N. 217 SENTENZA 23 settembre - 20 ottobre 2020

Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale. 
 
Bilancio e contabilita'  pubblica  -  Norme  della  Regione  Lazio  -
  Autorizzazione alla spesa  per  la  realizzazione  di  hub  per  la
  gestione di situazioni  di  emergenza  sanitaria,  con  particolare
  riguardo alla situazione emergenziale  che  insiste  nell'area  del
  Comune di Anagni, in contrasto con le competenze del commissario ad
  acta per il piano di rientro dal disavanzo sanitario  -  Violazione
  del principio di leale collaborazione e del principio di  copertura
  finanziaria - Illegittimita' costituzionale. 
Bilancio e contabilita'  pubblica  -  Norme  della  Regione  Lazio  -
  Definizione agevolata in materia di  controlli  esterni  in  ambito
  sanitario - Ammissione delle strutture sanitarie al pagamento della
  sanzione amministrativa in misura pari a un terzo, in contrasto con
  le competenze del commissario ad  acta  per  il  piano  di  rientro
  sanitario - Violazione del  principio  di  leale  collaborazione  -
  Illegittimita' costituzionale. 
Edilizia e urbanistica - Norme della Regione Lazio -  Interpretazione
  autentica di norma regionale relativa al "Piano casa" -  Inclusione
  di interventi anche  in  deroga  ai  limiti  di  densita'  edilizia
  previsti  in  ambito  urbanistico   -   Violazione   dei   principi
  fondamentali in materia di governo del territorio -  Illegittimita'
  costituzionale. 
- Legge della Regione Lazio 28 dicembre 2018, n. 13, artt.  4,  comma
  25, 9, comma 2, e 19. 
- Costituzione, artt. 3, 81 97, 117, terzo comma, e 120. 
(GU n.43 del 21-10-2020 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Mario Rosario MORELLI; 
Giudici :Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana  SCIARRA,  Daria
  de PRETIS, Nicolo' ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio  BARBERA,
  Giulio  PROSPERETTI,  Giovanni  AMOROSO,  Francesco  VIGANO',  Luca
  ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 4,  comma
25, 9, comma 2, e 19 della legge  della  Regione  Lazio  28  dicembre
2018, n. 13  (Legge  di  Stabilita'  regionale  2019),  promosso  dal
Presidente del Consiglio dei ministri, con ricorso notificato  il  27
febbraio-1° marzo 2019, depositato in  cancelleria  l'8  marzo  2019,
iscritto al n. 40  del  registro  ricorsi  2019  e  pubblicato  nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica  n.  21,  prima  serie  speciale,
dell'anno 2019. 
    Visto l'atto di costituzione della Regione Lazio; 
    udito nell'udienza pubblica del  22  settembre  2020  il  Giudice
relatore Daria de Pretis; 
    uditi l'avvocato dello Stato Sergio Fiorentino per il  Presidente
del Consiglio dei ministri e l'avvocato Rodolfo Murra per la  Regione
Lazio; 
    deliberato nella camera di consiglio del 23 settembre 2020. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ricorso iscritto al n. 40 del  registro  ricorsi  per  il
2019, il Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di
legittimita' costituzionale, tra gli altri, degli artt. 4, comma  25,
9 e 19 della legge della Regione Lazio 28 dicembre 2018, n. 13 (Legge
di Stabilita' regionale 2019). 
    La prima disposizione impugnata stabilisce quanto segue: «Al fine
di migliorare ed ottimizzare i servizi di  assistenza  sanitaria  nei
confronti della popolazione, con particolare riguardo alla situazione
emergenziale che insiste nell'area del Comune di Anagni, e'  disposta
l'autorizzazione di spesa pari a 100.000,00 euro per l'anno 2019 e  a
200.000,00  euro  per  ciascuna  delle  annualita'   2020   e   2021,
nell'ambito  della  voce  di   spesa   denominata   "Spese   per   la
realizzazione di hub per  la  gestione  di  situazioni  di  emergenza
sanitaria",  da  iscriversi  nel  Programma  05  "Servizio  sanitario
regionale - investimenti sanitari" della Missione  13  "Tutela  della
salute", alla cui copertura si provvede  mediante  la  corrispondente
riduzione delle risorse iscritte a  legislazione  vigente,  a  valere
sulle medesime annualita', nel fondo speciale in  conto  capitale  di
cui al Programma 03 della Missione 20.  Le  disposizioni  di  cui  al
presente comma si applicano in quanto compatibili con  le  previsioni
del piano di rientro dal disavanzo  sanitario  della  Regione  e  con
quelle dei programmi operativi di cui all'articolo 2, comma 88, della
legge 23 dicembre 2009, n. 191 (Disposizioni per  la  formazione  del
bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria  2010)
e successive modifiche e con le funzioni attribuite al commissario ad
acta  per  la  prosecuzione  del  piano  di  rientro  dal   disavanzo
sanitario». 
    Il ricorrente rileva che tale norma prevede un investimento  «sul
territorio di Anagni per la costruzione di  un  hub  per  l'emergenza
sanitaria» e che essa «si pone in contrasto  con  le  competenze  del
Commissario ad acta per il Piano di rientro che, peraltro, adotta  la
rete ospedaliera anche ai sensi del D.M. 70/2015». Pertanto, la norma
violerebbe il principio di leale collaborazione di cui  all'art.  120
della Costituzione. Inoltre, sarebbe violato l'art. 81 Cost., «atteso
che la disposizione determina minori entrate sul  bilancio  regionale
sanitario, prive di copertura finanziaria». 
    Nel proprio atto di costituzione, depositato il 2 aprile 2019, la
Regione Lazio replica, con riferimento al primo profilo,  che  l'art.
4, comma 25, contiene «una inequivoca clausola di salvaguardia» delle
attribuzioni del commissario,  che  determinerebbe  «una  sospensione
dell'efficacia della disposizione in contrasto con le previsioni  del
piano  di  rientro»,  durante  il  regime  di  commissariamento.  Con
riferimento al secondo profilo,  la  Regione  osserva  che  la  norma
impugnata «e' corredata di apposita copertura finanziaria,  a  valere
sulle risorse del fondo  speciale  di  parte  corrente  iscritto  nel
programma 03 della missione 20 del bilancio regionale 2019-2021». 
    2.- L'art. 9, comma 2, della legge reg.  Lazio  n.  13  del  2018
dispone quanto segue: «Allo scopo di  agevolare  la  definizione  del
contenzioso pendente  in  materia  di  controlli  esterni  in  ambito
sanitario di cui all'articolo 8-octies  del  decreto  legislativo  30
dicembre  1992,  n.  502  (Riordino  della  disciplina   in   materia
sanitaria, a norma dell'articolo 1 della legge 23  ottobre  1992,  n.
421)  e  successive  modifiche,  per  prestazioni  rese  nel  periodo
antecedente all'entrata in vigore del decreto del Commissario ad acta
8  giugno  2017,  n.  218,  ovvero  per  prevenirne  l'attivazione  e
consentire la stabilizzazione degli effetti economici,  la  struttura
sanitaria interessata puo' richiedere  all'amministrazione  regionale
di essere ammessa  al  pagamento  della  sanzione  amministrativa  in
misura pari a un terzo, fermo il pagamento integrale della differente
remunerazione sul singolo ricovero. La  richiesta  e'  formulata  nel
termine di sessanta giorni  dall'entrata  in  vigore  della  presente
disposizione per i controlli la  cui  valorizzazione  e'  stata  gia'
comunicata, ovvero entro sessanta giorni  dalla  comunicazione  della
valorizzazione degli stessi». Il comma  3  indica  le  condizioni  in
presenza delle quali la misura e' accordata dall'amministrazione;  il
comma 4 stabilisce che «la struttura  deve  provvedere  al  pagamento
integrale   del   debito   entro   i   sessanta   giorni   successivi
all'accoglimento  dell'istanza  [...]»  e  il  comma  5  contiene  la
clausola di invarianza finanziaria. 
    Secondo il ricorrente, l'art.  9,  comma  2,  riguarderebbe  «una
materia di competenza  del  Commissario  ad  acta  per  il  Piano  di
rientro,  che,  in  quanto  tale,  non  potrebbe  essere  oggetto  di
legislazione regionale» (vengono citate le sentenze di  questa  Corte
n. 110 del 2014 e n. 190 del 2017). Tra i  compiti  del  commissario,
infatti, rientrerebbe «anche il governo dei rapporti  con  i  privati
accreditati». La norma impugnata, oltre ad invadere le competenze del
commissario, potrebbe «comportare  una  ridefinizione  degli  effetti
economici  e  finanziari  derivanti  dai  controlli   esterni»,   con
possibili ripercussioni «sui risultati di esercizio gia' validati dai
tavoli tecnici». L'art. 9, comma 2, dunque, si porrebbe in  contrasto
con il principio di leale collaborazione di cui all'art. 120 Cost. 
    Nelle  proprie  difese,  la  Regione  Lazio  afferma  di   essere
intervenuta  «in  materia  di  recuperi  derivanti  dagli  esiti  dei
controlli esterni sulle prestazioni sanitarie  erogate  con  onere  a
carico  del  SSR  dalle  strutture  sanitarie  private   accreditate,
consentendo [...] lo sgravio, in misura pari a due terzi, delle  sole
sanzioni amministrative,  fermo  restando  il  pagamento  del  debito
integrale [...]». La resistente si sofferma  sulla  natura  giuridica
dei controlli  sulle  strutture  sanitarie,  affermandone  la  natura
sanzionatoria. Essa rileva che i controlli  «prevedevano  un  duplice
meccanismo: a) da un lato la riclassificazione del ricovero incongruo
e/o inappropriato e conseguente rideterminazione della  remunerazione
spettante; b) dall'altro l'applicazione  della  sanzione  secondo  un
moltiplicatore predefinito». La Regione osserva che non era  prevista
la possibilita' di un pagamento immediato,  senza  contestazioni,  in
misura ridotta, e che cio' aveva determinato un «eccessivo ricorso al
contenzioso». Il commissario  ad  acta  era  dunque  intervenuto  con
decreto n. 218 del 2017, consentendo «la possibilita' di un pagamento
diretto  e  deflazionato»  e  applicando  «un   moltiplicatore   meno
aggressivo di quello previgente».  La  Regione  rileva  che,  poiche'
«l'atto amministrativo puo' intervenire per il futuro, e' parso utile
l'intervento legislativo regionale che fungesse da  supporto  per  la
definizione agevolata del  contenzioso»,  legittimando  il  pagamento
della sanzione in misura ridotta. 
    Quanto al secondo rilievo contenuto nel  ricorso,  la  resistente
osserva che la norma «non si ripercuote in senso negativo sui bilanci
di esercizio gia' approvati dai "tavoli tecnici"»  perche'  l'importo
relativo  ai  «controlli  in   contestazione»   non   sarebbe   stato
contabilizzato in modo definitivo, mentre, se  il  controllo  non  e'
stato  contestato,  le  aziende  del  Servizio  sanitario   avrebbero
contabilizzato l'entrata in via definitiva  e,  in  questa  parte,  i
bilanci non sarebbero  «minimamente  intaccati  dalla  portata  della
disposizione legislativa». 
    In   definitiva,   il   legislatore   regionale,   «conscio   del
commissariamento della Regione  Lazio»,  avrebbe  operato  «in  piena
collaborazione [...] con l'operato del commissario stesso  (cfr.  DCA
218/2017)» e avrebbe anzi agito per «stabilizzare i conti  e  rendere
effettive le entrate, di fatto correlate e subordinate all'esito  del
contenzioso»; non sarebbe violato, pertanto, il  principio  di  leale
collaborazione. 
    3.- L'art. 19 della legge reg. Lazio n. 13 del  2018,  intitolato
«Interpretazione autentica dell'articolo  3,  comma  1,  della  legge
regionale  11  agosto  2009,  n.  21,  relativo  agli  interventi  di
ampliamento degli edifici e successive modifiche», stabilisce  quanto
segue: «La deroga di cui all'articolo 3, comma 1, della L.R.  21/2009
e successive modifiche, si interpreta nel senso che gli interventi di
ampliamento  previsti  dal  medesimo  articolo  3,  comma   1,   sono
consentiti anche in deroga ai limiti  di  densita'  edilizia  di  cui
all'articolo 7 del decreto del Ministero  per  i  lavori  pubblici  2
aprile 1968, n. 1444 (Limiti inderogabili di  densita'  edilizia,  di
altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti  massimi  tra  spazi
destinati  agli  insediamenti  residenziali  e  produttivi  e   spazi
pubblici o riservati alle attivita' collettive, al verde pubblico o a
parcheggi da osservare ai fini della formazione dei  nuovi  strumenti
urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell'art.
17 della L. 6 agosto 1967, n. 765)». 
    L'art. 3 della legge della Regione Lazio 11 agosto  2009,  n.  21
(Misure straordinarie per  il  settore  edilizio  ed  interventi  per
l'edilizia residenziale sociale), concernente  il  cosiddetto  "piano
casa", e' intitolato «Interventi  di  ampliamento  degli  edifici»  e
stabilisce  che  «[i]n  deroga  alle   previsioni   degli   strumenti
urbanistici e dei regolamenti edilizi  comunali  vigenti  o  adottati
sono consentiti, previa acquisizione del titolo  abilitativo  di  cui
all'articolo  6,  interventi  di  ampliamento,  nei  seguenti  limiti
massimi relativi alla volumetria esistente o  alla  superficie  utile
[...]».  Secondo  il  ricorrente,  la  norma  impugnata  non  sarebbe
realmente interpretativa ma sarebbe piuttosto innovativa con «portata
retroattiva».  L'Avvocatura  ricorda  i  limiti  che,  in  base  alla
giurisprudenza costituzionale, incontra l'efficacia retroattiva delle
leggi e osserva che la norma impugnata renderebbe legittime  condotte
che non erano tali al momento della  loro  realizzazione,  in  quanto
«non conformi agli  strumenti  urbanistici  di  riferimento»,  «dando
corpo,  in  definitiva,  ad  una  surrettizia  ipotesi  di  sanatoria
straordinaria che esula dalle competenze regionali». 
    Il ricorrente rileva che, in base  sia  all'Intesa  Stato-regioni
del 1° aprile 2009, riguardante il  "piano  casa",  sia  all'art.  5,
comma 10, del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70 (Semestre Europeo -
Prime  disposizioni  urgenti   per   l'economia),   convertito,   con
modificazioni, nella legge 12 luglio 2011,  n.  106,  gli  interventi
edilizi di ampliamento «non possono riferirsi ad  edifici  abusivi  o
siti nei centri storici o in aree ad inedificabilita'  assoluta,  con
esclusione degli edifici per i quali sia stato rilasciato  il  titolo
abilitativo edilizio in sanatoria». 
    La  norma  impugnata   uscirebbe   dai   limiti   fissati   dalla
giurisprudenza costituzionale e violerebbe l'art. 3 Cost. 
    Inoltre, la norma de qua violerebbe i principi di  ragionevolezza
e buon andamento di cui agli artt. 3 e 97 Cost., in quanto, «a motivo
delle rilevanti modifiche via via apportate alla L.R. n. 21 del 2009,
le amministrazioni comunali potrebbero in realta' non trovarsi  nelle
condizioni  di  poter  effettivamente  verificare  caso  per  caso  e
distinguere cio' che e' stato realizzato (o proseguito, o completato)
nei periodi intercorrenti tra le modifiche medesime» (a tal proposito
viene invocata la sentenza n. 73 del 2017 di questa Corte). 
    Infine, la norma impugnata violerebbe l'art.  117,  terzo  comma,
Cost.,  per  contrasto  con  i  principi  fondamentali  posti   dalla
legislazione statale  nella  materia  «governo  del  territorio».  Il
ricorrente richiama a tal fine tre disposizioni legislative  statali:
l'art. 2-bis del decreto del Presidente  della  Repubblica  6  giugno
2001,  n.  380  (Testo  unico  delle   disposizioni   legislative   e
regolamentari in materia edilizia - Testo A),  l'art.  5,  comma  11,
secondo periodo, del citato d.l. n. 70  del  2011  («Resta  fermo  il
rispetto degli standard urbanistici, delle altre normative di settore
aventi  incidenza  sulla  disciplina  dell'attivita'  edilizia  e  in
particolare delle  norme  antisismiche,  di  sicurezza,  antincendio,
igienico-sanitarie, di quelle relative all'efficienza energetica,  di
quelle relative alla tutela dell'ambiente e dell'ecosistema,  nonche'
delle disposizioni contenute nel codice  dei  beni  culturali  e  del
paesaggio [...]») e l'art. 14, comma 3, dello stesso  d.P.R.  n.  380
del  2001,  che,  nell'ambito  della  disciplina  del  «Permesso   di
costruire in deroga agli strumenti urbanistici»,  dispone  che  «[l]a
deroga, nel rispetto delle norme igieniche, sanitarie e di sicurezza,
puo' riguardare esclusivamente i  limiti  di  densita'  edilizia,  di
altezza e  di  distanza  tra  i  fabbricati  di  cui  alle  norme  di
attuazione degli strumenti urbanistici generali ed esecutivi, nonche'
le destinazioni d'uso ammissibili, fermo restando  in  ogni  caso  il
rispetto delle disposizioni di cui agli articoli 7, 8 e 9 del decreto
ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444». Il ricorrente rileva che l'art.
14, comma 3, fa espressamente salvo l'art. 7 del  d.m.  n.  1444  del
1968 e riguarda «qualunque titolo abilitativo in deroga  previsto  da
norme statali e regionali». 
    Nelle proprie difese, la Regione Lazio  ricorda  l'origine  della
disciplina del "piano casa" e osserva che, poiche' l'art. 7 del  d.m.
n. 1444 del 1968 stabilisce «i limiti di densita' edilizia che,  zona
per zona, gli strumenti urbanistici non  possono  superare»,  sarebbe
evidente che, «una volta consentita la deroga ad  essi  da  parte  di
un'intesa  a  carattere  straordinario  e  contingente,  deve  essere
oggetto di deroga necessariamente anche l'art. 7  del  DM  1444/1968,
pena l'assoluta inapplicabilita' (o svuotamento di fatto) della  l.r.
n. 21/2009». L'art. 3 di questa legge sarebbe «sempre stato applicato
in tal senso, consentendo gli ampliamenti in deroga  alle  previsioni
del piano regolatore e quindi anche ai limiti del DM 1444/1968 che  i
piani, nella pressoche' totalita' dei casi, incarnano». 
    La norma impugnata  non  realizzerebbe  una  sanatoria  di  opere
illegittime perche', pur difformi  dagli  strumenti  urbanistici,  le
opere erano conformi all'art. 3 della legge  reg.  Lazio  n.  21  del
2009. 
    Tale  legge  regionale  richiederebbe  l'esistenza   del   titolo
edilizio, per cui essa sarebbe  estranea  all'ambito  del  cosiddetto
accertamento di conformita'. 
    La disposizione  impugnata  non  sarebbe  affatto  innovativa  in
quanto la deroga ai «generali limiti di densita' edilizia era gia' un
elemento della norma». A riprova di cio', la Regione osserva  che  la
prima circolare regionale esplicativa della legge reg.  Lazio  n.  21
del 2009 (circolare 26 gennaio 2012, n. 20) aveva gia'  ritenuto  che
la legge stessa fosse idonea a derogare al d.m. n. 1444 del 1968. 
    La Regione ricorda inoltre che gia' esiste  una  legge  regionale
che deroga espressamente  all'art.  7  di  tale  decreto:  si  tratta
dell'art. 7, comma 3, della legge della Regione Lazio 18 luglio 2017,
n. 7 (Disposizioni per la rigenerazione  urbana  e  per  il  recupero
edilizio), in tema di rigenerazione urbana. 
    Poiche' i  comuni  laziali  avrebbero  sempre  rilasciato  titoli
edilizi, ai sensi dell'art. 3 della legge reg. Lazio n. 21 del  2009,
a prescindere dai limiti di cui all'art. 7 del d.m. n. 1444 del 1968,
l'eventuale modifica dell'«interpretazione decennale sempre  seguita»
produrrebbe «disparita' di trattamento». 
    Sarebbe infine inconferente il richiamo dell'art. 2-bis d.P.R. n.
380 del 2001, in quanto la legge reg. Lazio n. 21  del  2009  sarebbe
stata adottata «nel quadro di un'intesa eccezionale  e  derogatoria»,
che avrebbe «attribuito alle regioni poteri legislativi  travalicanti
l'ordinario assetto disciplinato dal D.P.R. n. 380/2001». 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Presidente del Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di
legittimita' costituzionale, tra gli altri, degli artt. 4, comma  25,
9 e 19 della legge della Regione Lazio 28 dicembre 2018, n. 13 (Legge
di Stabilita' regionale 2019). 
    La presente sentenza si pronuncia sui motivi di ricorso  relativi
alle norme sopra indicate, restando riservata a separate decisioni la
trattazione degli altri motivi proposti con  lo  stesso  ricorso.  Le
questioni qui in esame riguardano norme  di  contenuto  diverso,  che
vengono separatamente trattate di seguito. 
    2.- La prima disposizione impugnata dispone un'autorizzazione  di
spesa per complessivi 500.000 euro in tre anni, al fine di realizzare
una  struttura  sanitaria  volta  a  far  fronte   alla   «situazione
emergenziale che  insiste  nell'area  del  Comune  di  Anagni».  Piu'
precisamente l'art. 4, comma 25, stabilisce quanto segue: «Al fine di
migliorare ed ottimizzare  i  servizi  di  assistenza  sanitaria  nei
confronti della popolazione, con particolare riguardo alla situazione
emergenziale che insiste nell'area del Comune di Anagni, e'  disposta
l'autorizzazione di spesa pari a 100.000,00 euro per l'anno 2019 e  a
200.000,00  euro  per  ciascuna  delle  annualita'   2020   e   2021,
nell'ambito  della  voce  di   spesa   denominata   "Spese   per   la
realizzazione di hub per  la  gestione  di  situazioni  di  emergenza
sanitaria",  da  iscriversi  nel  Programma  05  "Servizio  sanitario
regionale - investimenti sanitari" della Missione  13  "Tutela  della
salute", alla cui copertura si provvede  mediante  la  corrispondente
riduzione delle risorse iscritte a  legislazione  vigente,  a  valere
sulle medesime annualita', nel fondo speciale in  conto  capitale  di
cui al Programma 03 della Missione 20.  Le  disposizioni  di  cui  al
presente comma si applicano in quanto compatibili con  le  previsioni
del piano di rientro dal disavanzo  sanitario  della  Regione  e  con
quelle dei programmi operativi di cui all'articolo 2, comma 88, della
legge 23 dicembre 2009, n. 191 (Disposizioni per  la  formazione  del
bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria  2010)
e successive modifiche e con le funzioni attribuite al commissario ad
acta  per  la  prosecuzione  del  piano  di  rientro  dal   disavanzo
sanitario». 
    Secondo il ricorrente, la norma si porrebbe in contrasto  con  le
competenze del commissario ad  acta  per  il  piano  di  rientro  dal
disavanzo sanitario e  violerebbe  pertanto  il  principio  di  leale
collaborazione  di  cui  all'art.  120  della  Costituzione.  Sarebbe
inoltre incompatibile con il principio di  copertura  finanziaria  di
cui all'art. 81 Cost., «atteso che la disposizione  determina  minori
entrate  sul  bilancio  regionale  sanitario,  prive   di   copertura
finanziaria». 
    2.1.- La prima questione e' fondata. 
    In via preliminare, e' opportuno ricordare brevemente le  vicende
relative al disavanzo sanitario della  Regione  Lazio,  prendendo  le
mosse dall'accordo per il «Piano di rientro dal  disavanzo  sanitario
della Regione Lazio» (di seguito: Accordo), siglato  il  28  febbraio
2007 (e approvato dalla Giunta regionale con delibera 6  marzo  2007,
n. 149), ai sensi dell'art. 1, comma 180,  della  legge  30  dicembre
2004, n. 311, recante «Disposizioni per la  formazione  del  bilancio
annuale e pluriennale dello  Stato  (legge  finanziaria  2005)»,  che
prevedeva una serie di interventi diretti al recupero  del  disavanzo
sanitario e alla concomitante riorganizzazione del Servizio sanitario
regionale, nel rispetto dell'erogazione  dei  livelli  essenziali  di
assistenza (LEA). 
    In  seguito,   la   Regione   Lazio   e'   stata   sottoposta   a
commissariamento, in  attuazione  dell'art.  4  del  decreto-legge  1
ottobre   2007,   n.   159    (Interventi    urgenti    in    materia
economico-finanziaria,  per  lo  sviluppo   e   l'equita'   sociale),
convertito, con modificazioni, nella legge 29 novembre 2007, n.  222;
la prima nomina di un commissario e' stata disposta con delibera  del
Consiglio dei ministri 11 luglio 2008. 
    Ai sensi di quanto previsto dall'art. 2, comma 88, della legge 23
dicembre 2009, n. 191, recante «Disposizioni per  la  formazione  del
bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2010)»,
il piano di rientro e' poi proseguito  attraverso  diversi  programmi
operativi (adottati con decreti del commissario), relativi agli  anni
2010, 2011-2012, 2013-2015, 2016-2018.  Al  momento  dell'entrata  in
vigore della norma impugnata, era  efficace  il  programma  operativo
relativo  a  quest'ultimo  triennio,  approvato   con   decreto   del
commissario ad acta (DCA) del 22 febbraio 2017, n. 52. 
    Successivamente, con delibera del 1° dicembre 2017, il  Consiglio
dei ministri, preso atto dei «risultati raggiunti dal Commissario  ad
acta che attestano il progressivo processo di aggiustamento dei saldi
di bilancio nonche´ di miglioramento dei  livelli  delle  prestazioni
del  Servizio  sanitario  regionale»,  ha   assegnato   allo   stesso
commissario «il compito di proseguire le azioni  gia`  intraprese  al
fine di procedere [...] al  rientro  nella  gestione  ordinaria».  Di
conseguenza, in attuazione dell'art. 2, comma  88,  secondo  periodo,
della legge n. 191 del 2009, e' stato  adottato  un  nuovo  piano  di
rientro  (2019-2021),  approvato  con  delibera  del  Consiglio   dei
ministri del 5 marzo 2020, che ha  disposto  l'uscita  della  Regione
Lazio  dal  commissariamento  (subordinatamente  alla  verifica   del
recepimento di determinate modifiche). 
    2.2.- Cosi'  tratteggiato  il  quadro  di  riferimento,  si  puo'
passare alla valutazione del merito della questione. 
    Gia' l'Accordo del 28 febbraio  2007  comprendeva  l'apertura  di
nuove strutture sanitarie tra i  provvedimenti  che  la  Regione  non
poteva assumere in modo autonomo (art. 3, punto 6). A sua  volta,  la
«Ridefinizione della rete  e  dell'offerta  di  servizi  ospedalieri»
rappresentava  uno  degli  «Obiettivi»  del  piano  stesso  (allegato
all'Accordo). 
    La delibera del Consiglio dei ministri 10 aprile 2018, con cui e'
stato nominato l'ultimo commissario operante nella Regione Lazio,  ha
assegnato  allo  stesso   «l'incarico   prioritario   di   proseguire
nell'attuazione dei Programmi  operativi  2016-2018».  Dal  programma
operativo relativo al triennio 2016-2018, approvato con DCA n. 52 del
2017 ed efficace al momento di entrata in vigore  della  disposizione
impugnata (1° gennaio 2019), emerge poi chiaramente come  la  Regione
non potesse decidere autonomamente l'apertura di nuove strutture. Per
quanto riguarda in particolare quelle di emergenza, e'  significativo
il punto 11.1, nel quale si tratta della «Rete dell'emergenza»  senza
prevedere un nuovo hub ad Anagni (anzi, si prospetta un  accorpamento
delle centrali 118 di Latina e Frosinone). 
    Accertato che la scelta di  realizzare  un  hub  per  l'emergenza
sanitaria  nel  Comune  di  Anagni   rientra   effettivamente   nelle
competenze del commissario ad acta,  occorre  verificare  la  portata
della  clausola  di   salvaguardia   contenuta   nella   disposizione
impugnata, in base alla quale «[l]e disposizioni di cui  al  presente
comma si applicano in quanto compatibili con le previsioni del  piano
di rientro dal disavanzo sanitario della Regione  e  con  quelle  dei
programmi operativi di cui all'articolo 2, comma 88, della  legge  23
dicembre 2009, n. 191 (Disposizioni per la  formazione  del  bilancio
annuale e  pluriennale  dello  Stato  -  legge  finanziaria  2010)  e
successive modifiche e con le funzioni attribuite al  commissario  ad
acta  per  la  prosecuzione  del  piano  di  rientro  dal   disavanzo
sanitario».  Secondo  la  Regione  Lazio,  infatti,   tale   clausola
determinerebbe «una sospensione dell'efficacia della disposizione  in
contrasto con le previsioni del piano di rientro», durante il  regime
di commissariamento. 
    Tale tesi non e' condivisibile. Gia' in  altre  occasioni  questa
Corte ha ritenuto clausole di salvaguardia di  questo  tipo  inidonee
allo scopo di  preservare  dal  vizio  di  incostituzionalita'  norme
legislative  regionali  che   contrastavano   puntualmente   con   le
competenze del commissario ad  acta  per  il  piano  di  rientro  dal
disavanzo sanitario (sentenze n. 199 del 2018  e  n.  28  del  2013),
precisando in particolare che, nel momento in  cui  una  clausola  di
salvaguardia si affianca ad una norma che, come quella in  esame,  in
modo  chiaro  e  specifico  interferisce  con   le   competenze   del
commissario,  essa  deve  ritenersi  «priva  di   reale   significato
normativo» (sentenza n. 28 del 2013). 
    In ragione del contrasto della norma impugnata con le  competenze
del  commissario  si  deve  dunque  ritenere  fondata  la   lamentata
violazione del parametro costituzionale invocato  nel  ricorso  (art.
120, secondo comma, Cost.). 
    Il principio di leale collaborazione, che deve sempre  «governare
i rapporti fra lo Stato e le Regioni nelle  materie  e  in  relazione
alle attivita` in  cui  le  rispettive  competenze  concorrano  o  si
intersechino, imponendo un contemperamento dei rispettivi  interessi»
(sentenza n. 242 del 1997), non si attenua infatti nel contesto della
relazione che si  instaura  fra  Stato  e  regione  quando  il  primo
esercita i suoi poteri sostitutivi nei confronti della seconda. Anzi,
come suggerisce il testo costituzionale, il  principio  e'  affermato
all'art. 120, secondo comma, proprio in relazione  all'esercizio  del
potere sostitutivo statale,  che  chiaramente  attiva  una  relazione
complessa tra Stato e regioni,  nell'ambito  della  quale  un  potere
tipicamente statale  interseca  competenze  regionali  (nel  caso  di
specie,  le  materie  concorrenti  del  coordinamento  della  finanza
pubblica e della tutela della salute: sentenza n. 247  del  2019).  E
sebbene  l'art.  120,  secondo  comma,  Cost.   richiami   la   leale
collaborazione come limite del potere sostitutivo statale («La  legge
definisce le procedure atte a  garantire  che  i  poteri  sostitutivi
siano esercitati nel rispetto del principio di sussidiarieta'  e  del
principio di leale collaborazione»), e' implicito nella stessa natura
relazionale del principio che esso debba essere rispettato  anche  da
parte della regione. Esso si traduce infatti in concreto in doveri  e
aspettative - di informazione, di previsione di strumenti di raccordo
e, in generale, di comportamenti realmente collaborativi, corretti  e
non ostruzionistici, in definitiva, appunto, leali - che non  possono
che essere reciproci. 
    Il carattere vincolante per la regione (anche qualora agisca  con
legge) del piano di rientro e'  stabilito  direttamente  dalla  legge
(art. 1, comma 796, lettera b, della legge 27 dicembre 2006, n.  296,
recante «Disposizioni  per  la  formazione  del  bilancio  annuale  e
pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007)», e art. 2, commi 80
e 95,  della  legge  n.  191  del  2009),  che  vieta  altresi'  ogni
interferenza della regione con le competenze del commissario ad  acta
regolate dall'art. 4 del d.l. n. 159 del 2007 e  dall'art.  2,  comma
83, della legge n. 191 del 2009. Tant'e' vero che piu'  volte  questa
Corte ha dichiarato costituzionalmente  illegittime  leggi  regionali
che  si   sovrapponevano   alle   prerogative   del   commissario   o
contrastavano con il piano di rientro (da ultimo, sentenze n.  177  e
n. 166 del 2020, n. 247, n. 199 e n. 117 del 2018). 
    Alla luce delle norme  citate,  una  legge  regionale  che,  come
quella in esame, interviene direttamente  su  un  oggetto  rientrante
nella programmazione del piano di  rientro  e  nelle  competenze  del
commissario risulta assunta in palese  violazione  del  principio  di
leale collaborazione, il quale esige che la regione non  interferisca
con lo svolgimento delle funzioni del commissario e non  ostacoli  il
perseguimento degli obiettivi del piano di rientro. 
    In questo contesto, la previsione  formale  di  una  clausola  di
salvaguardia in evidente contrasto con la puntuale autorizzazione  di
spesa disposta con la stessa norma finisce per avvalorare, con la sua
ambiguita', la lesione del dovere di  leale  collaborazione,  poiche'
nello stesso momento in cui ha adottato la norma impugnata la Regione
Lazio era in grado di valutare la conformita' dell'autorizzazione  di
spesa rispetto al piano, e  l'esito  della  sua  valutazione  avrebbe
dovuto  condurla  a  decidere  correttamente  per  l'omissione  della
clausola ovvero per la rinuncia alla spesa. 
    Va dunque dichiarata l'illegittimita' costituzionale dell'art. 4,
comma 25, della legge reg. Lazio n. 13 del 2018. 
    2.3.- L'accoglimento della questione sollevata con riferimento al
principio  di  leale  collaborazione  comporta  l'assorbimento  della
seconda questione, relativa all'art. 81 Cost. 
    3.- La seconda disposizione impugnata e'  l'art.  9  della  legge
reg. Lazio n. 13 del 2018. 
    Di tale articolo, il comma 2 recita: «Allo scopo di agevolare  la
definizione del contenzioso pendente in materia di controlli  esterni
in  ambito  sanitario  di  cui  all'articolo  8-octies  del   decreto
legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino  della  disciplina  in
materia sanitaria, a norma dell'articolo 1  della  legge  23  ottobre
1992, n. 421)  e  successive  modifiche,  per  prestazioni  rese  nel
periodo antecedente all'entrata in vigore del decreto del Commissario
ad acta 8 giugno 2017, n. 218, ovvero per prevenirne l'attivazione  e
consentire la stabilizzazione degli effetti economici,  la  struttura
sanitaria interessata puo' richiedere  all'amministrazione  regionale
di essere ammessa  al  pagamento  della  sanzione  amministrativa  in
misura pari a un terzo, fermo il pagamento integrale della differente
remunerazione sul singolo ricovero. La  richiesta  e'  formulata  nel
termine di sessanta giorni  dall'entrata  in  vigore  della  presente
disposizione per i controlli la  cui  valorizzazione  e'  stata  gia'
comunicata, ovvero entro sessanta giorni  dalla  comunicazione  della
valorizzazione degli stessi». Il comma  3  indica  le  condizioni  in
presenza delle quali la misura e' accordata dall'amministrazione;  il
comma 4 stabilisce che «la struttura  deve  provvedere  al  pagamento
integrale   del   debito   entro   i   sessanta   giorni   successivi
all'accoglimento  dell'istanza  [...]»  e  il  comma  5  contiene  la
clausola di invarianza finanziaria. 
    Secondo il ricorrente, l'art. 9 violerebbe il principio di  leale
collaborazione di cui all'art. 120 Cost. in quanto contrasterebbe con
le competenze del Commissario ad acta per il  piano  di  rientro  dal
disavanzo sanitario, tra le  quali  rientra  «anche  il  governo  dei
rapporti con i  privati  accreditati»,  e  potrebbe  «comportare  una
ridefinizione degli effetti  economici  e  finanziari  derivanti  dai
controlli esterni», con possibili  ripercussioni  «sui  risultati  di
esercizio gia' validati dai tavoli tecnici». 
    E' necessario innanzitutto delimitare il thema decidendum. Mentre
infatti l'epigrafe del ricorso menziona  genericamente  l'art.  9,  e
nello svolgimento del motivo vengono riportati i commi da 2 a 5 dello
stesso  art.  9,  la  censura  viene  argomentata,  in  realta',  con
riferimento a una norma specifica, cioe' a quella contenuta nel comma
2, che consente alle strutture sanitarie private di pagare  un  terzo
della sanzione  amministrativa  irrogata  nell'ambito  dei  controlli
esterni sull'appropriatezza dei ricoveri di cui all'art. 8-octies del
decreto  legislativo  30  dicembre  1992,  n.  502  (Riordino   della
disciplina in materia sanitaria, a norma dell'articolo 1 della  legge
23 ottobre 1992, n. 421). Poiche' dunque nessuna doglianza e' rivolta
agli altri commi, oggetto  di  impugnazione  deve  considerarsi  solo
l'art. 9, comma 2, della legge reg. Lazio n. 13 del 2018. 
    3.1.- La questione e' fondata. 
    I controlli «sul rispetto degli accordi contrattuali da parte  di
tutti i soggetti interessati nonche' sulla qualita' della  assistenza
e  sulla  appropriatezza  delle  prestazioni  rese»   sono   previsti
dall'art. 8-octies del d.lgs. n. 502 del 1992 e dall'art.  79,  comma
1-septies, del decreto-legge 25 giugno  2008,  n.  112  (Disposizioni
urgenti  per  lo   sviluppo   economico,   la   semplificazione,   la
competitivita',  la  stabilizzazione  della  finanza  pubblica  e  la
perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, nella  legge
6 agosto 2008, n. 133. Il legislatore regionale  li  ha  disciplinati
con l'art. 70 della legge della Regione Lazio 6 febbraio 2003, n.  2,
recante «Legge finanziaria  regionale  per  l'esercizio  2003  (legge
regionale 20 novembre 2001, n. 25, articolo 11)», e con  le  delibere
attuative di esso. 
    L'esito  negativo  dei  controlli  sulle  prestazioni  rese   dai
soggetti  privati  implica  due  conseguenze  (salva   la   possibile
interruzione del rapporto con la  struttura  privata):  il  ricalcolo
della remunerazione spettante e la sanzione, la cui determinazione e'
affidata alle regioni dall'art. 8-octies, comma 3,  lettera  a),  del
d.lgs. n. 502 del 1992. 
    In seguito al commissariamento della Regione  Lazio,  in  materia
sono intervenuti diversi decreti del commissario. Con DCA n. 218  del
2017 sono stati modificati i criteri e le procedure riguardanti  tali
controlli. In particolare l'art. 9, comma 3, dell'Allegato A di  tale
decreto prevede  che,  «[i]n  caso  di  accettazione  dell'esito  dei
controlli e/o di pagamento entro 60 giorni dalla richiesta, l'importo
delle penalizzazioni aggiuntive si riduce di un terzo». 
    La  norma  regionale  censurata  mira  a  rendere  possibile   il
pagamento in misura ridotta della sanzione anche per prestazioni rese
prima del DCA n. 218 del 2017. Essa introduce inoltre  una  riduzione
in misura diversa e maggiore rispetto a quella prevista  nel  decreto
del commissario. Mentre infatti il DCA prevede  la  riduzione  di  un
terzo, l'art. 9, comma 2, consentendo il pagamento della sanzione «in
misura pari a un terzo», introduce una riduzione di due terzi. 
    Escluso dunque che la norma  impugnata  si  limiti  a  confermare
quanto gia' deciso dal commissario - disponendo invece  un'estensione
della portata  delle  sanzioni  interessate  dalla  riduzione  e  una
sensibile modifica della sua misura - si  deve  concludere  che  essa
interviene  su  un   oggetto   sottratto   all'autonomia   regionale,
sovrapponendosi con le competenze  del  commissario,  alle  quali  va
ricondotta, in base al programma operativo 2016-2018 di cui al DCA n.
52 del 2017, la materia oggetto dell'art. 9, comma 2,  impugnato.  Il
punto 1.9 del citato programma  riguarda  infatti  la  «Gestione  del
contenzioso pregresso con gli erogatori dei  servizi  assistenziali»,
il punto 12  concerne  i  «Rapporti  con  gli  erogatori  pubblici  e
privati» e il punto 12.3 prevede in particolare la «Revisione del DCA
n.  40/2012  in  materia  di  controlli  esterni».  La  stessa  norma
impugnata, del resto, menzionando il DCA n. 218  del  2017,  dimostra
che la materia dei controlli e delle relative sanzioni rientra  nelle
competenze del commissario.  Essa  si  sovrappone  inoltre  a  quanto
disposto dal DCA n. 40 del 2012, che regola, nel punto 3.4 e seguenti
dell'Allegato, le sanzioni amministrative conseguenti  ai  controlli,
individuando in particolare il quantum che la norma impugnata intende
ridurre. 
    Dall'accertato contrasto tra la norma impugnata e  le  competenze
del  commissario  consegue  la  violazione  del  principio  di  leale
collaborazione di cui all'art. 120,  secondo  comma,  Cost.,  per  le
ragioni gia' esposte con riferimento all'art. 4, comma 25. 
    Va dunque dichiarata l'illegittimita' costituzionale dell'art. 9,
comma 2, della legge reg. Lazio n. 13 del 2018. 
    Poiche' i  commi  3  e  4  dello  stesso  art.  9  dettano  norme
strettamente collegate al comma 2 (il comma 3 indica le condizioni in
presenza delle quali la riduzione e' accordata dall'amministrazione e
il comma 4 stabilisce che «la struttura deve provvedere al  pagamento
integrale   del   debito   entro   i   sessanta   giorni   successivi
all'accoglimento dell'istanza [...]»), la pronuncia  di  accoglimento
ne determina l'inapplicabilita'. 
    4.- La terza disposizione regionale impugnata e' l'art. 19  della
legge reg. Lazio n.  13  del  2018,  che  fornisce  l'interpretazione
autentica di una disposizione della legge  della  Regione  Lazio  sul
"piano casa" (legge regionale 11 agosto 2009, n. 21, recante  «Misure
straordinarie per il settore edilizio ed  interventi  per  l'edilizia
residenziale sociale»), adottata sulla base dell'art. 11 del d.l.  n.
112 del 2008, come convertito,  e  della  successiva  Intesa  del  1°
aprile 2009, e stabilisce in particolare  che  «[l]a  deroga  di  cui
all'articolo 3, comma 1, della L.R. 21/2009 e  successive  modifiche,
si interpreta nel senso che gli interventi  di  ampliamento  previsti
dal medesimo articolo 3, comma 1, sono consentiti anche in deroga  ai
limiti di densita' edilizia» di cui all'art. 7 del d.m. n.  1444  del
1968.  La  disposizione  interpretata,  intitolata   «Interventi   di
ampliamento degli  edifici»,  statuisce  a  sua  volta,  nella  parte
oggetto dell'intervento interpretativo (art. 3, comma 1),  che  «[i]n
deroga alle previsioni degli strumenti urbanistici e dei  regolamenti
edilizi  comunali  vigenti  o  adottati   sono   consentiti,   previa
acquisizione del titolo abilitativo di cui all'articolo 6, interventi
di ampliamento, nei seguenti limiti massimi relativi alla  volumetria
esistente o alla superficie utile [...]». 
    La legge reg. Lazio n. 21  del  2009  e'  stata  poi  oggetto  di
numerose modifiche, alcune delle quali apportate  in  attuazione  del
cosiddetto secondo "piano casa", previsto dall'art. 5, comma  9,  del
decreto-legge 13  maggio  2011,  n.  70  (Semestre  Europeo  -  Prime
disposizioni urgenti per l'economia), convertito, con  modificazioni,
nella legge 12 luglio 2011, n. 106. Nella  regione  il  "piano  casa"
doveva avere in origine una durata di due  anni  (si  veda  il  testo
originario dell'art. 6, comma 4, della legge reg.  Lazio  n.  21  del
2009), che e' stata via via prorogata (come in altre  regioni)  dalle
successive leggi regionali di  modifica.  Per  effetto  dell'art.  3,
comma 89, della legge della Regione Lazio 31  dicembre  2016,  n.  17
(Legge di Stabilita' regionale 2017), e dell'art. 10, comma 10, della
legge della Regione Lazio 18 luglio 2017, n. 7 (Disposizioni  per  la
rigenerazione urbana e per il recupero edilizio), il "piano casa"  e'
cessato nella Regione Lazio il 1° giugno 2017 (art. 6,  comma  4-bis,
della legge reg. Lazio n. 21 del 2009). 
    4.1.- Secondo il ricorrente, la norma  impugnata  violerebbe:  a)
l'art. 3 Cost., per contrasto con il principio di ragionevolezza  che
funge da limite all'efficacia  retroattiva  delle  leggi,  in  quanto
renderebbe retroattivamente  legittime  condotte  non  conformi  agli
strumenti  urbanistici   al   momento   della   loro   realizzazione,
introducendo   cosi'   una   surrettizia   ipotesi    di    sanatoria
straordinaria; b) gli artt.  3  e  97  Cost.,  per  contrasto  con  i
principi di ragionevolezza e di buon andamento  dell'amministrazione,
in quanto le rilevanti modifiche via via apportate  alla  legge  reg.
Lazio n. 21 del 2009 potrebbero  porre  le  amministrazioni  comunali
nella condizione di non poter verificare cio' che e' stato realizzato
nei diversi periodi; c) l'art. 117, terzo comma, Cost., in  relazione
alla competenza concorrente dello Stato nella  materia  «governo  del
territorio», per contrasto con i principi dettati dalla  legislazione
statale all'art. 2-bis del decreto del Presidente della Repubblica  6
giugno 2001, n. 380 (Testo unico  delle  disposizioni  legislative  e
regolamentari in materia edilizia - Testo A), all'art. 5,  comma  11,
secondo periodo, del d.l. n. 70 del 2011, come convertito, e all'art.
14, comma 3, del citato testo unico in tema di titoli abilitativi  in
deroga. 
    Questa Corte ritiene  di  affrontare  in  primo  luogo  la  terza
questione. In sintesi, secondo  il  ricorrente  la  norma  impugnata,
derogando all'art. 7 del d.m. n. 1444 del 1968,  avrebbe  violato  un
principio, desumibile dalla legislazione statale,  secondo  il  quale
l'art. 7 (che fissa i «Limiti di densita' edilizia»)  sarebbe  invece
inderogabile. 
    Si  deve  preliminarmente  precisare  che   dei   tre   parametri
interposti indicati nel ricorso non e' invocato in maniera pertinente
il terzo, cioe' l'art. 14 del d.P.R. n. 380 del 2001, che  disciplina
il «permesso di costruire in deroga agli strumenti  urbanistici».  Il
comma 3  di  tale  disposizione  stabilisce  che  «[l]a  deroga,  nel
rispetto delle  norme  igieniche,  sanitarie  e  di  sicurezza,  puo'
riguardare esclusivamente i limiti di densita' edilizia, di altezza e
di distanza tra i fabbricati di cui alle norme  di  attuazione  degli
strumenti urbanistici generali ed esecutivi, nonche' le  destinazioni
d'uso ammissibili, fermo restando in  ogni  caso  il  rispetto  delle
disposizioni di cui agli articoli 7, 8 e 9 del decreto ministeriale 2
aprile 1968, n. 1444». 
    La norma e' infatti richiamata dall'art. 5 del  d.l.  n.  70  del
2011 - nei commi 11 e 13 - solo per  il  caso  di  assenza  di  leggi
regionali, sicche' l'esistenza di  una  legge  regionale  sul  "piano
casa" esclude l'applicabilita' dell'art. 14 del testo unico. 
    4.2.- Cio' precisato, la questione e' fondata. 
    E' opportuno  ricordare  che,  secondo  questa  Corte,  i  limiti
fissati dal d.m. n. 1444 del 1968, che trova  il  proprio  fondamento
nell'art. 41-quinquies, commi 8 e 9, della legge 17 agosto  1942,  n.
1150 (Legge urbanistica), hanno efficacia vincolante anche  verso  il
legislatore regionale (ad esempio, sentenza n. 232 del  2005),  salvo
quanto si dira' in relazione all'art. 2-bis del  d.P.R.  n.  380  del
2001,  costituendo  essi  principi  fondamentali  della  materia,  in
particolare come limiti massimi di densita'  edilizia  a  tutela  del
«primario interesse generale all'ordinato sviluppo urbano» (Consiglio
di Stato, sezione quarta, sentenza 5 novembre 2018, n. 6250). 
    La  Regione  Lazio  non  contesta,  in  generale,  il   carattere
inderogabile del d.m. n. 1444 del  1968,  ma  ritiene  che  la  legge
regionale sul "piano casa" rappresenti una  disciplina  speciale,  in
grado di derogare all'art. 7 del citato decreto. 
    L'assunto non puo' essere condiviso. 
    Occorre ricordare che la  prima  norma  legislativa  statale  sul
"piano casa" (art. 11 del d.l. n. 112 del 2008)  non  contemplava  la
possibilita' che gli ampliamenti consentiti derogassero  al  d.m.  n.
1444 del 1968  e,  coerentemente,  tale  possibilita'  non  risultava
neppure  dall'Intesa  del  1°  aprile  2009.  Nemmeno  nella  seconda
disciplina statale sul "piano casa" (art. 5 del d.l. n. 70 del  2011)
si ritrova alcun cenno alla derogabilita' del d.m. n. 1444 del  1968;
anzi, il comma 11 dell'art. 5 tiene «fermo il rispetto degli standard
urbanistici», con chiaro riferimento al citato decreto. 
    L'art. 5 del d.l.  n.  70  del  2011  e'  stato  poi  oggetto  di
interpretazione ad opera dell'art.  1,  comma  271,  della  legge  23
dicembre 2014, n. 190, recante «Disposizioni per  la  formazione  del
bilancio annuale e  pluriennale  dello  Stato  (legge  di  stabilita'
2015)», secondo cui  «[l]e  previsioni  e  le  agevolazioni  previste
dall'articolo 5, commi 9 e 14, del decreto-legge 13 maggio  2011,  n.
70, convertito, con modificazioni, dalla legge  12  luglio  2011,  n.
106, si interpretano  nel  senso  che  le  agevolazioni  incentivanti
previste  in  detta  norma  prevalgono  sulle  normative   di   piano
regolatore generale,  anche  relative  a  piani  particolareggiati  o
attuativi, fermi i limiti di cui all'articolo 5,  comma  11,  secondo
periodo, del citato decreto-legge  n.  70  del  2011».  Da  un  lato,
dunque,  il  legislatore  statale  ha  avvertito  la  necessita'   di
affermare espressamente la possibilita' di derogare - nell'ambito del
"piano casa" - agli strumenti urbanistici, dall'altro tale deroga  e'
stata limitata ad essi, senza alcuna estensione  alle  norme  statali
(anzi, il limite di cui al citato art. 5, comma 11, e'  stato  tenuto
fermo). 
    L'art. 19 della legge reg. Lazio n. 13 del  2018,  affermando  la
possibilita' che gli interventi di ampliamento  previsti  nell'ambito
del "piano casa" deroghino ai limiti  di  densita'  edilizia  di  cui
all'art. 7 del d.m. n. 1444 del 1968, si pone pertanto  in  contrasto
con l'art. 5, comma 11, secondo periodo, del d.l. n. 70 del 2011, che
rappresenta  un  principio  fondamentale  nella  materia  concorrente
«governo del territorio». 
    Tale conclusione e' avvalorata da  due  ulteriori  argomenti.  In
primo luogo, viene in evidenza la giurisprudenza amministrativa,  che
ha statuito la necessita' di assoggettare a  stretta  interpretazione
le disposizioni sul "piano casa" (per tutti Tribunale  amministrativo
regionale  della  Campania,  sentenza  3  agosto  2020,  n.  3474,  e
Consiglio di Stato, sezione quarta,  sentenza  30  ottobre  2017,  n.
4992, riguardanti specificamente i limiti di densita' edilizia di cui
all'art. 7 del d.m. n. 1444 del 1968). Tale  criterio  interpretativo
conferma  il  significato  che  occorre   attribuire   alla   mancata
previsione della derogabilita' dell'art. 7 del citato decreto. 
    In secondo luogo, si puo' osservare che, se gli artt. 7,  8  e  9
del d.m. n. 1444 del 1968  fossero  derogabili,  le  leggi  regionali
potrebbero   prevedere   ampliamenti   senza    limiti    percentuali
determinati, salvo il controllo di ragionevolezza (dato che i  limiti
posti dall'art. 5, comma 14, del d.l. n. 70 del  2011  riguardano  il
caso di assenza di leggi  regionali),  e  cio'  sarebbe  in  evidente
contrasto con la segnalata finalita' di tutela del primario interesse
generale  all'ordinato  sviluppo  urbano  presidiato  dal   principio
fondamentale della legge statale. 
    4.3.-  La  norma  impugnata  viola  anche  il  secondo  parametro
interposto invocato nel ricorso (art. 2-bis, comma 1, del  d.P.R.  n.
380 del 2001). 
    L'art. 2-bis del testo unico, introdotto dall'art. 30,  comma  1,
lettera Oa), del decreto-legge 21 giugno 2013,  n.  69  (Disposizioni
urgenti   per   il   rilancio   dell'economia),    convertito,    con
modificazioni, nella legge 9 agosto 2013, n. 98, prevede, al comma 1,
che le leggi regionali possano derogare al d.m. n. 1444 del 1968,  ma
solo  «nell'ambito  della  definizione  o  revisione   di   strumenti
urbanistici comunque funzionali a un assetto complessivo e unitario o
di  specifiche  aree  territoriali».  Si  tratta  di  una  norma  che
recepisce la giurisprudenza di questa Corte,  secondo  cui  le  leggi
regionali possono derogare alle distanze fissate nel d.m. n. 1444 del
1968 solo a condizione che le deroghe  siano  recepite  da  strumenti
urbanistici attuativi (funzionali a conformare un assetto complessivo
e unitario di determinate  zone  del  territorio)  e  non  riguardino
singoli edifici (per tutte, sentenze n. 41 del  2017  e  n.  231  del
2016): come, del resto, gia' previsto dall'art. 9, ultimo comma,  del
d.m. n. 1444 del 1968. L'art. 2-bis, comma 1, peraltro, non  riguarda
solo le distanze, come  risulta  dall'art.  5  del  decreto-legge  18
aprile 2019, n. 32 (Disposizioni urgenti per il rilancio del  settore
dei  contratti  pubblici,  per   l'accelerazione   degli   interventi
infrastrutturali,  di  rigenerazione  urbana  e  di  ricostruzione  a
seguito di eventi  sismici),  convertito,  con  modificazioni,  nella
legge 14 giugno 2019, n. 55,  che  ha  inserito  nell'art.  2-bis  il
seguente comma 1-bis: «Le disposizioni del comma 1 sono finalizzate a
orientare i comuni nella definizione di limiti di densita'  edilizia,
altezza e distanza dei fabbricati negli ambiti urbani consolidati del
proprio territorio». 
    La  norma  impugnata,  al  contrario,  prevede  una  deroga   che
prescinde del tutto da una pianificazione attuativa e si collega solo
ai titoli edilizi di cui all'art. 6 della legge reg. Lazio n. 21  del
2009. Dunque, l'art. 19 della legge reg. Lazio n. 13 del  2018  viola
l'art. 2-bis, comma 1, del d.P.R. n. 380 del 2001. 
    4.4.- L'accoglimento della  questione  promossa  con  riferimento
all'art. 117, terzo comma, Cost., per violazione  dei  due  parametri
interposti sopra indicati, comporta l'assorbimento delle  altre  due,
promosse in riferimento agli artt. 3 e 97 Cost. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    riservata  a  separate  pronunce  la  decisione  delle  ulteriori
questioni di legittimita' costituzionale promosse dal Presidente  del
Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe; 
    1) dichiara l'illegittimita' costituzionale  dell'art.  4,  comma
25, della legge della Regione Lazio 28 dicembre 2018, n. 13 (Legge di
Stabilita' regionale 2019); 
    2) dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 9, comma 2,
della legge reg. Lazio n. 13 del 2018; 
    3) dichiara l'illegittimita' costituzionale  dell'art.  19  della
legge reg. Lazio n. 13 del 2018. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 23 settembre 2020. 
 
                                F.to: 
                  Mario Rosario MORELLI, Presidente 
                     Daria de PRETIS, Redattore 
                    Filomena PERRONE, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 20 ottobre 2020. 
 
                           Il Cancelliere 
                       F.to: Filomena PERRONE