolitivo  ne'
del  legislatore  (con  effetto   retroattivo),   ne'   della   Corte
costituzionale. 
    Per contro,  la  eventuale  declaratoria  di  incostituzionalita'
sarebbe tale da invalidare ed espungere dall'ordinamento, con effetto
ex tunc, la norma  eventualmente  riscontrata  in  conflitto  con  la
Costituzione, si' da prodursi  la  caducazione  ora  per  allora  del
titolo giustificativo dei pagamenti; cio'  per  quanto  espressamente
previsto dall'art. 136 della Costituzione: «Quando la Corte  dichiara
l'illegittimita' costituzionale di una  norma  di  legge  o  di  atto
avente forza di legge, la norma cessa di avere efficacia  dal  giorno
successivo alla pubblicazione  della  decisione»  (in  tema,  tra  le
tante, v. Cassazione, n. 11953  del  7  maggio  2019:  «l'intervenuta
declaratoria di illegittimita' costituzionale dell'art. 53, comma 15,
del decreto legislativo n. 165 del 2001 (Corte costituzionale  n.  98
del 2015) produce effetti anche sui  giudizi  in  corso,  in  ragione
dell'efficacia  retroattiva  -  salva   l'avvenuta   formazione   del
giudicato   -   delle   pronunce   di   accoglimento   della    Corte
costituzionale, inibendo pertanto l'applicazione della  sanzione  ivi
prevista a  carico  degli  enti  conferenti  incarichi  retribuiti  a
dipendenti    pubblici     senza     la     previa     autorizzazione
dell'amministrazione  di  appartenenza,  per  il   caso   di   omessa
comunicazione dei compensi corrisposti»; Cassazione n. 11134  del  30
maggio  2016:   «l'efficacia   retroattiva   dell'incostituzionalita'
dichiarata si arresta esclusivamente di  fronte  al  giudicato  o  al
decorso dei termini di prescrizione e decadenza»; Cassazione n. 10958
del 6 maggio 2010: «le sentenze di accoglimento di una  questione  di
legittimita' costituzionale pronunciate  dalla  Corte  costituzionale
hanno  effetto  retroattivo,  con  l'unico  limite  delle  situazioni
consolidate  per  essersi  il   relativo   rapporto   definitivamente
esaurito, potendosi, in proposito, legittimamente ritenere "esauriti"
i soli rapporti rispetto ai quali si sia formato il giudicato, ovvero
sia decorso il termine prescrizionale o decadenziale  previsto  dalla
legge»). 
    Esclusa  la  formazione  del  giudicato,  il  rapporto  giuridico
dedotto in giudizio non puo' dirsi esaurito, atteso che  l'azione  di
ripetizione  della  Estracom  S.p.a.  (non  soggetta  a  termini   di
decadenza), appare formulata entro il termine utile di  cui  all'art.
2946 del codice civile. 
    Pertanto, posto che  la  eventuale  pronuncia  di  illegittimita'
costituzionale resa dalla Corte, sarebbe  tale  da  produrre  effetto
anche sul presente contenzioso, deve concludersi che la questione  di
costituzionalita' ora sollevata sia manifestamente rilevante ai  fini
del giudizio, e della  decisione  da  adottare  sulla  domanda  della
Estracom S.p.a. 
    D'altronde l'eventualita'  che  una  sentenza  di  illegittimita'
costituzionale  abbia  reso  indebiti  i  pagamenti   precedentemente
eseguiti, in favore di una  pubblica  amministrazione,  in  forza  di
norme  (successivamente)  dichiarate  incostituzionali,  si  e'  gia'
presentata (piu' volte) in passato, e la giurisprudenza  ha  ammesso,
senza  nutrire  particolari  dubbi,  la   conseguente   esperibilita'
dell'azione di ripetizione d'indebito (per citarne  solo  alcune,  si
vedano Cassazione n. 5258 del  15  giugno  1987,  in  relazione  alla
sentenza della Corte costituzionale n. 119 del  1981;  Cassazione  n.
8384 del 27 luglio 1991, Cassazione n. 13053  del  4  dicembre  1991,
Cassazione n. 3375 del 18 marzo 1992, Cassazione n. 3378 del 18 marzo
1992, in relazione alla sentenza della Corte  costituzionale  n.  370
del 1985; Cassazione n. 10980 dell'8 ottobre 1992, in relazione  alla
sentenza della Corte costituzionale n. 116 del 1985). 
    Ne' pare d'ostacolo, alla rimessione della questione  alla  Corte
costituzionale,  la  circostanza  che  la  disciplina  nazionale  dei
contributi (diritti amministrativi) imposti agli  operatori  titolari
di licenze di fornitura di reti di comunicazione  elettronica,  o  di
licenze di fornitura del  servizio  telefonico,  abbia  subito  delle
modifiche, nel corso del tempo. 
    Come e' stato infatti opinato, da  altro  giudice  (Consiglio  di
Stato sez. VI, 11 marzo 2015, n. 1261, in  Foro  Amministrativo  (II)
2015,  3,  755):  «L'abrogazione  di  una  norma  anteriormente  alla
rimessione della questione di costituzionalita' non determina, di per
se', l'inammissibilita' della questione  per  difetto  di  rilevanza.
Persiste la rilevanza della questione anche nel caso in cui la  norma
sottoposta a scrutinio o sostituita da una successiva,  perche',  ove
un determinato atto amministrativo sia stato adottato sulla  base  di
una  norma  poi  abrogata,  la  legittimita'  dell'atto  deve  essere
esaminata, in virtu' del principio tempus regit actum,  con  riguardo
alla situazione di fatto e di diritto esistente al momento della  sua
adozione. Del resto, i  due  istituti  giuridici  dell'abrogazione  e
della illegittimita' costituzionale delle leggi non sono  eguali  fra
loro, ma si muovono su piani diversi ed hanno,  soprattutto,  effetti
diversi. Mentre la dichiarazione di incostituzionalita' di una  legge
o di un atto avente forza di legge rende la norma inefficace ex  tunc
e quindi estende la sua invalidita'  a  tutti  i  rapporti  giuridici
ancora pendenti al momento della decisione  della  Corte,  restandone
cosi' esclusi soltanto i "rapporti esauriti" l'abrogazione, salvo  il
caso  dell'abrogazione  con  effetti  retroattivi,  opera  solo   per
l'avvenire, atteso che anche la legge abrogante  e'  sottoposta  alla
regola di cui all'art. 11 delle disposizioni sulla legge in  generale
(c.d. Preleggi)». 
    Inoltre sono numerosi i casi, tratti dalla  giurisprudenza  della
Corte costituzionale, in cui la questione di illegittimita' e'  stata
esaminata nel merito (ed eventualmente ritenuta  fondata),  anche  se
riferita a norme nel  frattempo  modificate  o  abrogate,  quando  la
successione  di  leggi   nel   tempo   non   avesse   comportato   la
sterilizzazione degli effetti delle norme precedentemente  in  vigore
(si veda ad es. Corte costituzionale, 6  marzo  2019,  n.  34;  Corte
costituzionale, 21 dicembre 2018, n. 238, nella  cui  motivazione  si
legge: «Secondo  la  costante  giurisprudenza  di  questa  Corte,  la
modifica normativa della norma oggetto di questione  di  legittimita'
costituzionale in via principale intervenuta in pendenza di  giudizio
determina la cessazione della materia del contendere quando ricorrono
simultaneamente le seguenti condizioni: occorre  che  il  legislatore
abbia abrogato o modificato le norme censurate in senso  satisfattivo
delle pretese  avanzate  con  il  ricorso  e  occorre  che  le  norme
impugnate,  poi  abrogate  o   modificate,   non   abbiano   ricevuto
applicazione medio tempore (ex plurimis sentenza n.  171  del  2018).
L'assenza di  qualsiasi  indicazione  (non  essendosi  costituita  la
Regione  resistente)  circa  la  mancata  applicazione  della   norma
censurata induce a ritenere non provato tale ultimo requisito,  anche
in considerazione del tempo di vigenza della norma abrogata,  che  e'
stata modificata circa  un  anno  dopo  la  sua  entrata  in  vigore.
Pertanto, la questione  deve  essere  esaminata  nel  merito  e,  per
ragioni analoghe a quelle gia' espresse al precedente punto  2.1.  in
riferimento all'art. 23, deve essere estesa alla nuova  disposizione,
come modificata dalla legge reg.  Basilicata  n.  11,  del  2018»;  e
ancora, Corte costituzionale 14 luglio 2017, n. 191,  che  nomina  in
motivazione le «sentenze n. 8 del 2017, n. 257, n. 253, n. 242  e  n.
199 del 2016, sentenza n. 59 del 2017»). 
    Infine giova ripetere che, stando alle  indicazioni  della  Corte
costituzionale, a fronte del possibile conflitto tra la norma interna
e una norma eurounitaria  non  provvista  di  efficacia  diretta,  il
rilievo di costituzionalita' sia pregiudiziale  anche  rispetto  alla
soluzione della questione interpretativa, di pertinenza  della  Corte
di giustizia (v. Corte costituzionale,  14  dicembre  2017,  n.  269:
«laddove una legge sia oggetto di dubbi  di  compatibilita'  rispetto
tanto a norme dell'Unione europea dotate di effetto diretto quanto  a
norme costituzionali,  il  giudice  a  quo  ha  l'onere  di  delibare
preliminarmente l'asserita violazione del diritto dell'Unione dedotta
in ricorso, in quanto il  suo  mancato  previo  esame  determinerebbe
l'inammissibilita' delle questioni di legittimita' costituzionale  da
sollevare. Viceversa, in caso di contrasto con una norma  dell'Unione
priva di effetti diretti, il  giudice  deve  sollevare  questione  di
legittimita' costituzionale, senza delibare preventivamente i profili
di incompatibilita' con  il  diritto  dell'Unione  europea.  In  tale
ipotesi spetta alla Corte costituzionale giudicare la legge,  sia  in
riferimento ai parametri europei (come veicolati dagli articoli 11  e
117 della  Costituzione),  sia  in  relazione  agli  altri  parametri
costituzionali interni»; v. ancora  Corte  Costituzionale  18  luglio
2013, n. 207: «quando davanti  alla  Corte  costituzionale  pende  un
giudizio di legittimita' costituzionale per incompatibilita'  con  le
norme comunitarie,  queste  ultime,  se  prive  di  effetto  diretto,
rendono concretamente operativi i parametri di cui agli articoli 11 e
117, comma 1, della Costituzione, e la medesima Corte  ha  natura  di
"giurisdizione nazionale"  ai  sensi  dell'art.  267,  comma  3,  del
trattato sul funzionamento dell'Unione europea anche nei  giudizi  in
via incidentale (ord. n. 103 del 2008)»). 
    Donde lo scrutinio di rilevanza della questione ora affrontata. 
    2.4.2 Quanto alla non manifesta infondatezza della questione  qui
rilevata, giova ricordare che: 
        la direttiva autorizzazioni (2002/20/CE) veniva adottata, dal
Parlamento e dal Consiglio europeo, per soddisfare la  necessita'  di
una  «normativa  comunitaria  piu'   armonizzata   e   meno   onerosa
sull'accesso al mercato delle reti e  dei  servizi  di  comunicazione
elettronica» (considerando n. 1); 
        la  medesima  si  prefiggeva  di  «garantire»  che  tutte  le
categorie  di  fornitori  (di  reti  e   servizi   di   comunicazione
elettronica destinati al pubblico, o meno) potessero «beneficiare  di
diritti,  condizioni  e   procedure   obiettivi,   trasparenti,   non
discriminatori e proporzionati» (considerando n. 4); 
        la direttiva contemplava la possibilita' che  «ai  prestatori
di servizi di comunicazione elettronica» potesse «essere richiesto il
pagamento di diritti amministrativi a copertura delle spese sostenute
dall'autorita' nazionale di  regolamentazione  per  la  gestione  del
regime di autorizzazione e per la concessione dei diritti d'uso»,  ma
segnalava tuttavia: «E' opportuno che la riscossione di tali  diritti
si limiti a coprire i costi amministrativi veri e  propri  di  queste
attivita'.  Pertanto   occorre   garantire   la   trasparenza   della
contabilita' gestita  dall'autorita'  nazionale  di  regolamentazione
mediante rendiconti annuali in cui figuri l'importo  complessivo  dei
diritti riscossi e dei costi amministrativi sostenuti. In questo modo
le imprese potranno verificare se vi sia equilibrio tra i costi e gli
oneri ad esse imposti» (considerando n. 30); 
        ancora, la direttiva  sottolineava:  «I  sistemi  di  diritti
amministrativi non dovrebbero  distorcere  la  concorrenza  o  creare
ostacoli per l'ingresso sul mercato. Con un sistema di autorizzazioni
generali non sara' piu' possibile attribuire costi e  quindi  diritti
amministrativi a singole imprese fuorche'  per  concedere  i  diritti
d'uso dei numeri, delle frequenze radio e dei diritti  di  installare
strutture.  Qualsiasi  diritto  amministrativo  applicabile  dovrebbe
essere in linea con  i  principi  di  un  sistema  di  autorizzazione
generale. Un esempio di alternativa leale, semplice e trasparente per
il criterio di attribuzione  di  tali  diritti  potrebbe  essere  una
ripartizione collegata al fatturato. Qualora i diritti amministrativi
fossero molto  bassi  potrebbero  anche  essere  appropriati  diritti
forfettari o diritti combinanti una base forfettaria con un  elemento
collegato al fatturato» (considerando n. 31); 
        correlativamente,  all'art.   12   della   direttiva   veniva
prescritto: 
          «1. I  diritti  amministrativi  imposti  alle  imprese  che
prestano servizi o reti ai sensi dell'autorizzazione generale  o  che
hanno ricevuto una concessione dei diritti d'uso: 
a) coprono complessivamente i soli costi amministrativi  che  saranno
sostenuti per la gestione, il controllo e l'applicazione  del  regime
di autorizzazione  generale,  dei  diritti  d'uso  e  degli  obblighi
specifici di cui all'art. 6, paragrafo 2, che possono  comprendere  i
costi  di  cooperazione  internazionale,  di  armonizzazione   e   di
standardizzazione,  di  analisi  di  mercato,  di  sorveglianza   del
rispetto delle disposizioni e di altri controlli di mercato,  nonche'
di preparazione e  di  applicazione  del  diritto  derivato  e  delle
decisioni amministrative, quali decisioni in  materia  di  accesso  e
interconnessione. 
b) sono imposti alle singole imprese in modo proporzionato, obiettivo
e trasparente che minimizzi i costi amministrativi aggiuntivi  e  gli
oneri accessori. 
          2. Le autorita' nazionali di regolamentazione che impongono
il pagamento di diritti amministrativi sono tenute  a  pubblicare  un
rendiconto annuo  dei  propri  costi  amministrativi  e  dell'importo
complessivo dei diritti riscossi.  Alla  luce  delle  differenze  tra
l'importo totale  dei  diritti  e  i  costi  amministrativi,  vengono
apportate opportune rettifiche». 
    Al contempo, nell'ordinamento interno: 
    l'art. 34 del Codice delle  comunicazioni  elettroniche  (decreto
legislativo n. 259/2003), in materia di «diritti amministrativi», nel
testo originario, pur riproducendo la formula dell'art. 12, comma  1,
lettera a) della direttiva, rinviava, per la concreta  determinazione
della misura dei diritti amministrativi, all'all. 10  al  Codice,  il
cui art. 1 e' la norma di  riferimento,  ai  fini  della  fattispecie
considerata; 
    secondo l'art. 1, all. 10 al codice, nel  testo  originario,  gli
operatori titolari di «autorizzazione generale per l'installazione  e
fornitura di reti pubbliche di comunicazioni ... e per l'offerta  del
servizio  telefonico  accessibile  al  pubblico»,  avrebbero   dovuto
versare, annualmente, «un contributo  determinato  sulla  base  della
popolazione potenzialmente destinataria dell'offerta», in particolare
quantificato  forfettariamente  secondo   l'estensione   territoriale
ovvero secondo il numero della popolazione residente  sul  territorio
ove fornite le reti pubbliche di comunicazioni,  ovvero  il  servizio
telefonico accessibile al pubblico; 
    nessuna  rendicontazione  era  prevista,  ne'  dall'art.  34  del
Codice, ne' dall'art. 1, all. 10 al Codice delle comunicazioni,  sino
alla novella apportata con la legge europea 2014, n. 115/2015; 
    nella formulazione introdotta dall'art. 6, comma 4 (lettera a)  e
lettera b))  del  decreto-legge  23  dicembre  2013,  convertito  con
modificazioni dalla legge 21 febbraio 2014, n. 9, il solo art. 1 all.
10 al  Codice  (invariato  l'art.  34  del  medesimo  Codice)  vedeva
introdurre un correttivo correlato al  «numero  di  utenti»,  per  le
(sole) imprese che  fornissero  reti  pubbliche  di  comunicazioni  o
servizio di telefonia  aperto  al  pubblico  «sull'intero  territorio
nazionale» (all. 10 art. 1, comma 1, lettera a) n.  1  e  n.  1-bis),
comma 1, lettera b) n. 1 e n. 1-bis)), lasciando immutato  -  per  il
resto - il criterio di  determinazione  forfettaria  del  contributo,
correlato alla popolazione  residente  («numero  di  abitanti»),  per
tutti gli altri operatori, fornitori di reti di  comunicazione  o  di
servizio di telefonia su territori piu' circoscritti; 
    all'esito della riformulazione  operata  dalla  legge  29  luglio
2015, n. 115, art.  5,  l'art.  34  del  Codice  delle  comunicazioni
elettroniche e' stato cosi' riscritto: 
        «1. Oltre ai contributi di cui all'art.  35,  possono  essere
imposti  alle  imprese  che  forniscono  reti  o  servizi  ai   sensi
dell'autorizzazione generale o alle quali sono stati concessi diritti
di uso, diritti amministrativi che coprano  complessivamente  i  soli
costi amministrativi  sostenuti  per  la  gestione,  il  controllo  e
l'applicazione del regime di autorizzazione generale, dei diritti  di
uso e degli obblighi specifici di  cui  all'art.  28,  comma  2,  ivi
compresi i costi di cooperazione internazionale, di armonizzazione  e
di standardizzazione, di analisi  di  mercato,  di  sorveglianza  del
rispetto delle disposizioni e di altri controlli di mercato,  nonche'
di preparazione e  di  applicazione  del  diritto  derivato  e  delle
decisioni amministrative, ed in particolare di decisioni  in  materia
di accesso e interconnessione. I diritti amministrativi sono  imposti
alle singole imprese in modo proporzionato, obiettivo  e  trasparente
che  minimizzi  i  costi  amministrativi  aggiuntivi  e   gli   oneri
accessori. 
        2. Per la copertura dei costi amministrativi sostenuti per le
attivita'  di  competenza  del  Ministero,  la  misura  dei   diritti
amministrativi di cui al comma 1 e' individuata nell'allegato n. 10. 
        2-bis.   Per   la   copertura   dei   costi    amministrativi
complessivamente  sostenuti  per  l'esercizio   delle   funzioni   di
regolazione, di  vigilanza,  di  composizione  delle  controversie  e
sanzionatorie attribuite dalla legge all'Autorita' nelle  materie  di
cui al comma 1, la  misura  dei  diritti  amministrativi  di  cui  al
medesimo comma 1 e' determinata ai sensi dell'art. 1, commi 65  e  66
della legge 23 dicembre  2005,  n.  266,  in  proporzione  ai  ricavi
maturati dalle imprese nelle  attivita'  oggetto  dell'autorizzazione
generale o della concessione di diritti d'uso. 
        2-ter.  Il  Ministero,   di   concerto   con   il   Ministero
dell'economia e delle finanze, e l'Autorita' pubblicano annualmente i
costi amministrativi sostenuti per le attivita' di cui al comma  1  e
l'importo complessivo dei diritti riscossi ai sensi, rispettivamente,
dei commi 2 e 2-bis. In base alle eventuali differenze tra  l'importo
totale dei  diritti  e  i  costi  amministrativi,  vengono  apportate
opportune rettifiche»; 
    d'altronde l'art. 1, all.  10  al  medesimo  Codice,  attualmente
recita: 
        «1. Al fine di assicurare la copertura degli oneri di cui  al
comma  1  dell'art.  34  del   Codice,   le   imprese   titolari   di
autorizzazione generale per l'installazione e la  fornitura  di  reti
pubbliche di comunicazioni, comprese quelle  basate  sull'impiego  di
radiofrequenze, e le imprese titolari di autorizzazione generale  per
l'offerta  del  servizio  telefonico  accessibile  al  pubblico,  con
esclusione  di  quello  offerto   in   luoghi   presidiati   mediante
apparecchiature  terminali  o   attraverso   l'emissione   di   carte
telefoniche,  sono  tenute  al  pagamento  di  un  contributo  annuo,
compreso l'anno dal quale  decorre  l'autorizzazione  generale.  Tale
contributo, che per gli anni successivi a  quello  del  conseguimento
dell'autorizzazione deve  essere  versato  entro  il  31  gennaio  di
ciascun anno, anche nel caso di  rinuncia  qualora  inviata  in  data
successiva al 31 dicembre dell'anno precedente,  e'  determinato  nei
seguenti importi: 
          a)  nel  caso   di   fornitura   di   reti   pubbliche   di
comunicazioni: 
1) sull'intero territorio nazionale: 127.000 euro; 
2) su un territorio avente piu' di 1 milione e fino a 10  milioni  di
abitanti: 64.000 euro; 
3) su un territorio avente piu' di 200.000 e  fino  a  1  milione  di
abitanti: 32.000 euro; 
4) su un territorio avente fino a 200.000 abitanti: 17.000 euro; 
5) per le imprese che erogano il servizio  prevalentemente  a  utenti
finali in numero pari o inferiore a 50.000  :  500  euro  ogni  mille
utenti. Il numero degli utenti e' calcolato  sul  quantitativo  delle
linee attivate a ciascun utente finale; 
          b) nel caso di fornitura di servizio telefonico accessibile
al pubblico: 
1) sull'intero territorio nazionale: 75.500 euro; 
2) su un territorio avente piu' di 1 milione e fino a 10  milioni  di
abitanti: 32.000 euro; 
3) su un territorio avente piu' di 200.000 e  fino  a  1  milione  di
abitanti: 12.500 euro; 
4) su un territorio avente fino a 200.000 abitanti: 6.400 euro; 
5) per le imprese che erogano il servizio  prevalentemente  a  utenti
finali in numero pari o inferiore a 50.000  :  300  euro  ogni  mille
utenti. Il numero degli utenti e' calcolato  sul  quantitativo  delle
risorse di numerazione attivate a ciascun utente finale». 
    Cio' posto, la questione  della  compatibilita'  della  normativa
interna con la Carta  costituzionale  e,  per  suo  tramite,  con  il
Trattato  di  funzionamento  dell'Unione  europea  e  con  la   Carta
fondamentale  dei  diritti  dell'Unione,  infine  con  la   direttiva
autorizzazioni, appare - ad avviso del tribunale - non manifestamente
infondata, si' da richiedersi lo scrutinio della Corte. 
    In particolare, e' prospettabile che: 
        (A) la normativa  nazionale  sopra  rammentata,  in  tema  di
diritti amministrativi dovuti dagli operatori (per la  copertura  dei
«costi  di  gestione,  controllo  ed  applicazione  del   regime   di
autorizzazione  generale,  dei  diritti  di  uso  e  degli   obblighi
specifici» di cui all'art. 28, comma  2  Codice  delle  comunicazioni
elettroniche), nelle diverse formulazioni assunte in ordine di tempo,
abbia lasciato disattesi i principi  informatori  e  le  prescrizioni
dettate dall'art. 12  della  direttiva  autorizzazioni  (2002/20/CE),
letto unitamente ai  considerando  n.  30  e  n.  31  della  medesima
direttiva, si' da risultare violati gli articoli  11,  117,  comma  1
della Costituzione, laddove prescrivono che la  potesta'  legislativa
e'  esercitata  dallo  Stato  «nel  rispetto  dei  vincoli  derivanti
dall'ordinamento  comunitario  e  dagli   obblighi   internazionali»,
nonche' gli art.  288  del  Trattato  sul  funzionamento  dell'Unione
europea («La direttiva vincola lo Stato membro  cui  e'  rivolta  per
quanto riguarda  il  risultato  da  raggiungere,  salva  restando  la
competenza degli organi nazionali in merito alla forma e ai  mezzi»),
art. 291 del Trattato sul  funzionamento  dell'Unione  europea  («Gli
Stati membri adottano tutte le misure di diritto  interno  necessarie
per l'attuazione degli atti giuridicamente vincolanti dell'Unione»); 
        (B) specificamente la normativa nazionale, nella formulazione
originaria  e  (prevalentemente  anche)  in   quella   attuale,   nel
rapportare e quantificare i diritti amministrativi in base al  bacino
di utenza meramente potenziale,  ossia  all'estensione  di  un  certo
territorio (per le imprese operanti sull'intero territorio nazionale)
o al numero degli abitanti di  un  certo  territorio,  anziche'  alle
capacita' economiche e reddituali (fatturato o  ricavi)  dei  singoli
operatori, e quantificando forfettariamente (ossia in misura fissa) i
diritti  amministrativi,  correlando  il  forfait  al  numero   degli
abitanti ovvero all'intero territorio nazionale, anziche'  in  misura
proporzionale  e  riferita  alle  condizioni   proprie   di   ciascun
operatore, come da indicazioni della direttiva (considerando n.  31),
abbia  comportato,  oltre  alle  violazioni   sopra   indicate,   una
irragionevole  assimilazione  delle  diverse  imprese  operanti   sul
mercato, con  preterizione  dell'art.  3  della  Costituzione  e  dei
principi di eguaglianza e di non discriminazione di cui agli articoli
20 e 21 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, che
vietano di regolare in egual modo  delle  situazioni  sostanzialmente
diverse, e di regolare diversamente delle situazioni  sostanzialmente
eguali; 
        (C) ancora la normativa nazionale, nella formulazione assunta
dopo l'entrata in vigore dell'art. 6, comma 4 (lettera a)  e  lettera
b)) del decreto-legge 23 dicembre 2013, convertito con  modificazioni
dalla legge 21 febbraio  2014,  n.  9,  nel  quantificare  i  diritti
amministrativi in misure fisse, e parametrarli al numero degli utenti
finali serviti, per le imprese  «con  un  numero  di  utenti  pari  o
inferiore a 50.000», ossia a circostanze estrinseche ed  indipendenti
dalle  capacita'  reddituali  e  produttive  di  ciascun   operatore,
anziche' alle condizioni proprie dei singoli  operatori,  abbia  reso
piu' difficoltoso l'accesso al mercato  (dei  fornitori  di  reti  di
comunicazioni elettroniche o del  servizio  di  telefonia  aperto  al
pubblico) agli operatori meno provvisti di mezzi finanziari,  si'  da
risultare alterata la concorrenza,  in  violazione  (oltreche'  degli
articoli 11, 117 della Costituzione, e dell'art. 288 del Trattato sul
funzionamento dell'Unione europea), dell'art. 106  del  Trattato  sul
funzionamento dell'Unione europea («1. Gli Stati membri  non  emanano
ne' mantengono, nei confronti delle imprese pubbliche e delle imprese
cui riconoscono diritti speciali o esclusivi, alcuna misura contraria
alle norme dei trattati,  specialmente  a  quelle  contemplate  dagli
articoli 18 e da 101 a 109 inclusi. 2. Le  imprese  incaricate  della
gestione  di  servizi  di  interesse  economico  generale  o   aventi
carattere  di  monopolio  fiscale  sono  sottoposte  alle  norme  dei
trattati e in particolare alle regole di concorrenza, nei  limiti  in
cui l'applicazione di tali norme non osti all'adempimento,  in  linea
di diritto e di fatto, della specifica  missione  loro  affidata.  Lo
sviluppo degli scambi non deve essere compromesso in misura contraria
agli interessi dell'Unione»), art. 1 protocollo 26 del  Trattato  sul
funzionamento dell'Unione europea («I valori comuni  dell'Unione  con
riguardo al settore dei servizi di interesse  economico  generale  ai
sensi dell'art. 14 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea
comprendono in particolare: - il ruolo essenziale  e  l'ampio  potere
discrezionale  delle  autorita'  nazionali,  regionali  e  locali  di
fornire, commissionare e organizzare servizi di  interesse  economico
generale il piu' vicini possibile alle esigenze degli  utenti;  -  la
diversita' tra i vari servizi di interesse economico  generale  e  le
differenze delle esigenze  e  preferenze  degli  utenti  che  possono
discendere da situazioni geografiche, sociali e culturali diverse;  -
un alto livello di qualita', sicurezza e accessibilita' economica, la
parita' di trattamento e la promozione dell'accesso universale e  dei
diritti dell'utente»); 
        (D) ancora la normativa nazionale, nella formulazione assunta
dopo l'entrata in vigore dell'art. 5 legge 29  luglio  2015,  n.  115
(Legge europea 2014), nel quantificare i  diritti  amministrativi  in
misure fisse, e parametrarli al numero degli utenti  finali  serviti,
per gli operatori che «erogano il servizio prevalentemente  a  utenti
finali in numero pari o inferiore  a  50.000»,  ossia  a  circostanze
estrinseche ed  indipendenti  dalle  condizioni  proprie  di  ciascun
operatore, anziche' alle condizioni proprie  dei  singoli  operatori,
abbia reso piu' difficoltoso l'accesso al mercato (dei  fornitori  di
reti di comunicazioni elettroniche o del servizio di telefonia aperto
al pubblico) agli operatori meno provvisti di mezzi  finanziari,  si'
da risultare alterata la concorrenza, in violazione (oltreche'  degli
articoli 11, 117 della Costituzione, e dell'art. 288 del Trattato sul
funzionamento dell'Unione europea), dell'art. 106  del  Trattato  sul
funzionamento dell'Unione europea («1. Gli Stati membri  non  emanano
ne' mantengono, nei confronti delle imprese pubbliche e delle imprese
cui riconoscono diritti speciali o esclusivi, alcuna misura contraria
alle norme dei trattati,  specialmente  a  quelle  contemplate  dagli
articoli 18 e da 101 a 109 inclusi. 2. Le  imprese  incaricate  della
gestione  di  servizi  di  interesse  economico  generale  o   aventi
carattere  di  monopolio  fiscale  sono  sottoposte  alle  norme  dei
trattati, e in particolare alle regole di concorrenza, nei limiti  in
cui l'applicazione di tali norme non osti all'adempimento,  in  linea
di diritto e di fatto, della specifica  missione  loro  affidata.  Lo
sviluppo degli scambi non deve essere compromesso in misura contraria
agli interessi dell'Unione»), art. 1 protocollo 26 del  Trattato  sul
funzionamento dell'Unione europea («I valori comuni  dell'Unione  con
riguardo al settore dei servizi di interesse  economico  generale  ai
sensi dell'art. 14 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea
comprendono in particolare: - il ruolo essenziale  e  l'ampio  potere
discrezionale  delle  autorita'  nazionali,  regionali  e  locali  di
fornire, commissionare e organizzare servizi di  interesse  economico
generale il piu' vicini possibile alle esigenze degli  utenti;  -  la
diversita' tra i vari servizi di interesse economico  generale  e  le
differenze delle esigenze  e  preferenze  degli  utenti  che  possono
discendere da situazioni geografiche, sociali e culturali diverse;  -
un alto livello di qualita', sicurezza e accessibilita' economica, la
parita' di trattamento e la promozione dell'accesso universale e  dei
diritti dell'utente»); 
        (E) infine, la  normativa  nazionale  sopra  indicata  (nella
formulazione vigente  sino  all'entrata  in  vigore  della  legge  n.
115/2015),  nell'omettere  qualsiasi  riferimento  agli  obblighi  di
rendicontazione prescritti dalla direttiva, abbia inoltre  comportato
(oltre alla violazione di cui alla lettera a) lesione al principio di
imparzialita' e buon andamento dell'Amministrazione, di cui  all'art.
97  della  Costituzione,  oltreche'  dei  principi  di   trasparenza,
minimizzazione dei costi ed oneri accessori accollati agli operatori,
posti dalla direttiva autorizzazioni. 
    Conclusivamente, sussistono le  condizioni  per  rimettere,  alla
Corte costituzionale, la questione di legittimita' dell'art.  34  (in
materia di  «Diritti  amministrativi»)  del  decreto  legislativo  1°
agosto 2003, n. 259 (Codice  delle  comunicazioni  elettroniche),  in
combinato disposto con l'art. 1 all. 10 al medesimo testo  di  legge,
in tutte le diverse formulazioni assunte  in  ordine  di  tempo,  per
violazione degli articoli 11, 117 della Costituzione,  288,  291  del
Trattato  sul  funzionamento  dell'Unione  europea,   nonche'   degli
articoli 3 e 97 della Costituzione, articoli 20 e 21 CDFUE, art.  106
del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, art. 1 protocollo
26 del Trattato  sul  funzionamento  dell'Unione  europea,  apparendo
questa non manifestamente infondata, nonche' rilevante  ai  fini  del
decidere. 
    Si provvede pertanto come a seguire. 

(1) "contributi per la concessione di diritti di uso e di diritti  di
    installare infrastrutture". 
 
                              P. Q. M. 
 
    Il Tribunale  di  Roma,  visti  gli  articoli  134  e  137  della
Costituzione, nonche' l'art. 1 della legge costituzionale 9  febbraio
1948, n. 1, e l'art. 23 della legge 11 marzo 1953,  n.  87,  dichiara
rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita'
costituzionale dell'art. 34 (in materia di «Diritti  amministrativi»)
del  decreto  legislativo  1°  agosto  2003,  n.  259  (Codice  delle
comunicazioni elettroniche),  in  combinato  disposto  con  l'art.  1
(«diritti amministrativi») all. 10 al medesimo testo  di  legge,  per
violazione degli articoli 11, 117 della Costituzione,  288,  291  del
Trattato  sul  funzionamento  dell'Unione  europea,   nonche'   degli
articoli 3 e 97 della Costituzione, nonche' articoli 20 e  21  CDFUE,
art. 106 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea,  art.  1
protocollo 26 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, per
le ragioni indicate al par. 2.4.2 del presente provvedimento,  ed  in
particolare alle lettere (A), (B), (C), (D), (E); 
    Dispone che il presente provvedimento, a cura della  cancelleria,
sia notificato alle parti in causa ed al Presidente dei Consiglio dei
Ministri,  nonche'  comunicato  al  Presidente  del  Senato   ed   al
Presidente della Camera dei Deputati e, all'esito, sia trasmesso alla
Corte costituzionale insieme al fascicolo processuale, con  la  prova
delle avvenute regolari predette notificazioni e comunicazioni; 
    Dispone la sospensione del presente processo. 
 
        Roma, 15 dicembre 2019 
 
                       Il Giudice: Imposimato