N. 85 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 21 settembre 2020

Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in
cancelleria il 21 settembre 2020 (del Presidente  del  Consiglio  dei
ministri). 
 
Imposte e tasse -  Norme  della  Regione  autonoma  Valle  d'Aosta  -
  Tributo speciale per il deposito in discarica dei rifiuti solidi  -
  Modifiche all'allegato A della legge regionale n.  31  del  2007  -
  Prevista determinazione degli importi tariffari per il conferimento
  di rifiuti speciali non  pericolosi  di  provenienza  regionale  ed
  extraregionale ammessi allo smaltimento in  discarica  per  rifiuti
  non pericolosi. 
Impiego pubblico - Norme  della  Regione  autonoma  Valle  d'Aosta  -
  Assunzioni  in  casi  di   rilevante   carenza   di   personale   -
  Rafforzamento dell'offerta  sanitaria  regionale  per  fronteggiare
  l'emergenza epidemiologica da COVID-19 - Previsione che, fino al 31
  luglio 2022, l'Azienda regionale USL puo' assumere personale  della
  dirigenza medica, veterinaria  e  sanitaria,  senza  il  preventivo
  accertamento della conoscenza della lingua francese o italiana  nel
  rispetto di determinate condizioni - Necessario  superamento  della
  prova di accertamento della  conoscenza  della  lingua  francese  o
  italiana, affinche' sia corrisposta l'indennita' di bilinguismo 
Impiego pubblico - Norme  della  Regione  autonoma  Valle  d'Aosta  -
  Previsione di un'indennita' sanitaria valdostana e di un'indennita'
  una  tantum  sia  per  i  lavoratori  dell'Azienda  USL   coinvolti
  nell'emergenza da COVID-19, che per i lavoratori delle  Unites  des
  Communes valdôtaines e del Comune di Aosta coinvolti nell'emergenza
  da COVID-19. 
Impiego pubblico - Norme  della  Regione  autonoma  Valle  d'Aosta  -
  Servizi  istituzionali,  generali  e  di   gestione   -   Attivita'
  lavorativa svolta dal personale  regionale,  degli  enti  locali  e
  degli Uffici stampa, a qualsiasi  titolo,  presso  il  Dipartimento
  Protezione Civile e Vigili del fuoco, nei mesi di  marzo  e  aprile
  2020, per fronteggiare l'emergenza  epidemiologica  da  COVID-19  -
  Previsione di un'indennita' di disagio una tantum, pari a  euro  20
  euro lordo busta, per ogni  giornata  effettivamente  lavorata  nel
  predetto periodo. 
Appalti pubblici - Procedure di affidamento  -  Norme  della  Regione
  autonoma Valle d'Aosta - Semplificazioni in  materia  di  contratti
  pubblici - Previsione che, per fronteggiare la  crisi  economica  e
  sociale connessa all'emergenza epidemiologica da COVID-19, oltre ad
  altri enti, anche  la  Regione,  puo'  avvalersi  delle  misure  di
  semplificazione ivi previste per le procedure avviate dal 14 luglio
  e fino al 31 dicembre 2020 - Affidamento di contratti  pubblici  di
  lavori, servizi e fornitura sottosoglia nel rispetto del  principio
  di rotazione, secondo un criterio di individuazione degli operatori
  economici da valutare prioritariamente tra quelli con sede in Valle
  d'Aosta. 
Appalti pubblici - Norme  della  Regione  autonoma  Valle  d'Aosta  -
  Semplificazioni  in  materia  di  contratti  pubblici  -  Contratti
  pubblici in corso di esecuzione alla  data  di  entrata  in  vigore
  della legge di riferimento -  Previsione  che  e'  consentita  ogni
  modifica necessaria ad adeguare le  modalita'  di  esecuzione  alla
  sopravvenuta  normativa,  statale  e  regionale,  di  contrasto   e
  contenimento   dell'emergenza   epidemiologica   da   COVID-19    -
  Possibilita'  per  il  responsabile  unico  del   procedimento   di
  indicare, nell'autorizzare le modifiche, ove necessario,  il  nuovo
  termine contrattuale. 
Paesaggio - Norme della Regione autonoma Valle  d'Aosta  -  Modalita'
  semplificate per la realizzazione di interventi edilizi -  Prevista
  esecuzione di interventi, in deroga a quanto disposto  dalla  legge
  regionale n. 11 del 1998, dai relativi piani attuativi,  dai  piani
  regolatori comunali e dai relativi regolamenti, riguardanti le sole
  opere su  fabbricati  esistenti  e  sugli  allestimenti  esterni  -
  Condizioni - Rispetto delle discipline vigenti  in  relazione  agli
  edifici classificati "monumento" dai PRG, fatta salva la delega  ai
  Comuni per il rilascio delle autorizzazioni paesaggistiche per  gli
  edifici classificati  come  "monumento"  dal  PRG  in  ordine  agli
  interventi edilizi ivi previsti - Mancato assoggettamento, nei casi
  indicati  di  interventi  su  fabbricati  esistenti,  di  carattere
  temporaneo o finalizzati al rispetto delle misure di sicurezza,  ai
  pareri e alle autorizzazioni paesaggistiche. 
Paesaggio - Norme della Regione autonoma Valle  d'Aosta  -  Ulteriori
  semplificazioni - Prevista  proroga  di  un  anno,  dalla  data  di
  originaria scadenza, delle autorizzazioni rilasciate in conformita'
  alla normativa in materia ambientale, riguardanti le discariche per
  rifiuti speciali inerti, di titolarita' pubblica. 
Impiego pubblico - Norme  della  Regione  autonoma  Valle  d'Aosta  -
  Disposizioni urgenti in materia di comparto  pubblico  regionale  e
  proroga di termini - Esigenze sostitutive  connesse  alla  gestione
  dell'emergenza da COVID 19, per l'anno 2020  -  Autorizzazione  per
  l'Amministrazione  regionale,  in  deroga  ai  limiti  assunzionali
  vigenti, ad assumere a tempo determinato, nel  limite  della  spesa
  teorica calcolata su  base  annua  con  riferimento  ad  unita'  di
  personale, anche di qualifica dirigenziale -  Mancata  applicazione
  del predetto limite per assunzioni a tempo determinato di personale
  ausiliario e tecnico dell'organico delle istituzioni scolastiche ed
  educative  regionali  -  Autorizzazione,  in   deroga   ai   limiti
  assunzionali vigenti, per  gli  enti  locali  in  forma  singola  o
  associata, ad utilizzare forme di lavoro flessibile. 
- Legge della Regione autonoma Valle d'Aosta 13  luglio  2020,  n.  8
  (Assestamento al bilancio  di  previsione  della  Regione  autonoma
  Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste per l'anno 2020 e misure  urgenti  per
  contrastare gli effetti dell'emergenza epidemiologica da COVID-19),
  artt. 10; 13, commi 1 e 2; 14; 15; 22; 46; 77, commi 1, 2,  lettere
  a), b), c), e) e f), e 5; 78, commi  2,  lettere  c)  e  d),  e  3,
  lettera a); 81 comma 3; e 91 commi 1, 2 e 3. 
(GU n.45 del 4-11-2020 )
    Ricorso ex art. 127 della  costituzione  per  il  Presidente  del
Consiglio  dei   ministri,   rappresentato   e   difeso   per   legge
dall'Avvocatura  generale  dello  Stato  presso  i  cui   uffici   e'
domiciliato in Roma alla via dei Portoghesi n. 12 - ricorrente; 
    Contro  la  Regione  autonoma  Valle  d'Aosta,  in  persona   del
Presidente della regione pro-tempore, con sede legale in  Aosta  alla
piazza Albert Deffeyes n. 1 -  intimata  -  per  la  declaratoria  di
illegittimita' costituzionale degli articoli 10, 13 commi 1 e 2,  14,
15, 22, 46, 77 commi 1, 2 lettere a), b), c), e), f), 5, 78, comma 2,
lettere c) e d), comma 3, lettera a),  nella  parte  in  cui  estende
l'esonero dall'autorizzazione paesaggistica al di fuori delle ipotesi
di cui al punto A.2 dell'allegato A al decreto del  Presidente  della
Repubblica n. 31 del 2017, comma 4, lettere b), c)  e  d),  comma  6,
lettere b) e c), 81 comma  3,  91,  commi  1,  2  e  3,  della  legge
regionale  13  luglio  2020,  n.  8  «Assestamento  al  bilancio   di
previsione della Regione autonoma Valle  d'Aosta/Vallee  d'Aoste  per
l'anno  2020  e  misure   urgenti   per   contrastare   gli   effetti
dell'emergenza epidemiologica da  COVID-19»,  come  da  delibera  del
Consiglio dei ministri in data 7 agosto 2020 e sulla base  di  quanto
specificato nell'allegata relazione del Ministro per i  rapporti  con
le regioni. 
    Sul B.U.R. della Regione autonoma Valle  d'Aosta  n.  42  del  13
luglio 2020 e' stata pubblicata la legge n.  8,  pari  data,  recante
«Assestamento al bilancio di previsione della Regione autonoma  Valle
d'Aosta/Vallee  d'Aoste  per  l'anno  2020  e  misure   urgenti   per
contrastare gli effetti dell'emergenza epidemiologica da COVID -19». 
    Il Governo ritiene che gli articoli 10, 13, commi 1 e 2, 14,  15,
22, 46, 77, commi 1, 2, lettere a), b), c), e), f), 5, 78,  comma  2,
lettere c) e d), comma 3, lettera a),  nella  parte  in  cui  estende
l'esonero dall'autorizzazione paesaggistica al di fuori delle ipotesi
di cui al punto A.2 dell'allegato A al decreto del  Presidente  della
Repubblica n. 31 del 2017, comma 4, lettere b), c)  e  d),  comma  6,
lettere b) e c), 81, comma 3, 91, commi 1,  2  e  3,  della  suddetta
legge regionale siano costituzionalmente illegittimi per i seguenti, 
 
                               Motivi 
 
1. Illegittimita'  dell'art.  10  della  legge  della  Regione  Valle
d'Aosta n. 8 del 2020, per violazione  dei  limiti  delle  competenze
statutarie e degli articoli 3, 41, 97, 117, comma 2, lettera s) e 120
della Costituzione, in riferimento all'art. 3, comma 29, della  legge
28 dicembre 1995, n. 549. 
    L'art. 10, a decorrere dal 1° gennaio 2021, novella l'allegato  A
alla legge regionale  3  dicembre  2007,  n.  31,  recando  modifiche
riguardanti,  in  particolare,   gli   importi   tariffari   per   il
conferimento  di  rifiuti  speciali  non  pericolosi  di  provenienza
regionale ed extra regionale ammessi allo  smaltimento  in  discarica
per  rifiuti  non  pericolosi,  in  difformita'  rispetto  a   quanto
stabilito dalla normativa nazionale vigente. 
    A  tale  riguardo  occorre  porre  in  rilievo  che   i   criteri
determinativi del tributo de  quo  sono  stati  stabiliti  a  livello
statale dalla legge 28 dicembre 1995,  n.  549,  recante  «Misure  di
razionalizzazione della finanza pubblica», che all'art. 3, comma  29,
prevede che: «L'ammontare dell'imposta e' fissato,  con  legge  della
regione entro il 31 luglio di ogni anno per  l'anno  successivo,  per
chilogrammo di rifiuti conferiti: in misura  non  inferiore  ad  euro
0,001 e non superiore ad euro  0,01  per  i  rifiuti  ammissibili  al
conferimento in discarica per i rifiuti inerti ai sensi  dell'art.  2
del decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del  territorio
13 marzo 2003, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 67 del 21 marzo
2003; in misura non inferiore ad euro 0,00517 e non superiore ad euro
0,02582 per i rifiuti ammissibili al conferimento  in  discarica  per
rifiuti non pericolosi e pericolosi ai sensi degli articoli 3 e 4 del
medesimo decreto». 
    La suddetta  norma  statale,  quindi,  in  relazione  ai  rifiuti
ammissibili al conferimento in discarica per rifiuti non  pericolosi,
nel fissare l'ammontare dell'imposta da applicare a livello regionale
in misura non inferiore ad euro  0,00517  e  non  superiore  ad  euro
0,02582, ed in assenza dunque di  una  specifica  previsione  che  ne
ancori la determinazione in  base  al  criterio  di  provenienza  del
rifiuto stesso, rimanda agli articoli 3 e 4 del decreto del  Ministro
dell'ambiente e della tutela del territorio 13  marzo  2003  (recante
«Criteri di ammissibilita' dei rifiuti  in  discarica»),  che  alcuna
analoga previsione recano al riguardo. 
    Tale  differenza  di  tassazione  applicata  in  relazione   alla
medesima tipologia di rifiuto  e  differenziata  solo  in  base  alla
provenienza del rifiuto stesso, ovvero se di provenienza regionale od
extra regionale,  oltre  a  violare  il  suddetto  parametro  statale
interposto di cui all'art. 3, comma 29, della legge n. 549 del  1995,
comporta di fatto, in assenza  di  specifica  previsione  statale  al
riguardo, un ostacolo allo smaltimento dei rifiuti speciali  prodotti
fuori regione, delineando un sistema che  viola  il  principio  della
libera circolazione sul territorio  nazionale  dei  rifiuti  speciali
ponendosi, percio', in contrasto con gli articoli 182 e  182-bis  del
decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 che  non  ammettono  alcuna
limitazione alla circolazione dei rifiuti speciali da e  verso  altre
regioni. 
    Siffatta previsione, si traduce, dunque, in una misura limitativa
all'introduzione di rifiuti speciali non  pericolosi  di  provenienza
extra-regionale, comportando un  ostacolo  alla  libera  circolazione
delle cose. 
    Da quanto dianzi posto in  rilievo,  deriva  il  contrasto  della
norma regionale de qua con i parametri di cui agli articoli 3,  41  e
120 della Costituzione,  oltre  che  il  contrasto  con  l'art.  117,
secondo comma 2, lettera s), della Costituzione, atteso che la  norma
regionale  in  questione,   intervenendo   in   materia   di   tutela
dell'ambiente e dell'ecosistema  attribuita  in  via  esclusiva  alla
competenza legislativa dello Stato: 
      introduce un trattamento sfavorevole per le  imprese  esercenti
l'attivita' di  smaltimento  operanti  al  di  fuori  del  territorio
regionale; 
      restringe la liberta' di iniziativa  economica  in  assenza  di
concrete  e  giustificate  ragioni  attinenti   alla   tutela   della
sicurezza, della liberta' e della  dignita'  umana,  valori  che  non
possono ritenersi posti in  pericolo  dall'attivita'  di  smaltimento
controllato e ambientalmente compatibile dei rifiuti; 
      introduce un ostacolo alla libera circolazione di cose  tra  le
regioni, senza che sussistano  ragioni  giustificatrici,  neppure  di
ordine sanitario o ambientale (cfr. Corte costituzionale sentenza  n.
335 del 2001), violando il  vincolo  generale  imposto  alle  regioni
dall'art. 120, primo comma, della Costituzione, che vieta ogni misura
atta ad ostacolare «in qualsiasi modo la  libera  circolazione  delle
persone e delle cose fra le regioni» (sentenze n. 10 del 2009; n. 164
del 2007; n. 247 del 2006; n. 62 del 2005 e n. 505 del 2002). 
    Codesta ecc.ma Corte, in relazione sempre all'anzidetto parametro
costituzionale di cui all'art. 120 della  Costituzione  (sentenza  n.
107  del  2018),  dovendo  vagliare  la  ragionevolezza  delle  leggi
regionali che limitano i diritti con esso garantiti, ha ritenuto  che
«occorre  esaminare:  a)  se  si  sia  in  presenza  di   un   valore
costituzionale in relazione al quale possano essere posti limiti alla
libera circolazione delle cose o degli animali;  b)  se,  nell'ambito
del  suddetto  potere  di  limitazione,  la  Regione   possegga   una
competenza che la legittimi a stabilire una disciplina  differenziata
a tutela di interessi costituzionalmente affidati alla sua  cura;  c)
se il provvedimento adottato in attuazione del  valore  suindicato  e
nell'esercizio  della  predetta  competenza  sia  stato  emanato  nel
rispetto dei requisiti di legge  e  abbia  un  contenuto  dispositivo
ragionevolmente  commisurato  al   raggiungimento   delle   finalita'
giustificative dell'intervento limitativo della regione, cosi' da non
costituire  in  concreto   un   ostacolo   arbitrario   alla   libera
circolazione delle cose fra regione e regione» (sentenza  n.  51  del
1991). 
    Per le esposte motivazioni, si ritiene che l'art. 10 della  legge
della Regione Valle d'Aosta n. 8 del 2020  sia  incostituzionale  per
violazione dei limiti delle competenze statutarie e degli articoli 3,
41, 97, 117, comma  2,  lettera  s)  e  120  della  Costituzione,  in
riferimento all'art. 3, comma 29, della legge 28  dicembre  1995,  n.
549. 
2. Illegittimita' dell'art. 13,  commi  1  e  2,  della  legge  della
Regione Valle d'Aosta n. 8 del 2020 per violazione dei  limiti  delle
competenze  statutarie,  nonche'  dell'art.  117,  comma   1,   della
Costituzione in relazione all'art. 7,  paragrafo  2,  lettera  f),  e
all'art. 53 della direttiva n. 2005/36/CE, dell'art.  117,  comma  2,
lettera l), della Costituzione, che affida allo Stato  la  competenza
esclusiva in materia di ordinamento civile,  nonche'  per  violazione
dell'art. 117, comma  secondo,  lettera  q),  Cosi.,  in  materia  di
profilassi internazionale, considerata la  connessa  attrazione  allo
Stato  delle  funzioni  normative  e  amministrative   necessarie   a
garantire unitarieta' e omogeneita' nella gestione dell'emergenza, in
relazione  al  parametro  interposto   costituito   dalla   normativa
nazionale emanata in stato di emergenza  epidemiologica,  di  cui  al
decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito in  legge  n.  27/2020
(art. 2-ter, comma 1, art. 13), ed altresi' per violazione  dell'art.
117,  comma  3,  della  Costituzione,  che  assegna  allo  Stato   la
competenza  a  definire  i  principi  fondamentali  in   materia   di
«professioni»,  in  relazione  ai  parametri  interposti   costituiti
dall'art. 5 del decreto legislativo C.P.S. del 13 settembre 1946,  n.
233,  e  successive  modificazioni,  e  dall'art.   7   del   decreto
legislativo 9 novembre 2007, n. 206, nonche' per violazione dell'art.
32 della Costituzione, per le finalita' di tutela della salute. 
    L'art. 13, comma 1, della legge regionale n.  8/2020  stabilisce:
«Salvo quanto previsto dall'art. 42, comma 4, della  legge  regionale
25   gennaio   2000,   n.   5   (Norme   per   la   razionalizzazione
dell'organizzazione del Servizio socio-sanitario regionale e  per  il
miglioramento della qualita' e dell'appropriatezza delle  prestazioni
sanitarie, socio-sanitarie e socio-assistenziali prodotte ed  erogate
nella regione), al fine di rafforzare l'offerta  sanitaria  regionale
necessaria a fronteggiare  l'emergenza  epidemiologica  da  COVID-19,
fino al 31 luglio 2022, nelle specialita' in cui si constati, con  le
modalita' e sulla base dei criteri stabiliti con deliberazione  della
Giunta  regionale  previo   parere   della   Commissione   consiliare
competente, una rilevante carenza di personale sanitario cui non  sia
possibile far fronte attingendo dalle graduatorie di cui al  predetto
art. 42, l'Azienda regionale USL della Valle  d'Aosta  (Azienda  USL)
puo' assumere, a seguito  di  procedure  concorsuali  pubbliche,  con
contratto di lavoro subordinato a tempo determinato di durata pari  a
ventiquattro o trentasei  mesi,  personale  della  dirigenza  medica,
veterinaria e  sanitaria,  senza  il  preventivo  accertamento  della
conoscenza della lingua francese o italiana, a condizione  che  detto
personale si impegni: 
      a) a frequentare, fuori dall'orario di servizio,  i  corsi  per
l'apprendimento della lingua mancante, organizzati  e  finanziati,  a
decorrere dall'entrata in vigore della presente  legge,  dall'Azienda
USL e a sostenere, con esito positivo, la prova di accertamento della
conoscenza della lingua francese  o  italiana  entro  trentasei  mesi
dalla data di assunzione a tempo determinato. Il rapporto  di  lavoro
si intende risolto di diritto in caso di  mancato  superamento  della
prova entro il predetto termine  di  trentasei  mesi  dalla  data  di
assunzione a tempo determinato; 
      b)  a  partecipare,  nei  tre  anni  successivi  alla  data  di
superamento  della  prova  di  conoscenza  della  lingua  francese  o
italiana, ai concorsi pubblici per l'assunzione a tempo indeterminato
banditi, per la medesima  o  equipollente  specialita',  dall'Azienda
USL; 
      c) a prestare servizio, in caso  di  assunzione  all'esito  dei
concorsi di cui alla lettera b), presso le strutture dell'Azienda USL
per un periodo minimo complessivo di tre anni, fermo restando  quanto
previsto  dall'art.  14,  comma  1,  ai   fini   del   riconoscimento
dell'indennita' di attrattivita'». 
    Al fine di esplicitare i vizi che detta disposizione presenta, si
rammenta, preliminarmente, che, per l'esercizio  di  una  professione
sanitaria, in Italia, e'  obbligatoria,  ai  sensi  dell'art.  5  del
decreto legislativo C.P.S. del 13 settembre 1946, n. 233 e successive
modificazioni  ed  integrazioni,  l'iscrizione   al   relativo   albo
professionale. 
    Laddove  la  qualifica   professionale   sia   stata   conseguita
all'estero,  per  esercitare  in  Italia  la   relativa   professione
sanitaria,  occorre  ottenere  il  riconoscimento   della   qualifica
medesima e, solo a  seguito  di  tale  riconoscimento,  e'  possibile
l'iscrizione  all'Ordine   professionale   di   riferimento,   previo
accertamento della conoscenza della lingua italiana. 
    L'art. 53 della direttiva n. 2005/36/CE  e  successive  modifiche
stabilisce   che:   «1.1   professionisti   che    beneficiano    del
riconoscimento   delle   qualifiche   professionali   possiedono   la
conoscenza delle lingue necessaria  all'esercizio  della  professione
nello Stato membro ospitante. 
    2. Uno Stato  membro  assicura  che  i  controlli  effettuati  da
un'autorita' competente o sotto la sua supervisione  per  controllare
il rispetto dell'obbligo di cui al paragrafo 1  siano  limitati  alla
conoscenza di una lingua ufficiale dello Stato membro ospitante o  di
una lingua amministrativa dello Stato membro ospitante, a  condizione
che quest' ultima sia anche una delle lingue ufficiali dell'Unione. 
    3. I controlli svolti a norma  del  paragrafo  2  possono  essere
imposti se  la  professione  da  praticarsi  ha  ripercussioni  sulla
sicurezza dei  pazienti.  I  controlli  possono  essere  imposti  nei
confronti di altre professioni nei casi in cui sussista  un  serio  e
concreto  dubbio  in  merito  alla  sussistenza  di  una   conoscenza
sufficiente della  lingua  di  lavoro  con  riguardo  alle  attivita'
professionali che il professionista  intende  svolgere.  I  controlli
possono  essere  effettuati  solo  dopo  rilascio  di   una   tessera
professionale  europea  a  norma   dell'art.   4-quinquies   o   dopo
riconoscimento di una qualifica professionale, a seconda dei casi. 
    4. II controllo linguistico  e'  proporzionato  all'attivita'  da
eseguire. Il professionista interessato puo'  presentare  ricorso  ai
sensi del diritto nazionale contro tali controlli». 
    Inoltre, l'art. 7 del decreto legislativo n. 206 del 2007 dispone
che: «1. Fermi restando i requisiti di cui al titolo II ed al  titolo
III,  per  l'esercizio   della   professione,   i   beneficiari   del
riconoscimento delle qualifiche  professionali  devono  possedere  le
conoscenze linguistiche necessarie. 
    1-bis. Nel caso in cui  la  professione  ha  ripercussioni  sulla
sicurezza dei pazienti, le Autorita' competenti  di  cui  all'art.  5
devono verificare la conoscenza della lingua  italiana.  I  controlli
devono essere effettuati anche relativamente  ad  altre  professioni,
nei casi in cui sussista un serio e concreto dubbio  in  merito  alla
sussistenza di una conoscenza sufficiente della lingua  italiana  con
riguardo all'attivita' che il professionista intende svolgere». 
    Il  fatto  che  la   conoscenza   della   lingua   italiana   sia
indispensabile per l'esercizio di ogni  professione  sanitaria  trova
ulteriore conferma nella previsione di cui all'art. 7,  paragrafo  2,
lettera f), della direttiva n. 2005/36/CE in  cui  e'  previsto  che,
qualora il prestatore si sposti, per la prima  volta,  da  uno  Stato
membro all'altro per fornire servizi, il medesimo debba produrre «per
le professioni che hanno implicazioni per la sicurezza dei  pazienti,
una dichiarazione della conoscenza, da parte del  richiedente,  della
lingua necessaria all'esercizio della professione nello Stato  membro
ospitante». Depone, in tal senso,  anche  l'art.  50,  comma  4,  del
decreto del Presidente della Repubblica n. 394 del 1999, «Regolamento
recante norme  di  attuazione  del  testo  unico  delle  disposizioni
concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla  condizione
dello  straniero,  a  norma  dell'art.  1,  comma  6,   del   decreto
legislativo  25  luglio  1998,   n.   286»,   laddove   precisa   che
«l'iscrizione  negli  albi  professionali  e  quella  negli   elenchi
speciali di cui al comma 1 sono disposte  previo  accertamento  della
conoscenza della lingua italiana e delle  speciali  disposizioni  che
regolano l'esercizio professionale in Italia, con modalita' stabilite
dal  Ministero  della  sanita'.  All'accertamento  provvedono,  prima
dell'iscrizione, gli ordini e collegi professionali  e  il  Ministero
della sanita', con oneri a carico degli interessati». 
    Dal quadro normativo appena tratteggiato si desume che, per poter
esercitare in Italia una professione sanitaria, e' necessario  essere
in possesso della conoscenza della lingua italiana. 
    Recentemente,  codesta  ecc.ma  Corte  costituzionale,   con   la
sentenza 22 novembre 2018, n. 210, ha fugato ogni dubbio  in  merito,
evidenziando che  la  giurisprudenza  della  Consulta  «ha  da  tempo
riconosciuto che la lingua italiana e' l'unica lingua  ufficiale  del
sistema  costituzionale  (sentenza  n.  28  del  1982)  e  che   tale
qualificazione "non ha evidentemente solo una  funzione  formale,  ma
funge da criterio interpretativo generale delle diverse  disposizioni
che prevedono l'uso  delle  lingue  minoritarie,  evitando  che  esse
possano  essere  intese  come  alternative  alla  lingua  italiana  o
comunque tali da porre in posizione  marginale  la  lingua  ufficiale
della Repubblica (sentenza n. 159 del 2009"». 
    II  quadro  appena  delineato   induce   a   concludere   che   i
professionisti sanitari devono necessariamente  conoscere  la  lingua
italiana  ai  fini  dell'iscrizione   all'albo   di   riferimento   e
dell'esercizio della professione,  onde  evitare  pregiudizi  per  la
tutela della salute degli assistiti. 
    Al riguardo, non appare superfluo  evidenziare  che,  nell'ottica
del necessario bilanciamento tra esigenze connesse alla tutela  della
salute, il Legislatore statale non ha mancato  di  stabilire  deroghe
alle  norme   in   materia   di   riconoscimento   delle   qualifiche
professionali sanitarie e in materia di cittadinanza per l'assunzione
alle dipendenze della  pubblica  amministrazione,  in  considerazione
delle   difficolta'    connesse    alla    gestione    dell'emergenza
epidemiologica e limitatamente alla durata dell'emergenza medesima. 
    Nello specifico, l'art. 13 del decreto-legge cd. Cura Italia,  n.
18 del 17 marzo 2020, convertito dalla legge  n.  27  del  24  aprile
2020, ha stabilito quanto segue: «1.  Per  la  durata  dell'emergenza
epidemiologica da COVID-19, in deroga  agli  articoli  49  e  50  del
decreto del Presidente della Repubblica 31  agosto  1999,  n.  394  e
successive modificazioni, e  alle  disposizioni  di  cui  al  decreto
legislativo 9  novembre  2007,  n.  206,  e'  consentito  l'esercizio
temporaneo di qualifiche professionali  sanitarie  ai  professionisti
che intendono esercitare sul  territorio  nazionale  una  professione
sanitaria conseguita  all'estero  regolata  da  specifiche  direttive
dell'Unione europea. Gli interessati presentano istanza corredata  di
un certificato di iscrizione all'albo del Paese di  provenienza  alle
regioni e province autonome, che possono  procedere  al  reclutamento
temporaneo di tali professionisti ai sensi  degli  articoli  2-bis  e
2-ter del presente decreto. 
    1-bis. Per la medesima  durata,  le  assunzioni  alle  dipendenze
della  pubblica  amministrazione  per  l'esercizio   di   professioni
sanitarie e  per  la  qualifica  di  operatore  socio-sanitario  sono
consentite, in deroga all'art. 38 del decreto  legislativo  30  marzo
2007,  n.  165,  a  tutti  i  cittadini  di  Paesi  non  appartenenti
all'Unione europea, titolari di un permesso di soggiorno che consente
di lavorare, fermo ogni altro limite di legge». 
    L'art. 13, commi 1 e 2, della legge regionale in esame, tuttavia,
non risulta conforme a quanto disposto dall'art. 13 del decreto-legge
n. 18/2020, cd. Cura Italia, violando quindi anche la  competenza  in
materia  di  profilassi  internazionale  (art.  117,  comma  secondo,
lettera q), della Costituzione) che comporta l'attrazione allo  Stato
delle funzioni normative  e  amministrative  necessarie  a  garantire
unitarieta' e omogeneita' nella gestione dell'emergenza. 
    La  disposizione  regionale,  oltre  a   violare   la   normativa
dell'Unione europea sopra citata in relazione all'art. 117, comma  1,
della Costituzione, invade la competenza  esclusiva  dello  Stato  in
materia di ordinamento civile, lede la tutela  della  salute  di  cui
all'art. 32 della Costituzione, e si pone  in  contrasto  con  quanto
definito  dalla   giurisprudenza   costituzionale   in   materia   di
«professioni», la quale ha  chiarito  come  la  potesta'  legislativa
regionale  nella  materia  concorrente   delle   «professioni»   deve
rispettare il principio per  cui,  non  solo  l'individuazione  delle
figure professionali, ma anche la  definizione  dei  relativi  titoli
abilitanti,  per  il  suo  carattere  necessariamente  unitario,   e'
riservata allo Stato (sentenze n. 153 del 2006 e n.  300  del  2007),
precisando che tale principio, al di la' della particolare attuazione
ad opera dei singoli precetti normativi, si configura quale limite di
ordine generale,  invalicabile  dalla  legge  regionale  (cfr.  anche
sentenze n. 98 del 2013, n. 138 del 2009, n. 93 del 2008, n. 300  del
2007, n. 40 del 2006). 
    Si rappresenta ulteriormente che il termine del 31  luglio  2022,
previsto dalla norma in esame, al fine di definire  l'arco  temporale
entro cui e' possibile stipulare contratti a tempo  determinato,  non
trova riscontro nella normativa nazionale che, allo stesso  modo,  ha
disposto misure di potenziamento del Servizio sanitario  al  fine  di
fronteggiare l'emergenza epidemiologica  da  COVID-19.  Tali  misure,
infatti, sono praticabili, in linea generale, esclusivamente fino  al
perdurare  dello  stato  di  emergenza  sanitaria.  Con   riferimento
specifico poi all'utilizzo dei  contratti  a  tempo  determinato,  si
richiama l'art. 2-ter, comma 1, del decreto-legge 17 marzo  2020,  n.
18, in forza del quale  «Al  fine  di  garantire  l'erogazione  delle
prestazioni di assistenza sanitaria anche in ragione  delle  esigenze
straordinarie ed urgenti derivanti dalla diffusione del COVID-19,  le
aziende e gli  enti  del  Servizio  sanitario  nazionale,  verificata
l'impossibilita' di utilizzare personale gia' in servizio nonche'  di
ricorrere agli idonei collocati in graduatorie concorsuali in vigore,
possono, durante la vigenza dello stato  di  emergenza  di  cui  alla
delibera del Consiglio dei ministri del 31  gennaio  2020,  conferire
incarichi individuali a tempo determinato, previo avviso pubblico, al
personale delle professioni sanitarie e agli operatori socio-sanitari
di  cui  all'art.  2-bis,  comma  1,   lettera   a)»   del   medesimo
decreto-legge n. 18/2020. 
    Per  quanto  dedotto  la   norma   regionale   presenta   profili
suscettibili di provocare distorsioni nella disciplina dei  contratti
a termine anche rispetto alla normativa nazionale emanata in stato di
emergenza. 
    Per le esposte motivazioni, l'art. 13, commi 1 e 2,  della  legge
della Regione Valle d'Aosta n. 8 del  2020  risulta  incostituzionale
per  violazione  dei  limiti  delle  competenze  statutarie,  nonche'
dell'art. 117, comma 1, della Costituzione in relazione  all'art.  7,
paragrafo 2, lettera f), e all'art. 53 della direttiva n. 2005/36/CE,
dell'art. 117, comma 2, lettera l), della  Costituzione,  che  affida
allo Stato la competenza esclusiva in materia di ordinamento  civile,
nonche' per violazione dell'art.  117,  comma  secondo,  lettera  q),
della  Costituzione,  in  materia   di   profilassi   internazionale,
considerata  la  connessa  attrazione  allo  Stato   delle   funzioni
normative e  amministrative  necessarie  a  garantire  unitarieta'  e
omogeneita' nella gestione dell'emergenza, in relazione al  parametro
interposto costituito dalla normativa nazionale emanata in  stato  di
emergenza epidemiologica, di cui al decreto-legge 17 marzo  2020,  n.
18, convertito in legge n. 27/2020 (art. 2-ter, comma 1, art. 13), ed
altresi' per violazione dell'art. 117, comma 3,  della  Costituzione,
che  assegna  allo  Stato  la  competenza  a  definire   i   principi
fondamentali in materia di «professioni», in relazione  ai  parametri
interposti costituiti dall'art. 5 del decreto legislativo C.P.S.  del
13 settembre 1946, n. 233, e successive modificazioni, e dall'art.  7
del  decreto  legislativo  9  novembre  2007,  n.  206,  nonche'  per
violazione dell'art. 32  della  Costituzione,  per  le  finalita'  di
tutela della salute. 
3. Illegittimita' degli articoli 14, 15, 22 della legge della Regione
Valle d'Aosta  n.  8  del  2020,  per  violazione  dei  limiti  delle
competenze statutarie e dell'art. 117,  secondo  comma,  lettera  l),
Costituzione, che  riserva  alla  competenza  esclusiva  dello  Stato
l'ordinamento civile, con riferimento  agli  articoli  40  e  ss  del
decreto  legislativo  n.  165/2001,  nonche'  per  violazione   degli
articoli 3 e 97 della Costituzione in  quanto  in  contrasto  con  le
finalita' perequative  e  di  omogeneizzazione  dei  trattamenti  tra
operatori del settore  sanitario  operanti  in  ambito  nazionale  ed
esposti al medesimo rischio, ed  altresi'  per  violazione  dell'art.
117, terzo comma, della Costituzione  con  riguardo  alla  violazione
degli obiettivi di  coordinamento  della  finanza  pubblica,  fissati
dall'art.  23,  comma  2,  del  decreto  legislativo  n.  75/2017   e
successive modificazioni e perseguiti anche nel periodo  emergenziale
dal complesso delle misure introdotte dal legislatore  nazionale,  di
cui al decreto-legge n. 34/2020 (art. 2, comma 6,  lettere  a],  b]),
convertito, con modificazioni, in legge n. 77/2020, ed al  precedente
decreto-legge n. 18/2020  (art.  1,  comma  2),  conv.  in  legge  n.
27/2020. 
    Gli articoli 14, 15 e 22 della legge regionale in  questione,  al
fine  di  mantenere  e  rafforzare  l'offerta   sanitaria   regionale
necessaria  a  fronteggiare  l'emergenza  da   COVID-19,   prevedono:
un'indennita' sanitaria valdostana  in  favore  del  personale  della
dirigenza medica, sanitaria e veterinaria, con  contratto  di  lavoro
subordinato a tempo indeterminato e determinato sino al  31  dicembre
2020 (art. 14); un'indennita' di disagio una tantum da  corrispondere
al personale dell'Azienda USL, di qualsiasi profilo  professionale  e
tipologia contrattuale, compresi  i  somministrati,  e  al  personale
convenzionato che abbia prestato attivita'  lavorativa  nei  mesi  di
marzo, aprile e maggio 2020 in strutture o servizi operanti in  forma
diretta  o  indiretta  per  l'emergenza  da   COVID-19   (art.   15);
un'indennita' COVID-19 una tantum per i lavoratori delle  Unites  des
Communes valdotaines e del Comune  di  Aosta,  di  qualsiasi  profilo
professionale  e  tipologia  contrattuale  (OSS   e   altri   profili
professionali), che  abbiano  prestato  servizio  in  presenza  nelle
microcomunita' per anziani e nel servizio di  assistenza  domiciliare
per l'emergenza epidemiologica da COVID-19 nei mesi di marzo,  aprile
e maggio (art. 22). 
    L'istituzione di un'indennita' extra-ordinem si pone al di  fuori
della  cornice  della  contrattazione   collettiva   nazionale,   con
caratteristiche peraltro indefinite nel quantum e nei presupposti per
la percezione. 
    I citati articoli 14, 15  e  22  intervengono  su  aspetti,  come
quelli del  trattamento  economico  del  personale  dipendente  della
regione e degli enti regionali,  che  sono  riservati,  per  costante
insegnamento del giudice delle leggi, alla competenza esclusiva dello
Stato in quanto attinenti all'ordinamento civile, violando, comunque,
le disposizioni degli articoli 40 e ss  del  decreto  legislativo  n.
165/2001  che  riconducono  la  disciplina  del  rapporto  di  lavoro
pubblico  privatizzato  al  codice  civile  ed  alla   contrattazione
collettiva. Al riguardo, si evidenzia  che,  ai  sensi  dell'art.  1,
comma 3, del decreto legislativo n.  165/2001,  le  disposizioni  del
medesimo decreto legislativo n. 165/2001 - come  quelle  della  legge
delega 421 del 1992 -  vengono  espressamente  elevate  al  rango  di
principi fondamentali ai sensi dell'art. 117  della  Costituzione  e,
come tali, si impongono anche alle regioni  a  statuto  speciale  (ex
multis Corte costituzionale, sentenze n. 189/2007, n. 160/2017  e  n.
81/2019). 
    Per quanto concerne tali disposizioni, finalizzate a  riconoscere
indennita' al personale regionale, si rileva che il decreto-legge  n.
34/2020 convertito, con modificazioni, dalla  legge  n.  77/2020,  ha
esteso la finalizzazione delle risorse di cui all'art.  1,  comma  1,
del decreto-legge n. 18/2020, oltre che alla remunerazione del lavoro
straordinario, prioritariamente alla remunerazione delle  prestazioni
correlate  alle  particolari  condizioni  di  lavoro  del   personale
dipendente, ivi incluse le indennita' previste dall'art. 86, comma 6,
del CCNL 2016 - 2018, nonche', per la  restante  parte,  ai  relativi
fondi  incentivanti  (art.  2,  comma  6,  lettera  a),  consentendo,
altresi', alle regioni ed alle  province  autonome  di  incrementare,
fino al doppio  delle  risorse  ivi  previste,  con  proprie  risorse
disponibili  a  legislazione  vigente,  fermo  restando  l'equilibrio
economico sanitario della regione e provincia autonoma (art. 2, comma
6, lettera  b).  Inoltre,  il  citato  decreto-legge  n.  18/2020  ha
disposto (art. 1, comma 2)  che  «A  valere  sulle  predette  risorse
destinate a incrementare  i  fondi  incentivanti,  le  regioni  e  le
province autonome possono  riconoscere  al  personale  dipendente  un
premio, commisurato al servizio  effettivamente  prestato  nel  corso
dello stato di emergenza deliberato dal Consiglio dei ministri il  31
gennaio 2020, di importo non superiore a  2.000  euro  al  lordo  dei
contributi previdenziali e assistenziali  e  degli  oneri  fiscali  a
carico del dipendente e comunque per una spesa complessiva, al  lordo
dei contributi e  degli  oneri  a  carico  dell'amministrazione,  non
superiore  all'ammontare   delle   predette   risorse   destinate   a
incrementare i fondi incentivanti.». 
    Le disposizioni legislative nazionali, emanate  per  fronteggiare
l'emergenza sanitaria determinata dal diffondersi del Covid-19, hanno
riguardato,  in  un'ottica   di   unitarieta'   di   sistema   e   di
omogeneizzazione e perequazione dei trattamenti  e  di  coordinamento
finanziario, sia le regioni (ivi comprese quelle a statuto  speciale)
e sia le province autonome. Proprio ai fini del  perseguimento  delle
predette finalita', le  risorse  stanziate  dallo  Stato  sono  state
ripartite tra tutti i predetti enti e la  possibilita'  di  stanziare
ulteriori risorse al livello territoriale e' stata prevista anche per
le regioni a statuto speciale e per le province  autonome  secondo  i
medesimi criteri previsti per le regioni. Infatti, l'art. 2, comma 6,
lettera b), del predetto decreto-legge  n.  34/2020  ha  previsto  la
possibilita' per le regioni e province autonome, di incrementare, con
risorse proprie, gli importi indicati  nella  citata  tabella  A  del
decreto-legge n. 18/2020, assegnati dallo Stato per l'incremento  dei
fondi del trattamento accessorio del personale, fino al doppio  degli
stessi. Nei suddetti termini si e' consentito di incrementare i fondi
in  parola,  di  un  importo  complessivo  -  quale  somma   tra   il
finanziamento statale e quello regionale/provinciale - non  superiore
al doppio della quota di finanziamento statale attribuita a  ciascuna
regione e provincia autonoma. 
    Sulla base del quadro di interventi  sopra  delineato,  l'importo
stanziabile  a  livello  regionale  per  la  predetta  finalita'  non
potrebbe superare la quota, pari  a  526.051  euro,  assegnata  dallo
Stato alla Regione Valle D'Aosta. Con la legge regionale  n.  8/2020,
invece,  la  Valle  d'Aosta  prevede  di  destinare  al   trattamento
economico del personale impegnato nell'emergenza, risorse di  importo
di gran lunga superiore a quello consentito, anche  in  un'ottica  di
omogeneita' dei trattamenti, dalle richiamate disposizioni statali. 
    Quanto sopra in deroga, oltre che all'art. 23, comma  2,  decreto
legislativo n. 75/2017, anche alla  normativa  contrattuale,  cui  e'
riservata  la  disciplina  del  rapporto  di  lavoro  del   personale
privatizzato, ivi compreso il relativo trattamento economico. 
    Si palesa, quindi, la non coerenza di tali  previsioni  regionali
con le finalita' del predetto decreto-legge n. 34/2020 e  con  quelle
del precedente decreto-legge n. 18/2020 e  la  loro  incompatibilita'
con l'attuale sistema di  determinazione  dei  trattamenti  economici
previsti, in linea generale, dalla contrattazione collettiva a cui e'
riservata la relativa disciplina. 
    Per le esposte motivazioni, si ritiene che gli articoli 14, 15  e
22, della legge regionale della Valle d'Aosta n.  8  del  2020  siano
incostituzionali  per  violazione   dei   limiti   delle   competenze
statutarie e dell'art. 117, secondo comma, lettera l),  Costituzione,
che riserva  alla  competenza  esclusiva  dello  Stato  l'ordinamento
civile, con riferimento agli articoli 40 e ss del decreto legislativo
n. 165/2001, nonche' per violazione  degli  articoli  3  e  97  della
Costituzione in quanto in contrasto con le finalita' perequative e di
omogeneizzazione dei trattamenti tra operatori del settore  sanitario
operanti in ambito nazionale  ed  esposti  al  medesimo  rischio,  ed
altresi'  per  violazione   dell'art.   117,   terzo   comma,   della
Costituzione  con  riguardo  alla  violazione  degli   obiettivi   di
coordinamento della finanza pubblica, fissati dall'art. 23, comma  2,
del decreto legislativo  n.  75/2017  e  successive  modificazioni  e
perseguiti anche nel periodo emergenziale dal complesso delle  misure
introdotte dal legislatore nazionale,  di  cui  al  decreto-legge  n.
34/2020  (art.  2,  comma  6,  lettere  a],  b]),   convertito,   con
modificazioni, in legge n. 77/2020, ed al precedente decreto-legge n.
18/2020 (art. 1, comma 2), convertito in legge n. 27/2020. 
4. Illegittimita'  dell'art.  46  della  legge  della  Regione  Valle
d'Aosta  n.  8/2020  per  violazione  dei  limiti  delle   competenze
statutarie  e  dell'art.  117,  secondo  comma,  lettera  l),   della
Costituzione, che  riserva  alla  competenza  esclusiva  dello  Stato
l'ordinamento civile, con riferimento agli  articoli  40  e  ss.  del
decreto legislativo n. 165/2001. 
    L'art. 46 della legge  regionale  in  questione  dispone  che  al
personale, regionale e  degli  enti  locali,  compreso  quello  degli
Uffici stampa, che abbia  prestato  a  qualsiasi  titolo  la  propria
attivita' lavorativa presso la struttura regionale di  primo  livello
denominata Dipartimento protezione civile e  Vigili  del  fuoco,  nei
mesi  di  marzo  e  aprile   2020,   per   fronteggiare   l'emergenza
epidemiologica da  COVID-19,  spetta  un'indennita'  di  disagio  una
tantum, pari a 20 euro lordo busta, per ogni giornata  effettivamente
lavorata  nel  predetto  periodo.   L'art.   46,   disciplinando   il
trattamento economico del personale della regione, presenta anch'esso
i medesimi profili di illegittimita' costituzionale  gia'  illustrati
con riguardo agli articoli 14, 15 e 22. 
    In particolare, anche  l'art.  46  interviene  su  aspetti,  come
quelli del  trattamento  economico  del  personale  dipendente  della
regione e degli enti regionali,  che  sono  riservati,  per  costante
insegnamento del giudice delle leggi, alla competenza esclusiva dello
Stato in quanto attinenti all'ordinamento civile, violando, comunque,
le disposizioni degli articoli 40 e ss  del  decreto  legislativo  n.
165/2001  che  riconducono  la  disciplina  del  rapporto  di  lavoro
pubblico  privatizzato  al  codice  civile  ed  alla   contrattazione
collettiva. Al riguardo, si evidenzia  che,  ai  sensi  dell'art.  1,
comma 3, del decreto legislativo n.  165/2001,  le  disposizioni  del
medesimo decreto legislativo n. 165/2001 - come  quelle  della  legge
delega 421 del 1992 -  vengono  espressamente  elevate  al  rango  di
principi fondamentali ai sensi dell'art. 117  della  Costituzione  e,
come tali, si impongono anche alle regioni  a  statuto  speciale  (ex
multis Corte costituzionale, sentenze n. 189/2007, n. 160/2017  e  n.
81/2019). 
    Per le esposte motivazioni, si impugna la legge  regionale  della
Valle  d'Aosta  n.  8  del  2020,  limitatamente  all'art.  46,   per
violazione dei limiti delle competenze statutarie  e  dell'art.  117,
secondo comma, lettera  l),  della  Costituzione,  che  riserva  alla
competenza  esclusiva   dello   Stato   l'ordinamento   civile,   con
riferimento agli  articoli  40  e  ss.  del  decreto  legislativo  n.
165/2001. 
5. Illegittimita' degli articoli 77, commi 1 e 2 lettere a), b),  c),
e) e f), della legge della Regione Valle d'Aosta n. 8 del  2020,  per
violazione  dell'art.  117,  secondo   comma,   lettera   e),   della
Costituzione, che riserva  allo  Stato  la  competenza  esclusiva  in
materia di tutela della concorrenza, con  riferimento  agli  articoli
30, comma 1, e 36 del decreto legislativo n. 50/2016. 
    L'art. 77 della legge della Regione autonoma Valle d'Aosta  n.  8
del 2020 reca disposizioni che violano i limiti  statutari  posti  al
legislatore  regionale  nella  disciplina  dei  contratti   pubblici,
nonche' l'art. 117, secondo comma 2, lettera e), della Costituzione. 
    In particolare, l'art. 77, comma 1,  prevede  che  le  misure  di
semplificazione della legge regionale in questione debbano applicarsi
alle procedure avviate dal 14 luglio e  fino  al  31  dicembre  2020,
ponendosi in contrasto con la normativa  statale  che,  in  relazione
all'aggiudicazione dei contratti pubblici sotto soglia  (art.  1  del
decreto-legge 16  luglio  2020,  n.  76)  e  sopra  soglia  (art.  2,
decreto-legge  n.  76/2020),  introduce  una  diversa  disciplina  di
accelerazione che si applica alle procedure  di  affidamento  e  alla
disciplina dell'esecuzione del  contratto,  qualora  la  determina  a
contrarre o altro atto di avvio del  procedimento  equivalente  siano
adottati entro il 31 luglio 2021. 
    L'art. 77, comma 2, della legge regionale  n.  8/2020  stabilisce
l'applicazione di modelli procedurali di affidamento in contrasto con
le  modalita'  di  affidamento   dei   contratti   c.d.   sottosoglia
disciplinate nell'art. 1, comma 2, lettere a) e b), del decreto-legge
n. 76  del  2020  e  nelle  disposizioni  dell'art.  36  del  decreto
legislativo n. 50 del 2016. 
    Sempre il comma 2, lettere a), b), c), e)  e  f),  dell'art.  77,
prevede la «individuazione  degli  operatori  economici  da  valutare
prioritariamente tra quelli con sede  legale  o  operativa  in  Valle
d'Aosta, attingendo dagli elenchi di operatori economici gia' formati
o a seguito di indagine di mercato». Cio' configura un trattamento di
favore  per  gli  operatori  radicati   nel   territorio   regionale,
determinando un ostacolo alla concorrenza, in quanto, consentendo una
riserva di partecipazione, altera la par condicio fra  gli  operatori
economici interessati all'appalto. 
    Si rappresenta che, in base alla giurisprudenza di codesta ecc.ma
Corte,  le  disposizioni  «regolanti  le  procedure  di   gara   sono
riconducibili alla materia della tutela della concorrenza, e [...] le
regioni,  anche  ad  autonomia  speciale,  non  possono  dettare  una
disciplina da esse difforme (tra le tante, sentenze n. 263 del  2016,
n. 36 del 2013, n. 328 del 2011, n. 411 e n.  322  del  2008)»  (cfr.
sentenza n. 39 del  2020);  cio'  vale  «anche  per  le  disposizioni
relative ai contratti sotto soglia (sentenze n. 263 del 2016, n.  184
del 2011, n. 283 e n. 160 del 2009, n. 401 del 2007), [...] senza che
rilevi che la procedura sia aperta o negoziata (sentenza n.  322  del
2008)» (in tal senso, sentenza n. 39 del 2020). 
    La disposizione regionale non risulta coerente con il disposto di
cui all'art. 36 del  decreto  legislativo  n.  50/2016,  secondo  cui
l'affidamento degli appalti deve avvenire «nel rispetto del  criterio
di rotazione degli  inviti»,  individuando  gli  operatori  economici
«sulla base di indagini di mercato o  tramite  elenchi  di  operatori
economici», senza  prevedere  alcuna  indicazione  di  provenienza  o
svolgendo indagini di mercato senza alcuna limitazione territoriale. 
    Inoltre, la disposizione si pone anche in  contrasto  con  l'art.
30, comma 1, del decreto  legislativo  n.  50/2016,  che  «impone  il
rispetto dei principi di libera concorrenza e  non  discriminazione»,
laddove   prevede   che   le    stazioni    appaltanti,    ai    fini
dell'aggiudicazione dei contratti di  lavori,  servizi  o  forniture,
possono consultare prioritariamente gli  operatori  economici  aventi
sede legale o operativa nel territorio regionale. 
    Dall'esame  delle  norme  richiamate,  si  evince  che  la  norma
regionale in esame -  dalla  ratio  simile  ad  una  legge  regionale
recentemente scrutinata negativamente da codesta ecc.ma Corte con  la
sentenza del 5 maggio 2020, n. 98 - introduce una  possibile  riserva
di partecipazione a favore degli operatori  economici  con  sede  nel
territorio della Regione Valle d'Aosta, non  consentita  dalla  legge
statale, con discriminazione degli operatori economici in  base  alla
territorialita'. 
    Nella  pronuncia   sopra   richiamata,   codesta   ecc.ma   Corte
costituzionale ha osservato che l'esistenza  di  una  sede  operativa
prossima al  luogo  di  esecuzione  della  prestazione  «puo'  essere
richiesta solo in relazione a  particolari  modalita'  di  esecuzione
della  specifica  prestazione  (...)  non  in  modo  generalizzato  e
valevole per tutti i contratti»  (Corte  costituzionale,  sentenza  5
maggio 2020, n. 98). 
    La  disposizione  regionale,  pertanto,  potrebbe   impedire   un
confronto competitivo tra gli operatori economici e rivelarsi  lesiva
del principio di non discriminazione e di parita' di  trattamento  in
quanto, consentendo una riserva  di  partecipazione,  altera  la  par
condicio fra gli operatori economici interessati all'appalto. 
    In sostanza, la norma, nel permettere alle stazioni appaltanti di
valutare con preferenza le offerte economiche delle imprese con  sede
legale o operativa in Valle d'Aosta, determina  il  mancato  rispetto
dei criteri generali previsti  per  la  selezione  delle  imprese  da
invitare. 
    La norma, pertanto, nel riservare un trattamento di favore per le
imprese  radicate  nel  territorio  regionale  e'  di  ostacolo  alla
concorrenza, alterando la par condicio fra gli operatori economici  e
determinando  una  «limitazione  della   concorrenza   che   non   e'
giustificata  da  alcuna  ragione  se  non  quella  -  vietata  -  di
attribuire una posizione di privilegio alle  imprese  del  territorio
per favorire l'economia regionale» (Corte costituzionale, sentenza  5
maggio 2020, n. 98). 
    Secondo la giurisprudenza costituzionale in  materia  di  appalti
pubblici gli aspetti  relativi  alle  procedure  di  selezione  e  ai
criteri di  aggiudicazione  «sono  riconducibili  alla  tutela  della
concorrenza» (Corte costituzionale, sent. n. 320 del 2008  e  n.  401
del 2007), di esclusiva competenza del  legislatore  statale,  ragion
per cui le regioni,  anche  ad  autonomia  speciale,  non  potrebbero
«prevedere in materia una  disciplina  difforme  da  quella  statale»
(Corte costituzionale, sent. n. 263 del 2016; n. 36 del 2013 e n. 328
del 2011). Si rappresenta che l'art. 2  del  decreto  legislativo  n.
50/2016,  con  riferimento  alle  competenze  legislative  di  Stato,
regioni e province autonome prevede, al secondo comma, che le regioni
a statuto ordinario esercitano le proprie funzioni nelle  materie  di
competenza regionale, ai sensi dell'art. 117 della Costituzione e, al
terzo comma, che le regioni a statuto speciale e le province autonome
di Trento e di  Bolzano  debbano  adeguare  la  propria  legislazione
secondo le disposizioni contenute  negli  statuti  e  nelle  relative
norme di attuazione. 
    Dall'esame dello statuto speciale per la Valle  d'Aosta  -  legge
Costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4, non si evince la  possibilita'
di derogare alle disposizioni  del  codice  dei  contratti  pubblici.
Peraltro, l'art. 10 della legge della Regione  autonoma  della  Valle
d'Aosta 2 agosto 2016, n. 16, recante  «Disposizioni  in  materia  di
contratti pubblici. Modificazione alla legge  regionale  19  dicembre
2014, n. 13», ha disposto, a far  data  dall'entrata  in  vigore  del
decreto legislativo n. 50/2016, l'abrogazione di ogni disposizione di
legge regionale in materia di contratti pubblici di lavori, servizi e
forniture incompatibile con la disciplina del  codice  dei  contratti
pubblici, con cio' denotando la  volonta'  legislativa  regionale  di
adeguarsi totalmente alle disposizioni del citato decreto legislativo
n. 50/2016. 
    Inoltre,   la   giurisprudenza    amministrativa    ha    sancito
l'illegittimita' della «(...) clausola presente  nel  bando  di  gara
secondo cui ogni impresa concorrente  deve  dimostrare,  in  sede  di
prequalifica, la capacita' di gestire i servizi mediante contratti di
rete territoriali stipulati esclusivamente con soggetti gia' radicati
sul territorio, o meglio, gia' presenti nel luogo dell'esecuzione dei
servizi oggetto dell'appalto specifico,  (che)  introduce  un  limite
inderogabile che estromette  dalla  procedura  selettiva  i  soggetti
interessati ad operare in loco ma che  non  sono  gia'  radicati  sul
territorio di riferimento e che costringe  l'offerente  a  non  avere
altra scelta che avvalersi  degli  operatori  di  rete  locali,  gia'
attivi in loco» (cfr. TAR Toscana, sezione III,  28  marzo  2020,  n.
371). 
    La disposizione regionale e', quindi, invasiva  della  competenza
esclusiva  statale  in  materia  di  tutela  della  concorrenza,   in
violazione  dell'art.  117,  secondo   comma,   lettera   e),   della
Costituzione, con riferimento agli articoli 30, comma  1,  e  36  del
decreto legislativo n. 50/2016. 
6. Illegittimita' dell'art. 77, comma 5,  della  legge  regionale  n.
8/2020, che disciplina istituti afferenti l'esecuzione dei  contratti
violando i limiti statutari  posti  al  legislatore  regionale  nella
materia dei contratti pubblici e l'art. 117, secondo  comma,  lettera
e), della Costituzione, in riferimento agli articoli 106  e  107  del
decreto legislativo  18  aprile  2016,  n.  50,  nonche'  prevede  la
possibilita' di riservare un trattamento di favore per gli  operatori
radicati nel territorio regionale, alterando la par condicio fra  gli
operatori economici, in contrasto  con  l'art.  117,  secondo  comma,
lettera e), della Costituzione. 
    L'art. 77, comma 5, della legge regionale n.  8/2020,  stabilisce
che, per i contratti pubblici in corso di  esecuzione  alla  data  di
entrata della legge regionale, e' consentita ogni modifica necessaria
ad adeguare le modalita' di esecuzione alla  sopravvenuta  normativa,
statale e  regionale,  di  contrasto  e  contenimento  dell'emergenza
epidemiologica da COVID-19, anche ricorrendo a soluzioni  tecniche  e
organizzative non previste dai documenti di gara e dal contratto,  da
ritenersi equivalenti, tenuto conto delle mutate condizioni,  per  la
tutela  della   continuita'   del   rapporto   contrattuale   ed   il
perseguimento delle finalita' di pubblico  interesse  della  stazione
appaltante. 
    E'  previsto,  poi,  che,  nell'autorizzare  le   modifiche,   il
responsabile unico del procedimento indica, ove necessario, il  nuovo
termine contrattuale. 
    La previsione della legge regionale si discosta dalla  disciplina
di  derivazione  statale  dettata  con  riferimento  alle  modifiche,
connesse  alla  situazione  emergenziale  da  COVID-19,  nella   fase
esecutiva del contratto. Invero, l'art. 8, comma 4, del decreto-legge
n. 76 del 2010, con riferimento ai lavori in corso di esecuzione alla
data  di  entrata  in  vigore  del  decreto,  anche  in  deroga  alle
previsioni  contrattuali,  prevede:  alla  lettera  a)   misure   che
consentono  di   effettuare   immediatamente   il   pagamento   delle
lavorazioni gia' realizzate al momento  dell'entrata  in  vigore  del
decreto; alla lettera b) il rimborso dei conseguenti  maggiori  oneri
sopportati dagli appaltatori a  valere  sulle  somme  a  disposizione
della   stazione   appaltante   indicate   nei    quadri    economici
dell'intervento,  ove  necessario,  utilizzando  anche  le   economie
derivanti dai ribassi d'asta; alla lettera c) che,  ove  il  rispetto
delle  misure  di  contenimento  in  parola  impedisca,  anche   solo
parzialmente, il regolare svolgimento dei lavori, ovvero la  regolare
esecuzione dei servizi o delle forniture, cio' costituisce  causa  di
forza  maggiore,  ai  sensi  dell'art.  107,  comma  4,  del  decreto
legislativo 18 aprile 2016, n. 50. 
    Si precisa che, qualora il rispetto delle misure di  contenimento
in parola impedisca di ultimare i lavori, i servizi  o  le  forniture
nel termine contrattualmente previsto, cio'  costituisce  circostanza
non imputabile all'esecutore ai sensi del comma 5 del citato art. 107
ai fini della proroga di detto  termine,  ove  richiesta  e  che,  in
considerazione della  qualificazione  della  pandemia  COVID-19  come
«fatto notorio» e della cogenza delle misure di contenimento disposte
dalle competenti Autorita', non si applicano, anche  in  funzione  di
semplificazione  procedimentale,  gli   obblighi   di   comunicazione
all'Autorita' nazionale anticorruzione e  le  sanzioni  previste  dal
terzo e dal quarto periodo del comma  4  dell'art.  107  del  decreto
legislativo 18 aprile 2016, n. 50. 
    Il comma 5 dell'art. 77 della legge regionale n. 8/2020 contrasta
anche con le disposizioni a regime del codice dei contratti pubblici,
di cui al decreto legislativo  18  aprile  2016,  n.  50,  che,  agli
articoli 106 e 107, prevede un'apposita disciplina con riguardo  alla
modifica dei contratti durante il periodo  di  efficacia  (dove,  tra
l'altro, si prevedono soglie economiche oltre le quali  le  modifiche
contrattuali non sono ammesse senza la previsione di indizione di una
nuova gara) e sulla sospensione dell'esecuzione del contratto  (nella
quale, tra l'altro, sono dettate apposite disposizioni  in  relazione
ai compiti del RUP). 
    Si ritiene, quindi, che la legge della Regione Valle d'Aosta n. 8
del 2020, sia incostituzionale limitatamente alla disposizione di cui
all'art. 77, comma 5, che disciplina istituti afferenti  l'esecuzione
dei contratti  violando  i  limiti  statutari  posti  al  legislatore
regionale nella disciplina  dei  contratti  pubblici  e  l'art.  117,
secondo comma, lettera e), della Costituzione, in materia  di  tutela
della concorrenza, con  riferimento  agli  articoli  106  e  107  del
decreto legislativo  18  aprile  2016,  n.  50,  nonche'  prevede  la
possibilita' di riservare un trattamento di favore per gli  operatori
radicati nel territorio regionale, alterando la par condicio fra  gli
operatori economici, in contrasto  con  l'art.  117,  secondo  comma,
lettera e), della Costituzione. 
7. Illegittimita'  dell'art.  78  della  legge  della  Regione  Valle
d'Aosta n. 8 del 2020, limitatamente al comma 2,  lettere  c)  e  d),
comma  3,  lettera  a),  nella  parte  in   cui   estende   l'esonero
dall'autorizzazione paesaggistica al di fuori delle ipotesi di cui al
punto A.2 dell'allegato A al decreto del Presidente della  Repubblica
n. 31 del 2017, comma 4, lettere b), c) e d), comma 6, lettere  b)  e
c), per violazione degli articoli  2  e  3  dello  statuto  speciale,
dell'art. 9 della Costituzione, nonche' dell'art. 117, secondo comma,
lettere s) e  m),  della  Costituzione,  stante  il  contrasto  delle
disposizioni censurate con gli articoli 21 e 146 del codice dei  beni
culturali e del paesaggio di cui al decreto  legislativo  22  gennaio
2004, n. 42, nonche' con la disciplina statale che indica le  ipotesi
di esonero dai predetti titoli autorizzatoci (art. 149  del  predetto
codice di settore; decreto del Presidente della Repubblica n. 31  del
2017; art. 181, comma 3, del decreto-legge n. 34 del 2020;  art.  10,
comma 5, del decreto-legge n. 76 del 2020). 
    L'art. 78 della legge regionale n. 8/2020, recante «Modalita' per
la realizzazione di interventi edilizi», contiene  disposizioni  che,
non garantendo a tutti i beni culturali il regime di tutela  previsto
dal codice  dei  beni  culturali  e  del  paesaggio,  si  pongono  in
contrasto con i limiti alla potesta' legislativa regionale. 
    Il suddetto articolo  prevede,  in  particolare,  una  disciplina
semplificata per la  realizzazione  di  opere  e  interventi  edilizi
necessari a conformare le modalita' di esercizio delle attivita' alle
esigenze sanitarie di  contrasto  e  di  contenimento  dell'emergenza
epidemiologica da COVID-19 per le strutture ricettive alberghiere  ed
extralberghiere, i complessi ricettivi all'aperto,  gli  esercizi  di
somministrazione di alimenti e bevande, gli agriturismi, le attivita'
artigianali, industriali  e  commerciali  e  le  opere  di  interesse
pubblico, consentendo la deroga alla legge regionale urbanistica e di
pianificazione territoriale n. 11 del 1998, ai relativi provvedimenti
attuativi, ai piani regolatori e ai regolamenti comunali. 
    Il comma 2 del medesimo articolo stabilisce alcune condizioni per
l'esecuzione di tali interventi in deroga, tra cui, alla lettera  c),
il rispetto  delle  discipline  vigenti  in  relazione  agli  edifici
classificati come «monumento» dai  PRG,  fatta  salva  la  delega  ai
comuni per il rilascio delle autorizzazioni  paesaggistiche,  di  cui
all'art. 3 della legge regionale n. 18 del 1994,  relativamente  agli
edifici classificati come «monumento» dai PRG. 
    La  lettera  d)  dello  stesso  comma  prevede,   poi,   il   non
assoggettamento ai pareri e alle  autorizzazioni  paesaggistiche,  di
cui al citato art. 3 della legge regionale  n.  18  del  1994,  degli
interventi indicati ai commi 3, 4, 6, 7 e 8 dello stesso art. 78. 
    Gli interventi elencati dalle predette norme rivestono  carattere
sia temporaneo che permanente (cfr., in particolare,  gli  interventi
di cui ai commi 3 e 7) e soltanto alcune tra  le  tipologie  indicate
sono  riconducibili  alle  fattispecie   previste   dall'allegato   A
(«Interventi ed opere in aree vincolate  esclusi  dall'autorizzazione
paesaggistica»)  al  decreto  del  Presidente  della  Repubblica   13
febbraio 2017,  n.  31,  «Regolamento  recante  individuazione  degli
interventi esclusi dall'autorizzazione paesaggistica o  sottoposti  a
procedura autorizzatoria semplificata», ovvero dall'art. 10, comma 5,
del decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76. 
    Cio' posto, si rappresenta, in via generale, che: 
      (i) la clausola - contenuta all'art. 78, comma 2,  lettera  c),
della legge in esame - che fa salva  la  sola  disciplina  di  tutela
degli edifici classificati come «monumento» dal PRG non sembra idonea
a  garantire  la  piena  applicazione  a  tutti  i  beni   culturali,
indipendentemente da  tale  classificazione,  del  regime  di  tutela
previsto dalla parte II del codice dei beni culturali e del paesaggio
di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42; 
      (ii) per i beni paesaggistici, non e' consentito alle  regioni,
anche  a  statuto  speciale,  individuare  ulteriori   tipologie   di
interventi sottratte al  regime  autorizzatorio,  in  aggiunta  o  in
difformita' rispetto a quanto previsto dalla disciplina statale. 
    Si osserva,  preliminarmente,  che,  in  base  all'art.  2  dello
statuto, la regione e' titolare di potesta' legislativa in materia di
urbanistica (lettera g) e di tutela del paesaggio (lettera q), ma  e'
chiamata a esercitare tale potesta' «In armonia con la Costituzione e
i principi dell'ordinamento giuridico della Repubblica e col rispetto
degli obblighi internazionali e degli  interessi  nazionali,  nonche'
delle  norme  fondamentali  delle  riforme  economico-sociali   della
Repubblica». 
    Tra queste ultime, per quel che  occupa,  rilevano  quelle  poste
dalla legislazione statale nel cui novero e'  ricompreso  il  decreto
legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali  e  del
paesaggio, ai sensi dell'art. 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137). 
    D'altro canto, l'art. 3 del  medesimo  statuto  attribuisce  alla
regione la «potesta' di emanare norme legislative di  integrazione  e
di attuazione delle leggi della Repubblica (...) per  adattarle  alle
condizioni regionali»,  in  materia  di  «antichita'  e  belle  arti»
(lettera  m),  ma  sempre  «entro  i  limiti  indicati  nell'articolo
precedente». 
    Il  legislatore  nazionale,  nell'esercizio  della  sua  potesta'
legislativa esclusiva in materia, si e' fatto carico delle necessita'
connesse alla situazione  emergenziale  dovuta  alla  diffusione  del
virus COVID-19 prevedendo, con l'art. 10, comma 5, del  decreto-legge
n. 76 del 16 luglio  2020,  un'eccezione  al  regime  autorizzatorio,
senza tuttavia contemplare alcuna rimessione, in capo alle regioni  a
statuto speciale, di potesta' legislative al riguardo. 
    Nel dettaglio, con il citato art. 10, comma 5,  decreto-legge  n.
76/2020, il legislatore ha previsto  che  «Non  e'  subordinata  alle
autorizzazioni di cui agli articoli 21, 106, comma 2-bis, e  146  del
codice dei  beni  culturali  e  del  paesaggio,  di  cui  al  decreto
legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, la posa in opera  di  elementi  o
strutture amovibili sulle aree di cui all'art. 10, comma  4,  lettera
g), del medesimo codice, fatta eccezione per le pubbliche piazze,  le
vie o gli spazi aperti urbani adiacenti  a  siti  archeologici  o  ad
altri beni di particolare valore storico o artistico». 
    La  suddetta  disposizione  riprende  e   stabilizza   la   norma
temporanea gia' introdotta all'art. 181, comma 3,  del  decreto-legge
19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge  17
luglio 2020, n. 77, in base al quale: «Ai soli fini di assicurare  il
rispetto delle misure di  distanziamento  connesse  all'emergenza  da
COVID-19, e comunque non oltre il 31 ottobre 2020, la posa  in  opera
temporanea su vie, piazze, strade e altri spazi aperti  di  interesse
culturale o paesaggistico, da parte dei soggetti di cui al  comma  1,
di strutture amovibili, quali  dehors,  elementi  di  arredo  urbano,
attrezzature,  pedane,  tavolini,  sedute   e   ombrelloni,   purche'
funzionali all'attivita' di cui all'art. 5 della  legge  n.  287  del
1991, non e' subordinata alle autorizzazioni di cui agli articoli  21
e 146 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42.». 
    Il   regime   degli   interventi   soggetti   ad   autorizzazione
paesaggistica rientra  nel  novero  delle  norme  di  grande  riforma
economico  sociale  e  spetta  soltanto  allo  Stato  individuare  le
esclusioni  di  cui  si  discorre,  nell'esercizio   della   potesta'
legislativa esclusiva in materia  di  tutela  del  paesaggio  di  cui
all'art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione. 
    Lo Stato ha, peraltro, gia' assicurato la  dovuta  considerazione
alle esigenze di  partecipazione  delle  regioni  e  delle  autonomie
locali    nella    definizione     degli     interventi     sottratti
all'autorizzazione paesaggistica, atteso che il regolamento approvato
con il decreto del Presidente della Repubblica  n.  31  del  2017  e'
stato  concertato  previamente  mediante  l'acquisizione  dell'intesa
della  Conferenza  unificata,  come  attestato  nelle  premesse   del
medesimo atto. 
    La lettera c) del comma 2 dell'art. 78 della legge  regionale  in
esame, laddove fa salva la delega ai comuni  per  il  rilascio  delle
autorizzazioni  paesaggistiche,  di  cui  all'art.  3   della   legge
regionale n. 18 del 1994,  relativamente  agli  edifici  classificati
come «monumento» dai PRG, e la lettera d)  del  medesimo  comma,  che
prevede che non sono assoggettati ai  pareri  e  alle  autorizzazioni
paesaggistiche di cui all'art. 3 della legge regionale n. 18 del 1994
gli  interventi  indicati  ai  commi  3,  4,  6,   7   e   8   -   e,
conseguentemente, i commi 3, 4, 6, 7 e 8, nei termini che  meglio  si
diranno -si pongono in contrasto con gli articoli 2 e 3 dello statuto
speciale  e  con  l'art.  117,  secondo  comma,  lettera  s),   della
Costituzione, atteso che la disciplina di tutela dei  beni  culturali
contenuta nel relativo codice (e, in particolare, nell'art.  21),  si
impone alla regione, sfornita di  potesta'  legislativa  primaria  al
riguardo,   mentre   la   disciplina   concernente   l'autorizzazione
paesaggistica, di cui all'art. 146 del medesimo  codice,  incluse  le
ipotesi di esonero dal predetto  titolo  abilitativo  previste  dalla
normativa statale, e'  annoverabile  tra  le  norme  fondamentali  di
riforma economico sociale. 
    A tale ultimo riguardo, codesta ecc.ma Corte ha statuito che  «La
procedura  di   autorizzazione   paesaggistica   disciplinata   dalla
normativa statale, non derogabile da parte della regione, e' volta  a
stabilire proprio se  un  determinato  intervento  abbia  o  meno  un
impatto paesaggistico significativo»  e  che  la  qualificazione,  da
parte della regione, di  taluni  interventi  come  paesaggisticamente
irrilevanti «si pone, dunque, in contrasto  con  il  richiamato  art.
146, oltre che con l'art. 149 del medesimo codice dei beni  culturali
e del paesaggio  -  che  individua  tassativamente  le  tipologie  di
interventi  in  aree  vincolate  realizzabili  anche  in  assenza  di
autorizzazione paesaggistica» (Corte costituzionale n. 189 del 2016). 
    Anche a voler  ammettere  astrattamente  una  possibilita'  della
Regione di intervenire, tale intervento dovrebbe limitarsi a recepire
fedelmente le disposizioni statali vigenti, peraltro  concertate  con
le regioni, secondo quanto sopra detto. Infatti, solo le disposizioni
regionali che rispecchiano  il  contenuto  della  disciplina  statale
possono considerarsi non affette  da  illegittimita'  costituzionale,
poiche' spetta  esclusivamente  al  legislatore  statale  individuare
quegli  interventi  che,  pur  incidendo  su  beni  vincolati,   sono
esonerati dall'autorizzazione paesaggistica, in quanto si configurano
come attivita' di  gestione  e  manutenzione  ordinaria,  prevista  e
autorizzata dalla normativa vigente in materia (Corte costituzionale,
sentenza n. 201 del 2018). Senonche', non tutti gli interventi di cui
ai commi 3, 4, 6, 7 e 8, dell'art. 78 della legge regionale n. 8/2020
- alcuni dei quali aventi carattere temporaneo,  altri  permanente  -
risultano riconducibili a quelli esentati dalle disposizioni  statali
vigenti. 
    Quanto agli interventi aventi carattere  permanente  -  che  sono
quelli che, in ragione della  loro  dimensione  temporale,  risultano
maggiormente impattanti sul paesaggio - a venire  in  rilievo  e'  il
citato comma 3, il quale prevede  interventi  edilizi  su  fabbricati
esistenti, che si sostanziano in: 
      a) adeguamento degli accessi [1) trasformazione di una finestra
in porta; 2) ampliamento di porta esistente; 3) inserimento di  nuova
apertura su parete esterna)]; 
      b) diversa suddivisione interna o diverso uso dei locali, altre
opere interne. 
    Il comma 7 del medesimo art. 78 sancisce, poi, che gli interventi
di cui al comma 3 sono assentiti anche per le opere pubbliche. 
    Degli interventi elencati al comma 3  soltanto  alcuni  risultano
riconducibili alle fattispecie previste  dal  citato  allegato  A  al
decreto del Presidente della Repubblica 13 febbraio 2017, n. 31. 
    Il riferimento e' a quelli di cui al comma 3, lettera  b),  ossia
agli interventi edilizi di «diversa suddivisione  interna  o  diverso
uso dei locali, altre opere  interne».  Questi  interventi  appaiono,
invero, rapportabili alla fattispecie di cui al punto A.1. del citato
allegato A, decreto  del  Presidente  della  Repubblica  n.  31/2017,
concernente le «opere interne che non  alterano  l'aspetto  esteriore
degli edifici, comunque denominate ai fini urbanistico-edilizi, anche
ove comportanti mutamento della destinazione d'uso». 
    La   realizzazione   di   aperture    e',    invece,    esonerata
dall'autorizzazione paesaggistica nei soli casi di cui  alla  lettera
A.2  dell'allegato  A,  ed  e'  invece  soggetta   all'autorizzazione
paesaggistica semplificata laddove rientri nelle fattispecie  di  cui
alle lettere B.2 e B.3 del decreto del Presidente della Repubblica n.
31 del 2017. 
    Quanto agli interventi che  rivestono  carattere  temporaneo,  il
comma 4 dell'art. 78 della  legge  regionale  n.  8/2020  ne  prevede
alcuni finalizzati al mantenimento  della  capacita'  ricettiva,  nei
limiti  prescritti  dalle  autorizzazioni   igienico-sanitarie,   ove
esistenti, delle strutture  ricettive  alberghiere,  extralberghiere,
dei   complessi   ricettivi    all'aperto,    degli    esercizi    di
somministrazione di alimenti e bevande e  degli  agriturismi,  aventi
carattere  temporaneo  sino  al  30  aprile  2022.  Si   tratta,   in
particolare: 
      a) degli interventi di ampliamento temporaneo della  superficie
di somministrazione mediante installazione di  allestimenti  esterni,
immediatamente rimovibili, privi di  platee  e  strutture  rigide  di
tamponamento o copertura; 
      b) degli interventi di ampliamento temporaneo della  superficie
di somministrazione mediante installazione di  allestimenti  esterni,
non immediatamente rimovibili, comprendenti platee e strutture rigide
di tamponamento o copertura; 
      c) dell'utilizzo temporaneo di locali contigui o nell'immediata
prossimita' dell'esercizio senza che cio'  costituisca  mutamento  di
destinazione d'uso; 
      d) per i rifugi, case per  ferie,  ostelli  della  gioventu'  e
dortoirs o posti tappa escursionistici, della  posa  di  attendamento
nell'area esterna di pertinenza; 
      e) per i rifugi, le case per ferie, ostelli della  gioventu'  e
dortoirs o  posti  tappa  escursionistici  e  i  complessi  ricettivi
all'aperto, installazione di servizi igienici mobili. 
    Degli interventi elencati al comma 4, quelli di cui alla  lettera
a) risultano riconducibili alla fattispecie di cui al punto A.17  del
citato  allegato  A,  decreto  del  Presidente  della  Repubblica  n.
31/2017, concernente le «installazioni esterne  poste  a  corredo  di
attivita' economiche quali esercizi di somministrazione di alimenti e
bevande, attivita' commerciali, turistico-ricettive, sportive  o  del
tempo libero,  costituite  da  elementi  facilmente  amovibili  quali
tende, pedane, paratie laterali frangivento,  manufatti  ornamentali,
elementi ombreggianti o altre strutture leggere di copertura, e prive
di parti in muratura o strutture stabilmente ancorate al suolo». 
    Tutti  gli  altri  interventi   non   sono,   invece,   esonerati
dall'autorizzazione paesaggistica. In particolare, gli interventi  di
cui all'art. 78, comma 4, lettera b),  non  sono  riconducibili  alla
fattispecie prevista dall'art. 10, comma 5, del decreto-legge  n.  76
del 16 luglio 2020, anche ove realizzati presso le aree cui  siffatto
articolo fa riferimento (pubbliche piazze, vie, strade e altri  spazi
urbani di interesse artistico  o  storico,  fatta  eccezione  per  le
pubbliche piazze, le vie o gli spazi aperti urbani adiacenti  a  siti
archeologici  o  ad  altri  beni  di  particolare  valore  storico  o
artistico), atteso che la norma regionale si riferisce  a  opere  non
facilmente rimovibili, mentre quella statale richiede  l'amovibilita'
dei  manufatti  al  fine  di  escludere  la  necessita'  dei   titoli
autorizzatori. 
    Il comma 6 dell'art. 78 prevede, poi, interventi  finalizzati  al
rispetto  delle  misure  di  sicurezza  prescritte  per  fronteggiare
l'emergenza epidemiologica da COVID-19 per le attivita' produttive di
tipo  artigianale,  industriale  e  commerciale,   aventi   carattere
temporaneo sino al 30 aprile 2022, quali: 
      a)  ampliamento  temporaneo  della  superficie   dell'esercizio
assentito   mediante   installazione   di    allestimenti    esterni,
immediatamente rimovibili, privi di  platee  e  strutture  rigide  di
tamponamento o copertura e, limitatamente alle  attivita'  produttive
di tipo artigianale e industriale, di servizi igienici mobili; 
      b)  ampliamento  temporaneo  della  superficie   dell'esercizio
assentito  mediante  installazione  di  allestimenti   esterni,   non
immediatamente rimovibili, comprendenti platee e strutture rigide  di
tamponamento o copertura rimovibili; 
      c)  ampliamento  temporaneo  della  superficie   dell'esercizio
mediante utilizzo temporaneo dei  locali  contigui  o  nell'immediata
prossimita' dell'attivita' senza che cio'  costituisca  mutamento  di
destinazione d'uso. 
    Per gli interventi di cui al comma 6, il  comma  7  dell'art.  78
prevede che sono assentiti anche per le opere pubbliche. 
    Degli interventi elencati al comma 6, quelli di cui alla  lettera
a) risultano riconducibili alla fattispecie di cui al punto A.17  del
citato  allegato  A,  decreto  del  Presidente  della  Repubblica  n.
31/2017, concernente le «installazioni esterne  poste  a  corredo  di
attivita' economiche quali esercizi di somministrazione di alimenti e
bevande, attivita' commerciali, turistico-ricettive, sportive  o  del
tempo libero,  costituite  da  elementi  facilmente  amovibili  quali
tende, pedane, paratie laterali frangivento,  manufatti  ornamentali,
elementi ombreggianti o altre strutture leggere di copertura, e prive
di parti in muratura o strutture stabilmente ancorate al suolo». 
    Tutti  gli  altri  interventi   non   sono,   invece,   esonerati
dall'autorizzazione paesaggistica. In particolare, gli interventi  di
cui al comma 6, lettera b), non sono riconducibili  alla  fattispecie
prevista dall'art. 10, comma 5, del decreto-legge n. 76 del 16 luglio
2020, anche ove realizzati presso le aree cui  siffatto  articolo  fa
riferimento (pubbliche piazze, vie, strade e altri  spazi  urbani  di
interesse artistico o  storico,  fatta  eccezione  per  le  pubbliche
piazze,  le  vie  o  gli  spazi  aperti  urbani  adiacenti   a   siti
archeologici  o  ad  altri  beni  di  particolare  valore  storico  o
artistico), atteso che la norma regionale si riferisce  a  opere  non
facilmente rimovibili, mentre quella statale richiede  l'amovibilita'
dei  manufatti  al  fine  di  escludere  la  necessita'  dei   titoli
autorizzatori. 
    Quindi,  eccettuate  le  ipotesi  innanzi  dette  di   interventi
riconducibili alle fattispecie previste dall'allegato A al decreto n.
31 del 13 febbraio 2017 - e che, dunque, in ragione di quanto innanzi
detto,   possono   considerarsi   non   affette   da   illegittimita'
costituzionale - deve ribadirsi come le restanti  risultino,  invece,
costituzionalmente   illegittime   per   violazione    delle    norme
fondamentali di riforma economico - sociale in materia di tutela  del
paesaggio. Non e', infatti, consentito alle regioni, anche a  statuto
speciale,  individuare,  con  riferimento  ai   beni   paesaggistici,
ulteriori tipologie di interventi sottratte al regime autorizzatorio,
in aggiunta  o  in  difformita'  rispetto  a  quanto  previsto  dalla
disciplina statale. 
    L'art. 78, comma  2,  lettera  c),  legge  regionale  n.  8/2020,
limitando la tutela dei beni culturali soltanto a quelli classificati
come «monumento»  negli  strumenti  urbanistici  comunali,  si  pone,
inoltre, in contrasto con la  potesta'  legislativa  esclusiva  dello
Stato in materia di tutela dei beni  culturali,  ai  sensi  dell'art.
117, secondo comma, lettera s) della Costituzione 
    L'art. 78 della legge regionale n. 8/2020 - quanto  al  comma  2,
lettere c) e d); comma 3, lettera a),  nella  parte  in  cui  estende
l'esonero dall'autorizzazione paesaggistica al di fuori delle ipotesi
di cui al punto A.2 dell'allegato A al decreto del  Presidente  della
Repubblica n. 31 del 2017; comma 4, lettere b), c)  e  d);  comma  6,
lettere b) e c)  -  e'  censurabile  anche  in  quanto  incide  sulla
determinazione dei  livelli  essenziali  delle  prestazioni,  materia
riservata allo Stato ai sensi dell'art. 117, secondo  comma,  lettera
m), della Costituzione; infatti, come  gia'  evidenziato  da  codesta
ecc.ma Corte nelle sentenze n. 207 del 2012 e n.  238  del  2013,  le
esigenze di uniformita' della disciplina in  tema  di  autorizzazione
paesaggistica  su  tutto  il  territorio   nazionale   si   impongono
sull'autonomia legislativa delle regioni, alle quali non e'  pertanto
consentito individuare altre tipologie di interventi realizzabili  in
assenza di  autorizzazione  paesaggistica,  al  di  fuori  di  quelli
tassativamente determinati ai sensi della normativa sopra richiamata. 
    E' violato, infine, anche l'art. 9 della Costituzione, in base al
quale il  paesaggio  costituisce  valore  costituzionale  primario  e
assoluto (Corte costituzionale sentenza 378  del  2007),  poiche'  la
Regione,  ampliando  gli  interventi   sottratti   all'autorizzazione
paesaggistica, ha determinato l'abbassamento dei  livelli  di  tutela
posti a presidio dei beni paesaggistici. 
    Per le esposte ragioni, si impugna la legge della  Regione  Valle
d'Aosta n. 8 del 2020, limitatamente all'art. 78, comma 2, lettere c)
e d), comma 3, lettera a),  nella  parte  in  cui  estende  l'esonero
dall'autorizzazione paesaggistica al di fuori delle ipotesi di cui al
punto A.2 dell'allegato A al decreto del Presidente della  Repubblica
n. 31 del 2017, comma 4, lettere b), c) e d), comma 6, lettere  b)  e
c), per violazione degli articoli  2  e  3  dello  Statuto  speciale,
dell'art. 9 della Costituzione, nonche' dell'art. 117, secondo comma,
lettere s) e  m),  della  Costituzione,  stante  il  contrasto  delle
disposizioni censurate con gli articoli 21 e 146 del codice dei  beni
culturali e del paesaggio di cui al decreto  legislativo  22  gennaio
2004, n. 42, nonche' con la disciplina statale che indica le  ipotesi
di esonero dai predetti titoli autorizzatori (art. 149  del  predetto
codice di settore; decreto del Presidente della Repubblica n. 31  del
2017; art. 181, comma 3, del decreto-legge n. 34 del 2020;  art.  10,
comma 5, del decreto-legge n. 76 del 2020). 
8. Illegititmita' dell'art. 81, comma 3, della  legge  della  Regione
Valle d'Aosta  n.  8  del  2020,  per  violazione  dei  limiti  delle
competenze statuarie e degli articoli 97 e 117, comma 2,  lettera  s)
della Costituzione, in riferimento al  comma  12  dell'art.  208  del
decreto legislativo n. 152 del 2006. 
    Riguardo all'art. 81 della legge  regionale  n.  8/2020  emergono
profili di incostituzionalita' del  comma  3  che  stabilisce:  «Sono
inoltre prorogate di un anno, dalla data di  originale  scadenza,  le
autorizzazioni  rilasciate  ai  sensi  dell'art.  208   del   decreto
legislativo 3 aprile 2006, n.  152  (Norme  in  materia  ambientale),
riguardanti le discariche per rifiuti speciali inerti, di titolarita'
pubblica, presenti nel territorio regionale, in scadenza entro il  31
dicembre 2020, previo adeguamento delle garanzie finanziarie da parte
del gestore». 
    La  suddetta  disposizione  nel  prevedere,  in  via   esclusiva,
l'applicazione  generica  della  proroga  di  un  anno   del   regime
autorizzativo degli impianti di smaltimento  per  rifiuti  inerti  di
titolarita' pubblica, contrasta con  quanto  espressamente  stabilito
dal comma 12 dell'art. 208 del decreto legislativo n.  152  del  2006
che, in prossimita' della  scadenza,  non  prevede  proroghe,  ma  il
rinnovo dell'autorizzazione a seguito dell'attivazione, da parte  del
gestore, di un  determinato  iter  a  cui  segue  lo  svolgimento  di
un'istruttoria da parte  della  autorita'  competente,  ove  viene  a
sostanziarsi  la  valutazione  sincronica  degli  interessi  pubblici
coinvolti  e  meritevoli  di  tutela,  e  che  trovano  nei  principi
costituzionali la loro previsione e tutela. 
    La norma regionale comporta, quindi, un abbassamento dei  livelli
di tutela dell'ambiente. 
    In particolare,  la  citata  norma  statale  prevede  che  «Salva
l'applicazione  dell'art.  29-octies  per  le  installazioni  di  cui
all'art. 6, comma 13, l'autorizzazione di cui al comma 1 e'  concessa
per un periodo di dieci anni ed e' rinnovabile. A tale  fine,  almeno
centottanta giorni prima  della  scadenza  dell'autorizzazione,  deve
essere presentata apposita domanda  alla  regione  che  decide  prima
della scadenza dell'autorizzazione stessa. In ogni  caso  l'attivita'
puo'  essere  proseguita  fino  alla   decisione   espressa,   previa
estensione delle garanzie finanziarie prestate». 
    Sempre in tale contesto, la  stessa  normativa  statale  primaria
prevede, altresi', l'esecuzione di ispezioni e controlli i cui  esiti
costituiscono    condizione    di    efficacia    dell'autorizzazione
all'esercizio della discarica come stabilito dall'art. 9 del  decreto
legislativo 13 gennaio 2003, n. 36. 
    La  disposizione  regionale  investe  la  materia  della  «tutela
dell'ambiente e dell'ecosistema», attribuita in  via  esclusiva  alla
competenza legislativa dello Stato (ex multis, Corte  costituzionale,
sentenze n. 54 del 2012, n. 244 e n. 33 del 2011, n. 331 e n. 278 del
2010, n. 61 e n. 10 del 2009),  nella  quale  rientra  la  disciplina
della gestione dei rifiuti (Corte costituzionale, sentenza n. 249 del
2009), anche quando interferisca con altri interessi e competenze, di
modo che deve intendersi riservato allo Stato il  potere  di  fissare
livelli di tutela uniforme sull'intero  territorio  nazionale,  ferma
restando  la  competenza  delle  regioni  alla  cura   di   interessi
funzionalmente collegati con quelli propriamente ambientali  (tra  le
molte, sentenze n. 67 del 2014, n. 285 del 2013, n. 54 del  2012,  n.
244 del 2011, n. 225 e n. 164 del 2009 e n. 437 del 2008). 
    Tale disciplina, «in  quanto  appunto  rientrante  principalmente
nella tutela dell'ambiente, e dunque  in  una  materia  che,  per  la
molteplicita'  dei  settori  di  intervento,  assume  una   struttura
complessa, riveste un carattere di pervasivita' rispetto  anche  alle
attribuzioni  regionali»  (sentenza  n.  249  del   2009),   con   la
conseguenza che, avendo riguardo alle diverse  fasi  e  attivita'  di
gestione del ciclo dei  rifiuti  e  agli  ambiti  materiali  ad  esse
connessi, la disciplina statale  «costituisce,  anche  in  attuazione
degli obblighi comunitari un livello di tutela uniforme e  si  impone
sull'intero territorio nazionale, come un limite alla disciplina  che
le regioni e le province autonome dettano in altre  materie  di  loro
competenza, per evitare che  esse  deroghino  al  livello  di  tutela
ambientale stabilito dallo Stato, ovvero lo peggiorino» (sentenze  n.
58 del 2015, n. 314 del 2009, n. 62 del 2008 e n. 378 del 2007). 
    Ne consegue che «non puo' riconoscersi una  competenza  regionale
in materia di tutela dell'ambiente»,  anche  se  le  regioni  possono
stabilire per il raggiungimento dei fini propri delle loro competenze
livelli di  tutela  piu'  elevati,  pur  sempre  nel  rispetto  della
normativa statale di tutela dell'ambiente (sentenze n. 61 del 2009  e
n. 285 del 2013) mentre, nel caso di specie, come gia'  rilevato,  la
norma regionale  comporta  un  abbassamento  dei  livelli  di  tutela
ambientale. 
    Per le esposte ragioni, si impugna la legge della  Regione  Valle
d'Aosta n. 8 del  2020,  limitatamente  all'art.  81,  comma  3,  per
violazione dei limiti delle competenze statuarie e degli articoli  97
e 117, comma 2, lettera s) della Costituzione, in materia di  «tutela
dell'ambiente  e  dell'ecosistema»,  in  riferimento  al   comma   12
dell'art. 208 del decreto legislativo n. 152 del 2006. 
9. Illegittimita' dell'art. 91, commi 1 e 3,  della  legge  regionale
della Valle d'Aosta n. 8 del 2020, per violazione  dei  limiti  delle
competenze statutarie e dell'art. 117,  secondo  comma,  lettera  l),
della Costituzione, che affida allo Stato la competenza esclusiva  in
materia di ordinamento civile, con riferimento agli articoli 7  e  36
del decreto legislativo n. 165/2001. 
    L'art. 91 della legge regionale in  questione  reca  disposizioni
urgenti in materia  di  comparto  pubblico  regionale  e  proroga  di
termini, prevedendo, al comma  1,  che,  limitatamente  al  2020,  in
considerazione delle ulteriori necessita' assunzionali  funzionali  a
fronteggiare l'emergenza epidemiologica da  COVID-19  e  le  relative
ricadute socio-economiche, l'Amministrazione regionale, in deroga  ai
limiti assunzionali vigenti, e' autorizzata ad effettuare  assunzioni
a tempo determinato nel limite della spesa teorica calcolata su  base
annua con riferimento alle unita' di personale,  anche  di  qualifica
dirigenziale, cessate dal servizio nel 2019 e non sostituite  e  alle
cessazioni  programmate  per  l'anno  2020,  fermo  restando  che  le
predette assunzioni possono  essere  effettuate  soltanto  a  seguito
delle cessazioni, a qualsiasi titolo,  che  determinano  la  relativa
esigenza sostitutiva. La  norma,  nell'autorizzare  l'amministrazione
regionale,  per  l'anno  2020,  ad  effettuare  assunzioni  a   tempo
determinato,  per  esigenze  sostitutive   connesse   alla   gestione
dell'emergenza da COVID-19, appare generica nella  sua  formulazione,
non trovando, peraltro, riscontro nella normativa nazionale che, agli
stessi  fini,  ha  previsto  misure  straordinarie  per  fronteggiare
l'emergenza in parola, ivi incluso il ricorso ai contratti a termine,
il  cui  utilizzo,  tuttavia,  viene   riferito   a   determinati   e
circostanziati settori  e  categorie.  Tali  disposizioni  regionali,
ponendosi in contrasto con le  disposizioni  statali  in  materia  di
utilizzo del contratto a termine, di  cui  all'art.  36  del  decreto
legislativo n. 165/2001, la cui ratio e' quella di prevenire  un  uso
distorto del lavoro flessibile, determinano la conseguente violazione
dell'art. 117, secondo comma, lettera  l),  della  Costituzione,  che
affida allo Stato la competenza esclusiva in materia  di  ordinamento
civile. 
    Il comma 3 del medesimo art. 91  prevede  che,  limitatamente  al
2020,  in  considerazione  delle  ulteriori  necessita'  assunzionali
funzionali a fronteggiare l'emergenza epidemiologica da COVID-19, gli
enti locali, in forma  singola  o  associata,  in  deroga  ai  limiti
assunzionali vigenti, sono autorizzati a utilizzare forme  di  lavoro
flessibile per sostituire il personale assente o cessato dal servizio
o in attesa dell'espletamento delle procedure concorsuali richieste e
per garantire l'erogazione  dei  servizi  tra  cui,  in  particolare,
quelli domiciliari, semiresidenziali e residenziali rivolti a persone
anziane e non autosufficienti o in condizioni di fragilita' e  quelli
di polizia  locale.  La  prevista  autorizzazione  normativa  per  il
ricorso degli Enti locali a forme di lavoro flessibile per sostituire
il  personale  assente  o  cessato   dal   servizio   o   in   attesa
dell'espletamento delle procedure concorsuali, al fine  di  garantire
l'erogazione dei servizi domiciliari, semiresidenziali e residenziali
rivolti a persone anziane e non autosufficienti o  in  condizioni  di
fragilita' e quelli di polizia  locale,  non  trova  riscontro  nella
normativa nazionale di  riferimento  che,  invero,  con  il  fine  di
prevenire abusi nell'utilizzo del  lavoro  flessibile,  pone  precisi
limiti  all'utilizzo  delle  relative  tipologie  contrattuali  (cfr.
articoli 7 e 36 del decreto legislativo n. 165/2001).  La  previsione
regionale di cui si discorre, che non trova riscontro  neppure  nella
normativa nazionale  emanata  al  fine  di  fronteggiare  l'emergenza
sanitaria da COVID-19, si  pone  conseguentemente  in  contrasto  con
l'art. 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione. 
    Per le esposte motivazioni, si impugna la legge  regionale  della
Valle d'Aosta n. 8 del 2020, limitatamente all'art. 91, commi 1, 2  e
3, per violazione dei limiti delle competenze statutarie e  dell'art.
117, secondo comma, lettera l), della Costituzione, che  affida  allo
Stato la competenza esclusiva in materia di ordinamento  civile,  con
riferimento agli articoli 7 e 36 del decreto legislativo n. 165/2001. 
    Per quanto sopra, si  impugna  la  legge  regionale  della  Valle
d'Aosta n. 8/2020, ai sensi dell'art. 127 della Costituzione. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Si  chiede  che  codesta  ecc.ma  Corte   costituzionale   voglia
dichiarare costituzionalmente illegittimi gli articoli 10, 13,  commi
1 e 2, 14, 15, 22, 46, 77, commi 1, 2, lettere a), b), c), e), f), 5,
78, comma 2, lettere c) e d), comma 3, lettera a), nella parte in cui
estende l'esonero dall'autorizzazione paesaggistica al di fuori delle
ipotesi di cui al punto A.2 dell'allegato A al decreto del Presidente
della Repubblica n. 31 del 2017, comma 4, lettere b), c) e d),  comma
6, lettere b) e c), 81 comma 3, 91  commi  1,  2  e  3,  della  legge
regionale della Valle d'Aosta n. 8/2020, per le motivazioni  indicate
nel ricorso, con le conseguenti statuizioni. 
    Con l'originale notificato del ricorso  si  depositera'  estratto
della delibera del Consiglio dei ministri in data 7 agosto  2020  con
l'allegata relazione del Ministro per i rapporti con le regioni. 
      Roma, 9 settembre 2020 
 
                   L'Avvocato dello Stato: Fedeli