N. 81 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 14 settembre 2020

Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in
cancelleria il 14 settembre 2020 (del Presidente  del  Consiglio  dei
ministri). 
 
Sanita'  pubblica  -  Norme  della  Regione  Puglia  -  Modifiche   e
  integrazioni alla legge regionale n.  9  del  2017  -  Responsabile
  sanitario - Previsione che il limite di eta' massimo  previsto  per
  lo svolgimento della relativa funzione  e'  quello  previsto  dalla
  vigente normativa nazionale di riferimento, fatta eccezione per gli
  ambulatori specialistici non accreditati. 
Sanita'  pubblica  -  Norme  della  Regione  Puglia  -  Modifiche   e
  integrazioni alla legge regionale n. 9  del  2017  -  Procedure  di
  accreditamento - Previsione che le strutture pubbliche  e  private,
  tra le altre, possono richiedere  con  unica  istanza  il  rilascio
  dell'autorizzazione     all'esercizio     e     dell'accreditamento
  istituzionale. 
Sanita' pubblica - Norme  della  Regione  Puglia  -  Disposizioni  in
  materia di fabbisogno di RMN grandi macchine e RMN  a  basso  campo
  "dedicate" o "open di nuova generazione"  -  Modifiche  alla  legge
  regionale  n.  9  del  2017  -   Accreditamento   istituzionale   e
  obbligatorieta' del possesso dei requisiti - Previsione di  ipotesi
  in cui l'autorizzazione all'esercizio produce effetti vincolanti ai
  fini della procedura di accreditamento istituzionale. 
Sanita' pubblica - Norme della Regione Puglia - Norme in  materia  di
  incarichi  a  tempo  determinato  -  Personale  gia'  titolare   di
  contratto, ovvero di incarico a tempo indeterminato, presso aziende
  o enti del Servizio sanitario  nazionale  e  in  servizio  a  tempo
  determinato, alla data del 31 dicembre 2019, presso una  azienda  o
  ente  del  Servizio  sanitario  della  Regione  Puglia  -  Prevista
  conferma nei ruoli di quest'ultima a tempo indeterminato. 
- Legge della  Regione  Puglia  7  luglio  2020,  n.  18  (Misure  di
  semplificazione amministrativa in materia sanitaria), art. 1, commi
  11 e 13; 9; e 10, comma 1. 
(GU n.44 del 28-10-2020 )
    Ricorso ai sensi dell'art. 127 della Costituzione  il  Presidente
del  Consiglio  dei  ministri  (C.F.  80188230587),  in  persona  del
Presidente del Consiglio pro tempore, rappresentato e difeso ex  lege
dall'Avvocatura  Generale  dello  Stato  (fax   06/96514000   -   pec
ags_m2@mailcert.avvocaturastato.it),   presso   i   cui   uffici   e'
legalmente domiciliato in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12; 
    Contro la Regione Puglia, in persona del Presidente  pro  tempore
della Giunta regionale, nella sua sede  in  Bari,  lungomare  Nazario
Sauro 31; 
    Per la declaratoria  della  illegittimita'  costituzionale  degli
articoli 1, comma 11 e 13, art. 9 e art.  10,  comma  1  della  legge
regionale 7 luglio 2020, n. 18, pubblicato nel B.U.R.  n.  99  del  9
luglio 2020, giusta deliberazione del Consiglio dei ministri  assunta
nella seduta del giorno 7 agosto 2020. 
 
                          Premesse di fatto 
 
    Sul Bollettino Ufficiale della Regione Puglia n. 99 del 9  luglio
2020, e' stata pubblicata la legge regionale n. 18 del 7 luglio 2020,
recante  «Misure  di  semplificazione   amministrativa   in   materia
sanitaria»  che  presenta  i  seguenti  profili   di   illegittimita'
costituzionale. 
    La legge in esame introduce modifiche ed integrazioni  ad  alcuni
procedimenti  amministrativi  attinenti  al  settore  sanitario,   in
un'ottica di semplificazione, con particolare riferimento alle  leggi
regionali n. 9/2017 e n. 53/2017 e alla disciplina  regolamentare  in
materia  di  autorizzazione  all'esercizio  e  accreditamento   delle
strutture socio-sanitarie. 
    Cio'  premesso,  alcune  norme   contrastano   con   i   principi
fondamentali posti dal legislatore statale in materia di tutela della
salute, in violazione dell'art. 117, terzo comma, della Costituzione. 
    Un'altra disposizione invece  viola  il  principio  del  pubblico
concorso  per  l'accesso  alla  pubblica  amministrazione,  stabilito
nell'art. 97, comma 4, della Costituzione, e, ponendosi in  contrasto
con la normativa statale concernente le  stabilizzazioni,  invade  la
competenza esclusiva dello Stato in materia di ordinamento civile, in
violazione  dell'art.  117,  secondo   comma,   lettera   1),   della
Costituzione. 
    Pertanto, le suddette disposizioni vengono oggi impugnate con  il
presente ricorso ex  art.  127  Cost.  affinche'  ne  sia  dichiarata
l'illegittimita' costituzionale e ne sia pronunciato  il  conseguente
annullamento per i seguenti 
 
                          Motivi di diritto 
 
1) Contrasto  con  i  principi  fondamentali  posti  dal  legislatore
statale in materia di «tutela della salute» contenuti nelle norme del
decreto legislativo n. 502 del 1992 - Violazione dell'art. 117, terzo
comma, della Costituzione. 
    A) L'art. l, comma 11, L.R. 18/2020, nel sostituire  il  comma  8
dell'art. 12 della citata L.R. 9/2017, riguardante  i  requisiti  del
responsabile sanitario,  dispone  che  «Il  limite  di  eta'  massimo
previsto per lo svolgimento della finzione di responsabile  sanitario
e' quello previsto dalla normativa nazionale vigente  in  materia  di
permanenza in servizio dei dirigenti medici e del ruolo sanitario del
servizio sanitario nazionale,  fatta  eccezione  per  gli  ambulatori
specialistici non accreditati». 
    Tale  previsione  presenta  profili  di  illegittimita'   laddove
introduce un'eccezione a favore dei dirigenti medici degli ambulatori
specialistici non accreditati: innanzitutto non e'  chiara  la  ratio
dell'eccezione  concernente  il  limite  di  eta'  del   responsabile
sanitario che lavora in detti ambulatori, che  sembra  comportare  la
compressione del principio di  parita'  di  trattamento  nonche'  del
principio di proporzionalita', in quanto si inserisce un elemento  di
differenziazione tra gli ambulatori specialistici e tutti  gli  altri
tipi di strutture sanitarie in assenza di indicazioni che  potrebbero
astrattamente giustificarla. 
    Inoltre non  e'  agevole  comprendere  i  motivi  e  valutare  le
conseguenze di tale diversita' di trattamento,  in  quanto  la  norma
regionale non precisa neppure il regime applicabile a tali strutture,
ne' tale eccezione trova un fondamento nella  normativa  statale  di'
riferimento: nessun riferimento a  tale  diversa  regola  e'  infatti
contenuto nella legge 30 dicembre 1991,  n.  412,  che,  all'art.  4,
comma 2,  ultimo  periodo,  nel  prevedere  che  le  regioni  possano
stipulare convenzioni con istituzioni sanitarie private, si limita  a
stabilire la obbligatorieta' della nomina di «un direttore  sanitario
o tecnico, che risponde personalmente dell'organizzazione  tecnica  e
funzionale  dei  servizi...»,  e  altrettanto  e'  a  dirsi  per   la
successiva normativa di settore, nonche' per il  decreto  legislativo
n. 502/1992 che detta i principi fondamentali in materia. 
    Pertanto, poiche' codesta Ecc.ma Corte, con sentenza n.  181  del
2006, ha  ritenuto  che  la  disciplina  del  rapporto  di  lavoro  e
dell'attivita' professionale del dirigente  sanitario,  attiene  alla
materia della «tutela della salute»,  (dal  momento  che  «rileva  la
stretta  inerenza  che  tutte  le  norme  de  quibus  presentano  con
l'organizzazione del servizio sanitario regionale e,  in  definitiva,
con le condizioni per la fruizione delle prestazioni rese all'utenza,
essendo queste ultime condizionate, sotto molteplici  aspetti,  dalla
capacita', dalla professionalita' e dall'impegno di tutti i  sanitari
addetti ai servizi,  e  segnatamente  di  coloro  che  rivestono  una
posizione apicale»), la norma regionale in esame, che si discosta  da
tale disciplina,  si  pone  in  evidente  contrasto  con  i  principi
fondamentali in materia di tutela della salute in essa contenuti,  in
aperta violazione del terzo comma dell'art. 117 della Costituzione. 
    B) L'art. 1, comma 13, L.R. 18/2020 appare anch'esso in contrasto
con i principi fondamentali della legislazione statale in materia  di
tutela della salute. La norma regionale, nel sostituire  il  comma  2
dell'art. 24 della citata L.R. n. 9/2017, concernente le procedure di
accreditamento delle strutture sanitarie  e  sociosanitarie,  prevede
che «Le strutture pubbliche e private, gli  Istituti  di  ricovero  e
cura a carattere scientifico (IRCCS) privati e gli enti ecclesiastici
possono richiedere con unica istanza il rilascio  dell'autorizzazione
all'esercizio e dell'accreditamento istituzionale». 
    Tale disposizione regionale, che accorpa in un'unica istanza  sia
la richiesta di rilascio dell'autorizzazione all'esercizio sia quella
concernente l'accreditamento istituzionale, non  tiene  nella  dovuta
considerazione la circostanza che i due  istituti  sono  orientati  a
perseguire finalita' ben distinte. 
    Come e' noto, infatti, l'accreditamento e' il  provvedimento  con
cui si riconosce alle strutture pubbliche e private,  che  sono  gia'
state  precedentemente   autorizzate   all'esercizio   dell'attivita'
sanitaria, lo status di potenziali erogatori di prestazioni sanitarie
nell'ambito e per conto del Servizio sanitario nazionale. 
    In  particolare,  ai  sensi  dell'art.   8-quater   del   decreto
legislativo n. 502/1992, l'accreditamento viene concesso ai  soggetti
gia'   in   possesso   dell'autorizzazione,   subordinatamente   alla
sussistenza  delle  seguenti  ulteriori  condizioni:  coerenza  delle
funzioni svolte con gli  indirizzi  della  programmazione  regionale;
rispondenza ai requisiti ulteriori rispetto  a  quelli  richiesti  ai
fini dell'autorizzazione; verifica positiva dell'attivita'  svolta  e
dei risultati ottenuti. 
    Infine, la previsione regionale non risulta in linea  con  quanto
previsto dalle intese raggiunte in  Conferenza  Stato-Regioni  il  20
dicembre 2012 e  19  febbraio  2015,  in  merito  alle  attivita'  di
verifica spettanti all'organismo tecnicamente accreditante. 
    Pertanto  la  disposizione  regionale  in  parola,  ponendosi  in
contrasto con i principi fondamentali posti dal  legislatore  statale
in materia  di  «tutela  della  salute»  con  la  norma  del  decreto
legislativo n. 502 del 1992 sopra richiamata,  configura  una  chiara
violazione dell'art. 117, terzo comma, della Costituzione. 
    C) L'art.  9  L.R. 18/2020,  in  materia  di  fabbisogno  di  RMN
(Risonanza magnetica nucleare) grandi macchine e RMN  a  basso  campo
c.d. «dedicate» o «open  di  nuova  generazione»,  presenta  analoghi
rilievi di illegittimita' per contrasto con i principi fissati  nella
normativa statale sopracitata. 
    La norma sostituisce l'ultimo periodo del comma  3  dell'art.  19
della  citata  L.R. 9/2017  con  il  seguente:  «Ferma  restando   la
necessita'  di   verificare   la   sussistenza   dei   requisiti   di
accreditamento,   nelle   soprariportate   ipotesi   l'autorizzazione
all'esercizio produce effetti vincolanti ai fini della  procedura  di
accreditamento istituzionale». 
    Al riguardo va innanzitutto rilevato  che  l'art.  19,  comma  3,
della legge n. 9/2017 era gia' stato modificato  dall'art.  49  della
legge regionale n. 52/2019,  che  e'  stato  a  sua  volta  impugnato
davanti a codesta Corte, con delibera del Consiglio dei ministri  del
20 gennaio 2020, in quanto ha introdotto  tre  fattispecie  (relative
proprio all'autorizzazione  all'esercizio  per  l'attivita'  di  alta
diagnostica sopra indicata) derogatorie al principio secondo il quale
l'autorizzazione alla realizzazione e all'esercizio  delle  strutture
sanitarie e socio-sanitarie non produce effetti  vincolanti  ai  fini
della procedura di accreditamento istituzionale,  che  si  fonda  sul
criterio di funzionalita' rispetto alla programmazione regionale. 
    Inoltre,  in  merito  all'autorizzazione  all'esercizio,  codesta
Corte costituzionale ha piu'  volte  evidenziato  il  fatto  che  gli
articoli 8, comma 4, e 8-ter, comma 4, del citato decreto legislativo
n. 502/1992, che stabiliscono  i  requisiti  minimi  di  sicurezza  e
qualita' per poter effettuare  prestazioni  sanitarie,  rappresentano
principi fondamentali stabiliti dalla legislazione  statale,  che  le
regioni  devono  rispettare  indipendentemente  dal  fatto   che   la
struttura intenda o meno chiedere l'accreditamento  (sentenze  numeri
245 e 150 del 2010 e n. 292/2012). 
    E' stato, altresi', chiarito che per l'«accreditamento» occorrono
«requisiti    ulteriori»     (rispetto     a     quelli     necessari
all'autorizzazione),  ai  sensi  dell'art.   8-quater   del   decreto
legislativo  n.  502  del  1992;  quest'ultima   disposizione   reca,
parimenti,  principi  fondamentali  che  le  regioni  sono  tenute  a
rispettare, non potendosi attribuire  l'accreditamento  ope  legis  a
determinate strutture, la cui regolarita' sia  meramente  presunta  e
non effettivamente l'ondata  sul  possesso  effettivo  dei  requisiti
prescritti (sentenza n. 361 del 2008). 
    Premesso quanto sopra, la modifica introdotta dall'art.  9  della
legge in esame, a differenza  della  norma  impugnata,  fa  salva  la
verifica dei  requisiti  per  l'accreditamento:  ciononostante  resta
sempre da chiarire quali  possano  essere  gli  «effetti  vincolanti»
scaturenti dall'autorizzazione, posto  che  l'accreditamento  non  si
configura quale atto vincolato e deve essere, tra  l'altro,  coerente
rispetto alla programmazione nazionale e regionale. 
    Alla luce di quanto rappresentato e del quadro normativo  statale
richiamato, deriva che le disposizioni regionali in esame,  ponendosi
in contrasto  con  i  principi  fondamentali  posti  dal  legislatore
statale in materia di «tutela della salute» contenuti nelle norme del
decreto legislativo n. 502 del 1992 sopra richiamate, configurano una
violazione dell'art. 117, terzo comma, della Costituzione. 
2) Violazione del principio del pubblico concorso, fissato  dall'art.
97 della Costituzione,  e  contrasto  con  le  normative  statali  in
materia di superamento del precariato, in violazione  dell'art.  117,
secondo comma, lettera l), della Costituzione. 
    Art. 10, comma 1 L.R. 18/2020. 
    Emergono inoltre profili di violazione del principio del pubblico
concorso, fissato dall'art. 97 della Costituzione, e di contrasto con
le normative statali in materia di  superamento  del  precariato,  in
violazione  dell'art.  117,  secondo   comma,   lettera   l),   della
Costituzione, con  riferimento  all'art.  10,  comma  l  della  legge
regionale  in  esame,  «Norma  in  materia  di  incarichi   a   tempo
determinato». La norma dispone che  «nel  limite  dei  posti  vacanti
nella  dotazione  organica  e  nel  rispetto  della  spesa  sanitaria
derivante  dalle  norme  vigenti,  il  personale  gia'  titolare   di
contratto, ovvero di incarico a tempo indeterminato, presso aziende o
enti  del  servizio  sanitario  nazionale  e  in  servizio  a   tempo
determinato alla data del 31 dicembre 2019, presso una azienda o ente
del servizio sanitario della Regione Puglia e' confermato  nei  ruoli
di quest'ultima a tempo indeterminato,  previa  presentazione,  entro
sessanta giorni  dalla  data  in  vigore  della  presente  legge,  di
apposita domanda di mobilita'». 
    Va innanzitutto rilevato che la norma regionale, come  formulata,
presenta inesattezze  terminologiche  e  dubbi  interpretativi  nella
parte in cui limita al solo personale «gia'  titolare  di  contratto,
ovvero di incarico a tempo indeterminato presso aziende  o  enti  del
servizio sanitario nazionale e in servizio a tempo  determinato  alla
data del 31 dicembre 2019» la possibilita' di essere  confermato  nei
ruoli dell'Amministrazione in cui presta servizio. 
    Non risulta, infatti, comprensibile la  nozione  di  «incarico  a
tempo  indeterminato»,  dato  che,  per  sua  natura,  l'incarico  si
configura necessariamente a tempo determinato, ai sensi  del  decreto
legislativo n. 502 del 1992, gia' citato, e del  decreto  legislativo
n. 165 del 2001. 
    D'altra parte, il riferimento  al  personale  «gia'  titolare  di
contratto», non contenendo la specificazione  dell'esatta  tipologia,
dovrebbe invera interpretarsi nel senso di contratto a  termine  o  a
tempo determinato. Cio' premesso, la previsione  regionale  introduce
un meccanismo di stabilizzazione del personale precario  in  possesso
del   requisito    ivi    specificato,    eludendo    il    principio
costituzionalmente garantito del concorso quale  regola  generale  di
accesso al pubblico impiego  di  cui  all'art.  97,  comma  3,  della
Costituzione, a  norma  del  quale  «agli  impieghi  nelle  pubbliche
amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i  casi  stabiliti
dalla legge». 
    Secondo  codesta  Corte  (sentenza  n.  363/2006),  «il  concorso
pubblico  -  quale  meccanismo  imparziale  di  selezione  tecnica  e
neutrale dei piu'  capaci  sulla  base  del  criterio  del  merito  -
costituisce la forma generale e  ordinaria  di  reclutamento  per  le
pubbliche amministrazioni, esso e' posto a presidio delle esigenze di
imparzialita' e di efficienza dell'azione amministrativa». 
    Le  eccezioni  a  tale  regola  consentite  dall'art.  97   della
Costituzione,  purche'  disposte  con  legge,  debbono  rispondere  a
«peculiari e straordinarie esigenze di interesse pubblico»  (sentenza
n. 81/2006), per evitare che la deroga si risolva in un privilegio  a
favore di categorie  piu'  o  meno  ampie  di  persone  (sentenza  n.
205/2006). 
    In altri termini, l'area delle eccezioni va  delimitata  in  modo
rigoroso e nel caso in  esame  non  si  evincono  le  condizioni  per
riconoscere come legittima la deroga prevista. 
    Sebbene la ratio della disposizione de qua sembra  essere  quella
di superare il precariato  nel  settore  sanitario,  la  disposizione
regionale non risulta in linea con i principi fissati dalla normativa
statale vigente, in particolare dai commi 1  e  2  dell'art.  20  del
decreto legislativo n. 75 del 2017 (in  materia  di  superamento  del
precariato nelle pubbliche amministrazioni) nonche' dai  commi  11  e
11-bis del medesimo articolo, che  introducono  i  requisiti  che  il
lavoratore   deve   possedere   cumulativamente   ai    fini    della
stabilizzazione immediata, subordinandoli  comunque  all'espletamento
delle procedure concorsuali. 
    In particolare, per il personale del SSN, i commi 11 e 11-bis del
citato art. 20 dispongono: 
        «11. Le disposizioni di cui ai commi 1 e 2  si  applicano  al
personale, dirigenziale e non, di cui al comma 1 nonche' al personale
delle amministrazioni finanziate dal Fondo ordinario per gli  enti  e
le istituzioni di ricerca, anche ove  lo  stesso  abbia  maturato  il
periodo di tre anni di lavoro negli ultimi otto anni  rispettivamente
presso diverse amministrazioni del  Servizio  sanitario  nazionale  o
presso diversi enti e istituzioni di ricerca»; 
        «11-bis. Allo scopo  di  fronteggiare  la  grave  carenza  di
personale  e  superare  il  precariato,  nonche'  per  garantire   la
continuita' nell'erogazione dei livelli essenziali di assistenza, per
il  personale  medico,   tecnico-professionale   e   infermieristico,
dirigenziale e non, del Servizio sanitario nazionale, le disposizioni
di cui ai commi 1 e 2 si applicano fino al 31 dicembre 2022. Ai  fini
del presente comma il termine per il requisito di  cui  al  comma  1,
lettera c), e al comma 2, lettera b), e' stabilito alla data  del  31
dicembre 2019». 
    Piu' recentemente, il legislatore statale e' intervenuto per  far
fronte  alle  esigenze  straordinarie  ed  urgenti  derivanti   dalla
diffusione  del  COVID-19,  e  garantire  i  livelli  essenziali   di
assistenza sul territorio nazionale, con il decreto-legge n. 18/2020,
convertito, con modificazioni, dalla legge n. 27/2020, che,  fino  al
perdurare dello stato di emergenza di cui alla delibera del Consiglio
dei ministri del 31 gennaio 2020, consente alle aziende  e  gli  enti
del  Servizio  sanitario   nazionale   di   attivare   procedure   di
reclutamento del personale aventi i requisiti e con le  modalita'  di
cui all'art. 2-bis (contratti di lavoro autonomo) e di conferire,  ai
sensi dell'art. 2-ter, incarichi  individuali  a  tempo  determinato,
previo avviso pubblico e previa selezione  per  titoli,  colloquio  e
procedura comparative  in  forma  semplificata,  al  personale  delle
professioni sanitarie e agli operatori socio-sanitari. 
    Per i motivi suesposti l'art. 10 della legge in  esame,  che  non
risulta in linea con le disposizioni statali sopra menzionate,  viola
il principio costituzionale del pubblico concorso e di buon andamento
della pubblica amministrazione di cui all'art. 97 della  Costituzione
e il riparto di competenze legislative tra lo  Stato  e  le  regioni,
sancito dall'art. 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione,
in materia di ordinamento civile. 
    Per i motivi esposti le norme regionali sopra indicate si pongono
in evidente contrasto con l'art. 97, 117, comma 2, lettera l) e comma
3 della Costituzione e, per tali ragioni, dovranno essere annullate. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Il Presidente del  Consiglio  dei  ministri  chiede  che  codesta
Ecc.ma  Corte  costituzionale  voglia  dichiarare  costituzionalmente
illegittime,  e  conseguentemente  annullare,  per  i  motivi   sopra
indicati ed illustrati, gli articoli 1, commi 11 e  13,  l'art.  9  e
l'art. 10, comma 1, della legge della Regione Puglia n. 18/2020. 
    Con l'originale notificato del ricorso si depositeranno: 
        1. l'attestazione relativa alla approvazione,  da  parte  del
Consiglio dei Ministri nella riunione del giorno 7 agosto 2020, della
determinazione di impugnare la legge della Regione  Puglia  7  luglio
2020, n. 18 secondo i termini  e  per  le  motivazioni  di  cui  alla
allegata relazione  del  Ministro  per  gli  affari  regionali  e  le
autonomie; 
        2. la copia della legge regionale  impugnata  pubblicata  nel
Bollettino ufficiale della Regione Puglia n. 99, suppl. del 9  luglio
2020. 
    Con riserva di illustrare e sviluppare in prosieguo i  motivi  di
ricorso anche alla luce delle difese avversarie. 
        Roma, 2 settembre 2020 
 
                 L'Avvocato dello Stato: Del Vecchio