N. 156 ORDINANZA (Atto di promovimento) 30 giugno 2020
Ordinanza del 30 giugno 2020 del Tribunale di Trento nel procedimento civile promosso da Z.B./C.R, sia in proprio sia quale esercente la responsabilita' genitoriale di Z. M.. Filiazione - Stato civile - Impugnazione del riconoscimento del figlio naturale per difetto di veridicita' - Termine per proporre l'azione di impugnazione per l'autore del riconoscimento - Mancata previsione della decorrenza del termine dalla conoscenza della non paternita', anche in casi diversi dall'impotenza. - Codice civile, art. 263, terzo comma, come modificato dall'art. 28, comma 1, del decreto legislativo 28 dicembre 2013, n. 154 (Revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, a norma dell'articolo 2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219).(GU n.46 del 11-11-2020 )
IL TRIBUNALE ORDINARIO DI TRENTO SEZIONE CIVILE Composto da dott. Guglielmo Avolio, Presidente, dott. Roberto Beghini, giudice relatore, dott. Massimo Morandini, giudice Letti gli atti del procedimento n. 3281/2019 RG, pronunzia la seguente ordinanza di rimessione degli atti alla Eccellentissima Corte costituzionale in relazione alla questione di legittimita' costituzionale dell'art. 263, terzo comma, del codice civile (come modificato dall'art. 28 del decreto legislativo 28 dicembre 2013, n. 154). 1. La rilevanza della questione La rilevanza della questione di legittimita' costituzionale, risiede nel fatto che, nel presente giudizio ordinario, Z.B., con atto di citazione notificato il 7 agosto 2019, ha impugnato per difetto di veridicita' - ai sensi dell'art. 263 del codice civile - il riconoscimento di paternita' della figlia minore Z.M. (nata il...), da lui effettuato lo stesso giorno innanzi all'ufficiale di stato civile del comune di M. (Tn), all'uopo convenendo innanzi a questo Tribunale ordinario la madre, C.R. (con cui conviveva dal 2006), sia in proprio sia quale esercente la responsabilita' genitoriale su detta figlia, sostenendo l'attore Z.B. che la madre gli aveva confidato, nel novembre 2018, di aver avuto, nel 2009, una breve relazione sentimentale con un vecchio amico: cio' induceva l'attore ad effettuare esami ematici il 13 novembre ed il 6 dicembre 2018, dai quali la sua paternita' risultava smentita. Di qui, l'impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicita'. C.R. ha aderito all'impugnazione, sostenendo che, effettivamente, Z.M. non sarebbe figlia di Z.B.. Con ordinanza 9 gennaio 2020, questo Tribunale ha disposto la nomina di un curatore speciale alla minore Z.M., prospettando contestualmente alle parti - d'ufficio - la necessita' di contraddire in merito alla tempestivita' dell'impugnazione del riconoscimento, in quanto era pacificamente trascorso oltre un anno dal giorno dell'annotazione del riconoscimento sull'atto di nascita e l'attore nulla aveva dedotto in merito all'eventuale propria impotenza al tempo del concepimento (considerando che, a norma del terzo comma del citato art. 263 del codice civile, «l'azione di impugnazione da parte dell'autore del riconoscimento deve essere proposta nel termine di un anno che decorre dal giorno dell'annotazione del riconoscimento sull'atto di nascita. Se l'autore del riconoscimento prova di aver ignorato la propria impotenza al tempo del concepimento, il termine decorre dal giorno in cui ne ha avuto conoscenza; nello stesso termine, la madre che abbia effettuato il riconoscimento e' ammessa a provare di aver ignorato l'impotenza del presunto padre. L'azione non puo' essere comunque proposta oltre cinque anni dall'annotazione del riconoscimento»). Sul punto, le parti, compreso il curatore speciale della minore ed il pubblico ministero, hanno quindi depositato note difensive. Cio' premesso, osserva il Collegio che la requisitoria del pubblico ministero, e' inconferente, in quanto fa riferimento all'art. 244 del codice civile, il quale, come noto, si riferisce all'azione di disconoscimento della paternita', mentre oggetto del presente procedimento e', come detto, l'impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicita' (citato art. 263 del codice civile). Non sono dirimenti nemmeno le note difensive depositate dal curatore speciale della minore, il quale si e' associato all'impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicita', proposta dall'attore, sostenendo che nessuna prescrizione potrebbe esservi nei suoi confronti, in quanto, in forza del secondo comma del citato art. 263 del codice civile, «l'azione e' imprescrittibile rispetto al figlio». Il Collegio rileva che il curatore speciale della minore, e' stato nominato dal giudice istruttore con la citato ordinanza 9 gennaio 2020. Tale nomina, tuttavia, non gli consente di proporre autonomamente alcuna impugnativa del riconoscimento nel presente giudizio, in quanto, in materia, trova applicazione l'art. 264 del codice civile (come modificato dall'art. 29 del decreto legislativo 28 dicembre 2013, n. 154), in base al quale «l'impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicita' puo' essere altresi' promossa da un curatore speciale nominato dal giudice, assunte sommarie informazioni, su istanza del figlio minore che ha compiuto quattordici anni, ovvero del pubblico ministero o dell'altro genitore che abbia validamente riconosciuto il figlio, quando si tratti di figlio di eta' inferiore». Ribadito che Z.M. ha meno di 14 anni, essendo nata il.... , il Collegio condivide, con la dottrina piu' autorevole, l'interpretazione secondo cui tale nomina del curatore speciale, non coincide con quella effettuata dal giudice istruttore in questa sede, poiche', diversamente da quest'ultima, quella prevista dal cit, art. 264 del codice civile e' soggetta alla procedura camerale prevista dall'art. 737 del codice procedura civile, posto che il giudice deve assumere sommarie informazioni ed acquisire anche il parere del pubblico ministero (ex art. 70 n. 1 codice procedura civile), al fine di verificare se l'impugnazione corrisponda all'interesse della minore. Nulla di tutto questo e' accaduto nella fattispecie concreta. Pertanto, nel presente giudizio, il curatore speciale della minore, non e' legittimato ad impugnare il riconoscimento per difetto di veridicita'. La questione della prescrizione non e' superata neppure dal fatto che anche la madre abbia aderito all'impugnazione del riconoscimento, dovendosi a tal fine osservare che per lei valgono gli stessi termini di prescrizione dell'attore. Ne' vale invocare il differimento dei termini disposto dalla disciplina transitoria prevista dall'art. 104, decimo comma, del decreto legislativo 28 dicembre 2013, n. 154, secondo cui «fermi gli effetti del giudicato formatosi prima dell'entrata in vigore della legge 10 dicembre 2012, n. 219, nel caso di riconoscimento di figlio annotato sull'atto di nascita prima dell'entrata in vigore del presente decreto legislativo, i termini per proporre l'azione di impugnazione, previsti dall'art. 263 e dai commi secondo, terzo e quarto dell'art. 267 del codice civile, decorrono dal giorno dell'entrata in vigore del medesimo decreto legislativo». Il decreto legislativo, infatti, e' entrato in vigore il 7 febbraio 2014, mentre l'atto di citazione e' stato notificato il 7 agosto 2019, e quindi in ogni caso oltre il termine di 1 anno o di 5 anni. La rilevanza della questione di legittimita' costituzionale, risiede nel fatto che, se per l'autore del riconoscimento, il termine di prescrizione dell'azione decorre dal giorno dell'annotazione del riconoscimento stesso sull'atto di nascita (nella specie avvenuto, come detto, il 4 agosto 2010), come dispone testualmente il citato art. 263, terzo comma, del codice civile, l'azione stessa sarebbe tardiva, poiche' l'atto di citazione, come detto, e' stato notificato il 7 agosto 2019; se invece il termine decorre dall'avvenuta conoscenza della non veridicita' del riconoscimento (nella specie, dell'ulteriore relazione sentimentale della madre), l'azione sarebbe tempestiva, in quanto l'attore ha - pacificamente - avuto detta conoscenza solo nel novembre - dicembre 2018 e, come detto, ha notificato l'atto di citazione il 7 agosto 2019. 2. La non manifesta infondatezza Ad avviso di questo il Tribunale, sussiste il dubbio, non manifestamente infondato, che il citato art. 263, terzo comma, del codice civile (come modificato dall'art. 28, primo comma, del decreto legislativo 28 dicembre 2013, n. 154), sia contrario non solo all'art. 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, e quindi all'art. 117,- primo comma, della Costituzione, ma anche agli articoli 3 e 76 della Costituzione, nella parte in cui non prevede che, per l'autore del riconoscimento, il termine per proporre l'azione di impugnazione, decorra dalla conoscenza della non paternita', anche in casi diversi dall'impotenza. Come accennato, il citato art. 263, terzo comma, del codice civile, prevede che «l'azione di impugnazione da parte dell'autore del riconoscimento deve essere proposta nel termine di un anno che decorre dal giorno dell'annotazione del riconoscimento sull'atto di nascita. Se l'autore del riconoscimento prova di aver ignorato la propria impotenza al tempo del concepimento, il termine decorre dal giorno in cui ne ha avuto conoscenza; nello stesso termine, la madre che abbia effettuato il riconoscimento e' ammessa a provare di aver ignorato l'impotenza del presunto padre. L'azione non puo' essere comunque proposta oltre cinque anni dall'annotazione del riconoscimento». Premesso che non si capisce per quale ragionevole motivo (ex art. 3 della Costituzione), il termine decorra dalla conoscenza solo in caso di impotenza, va considerato che, a differenza dell'art. 244, secondo comma, del codice civile (in base al quale per il padre, in caso di adulterio della moglie, il termine per l'azione di disconoscimento della paternita', decorre dal giorno in cui ne ha avuto conoscenza), il citato art. 263, terzo comma, del codice civile, nulla prevede in relazione alla specifica ipotesi di ignoranza - da parte del padre - della relazione della madre con altri uomini al tempo del concepimento, questo Tribunale ritiene che, in casi del genere, la stringente dizione letterale della norma, imponga, senza alternative costituzionalmente valide, che detto termine debba necessariamente essere quello di un anno dall'annotazione del riconoscimento del figlio sull'atto di nascita. E gia' qui, allora, vi e' il dubbio, non manifestamente infondato, che la norma confligga con l'art. 3 della Costituzione, per ingiustificata disparita' di trattamento, atteso che non si capisce per quale motivo, in caso di azione per il disconoscimento della paternita', il termine decorra dal giorno in cui il padre ha avuto conoscenza dell'adulterio della moglie, mentre, nel caso del figlio nato da genitori non coniugati, il termine per impugnare il riconoscimento del figlio, debba decorrere dalla sua annotazione sull'atto di nascita, anziche' dalla conoscenza dell'altra relazione, considerando che, come noto, l'art. 2, primo comma, della legge 10 dicembre 2012, n. 219, come del resto l'ultimo comma del suo art. 1, ha inteso «eliminare ogni discriminazione tra i figli», compreso dunque - perche' no - anche il profilo del termine per effettuare la contestazione dello status da parte degli interessati (sicche' le motivazioni addotte dalla Corte Costituzionale n. 158 del 1991 e dalla Corte costituzionale n. 7 del 2012, non appaiono piu' sostenibili, essendo state superate dallo stesso legislatore ordinario). D'altra parte, non va trascurato che il medesimo art. 2, primo comma, della citato legge delega, alla lettera g), sull'argomento, come principio e criterio direttivo, si era limitato a consentire al legislatore delegato la «modificazione della disciplina dell'impugnazione del riconoscimento con la limitazione dell'imprescrittibilita' dell'azione solo per il figlio e con l'introduzione di un termine di decadenza per l'esercizio dell'azione da parte degli altri legittimati»; sicche' la differenziazione - per il padre «apparente», rispetto al padre coniugato - del termine per contestare il rapporto biologico col figlio «apparente», effettuata dal citato art. 28 del decreto legislativo 28 dicembre 2013, n, 154, che ha modificato l'art. 263 del codice civile, appare di dubbia costituzionalita' anche con riferimento all'art. 76 della Costituzione. Per quanto concerne invece, il citato art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, esso, nel disciplinare il diritto al rispetto della vita privata e familiare, prevede testualmente che «1. Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza, 2. Non puo' esservi ingerenza di una autorita' pubblica nell'esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una societa' democratica, e' necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell'ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle liberta' altrui». La costante giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, dopo aver ricondotto la questione giuridica alla sfera di applicazione dell'art. 8 della Convenzione, ritiene che una disposizione normativa secondo cui i termini decorrano dalla nascita del minore, piuttosto che dal momento in cui il richiedente abbia maturato la consapevolezza di non essere il padre del bambino, non realizzi un bilanciamento proporzionato degli interessi «in gioco» (stabilita' nelle relazioni civili e nell'origine degli individui, da un lato, e accertamento della verita' biologica, dall'altro), e che pertanto una norma del genere non sia conforme all'art. 8. In particolare, nella sentenza del 5 aprile 2018 (Doktorov v. Bulgaria, proc. n. 15.074/08), la Corte europea ha evidenziato che «22. As to whether it pursued a legitimate aim, the Court finds that the strict application of a year- long time- limit for the institution of such proceedings could be said to be justified by the objective of ensuring legal certainty as regards recognised parental affiliation and related support, and the general interest of society to see stability in civil relations and individuals' origin upheld (see, mutatis mutandis, Mizzi v. Malta, no. 26111/02, § 88, ECHR 2006-1 (extracts); Rasmussen, cited above § 41, and Shofman v. Russia, no. 74826/01, § 39, 24 November 2009). 23. It remains to be established whether not accepting to hear such a claim for contesting paternity by reference to the applicable law was «necessary in a democratic society» or, in other words, whether the authorities struck a fair balance between the different interests involved... (omissis) 24. The Court notes that the introduction of a general measure in the form of a legislative response designed to deal with a certain type of situation might be an appropriate means to ensure the fair balance referred to above (see paragraph 19 above). However, an excessively strict statutory limitation on an applicant's possibility to contest paternity - in the present case one year starting from the birth of the child rather than from the moment the applicant became aware that he might not be the father of the child - cannot be said to constitute a proportionate balancing of the competing interests involved. While the legislator's choice to limit that possibility in time could not be characterised as either irrational or arbitrary, the Court finds that it cannot be considered proportionate in view of the particular interests at stake and the rigidity with which it operated in all cases. In particular, it failed to provide for any procedure that would allow the consideration of the individual circumstances of persona who, like the applicant, fell outside the legal limitation period for reasons which could not be imputed to them». In sintesi, secondo la Corte europea, una limitazione legale eccessivamente rigorosa sulla possibilita' del richiedente di contestare la paternita' - nella fattispecie esaminata, un anno a partire dalla nascita del figlio piuttosto che dal momento in cui il richiedente si e' reso conto che potrebbe non essere il padre del figlio - non puo' costituire un bilanciamento proporzionato degli interessi concorrenti coinvolti. Sebbene la scelta del legislatore bulgaro di limitare tale possibilita' nel tempo, non possa essere definita irrazionale o arbitraria, la Corte europea ha ritenuto che non possa essere considerata proporzionata alla luce dei particolari interessi in gioco e della rigidita' con cui ha operato in tutti i casi. In particolare, il legislatore bulgaro non aveva previsto alcuna procedura che consentisse di prendere in considerazione le circostanze individuali di persone che, come Doktorov, non avevano rispettato il termine di prescrizione legale per motivi che non potevano essere loro imputati (nello stesso senso, v. la sentenza 24 novembre 2005, Shofman contro Russia, procedimento n. 74.826/01; e la sentenza 19 ottobre 1999, Yildirim contro Austria, procedimento n. 34.308/96). Questo Tribunale, pertanto, ritiene non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 263, terzo comma, del codice civile (come modificato dall'art. 28 del decreto legislativo 28 dicembre 2013, n. 154), nella parte in cui non prevede che, per l'autore del riconoscimento, il termine per proporre l'azione di impugnazione, decorra dalla conoscenza della non paternita', anche in casi diversi dall'impotenza.
PQM Il Tribunale ordinario di Trento, sezione civile. Visto l'art. 134 Cost., e gli articoli 23 e ss. della legge 11 marzo 1957, n. 87, dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' Costituzionale dell'art. 263, terzo comma, del codice civile (come modificato dall'art. 28 del decreto legislativo 28 dicembre 2013, n. 154), nella parte in cui non prevede che, per l'autore del riconoscimento, il termine per proporre l'azione di impugnazione, decorra dalla conoscenza della non paternita', anche in casi diversi dall'impotenza, con riferimento agli articoli 3, 76 e 117, primo comma, della Costituzione. Dispone la immediata trasmissione degli atti e della presente ordinanza, comprensivi della documentazione attestante il perfezionamento delle prescritte comunicazioni e notificazioni, alla Eccellentissima Corte costituzionale e sospende il giudizio. Manda la cancelleria per la notificazione della presente ordinanza alle parti in causa ed al Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' per la sua comunicazione ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Trento, 19 giugno 2020 Il presidente: Avolio L'estensore: Beghini