N. 137 ORDINANZA (Atto di promovimento) 9 dicembre 2019
Ordinanza del 9 dicembre 2019 del Tribunale di Roma nel procedimento civile promosso da Verizon Italia S.p.a. contro Ministero dello sviluppo economico. Telecomunicazioni - Codice delle comunicazioni elettroniche - Diritti amministrativi - Imposizione alle imprese che forniscono reti o servizi ai sensi dell'autorizzazione generale o alle quali sono stati concessi diritti di uso - Prevista finalita' di copertura dei soli costi amministrativi sostenuti per la gestione, il controllo e l'applicazione del regime di autorizzazione generale, dei diritti di uso e degli obblighi specifici prescritti ai fornitori di servizi e di reti di comunicazione elettronica - Determinazione dell'importo secondo criteri legati all'estensione o al numero di abitanti di un certo territorio. - Decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259 (Codice delle comunicazioni elettroniche), art. 34, in combinato disposto con l'art. 1 dell'Allegato n. 10 al medesimo testo di legge.(GU n.41 del 7-10-2020 )
TRIBUNALE ORDINARIO DI ROMA Sezione seconda civile Il Tribunale di Roma, in persona del giudice dott.ssa Alessandra Imposimato, ha emesso la seguente ordinanza nella causa civile di primo grado iscritta al n. 1054 del ruolo generale per gli affari contenziosi dell'anno 2019, avente ad oggetto: «altri istituti e leggi speciali» e pendente tra: Verizon Italia S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma - via di Panico n. 72 - presso e nello studio dell'avv. Eutimio Monaco, che lo rappresenta e difende per procura su foglio separato allegato alla busta eml con cui depositato, in via telematica, il ricorso introduttivo, attore; e Ministero dello sviluppo economico, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, nonche' domiciliato ex lege presso gli uffici dell'Avvocatura in Roma - via dei Portoghesi n. 12, convenuto. Motivi della decisione 1. fatti controversi. 1.1. Con il ricorso introduttivo della lite, la Verizon Italia S.p.a. ha chiesto al tribunale di: «condann[are] il Ministero dello sviluppo economico ... alla restituzione, in favore di Verizon Italia S.p.a, dei contributi, a titolo di costo amministrativo ex art. 34 del codice delle comunicazioni elettroniche, pagati negli anni dal 2009 al 2018, complessivamente pari ad euro 1.082.800,00 (un milione ottantaduemila ottocento) oltre interessi fino al giorno di effettivo soddisfo; ovvero, in subordine, del diverso importo ritenuto illegittimo e non dovuto».. ...il tutto con vittoria di spese della lite. A motivo della domanda, ha esposto: di essere una societa' operante nel settore delle telecomunicazioni, titolare di «Licenza individuale per l'installazione e fornitura di reti di telecomunicazioni aperte al pubblico», nonche' di «Licenza individuale per la prestazione del servizio di telefonia vocale», rilasciate dal MISE ai sensi del decreto legislativo n. 259/2003 (codice delle comunicazioni elettroniche); di avere diritto a ripetere tutte le somme versate, al Ministero dello sviluppo economico, a titolo di «diritti amministrativi» (art. 34 ed allegato 10 codice delle comunicazioni elettroniche) nel periodo dal 2009 al 2018; che il pagamento di tali diritti fosse indebito, in ragione della illegittimita' delle norme, tra quelle recate dal codice delle comunicazioni, deputate alla determinazione e ripartizione dei diritti medesimi, in quanto adottate in violazione dei principi e delle prescrizioni della direttiva 2002/20/CE («Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alle autorizzazioni per le reti e i servizi di comunicazione elettronica - direttiva autorizzazioni»). In particolare, la parte attrice ha esposto: che la «direttiva - autorizzazioni», motivata dall'esigenza di «istituire un quadro normativo per garantire la libera prestazione delle reti e dei servizi di comunicazione elettronica» (considerando n. 3), e di garantire, ai fornitori delle reti e dei servizi di comunicazione elettronica, «diritti, condizioni e procedure obiettivi, trasparenti, non discriminatori e proporzionati» (considerando n. 4), veniva finalizzata alla «realizzazione di un mercato interno delle reti e dei servizi di comunicazione elettronica mediante l'armonizzazione e la semplificazione delle norme e delle condizioni di autorizzazione al fine di agevolarne la fornitura in tutta la Comunita'» (art. 1); che a termini del considerando n. 30, ai prestatori di servizi di comunicazione elettronica gli Stati membri avrebbero potuto chiedere «... il pagamento di diritti amministrativi a copertura delle spese sostenute dall'autorita' nazionale di regolamentazione per la gestione del regime di autorizzazione e per la concessione dei diritti d'uso», essendo peraltro «opportuno che la riscossione di tali diritti si limit[asse] a coprire i costi amministrativi veri e propri di queste attivita'», e dovendosi «garantire la trasparenza della contabilita' gestita dall'autorita' nazionale di regolamentazione mediante rendiconti annuali in cui figur[asse] l'importo complessivo dei diritti riscossi e dei costi amministrativi sostenuti», si' da consentire alle imprese di «verificare se vi [fosse] equilibrio tra i costi e gli oneri ad esse imposti»; che secondo il considerando n. 31, «i sistemi di diritti amministrativi» non avrebbero dovuto «distorcere la concorrenza o creare ostacoli per l'ingresso sul mercato», e che «un esempio di alternativa leale, semplice e trasparente» per l'attribuzione di tali oneri potesse essere quella «...collegata al fatturato»; che coerentemente l'art. 12, in materia di «diritti amministrativi», prescriveva testualmente: «1. I diritti amministrativi imposti alle imprese che prestano servizi o reti ai sensi dell'autorizzazione generale o che hanno ricevuto una concessione dei diritti d'uso: a) coprono complessivamente i soli costi amministrativi che saranno sostenuti per la gestione, il controllo e l'applicazione del regime di autorizzazione generale, dei diritti d'uso e degli obblighi specifici di cui all'art. 6, paragrafo 2 che possono comprendere i costi di cooperazione internazionale, di armonizzazione e di standardizzazione, di analisi di mercato, di sorveglianza del rispetto delle disposizioni e di altri controlli di mercato, nonche' di preparazione e di applicazione del diritto derivato e delle decisioni amministrative, quali decisioni in materia di accesso e interconnessione; b) sono imposti alle singole imprese in modo proporzionato, obiettivo e trasparente che minimizzi i costi amministrativi aggiuntivi e gli oneri accessori. 2. Le autorita' nazionali di regolamentazione che impongono il pagamento di diritti amministrativi sono tenute a pubblicare un rendiconto annuo dei propri costi amministrativi e dell'importo complessivo dei diritti riscossi. Alla luce delle differenze tra l'importo totale dei diritti e i costi amministrativi vengono apportate opportune rettifiche»; che lo Stato italiano, in dichiarata applicazione della direttiva autorizzazioni, adottava il decreto legislativo n. 259/2003 («Codice delle comunicazioni elettroniche»), con cui, peraltro, veniva imposto il pagamento dei «diritti amministrativi» secondo criteri e modalita' difformi da quelli prescritti dalla normativa eurounitaria, si' da risultare frustrati i principi di congruita', di trasparenza, di proporzionalita', di rendicontazione, di determinazione sulla base del fatturato, asseritamente posti dalla direttiva autorizzazioni; che, in particolare, l'art. 34 ed allegato 10 del codice venivano dedicati alla disciplina dei diritti amministrativi; che l'art. 34, nella formulazione originaria (in vigore sino al 17 agosto 2015), misconoscendo «la distinzione operata nel 1 e 2 comma dell'art. 12 in relazione alla normativa ripartizione dei costi», non faceva alcuna distinzione tra i costi «da destinarsi al MISE e all'AGCOM» (definita Autorita' di regolamentazione nazionale), e rinviava all'all. 10 per la concreta quantificazione dei diritti, indistintamente considerati; che d'altronde l'allegato 10 al codice, art. 1, nella formulazione originaria (vigente sino al 24 dicembre 2013), ignorando il criterio di determinazione dei contributi in relazione al fatturato delle imprese titolari di autorizzazioni generali all'installazione e fornitura di reti elettroniche, ovvero alla prestazione del servizio telefonico accessibile al pubblico, quantificava i diritti amministrativi in misura fissa ed esclusivamente correlata alla «popolazione potenzialmente destinataria dell'offerta», venendo a modulare l'entita' del dovuto a seconda che le «reti pubbliche di comunicazioni», ovvero la fornitura del servizio telefonico accessibile al pubblico, fossero destinati a servire «l'intero territorio nazionale», ovvero «un territorio avente fino a 10 milioni di abitanti», ovvero ancora un «territorio avente fino a 200 mila abitanti», senz'alcun riguardo per la differente consistenza economica, patrimoniale e finanziaria tra le aziende gestite dai singoli operatori, si' da prodursi l'iniqua assimilazione di operatori «grandi, medi, piccolissimi», a causa dell'adozione del criterio della domanda potenziale e della popolazione residente; che il decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145 apportava una circoscritta rettifica all'art. 1 allegato 10 al codice delle comunicazioni, prescrivendo una diversa metodologia di determinazione dei diritti amministrativi solo per le «imprese con un numero di utenti pari o inferiore a 50.000», ma fornitrici di reti di comunicazione elettronica o di telefonia, destinate all'intero territorio nazionale; che conseguentemente veniva aperta, a carico dello Stato italiano, la procedura di infrazione n. 4020/2013, per «la non corretta attuazione della direttiva 2002/20/CE», ravvisando la Commissione europea la violazione dei principi di «proporzionalita', obiettivita' e trasparenza» posti dalla direttiva, ed in particolare: l'omessa distinzione tra costi di pertinenza del Ministero dello sviluppo economico e costi di pertinenza dell'AGCOM e dell'attivita' di vigilanza sul mercato delle comunicazioni; l'assenza di prescrizioni quanto alla rendicontazione (annuale) dei diritti amministrativi riscossi e dei costi sostenuti; la violazione del principio di «non discriminazione» tra operatori, imponendosi il pagamento di eguali diritti amministrativi in ragione di circostanze estrinseche ed indipendenti dalle dimensioni delle singole imprese; che lo Stato italiano, per ovviare alla procedura d'infrazione avviata nei suoi confronti, con la legge europea 2014, n. 115 del 29 luglio 2015, entrata in vigore in data 18 agosto 2015, procedeva alla riformulazione dell'art. 34 del codice delle comunicazioni elettroniche, peraltro procrastinando (a dire dell'attrice) la violazione del diritto comunitario; che in particolare secondo l'art. 34, nella nuova formulazione (attualmente vigente): «1. Oltre ai contributi di cui all'art. 35, possono essere imposti alle imprese che forniscono reti o servizi ai sensi dell'autorizzazione generale o alle quali sono stati concessi diritti di uso, diritti amministrativi che coprano complessivamente i soli costi amministrativi sostenuti per la gestione, il controllo e l'applicazione del regime di autorizzazione generale, dei diritti di uso e degli obblighi specifici di cui all'art. 28, comma 2 ivi compresi i costi di cooperazione internazionale, di armonizzazione e di standardizzazione, di analisi di mercato, di sorveglianza del rispetto delle disposizioni e di altri controlli di mercato, nonche' di preparazione e di applicazione del diritto derivato e delle decisioni amministrative, ed in particolare di decisioni in materia di accesso e interconnessione. I diritti amministrativi sano imposti alle singole imprese in modo proporzionato, obiettivo e trasparente che minimizzi i costi amministrativi aggiuntivi egli oneri accessori. 2. Per la copertura dei costi amministrativi sostenuti per le attivita' di competenza del Ministero, la misura dei diritti amministrativi di cui al comma 1 e' individuata nell'allegato n. 10. 2-bis. Per la copertura dei costi amministrativi complessivamente sostenuti per l'esercizio delle funzioni di regolazione, di vigilanza, di composizione delle controversie e sanzionatorie attribuite dalla legge all'Autorita' nelle materie di cui al comma 1, la misura dei diritti amministrativi di cui al medesimo comma 1 e' determinata ai sensi dell'art. 1, commi 65 e 66, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, in proporzione ai ricavi maturati dalle imprese nelle attivita' oggetto dell'autorizzazione generale o della concessione di diritti d'uso. 2-ter. Il Ministero, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, e l'Autorita' pubblicano annualmente i costi amministrativi sostenuti per le attivita' di cui al comma 1 e l'importo complessivo dei diritti riscossi ai sensi, rispettivamente, dei commi 2 e 2-bis. In base alle eventuali differenze tra l'importo totale dei diritti e i costi amministrativi vengono apportate opportune rettifiche»; che correlativamente la legge europea 2014 modificava l'art. 1, allegato 10 al codice delle comunicazioni, peraltro lasciando invariato il sistema di determinazione dei diritti amministrativi in misura fissa, e parametrata non gia' al fatturato dei singoli operatori, bensi' all'ampiezza del bacino di utenza potenziale, gia' recato dalla normativa nazionale previgente. Tutto cio' premesso la Verizon Italia S.p.a., assumendo che anche le modifiche apportate al codice delle comunicazioni fossero assolutamente non «idonee a recepire gli obiettivi comunitari», che cio' avesse comportato la illegittimita' di tutti i pagamenti eseguiti, dal 2009 al 2018, a titolo di diritti amministrativi, aggiungendo inoltre che tale illegittimita' fosse stata gia' acclarata sia dal giudice amministrativo (definendo un nutrito contenzioso attivato, dagli operatori, quanto ai diritti e contributi imposti dall'AGCOM), sia dalla Corte di giustizia UE, con sentenza del 18 luglio 2013, ha rassegnato le conclusioni su riportate, chiedendo favore delle spese della lite. 1.2 Attivato il contraddittorio, il Ministero dello sviluppo economico ha eccepito: (a) il difetto di giurisdizione del tribunale ordinario, spettando (a suo dire) la controversia alla competenza del giudice amministrativo, ai sensi dell'art. 133, comma 1, lettera m) del decreto legislativo n. 104/2010 (codice del processo amministrativo); (b) l'inammissibilita' dell'azione di ripetizione d'indebito, per quanto proposta in carenza dei presupposti di legge (art. 2033 del codice civile), e non potendo il giudice ordinario provvedere all'invocata disapplicazione, in materia rimessa alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo; (c) nel merito, che la domanda fosse comunque infondata, giacche' la normativa nazionale, cosi' come novellata dalla legge comunitaria del 2014, era stata giudicata conforme alla direttiva autorizzazioni, tanto che la procedura di infrazione era stata archiviata; (d) l'intervenuta prescrizione del credito (da ripetizione) vantato in giudizio dall'attrice. 2. questioni pregiudiziali e preliminari. 2.1 sulla giurisdizione. E' definibile unitamente al merito (art. 187 del codice di procedura civile) la questione di giurisdizione sollevata dall'Avvocatura dello Stato, invocando l'applicazione dell'art. 133, comma 1, lettera m), decreto legislativo n. 104/2010 (codice del processo amministrativo), laddove rimette alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie «aventi ad oggetto i provvedimenti in materia di comunicazioni elettroniche, compresi quelli relativi all'imposizione di servitu', nonche' i giudizi che riguardano l'assegnazione di diritti di uso delle frequenze, la gara e le altre procedure di cui ai commi da 8 a 13 dell'art. 1 della legge 13 dicembre 2010, n. 220, incluse le procedure di cui all'art. 4 del decreto-legge 31 marzo 2011, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 maggio 2011, n. 75». Come sara' meglio esposto a seguire, la Verizon Italia S.p.a., societa' operante nel settore delle telecomunicazioni e titolare di «licenza individuale per l'installazione e fornitura di reti di telecomunicazioni aperte al pubblico» (cd. licenza rete, all. 1 al ricorso), nonche' di «licenza individuale per la prestazione del servizio di telefonia vocale» (c.d. licenza voce, all. 2), ha agito per la ripetizione (art. 2033 del codice civile) di tutti i contributi versati, al Ministero dello sviluppo economico, a partire dal 2009 al 2018, a titolo di diritti amministrativi previsti dall'art. 34 nonche' dall'art. 1 all. 10, decreto legislativo n. 259/2003 (codice delle comunicazioni elettroniche). A motivo della domanda, ha dedotto che tali contributi fossero non dovuti, in ragione della «illegittimita' degli stessi, nella loro determinazione e quantificazione in sede di trasposizione della norma legislativa, in quanto contrari ai principi comunitari istitutivi degli stessi» (pag. 2, secondo par. del ricorso). In pratica, ha sostenuto che la norma dichiaratamente attuativa della direttiva autorizzazioni (direttiva 2002/20/CE: «Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alle autorizzazioni per le reti e i servizi di comunicazione elettronica (direttiva autorizzazioni)») quale recata dall'art. 34 del codice delle comunicazioni elettroniche e correlativo art. 1 all. 10 al codice, avrebbe effettivamente disatteso i principi e criteri informatori indicati, dalla norma sovranazionale, ai fini della legittima imposizione di diritti amministrativi «per la gestione, il controllo e l'applicazione del regime di autorizzazione generale, dei diritti d'uso e degli obblighi specifici di cui all'art. 6, paragrafo 2» della direttiva medesima. In particolare, l'art. 34 del codice e l'art. 1 all. 10 al codice, anche all'esito della riscrittura apportata con il decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145 (convertito con modificazioni dalla legge 21 febbraio 2014, n. 9), infine con la legge 29 luglio 2015, n. 115 (legge europea 2014), avrebbero conflitto e tuttora confliggerebbero con il principio di non discriminazione, di trasparenza, di minimizzazione degli oneri accollati agli operatori, di proporzionalita' ai costi effettivamente sostenuti dall'amministrazione, posti dall'art. 12 della direttiva autorizzazioni, letto alla luce dei considerando n. 30 e n. 31 (v. pag. 7 e ss. del ricorso introduttivo Verizon Italia). Tale - in estrema sintesi - il merito del contendere, in disparte della peculiare causa petendi, articolata a motivo della domanda di ripetizione d'indebito (su cui ci si soffermera' meglio oltre), e' quantomai opinabile che la lite sia sussumibile in una delle controversie contemplate dall'art. 133, comma 1, lettera m)del codice del processo amministrativo, se non altro perche': (a) nella fattispecie l'attrice non discute della legittimita' di provvedimenti adottati, dal Ministero dello sviluppo economico o dall'Autorita' per le garanzie nelle comunicazioni (AGCOM); nell'ambito delle competenze rispettivamente attribuite in materia di «comunicazioni elettroniche», bensi' della stessa conformita' del diritto interno - e nello specifico, dell'art. 34 ed art. 1 all. 10 codice delle comunicazioni elettroniche - al diritto sovranazionale (direttiva autorizzazioni); (b) conseguentemente, non e' richiesto al tribunale di scrutinare incidentalmente ed eventualmente disapplicare dei provvedimenti, espressivi di discrezionalita' amministrativa (articoli 4 e 5 all. E legge n. 2248/1865) ai fini della tutela della posizione giuridica sostanziale vantata dalla parte attrice; (c) a quest'ultima pare doversi attribuire - sia considerato il petitum (domanda di ripetizione), sia considerata la causa petendi (inadempimento dello Stato agli obblighi assunti in sede europea) - natura sostanziale di diritto soggettivo, a prescindere da qualsiasi analisi di fondatezza, nel merito; (d) e' opinione ormai consolidata della Corte regolatrice, che laddove si discuta dell'inadempimento dello Stato all'obbligo di cooperazione e di realizzazione degli obblighi posti dalle direttive (non esecutive) adottate in sede europea (articoli 288, 291 TFUE), la competenza spetti al giudice ordinario (v. ex plurimis Cassazione n. 24353 del 29 novembre 2016, in materia di medici specializzandi). Donde la necessita' di rimettere l'esame della questione pregiudiziale di giurisdizione, alla definizione (nel merito) della lite. 2.2. sull'eccezione di prescrizione. Anche l'eccezione di prescrizione e' definibile unitamente al merito della lite (art. 187 del codice di procedura civile). Difatti, considerato che l'attrice ha agito per la ripetizione d'indebito, il credito controverso in giudizio e' soggetto a prescrizione ordinaria decennale (art. 2946 del codice civile), ed il termine prescrizionale non puo' dirsi decorso, in relazione a ciascuna annualita', in data antecedente a quella di pagamento dei correlativi diritti amministrativi giacche' tutti i pagamenti di cui e' chiesto il rimborso risultano operati entro il decennio antecedente la data del deposito del ricorso introduttivo (v. all. 5, 6 e 9 al ricorso), non parrebbero porsi questioni di estinzione della pretesa creditoria della Verizon Italia S.p.a., per la consumazione del termine prescrizionale di legge. 2.3 sulla domanda di ripetizione. 2.3.1 Qualche ulteriore notazione pregiudiziale si rende necessaria in ordine alla qualificazione della domanda ora pervenuta all'esame del tribunale (art. 116 del codice di procedura civile). 2.3.2 Come gia' detto, la Verizon Italia S.p.a. ha inteso formulare un'azione di ripetizione d'indebito, ex art 2033 del codice civile, chiedendo di vedersi restituire tutte le somme il cui pagamento e' stato imposto, dal Ministero dello sviluppo economico, nel periodo 2009 - 2018, a titolo di versamento dei diritti amministrativi previsti dall'art. 34 e dall'art. 1 all. 10 del codice delle comunicazioni elettroniche (decreto legislativo n. 259/2003). Sennonche', l'azione di ripetizione d'indebito postula (a) l'intervenuta esecuzione di un pagamento; (b) che questo non sia o non fosse dovuto, per assenza (originaria o sopravvenuta) di un titolo giustificativo o causa adquirendi (per tutte, Cassazione n. 13207 del 28 maggio 2013: «l'azione di ripetizione di indebito, prevista dall'art 2033 del codice civile, ha per suo fondamento l'inesistenza dell'obbligazione adempiuta da una parte, o perche' il vincolo obbligatorio non e' mai sorto, o perche' venuto meno successivamente, a seguito di annullamento, rescissione o inefficacia connessa ad una condizione risolutiva avveratasi»). Tuttavia, e' incontroverso che i «diritti amministrativi» di cui s'e' chiesta ripetizione in giudizio, siano stati esatti e riscossi in forza dell'art. 34 del decreto legislativo n. 259/2003 (codice delle comunicazioni elettroniche). Tale disposizione, nel testo originario, vigente sino al 17 agosto 2015, testualmente prescriveva: «1. Oltre ai contributi di cui all'art. 35 (1) , possono essere imposti alle imprese che forniscono reti o servizi ai sensi dell'autorizzazione generale o alle quali sono stati concessi diritti di uso, diritti amministrativi che coprano complessivamente i soli costi amministrativi sostenuti per la gestione, il controllo e l'applicazione del regime di autorizzazione generale, dei diritti di uso e degli obblighi specifici di cui all'art. 28, comma 2, ivi compresi i costi di cooperazione internazionale, di armonizzazione e di standardizzazione, di analisi di mercato, di sorveglianza del rispetto delle disposizioni e di altri controlli di mercato, nonche' di preparazione e di applicazione del diritto derivato e delle decisioni amministrative, ed in particolare di decisioni in materia di accesso e interconnessione. I diritti amministrativi sono imposti alle singole imprese in modo proporzionato, obiettivo e trasparente che minimizzi i costi amministrativi aggiuntivi e gli oneri accessori. 2. La misura dei diritti amministrativi di cui al comma 1 e' riportata nell'allegato n. 10». Correlativamente, l'art. 1 all. 10 al codice delle comunicazioni elettroniche, nel testo originario recitava (nelle parti d'interesse): «1. Al fine di assicurare la copertura degli oneri di cui all'art. 34, comma 1, del codice le imprese titolari di autorizzazione generale per l'installazione e fornitura di reti pubbliche di comunicazioni, comprese quelle basate sull'impiego di radiofrequenze, e per l'offerta del servizio telefonico accessibile al pubblico, con esclusione di quello offerto in luoghi presidiati mediante apparecchiature terminali o attraverso l'emissione di carte telefoniche, sono tenute al pagamento annuo, compreso l'anno a partire dal quale l'autorizzazione generale decorre, di un contributo che e' determinato sulla base della popolazione potenzialmente destinataria dell'offerta. Tale contributo, che per gli anni successivi a quello del conseguimento dell'autorizzazione deve essere versato entro il 31 gennaio di ciascun anno, e' il seguente: a) nel caso di fornitura di reti pubbliche di comunicazioni: 1) sull'intero territorio nazionale, 111.000,00 euro; 2) su un territorio avente fino a 10 milioni di abitanti, 55.500,00 euro; 3) su un territorio avente fino a 200 mila abitanti, 27.750,00 euro; b) nel caso di fornitura di servizio telefonico accessibile al pubblico: 1) sull'intero territorio nazionale, 66.500,00 euro; 2) su un territorio avente fino a 10 milioni di abitanti, 27.750,00 euro; 3) su un territorio avente fino a 200 mila abitanti, 11.100,00 euro». Successivamente - invariato l'art. 34 del medesimo testo di legge - l'art. 1, all. 10 del codice veniva novellato dall'art. 6, comma 4, lettera a), del decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145 (convertito, con modificazioni dalla legge 21 febbraio 2014, n. 9), con effetto dal 24 dicembre 2013 (giusta art. 15 del medesimo decreto-legge n. 145/2013), ed acquisiva il seguente tenore testuale: «1. Al fine di assicurare la copertura degli oneri di cui all'art. 34, comma 1, del codice le imprese titolari di autorizzazione generale per l'installazione e fornitura di reti pubbliche di comunicazioni, comprese quelle basate sull'impiego di radiofrequenze, e per l'offerta del servizio telefonico accessibile al pubblico, con esclusione di quello offerto in luoghi presidiati mediante apparecchiature terminali o attraverso l'emissione di carte telefoniche, sono tenute al pagamento annuo, compreso l'anno a partire dal quale l'autorizzazione generale decorre, di un contributo che e' determinato sulla base della popolazione potenzialmente destinataria dell'offerta. Tale contributo, che per gli anni successivi a quello del conseguimento dell'autorizzazione deve essere versato entro il 31 gennaio di ciascun anno, e' il seguente: a) nel caso di fornitura di reti pubbliche di comunicazioni: 1) sull'intero territorio nazionale, 111.000,00 euro ad eccezione delle imprese con un numero di utenti pari o inferiore a 50.000; 1-bis) per le imprese con un numero di utenti pari o inferiore a 50.000, 300 euro ogni mille utenti; 2) su un territorio avente fino a 10 milioni di abitanti, 55.500,00 euro; 3) su un territorio avente fino a 200 mila abitanti, 27.750,00 euro; b) nel caso di fornitura di servizio telefonico accessibile al pubblico: 1) sull'intero territorio nazionale, 66.500,00 euro ad eccezione delle imprese con un numero di utenti pari o inferiore a 50.000; 1-bis) per le imprese con un numero di utenti pari o inferiore a 50.000, 100 euro ogni 1.000 utenti; 2) su un territorio avente fino a 10 milioni di abitanti, 27.750,00 euro; 3) su un territorio avente fino a 200 mila abitanti, 11.100,00 euro». Infine, la «Legge europea 2014» (legge 29 luglio 2015, n. 115) provvedeva - con l'art. 5 - alla riscrittura sia dell'art. 34 che dell'art. 1 all. 10 del codice delle comunicazioni elettroniche. Questi, nell'attuale formulazione (vigente dal 18 agosto 2015) rispettivamente prescrivono: l'art. 34: «1. Oltre ai contributi di cui all'art. 35, possono essere imposti alle imprese che forniscono reti o servizi ai sensi dell'autorizzazione generale o alle quali sono stati concessi diritti di uso, diritti amministrativi che coprano complessivamente i soli costi amministrativi sostenuti per la gestione, il controllo e l'applicazione del regime di autorizzazione generale, dei diritti di uso e degli obblighi specifici di cui all'art. 28, comma 2, ivi compresi i costi di cooperazione internazionale, di armonizzazione e di standardizzazione, di analisi di mercato, di sorveglianza del rispetto delle disposizioni e di altri controlli di mercato, nonche' di preparazione e di applicazione del diritto derivato e delle decisioni amministrative, ed in particolare di decisioni in materia di accesso e interconnessione. I diritti amministrativi sono imposti alle singole imprese in modo proporzionato, obiettivo e trasparente che minimizzi i costi amministrativi aggiuntivi e gli oneri accessori. 2. Per la copertura dei costi amministrativi sostenuti per le attivita' di competenza del Ministero, la misura dei diritti amministrativi di cui al comma 1 e' individuata nell'allegato n. 10. 2-bis. Per la copertura dei costi amministrativi complessivamente sostenuti per l'esercizio delle funzioni di regolazione, di vigilanza, di composizione delle controversie e sanzionatorie attribuite dalla legge all'Autorita' nelle materie di cui al comma 1, la misura dei diritti amministrativi di cui al medesimo comma 1 e' determinata ai sensi dell'art. 1, commi 65 e 66, della legge 23 dicembre 2005, n. 266 in proporzione ai ricavi maturati dalle imprese nelle attivita' oggetto dell'autorizzazione generale o della concessione di diritti d'uso. 2-ter. Il Ministero, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze e l'Autorita' pubblicano annualmente i costi amministrativi sostenuti per le attivita' di cui al comma 1 e l'importo complessivo dei diritti riscossi ai sensi, rispettivamente, dei commi 2 e 2-bis. In base alle eventuali differenze tra l'importo totale dei diritti e i costi amministrativi, vengono apportate opportune rettifiche» ...e l'art. 1 all. 10: «1. Al fine di assicurare la copertura degli oneri di cui al comma 1 dell'art. 34 del codice, le imprese titolari di autorizzazione generale per l'installazione e la fornitura di reti pubbliche di comunicazioni, comprese quelle basate sull'impiego di radiofrequenze, e le imprese titolari di autorizzazione generale per l'offerta del servizio telefonico accessibile al pubblico, con esclusione di quello offerto in luoghi presidiati mediante apparecchiature terminali o attraverso l'emissione di carte telefoniche, sono tenute al pagamento di un contributo annuo, compreso l'anno dal quale decorre l'autorizzazione generale. Tale contributo, che per gli anni successivi a quello del conseguimento dell'autorizzazione deve essere versato entro il 31 gennaio di ciascun anno, anche nel caso di rinuncia qualora inviata in data successiva al 31 dicembre dell'anno precedente, e' determinato nei seguenti importi: a) nel caso di fornitura di reti pubbliche di comunicazioni: 1) sull'intero territorio nazionale: 127.000 euro; 2) su un territorio avente piu' di 1 milione e fino a 10 milioni di abitanti: 64.000 euro; 3) su un territorio avente piu' di 200.000 e fino a 1 milione di abitanti: 32.000 euro; 4) su un territorio avente fino a 200.000 abitanti: 17.000 euro; 5) per le imprese che erogano il servizio prevalentemente a utenti finali in numero pari o inferiore a 50.000: 500 euro ogni mille utenti. Il numero degli utenti e' calcolato sul quantitativo delle linee attivate a ciascun utente finale; b) nel caso di fornitura di servizio telefonico accessibile al pubblico: 1) sull'intero territorio nazionale: 75.500 euro; 2) su un territorio avente piu' di 1 milione e fino a 10 milioni di abitanti: 32.000 euro; 3) su un territorio avente piu' di 200.000 e fino a 1 milione di abitanti: 12.500 euro; 4) su un territorio avente fino a 200.000 abitanti: 6.400 euro; 5) per le imprese che erogano il servizio prevalentemente a utenti finali in numero pari o inferiore a 50.000: 300 euro ogni mille utenti. Il numero degli utenti e' calcolato sul quantitativo delle risorse di numerazione attivate a ciascun utente finale». In disparte delle prescrizioni della normativa europea, giova ripetere che e' pacifico e dedotto dalla stessa attrice che le somme di cui s'e' chiesta ripetizione in giudizio, siano state versate in ottemperanza delle prescrizioni (tempo per tempo vigenti) dell'art. 34 e dell'art. 1 all. 10 al codice delle comunicazioni elettroniche (v. in particolare pag. 5, 7, 10 e 11 del ricorso Verizon Italia S.p.a.). 2.3.3 Tanto detto quanto al titolo giustificativo delle prestazioni (di pagamento) oggetto della lite, e' dubbio che questo sia venuto meno, in assenza di qualsivoglia intervento demolitorio adottato dalla Corte costituzionale o dal legislatore, ex art. 15 delle preleggi (abrogazione). Ed occorre segnalare che, avendo la Verizon Italia S.p.a. agito anche per recuperare i pagamenti eseguiti in forza dell'art. 34 codice delle comunicazioni elettroniche, dal 2009 al 2015, in forza della normativa successivamente modificata dalla legge europea 2014, dovrebbe potersi configurare, ai fini intesi dalla parte attrice, l'abolizione delle originarle disposizioni recate dall'art. 34 e dall'art. 1 all. 10 del codice, con effetto retroattivo. A tal proposito, giova segnalare che le «numerose pronunce del giudice amministrativo» che - a dire della difesa attrice - avrebbero invalidato la causa adquirendi, risultano riferite ai provvedimenti adottati, dall'AGCOM, per la determinazione dei contributi dovuti dagli operatori, ai sensi dell'art. 1, comma 65 e 66, legge n. 266/2005 (v. ordinanza Consiglio di Stato, Sez. VI, in all. 3 al fascicolo dell'Avvocatura), e comunque non potrebbero dirsi suscettive di produrre l'abolizione della norma primaria che e' motivo della lite. Allo stesso modo, la sentenza Corte di giustizia UE, ottava sezione, in data 18 luglio 2013, resa nelle cause riunite da C-228/12 a C-232/12, e da C-254/12 a C-258/12 (all. 11 al ricorso) risulta esplicitamente riferita alle disposizioni dell'art. 1, comma 65 e comma 66 della legge n. 266/2005 (v. punti 11, 12, 13, 16, 22 della sentenza), quindi a norme diverse da quelle che sono motivo del contendere, e comunque risulta averne affermato la compatibilita' (a determinate condizioni) con il diritto Eurounitario. 2.3.4 Tanto detto quanto alla plausibile persistenza - allo stato - della causa adquirendi, giustificativa dei pagamenti operati dalla Verizon Italia S.p.a., si e' gia' visto che la societa' attrice evidenzia, a ragione dell'istanza di ripetizione, delle circostanze che rimandano a tutt'altra fattispecie, quale quella delineata - nella giurisprudenza della Corte di giustizia UE, e quindi nella giurisprudenza della corte nomofilattica italiana - in termini di responsabilita' dello Stato per omessa o inesatta trasposizione, nel diritto interno, delle direttive comunitarie non esecutive. In particolare, la difesa attrice segnala che la direttiva 2002/20/CE («direttiva - autorizzazioni») veniva motivata dall'esigenza di «istituire un quadro normativo per garantire la libera prestazione delle reti e dei servizi di comunicazione elettronica» (considerando n. 3), e dal proposito di garantire, ai fornitori delle reti e dei servizi di comunicazione elettronica, «diritti, condizioni e procedure obiettivi, trasparenti, non discriminatori e proporzionati» (considerando n. 4), il tutto per la «realizzazione di un mercato interno delle reti e dei servizi di comunicazione elettronica mediante l'armonizzazione e la semplificazione delle norme e delle condizioni di autorizzazione al fine di agevolarne la fornitura in tutta la Comunita'» (art. 1). Soggiunge che, a termini del considerando n. 30, ai prestatori di servizi di comunicazione elettronica avrebbe potuto «essere richiesto il pagamento di diritti amministrativi a copertura delle spese sostenute dall'autorita' nazionale di regolamentazione per la gestione del regime di autorizzazione e per la concessione dei diritti d'uso», essendo peraltro «opportuno che la riscossione di tali diritti si limit[asse] a coprire i costi amministrativi veri e propri di queste attivita'», dovendosi inoltre «garantire la trasparenza della contabilita' gestita dall'autorita' nazionale di regolamentazione mediante rendiconti annuali in cui figur[asse] l'importo complessivo dei diritti riscossi e dei costi amministrativi sostenuti», si' da consentire alle imprese di «verificare se vi [fosse] equilibrio tra i costi e gli oneri ad esse imposti». Ancora, rimarca che, secondo il considerando n. 31, «i sistemi di diritti amministrativi» non avrebbero dovuto «distorcere la concorrenza o creare ostacoli per l'ingresso sul mercato», e che «un esempio di alternativa leale, semplice e trasparente» per l'attribuzione di tali diritti potesse essere «una ripartizione collegata al fatturato». Infine, fa presente che l'art. 12 della direttiva, in materia di «diritti amministrativi», prescrivesse testualmente: «1. I diritti amministrativi imposti alle imprese che prestano servizi o reti ai sensi dell'autorizzazione generale o che hanno ricevuto una concessione dei diritti d'uso: a) coprono complessivamente i soli costi amministrativi che saranno sostenuti per la gestione, il controllo e l'applicazione del regime di autorizzazione generale, dei diritti d'uso e degli obblighi specifici di cui all'art. 6, paragrafo 2, che possono comprendere i costi di cooperazione internazionale, di armonizzazione e di standardizzazione, di analisi di mercato, di sorveglianza del rispetto delle disposizioni e di altri controlli di mercato, nonche' di preparazione e di applicazione del diritto derivato e delle decisioni amministrative, quali decisioni in materia di accesso e interconnessione; b) sono imposti alle singole imprese in modo proporzionato, obiettivo e trasparente che minimizzi i costi amministrativi aggiuntivi e gli oneri accessori. 2. Le autorita' nazionali di regolamentazione che impongono il pagamento di diritti amministrativi sono tenute a pubblicare un rendiconto annuo dei propri costi amministrativi e dell'importo complessivo dei diritti riscossi. Alla luce delle differenze tra l'importo totale dei diritti e i costi amministrativi vengono apportate opportune rettifiche». Per contro - sempre secondo l'assunto della difesa attrice - l'art. 34 del codice delle comunicazioni, come completato dall'art. 1 all. 10 al medesimo testo di legge (nella versione originaria), senza distinguere tra diritti amministrativi correlati alle attivita' di regolazione demandate all'AGCOM (ivi incluse quelle di vigilanza, regolazione delle controversie e sanzione), e diritti amministrativi correlati alle competenze, in materia, del Ministero dello sviluppo economico, e senza prescrivere alcuna rendicontazione finale, abbia esplicitamente ragguagliato i diritti amministrativi alla «popolazione potenzialmente destinataria dell'offerta» (art 1 all. 10), discostandosi anche formalmente dal criterio del fatturato indicato al considerando n. 31 della direttiva, cosi' da risultare inficiati i principi di proporzionalita', minimizzazione degli oneri accollati agli operatori, trasparenza, non discriminazione, libero accesso al mercato dei fornitori, posti dalla medesima norma europea. Allo stesso modo - sostiene l'attrice - la disciplina attualmente recata dal combinato disposto art. 34 ed art. 1 all. 10 al codice delle comunicazioni elettroniche, comunque si porrebbe in conflitto con la norma europea, in quanto: (a) recante un criterio di determinazione dei contributi (diritti amministrativi) del tutto sganciato dal fatturato prodotto dagli operatori, ed invece correlato al potenziale bacino di utenza (estensione territoriale delle reti di comunicazione elettronica o dell'offerta del servizio di telefonia), salvo che per le imprese «che erogano il servizio prevalentemente ad utenti finali in numero pari o inferiore a 50.000», si' da produrre l'irragionevole assimilazione di tutte le altre imprese, a prescindere dall'effettiva capacita' economica, finanziaria e redditivita' dei singoli operatori, con preterizione del principio di non discriminazione; (b) non sufficientemente analitica, ne' puntuale, quanto agli obblighi di rendicontazione, con preterizione dei principi di trasparenza, proporzionalita' e minimizzazione degli oneri accollati agli operatori posti dalla direttiva autorizzazioni (v. pag. 11 del ricorso). 2.3.5 Tali i motivi di doglianza in ricorso, occorre evidenziare che anche supponendo che l'art. 34 e l'art. 1 all. 10 del codice delle comunicazioni elettroniche, nelle diverse formulazioni assunte in ordine di tempo, abbiano lasciato inattuati gli obiettivi e principi direttivi recati dalla direttiva autorizzazioni, comunque tale rilievo non gioverebbe, di per se' solo, agli scopi intesi in giudizi dalla parte attrice. Cio' in quanto la constatazione della (ipotizzata) violazione della norma europea, ad opera della norma nazionale, potrebbe semmai comportare di riconoscere all'attrice, ricorrendo tutte le ulteriori condizioni indicate dalla giurisprudenza della Corte di giustizia europea, un diritto di credito di natura indennitaria, per inadempimento delle obbligazioni assunte, in ambito europeo, dallo Stato-governo, non il diritto a vedersi ritornare i contributi pagati in forza della norma interna (Corte di giustizia UE, sentenza 19 novembre 1991, in cause C-6/90 e C-9/90, Francovich, punto 33; Corte di giustizia, sentenza 5 marzo 1996, in cause C-46/93 e C-48/93, Brasserie du pêcheur, punto 51: «Un diritto al risarcimento e' riconosciuto dal diritto comunitario in quanto siano soddisfatte tre condizioni, vale a dire che la norma giuridica violata sia preordinata a conferire diritti ai singoli, che si tratti di violazione sufficientemente caratterizzata e, infine, che esista un nesso causale diretto tra la violazione dell'obbligo incombente allo Stato e il danno subito dai soggetti lesi»; Cassazione n. 10813 del 17 maggio 2011 «in caso di omessa o tardiva trasposizione da parte del legislatore italiano nel termine prescritto delle direttive comunitarie (nella specie, le direttive n. 75/362/CEE e n. 82/76/CEE, non autoesecutive, in tema di retribuzione della formazione dei medici specializzandi), sorge, conformemente ai principi piu' volte affermati, dalla Corte di giustizia dell'Unione europea, il diritto degli interessati al risarcimento dei danni che va ricondotto allo schema della responsabilita' per inadempimento dell'obbligazione «ex lege» dello Stato, di natura indennitaria. Tale responsabilita' - dovendosi considerare il comportamento omissivo dello Stato come antigiuridico anche sul piano dell'ordinamento interno e dovendosi ricondurre ogni obbligazione nell'ambito della ripartizione di cui all'art 1173 del codice civile - va inquadrata nella figura della responsabilita' «contrattuale», in quanto nascente non dal fatto illecito di cui all'art. 2043 del codice civile, bensi' dall'inadempimento di un rapporto obbligatorio preesistente, sicche' il diritto al risarcimento del relativo danno e' soggetto all'ordinario termine decennale di prescrizione»; conf. Cassazione n. 10814 del 17 maggio 2011 e Cassazione n. 17350 del 18 agosto 2011; Cassazione Sez. Unite n. n. 9147 del 17 aprile 2009). La direttiva autorizzazioni non e', infatti, esecutiva (self-executing), nella parte in cui si occupa dei diritti amministrativi imponibili agli operatori, necessitando di norme di completamento ed integrazione, per poter essere trasposta ed attuata in ambito nazionale. Tanto viene riconosciuto apertamente nella sentenza CGUE (ottava sezione) n. 228 del 18 luglio 2013, resa nelle cause riunite da C-228/12 a C-232/12 e da C-254/12 a C-258/12, avente ad oggetto «alcune domande di pronuncia pregiudiziale proposte .. ai sensi dell'art. 267 TFUE, dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio», vertenti dell'interpretazione dell'art. 12 della direttiva 2002/20/CE, sentenza che la stessa difesa attrice ha inteso segnalare al tribunale, pro domo propria (all. 11 al ricorso). Al punto 41 della sentenza si legge infatti: «D'altronde, la direttiva autorizzazioni non prevede ne' il modo in cui determinare l'importo dei diritti amministrativi che possono essere imposti ai sensi dell'art. 12 di tale direttiva, ne' le modalita' di prelievo di tali diritti. Cio' nondimeno, da un lato, risulta dall'art. 12, paragrafo 2, della menzionata direttiva, letto alla luce del considerando 30 della medesima direttiva, che i diritti in parola devono coprire i costi amministrativi effettivi risultanti dalle attivita' citate al punto 38 della presente sentenza e vi debba essere equilibrio con tali costi. Il gettito complessivo di tali diritti percepito dagli Stati membri non puo' quindi eccedere il totale dei costi relativi a tali attivita' (v., per analogia, sentenza Telefonica de España, cit., punto 27). Dall'altro lato, l'art. 12, paragrafo 1, lettera b), della direttiva autorizzazioni esige che gli Stati membri impongano detti diritti amministrativi alle singole imprese in modo proporzionato, obiettivo e trasparente». In disparte che il giudice nazionale non puo' discostarsi dall'interpretazione offerta, della norma europea, dalla Corte di giustizia, e' innegabile che la direttiva autorizzazioni (2002/20/CE), all'art. 12, non rechi un divieto assoluto di imporre il pagamento di contributi (diritti amministrativi) agli operatori titolari di licenze di fornitura di reti di comunicazione elettronica, o di licenze di fornitura del servizio telefonico aperto al pubblico; piuttosto, va condiviso che la norma europea autorizzi gli Stati ad imporre il pagamento di contributi, dettando dei parametri, condizioni e criteri di massima, per la loro determinazione, ripartizione e quantificazione, da completare ed integrare ad opera del legislatore nazionale. Per contro, secondo la stessa giurisprudenza della Corte di giustizia, solamente «in tutti i casi in cui le disposizioni di una direttiva appaiano, dal punto di vista sostanziale, incondizionate e sufficientemente precise, esse possono essere invocate dai singoli dinanzi al giudice nazionale nei confronti dello Stato membro (v., in particolare, sentenze del 12 luglio 1990, Foster e a., C-188/89, Racc. pag. I-3313, punto 16, e del 20 marzo 2003; Kutz-Bauer, C-187/00, Racc. pag, I-2741, punto 69)» (cosi' il punto 46 della sentenza Corte giustizia UE sez. I, 6 marzo 2014, n. 595, in causa C-595/12, avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell'art. 267 TFUE, dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio - Italia - con ordinanza del 4 ottobre 2012, pervenuta in cancelleria il 19 dicembre 2012, nel procedimento Napoli contro Ministero della giustizia). Ancora di recente, la Corte di giustizia ha avuto modo di ricordare (v. Corte giustizia UE, 24 giugno 2019, n. 573, in causa C-573/17, punti 53 e ss.) che, seppure «Il principio del primato del diritto dell'Unione sancisce la preminenza del diritto dell'Unione sul diritto degli Stati membri (sentenza del 15 luglio 1964, Costa, 6/64, EU:C:1964:66, pagg. 1143 e 1144)», ed impone «...a tutte le istituzioni degli Stati membri di dare pieno effetto alle varie norme dell'Unione, dato che il diritto degli Stati membri non puo' sminuire l'efficacia riconosciuta a tali differenti norme nel territorio dei suddetti Stati (v, in tal senso, sentenze del 26 febbraio 2013, Melloni, C-399/11, EU:C:2013:107, punto 59, e del 4 dicembre 2018, Minister for Justice and Equality e Commissioner of An Garda Siochana, C-378/17, EU:C:2018:979, punto 39)», il medesimo principio «..del primato del diritto dell'Unione non puo' [..] condurre a rimettere in discussione la distinzione essenziale tra le disposizioni del diritto dell'Unione dotate di effetto diretto e quelle che ne sono prive, ne', pertanto, a instaurare un regime unico di applicazione di tutte le disposizioni del diritto dell'Unione da parte dei giudici nazionali» (punto 60). La Corte ha ribadito (punto 61) che «..ogni giudice nazionale, chiamato a pronunciarsi nell'ambito delle proprie competenze, ha, in quanto organo di uno Stato membro, l'obbligo di disapplicare qualsiasi disposizione nazionale contraria a una disposizione del diritto dell'Unione che abbia effetto diretto nella controversia di cui e' investito (v., in tal senso, sentenze dell'8 settembre 2010, Winner Wetten, C-409/06, EU:C:2010:503, punto 55 e giurisprudenza ivi citata; 24 gennaio 2012, Dominguez, C-282/10, EU:C:2012:33, punto 41, nonche' del 6 novembre 2018, Bauer e Willmeroth, C-569/16 e C-570/16, EU:C:2018:871, punto 75)», precisando: «62. Per contro, una disposizione del diritto dell'Unione che sia priva di effetto diretto non puo' essere fatta valere, in quanto tale, nell'ambito di una controversia rientrante nel diritto dell'Unione, al fine di escludere l'applicazione di una disposizione di diritto nazionale ad essa contraria». La Corte di giustizia ha quindi concluso (punto 63): «Il giudice nazionale non e' quindi tenuto, sulla sola base del diritto dell'Unione, a disapplicare una disposizione del diritto nazionale incompatibile con una disposizione della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea che, come il suo art. 27, sia priva di effetto diretto (v., in tal senso, sentenza del 15 gennaio 2014, Association de mediation sociale, C-176/12, EU:C:2014:2, punti da 46 a 48). 64. Parimenti, l'invocazione di una disposizione di una direttiva che non sia sufficientemente chiara, precisa e incondizionata da vedersi riconoscere un effetto diretto non puo' condurre, sulla sola base del diritto dell'Unione, alla disapplicazione di una disposizione nazionale ad opera di un giudice di uno Stato membro (v., in tal senso, sentenze del 24 gennaio 2012, Dominguez, C-282/10, EU:C:2012:33, punto 41; del 6 marzo 2014, Napoli, C-595/12, EU:C:2014:128, punto 50; del 25 giugno 2015, Indeliu ir investiciju draudimas e Nemaniunas, C-671/13, EU:C:2015:418, punto 60, nonche' del 16 luglio 2015, Larentia + Minerva e Marenave Schiffahrt, C-108/14 e C-109/14, EU:C:2015:496, punti 51 e 52)». Ne consegue che, non potendosi riconoscere tali requisiti all'art. 12 della direttiva autorizzazioni, anche letto unitamente ai considerando n. 30 e n. 31, alla societa' attrice non basti di denunciarne la violazione, a motivo dell'azione di ripetizione intentata in giudizio (v. Cassazione sez. trib., n. 5956 del 28 febbraio 2019: «nell'ipotesi in cui un'accisa sia stata pagata sulla base di una norma interna successivamente dichiarata in contrasto con una direttiva europea da una sentenza della Corte di giustizia, il termine di decadenza per l'esercizio del diritto al rimborso decorre dalla data del versamento dell'imposta e non da quella, successiva, in cui e' intervenuta la pronuncia, purche' detta direttiva, benche' non tempestivamente trasposta nell'ordinamento italiano, sia qualificabile come "self executing"»). 2.3.6 L'impossibilita' di attribuire all'art. 12 della direttiva autorizzazioni la valenza di norma self-executing, preclude al tribunale anche di operare la disapplicazione o non applicazione della norma di diritto interno, ritenuta in conflitto con il diritto euro-unitario (si vedano i punti 63 e 64 della sentenza su riportata). 2.3.7 E' anche precluso, al tribunale, di far luogo alla interpretazione adeguatrice o interpretazione conforme della norma di diritto interno, invocata nel suo scritto dalla difesa attrice. Ed infatti, le disposizioni dell'art. 34 del codice delle comunicazioni elettroniche, lette in correlazione alla norma recata dall'art. 1 all. 10 al medesimo codice, hanno avuto in passato (nella formulazione originaria) e tutt'oggi hanno un contenuto estremamente puntuale, analitico, correlato a parametri chiaramente ed univocamente predeterminati, si' da non essere suscettibili di diverse interpretazioni, ne' di essere cosi' adeguate ai (piu' lati) parametri della norma europea. In merito, e' stato affermato, nella giurisprudenza della Corte di giustizia, che: «Il principio di interpretazione conforme del diritto nazionale e' tuttavia soggetto ad alcuni limiti. [..] Il principio di interpretazione conforme non puo' porsi a fondamento di un'interpretazione contra legem del diritto nazionale (sentenza del 29 giugno 2017, Po., C-579/15, EU:C:2017:503, punto 33 e giurisprudenza ivi citata). In altri termini, l'obbligo di interpretazione conforme cessa quando il diritto nazionale non puo' ricevere un'applicazione tale da sfociare in un risultato compatibile con quello perseguito dalla decisione quadro di cui trattasi (sentenza dell'8 novembre 2016, Ognyanov, C-554/14, EU:C:2016:835, punto 66)» (cosi' dalla motivazione della sentenza Corte giustizia UE, 24 giugno 2019, n. 573, punti 74 - 76). 2.3.8 Posta l'impossibilita' di adottare un'interpretazione conforme del diritto interno, o di seguire la via della disapplicazione o non applicazione della normativa nazionale, questo giudice ritiene altresi' di non poter rimettere, alla Corte di giustizia, una questione pregiudiziale interpretativa ai sensi dell'art. 267 TFUE. Si e' gia' detto infatti che la Verizon Italia S.p.a. non ha agito per essere indennizzata/risarcita dei (maggiori) costi ed oneri sopportati a cagione della ipotizzata (grave e manifesta) violazione del diritto eurounitario, bensi' ha chiesto la restituzione tout court (art. 2033 del codice civile) delle le somme esatte dal Ministero dello sviluppo economico, a titolo di diritti amministrativi: dunque l'eventuale accertamento, ad opera della Corte di giustizia, del conflitto tra il diritto Eurounitario e la normativa di diritto interno, non potrebbe spingersi sino all'abolizione della norma interna, e dunque non apporterebbe, all'istante, l'utilita' sperata in giudizio. 2.3.9 All'esito delle considerazioni che precedono, risulta evidente che lo scrutinio di fondatezza della domanda debba passare attraverso lo scrutinio di legittimita' costituzionale delle norme (di diritto interno) cui la difesa attrice imputa la violazione del diritto Eurounitario, scrutinio che spetta alla Corte costituzionale, sicche' si profila l'opportunita' di sollevare la questione incidentale di costituzionalita', apparendo questa rilevante e non manifestamente infondata, per quanto di seguito considerato. 2.4 sulla questione di legittimita' costituzionale dell'art. 34 e dell'art. 1 all. 10 del codice delle comunicazioni elettroniche. 2.4.1 Non e' dubbio che la questione di legittimita' costituzionale sia rilevante, ai fini della decisione. Si e' gia' detto che l'attrice ha prospettato di avere operato, a beneficio del MISE, dei pagamenti non dovuti (art. 2033 del codice civile), ma si e' (sopra) osservato che tali pagamenti siano stati esatti in forza dell'art. 34 e dell'art. 1, all. 10 del codice delle comunicazioni elettroniche. Le diverse formulazioni acquisite dalla norma nazionale, in ordine di tempo, sono su riportate e non occorre nuovamente trascriverle. Come gia' visto, tale normativa (titolo giustificativa dei pagamenti) non e' stata oggetto di alcun intervento demolitivo ne' del legislatore (con effetto retroattivo), ne' della Corte costituzionale. Per contro, la eventuale declaratoria di incostituzionalita' sarebbe tale da invalidare ed espungere dall'ordinamento, con effetto ex tunc, la norma eventualmente riscontrata in conflitto con la Costituzione, si' da prodursi la caducazione ora per allora del titolo giustificativo dei pagamenti; cio' per quanto espressamente previsto dall'art. 136 Cost.: «Quando la Corte dichiara l'illegittimita' costituzionale di una norma di legge o di atto avente forza di legge, la norma cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione» (in tema, tra le tante, v. Cass., n. 11953 del 7 maggio 2019: «l'intervenuta declaratoria di illegittimita' costituzionale dell'art. 53, comma 15, del decreto legislativo n. 165 del 2001 (Corte cost. n. 98 del 2015) produce effetti anche sui giudizi in corso, in ragione dell'efficacia retroattiva - salva l'avvenuta formazione del giudicato - delle pronunce di accoglimento della Corte costituzionale, inibendo pertanto l'applicazione della sanzione ivi prevista a carico degli enti conferenti incarichi retribuiti a dipendenti pubblici senza la previa autorizzazione dell'amministrazione di appartenenza, per il caso di omessa comunicazione dei compensi corrisposti»; Cassazione n. 11134 del 30 maggio 2016: «l'efficacia retroattiva dell'incostituzionalita' dichiarata "si arresta esclusivamente di fronte al giudicato o al decorso dei termini di prescrizione e decadenza"; Cassazione n. 10958 del 6 maggio 2010: «le sentenze di accoglimento di una questione di legittimita' costituzionale pronunciate dalla Corte costituzionale hanno effetto retroattivo, con l'unico limite delle situazioni consolidate per essersi il relativo rapporto definitivamente esaurito, potendosi, in proposito, legittimamente ritenere "esauriti" i soli rapporti rispetto ai quali si sia formato il giudicato, ovvero sia decorso il termine prescrizionale o decadenziale previsto dalla legge»). Esclusa la formazione del giudicato; il rapporto giuridico dedotto in giudizio non puo' dirsi esaurito, atteso che l'azione di ripetizione della Verizon Italia S.p.a. (non soggetta a termini di decadenza), appare formulata entro il termine utile di cui all'art. 2946 del codice civile. Pertanto, posto che la eventuale pronuncia di illegittimita' costituzionale resa dalla Corte, sarebbe tale da produrre effetto anche sul presente contenzioso, deve concludersi che la questione di costituzionalita' sollevata a seguire sia manifestamente rilevante ai fini del giudizio, e della decisione da adottare sulla domanda della Verizon Italia S.p.a.. D'altronde l'eventualita' che una sentenza di illegittimita' costituzionale abbia reso indebiti i pagamenti precedentemente eseguiti, in favore di una pubblica amministrazione, in forza di norme (successivamente) dichiarate incostituzionali, si e' gia' presentata (piu' volte) in passato, e la giurisprudenza ha ammesso, senza nutrire particolari dubbi, la conseguente esperibilita' dell'azione di ripetizione d'indebito (per citarne solo alcune, si vedano Cassazione n. 5258 del 15 giugno 1987, in relazione alla sentenza Corte costituzionale n. 119 del 1981; Cassazione n. 8384 del 27 luglio 1991, Cassazione n. 13053 del 4 dicembre 1991, Cassazione n. 3375 del 18 marzo 1992, Cassazione n. 3378 del 18 marzo 1992, in relazione alla sentenza Corte costituzionale n. 370 del 1985; Cassazione n. 10980 dell'8 ottobre 1992, in relazione alla sentenza Corte costituzionale n. 116 del 1985). Ne' pare d'ostacolo, alla rimessione della questione alla Corte costituzionale, la circostanza che la disciplina nazionale dei contributi (diritti amministrativi) imposti agli operatori titolari di licenze di fornitura di reti di comunicazione elettronica, o di licenze di fornitura del servizio telefonico, abbia subito delle modifiche, nel corso del tempo. Come e' stato infatti opinato, da altro giudice (Consiglio di Stato sez. VI, 11 marzo 2015, n. 1261, in Foro Amministrativo (II) 2015, 3, 755): «L'abrogazione di una norma anteriormente alla rimessione della questione di costituzionalita' non determina, di per se', l'inammissibilita' della questione per difetto di rilevanza. Persiste la rilevanza della questione anche nel caso in cui la norma sottoposta a scrutinio o sostituita da una successiva, perche', ove un determinato atto amministrativo sia stato adottato sulla base di una norma poi abrogata, "la legittimita' dell'atto deve essere esaminata, in virtu' del principio tempus regit actum, con riguardo alla situazione di fatto e di diritto esistente al momento della sua adozione. Del resto, i due istituti giuridici dell'abrogazione e della illegittimita' costituzionale delle leggi non sono eguali fra loro, ma si muovono su piani diversi ed hanno, soprattutto, effetti diversi. Mentre la dichiarazione di incostituzionalita' di una legge o di un atto avente forza di legge rende la norma inefficace ex tunc e quindi estende la sua invalidita' a tutti i rapporti giuridici ancora pendenti al momento della decisione della Corte, restandone cosi' esclusi soltanto i "rapporti esauriti", l'abrogazione, salvo il caso dell'abrogazione con effetti retroattivi, opera solo per l'avvenire, atteso che anche la legge abrogante e' sottoposta alla regola di cui all'art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale (c.d. Preleggi)». Inoltre sono numerosi i casi, tratti dalla giurisprudenza della Corte costituzionale, in cui la questione di illegittimita' e' stata esaminata nel merito (ed eventualmente ritenuta fondata), anche se riferita a norme nel frattempo modificate o abrogate, quando la successione di leggi nel tempo non avesse comportato la sterilizzazione degli effetti delle norme precedentemente in vigore (si veda ad es. Corte costituzionale, 6 marzo 2019, n. 34; Corte costituzionale, 21 dicembre 2018, n. 238, nella cui motivazione si legge: «Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, la modifica normativa della norma oggetto di questione di legittimita' costituzionale in via principale intervenuta in pendenza di giudizio determina la cessazione della materia del contendere quando ricorrono simultaneamente le seguenti condizioni: occorre che il legislatore abbia abrogato o modificato le norme censurate in senso satisfattivo delle pretese avanzate con il ricorso e occorre che le norme impugnate, poi abrogate o modificate, non abbiano ricevuto applicazione medio tempore (ex plurimis, sentenza n. 171 del 2018). L'assenza di qualsiasi indicazione (non essendosi costituita la regione resistente) circa la mancata applicazione della norma censurata induce a ritenere non provato tale ultimo requisito, anche in considerazione del tempo di vigenza della norma abrogata, che e' stata modificata circa un anno dopo la sua entrata in vigore. Pertanto, la questione deve essere esaminata nel merito e, per ragioni analoghe a quelle gia' espresse al precedente punto 2.1 in riferimento all'art. 23, deve essere estesa alla nuova disposizione, come modificata dalla legge reg. Basilicata n. 11 del 2018»; e ancora, Corte costituzionale 14 luglio 2017, n. 191, che nomina in motivazione le «sentenze n. 8 del 2017, n. 257, n. 253, n. 242 e n. 199 del 2016, sentenza n. 59 del 2017»). Donde lo scrutinio di rilevanza della questione ora affrontata. 2.4.2 Quanto alla non manifesta infondatezza della questione qui rilevata, giova ricordare che: la direttiva autorizzazioni (2002/20/CE) veniva adottata, dal Parlamento e dal Consiglio europeo, per soddisfare la necessita' di una «normativa comunitaria piu' armonizzata e meno onerosa sull'accesso al mercato delle reti e dei servizi di comunicazione elettronica» (considerando n. 1); la medesima si prefiggeva di «garantire» che tutte le categorie di fornitori (di reti e servizi di comunicazione elettronica destinati al pubblico, o meno) potessero «beneficiare di diritti, condizioni e procedure obiettivi, trasparenti, non discriminatori e proporzionati» (considerando n. 4); la direttiva contemplava la possibilita' che «ai prestatori di servizi di comunicazione elettronica» potesse «essere richiesto il pagamento di diritti amministrativi a copertura delle spese sostenute dall'autorita' nazionale di regolamentazione per la gestione del regime di autorizzazione e per la concessione dei diritti d'uso», ma segnalava tuttavia: «E' opportuno che la riscossione di tali diritti si limiti a coprire i costi amministrativi veri e propri di queste attivita'. Pertanto occorre garantire la trasparenza della contabilita' gestita dall'autorita' nazionale di regolamentazione mediante rendiconti annuali in cui figuri l'importo complessivo dei diritti riscossi e dei costi amministrativi sostenuti. In questo modo le imprese potranno verificare se vi sia equilibrio tra i costi e gli oneri ad esse imposti» (considerando n. 30); ancora, la direttiva sottolineava: «I sistemi di diritti amministrativi non dovrebbero distorcere la concorrenza o creare ostacoli per l'ingresso sul mercato. Con un sistema di autorizzazioni generali non sara' piu' possibile attribuire costi e quindi diritti amministrativi a singole imprese fuorche' per concedere i diritti d'uso dei numeri delle frequenze radio e dei diritti di installare strutture. Qualsiasi diritto amministrativo applicabile dovrebbe essere in linea con i principi di un sistema di autorizzazione generale. Un esempio di alternativa leale, semplice e trasparente per il criterio di attribuzione di tali diritti potrebbe essere una ripartizione collegata al fatturato. Qualora i diritti amministrativi fossero molto bassi: potrebbero anche essere appropriati diritti forfettari, o diritti combinanti una base forfettaria con un elemento collegato al fatturato» (considerando n. 31); correlativamente, all'art. 12 della direttiva veniva prescritto: «1. I diritti amministrativi imposti alle imprese che prestano servizi o reti ai sensi dell'autorizzazione generale o che hanno ricevuto una concessione dei diritti d'uso: a) coprono complessivamente i soli costi amministrativi che saranno sostenuti per la gestione, il controllo e l'applicazione del regime di autorizzazione generale, dei diritti d'uso e degli obblighi specifici di cui all'art. 6, paragrafo 2, che possono comprendere i costi di cooperazione internazionale, di armonizzazione e di standardizzazione, di analisi di mercato, di sorveglianza del rispetto delle disposizioni e di altri controlli di mercato, nonche' di preparazione e di applicazione del diritto derivato e delle decisioni amministrative, quali decisioni in materia di accesso e interconnessione; b) sono imposti alle singole imprese in modo proporzionato obiettivo e trasparente che minimizzi i costi amministrativi aggiuntivi e gli oneri accessori. 2. Le autorita' nazionali di regolamentazione che impongono il pagamento di diritti amministrativi sono tenute a pubblicare un rendiconto annuo dei propri costi amministrativi e dell'importo complessivo dei diritti riscossi. Alla luce delle differenze tra l'importo totale dei diritti e i costi amministrativi, vengono apportate opportune rettifiche». Al contempo, nell'ordinamento interno: l'art. 34 del codice delle comunicazioni elettroniche (decreto legislativo n. 259/2003), in materia di «diritti amministrativi», nel testo originario, pur riproducendo la formula dell'art. 12, comma 1, lettera a) della direttiva, rinviava, per la concreta determinazione della misura dei diritti amministrativi, all'all. 10 al codice, il cui art. 1 e' la norma di riferimento, ai fini della fattispecie considerata; secondo l'art. 1, all. 10 al codice, nel testo originario, gli operatori titolari di «autorizzazione generale per l'installazione e fornitura di reti pubbliche di comunicazioni ... e per l'offerta del servizio telefonico accessibile al pubblico», avrebbero dovuto versare, annualmente, «un contributo ... determinato sulla base della popolazione potenzialmente destinataria dell'offerta», in particolare quantificato forfettariamente secondo l'estensione territoriale ovvero secondo il numero della popolazione residente sul territorio ove fornite le reti pubbliche di comunicazioni, ovvero il servizio telefonico accessibile al pubblico; nessuna rendicontazione era prevista, ne' dall'art. 34 del codice, ne' dall'art. 1, all. 10 al codice delle comunicazioni, sino alla novella appartata con la legge europea 2014, n. 115/2015; nella formulazione introdotta dall'art. 6, comma 4 (lettera a) e lettera b)) del decreto-legge 23 dicembre 2013, convertito con modificazioni dalla legge 21 febbraio 2014, n. 9, il solo art. 1 all. 10 al codice (invariato l'art. 34 del medesimo codice) vedeva introdurre un correttivo correlato al «numero di utenti», per le (sole) imprese che fornissero reti pubbliche di comunicazioni o servizio di telefonia aperto al pubblico «sull'intero territorio nazionale» (comma 1, lettera a), n. 1 e n. 1-bis), comma 1, lettera b), n. 1 e n. 1-bis)), lasciando immutato - per il resto - il criterio di determinazione forfettaria del contributo, correlato alla popolazione residente («numero di abitanti»), per tutti gli altri operatori, fornitori di reti di comunicazione o di servizio di telefonia su territori piu' circoscritti; all'esito della riformulazione operata dalla legge 29 luglio 2015, n. 115, art. 5, l'art. 34 del codice delle comunicazioni elettroniche e' stato cosi' riscritto: «1. Oltre ai contributi di cui all'art. 35, possono essere imposti alle imprese che forniscono reti o servizi ai sensi dell'autorizzazione generale o alle quali sono stati concessi diritti di uso, diritti amministrativi che coprano complessivamente i soli costi amministrativi sostenuti per la gestione, il controllo e l'applicazione del regime di autorizzazione generale, dei diritti di uso e degli obblighi specifici di cui all'art. 28, comma 2, ivi compresi i costi di cooperazione internazionale, di armonizzazione e di standardizzazione, di analisi di mercato, di sorveglianza del rispetto delle disposizioni e di altri controlli di mercato, nonche' di preparazione e di applicazione del diritto derivato e delle decisioni amministrative, ed in particolare di decisioni in materia di accesso e interconnessione. I diritti amministrativi sono imposti alle singole imprese in modo proporzionato, obiettivo e trasparente che minimizzi i costi amministrativi aggiuntivi e gli oneri accessori. 2. Per la copertura dei costi amministrativi sostenuti per le attivita' di competenza del Ministero, la misura dei diritti amministrativi di cui al comma 1 e' individuata nell'allegato n. 10. 2-bis. Per la copertura dei costi amministrativi complessivamente sostenuti per l'esercizio delle funzioni di regolazione, di vigilanza, di composizione delle controversie e sanzionatorie attribuite dalla legge all'Autorita' nelle materie di cui al comma 1, la misura dei diritti amministrativi di cui al medesimo comma 1 e' determinata ai sensi dell'art. 1, commi 65 e 66, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, in proporzione ai ricavi maturati dalle imprese nelle attivita' oggetto dell'autorizzazione generale o della concessione di diritti d'uso. 2-ter. Il Ministero, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, e l'Autorita' pubblicano annualmente i costi amministrativi sostenuti per le attivita' di cui al comma 1 e l'importo complessivo dei diritti riscossi ai sensi, rispettivamente, dei commi 2 e 2-bis. In base alle eventuali differenze tra l'importo totale dei diritti e i costi amministrativi vengono apportate opportune rettifiche»; d'altronde l'art. 1, all. 10 al medesimo Codice, attualmente recita: «1. Al fine di assicurare la copertura degli oneri di cui al comma 1 dell'art. 34 del codice, le imprese titolari di autorizzazione generale per l'installazione e la fornitura di reti pubbliche di comunicazioni, comprese quelle basate sull'impiego di radiofrequenze, e le imprese titolari di autorizzazione generale per l'offerta del servizio telefonico accessibile al pubblico, con esclusione di quello offerto in luoghi presidiati mediante apparecchiature terminali o attraverso l'emissione di carte telefoniche, sono tenute al pagamento di un contributo annuo, compreso l'anno dal quale decorre l'autorizzazione generale. Tale contributo, che per gli anni successivi a quello del conseguimento dell'autorizzazione deve essere versato entro il 31 gennaio di ciascun anno, anche nel caso di rinuncia qualora inviata in data successiva al 31 dicembre dell'anno precedente, e' determinato nei seguenti importi: a) nel caso di fornitura di reti pubbliche di comunicazioni: 1) sull'intero territorio nazionale: 127.000 euro; 2) su un territorio avente piu' di 1 milione e fino a 10 milioni di abitanti: 64.000 euro; 3) su un territorio avente piu' di 200.000 e fino a 1 milione di abitanti: 32.000 euro; 4) su un territorio avente fino a 200.000 abitanti: 17.000 euro; 5) per le imprese che erogano il servizio prevalentemente a utenti finali in numero pari o inferiore a 50.000: 500 euro ogni mille utenti. Il numero degli utenti e' calcolato sul quantitativo delle linee attivate a ciascun utente finale; b) nel caso di fornitura di servizio telefonico accessibile al pubblico: 1) sull'intero territorio nazionale: 75.500 euro; 2) su un territorio avente piu' di 1 milione e fino a 10 milioni di abitanti: 32.000 euro; 3) su un territorio avente piu' di 200.000 e fino a 1 milione di abitanti: 12.500 euro; 4) su un territorio avente fino a 200.000 abitanti: 6.400 euro; 5) per le imprese che erogano il servizio prevalentemente a utenti finali in numero pari o inferiore a 50.000: 300 euro ogni mille utenti. Il numero degli utenti e' calcolato sul quantitativo delle risorse di numerazione attivate a ciascun utente finale». Cio' posto, la questione della compatibilita' della normativa interna con la Carta costituzionale, e con la direttiva autorizzazioni, appare al tribunale non manifestamente infondata. In particolare, e' plausibile che: (A) la normativa nazionale in tema di diritti amministrativi (dovuti, dagli operatori, per la copertura dei «costi di gestione, controllo ed applicazione del regime di autorizzazione generale, dei diritti di uso e degli obblighi specifici» di cui all'art. 28, comma 2 codice delle comunicazioni elettroniche) sopra rammentata, abbia lasciato disattesi i principi informatori e le prescrizioni dettate dall'art. 12 della direttiva autorizzazioni, letto unitamente ai considerando n. 30 e n. 31 della medesima direttiva, si' da risultare violati gli articoli 11, 117, comma 1 Cost., laddove prescrivono che la potesta' legislativa e' esercitata dallo Stato «nel rispetto dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali», nonche' gli art. 288 TFUE («La direttiva vincola lo Stato membro cui e' rivolta per quanto riguarda il risultato da raggiungere, salva restando la competenza degli organi nazionali in merito alla forma e ai mezzi»), art. 291 TFUE («Gli Stati membri adottano tutte le misure di diritto interno necessarie per l'attuazione degli atti giuridicamente vincolanti dell'Unione»); (B) specificamente, la normativa nazionale, nel parametrare (totalmente, come in origine, o prevalentemente, dopo le modifiche apportate con decreto-legge n. 145/2013) i diritti amministrativi al bacino di utenza meramente potenziale, ossia al numero degli abitanti di un certo territorio, anziche' alle capacita' economiche e reddituali (fatturato o ricavi) dei singoli operatori, e quantificando forfettariamente (ossia in misura fissa) i diritti amministrativi, rapportando il forfait al numero degli abitanti ovvero all'intero territorio nazionale (con l'unico correttivo del numero degli «utenti finali», per gli operatori meno provvisti di clientela), anziche' in misura proporzionale e correlata alle condizioni proprie di ciascun operatore come da indicazioni della direttiva (considerando n. 31), abbia comportato, oltre alle violazioni sopra indicate, una irragionevole assimilazione delle diverse imprese operanti sul mercato, con preterizione dell'art. 3 della Costituzione e del principi di eguaglianza e non discriminazione di cui agli articoli 20 e 21 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, che vietano di regolare in egual modo delle situazioni sostanzialmente diverse, e di regolare diversamente delle situazioni sostanzialmente eguali; (C) ancora, la normativa nazionale, nel quantificare forfettariamente (in tutte le formulazioni susseguitesi nel tempo) e rapportare l'entita' dei diritti amministrativi al numero degli abitanti/ampiezza del territorio raggiunto dalle reti di comunicazione elettronica o di telefonia, ossia a circostanze estrinseche ed indipendenti dalle condizioni proprie di ciascun operatore, anziche' alle condizioni proprie dei singoli operatori, abbia reso piu' difficoltoso l'accesso al mercato (dei fornitori di reti di comunicazioni elettroniche o del servizio di telefonia aperto al pubblico) agli operatori meno provvisti di mezzi finanziari, si' da risultare alterata la concorrenza, in violazione (oltreche' degli articoli 11, 117 Cost., e dell'art. 288 TFUE), dell'art. 106 TFUE («1. Gli Stati membri non emanano ne' mantengono, nei confronti delle imprese pubbliche e delle imprese cui riconoscono diritti speciali o esclusivi alcuna misura contraria alle norme dei trattati, specialmente a quelle contemplate dagli articoli 18 e da 101 a 109 inclusi. 2. Le imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale o aventi carattere di monopolio fiscale sono sottoposte alle norme dei trattati e in particolare alle regole di concorrenza, nei limiti in cui l'applicazione di tali norme non osti all'adempimento, in linea di diritto e di fatto, della specifica missione loro affidata. Lo sviluppo degli scambi non deve essere compromesso in misura contraria agli interessi dell'Unione»), art. 1 protocollo 26 TFUE («I valori comuni dell'Unione con riguardo al settore dei servizi di interesse economico generale ai sensi dell'art. 14 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea comprendono in particolare: il ruolo essenziale e l'ampio potere discrezionale delle autorita' nazionali, regionali e locali di fornire, commissionare e organizzare servizi di interesse economico generale il piu' vicini possibile alle esigenze degli utenti; la diversita' tra i vari servizi di interesse economico generale e le differenze delle esigenze e preferenze degli utenti che passano discendere da situazioni geografiche, sociali e culturali diverse; un alto livello di qualita', sicurezza e accessibilita' economica, la parita' di trattamento e la promozione dell'accesso universale e dei diritti dell'utente»); (D) infine, la normativa nazionale sopra indicata nell'omettere (nella formulazione vigente sino al 17 agosto 2015) qualsiasi riferimento agli obblighi di rendicontazione prescritti dalla direttiva, abbia inoltre comportato (oltre alla violazione di cui alla lettera a) lesione al principio di imparzialita' e buon andamento dell'Amministrazione, di cui all'art. 97 Cost., oltreche' dei principi di trasparenza, minimizzazione dei costi ed oneri accessori accollati agli operatori, posti dalla direttiva autorizzazioni. Conclusivamente, sussistono le condizioni per rimettere, alla Corte costituzionale, la questione di legittimita' dell'art. 34 (in materia di «Diritti amministrativi») del decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259 (codice delle comunicazioni elettroniche), in combinato disposto con l'art. 1, all. 10 al medesimo testo di legge, nelle diverse formulazioni assunte in ordine di tempo, per violazione degli articoli 11, 117 Cost., 288, 291 TFUE, nonche' degli articoli 3 e 97 Cost., articoli 20 e 21 CDFUE, art. 106 TFUE, apparendo questa non manifestamente infondata, nonche' rilevante ai fini del decidere. Si provvede pertanto come a seguire. (1) «contributi per la concessione di diritti di uso e di diritti di installare infrastrutture».
P.Q.M. Il tribunale di Roma, visti gli articoli 134 e 137 Cost., nonche' l'art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, e l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, dichiara rilevante e' non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 34 (in materia di «Diritti amministrativi») del decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259 (cadice delle comunicazioni elettroniche), in combinato disposto con l'art. 1 («diritti amministrativi») all. 10 al medesimo testo di legge, per violazione degli articoli 11, 117 Cost., 288, 291 TFUE, nonche' degli articoli 3 e 97 Cost., nonche' articoli 20 e 21 CDFUE, art. 106 TFUE, per le ragioni analiticamente indicate al par. 2.4.2, letterre (A), (B), (C) e (D), del presente provvedimento; Dispone che il presente provvedimento, a cura della cancelleria, sia notificato alle parti in causa ed al Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' comunicato al Presidente del Senato ed al Presidente della Camera dei deputati e, all'esito, sia trasmesso alla Corte costituzionale insieme al fascicolo processuale, con la prova delle avvenute regolari predette notificazioni e comunicazioni; Dispone la sospensione del presente processo. Roma, 9 dicembre 2019 Il Giudice: Imposimato