N. 150 ORDINANZA (Atto di promovimento) 4 aprile 2020
Ordinanza del 4 aprile 2020 del Tribunale di Genova nel procedimento civile promosso da Ferrari Rossana contro il Ministero della giustizia. Ordinamento giudiziario - Norme in materia di indennita' spettanti ai giudici onorari di tribunale e ai vice procuratori onorari - Modifiche al decreto legislativo n. 273 del 1989 - Previsione che ai giudici onorari di tribunale spetta un'indennita' di euro 98 per le attivita' di udienza svolte nello stesso giorno nonche' una ulteriore equipollente, ove il complessivo impegno lavorativo per tali attivita' superi le cinque ore. - Decreto-legge 2 ottobre 2008, n. 151 (Misure urgenti in materia di prevenzione e accertamento di reati, di contrasto alla criminalita' organizzata e all'immigrazione clandestina), convertito, con modificazioni, nella legge 28 novembre 2008, n. 186, art. 3-bis, comma 1, lettera a), sostitutiva del comma 1 dell'art. 4 del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 273 (Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 449, recante norme per l'adeguamento dell'ordinamento giudiziario al nuovo processo penale ed a quello a carico degli imputati minorenni).(GU n.44 del 28-10-2020 )
TRIBUNALE ORDINARIO DI GENOVA I sezione civile Il giudice unico, sciogliendo fuori udienza la riserva assunta in data 20 ottobre del 2019 nel procedimento in epigrafe, considerate le istanze del difensore dell'attrice, avv. Nerio Marino, e dell'Avvocatura di Stato, costituita per il convenuto Ministero; Rilevato che l'attrice, avv. Rosanna Ferrari, ha esposto in citazione: di essere giudice onorario del Tribunale di Genova dall'anno 2005 (GOT, poi GOP); di essere assegnataria del ruolo espropriazione mobiliari, nel contesto della sezione competente, la VII di questo tribunale; di tener da tempo udienza nella materia suddetta, ogni lunedi', mercoledi' e venerdi' della settimana e di svolgere altresi', pur in diversi contesti tabellari, ogni compito del G.E. nella materia, compresi numerosi atti da svolgersi fuori udienza, essendo stata la Sezione VII/fallimentare quasi sempre sotto organico, e comunque gravata per lungo tempo anche dalla assegnazione della materia delle successioni e divisioni, risultando pertanto i giudici professionali impiegati, in ambito esecutivo, esclusivamente nel settore dell'espropriazione immobiliare; di svolgere sistematicamente attivita' fuori udienza, come studio, fissazione ricorsi, esame istanze, resa provvedimenti inaudita altera parte, autorizzazioni, esami ricorsi dell'ufficiale giudiziario, verifica somme, provvedimenti relativi ai custodi ed agli stimatori, alle merci deperibili, ed ancora vendite disposte senza udienza, siccome di beni stimati di valore inferiore ad euro 20.000, ed altro ancora; di aver lavorato, in concreto, allo scopo di svolgere l'attivita' «fuori udienza» suddetta almeno quattro giornate al mese oltre le cinque ore, il che avrebbe dovuto comportare il riconoscimento di quattro doppie indennita' mensili per ogni anno; che l'art. 3-bis del decreto-legge del 2 ottobre 2008, n. 151, introdotto con legge di conversione n. 186 del novembre 2008, dispone: ai commi 1 ed 1-bis, che ai giudici onorari di tribunale spetti una indennita' per ogni udienza tenuta inferiore alle cinque ore di euro 98 lorde, ed una ulteriore indennita' della stessa misura ove il complessivo impegno lavorativo superi le cinque ore; per contro, ai successivi commi 2 e 2-bis, che ai viceprocuratori onorari spetta una indennita' giornaliere di euro 98 sia per la partecipazione ad una o piu' udienze, in relazioni alle quali sia loro conferita delega, sia per ogni altra attivita' diversa da quella di cui sopra e delegatile a norma delle vigenti diposizioni di legge; infine, al comma 2-ter, che la durata delle udienze sia tratta dai verbali, mentre l'impegno fuori udienza possa essere rilevato direttamente del procuratore della Repubblica; che conseguentemente, in contestata applicazione della disciplina di cui sopra, si e' formata una prassi di remunerazione dell'attivita' dei giudici onorari, applicata anche nel suo caso, per cui, mentre l'attivita' «fuori udienza» dei vice procuratori (redazione istanze di emissione di decreti penali, redazione capi di imputazione, richieste di archiviazione etc.) concorre alla loro remunerazione, quella del giudice onorario, fosse anche la redazione di sentenze, non viene remunerata essendo di fatto reputata un accessorio della prima; che tale prassi potrebbe essere superata da un'interpretazione analogica, data dal tribunale adito, interpretazione in cui l'esigenza auto evidente (in tesi attorea) di retribuire il lavoro fuori udienza del giudice onorario, venga fronteggiata con una semplice «analogia» con la disciplina del VPO, semplicemente sostituendo la attestazione del procuratore della Repubblica con quella del presidente del tribunale; che, nel concreto, dalla suddetta interpretazione le deriverebbe il raddoppio della indennita' da percepirsi per quattro udienze mensili fin dalla assunzione dell'incarico; che tale conteggio sarebbe gia' riduttivo posto che l'attivita' fuori udienza si considera come svolta in giorni concentrati e con gia' distribuita in modo da valorizzarne al massimo la capacita' di integrazione del compenso; che, in ordine al diritto come sopra detto, la prescrizione era stata interrotta dalla nota 4.12.13 al presidente del tribunale, espressiva della pretesa, risultando quindi prescritti solo i compensi per il periodo antecedente al 4 dicembre 2008. Esposto quanto sopra richiedeva che il tribunale le liquidasse in via giurisdizionale quanto gia' negatole in via amministrativa ovvero il corrispondente della doppia indennita' per quattro giorni al mese dal dicembre del 2018 al giorno della domanda. In via subordinata, ove ritenuto insormontabile il testo di legge, ovvero ritenuto il riconoscimento di indennita' per attivita' extra udienza riconoscibile solo ai viceprocuratori onorari, e non ai giudici onorari, di rilevare la disparita' di trattamento ingiustificata (evidente riferimento ad una violazione dell'art. 3 della Costituzione) e di rimettere pertanto gli atti alla Corte costituzionale. Si e' costituita l'Avvocatura di Stato la quale, ha denegato ogni possibilita' di interpretazione analogica o evolutiva o adeguatrice nella norma in questione, di conseguenza la sussistenza di ogni diritto a maggior compenso sulla base della normativa attuale; peraltro ha sostenuto - in principio - la manifesta infondatezza della questione di costituzionalita' sollevata per non avere l'indennita' dei magistrati onorari carattere retributivo, deducendo da cio' la non necessita' della equiparazione col ramo requirente della magistratura onoraria; infine ha dedotto l'irrilevanza della questione per l'impossibile incremento della indennita' gia' corrisposta all'attrice. Nella trattazione della causa: riservato ogni provvedimento sono stati concessi alle parti i termini di cui all'art. 183, comma 6 del codice di procedura civile, per il pieno svolgimento delle difese; si e' rilevato che, tra gli argomenti svolti dalla Avvocatura ve ne e' uno che pone in discussione la rilevanza della questione di costituzionalita', posta dall'attrice, sul tema di cui si e' sopra detto; viene infatti eccepito che l'attrice avrebbe indicato «quasi» sempre nei prospetti mensili per la liquidazione, di aver tenuto udienze di oltre cinque ore, in tutti i gironi lavorativi della settimana; dal che una obiettiva difficolta' del rilevare quale aumento di indennita' avrebbe comportato la diversa interpretazione prospettata, avendo l'attrice gia' ottenuto il massimo riconoscimento possibile; si e' svolta su tale punto attivita' istruttoria, con richiesta di una relazione al presidente della sezione presso la quale il GOP svolge la propria opera (213 del codice di procedura civile); in particolare e' stato richiesto, al presidente suddetto, di verificare se, nell'ipotesi astratta di fondatezza della tesi attorea, vi sarebbe stato margine per una ulteriore liquidazione indennitaria al GOP attore; e' pervenuta articolata risposta a firma del presidente Braccialini con accluso schema di cancelleria. Dalla risposta suddetta sono derivate le seguenti evidenze di causa: si conferma l'esistenza di una notevole mole di lavoro «fuori udienza» svolta dal giudice, in questa sede attore, si individua un attendibile criterio di stima di tale tempo di lavoro individuato in 1/3 di quello dedicato alle udienze, si individua una serie di udienze, dettagliatamente indicate dalla cancelleria, per le quali alla cancelleria risulta: 1) un tempo di lavoro inferiore alle cinque ore, e quindi un margine di incremento possibile alla indennita' riconosciuta; 2) contemporaneamente un tempo di lavoro superiore alle tre ore e 20 minuti, ovvero un tempo che, rappresenta i 2/3 delle cinque ore e che quindi, presumibilmente, e sulla base di presunzioni dotate anche di un significativo riferimento normativo, incrementato di un ulteriore terzo, ovvero della sua meta' (tempo di lavoro extra-udienza) supererebbe anche le cinque ore, comportando la doppia indennita'. Su tale evidenza istruttoria parte attrice ha insistito in ogni istanza, compresa la sollecitazione a sollevare la questione di costituzionalita', il convenuto Ministero, a mezzo della Avvocatura, ha mantenuto la dispiegata resistenza, con il che e' risultato necessario esaminare la sollevata questione di costituzionalita'. Il quadro normativa di interesse e' il seguente: l'art. 3-bis, comma 1, lettera a) del decreto-legge 2 ottobre 2008, n. 151, convertito dalla legge n. 186 del 28 novembre 2008, norma di cui e' richiesto in primo luogo l'applicazione analogica e di cui, in seconda istanza, e' denunciata l'incostituzionalita', ha, in realta' modificato, l'art. 4 del decreto legislativo del 28 luglio 1989, n. 273 (Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 449, recante norme per l'adeguamento dell'ordinamento giudiziario al nuovo processo penale ed a quello a carico degli imputati minorenni). Ed Gazzetta Ufficiale 5 agosto 1989, n. 182. Il quale e' quindi l'effettivo oggetto dalla introdotta modifica, ha il seguente testo: «1. Ai giudici onorari di tribunale spetta un'indennita' di euro 98 per le attivita' di udienza svolte nello stesso giorno (1). 1-bis. Ai giudici onorari di tribunale spetta un'ulteriore indennita' di euro 98 ove il complessivo impegno lavorativo per le attivita' di cui al comma 1 superi le cinque ore (2). 2. Ai viceprocuratori onorari spetta un'indennita' giornaliera di euro 98 per l'espletamento delle seguenti attivita', anche se svolte cumulativamente: a) partecipazione ad una o piu' udienze in relazione alle quali e' conferita la delega; b) ogni altra attivita', diversa da quella di cui alla lettera a), delegabile a norma delle vigenti disposizioni di legge (3). 2-bis. Ai viceprocuratori onorari spetta un'ulteriore indennita' di euro 98 ove il complessivo impegno lavorativo necessario per lo svolgimento di una o piu' attivita' di cui al comma 2 superi le cinque ore giornaliere (4). 2-ter. Ai fini dell'applicazione dei commi 1-bis e 2-bis, la durata delle udienze e' rilevata dai rispettivi verbali e la durata della permanenza in affido per l'espletamento delle attivita' di cui al comma lettera b), e' rilevata dal procuratore della Repubblica. 3. L'ammontare delle indennita' previste dai commi 1 e 2 puo' essere adeguato ogni tre anni, con decreto emanato dal Ministro di grazia e giustizia di concerto con il Ministro del tesoro, in relazione alla variazione, accertata dall'ISTAT, dell'indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati, verificatasi nel triennio precedente. 4. La pesa relativa gravera' sul capitolo 1589 del bilancio del Ministero di grazia e giustizia. 5. Sono abrogatigli articoli 32, comma 2 e 208 del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12.». E' evidentissimo che la norma, nel suo complesso, detta due distinti criteri di determinazione dei compensi per i magistrati onorari. I giudici onorari sono compensati in relazione alla sola attivita' di udienza. I viceprocuratori onorari sia in relazione alla attivita' di udienza che in relazione ad altre attivita' svolte fuori udienza. La disciplina in esame e' destinata ad esser superata dalla recente riforma della magistratura onoraria, gia' approvata ed in corso di applicazione. Nondimeno la norma, oltre a conservare tuttora vigore temporaneo, per la sospensione sul punto della riforma, certamente conserva valore per i fatti di causa, relativi interamente al passato. La distinzione esaminata e' chiaramente voluta dal legislatore storico ed e' espressa in una forma del tutto incompatibile con qualsiasi interpretazione adeguatrice. In tal senso ha opinato la stessa Avvocatura di Stato (opponendosi all'accoglimento diretto delle istanze attoree) e, sul punto, non si puo' che concordare, con sostanziale rinvio recettizio alle difese in funto di divieto di interpretazione in claris. La norma in esame non ha solo un contenuto «costitutivo di diritto» in favore dei viceprocuratori onorari. Letta «in negativo» essa ha anche un significato limitativo, contenitivo di una opzione che pur esprime, nei confronti dei giudici onorari. E' infatti un dato innegabile, secondo buona fede intellettuale, che sia il giudice che il pubblico ministero operino sia: in udienza che fuori udienza. Si potrebbe discutere sul relativo peso delle due attivita' (in entrambi i casi due attivita' giudiziarie primarie, la direzione delle indagini per il pubblico ministero e la redazione delle sentenze per i giudici, avvengono essenzialmente fuori udienza), ma la questione quantificatoria non rimuove l'assunto, non giunge sicuramente alla individuazione di una discriminante di rilievo considerabile normativamente. E' quindi evidente la possibilita' di una «realta' normativa alternativa» in cui anche l'attivita' extra udienza del giudice onorario sia riconosciuta a fini indennitaria. Tale realta' normativa alternativa e' facilmente individuabile secondo i canoni ordinari utilizzabili per le pronunce addittive. L'equiparazione sarebbe possibile con la semplice duplicazione di quanto previsto per i VPO e con la sostituzione del riferimento al procuratore capo, con quello al presidente del tribunale o della corte di appello (che ora dispone di giudici onorari). E' quindi confermato che la norma in esame pone un limite chiaro ad una chiara possibilita' (teorica) dell'attrice di vedersi riconosciuta una maggior indennita' per l'opera svolta come giudice onorario. Prima di analizzare se tale limite mostri effettivamente indizi di contrasto con la Costituzione, e' tuttavia necessario verificare se esso sia rilevante. La questione posta e' rilevante. Nella parte della presente ordinanza relativa alla ricostruzione dell'evoluzione del processo ad oggi, si e' gia' indicato il passaggio istruttorio compiuto. La tesi dell'Avvocatura di Stato era che, nella sostanza, l'attrice avesse gia' svolto una intensissima attivita' di udienza raggiugendo la doppia indennita' per quasi tutti i giorni della settimana. Si sarebbe cosi' realizzata una condizione di «indennita' non espandibile», sicche' la questione posta, in concreto, non avrebbe avuto alcun margine di possibile accoglimento. Come gia' detto la prospettiva suddetta e' stata dissipata dalla relazione inoltrata dal presidente della sezione alla quale il magistrato onorario e' assegnato e dalla integrata relazione di cancelleria, documenti che evidenziano come esisterebbero margini di espansione della indennita' riconosciuta al GOT, ove al suo trattamento fosse applicata la medesima disciplina vigente per i viceprocuratori. Si deve solo notare, in proposito, che il fatto che il margine di rilevanza individuato dal presidente di sezione sia differente da quello ipotizzato dall'attrice medesima non puo' aver alcun rilievo che non sia del tutto capzioso ed assolutamente marginale. Infatti l'attrice ha chiaramente richiesto una liquidazione dell'indennita' per la propria attivita', sulla medesima base dei criteri fissati per i viceprocuratori. Questa e' «la domanda» il resto e' una «proposta di quantificazione», che, nel caso di certa sussistenza del diritto ed incerta quantificazione, potrebbe persino formare oggetto di liquidazione equitativa da parte del giudice. Si conferma quindi la rilevanza della questione posta. La questione non e' manifestamente infondata. La questione e' posta dalla ricorrente in termini piuttosto semplici, con un unico rilievo relativo alla supposta violazione dell'art. 3 della Costituzione sotto il profilo della sussistenza di una discriminazione e del suo carattere irragionevole. In effetti non si puo' negare che la norma in esame consideri diversamente due condizioni in tutto analoghe. Due magistrati onorari svolgono attivita' analoga, poniamo in relazione alla medesima udienza, l'uno con funzione requirente, l'altro con funzione giudicante. Se per il medesimo caso trattato in udienza entrambi hanno studiato gli atti, ed uno di essi ha redatto il capo di imputazione (fuori udienza) e formulato istruzioni standard alla PG, sempre fuori udienza, mentre l'altro ha esaminato il fascicolo dibattimentale, fatto una ricerca di giurisprudenza e redatto la sentenza, le suddette attivita' contribuiscono alla formazione della indennita' solo per il viceprocuratore onorario e non per il giudice onorario. La discriminazione pare sussistere. Non l'esempio fatto non sia rappresentativo, posto che fa perno sull'attivita' relativa ad una specifica udienza. Si e' infatti gia' visto come, per ambo le categorie di magistrati, lo svolgimento di attivita' non in udienza sia rilevante (nel caso di specie ordinanze di vendita redatte fuori udienza, nomina e liquidazione di custodi e stimatori, provvedimenti resi inaudita altera parte etc.) ed in generale quella dei giudici onorari comprenda l'atto giurisdizionale per eccellenza della redazione della sentenza e non escluda neppure l'attivita' che si sta compiendo, ovvero l'avvio del vaglio di costituzionalita' di una legge, attivita' frequentemente svolta di giudici di pace). La non considerazione dell'attivita' svolta fuori udienza resta quindi discriminatoria anche fuori dall'esempio della singola udienza e su realta' per cosi' dire «aggregata». Neppure si puo' dire che la celebrazione di un maggior numero di udienze da parte dei giudici onorari e la loro relativa facolta' di fissare le stesse in date prescelte, redano il numero di udienze un parametro piu' soddisfacente, sotto il profilo quantificatorio, per il giudice onorario di quanto non lo siano per il viceprocuratore. E' vero infatti che il numero di udienze complessivamente tenute dai giudici onorari puo' teoricamente esser maggiore del numero di quelle cui partecipano i viceprocuratori, a causa del fatto che non tutte le udienze implicano la partecipazione del pubblico ministero, ed in particolare non la implicano le udienze civili. Per contro e' tuttavia vero che quanto sopra e' gia' considerato nella distribuzione organica dei posti, e, soprattutto e' notorio che i viceprocuratori partecipano a numerosissime udienze tenute da magistrati togati. Ancora una volta non pare si possa negare in nessun modo che la discriminazione sussista. A fronte di quanto sopra parte l'Avvocatura di Stato muove una ulteriore obiezione. Anche ove la discriminazione sussistesse non rileverebbe sotto il profilo di una violazione del dettato costituzionale. Infatti l'indennita' liquidata ai giudici onorari non avrebbe natura «retributiva», ne conseguirebbe la inapplicabilita' al settore dell'art. 36 della Costituzione. Tale norma sarebbe l'unica disposizione costituzionale in grado di obbligare a riconoscere un trattamento economico equivalente a fronte di una prestazione lavorativa equivalente. Tale necessita' costituzionale sarebbe inscindibilmente collegata alla «considerazione egualitaria del lavoro di pari consistenza, importanza, livello e responsabilita'». Fuori da tale ambito non sussisterebbe necessita' costituzionale di adeguamento verso l'altro, o verso il basso, delle norme di fissazione di un riconoscimento economico dell'attivita', e particolarmente non sussisterebbe in ordine alla attivita' onorarie per le quali le indennita', stante il loro valore di riconoscimento simbolico, potrebbero essere fissate con ogni liberta'. La tesi non pare fondata. La portata specifica dell'art. 36 consiste in una applicazione del principio di eguaglianza destinato ad operare fuori dalla consueta funzione di «canone super-normativo», per farne invece un'applicazione immediatamente vigente e restrittiva della autonomia contrattuale, sia individuale che collettiva. Quanto sopra tuttavia non significa che un trattamento costituente certamente un «bene della vita», quale una indennita', possa essere assegnato dal legislatore, in presenza di presupposti identici, in modo indifferente a tale identita' e di fatto difforme. La discriminazione appare nel caso compiuta direttamente da una norma la quale pare entrare in conflitto diretto con l'art. 3 della Costituzione, senza necessita' di transitare per il medio logico dell'art. 36 della Costituzione, solo perche' la rivendicazione «appare lavoristica». Al profilo direttamente rilevato dalla parte, e ritenuto non manifestamente infondato, pare potersi aggiungere, ex officio, un ulteriore profilo come certamente possibile nel sistema del sindacato diffuso. Nell'attribuzione di una indennita' economica, per una funzione pubblica onoraria, intrinsecamente volontaria, e' implicita una funzione di incoraggiamento all'esercizio, di compensazione per il disagio e di valorizzazione del contributo ricevuto. Ora, sinteticamente considerati tali elementi sottendono una «complessiva considerazione della importanza della funzione svolta» connessa all'indennita'. Orbene, considerato che sia giudici onorari che viceprocuratori onorari svolgono le funzioni giudicante e requirente al medesimo livello (generalmente primo grado, escluse determinate materie, con funzione essenzialmente sostitutiva del magistrato ordinario), considerato che nelle medesime condizioni a magistrati ordinari requirenti e giudicanti e' riconosciuta identica retribuzione, la norma, di evidente favore per la posizione dei viceprocuratori, pone un problema di vulnerazione della pari considerazione dei magistrati a parita' di funzioni (art. 107, comma 3 della Costituzione). Infatti non pare che in alcun modo la funzione requirente, solta ad un determinato livello, possa essere considerata in modo deteriore rispetto alla funzione giudicante svolta al medesimo livello. Al massimo parrebbe ammissibile la discriminazione contraria, ma non certo una che privilegi la cooperazione all'accusa sull'esercizio del giudizio. Ancora ci si domanda, sotto altro aspetto se la norma in questione sia compatibile con il portato dell'art. 97, comma 1 della Costituzione nella misura in cui evidentemente incoraggia il sistematico trasferimento dei magistrati onorari in servizio dai posti giudicanti a quelle requirenti. Rilevati quindi tre profili di potenziale conflitto della norma sopra indicata con la Carta costituzionale, profili che tutti appaiono non manifestamente infondati, ritenuta imprescindibile l'applicazione al caso della norma in discussione, esclusa la possibilita' di un'interpretazione adeguatrice, non resta che procedere come da dispositivo.
P. Q. M. Visto l'art. 1 della legge costituzionale n. 1 del 1948; Si dispone la sospensione del procedimento e la remissione degli atti alla Corte costituzionale per l'esame delle eccezioni ritenute rilevanti e non manifestamente infondate in parte motiva. Genova, 20 marzo 2020 Il Giudice: Gibelli