N. 70 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 21 agosto 2020
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 21 agosto 2020 (del Presidente del Consiglio dei ministri). Paesaggio (tutela del) - Norme della Regione autonoma Sardegna - Norme per il miglioramento del patrimonio esistente - Modifiche alla legge regionale n. 22 del 2019 in materia di proroga di termini - Prevista applicazione delle disposizioni temporanee, dettate dalla legge regionale n. 8 del 2015, fino all'entrata in vigore della nuova legge regionale in materia di governo del territorio e comunque non oltre il 31 dicembre 2020. - Legge della Regione autonoma Sardegna 24 giugno 2020, n. 17 (Modifiche alla legge regionale n. 22 del 2019 in materia di proroga di termini), in particolare, art. 1.(GU n.41 del 7-10-2020 )
Ricorso per il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici domicilia in Roma, via dei Portoghesi n. 12 contro la Regione Sardegna, in persona del Presidente della Giunta regionale pro tempore, per la declaratoria di incostituzionalita' della legge regionale 24 giugno 2020 n. 17, pubblicata nel B.U.R. n. 36 del 25 giugno 2020, avente ad oggetto «Modifiche alla legge regionale n. 22 del 2019 in materia di proroga di termini», giusta delibera del Consiglio dei Ministri in data 7 agosto 2020. La legge regionale n. 17/2020, composta di un unico articolo, reca il differimento di alcuni termini contenuti in precedenti leggi regionali ed e' censurabile relativamente alla disposizione contenuta dell'art. 1 che, per i motivi di seguito specificati, viola - da un lato - l'art. 3 dello Statuto speciale della Regione, come attuato mediante il decreto del Presidente della Repubblica n. 480 del 1975, e la potesta' legislativa esclusiva in materia di tutela del paesaggio, di cui all'art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, rispetto alla quale costituiscono norme interposte gli articoli 135, 143, 145 e 156 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, e - dall'altro lato - l'art. 9 della Costituzione e il principio di leale collaborazione. La norma contenuta nell'art. 1 della legge regionale in esame e' volta a disporre un'ulteriore proroga delle disposizioni temporanee di cui al Titolo H - Capo I «Norme per il miglioramento del patrimonio esistente» della legge regionale n. 8 del 2015, protraendo quindi ulteriormente l'efficacia di una disciplina a carattere derogatorio che era destinata in origine ad avere un'applicazione temporale estremamente limitata. La legge regionale 23 aprile 2015, n. 8, infatti, aveva introdotto, al Titolo H, Capo I, un'articolata disciplina volta a consentire la realizzazione di volumi edilizi in deroga agli strumenti urbanistici, stabilendo tuttavia, all'art. 37, comma 1, nel suo originario tenore, che: «1. Le disposizioni di cui al presente capo si applicano fino all'entrata in vigore della nuova legge regionale in materia di governo del territorio e comunque non oltre il 31 dicembre 2016.» Tale termine ad quem originariamente previsto e' stato oggetto, nel tempo, di numerose proroghe da parte di disposizioni regionali succedutesi nel tempo. Dapprima, l'art. 1, comma 1, lettera a), della legge regionale n. 33 del 2016 ha previsto che: «1. Alla legge regionale 23 aprile 2015, n. 8 (Norme per la semplificazione e il riordino di disposizioni in materia urbanistica ed edilizia e per il miglioramento del patrimonio edilizio), sono apportate le seguenti modifiche: a) al comma 1 dell'art. 37 le parole "e comunque non oltre il 31 dicembre 2016", sono sostituite dalle seguenti: "e comunque non oltre il 31 dicembre 2017"; (...)» L'art. 1, comma 1, della legge regionale n. 26 del 2017, aveva stabilito che: «1. La lettera a) del comma 1 dell'art. 1 della legge regionale 7 dicembre 2016, n. 33 (Proroga di termini di cui alla legge regionale n. 8 del 2015), e' cosi' sostituita: ""a) al comma 1 dell'art. 37 le parole "e comunque non oltre il 31 dicembre 2017" sono sostituite dalle seguenti: "e comunque non oltre il 30 giugno 2019"".» A sua volta, l'art. 1, comma 1, della legge regionale n. 8 del 2019, nel suo originario tenore, prevedeva che: «1. Il comma 1 dell'art. 1 della legge regionale 14 dicembre 2017, n. 26 (Modifiche alla legge regionale 7 dicembre 2016, n. 33 (Proroga di termini di cui alla legge regionale n. 8 del 2015) e' cosi' sostituito: """1. La lettera a) del comma 1 dell'art. 1 della legge regionale 7 dicembre 2016, n. 33 (Proroga di termini di cui alla legge regionale n. 8 del 2015), e' cosi' sostituita: ""a) al comma 1 dell'art. 37 le parole "e comunque non oltre il 30 giugno 2019" sono sostituite dalle seguenti: "e comunque non oltre il 31 dicembre 2019""".» L'art. 1, comma 1, della legge regionale n. 22 del 2019, prima della modifica, stabiliva che: «1. Nell'inciso finale del comma 1 dell'art. 1 della legge regionale 21 giugno 2019, n. 8 (Modifiche all'art. 1 della legge regionale n. 26 del 2017 (Proroga di termini) le parole "30 giugno 2019" sono sostituite dalle seguenti: "31 dicembre 2019" e le parole "31 dicembre 2019" sono sostituite dalle seguenti: "30 giugno 2020".» Infine, l'art. 1 della legge regionale n. 17 del 2020 dispone quanto segue: «Nel comma 1 dell'art. 1 della legge regionale 20 dicembre 2019, n. 22 (Modifiche alla legge regionale n. 8 del 2019 (Proroga di termini)) le parole "30 giugno 2020" sono sostituite dalle seguenti: "31 dicembre 2020".» Deve, peraltro, ricordarsi che la predetta legge regionale n. 8 del 2015 ha rinnovato, ridefinendola, la disciplina derogatoria del c.d. «piano casa» regionale, gia' contenuta nella legge regionale 23 ottobre 2009, n. 4. In sostanza, con l'ulteriore - ennesima - proroga contenuta nella legge regionale n. 17 del 2020, la Regione perpetua ulteriormente una disciplina derogatoria introdotta per la prima volta nel 2009 e che, pur se con successivi adeguamenti, consente sin da allora (sono undici anni...) la realizzazione di nuove volumetrie in deroga alla pianificazione urbanistica, e cio' anche nelle aree sottoposte a tutela paesaggistica ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui ai decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42. La finalita' normativa era originariamente quella di consentire interventi «straordinari», per un periodo temporalmente limitato, mentre le continue proroghe, apportate con leggi regionali che si susseguono nel tempo, hanno determinato la sostanziale stabilizzazione di tali deroghe nel lungo periodo, con il risultato di accrescere enormemente, per sommatoria, il numero degli interventi assentibili in contrasto con la disciplina urbanistica. Appare pertanto evidente che i plurimi interventi normativi regionali, ripetuti nel tempo, di proroga del termine finale di applicabilita' della disciplina di cui alla predetta legge regionale 23 aprile 2015, n. 8, hanno l'effetto di rendere stabile nel territorio regionale una disciplina eccezionale, in quanto volta a consentire realizzazione di volumi edilizi in deroga agli strumenti urbanistici. Da qui, la censura di illegittimita' costituzionale dell'ultima proroga disposta dall'art. 1 della legge regionale in esame, per i motivi che si illustrano di seguito. Per completezza di informazione, si riferisce che la Regione ha dato attuazione alla disposizione di cui alla legge regionale n. 17/2020 oggetto di censura, con la legge regionale 13 luglio 2020, n. 21 [Norme di interpretazione autentica del Piano paesaggistico regionale], pubblicata nel B.U. Sardegna 13 luglio 2020, n. 40, composta di un solo articolo, l'art. 1 (Interpretazione autentica di norme di pianificazione paesaggistica), oggetto di separata impugnazione. I - Violazione dell'art. 3 dello Statuto speciale della Regione, come attuato mediante il decreto del Presidente della Repubblica n. 480 del 1975, e della potesta' legislativa esclusiva in materia di tutela del paesaggio, di cui all'art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, rispetto alla quale costituiscono norme interposte gli articoli 135, 143, 145 e 156 del Codice dei beni culturali e del paesaggio. 1. La disciplina regionale oggetto di censura, una volta venuto meno il suo carattere temporaneo, manifesta palesi profili di illegittimita' costituzionale. Invero tali interventi, proprio a fronte della loro ammissibilita', in origine, per un arco di tempo limitato, si collocano al di fuori del necessario quadro di riferimento che dovrebbe essere costituito - laddove incidano su beni soggetti a tutela paesaggistica ai sensi del Codice di settore - dalle previsioni del piano paesaggistico, ai sensi degli articoli 135, 143, 145 e 156 del Codice di settore. Soltanto a quest'ultimo strumento, elaborato d'intesa tra Stato e Regione, spetta stabilire, per ciascuna area tutelata, le c.d. prescrizioni d'uso (ossia i criteri di gestione del vincolo, volti a orientare la fase autorizzatoria), nonche' individuare la tipologia delle trasformazioni compatibili, di quelle vietate e le condizioni delle eventuali trasformazioni. La Corte costituzionale ha, infatti, da tempo affermato l'esistenza di un vero e proprio obbligo, costituente un principio inderogabile della legislazione statale, di elaborazione congiunta del piano paesaggistico, con riferimento ai beni vincolati (Corte cost. n. 86 del 2019) e ha rimarcato che l'impronta unitaria della pianificazione paesaggistica «e' assunta a valore imprescindibile, non derogatile dal legislatore regionale in quanto espressione di un intervento teso a stabilire una metodologia uniforme nel rispetto della legislazione di tutela dei beni culturali e paesaggistici sull'intero territorio nazionale» (Corte cost., n. 182 del 2006; cfr. anche la sentenza n. 272 del 2009). La disciplina introdotta dalla legge regionale impugnata avrebbe, percio', dovuto prevedere la propria applicazione, in relazione ai beni paesaggistici, esclusivamente nei casi e con le modalita' previamente determinati dal piano paesaggistico elaborato congiuntamente con il Ministero per i beni e le attivita' culturali ed il turismo o eventualmente fissati d'intesa con quest'ultimo e destinati a confluire nel futuro piano. Cio' allo scopo di evitare che, in sede di rilascio delle autorizzazioni paesaggistiche, le singole trasformazioni vengano valutate in modo parcellizzato e non nell'ambito della considerazione complessiva del contesto tutelato, specificamente demandata al piano paesaggistico, secondo la scelta operata in materia dal legislatore nazionale. 2. Al riguardo, deve tenersi presente che la Regione Sardegna ha approvato il Primo ambito omogeneo dei Piano paesaggistico regionale, relativo esclusivamente alle aree costiere, il 5 settembre 2006. Successivamente, il 19 febbraio 2007, e' stato sottoscritto dalla Regione con il Ministero per i beni e le attivita' culturali il Protocollo d'Intesa per la verifica e l'adeguamento congiunto del Piano paesaggistico regionale - Primo ambito omogeneo (ai sensi degli articoli 143 e 156 del Codice dei beni culturali e del paesaggio), nonche' per la copianificazione congiunta con lo Stato del relativo Secondo ambito omogeneo (comprendente le aree interne dell'isola), attivita' di copianificazione estesa all'intero territorio regionale (e quindi non esclusivamente ai beni paesaggistici vincolati ai sensi del Codice di settore). Inoltre, il 1° marzo 2013 e' stato sottoscritto tra la Regione e il citato Ministero il Disciplinare attuativo del suddetto Protocollo d'Intesa, al fine di definire le modalita' attuative dei lavori di copianificazione sia per il Primo che il Secondo ambito. Il predetto Disciplinare e' stato aggiornato con una nuova previsione e sottoscritto congiuntamente il 18 aprile 2018. Dall'applicazione delle disposizioni dei suddetti Disciplinari sono derivate numerose e, a tratti, intense attivita' di collaborazione tecnica istituzionale, le quali, nonostante i numerosi sforzi condotti non si sono ancora concluse con l'approvazione del Piano paesaggistico verificato e adeguato alle disposizioni del Codice di settore e della sua estensione alle aree interne dell'Isola. 3. Cio' posto, si osserva che, mediante l'ennesima proroga della disciplina in materia di «miglioramento del patrimonio edilizio esistente», la Regione si sottrae ingiustificatamente al proprio obbligo di redazione congiunta con il Ministero per i beni e le attivita' culturali del piano paesaggistico. Come detto, per le aree costiere le disposizioni della legge regionale sono dettate in assenza della previa verifica e dell'adeguamento del vigente Piano paesaggistico - Primo ambito omogeneo (ai sensi dell'art. 156 del Codice di settore e in ossequio agli accordi intercorsi), mentre per le aree interne della Regione le medesime disposizioni sono destinate ad applicarsi al di fuori di un quadro di disciplina paesaggistica, atteso che, come detto, non esiste ancora un piano paesaggistico. Conseguentemente, la previsione, oramai nella sostanza a regime, di una disciplina che stabilisce ex lege la possibilita' di realizzare volumetrie aggiuntive anche in relazione ai beni paesaggistici soggetti a tutela, comporta la conseguenza che tali interventi vengano valutati caso per caso, in occasione del rilascio dell'autorizzazione dovuta (ai sensi dell'art. 146 del Codice di settore), senza la contestualizzazione nel dovuto quadro di regole voluto dal legislatore statale, il quale ha imposto a tutte le Regioni, inclusa la Sardegna, un obbligo di pianificazione congiunta con riferimento ai predetti beni (cfr. Corte costituzionale n. 308 del 2013). In altri termini, la Regione, con l'ennesima proroga di norme derogatorie e straordinarie, destinate ad applicarsi anche con riferimento ai beni paesaggistici per i quali non esiste, allo stato, alcuna pianificazione paesaggistica (aree interne dell'isola), o esiste una disciplina non adeguata al Codice (aree costiere) determina surrettiziamente l'effetto di operare una pianificazione ex lege estesa ai beni paesaggistici, che non tiene conto dei valori paesaggistici e che, per di piu', e' disposta ai di fuori della necessaria condivisione con lo Stato. 4. E' noto che l'art. 3, lettera f), dello Statuto speciale della Regione autonoma della Sardegna (legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3) attribuisce alla Regione potesta' legislativa in materia di «edilizia e urbanistica», mentre l'art. 6 decreto del Presidente della Repubblica 22 maggio 1975, n. 480 («Nuove norme di attuazione dello statuto speciale della regione autonoma della Sardegna») trasferisce alla Regione alcune competenze gia' esercitate dagli organi del Ministero della pubblica istruzione, poi attribuite al Ministero per i beni culturali e ambientali. Va tuttavia rimarcato che, in base ai medesimo art. 3 dello Statuto speciale, la potesta' legislativa regionale in materia di edilizia e urbanistica deve essere esercitata «In armonia con la Costituzione e i principi dell'ordinamento giuridico della Repubblica e col rispetto degli obblighi internazionali e degli interessi nazionali, nonche' delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica», e quindi necessariamente nel rispetto delle previsioni del Codice dei beni culturali e del paesaggio, dettate dallo Stato nell'esercizio della potesta' legislativa esclusiva di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione. La Corte costituzionale ha gia' chiarito che le norme fondamentali statali emanate in materia - come il Codice dei beni culturali e del paesaggio - continuano «ad imporsi al necessario rispetto del legislatore della Regione Sardegna che eserciti la propria competenza statutaria nella materia edilizia ed urbanistica» (sentenza n. 51 del 2006). Anche piu' recentemente la Corte ha rimarcato il ruolo e le attribuzioni del legislatore nazionale con riguardo alle previsioni dello Statuto speciale della Regione Sardegna, affermando che «Il legislatore statale conserva il potere di vincolare la potesta' legislativa primaria dell'autonomia speciale attraverso l'emanazione di leggi qualificabili come "riforme economico-sociali". E cio' anche sulla base - per quanto qui viene in rilievo - del titolo di competenza legislativa nella materia "tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali", di cui all'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., comprensiva tanto della tutela del paesaggio quanto della tutela dei beni ambientali e culturali» (sentenza n. 178 del 2018). Nel caso in esame, la norma regionale censurata si pone in contrasto con gli articoli 135, 143, 145 e 156 del predetto Codice, ove si prevede l'obbligo di pianificazione congiunta con lo Stato rispetto ai beni paesaggistici sottoposti a tutela e la prevalenza del piano paesaggistico - che costituisce la vera e propria «costituzione del territorio» - su ogni altro atto di pianificazione territoriale e urbanistica. Al riguardo, la Corte costituzionale ha riconosciuto la prevalenza dell'impronta unitaria della pianificazione paesaggistica, rimarcando che: «Come questa Corte ha avuto modo di affermare anche di recente con la sentenza n. 367 del 2007, sul territorio vengono a gravare piu' interessi pubblici: da un lato, quelli concernenti la conservazione ambientale e paesaggistica, la cui cura spetta in via esclusiva allo Stato, in base all'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.; dall'altro, quelli riguardanti il Governo del territorio e la valorizzazione dei beni culturali ed ambientali (fruizione del territorio), che sono affidati, in virtu' del terzo comma dello stesso art. 117, alla competenza concorrente dello Stato e delle Regioni. In definitiva, si "tratta di due tipi di tutela, che ben possono essere coordinati fra loro, ma che debbono necessariamente restare distinti"» (cosi' la citata sentenza n. 367 del 2007). Ne consegue, sul piano del riparto di competenze tra Stato e Regione in materia di paesaggio, la «separatezza tra pianificazione territoriale ed urbanistica, da un lato, e tutela paesaggistica dall'altro», prevalendo, comunque, «l'impronta unitaria della pianificazione paesaggistica» (sentenza n. 182 del 2006). E' in siffatta piu' ampia prospettiva che, dunque, si colloca il principio della «"gerarchia" degli strumenti di pianificazione dei diversi livelli territoriali, espresso dall'art. 145 del decreto legislativo n. 42 del 2004» (sentenza n. 180 del 2008). Anche di recente la Corte costituzionale ha ribadito l'esistenza di un vero e proprio obbligo, costituente un principio inderogabile della legislazione statale, di elaborazione congiunta del piano paesaggistico, con riferimento ai beni vincolati (Corte cost. n. 86 del 2019) e ha sottolineato che l'impronta unitaria della pianificazione paesaggistica «e' assunta a valore imprescindibile, non derogabile dal legislatore regionale in quanto espressione di un intervento teso a stabilire una metodologia uniforme nel rispetto della legislazione di tutela dei beni culturali e paesaggistici sull'intero territorio nazionale» (Corte cost., n. 182 del 2006; cfr. anche la sentenza n. 272 del 2009). D'altro canto, la Corte ha affermato anche che la compressione di diritti costituzionali (nel caso qui in esame, l'interesse alla tutela del paesaggio e il principio di copianificazione, sopra richiamato) puo' essere giustificata talora, per ragioni eccezionali, per un limitato arco temporale, e che e' conseguentemente illegittima la proroga di tale compressione (cfr. Corte cost., sentenza n. 186 del 2013). La disposizione regionale censurata e', pertanto, illegittima per violazione dell'art. 3 dello Statuto speciale della Regione, come attuato mediante il decreto del Presidente della Repubblica n. 480 del 1975, e della potesta' legislativa esclusiva in materia di tutela dei paesaggio, di cui all'art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, rispetto alla quale costituiscono norme interposte gli articoli 135, 143, 145 e 156 del Codice dei beni culturali e del paesaggio. II - Violazione dell'art. 9 Costituzione, anche in relazione all'art. 117, secondo comma, lettera s). 1. E', inoltre, ravvisabile per la normativa regionale de qua la violazione dell'art. 9 della Costituzione, in quanto la disciplina introdotta mediante la legge regionale censurata e' potenzialmente pregiudizievole per la tutela del paesaggio, che ha valenza di interesse costituzionale primario e assoluto (v. Corte costituzionale n. 367 del 2007). Come sopra detto, anche a voler ritenere giustificata la prima compressione subita da tale interesse, non si giustifica, invece, la proroga sine die della disciplina regionale, che ha determinato l'abbassamento del livello della tutela del paesaggio, oltretutto in palese violazione del principio fondamentale di co-gestione e co-pianificazione del territorio e del paesaggio. 2. Come e' noto, il Codice dei beni culturali e del paesaggio disciplina il procedimento di redazione e di approvazione del piano paesaggistico, quando esso abbia a oggetto o comunque interessi aree vincolate come beni paesaggistici, ai sensi degli articoli 136 e 142 del medesimo Codice. In tal caso, alla elaborazione di quella parte del piano concorre in via obbligatoria, in uno con la regione interessata, il Ministero (cfr. art. 135, comma 1), secondo un canone di leale collaborazione fra Stato e Regioni che trova la sua compiuta realizzazione esclusivamente nella forma della condivisione necessaria delle scelte di pianificazione paesaggistica territoriale. Lo stesso principio di leale collaborazione puo' spingere peraltro le Regioni a coinvolgere il Ministero nell'elaborazione complessiva del piano, in riferimento, quindi, a tutto il territorio considerato, ivi inclusi gli ambiti non vincolati. Il punto di equilibrio dei poteri statali e regionali nella materia della tutela e valorizzazione del paesaggio risponde a un fondamentale principio, che sorregge l'intero sistema della tutela del paesaggio e che si compendia nella co-decisione e nella compartecipazione necessarie tra Stato e regione in tutte e tre le fasi in cui si articola la tutela paesaggistica, ossia individuazione, pianificazione e gestione, quest'ultima esercitata mediante il rilascio delle autorizzazioni degli interventi relativi ai beni tutelati. La necessita' del raggiungimento del punto di equilibrio - rispondente peraltro al fondamentale principio della codecisione e della compartecipazione necessarie tra Stato e Regione in tutte e tre le fasi in cui si articola la tutela paesaggistica (individuazione, pianificazione e gestione-controllo autorizzatorio dei vincoli), che sorregge l'intero sistema della tutela del paesaggio - e' stato piu' volte ribadito nella giurisprudenza di codesta Corte Ecc.ma, in riferimento alle Regioni a statuto speciale (v. Corte costituzionale, 24 maggio 2009, n. 164; 17 marzo 2010, n. 101; 24 luglio 2013, n. 238) ed a quelle ordinarie (si veda la giurisprudenza dianzi citata). La legge regionale che si impugna viola, pertanto, direttamente questi fondamentali parametri costituzionali. 3. La ragione fondante la previsione dell'obbligatoria co- pianificazione tra Stato e Regione per i beni paesaggistici - a suo tempo esplicitata dal secondo decreto legislativo correttivo n. 63/2008 - risiede invero nella necessita' di evitare che il Piano territoriale regionale, atto fondamentale che rappresenta la Costituzione del territorio, possa essere esposto a continue, anche radicali, rivisitazioni con il succedersi degli organi regionali. Il Piano regionale, invece, ha un senso in quanto piano generale sovraordinato a tutti gli altri strumenti di pianificazione territoriale, sia urbanistica sia settoriale (art. 145 del Codice cit.), ponendosi necessariamente in una dimensione temporale di stabilita' e di lungo periodo, incompatibile con le unilaterali scelte dei soli organi regionali, poiche' esprime le scelte di fondo della pianificazione futura del territorio. E' conseguentemente ragionevole che esso richieda, per essere definito e modificato, procedure non ordinarie, ma «rinforzate» e aggravate, che consentano da un lato una piu' approfondita e meditata valutazione, dall'altro lato una piu' ampia condivisione che superi anche i limitati confini regionali, attraverso la partecipazione determinante di una pluralita' di attori istituzionali e trascenda la singola amministrazione che, in un determinato momento politico-istituzionale, si trovi ad essere titolare della funzione. E' esattamente questa la ragione per la quale il legislatore nazionale, introducendo una norma che costituisce l'architrave del sistema di tutela, ha voluto la necessaria condivisione tra lo Stato e la Regione dell'eventuale revisione del Piano paesaggistico. Sotto un diverso, ma fondamentale e convergente profilo, occorre inoltre rilevare che i beni paesaggistici propri di ciascuna Regione italiana, nella logica degli articoli 9 e 117 della Costituzione, trascendono, sia come valore culturale e sociale, sia come bene-interesse giuridicamente rilevante, l'ambito territoriale regionale, riferibile alla collettivita' ivi stanziata, per assurgere a una dimensione sicuramente nazionale. Gli stessi sono infatti beni comuni riferibili all'intera collettivita' nazionale, di tal che e' la Repubblica ad avere competenza a tutelare il paesaggio e rientra nella competenza esclusiva dello Stato il compito di tutelare l'ambiente. Anche in un'ottica che tenga presente il ruolo degli enti territoriali alla luce del fondamentale principio di bilanciamento e di leale collaborazione in presenza di eventuali competenze concorrenti, cio' non puo' che significare come, anche da questo punto di vista, il potere degli organi regionali di ridisegnare i connotati dei relativi paesaggi incontra un preciso limite costituito (quanto meno) dal potere di necessaria co-decisione statale opponibile anche all'autonomia regionale. La ricostruzione del sistema normativo fin qui prospettata, invero, appare perfettamente coerente con i parametri costituzionali e non svilisce in alcun modo la centralita' del ruolo e delle competenze regionali, riconosciute sia dal Codice del 2004, sia dalla Convenzione europea del paesaggio di Firenze del 2000. Resta infatti fermo e non contestato il ruolo centrale, strategico e propositivo dell'autonomia regionale. La stessa deve pero' necessariamente confrontarsi, su un piano paritario e codecisionale, con il ruolo, parimenti essenziale, degli uffici periferici dello Stato. III - Violazione del principio di leale collaborazione. Deve, infine, rilevarsi che, mediante la legge regionale in esame, la Regione Sardegna si sottrae ingiustificatamente al proprio obbligo di redazione congiunta con il Ministero per i beni e le attivita' culturali del Piano paesaggistico, violando il principio di leale collaborazione. Come detto, infatti, la Regione ha assunto l'impegno, nei confronti di detto Ministero, di pianificare congiuntamente il territorio regionale. La legge regionale in esame costituisce invece il frutto di una scelta assunta unilateralmente dalla Regione, al di fuori del lungo percorso condiviso con lo Stato all'indomani dell'approvazione del piano paesaggistico regionale. Va ricordato al riguardo che, secondo l'insegnamento della Corte costituzionale, il principio di leale collaborazione «deve presiedere a tutti i rapporti che intercorrono tra Stato e Regioni», atteso che «la sua elasticita' e la sua adattabilita' lo rendono particolarmente idoneo a regolare in modo dinamico i rapporti in questione, attenuando i dualismi ed evitando eccessivi irrigidimenti» (cosi' in particolare, tra le tante, Corte costituzionale n. 31 del 2006). In particolare, la Corte ha chiarito che «Il principio di leale collaborazione, anche in una accezione minimale, impone alle parti che sottoscrivono un accordo ufficiale in una sede istituzionale di tener fede ad un impegno assunto» (cosi' ancora la sentenza da ultimo richiamata). Pertanto, anche a prescindere dagli altri profili di illegittimita' costituzionale sopra evidenziati, in ogni caso la Regione non avrebbe potuto, con una propria legge, liberarsi dall'obbligo della pianificazione congiunta dell'intero territorio regionale, assunto nei confronti dello Stato. La scelta della Regione Sardegna di assumere iniziative unilaterali e reiterate, al di fuori del percorso di collaborazione gia' proficuamente avviato con lo Stato, si pone, pertanto, in contrasto anche con il predetto principio di leale collaborazione. Tanto premesso e considerato, giusta delibera del Consiglio dei Ministri in data 7 agosto 2022.
P. Q. M. Si chiede che la Corte costituzionale adita voglia dichiarare l'illegittimita' costituzionale legge regionale 24 giugno 2020 n. 17, pubblicata nel B.U.R. n. 36 del 25 giugno 2020, avente ad oggetto «Modifiche alla legge regionale n. 22 del 2019 in materia di proroga di termini», in particolare del suo art. 1, per violazione dell'art. 3 dello Statuto speciale della Regione, come attuato mediante il decreto del Presidente della Repubblica n. 480 del 1975, e della potesta' legislativa esclusiva in materia di tutela del paesaggio, di cui all'art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, rispetto alla quale costituiscono norme interposte gli articoli 135, 143, 145 e 156 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, nonche' per violazione dell'art. 9 della Costituzione e del principio di leale collaborazione; Si produrra' copia della delibera del Consiglio dei ministri. Roma, 19 agosto 2020 L'Avvocato dello Stato: Albenzio