N. 213 SENTENZA 22 settembre - 14 ottobre 2020

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Pensioni - Trattamento pensionistico  di  anzianita'  -  Requisiti  -
  "Inoccupazione" alla  data  della  presentazione  della  domanda  -
  Denunciata   violazione   del   principio   di   ragionevolezza   -
  Inammissibilita' della questione. 
- Legge 30 aprile 1969, n. 153, art. 22,  primo  comma,  lettera  c);
  decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503,  art.  10,  comma  6;
  legge 23 dicembre 1996, n. 662, art. 1, comma 189. 
- Costituzione, art. 3. 
(GU n.43 del 21-10-2020 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Mario Rosario MORELLI; 
Giudici :Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana  SCIARRA,  Daria
  de PRETIS, Nicolo' ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio  BARBERA,
  Giulio  PROSPERETTI,  Giovanni  AMOROSO,  Francesco  VIGANO',  Luca
  ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  2  (recte:
22), primo comma, lettera c), della legge  30  aprile  1969,  n.  153
(Revisione degli ordinamenti pensionistici  e  norme  in  materia  di
sicurezza sociale), dell'art. 10, comma 6, del decreto legislativo 30
dicembre 1992,  n.  503  (Norme  per  il  riordinamento  del  sistema
previdenziale  dei   lavoratori   privati   e   pubblici,   a   norma
dell'articolo 3 della legge 23 ottobre 1992, n. 421) e  dell'art.  1,
comma  189,  della  legge  23  dicembre  1996,  n.  662  (Misure   di
razionalizzazione  della  finanza  pubblica),  promosso  dalla  Corte
d'appello di Torino, sezione lavoro, nel procedimento vertente tra B.
C. e  l'Istituto  nazionale  della  previdenza  sociale  (INPS),  con
ordinanza del  1°  marzo  2019,  iscritta  al  n.  127  del  registro
ordinanze 2019 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 37, prima serie speciale, dell'anno 2019. 
    Visti  l'atto  di  costituzione  dell'INPS,  nonche'  l'atto   di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito nell'udienza pubblica del  22  settembre  2020  il  Giudice
relatore Silvana Sciarra; 
    uditi l'avvocato Antonella Patteri per l'INPS e l'avvocato  dello
Stato Federico Basilica per il Presidente dei Consiglio dei ministri; 
    deliberato nella camera di consiglio del 22 settembre 2020. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza iscritta al registro ordinanze n. 127 del 2019,
la Corte d'appello di  Torino,  sezione  lavoro,  ha  sollevato,  «in
relazione» all'art. 3 della Costituzione, questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 2 (recte:  22),  primo  comma,  lettera  c),
della legge 30 aprile  1969,  n.  153  (Revisione  degli  ordinamenti
pensionistici e norme in materia di sicurezza sociale), dell'art. 10,
comma 6, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503 (Norme  per
il riordinamento del sistema previdenziale dei lavoratori  privati  e
pubblici, a norma dell'articolo 3 della legge  23  ottobre  1992,  n.
421) e dell'art. 1, comma 189, della legge 23 dicembre 1996,  n.  662
(Misure di razionalizzazione della finanza pubblica). 
    La prima delle disposizioni censurate e'  collocata  nella  parte
della legge n. 153 del 1969 che detta la «Disciplina del cumulo della
pensione con la retribuzione» (artt. 20-22). Essa,  nel  riferirsi  a
coloro che risultano «iscritti alle  assicurazioni  obbligatorie  per
l'invalidita',  la  vecchiaia  ed   i   superstiti   dei   lavoratori
dipendenti, dei  lavoratori  delle  miniere,  cave  e  torbiere,  dei
coltivatori diretti, mezzadri  e  coloni,  degli  artigiani  e  degli
esercenti attivita' commerciali», sottopone il diritto alla  pensione
alla condizione che tali soggetti «non prestino attivita'  lavorativa
subordinata alla data della presentazione della domanda di pensione». 
    La seconda  delle  disposizioni  censurate  e'  stata  introdotta
dall'art.  11,  comma  9,  della  legge  24  dicembre  1993,  n.  537
(Interventi correttivi di finanza pubblica). Tale  disposizione,  nel
dettare la disciplina del «cumulo tra pensioni e  redditi  da  lavoro
dipendente ed autonomo», ha stabilito quanto segue: «Le  pensioni  di
anzianita'  a  carico  dell'assicurazione  generale  dei   lavoratori
dipendenti e delle forme di essa sostitutive, nonche'  i  trattamenti
anticipati di anzianita' delle forme esclusive con  esclusione  delle
eccezioni di cui all'articolo 10 del decreto-legge 28 febbraio  1986,
n. 49, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 aprile 1986,  n.
120, in relazione alle quali trovano applicazione le disposizioni  di
cui ai commi 1, 3 e 4 del presente articolo, non sono cumulabili  con
redditi da lavoro dipendente nella loro interezza, e con i redditi da
lavoro autonomo nella misura per essi prevista al comma 1 ed il  loro
conseguimento  e'  subordinato  alla  risoluzione  del  rapporto   di
lavoro». 
    La terza delle disposizioni censurate ha stabilito quanto  segue:
«Con effetto sui trattamenti liquidati dalla data  di  cui  al  comma
185, le pensioni di anzianita' a carico  dell'assicurazione  generale
obbligatoria  dei  lavoratori  dipendenti  e  delle  forme  di   essa
sostitutive, nonche' i trattamenti  anticipati  di  anzianita'  delle
forme esclusive della medesima, non  sono  cumulabili,  limitatamente
alla quota liquidata con  il  sistema  retributivo,  con  redditi  da
lavoro di qualsiasi natura e il  loro  conseguimento  e'  subordinato
alla  risoluzione  del  rapporto  di  lavoro.  A  tal  fine   trovano
applicazione le disposizioni di cui ai commi 3, 4, e 7  dell'articolo
10 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n.  503.  Ai  lavoratori
che alla data del 30 settembre 1996 sono titolari di pensione, ovvero
che hanno raggiunto il requisito contributivo di 36 anni o quello  di
35 anni, quest'ultimo unitamente a  quello  anagrafico  di  52  anni,
continuano ad applicarsi  le  disposizioni  di  cui  alla  previgente
normativa. Il regime previgente  continua  ad  applicarsi  anche  nei
confronti di coloro che si pensionano con 40  anni  di  contribuzione
ovvero    con    l'anzianita'    contributiva    massima     prevista
dall'ordinamento di appartenenza, nonche' per  le  eccezioni  di  cui
all'articolo  10  del  decreto-legge  28  febbraio   1986,   n.   49,
convertito, con modificazioni, dalla legge 18 aprile 1986, n. 120». 
    2.- In punto di fatto, il giudice rimettente riferisce  di  dover
giudicare sull'appello presentato contro la  sentenza  del  Tribunale
ordinario di Torino n. 1382 del 17 luglio 2017. 
    In primo grado, B. C. aveva proposto  ricorso  contro  l'Istituto
nazionale della previdenza sociale (INPS), deducendo di essere  stato
dipendente della  Sitfa  spa  dal  1968  e  di  essersi  dimesso  con
decorrenza 31 dicembre 2007.  Successivamente  -  come  riferisce  il
giudice rimettente - egli aveva iniziato, con la  medesima  societa',
un nuovo rapporto di lavoro a tempo parziale con decorrenza 7 gennaio
2008 e cessazione in data  26  aprile  2012.  A  seguito  di  domanda
presentata in data 28 gennaio 2008, l'INPS gli aveva  corrisposto  la
pensione di anzianita' con decorrenza 1° febbraio 2008.  Tuttavia,  a
seguito di ulteriore domanda presentata in  data  25  maggio  2012  -
volta a ottenere la  liquidazione  del  supplemento  di  pensione  in
ragione del lavoro prestato tra il 7 gennaio 2008 e il 25 aprile 2012
- l'INPS, con comunicazioni del 4 aprile 2014 e del 6 maggio 2016, ha
chiesto la restituzione della somma  di  euro  278.781,87,  assumendo
l'indebita percezione della pensione a partire dal 1°  febbraio  2008
«in quanto la  pensione  di  anzianita'  non  spettava  "per  mancata
cessazione dell'attivita' lavorativa"». 
    B. C., pertanto, nel dedurre il suo «buon diritto a percepire  il
citato trattamento pensionistico, cumulabile con i redditi da lavoro,
nonche'  l'illegittimita'  della  richiesta  di  ripetizione,   anche
derivante dall'applicabilita' dell'art. 13 L. 412/91», ha  chiesto  -
previo accertamento dell'infondatezza della pretesa  dell'INPS  -  la
condanna  dell'Istituto  alla  restituzione  dei  ratei  di  pensione
trattenuti dal mese di luglio 2016 e non corrisposti. 
    Con la sentenza appellata, il Tribunale di Torino ha respinto  le
domande proposte dal B. C., il  quale  ha  quindi  proposto  appello,
chiedendo la riforma della sentenza di  primo  grado.  L'INPS  si  e'
costituito nel giudizio di appello, chiedendone la reiezione. 
    2.1.- Cio'  premesso,  la  Corte  d'appello  di  Torino  solleva,
d'ufficio, questione di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  22,
primo comma, lettera c), della legge n. 153 del 1969, «nella parte in
cui prevede, come requisito di accesso alla pensione  di  anzianita',
che gli assicurati "non  prestino  attivita'  lavorativa  subordinata
alla data di presentazione della domanda di pensione"», nonche' delle
norme successive (art. 10, comma 6, del d.lgs. n. 503 del 1992 e art.
1, comma 189, della legge n. 662  del  1996)  «che  ribadiscono  tale
condizione». 
    2.1.1.- In punto di rilevanza, il  giudice  rimettente  evidenzia
che la richiesta di ripetizione avanzata dall'INPS nei  confronti  di
B.  C.  e'  basata  proprio  sull'(assenza  del)  requisito  indicato
dall'art. 22, primo comma, lettera c), della legge n. 153  del  1969.
Tale  requisito  e'  poi  ribadito  dalle  altre   due   disposizioni
sottoposte al vaglio di questa Corte. 
    Si tratterebbe, secondo il rimettente, di disposizioni  tutt'oggi
in vigore. La tesi della loro «eventuale  abrogazione»,  per  effetto
del  successivo  «sviluppo  normativo»  in  materia  di  cumulo   tra
trattamento  pensionistico  e  redditi  da  lavoro,   sarebbe   stata
sconfessata  dalla  giurisprudenza   della   Corte   di   cassazione,
sviluppatasi dal 1984  e  fino  ai  giorni  nostri,  secondo  cui  il
requisito  dell'inoccupazione  avrebbe  tuttora  natura  di  elemento
costitutivo del diritto alla pensione di anzianita'. 
    Nel caso di specie, al  momento  della  domanda  di  pensione  di
anzianita' (28 gennaio 2008) l'assicurato aveva risolto il precedente
rapporto di lavoro, ma aveva gia' avviato il nuovo rapporto di lavoro
subordinato, con decorrenza dal 7 gennaio 2008. 
    Secondo  il  giudice  rimettente,  pertanto,  non  poteva  essere
riconosciuto il suo diritto alla pensione di anzianita', poiche'  non
sussisteva il requisito dello stato di inoccupazione. 
    2.1.2.- Quanto alla non  manifesta  infondatezza,  il  rimettente
osserva quanto segue. 
    Le  disposizioni  relative  al  requisito   della   inoccupazione
«rispondevano  alla  ratio  di  "manifestare"  lo  stato  di  bisogno
dell'assicurato» e sono state introdotte in un momento in cui  vigeva
«un rigido divieto di cumulo tra il trattamento di  anzianita'  e  le
retribuzioni derivanti da rapporti di lavoro subordinato». 
    Successivamente,  il  quadro  normativo   sarebbe   «radicalmente
mutato». A partire dall'art. 72, comma 1,  della  legge  23  dicembre
2000, n. 388, recante «Disposizioni per la  formazione  del  bilancio
annuale  e  pluriennale  dello  Stato  (legge   finanziaria   2001)»,
sarebbero  state  introdotte   «disposizioni   che   progressivamente
approdano alla previsione  di  totale  cumulabilita'  delle  pensioni
dirette di anzianita' a carico  dell'AGO  con  i  redditi  da  lavoro
dipendente». Il rimettente richiama, al  riguardo,  l'art.  44  della
legge  27  dicembre  2002,  n.  289,  recante  «Disposizioni  per  la
formazione del bilancio annuale  e  pluriennale  dello  Stato  (legge
finanziaria 2003)», e l'art. 19 del decreto-legge 25 giugno 2008,  n.
112   (Disposizioni   urgenti   per   lo   sviluppo   economico,   la
semplificazione, la competitivita', la stabilizzazione della  finanza
pubblica   e   la   perequazione   tributaria),    convertito,    con
modificazioni, in legge 6 agosto 2008, n. 133. 
    Tale evoluzione normativa avrebbe incidenza nella fattispecie per
cui e' causa. 
    Ancor prima di iniziare il nuovo rapporto di  lavoro  subordinato
con la propria societa' datrice di lavoro, B. C. aveva  maturato,  ai
sensi dell'art. 44 della  legge  n.  289  del  2002,  «una  posizione
contributiva tale da poter fruire del regime di totale  cumulabilita'
tra redditi da  lavoro  dipendente  e  pensione  di  anzianita'».  Il
rimettente sostiene che «se avesse presentato la domanda di  pensione
nell'intervallo temporale,  anche  minimo,  tra  la  risoluzione  del
precedente rapporto di lavoro con  la  Sitfa  e  l'instaurazione  del
successivo, l'Inps avrebbe riconosciuto il diritto alla  pensione  di
anzianita' e l'assicurato avrebbe potuto fruire del regime di  totale
cumulabilita'». 
    Apparirebbe «ormai priva di  ragionevolezza»  la  permanenza  del
requisito dello stato di inoccupazione al momento della presentazione
della domanda di pensione. Le  previsioni  normative  che  richiedono
tale  requisito  non  sarebbero  piu'  sorrette,   a   giudizio   del
rimettente, «dalla ratio  consistente  nello  stato  di  bisogno  che
giustifica l'erogazione del trattamento». 
    3.- Con atto depositato il 1°  ottobre  2019  e'  intervenuto  il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato. 
    La difesa erariale, preliminarmente, eccepisce l'inammissibilita'
della questione sotto due distinti profili. 
    In primo luogo, la questione sarebbe  inammissibile  per  mancata
completa  ricostruzione  del   quadro   normativo   di   riferimento.
L'ordinanza di rimessione si sarebbe limitata «a una serie  di  brevi
richiami ad alcune  delle  previsioni  intervenute  nel  tempo  sulla
materia», senza tuttavia offrirne una ricostruzione organica e  senza
coglierne l'«effettiva ratio». 
    In secondo luogo,  l'inammissibilita'  deriverebbe  «dall'estrema
genericita'» delle argomentazioni spese per sostenere  la  violazione
dell'art. 3 Cost. e del principio di ragionevolezza. Tale  violazione
sarebbe «affermata in modo apodittico  ed  immotivato»,  senza  alcun
vaglio delle ragioni  sottese  all'evoluzione  del  quadro  normativo
(«peraltro neppure individuato nella completezza delle previsioni via
via introdotte»). In sostanza, secondo l'Avvocatura dello  Stato,  la
questione cosi' sollevata finirebbe «per lamentare  indirettamente  -
come violazione dei parametri  costituzionali  -  la  stessa  mancata
declaratoria di retroattivita' delle previsioni che sarebbero  venute
ad elidere il divieto di cumulo tra pensione di  anzianita'  e  altri
redditi da lavoro dipendente e che  -  conseguentemente  -  avrebbero
eliminato  lo  stato  di  inoccupazione  dai   presupposti   per   il
riconoscimento del trattamento pensionistico». 
    Nel merito, peraltro, la questione sarebbe infondata. 
    L'ordinanza di rimessione  confonderebbe  due  distinti  profili:
l'uno, sostanziale, concernente il divieto di cumulo tra pensione  di
anzianita' e reddito  da  lavoro;  l'altro,  formale,  che  individua
l'inoccupazione quale requisito  per  la  domanda  di  riconoscimento
della pensione di anzianita'. 
    Quanto al primo dei due profili, il giudice a quo ometterebbe  di
confrontarsi con un «dato essenziale», costituito dal  passaggio  dal
sistema "retributivo" a quello "contributivo". Non sarebbe affrontato
il tema del bilanciamento, da parte del legislatore, di  contrapposte
esigenze economiche e sociali, anche in relazione  alle  «contingenti
emergenze finanziarie», evocate dalla  giurisprudenza  costituzionale
(sono richiamate le sentenze n. 241 del 2016 e n.  416  del  1999  di
questa Corte). 
    Quanto al secondo profilo - definito come «autonomo» rispetto  al
primo -  l'Avvocatura  richiama  la  giurisprudenza  della  Corte  di
cassazione (citata anche dal rimettente) secondo cui  il  trattamento
pensionistico  di  anzianita'  e'  subordinato  alla  condizione   di
cessazione dell'attivita' lavorativa alla data di presentazione della
domanda. Proprio la mancanza di tale requisito  comporterebbe,  nella
fattispecie sottoposta al giudizio del  rimettente,  l'impossibilita'
di   riconoscere   il   diritto   all'erogazione   del    trattamento
pensionistico.  In  tale   prospettiva,   risulterebbe   «addirittura
irrilevante»  la  questione  di  costituzionalita'  sul  cumulo   tra
pensione  e  reddito  da  lavoro,  questione  che   potrebbe   essere
affrontata «solo dopo aver superato il preliminare profilo  "formale"
della sussistenza del diritto alla pensione». 
    4.- Con atto depositato il 1° ottobre 2019, si e'  costituito  in
giudizio l'INPS, parte appellata nel giudizio a quo, concludendo  per
l'infondatezza della questione di costituzionalita'. 
    L'INPS, preliminarmente, precisa  che  l'art.  22,  primo  comma,
lettera c), della legge n. 153 del 1969 e' stato  interpretato  dallo
stesso istituto, in via amministrativa, «nel senso che la  condizione
di non prestare  attivita'  lavorativa  subordinata  deve  sussistere
l'ultimo giorno del mese nel quale e' fatta la domanda». Cio' al fine
di soddisfare l'esigenza del lavoratore  di  mantenere  lo  stipendio
«anche nell'arco di  tempo  tra  la  presentazione  della  domanda  e
l'ultimo giorno del mese per poi passare a godere della pensione  dal
primo giorno del mese successivo». L'INPS aggiunge  che  l'assicurato
puo' presentare domanda di pensione di anzianita' «in un certo giorno
di un certo mese e deve risultare cessato  dall'attivita'  lavorativa
dipendente l'ultimo giorno di quello stesso mese,  per  poi  accedere
alla pensione, da inoccupato, il primo giorno del mese successivo». 
    Sarebbe,  pertanto,  affetta  da  «travisamento»  l'affermazione,
contenuta nell'ordinanza di rimessione, secondo cui, se  l'assicurato
avesse presentato domanda  nel  breve  intervallo  temporale  tra  la
risoluzione del precedente rapporto di lavoro e  l'instaurazione  del
successivo, l'INPS gli avrebbe riconosciuto il diritto alla  pensione
di anzianita' e il regime di totale cumulabilita'. Al contrario, egli
non avrebbe comunque visto garantito quel diritto, «poiche'  lavorava
come dipendente l'ultimo giorno del mese della domanda». 
    Il giudice rimettente non avrebbe tenuto conto  della  differenza
tra accesso a pensione e regime di cumulo  tra  reddito  e  pensione.
L'accesso alla pensione, coerentemente con i principi di cui all'art.
38 Cost., si giustificherebbe in relazione allo «stato  di  bisogno»,
inteso come «la condizione di chi lascia la vita lavorativa». In tale
quadro, la  condizione  della  cessazione  dell'attivita'  di  lavoro
dipendente  sarebbe  «coerente  con  la  natura  della  pensione  che
costituisce l'esito di un rapporto assicurativo  nel  quale  l'evento
tutelato e' proprio la cessazione dal lavoro», e consisterebbe in «un
presupposto destinato ad incidere sul momento genetico del diritto». 
    Ne' vi  sarebbe  alcuna  contraddizione  con  la  disciplina  del
cumulo, attinente al diverso e successivo momento dell'esecuzione del
rapporto obbligatorio gia' sorto. In  tale  frangente  verrebbero  in
rilievo   scelte   di   «politica   previdenziale»   lasciate    alla
discrezionalita' del legislatore, cui spetta stabilire se  affiancare
al requisito dell'inoccupazione (quale condizione per l'accesso  alla
pensione) il divieto  di  cumulo  dei  redditi  percepiti  dopo  tale
accesso. 
    Del resto, consentire l'accesso alla pensione anche a coloro  che
non abbiano cessato la  propria  attivita'  lavorativa  porterebbe  a
«sovvertire  la  funzione   dell'istituto,   sganciandolo   da   ogni
valutazione circa la sua naturale vocazione a sostituire  il  reddito
da lavoro dipendente». 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con l'ordinanza indicata in epigrafe, la Corte  d'appello  di
Torino, sezione lavoro, ha sollevato, in riferimento all'art. 3 della
Costituzione, questione di legittimita'  costituzionale  dell'art.  2
(recte: 22), primo comma, lettera c), della legge 30 aprile 1969,  n.
153 (Revisione degli ordinamenti pensionistici e norme in materia  di
sicurezza sociale), «nella parte in cui prevede che gli iscritti alle
assicurazioni obbligatorie per la  invalidita',  la  vecchiaia  ed  i
superstiti dei lavoratori dipendenti abbiano diritto alla pensione di
anzianita'  a  condizione  che  "non  prestino  attivita'  lavorativa
subordinata  alla  data  della   presentazione   della   domanda   di
pensione"». 
    La Corte rimettente dubita anche  della  costituzionalita'  delle
«norme successive», che «ribadiscono tale condizione», e le individua
nell'art. 10, comma 6, del decreto legislativo 30 dicembre  1992,  n.
503  (Norme  per  il  riordinamento  del  sistema  previdenziale  dei
lavoratori privati e pubblici, a norma dell'articolo 3 della legge 23
ottobre 1992, n. 421), nonche' nell'art. 1, comma 189, della legge 23
dicembre 1996, n. 662  (Misure  di  razionalizzazione  della  finanza
pubblica). 
    Nella  controversia  sottoposta,   in   grado   d'appello,   alla
cognizione del giudice a  quo,  un  lavoratore  dipendente  e'  stato
chiamato in giudizio dall'Istituto nazionale della previdenza sociale
(INPS) per  aver  indebitamente  beneficiato  di  un  trattamento  di
anzianita' erogatogli per quattro anni. 
    Secondo l'INPS, tale erogazione non sarebbe spettata in quanto il
lavoratore, al momento della domanda di pensione, aveva gia'  avviato
- peraltro con lo stesso datore di lavoro  -  un  nuovo  rapporto  di
lavoro, cosi' facendo venir meno il requisito della "inoccupazione". 
    Secondo la Corte rimettente, tale requisito sarebbe in  contrasto
con il principio di ragionevolezza, in  quanto  «non  rispondente  ai
canoni  di  cui  all'art.  3  della  Costituzione».  Esso  e'   stato
introdotto quando vigeva il divieto  di  cumulo  tra  trattamento  di
anzianita' e reddito da lavoro  e  sarebbe  ancora  in  vigore,  come
attestato dalla giurisprudenza  della  Corte  di  cassazione,  intesa
quale «diritto vivente». Tuttavia, il quadro  normativo  sarebbe  poi
radicalmente cambiato, poiche' quel divieto e'  stato  sostituito  da
una  regola  opposta,  che  consente  il  cumulo   tra   pensione   e
retribuzione. Apparirebbe ormai priva di ragionevolezza la perdurante
vigenza del requisito della "inoccupazione", non piu' assistito, come
in origine, dallo stato di bisogno che  giustifica  l'erogazione  del
trattamento. 
    2.- Nell'intervenire in giudizio, il Presidente del Consiglio dei
ministri  ha  preliminarmente   eccepito   l'inammissibilita'   della
questione per l'incompleta  ricostruzione  del  quadro  normativo  di
riferimento e per l'«estrema genericita'» delle argomentazioni  spese
dal rimettente quanto al profilo della non manifesta infondatezza. 
    Entrambe le eccezioni, da trattare congiuntamente, sono fondate. 
    2.1.-  La  disciplina  relativa   al   cumulo   fra   trattamento
pensionistico e retributivo, posta  a  fondamento  della  censura  di
incostituzionalita' per contrasto con l'art. 3 Cost., e' evocata  dal
rimettente senza scandirne l'evoluzione diacronica e  senza  indagare
la  ratio  sottesa  alle  disposizioni   medesime.   L'ordinanza   di
rimessione si limita a citare, in senso cronologico, le  disposizioni
che, a partire da quanto in origine previsto  dall'art.  22,  settimo
comma, della legge n. 153 del 1969, hanno  via  via  disciplinato  la
materia, giungendo infine a  consentire  il  cumulo  tra  pensione  e
retribuzione. 
    Senza addentrarsi in  un'analisi  testuale  e  sistematica  delle
disposizioni, la Corte rimettente richiama l'art. 72, comma 1,  della
legge  23  dicembre  2000,  n.  388,  recante  «Disposizioni  per  la
formazione del bilancio annuale  e  pluriennale  dello  Stato  (legge
finanziaria 2001)», l'art. 44 della legge 27 dicembre 2002,  n.  289,
recante «Disposizioni  per  la  formazione  del  bilancio  annuale  e
pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2003)», e  l'art.  19  del
decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112  (Disposizioni  urgenti  per  lo
sviluppo  economico,  la  semplificazione,  la   competitivita',   la
stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria),
convertito, con modificazioni, in legge 6 agosto 2008, n. 133. 
    Pur sostenendo che, per effetto della successione di tali  norme,
sarebbe divenuto irragionevole il requisito della "inoccupazione"  ai
fini del riconoscimento del diritto alla pensione di  anzianita',  la
Corte rimettente non ha  approfondito  i  tratti  piu'  significativi
dell'evoluzione normativa in materia di cumulo tra pensione e redditi
da lavoro  ma,  soprattutto,  ha  omesso  di  illustrare  le  ragioni
dell'affermato legame fra disciplina  del  cumulo  e  disciplina  dei
presupposti del diritto alla pensione di anzianita' e di individuarne
la ratio sottostante. 
    Le disposizioni censurate sono presentate in  ordine  cronologico
al solo fine di far emergere un dato ritenuto comune: il  legislatore
avrebbe ancorato il sorgere del diritto al trattamento  pensionistico
di  anzianita'  all'assenza  di  un  rapporto  di  lavoro.  Le  norme
richiamate,  sia  pure  con  enunciazioni   diverse,   intenderebbero
collegare la condizione dello stato di inoccupazione  del  lavoratore
alla questione del divieto di cumulo fra trattamento pensionistico  e
reddito lavorativo. Il diritto del  lavoratore  all'erogazione  della
pensione di anzianita', condizionato allo stato  di  "inoccupazione",
risulterebbe connesso a tale divieto. 
    2.2.- La ricostruzione del quadro normativo fornita dal giudice a
quo si presenta lacunosa. 
    Ai fini dell'ammissibilita' della questione di costituzionalita',
questa  Corte  non  ritiene  sufficiente  la   mera   evocazione   di
disposizioni distinte, collocate in contesti normativi diversi, senza
che siano illustrati i nessi che fra le stesse intercorrono. 
    Le lacune evidenziate  finiscono  per  riverberarsi  sul  petitum
formulato dal giudice a quo, quanto alla mancata  individuazione  del
momento in cui, nel  susseguirsi  delle  disposizioni  censurate,  si
sarebbe   manifestato   un   vulnus    tale    da    inficiarne    la
costituzionalita'. 
    La Corte rimettente omette inoltre di esaminare compiutamente  il
«diritto vivente» della Corte di  cassazione,  con  riferimento  alla
perdurante  vigenza   del   requisito   della   inoccupazione.   Tale
giurisprudenza  si  sofferma  su  quest'ultimo  requisito   e   sulla
disciplina del cumulo tra pensione e reddito da lavoro, per segnalare
che si tratta di regole e fasi distinte (Corte di cassazione, sezione
sesta civile, ordinanza 20 luglio 2018, n. 19337, pur richiamata  dal
rimettente; inoltre, anche piu'  di  recente,  Corte  di  cassazione,
sezione lavoro, sentenza 27 maggio 2019, n. 14417). 
    Tanto basta per ritenere carenti gli argomenti posti  a  sostegno
del requisito della non manifesta  infondatezza  della  questione  di
costituzionalita', poiche' le lacune prima evidenziate si  riflettono
sull'iter argomentativo che il rimettente  pone  a  fondamento  delle
censure (ex multis, ordinanze n. 147, n. 108 e n. 42 del  2020  e  n.
202 del 2018). 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara   inammissibile    la    questione    di    legittimita'
costituzionale dell'art. 22, primo comma, lettera c), della legge  30
aprile 1969, n. 153  (Revisione  degli  ordinamenti  pensionistici  e
norme in materia di sicurezza sociale), dell'art. 10,  comma  6,  del
decreto  legislativo  30  dicembre  1992,  n.  503  (Norme   per   il
riordinamento del sistema  previdenziale  dei  lavoratori  privati  e
pubblici, a norma dell'articolo 3 della legge  23  ottobre  1992,  n.
421) e dell'art. 1, comma 189, della legge 23 dicembre 1996,  n.  662
(Misure di razionalizzazione della finanza pubblica),  sollevata,  in
riferimento all'art. 3 della Costituzione, dalla Corte  d'appello  di
Torino, sezione lavoro, con l'ordinanza indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 22 settembre 2020. 
 
                                F.to: 
                  Mario Rosario MORELLI, Presidente 
                     Silvana SCIARRA, Redattore 
                     Roberto MILANA, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 14 ottobre 2020. 
 
                           Il Cancelliere 
                        F.to: Roberto MILANA