N. 141 ORDINANZA (Atto di promovimento) 29 giugno 2020
Ordinanza del 29 giugno 2020 del Tribunale di Salerno nel procedimento civile promosso da M. P. contro Presidenza del Consiglio dei ministri e altri. Responsabilita' civile dei magistrati - Giudizio risarcitorio nei confronti dello Stato per fatto illecito del magistrato - Abolizione della fase preliminare di delibazione in camera di consiglio della ammissibilita' e non manifesta infondatezza della domanda - Conseguente soppressione del termine che ricollegava l'esercizio dell'azione disciplinare alla comunicazione di ammissibilita' della domanda - Trasmissione, da parte del Tribunale investito dalla cognizione dell'azione di responsabilita' civile, degli atti del procedimento al Procuratore generale presso la Corte di cassazione. - Legge 13 aprile 1998 (recte: 1988), n. 117 (Risarcimento dei danni cagionati nell'esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilita' civile dei magistrati), art. 9, comma 1, come modificato dall'art. 6, comma 1, della legge 27 febbraio 2015, n. 18 (Disciplina della responsabilita' civile dei magistrati).(GU n.42 del 14-10-2020 )
TRIBUNALE DI SALERNO Prima sezione civile Nella causa civile iscritta al N.R.G. 8441/2017 il giudice dott. Mattia Caputo, letti gli atti delle parti ed esaminata la documentazione di causa, a scioglimento della riserva assunta all'udienza del 28 maggio 2019, tenuta mediante modalita' di trattazione «scritta» ai sensi dell'art. 83, comma 7, lettera h) del decreto-legge n. 18/2020 convertito con modificazioni con legge n. 27/2020, ha pronunciato la seguente ordinanza Rilevato che il sig. M. P. con atto di citazione notificato in data 19 settembre 2017 ha convenuto in giudizio la Presidenza del Consiglio dei ministri al fine di sentire accertata e dichiarata la responsabilita' civile di alcuni magistrati per atti, comportamenti e provvedimenti da questi posti in essere per la loro attivita' presso il Tribunale di C. e la Procura della Repubblica presso il Tribunale di C.; Rilevato che a seguito della richiesta di astensione facoltativa del precedente G.I., con provvedimento del 9 maggio 2019 il presidente del Tribunale autorizzava la predetta astensione, designando il sottoscritto alla trattazione del presente procedimento; Rilevato che il sig. M. P., per tramite del suo difensore, con istanze depositate telematicamente il 29 marzo 2018, il 12 settembre 2018, il 7 giugno 2019, nonche' a verbale dell'udienza del 13 marzo 2019 e con le note scritte autorizzate del 25 maggio 2020 ha chiesto disporsi la trasmissione degli atti al Procuratore generale presso la Corte di cassazione, ai sensi dell'art. 9 della legge n. 117 del 1988, per l'esercizio obbligatorio dell'azione disciplinare a carico dei Magistrati C. C., C. C., F. E. e F-B. S. per i fatti che hanno dato causa all'azione di risarcimento; Considerato che l'art. 5, comma 5, della legge n. 117/1988 nella sua formulazione anteriore alla riforma operata con legge n. 18/2015 stabiliva che «Se la domanda e' dichiarata ammissibile, il Tribunale ordina la trasmissione di copia degli atti ai titolari dell'azione disciplinare...», cosi' subordinando la trasmissione, da parte del Tribunale, di copia degli atti ai titolari dell'azione disciplinare (i.e.: Procuratore generalege presso la Corte di cassazione per i magistrati ordinari) al positivo superamento del c.d. «filtro di ammissibilita'» dell'azione di responsabilita' civile dei magistrati, previsto proprio dall'art. 5 della suddetta legge n. 117/1988; Rilevato che l'art. 3, comma 2, della legge n. 18/2015 ha abrogato integralmente l'art. 5 - ivi compreso il comma 5 di cui sopra - della legge n. 117/1988, cosi' eliminando il c.d. «filtro di ammissibilita'» dell'azione di responsabilita' civile dei magistrati, la quale va dunque trattata ed istruita a prescindere da qualsiasi vaglio circa la sussistenza dei termini e dei presupposti di cui agli articoli 2, 3 e 4 della legge n. 117/1988 (come previsto dall'art. 5, comma 3, prima dell'abrogazione) o quando non fosse manifestamente infondata; Considerato che l'art. 6, comma 1, della legge n. 18/2015 ha modificato il disposto dell'art. 9, comma 1, della legge n. 117/1988, che prevedeva che il Procuratore generale presso la Corte di cassazione per i magistrati ordinari dovesse esercitare l'azione disciplinare nei confronti del Magistrato per i fatti che hanno dato causa all'azione di risarcimento, entro due mesi dalla comunicazione di cui al comma 5 dell'art. 5 (cioe' da quando veniva delibata l'ammissibilita' della domanda e, dunque, disposta a cura del Tribunale la trasmissione degli atti ai titolari dell'azione disciplinare). La nuova formulazione dell'art. 9, comma 1, della legge n. 117/1988 sancisce che «Il Procuratore generale presso la Corte di cassazione per i magistrati ordinari o il titolare dell'azione disciplinare negli altri casi devono esercitare l'azione disciplinare nei confronti del Magistrato per i fatti che hanno dato causa all'azione di risarcimento, salvo che non sia stata gia' proposta»; Ritenuto, pertanto, che per effetto della legge n. 18/2015 che da un lato, abrogando il disposto dell'art. 5 della legge n. 117/1988, ha disposto l'abolizione del c.d. «filtro di ammissibilita'», e dall'altro ha modificato l'art. 9, comma 1, della suddetta legge, sopprimendo il richiamo al disposto dell'art. 5, comma 5, laddove sanciva che il Tribunale, valutata come ammissibile l'azione di responsabilita' civile, era obbligato ad ordinare la trasmissione degli atti ai titolari dell'azione disciplinare (come si evinceva dall'uso del verbo «ordina» al modo indicativo, tempo presente) ed assoggettava l'esercizio obbligatorio dell'azione disciplinare ad opera del Procuratore generale presso la Corte di cassazione al termine massimo di due mesi dalla comunicazione degli atti del procedimento dopo che era stata valutata positivamente l'ammissibilita' dell'azione risarcitoria, l'unica interpretazione possibile dell'art. 9, comma 1, della legge n. 117/1988 - come risultante dall'abrogazione dell'art. 5, comma 5 e dalla eliminazione proprio nel corpo dell'art. 9, comma 1, del richiamo al termine per esercitare l'azione disciplinare di due mesi dalla comunicazione degli atti - sia nel senso che il Tribunale, investito della cognizione dell'azione di responsabilita' civile dei magistrati sia obbligato, per il solo fatto della proposizione dell'azione di responsabilita' civile, ed indipendentemente da qualsivoglia vaglio preventivo di ammissibilita' (ormai soppresso) quanto ai requisiti e termini per l'azione risarcitoria e circa la fondatezza in chiave prognostica della stessa, nonche' a prescindere dall'esito del giudizio medesimo, a trasmettere copia degli atti del procedimento, al fine di consentire l'esercizio obbligatorio dell'azione disciplinare da parte del titolare, cioe' il Procuratore generale presso la Corte di cassazione; Ritenuto che tale interpretazione si imponga innanzitutto per il tenore letterale della norma, che fa riferimento all'esercizio dell'azione disciplinare da parte del Procuratore generale presso la Corte di cassazione «per i fatti che hanno dato causa all'azione di risarcimento» e non per la decisione che definisce il giudizio, cioe' per i fatti come rappresentati nell'atto introduttivo del giudizio; Ritenuto altresi' che tale interpretazione si imponga per ragioni di tipo logico e sistematico, che impongono di valorizzare la portata innovativa della legge n. 18/2015 che ha modificato la legge n. 117/1988 sulla responsabilita' civile dei magistrati, mediante un intervento ortopedico su tale disciplina che ha soppresso il «filtro di ammissibilita'» dell'azione medesima e, di conseguenza, stante anche l'espunzione dal corpo dell'art. 9, comma 1, del richiamo al termine di due mesi dalla decisione del Tribunale che considerava ammissibile la domanda attorea e disponeva la comunicazione/trasmissione degli atti al Procuratore generale presso la Corte di cassazione, ragion per cui, al fine di non svuotare di significato l'intervento novellatore del legislatore del 2015, si rende necessario interpretare la normativa di cui all'art. 9, comma 1, della legge n. 117/1988, nel senso che e' fatto obbligo al Tribunale deputato a conoscere della controversia in materia di responsabilita' civile dei magistrati di trasmettere copia degli atti del procedimento, al fine di consentire l'esercizio obbligatorio dell'azione disciplinare da parte del titolare, cioe' il Procuratore generale presso la Corte di cassazione per i magistrati ordinari senza attendere la definizione del giudizio, per il solo fatto della proposizione dell'azione risarcitoria. Inoltre tale interpretazione appare altresi' funzionale all'art. 9, comma 1, laddove stabilisce: «Il Procuratore generale presso la Corte di cassazione per i magistrati ordinari o il titolare dell'azione disciplinare negli altri casi devono esercitare l'azione disciplinare nei confronti del Magistrato per i fatti che hanno dato causa all'azione di risarcimento, salvo che non sia stata gia' proposta. Resta ferma la facolta' del Ministro di grazia e giustizia di cui al secondo comma dell'art. 107 della Costituzione»; pertanto, al fine di assicurare l'obbligatorieta' dell'esercizio dell'azione disciplinare per i fatti che hanno dato causa all'azione di risarcimento e, dunque, di mettere il Procuratore generale presso la Corte di cassazione in condizione di esercitare l'azione disciplinare, si rende necessario che il giudice deputato a conoscere della relativa controversia trasmetta gli atti al procuratore stesso, quale effetto automatico, derivante «ipso facto et ipso iure» dalla mera proposizione della domanda risarcitoria; Ritenuto, peraltro, che la disposizione di cui all'art. 9, comma 1, della legge n. 117/1988 come risultante dalla modifica operata con l'art. 6, comma 1, della legge n. 18/2015 non possa essere interpretata nel senso che il «dies a quo» a partire dal quale sorge l'obbligo per il Tribunale adito di trasmettere gli atti del procedimento risarcitorio al Procuratore generale presso la Corte di cassazione vada individuato nella decisione - eventualmente di accoglimento - della domanda di risarcimento dei danni, ne' tantomeno dal passaggio in giudicato della stessa, poiche' una siffatta soluzione si pone in contrasto con il disposto dell'art. 6, comma 2, della legge n. 117/1988, secondo cui «... La decisione pronunciata nel giudizio promosso contro lo Stato... non fa stato nel procedimento disciplinare»; Ritenuto, altresi', che la disposizione di cui all'art. 9, comma 1, della legge n. 117/1988 come risultante dalla modifica operata con l'art. 6, comma 1, della legge n. 18/2015 non possa essere interpretata neanche nel senso che il «dies a quo» a partire dal quale sorge l'obbligo per il Tribunale adito di trasmettere gli atti del procedimento risarcitorio al Procuratore generale presso la Corte di cassazione vada individuato nella instaurazione del giudizio in cui lo Stato propone - a seguito della sua condanna nel procedimento di risarcimento dei danni - l'azione di rivalsa nei confronti del Magistrato, poiche' il legislatore, nell'intervenire sull'art. 9, comma 1, della legge n. 117/1988 ha scartato tale opzione, che pure era stata formulata nel disegno di legge di iniziativa governativa n. 1626 (art. 3, comma 3), con cui si voleva attribuire al Tribunale investito dell'azione di rivalsa il potere di segnalazione al Procuratore generale presso la suprema Corte e, conseguentemente, l'insorgere dell'obbligo di quest'ultimo di esercitare l'azione disciplinare; Ritenuto, pertanto, che l'art. 9, comma 1, della legge n. 117/1988 come risultante per effetto della modifica operata dall'art. 6, comma 1, della legge n. 18/2015 e dall'abrogazione dell'art. 5, comma 5, di tale normativa mediante l'art. 3, comma 2, della legge n. 18/2015, debba essere interpretato nel senso che al Tribunale, investito della cognizione dell'azione di responsabilita' civile proposta dal cittadino che si assume danneggiato contro lo Stato per l' attivita' del Magistrato sia obbligato, per il solo fatto della proposizione della domanda risarcitoria, a prescindere da qualsiasi vaglio preventivo circa l'ammissibilita' dell'azione risarcitoria (ormai soppresso), a disporre immediatamente la trasmissione degli atti del procedimento al Procuratore generale presso la Corte di cassazione per consentire a quest'ultimo l'esercizio obbligatorio dell'azione disciplinare nei confronti del Magistrato; Ritenuto, tuttavia, che l'art. 9, comma 1, della legge n. 117 del 13 aprile 1988 come modificato dalla legge n. 18 del 27 febbraio 2015, anche a seguito dell'abrogazione dell'art. 5 della suindicata normativa e, dunque, del c.d. «filtro di ammissibilita'», cosi' come interpretato nel senso di imporre, sempre e comunque, al Tribunale investito della cognizione dell'azione di responsabilita' civile dei Magistrati, di trasmettere immediatamente gli atti al Procuratore generale presso la Corte di cassazione al fine di consentire a quest'ultimo l'esercizio obbligatorio dell'azione disciplinare nei confronti del Magistrato per i fatti che hanno dato causa all'azione di risarcimento, ponga seri dubbi di legittimita' costituzionale; Ritenuto, pertanto, che nel caso di specie vi sia questione di legittimita' costituzionale dell'art. 9, comma 1, della legge n. 117 del 13 aprile 1988 come risultante dalle modifiche ad esso operate dall'art. 6, comma 1, della legge n. 18 del 27 febbraio 2015 laddove ha soppresso il richiamo al termine di due mesi per l'esercizio obbligatorio dell'azione disciplinare da parte del Procuratore generale presso la Corte di cassazione decorrente dalla trasmissione a quest'ultimo degli atti da parte del Tribunale, trasmissione che aveva luogo solo nel caso di positivo superamento del preventivo c.d. «filtro di ammissibilita'» circa l'azione risarcitoria, nonche' a seguito dell'abrogazione ad opera dell'art. 3, comma 2, della legge n. 27 febbraio 2015 dell'art. 5 della legge n. 117/1988 che prevedeva il c.d. «filtro di ammissibilita'», in tal modo subordinando al vaglio positivo dello stesso anche la trasmissione degli atti del procedimento al Procuratore generale, al fine dell'esercizio doveroso dell'azione disciplinare; Ritenuto, innanzitutto che nel caso di specie sussista il carattere della «rilevanza» della questione nel presente giudizio, che ai sensi dell'art. 23, comma 3, della legge n. 87/1953 costituisce insieme alla «non manifesta infondatezza» della stessa uno dei due requisiti di ammissibilita' della questione incidentale di costituzionalita' di una legge o di un atto avente forza di legge. La rilevanza, infatti, «esprime il rapporto che dovrebbe correre fra la soluzione della questione e la definizione del giudizio in corso» (Corte costituzionale, sentenza n. 13/1965) o «il nesso di pregiudizialita' fra la risoluzione della questione di legittimita' costituzionale e la decisione del caso concreto» (Corte costituzionale sent., n. 77/1983), ragion per cui essa ricorre nella vicenda in esame, dal momento che nel procedimento in oggetto recante N.R.G. 8441/2017, avente ad oggetto azione di responsabilita' civile contro lo Stato per attivita' riferibile ad alcuni Magistrati ordinari (sostituti procuratori e giudici), occorre fare applicazione del disposto dell'art. 9, comma 1, della legge n. 117/1988 come risultante a seguito delle modifiche apportate dalla legge n. 18/2015. Infatti, nella vicenda in esame non e' stata ancora disposta la trasmissione degli atti al Procuratore generale presso la Corte di cassazione ed il sottoscritto, assegnatario del procedimento in epigrafe dal 9 maggio 2019 (a seguito dell'accoglimento da parte del presidente del Tribunale delle istanze di astensione facoltativa dei due precedenti giudici istruttori assegnatari), e' tenuto a provvedervi. Cio' anche considerato che con istanza depositata telematicamente in data 29 marzo 2018 il difensore dell'attore sig. M. P., reiterando la propria richiesta di trasmettere gli atti del presente giudizio al Procuratore generale presso la Corte di cassazione per l'esercizio dell'azione disciplinare ai sensi dell'art. 9, comma 1, della legge n. 117/1988 ha precisato che il rifiuto, l'omissione o il ritardo da parte del giudice investito della controversia di siffatto adempimento, cioe' nel compimento di atti del suo ufficio, costituisce, tra l'altro, diniego di giustizia, ai sensi e per gli effetti dell'art. 3 della legge n. 117 del 1988 e successive modifiche, nonche' «colpa grave» ai sensi e per gli effetti dell'art. 2 della medesima legge, evocando profili di responsabilita' civile, facendo salve tutte le azioni di responsabilita' civile, penale e disciplinare contro il giudice investito della controversia. Di talche', dalla mancata trasmissione degli atti del procedimento recante N.R.G 8441/2017 al Procuratore generale presso la Corte dei cassazione potrebbero derivare, secondo la prospettazione del difensore di parte attrice, conseguenze di tipo civile, disciplinare e penale per il giudice che, investito della controversia di risarcimento dei danni per responsabilita' civile dei magistrati ai sensi della legge n. 117/1988, non provveda alla trasmissione degli atti al Procuratore generale presso la suprema Corte ai sensi dell'art. 9, comma 1, della legge n. 117/1988 come modificato, dalla legge n. 18/2015. Peraltro, come chiarito dalla Corte costituzionale in molteplici pronunce (Corte costituzionale, n. 125/1977; Corte costituzionale, n. 196/1982; Corte costituzionale, n. 18/1989), debbono ritenersi influenti sul giudizio anche le norme che, pur non essendo direttamente applicabili nel giudizio «a quo», attengono allo status del giudice, alla sua composizione nonche', in generale, alle garanzie e ai doveri che riguardano il suo operare. L'eventuale incostituzionalita' di tali norme, infatti, e' destinata ad influire su ciascun processo pendente davanti al giudice del quale regolano lo status, la composizione, le garanzie e i doveri, cioe' la «protezione» dell'esercizio della funzione, nella quale i doveri si accompagnano ai diritti. Alla luce dell'interpretazione del disposto di cui all'art. 9, comma 1, della legge n. 117/1988 di cui sopra, dunque, si dovrebbe addivenire, nel caso di specie, a disporre «sic et simpliciter» la trasmissione degli atti del procedimento in epigrafe al Procuratore generale presso la Corte di cassazione, al fine di consentirgli di esercitare l'azione disciplinare obbligatoria nei confronti dei magistrati i cui atti, comportamenti e provvedimenti hanno dato causa all'azione di responsabilita' civile proposta dal sig. M. P.; Ritenuto, tuttavia, che proprio il fondato dubbio circa la legittimita' costituzionale della norma di cui occorre fare applicazione, cioe' l'art. 9, comma 1, della legge n. 117/1988 come derivante dalle modifiche operate dalla legge n. 18/2015 (abrogazione del positivo superamento del c.d. «filtro di ammissibilita'» quale condizione cui era subordinata la trasmissione degli atti al Procuratore generale presso la Corte di cassazione per l'esercizio disciplinare ed individuazione del «dies ad quem» entro cui esercitare l'azione disciplinare entro due mesi dalla comunicazione degli atti del procedimento da parte del Tribunale) abiliti il giudice che e' chiamato a farne applicazione a sollevare la relativa questione; Ritenuto che nella fattispecie in esame sussista anche il requisito della «non manifesta infondatezza» della questione. L'art. 9, comma 1, della legge n. 117/1988 secondo l'interpretazione che di esso e' possibile dare alla luce delle modifiche normative operate per effetto degli articoli 3, comma 2 (laddove ha disposto la soppressione del c.d. «filtro di ammissibilita'» e, di conseguenza, la trasmissione obbligatoria degli atti del procedimento al Procuratore generale presso la Corte di cassazione per l'esercizio dell'azione disciplinare solo in caso di positivo superamento dello scrutinio circa l'ammissibilita' dell'azione risarcitoria) e 6, comma 1 (laddove ha espunto, il richiamo al limite di due mesi per l'esercizio dell'azione disciplinare da parte del Procuratore generale presso la Corte di cassazione, decorrente dal provvedimento di ammissibilita' dell'azione risarcitoria e dalla comunicazione degli atti del procedimento) della legge n. 18 del 27 febbraio 2015 appare porsi in frizione con gli articoli 3 - «sub specie» di irragionevolezza e disparita' di trattamento - 101, comma 2, 104, comma 1 e 108 della Costituzione; Ritenuto che l'art. 9, comma 1, della legge n. 117/1988 interpretato nei termini di cui sopra si ponga innanzitutto in contrasto con l'art. 3 della Costituzione, sotto forma di violazione del canone di irragionevolezza e disparita' di trattamento. L'art. 9, comma 1, della legge n. 117/1988, come risultante dall'interpretazione che si impone a seguito della soppressione del c.d. «filtro di ammissibilita'» dell'azione risarcitoria e della modificazione del comma 1 dell'art. 9 stesso, infatti, appare irragionevole laddove impone, sempre e comunque, al Tribunale investito della cognizione dell'azione di responsabilita' civile dei magistrati, di trasmettere immediatamente, per il solo fatto della proposizione della domanda attorea, gli atti al Procuratore generale presso la Corte di cassazione, senza alcun possibile vaglio preventivo circa l'ammissibilita' dell'azione di risarcimento del danno e, di conseguenza, dell'esercizio dell'azione disciplinare da parte del Procuratore generale presso la Corte di cassazione. Questo giudice non ignora che con la sentenza n. 164 del 3 aprile 2017 (depositata il 12 luglio 2017) il giudice delle leggi ha respinto le questioni di legittimita' costituzionale sollevate in relazione a possibili profili di incostituzionalita' della legge n. 117/1988 come modificata dalla legge n. 18/2015, ed in particolare laddove ha soppresso il c.d. «filtro di ammissibilita'» precedentemente previsto dall'art. 5 (poi abrogato), sulla base del ragionamento per cui, in buona sostanza, al fine di realizzare l'equo contemperamento tra i due interessi contrapposti consistenti da un lato nel diritti del soggetto ingiustamente danneggiato da un provvedimento giudiziario ad ottenere il risarcimento del danno, e dall'altro nella salvaguardia delle funzioni giudiziarie da possibili condizionamenti, a tutela dell'indipendenza e dell'imparzialita' della magistratura «Non e' costituzionalmente necessario, infatti, che, per bilanciare i contrapposti interessi di cui si e' detto, sia prevista una delibazione preliminare dell'ammissibilita' della domanda contro lo Stato, quale strumento, indefettibile di protezione dell'autonomia e dell'indipendenza della magistratura. Tale esigenza puo' essere infatti soddisfatta dal legislatore per altra via: cio' e' quanto accaduto con la legge n. 18 del 2015, per un verso mediante il mantenimento del divieto dell'azione diretta contro il Magistrato e con la netta separazione dei due ambiti di responsabilita', dello Stato e del giudice; per un altro, con la previsione di presupposti autonomi e piu' restrittivi per la responsabilita' del singolo Magistrato, attivabile, in via di rivalsa, solo se e dopo che lo Stato sia rimasto soccombente nel giudizio di danno; per un altro ancora, tramite il mantenimento di un limite della misura della rivalsa». Tuttavia, il ragionamento della Corte costituzionale in merito all'abolizione del c.d. «filtro di ammissibilita'» di cui all'art. 5 della legge n. 117/1988 abrogato per effetto della legge n. 18/2015 in relazione all'esercizio dell'azione di responsabilita' civile e, corrispondentemente, del venir meno della rilevanza della favorevole delibazione dell'ammissibilita' della domanda attorea quale condizione cui la previgente formulazione dell'art. 9, comma 1, della legge n. 117/1988 subordinava l'obbligo del Tribunale di trasmettere gli atti del procedimento al Procuratore generale presso la Corte di cassazione affinche' esercitasse l'azione disciplinare, obbligatoria, nei confronti dei magistrati ordinari, non appare estensibile anche all'obbligatorieta' dell'azione disciplinare ai sensi dell'art. 9, comma 1, della legge n. 117/1988, rispetto alla quale e' funzionale la trasmissione, immediata, degli atti del procedimento risarcitorio ad opera del giudice «a quo». Vale a dire che se per la Corte costituzionale l'abolizione del c.d. «filtro di ammissibilita'» in passato previsto dall'art. 5 della legge n. 117/1988 al fine di evitare l'intrapresa di azioni giudiziarie infondate nei confronti dei magistrati e di non comprometterne la serenita' nell'espletamento della loro funzione si giustifica nell'ottica di assicurare l'effettivita' della tutela giurisdizionale per il cittadino che assuma di essere leso dall'attivita' del Magistrato, anche al fine di garantire la primazia del diritto dell'Unione europea, non e', tuttavia, possibile rinvenire una medesima «ratio» anche per l'esercizio obbligatorio dell'azione disciplinare nei confronti dei magistrati, rispetto alla quale e' funzionale la trasmissione, obbligatoria, immediata ed incondizionata, degli atti del procedimento da parte del Tribunale al Procuratore generale presso la Corte di cassazione. Rispetto all'azione disciplinare obbligatoria esercitata dal Procuratore generale presso la Corte di cassazione quale conseguenza, sempre e comunque, della mera proposizione dell'azione di risarcimento dei danni ai sensi della legge n. 117/1988 - per effetto dell'intervento novellistico della legge n. 18/2015 - infatti, non viene in gioco alcuna necessita', di rilevanza costituzionale, di assicurare il diritto di difesa e l'effettivita' della tutela giurisdizionale in capo al cittadino che si assuma danneggiato per effetto dell'attivita' del Magistrato, posto che la responsabilita' disciplinare riguarda il rapporto di impiego sussistente tra lo Stato ed il Magistrato e la violazione degli obblighi funzionali del Magistrato quale dipendente-lavoratore, rimanendo ad essa del tutto estranea ed indifferente la posizione del cittadino che abbia proposto l'azione risarcitoria; quest'ultimo, infatti, non persegue alcun vantaggio ne' dall'esercizio dell'azione disciplinare nei confronti del Magistrato per i fatti per i quali ha proposto domanda di risarcimento dei danni, ne' tantomeno dall'eventuale comminatoria di una sanzione disciplinare. Appare dunque irragionevole l'art. 9, comma 1, della legge n. 117/1988 secondo l'interpretazione derivante a seguito delle modifiche apportate dall'art. 3, comma 2 e 6, comma 1, della legge n. 18/2015 laddove impone la trasmissione immediata, sempre e comunque, degli atti al Procuratore generale presso la Corte di cassazione da parte del Tribunale investito dell'azione di risarcimento danni proposta da chi si assume danneggiato, in quanto tale meccanismo non appare sorretto da alcuna ragione giustificatrice, di carattere razionale o giuridico. L'irragionevolezza della disposizione in esame, oltre che per una carenza di «ratio» della scelta legislativa, appare sussistere anche per altre quattro ragioni. In primo luogo l'intervento novellatore della legge n. 18/2015, laddove fa sorgere l'obbligo per il Tribunale di trasmettere immediatamente gli atti del procedimento al Procuratore generale presso la Corte di cassazione per i fatti che hanno dato luogo all'azione risarcitoria - e, dunque, l'obbligo per il P.G. di esercitare l'azione disciplinare - appare irragionevole laddove modifica sensibilmente la disciplina della responsabilita' disciplinare dei magistrati, ancorche' con essa il legislatore avesse di mira il solo obiettivo di disciplinare, sia pure in termini piu' rigorosi, i rapporti risarcitori intercorrenti tra lo Stato ed i cittadini. La legge n. 18/2015, infatti, e' diretta, in particolare, a dare seguito alle pronunce «Traghetti del Mediterraneo» del 13 giugno 2006 e del 24 novembre 2011 con cui la Corte di giustizia dell'Unione europea (CGUE) ha condannato l'Italia per violazione degli obblighi di adeguamento dell'ordinamento interno al principio generale di responsabilita' degli Stati membri dell'Unione europea, in caso di violazione del diritto dell'Unione da parte di uno dei propri organi giurisdizionali di ultimo grado. Secondo la CGUE, infatti, due profili della legge n. 117/1988 si ponevano in frizione con il diritto dell'Unione europea, da un lato l'esclusione della possibilita' di un danno risarcibile causato da un giudice per interpretazioni di norme di diritto o per valutazioni di fatti e prove, dall'altro che in casi diversi dall'interpretazione di norme di diritto o dalla valutazione di fatti e di prove, possano essere imposti, por la concretizzazione della responsabilita' dei giudici, «requisiti piu' rigorosi di quelli derivanti dalla condizione di una manifesta violazione del diritto vigente». Il risultato cui la modifica dell'art. 9, comma 1, della legge n. 117/1988 operata con legge n. 18/2015 conduce e' dunque irragionevole laddove, esorbitando le finalita' della legge di riforma della responsabilita' civile dei magistrati, finisce per mutare il quadro normativo della responsabilita' disciplinare degli stessi. Il secondo profilo di irragionevolezza consiste nel fatto che, cosi' come interpretato, l'art. 9, comma 1, della legge n. 117/1988 individua una sorta di pregiudizialita' dell'azione di responsabilita' civile rispetto a quella «disciplinare», ponendosi la prima quale antecedente logico-giuridico della seconda, e cio' in aperto contrasto con il dato normativo dell'art. 9, comma 2, della legge n. 117/1988 che prevedendo che «Gli atti del giudizio disciplinare possono essere acquisiti, su istanza di parte o d'ufficio, nel giudizio di rivalsa», consente una qualche incidenza del giudizio disciplinare in quello di responsabilita' civile - sia pure in sede di rivalsa - e non il contrario (cioe' degli atti del procedimento civile in sede disciplinare), di talche' il legislatore del 2015 avrebbe realizzato un'inversione logica tra i due procedimenti. In terzo luogo la norma «de qua» appare irragionevole laddove, prevedendo un obbligo generalizzato di trasmissione degli atti da parte del Tribunale al Procuratore generale presso la Corte di cassazione per il solo fatto della proposizione dell'azione risarcitoria, determina un vistoso contrasto con il principio generale di autonomia tra responsabilita' civile e disciplinare sancito chiaramente dall'art. 20 del decreto legislativo n. 109/2006 e dall'art. 6, comma 2, della legge n. 117/1988 secondo cui la «decisione pronunciata nel giudizio promosso contro lo Stato... non fa stato nel procedimento disciplinare». In quarto luogo, poi, l'art. 9, comma 1, della legge n. 117/1988 come sopra interpretato si pone altresi' in contrasto con il principio di tipicita' degli illeciti disciplinari «funzionali», cioe' commessi dai magistrati nell'esercizio delle funzioni, al di fuori dell'esercizio delle funzioni e conseguenti a reato, che ai sensi degli articoli 2, 3 e 4 del decreto legislativo n. 109/2006 costituiscono un «numerus clausus», laddove la trasmissione degli atti del giudizio di responsabilita' civile al Procuratore generale presso la Corte di cassazione per l'esercizio obbligatorio dell'azione disciplinare per il semplice fatto della proposizione dell'azione risarcitoria finisce, in aperta controtendenza con la scelta sottesa al decreto legislativo n. 109/2006 di tipizzazione degli illeciti disciplinari, per dare vita ad un illecito disciplinare processuale a carattere «atipico», dalla portata potenzialmente illimitata derivante dalla mera proposizione della domanda giudiziale di risarcimento danni, che finisce per svuotare di significato le norme sugli illeciti disciplinari tipici. Inoltre la disposizione di cui all'art. 9, comma 1, della legge n. 117/1988 appare violato l'art. 3 della Costituzione anche sotto il versante della disparita' di trattamento. Ai sensi dell'art. 14, comma 1, del decreto legislativo n. 109/2006, infatti, «L'azione disciplinare e' promossa entro un anno dalla notizia del fatto, della quale il Procuratore generale presso la Corte di cassazione ha conoscenza a seguito dell'espletamento di sommarie indagini preliminari o di denuncia circostanziata o di segnalazione del Ministro della giustizia. La denuncia e' circostanziata quando contiene tutti gli elementi costitutivi di una fattispecie disciplinare. In difetto di tali elementi, la denuncia non costituisce notizia di rilievo disciplinare». Orbene, laddove si dovesse fare applicazione dell'art. 9, comma 1, della legge n. 117/1988 che impone al Tribunale investito dell'azione risarcitoria di trasmettere automaticamente, sempre e comunque, gli atti del procedimento al Procuratore generale presso la Corte di cassazione, sottoponendo a sua volta quest'ultimo all'obbligo di esercitare l'azione disciplinare per i fatti che hanno dato causa all'azione di risarcimento, si finirebbe per imporre l'esercizio dell'azione disciplinare ancorche' non sussistano gli estremi di una «denuncia circostanziata» in base all'art. 14, comma 1, del decreto legislativo n. 109/2006; per il solo fatto che e' stata proposta azione di risarcimento dei danni per responsabilita' dei magistrati. Possibilita', questa, resa ancora piu' concreta dall'abolizione del c.d. «filtro di ammissibilita'» dell'azione risarcitoria, che implicando una valutazione «ex ante» e prognostica sulla possibile fondatezza della domanda attorea, svolgeva altresi' una importante funzione di «filtro» di possibili notizie di illeciti disciplinari, essendo prima della legge n. 18/2015 la trasmissione degli atti al Procuratore generale subordinata proprio all'esito positivo del giudizio di ammissibilita'; Ritenuto che l'art. 9, comma 1, della legge n. 117/1998 secondo l'unica interpretazione che pare possibile fornire a tale norma si ponga altresi' in contrasto con gli articoli 101, comma 2, 104, comma 1 e 108 della Costituzione. Infatti, l'obbligo di trasmissione degli atti del procedimento relativo all'azione di responsabilita' civile dei magistrati al Procuratore generale, con conseguente insorgenza dell'obbligo per quest'ultimo di esercitare l'azione disciplinare per i fatti che hanno dato vita alla domanda risarcitoria costituisce, a parere di questo giudice, uno strumento in grado di incidere in termini negativi sull'attivita' giurisdizionale e, in particolare, di pregiudicare la soggezione del giudice soltanto alla legge (art. 101, comma 2, della Costituzione) e di lederne le prerogative di autonomia, indipendenza, terzieta' ed imparzialita' che la Carta costituzionale riconosce alla magistratura non gia' quali privilegi, bensi' quali guarentigie per il sereno e corretto svolgimento della funzione giurisdizionale. Proprio la Corte costituzionale con la recente sentenza n. 164/2017 ha evidenziato come in una precedente occasione - in particolare con la pronuncia n. 18 del 1989 - essa avesse ritenuto che l'esistenza del c.d. «filtro di ammissibilita'» rispetto all'azione: risarcimento dei danni proposta dal cittadino costituisse una «garanzia adeguata» per evitare di compromettere «l'imparzialita' della magistratura, con l'attribuire alle parti uno strumento di pressione idoneo ad influenzarne le decisioni». Orbene, in ordine all'obbligatorieta' della trasmissione degli atti del procedimento di responsabilita' civile da parte del Tribunale quale effetto naturale ed automatico della proposizione dell'azione di risarcimento dei danni ai sensi della legge n. 117/1988 ed alla conseguente obbligatorieta' dell'esercizio dell'azione disciplinare da parte del Procuratore generale presso la Corte di cassazione per tali fatti, appare a questo giudice che tale meccanismo sia in grado di integrare uno strumento di pressione di cui soggetti che si assumono danneggiati possono disporre in modo disinvolto, idoneo ad influenzare le decisioni del Magistrato, cosi' compromettendone sensibilmente la serenita' e, di conseguenza, la posizione di autonomia, indipendenza, terzieta' ed imparzialita' che la Costituzione riconosce all'ordinamento giudiziario. Attraverso le modifiche della legge n. 117/1988 - consistenti in buona sostanza per cio' che rileva in questa sede, negli effetti che l'abolizione del c.d. «filtro di ammissibilita' produce sull'obbligo di trasmissione ed opera del giudice «a quo» degli atti del procedimento risarcitorio al Procuratore generale presso la Corte di cassazione affinche' eserciti l'azione disciplinare obbligatoria nei confronti del Magistrato i cui atti comportamenti e provvedimenti si assume abbiano danneggiato la parte attrice e di cui questa si duole nel giudizio di risarcimento dei danni - infatti si perviene al risultato per cui la parte del giudizio, che ben puo' essere eventualmente ancora pendente (posto che l'eliminazione del c.d. «filtro di ammissibilita'» impone al Tribunale investito della controversia risarcitoria di istruirla e trattarla, ancorche' non siano stati esauriti i gradi di giudizio ed esperiti i rimedi ordinari ai sensi dell'art. 4, comma 2, della legge n. 117/1988, non potendone quindi dichiararne piu' immediatamente l'inammissibilita' nello scrutino endoprocessuale di ammissibilita') proponendo azione di risarcimento del danno nei confronti dello Stato per l'attivita' del Magistrato, di fatto, finisce per coinvolgerlo non solo in un'azione di responsabilita' civile (connessa all'esercizio discrezionale del diritto di difesa ad opera della parte), ma anche ad un procedimento di tipo disciplinare - a prescindere dalla fondatezza o infondatezza dell'azione risarcitoria -, a carattere obbligatorio, cosi' esponendolo al rischio della possibile comminatoria di sanzioni disciplinari di carattere afflittivo, con un meccanismo che non appare piu' in grado di garantire il giudice dalla proposizione di «azioni infondate che possano turbarne la serenita' impedendo al tempo stesso di creare con malizia i presupposti per l'astensione e, la ricusazione» (Corte costituzionale, n. 18/1989 e n. 468/1990). L'azione di responsabilita' civile, infatti, per quanto possa essere infondata, porta per cio' solo, stante la sua proposizione e pendenza, l'obbligo di trasmettere gli atti del relativo giudizio risarcitorio al Procuratore generale presso la Corte di cassazione e l'obbligo, per quest'ultimo, di esercitare la doverosa azione disciplinare. Cio', del resto, anche considerato che la Corte costituzionale con la sentenza n. 164/2017 ha stabilito che il nuovo sistema della responsabilita' civile dei magistrati derivante dalla legge n. 18/2015 a seguito della soppressione del c.d. «filtro di ammissibilita'» non viola i principi di autonomia, indipendenza, imparzialita' e terzieta' del giudice, atteso che nell'azione di risarcimento dei danni proposta ai sensi della legge n. 117/1988 la serenita' del giudice coinvolto e, dunque, i valori fondamentali di autonomia, indipendenza, imparzialita' e terzieta' dello stesso e' assicurata dalla discrasia tra i soggetti del giudizio (parte che si assume danneggiata e Stato convenuto) e dal mantenimento di un limite della misura di rivalsa. Ebbene, in caso di esercizio obbligatorio dell'azione disciplinare da parte del Procuratore generale presso la Corte di cassazione (obbligatorio a seguito della trasmissione degli atti del procedimento da parte del Tribunale, stante il disposto dell'art. 9, comma 1, della legge n. 117/1988), i presupposti di cui sopra in presenza dei quali l'eliminazione del c.d. «filtro di ammissibilita'» garantisce ancora il giudice da possibili strumenti di pressione non appaiono piu'. sussistere, poiche' l'azione disciplinare e' esercitata nei confronti del giudice stesso (e non dello Stato) e non vi e', logicamente, cosi' come accade nell'azione di rivalsa, alcuno spazio per una limitazione delle conseguenze pregiudizievoli derivanti dall'eventuale comminatoria di sanzioni disciplinari. Una siffatta soluzione, peraltro, appare contrastare con le norme di cui all'art. 101, comma 2 e 104, comma 1, della Costituzione, anche considerato che, a ben vedere, il cittadino che, proponendo l'azione di responsabilita' civile nei confronti dello Stato per il risarcimento dei danni derivanti dall'attivita' dei magistrati determina, per cio' solo, anche l'automatismo dell'esercizio obbligatorio dell'azione disciplinare esercitata dal Procuratore generale presso la Corte di cassazione, non persegue ne' realizza alcun interesse suo proprio dall'esercizio dell'azione disciplinare stessa e, eventualmente, dall'inflizione di una sanzione disciplinare (come invece avviene nel caso di condanna al ristoro dei danni in sede di giudizio civile), di talche' appare evidente che il ricollegarsi alla proposizione dell'azione risarcitoria dell'effetto automatico della trasmissione degli atti del procedimento risarcitorio al Procuratore generale presso la Corte di cassazione e, dunque, l'esercizio dell'azione disciplinare da parte di quest'ultimo, si risolve nell'attribuzione in capo al privato di un singolare ed ingiustificato potere di dare impulso - sempre e comunque -, sia pure per tramite del Tribunale davanti al quale e' proposta la domanda risarcitoria (il quale e' tenuto a provvedere all'immediata trasmissione degli atti al P.G. presso la Suprema Corte) ad un procedimento disciplinare nei confronti del Magistrato i cui atti, comportamenti o provvedimenti si assumono lesivi della sua posizione giuridica. In tal modo, dunque, l'ordinamento finisce per attribuire ad una parte del giudizio la possibilita' di influire indebitamente sul corso del giudizio e/o sulla serenita' del giudice e, quindi, sull'esercizio della funzione giurisdizionale, ponendo in tal modo seriamente a repentaglio le prerogative di autonomia, indipendenza, imparzialita' e terzieta' che la Costituzione ricollega allo svolgimento della funzione giurisdizionale, senza che sia prevista - a differenza di quanto accadeva sotto la vigenza dell'art. 9, comma 1, nella sua formulazione anteriore all'entrata in vigore della riforma operata con la legge n. 18/2015 laddove richiamava il termine di due mesi dalla comunicazione di cui all'art. 5, comma 5, (cioe' il positivo superamento del vaglio di ammissibilita' dell'azione risarcitori) - neanche una preventiva verifica preliminare circa la sua fondatezza. In questo modo, dunque, ha ingresso nell'ordinamento italiano un potere generalizzato del cittadino di dare impulso, mediante la mera proposizione di un'azione risarcitoria, all'esercizio obbligatorio dell'azione disciplinare nei confronti dei magistrati dai cui atti, comportamenti o provvedimenti si assuma leso; Ritenuto che per le ragioni innanzi esposte in questo modo venga violato anche il disposto dell'art. 108 della Costituzione, laddove stabilisce che la legge assicura l'indipendenza dei giudici speciali, poiche' il meccanismo determinato per effetto delle modifiche di cui alla legge n. 18/2015 nel senso di imporre, sempre e comunque, la trasmissione degli atti del procedimento al soggetto titolare dell'azione disciplinare e l'esercizio obbligatorio dell'azione disciplinare riguarda, ai sensi dell'art. 9, comma 1, della legge n. 117/1988, anche i magistrati diversi da quelli ordinari, dunque appartenenti alle magistrature amministrative, contabili, militari e speciali (art. 1, comma 1, legge n. 117/1988), compromettendo in tal modo anche la loro indipendenza, terzieta' ed imparzialita'; Ritenuto, alla luce di quanto innanzi esposto, dunque rilevante e non manifestamente infondata con riferimento gli articoli 3, 101, comma 2, 104, comma 1 e 108 della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 9, comma 1 della legge n. 117 del 13 aprile 1998 cosi' come modificato dall'art. 6, comma 1, della legge n. 18 del 27 febbraio 2015, nonche' per effetto dell'art. 3, comma 2, della stessa legge laddove ha abolito il c.d. «filtro di ammissibilita'», imponendo al Tribunale investito dell'azione di risarcimento dei danni nei confronti dello Stato per la responsabilita' dei magistrati di trasmettere immediatamente, per il solo fatto della proposizione della domanda giudiziale, sempre e comunque, gli atti del procedimento al Procuratore generale presso la Corte di cassazione, determinando cosi' l'obbligo per quest'ultimo di esercitare, nei confronti dei magistrati i cui atti, comportamenti e provvedimenti si assumono forieri di danno, l'azione disciplinare, per i fatti che hanno dato luogo alla proposizione della domanda risarcitoria; Rilevato che ai sensi dell'art. 23, comma 2, della legge n. 87/1953, la sottoposizione dell'incidente di costituzionalita' innanzi alla Corte costituzionale determina «ex lege» la sospensione del processo in corso;
P. Q. M. 1) Dichiara rilevante e non manifestamente infondata, con riferimento gli articoli 3, 101, comma 2, 104, comma 1 e 108 della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 9, comma 1 della legge n. 117 del 13 aprile 1998 cosi' come modificato dall'art. 6, comma 1, della legge n. 18 del 27 febbraio 2015; 2) Dispone la immediata trasmissione degli atti del procedimento e della presente ordinanza alla Corte costituzionale; 3) Sospende il giudizio; 4) Manda alla cancelleria per la notificazione del presente provvedimento alle parti costituite ed al Presidente dei Consiglio dei ministri, nonche' per la sua comunicazione al Presidente della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Salerno, 29 giugno 2020 Il Giudice: Caputo In caso di diffusione, pubblicazione o riproduzione del presente provvedimento, si omettano le generalita' e gli altri dati identificativi delle parti a norma dell'art. 52 del decreto legislativo n. 196/2003.