N. 236 SENTENZA 21 ottobre - 12 novembre 2020

Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale. 
 
Sicurezza pubblica - Norme della Regione Veneto  -  Promozione  della
  civile e ordinata  convivenza  nelle  citta'  e  nel  territorio  -
  Riconoscimento e sostegno della funzione sociale del  controllo  di
  vicinato - Violazione della competenza esclusiva statale in materia
  di  ordine  pubblico  e  sicurezza  e  del  relativo  coordinamento
  amministrativo tra Stato e Regioni - Illegittimita' costituzionale. 
- Legge della Regione Veneto 8 agosto 2019, n. 34, intero testo. 
- Costituzione, artt. 117, secondo comma, lettere g)  e  h),  e  118,
  terzo comma. 
(GU n.47 del 18-11-2020 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Mario Rosario MORELLI; 
Giudici :Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana  SCIARRA,  Daria
  de PRETIS, Nicolo' ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio  BARBERA,
  Giulio  PROSPERETTI,  Giovanni  AMOROSO,  Francesco  VIGANO',  Luca
  ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita'  costituzionale  della  legge  della
Regione Veneto 8 agosto 2019, n. 34 (Norme per il  riconoscimento  ed
il  sostegno  della  funzione  sociale  del  controllo  di   vicinato
nell'ambito  di  un  sistema   di   cooperazione   interistituzionale
integrata per la promozione della sicurezza e della legalita'), e, in
via subordinata, degli artt. 1, 2, commi  2,  3  e  4,  3,  comma  2,
lettera b), 4,  comma  1,  lettera  a),  e  5  della  medesima  legge
regionale, promosso dal Presidente del  Consiglio  dei  ministri  con
ricorso notificato l'8-11 ottobre 2019, depositato in cancelleria  il
15 ottobre 2019, iscritto al n.  107  del  registro  ricorsi  2019  e
pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  47,  prima
serie speciale, dell'anno 2019. 
    Visto l'atto di costituzione della Regione Veneto; 
    udito nell'udienza  pubblica  del  20  ottobre  2020  il  Giudice
relatore Francesco Vigano'; 
    uditi l'avvocato dello Stato Leonello Mariani per  il  Presidente
del Consiglio dei ministri e l'avvocato Andrea Manzi per  la  Regione
Veneto; 
    deliberato nella camera di consiglio del 21 ottobre 2020. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ricorso notificato l'8-11 ottobre 2019 e depositato il 15
ottobre 2019, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato
e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato  -  tanto
nella sua interezza che, in via subordinata, negli artt. 1, 2,  commi
2, 3 e 4; 3, comma 2, lettera b); 4, comma 1, lettera a); e  5  -  la
legge della Regione Veneto  8  agosto  2019,  n.  34  (Norme  per  il
riconoscimento ed il sostegno della funzione sociale del controllo di
vicinato nell'ambito di un sistema di cooperazione interistituzionale
integrata per la  promozione  della  sicurezza  e  della  legalita'),
assumendone complessivamente il contrasto con gli artt. 117,  secondo
comma, lettere g) e h), e 118, terzo comma, della Costituzione. 
    1.1.- Il ricorso da' conto, anzitutto, del contenuto della  legge
regionale impugnata. 
    L'art. 1 impegna la Regione a  stimolare  la  collaborazione  fra
amministrazioni statali, istituzioni locali  e  societa'  civile  «al
fine di sostenere processi di partecipazione alle politiche pubbliche
per  la  promozione  della  sicurezza   urbana   ed   integrata,   di
incrementare i livelli  di  consapevolezza  dei  cittadini  circa  le
problematiche del territorio e di  favorire  la  coesione  sociale  e
solidale». 
    Tali  finalita'  vengono  perseguite  dalla  legge  regionale  in
questione mediante il riconoscimento e il sostegno del «controllo  di
vicinato», definito dal comma 2 dell'art. 2  come  «quella  forma  di
cittadinanza attiva che favorisce  lo  sviluppo  di  una  cultura  di
partecipazione al tema della sicurezza urbana  ed  integrata  per  il
miglioramento della qualita' della vita e  dei  livelli  di  coesione
sociale e territoriale delle comunita',  svolgendo  una  funzione  di
osservazione, ascolto e  monitoraggio,  quale  contributo  funzionale
all'attivita' istituzionale di prevenzione generale e  controllo  del
territorio», precisandosi altresi' che  «[n]on  costituisce  comunque
oggetto  dell'azione  di  controllo  di  vicinato   l'assunzione   di
iniziative di intervento per la  repressione  di  reati  o  di  altre
condotte a vario  titolo  sanzionabili,  nonche'  la  definizione  di
iniziative a qualsivoglia titolo incidenti sulla  riservatezza  delle
persone». 
    Il successivo comma 3 dell'art. 2 precisa che «[i]l controllo  di
vicinato si attua attraverso  una  collaborazione  tra  Enti  locali,
Forze dell'Ordine, Polizia Locale e con l'organizzazione di gruppi di
soggetti residenti nello stesso quartiere o in zone  contigue  o  ivi
esercenti attivita' economiche, che,  in  conformita'  alla  presente
legge, integrano l'azione dell'amministrazione locale di appartenenza
per il miglioramento della vivibilita' del territorio e  dei  livelli
di coesione ed inclusione sociale e territoriale», mentre il comma  4
attribuisce alla  Giunta  regionale  il  compito  di  promuovere  «la
stipula di accordi  o  protocolli  di  intesa  per  il  controllo  di
vicinato con gli Uffici Territoriali di Governo da parte  degli  enti
locali in materia di tutela dell'ordine  e  sicurezza  pubblica,  nei
quali vengono definite e regolate  le  funzioni  svolte  da  soggetti
giuridici aventi quale propria finalita' principale il  controllo  di
vicinato, secondo la definizione di  cui  alla  presente  legge.  Ove
ricorrano  le  condizioni,  viene  sostenuto  il  coinvolgimento  dei
soggetti giuridici di cui al presente comma, nelle forme previste nei
Patti per la Sicurezza Urbana», di cui al decreto-legge  20  febbraio
2017 n. 14, convertito, con modificazioni, nella legge 18 aprile 2017
n. 48. 
    L'art. 3 della legge regionale impugnata affida  nuovamente  alla
Giunta regionale il compito di «favorire la conoscenza, lo sviluppo e
il radicamento nel territorio  del  controllo  di  vicinato  e  delle
relative  iniziative»,  mediante  la  definizione  di  programmi   di
intervento in una serie di ambiti, tra cui:  «attivita'  di  ricerca,
documentazione,  comunicazione  ed  informazione  circa   le   azioni
realizzate e di analisi sui  risultati  conseguiti,  con  particolare
riguardo al livello  di  impatto  sulla  sicurezza  nel  contesto  di
riferimento» (comma 2, lettera b). 
    Per l'attuazione di tali interventi di promozione e sostegno  del
controllo di vicinato, l'art. 4, comma 1, lettera a), prevede che  la
Giunta regionale si confronti «con gli enti  locali  e  con  soggetti
giuridici aventi quale propria  finalita'  statutaria  principale  il
controllo di vicinato, individuati prioritariamente tra i  gruppi  di
controllo che collaborano all'attuazione dei protocolli di intesa tra
le amministrazioni comunali e gli Uffici territoriali di Governo». 
    L'art.  5,  rubricato  «Analisi  del  sistema  di  controllo   di
vicinato», prevede, infine, che la  Giunta  regionale,  «al  fine  di
incentivare e sostenere la diffusione  del  controllo  di  vicinato»,
promuova «altresi' la creazione di una banca dati,  che  raccolga  le
misure attuative  dei  protocolli  di  intesa  e  dei  patti  per  la
sicurezza urbana sottoscritti nel territorio regionale che  prevedano
forme di coinvolgimento di vicinato. Tale banca dati  consentira'  la
gestione degli elementi informativi  sul  sistema  provenienti  dagli
enti locali che svolgono attivita' di controllo di  vicinato;  a  tal
fine, la Giunta regionale stipula intese con gli enti locali e con  i
soggetti istituzionali competenti in materia di  ordine  e  sicurezza
pubblica» (comma 1). «La banca dati  consentira'  la  definizione  di
analisi sull'evoluzione dell'efficacia del controllo  di  vicinato  e
sulla situazione concernente le potenziali tipologie di reati  ed  il
loro impatto sul sistema territoriale» (comma 2). 
    1.2.- Come anticipato, il Presidente del Consiglio  dei  ministri
impugna anzitutto l'intero testo della  legge  regionale  n.  34  del
2019, ritenendolo incompatibile con: 
    - l'art. 117, secondo comma, lettera h), Cost., che  preclude  in
radice al legislatore regionale la disciplina dell'ordine pubblico  e
della sicurezza; 
    - l'art. 118, terzo comma, Cost., che riserva il coordinamento in
detta materia al legislatore statale e, conseguentemente, preclude al
legislatore  regionale  l'introduzione  di  regole  di  coordinamento
interistituzionale; 
    - l'art. 117, secondo comma, lettera g), Cost.,  che  riserva  al
legislatore statale l'ordinamento e  l'organizzazione  amministrativa
dello Stato e degli  enti  pubblici  nazionali  e,  conseguentemente,
preclude al legislatore regionale  di  disporre  delle  competenze  e
delle attribuzioni di organi e di uffici pubblici statali. 
    Secondo l'Avvocatura generale  dello  Stato,  la  legge  dovrebbe
essere dichiarata nella sua interezza costituzionalmente illegittima,
stante la sua unitarieta' e organicita' nel disciplinare il controllo
di vicinato e la collaborazione interistituzionale in materia, che la
Regione non avrebbe competenza alcuna a disciplinare. 
    Ad avviso dell'Avvocatura generale dello Stato, la materia  della
sicurezza,  «a  prescindere  dalle  forme  nelle  quali  essa   viene
declinata:  sicurezza  integrata  o  sicurezza  urbana»,   formerebbe
«oggetto, al pari dell'ordine pubblico, di  riserva  di  legislazione
statale (art. 117, comma 2, lettera h, Cost.): tant'e' vero che [...]
del tutto coerentemente la stessa Costituzione riserva allo Stato  la
disciplina delle forme di coordinamento dell'attivita'  dei  pubblici
poteri - regioni comprese - nella suddetta materia (art.  118,  comma
3, Cost.)». 
    Il ricorso illustra poi la «cornice normativa» statale entro  cui
si collocherebbe la disciplina  del  controllo  di  vicinato  oggetto
della legge regionale impugnata, soffermandosi sul gia'  citato  d.l.
n. 14 del 2017, come convertito, adottato espressamente in attuazione
dell'art. 118, terzo comma, Cost., quale esercizio del potere statale
di disciplinare «forme di coordinamento fra Stato  e  regioni»  nella
materia  dell'«ordine  pubblico  e  sicurezza».  Tale   decreto-legge
avrebbe provveduto a regolamentare sia la materia, sia  le  forme  di
coordinamento nella stessa, circoscrivendo, «con assoluta precisione,
il ruolo dei vari attori istituzionali - e, tra questi, e in  primis,
quello delle regioni». 
    Analizzati i contenuti salienti del d.l.  n.  14  del  2017,  con
speciale  riguardo  ai  moduli   collaborativi   ivi   delineati   in
riferimento alla «sicurezza integrata», l'Avvocatura  generale  dello
Stato ritiene che le misure regionali di  sostegno  al  controllo  di
vicinato  di  cui  alla  legge  regionale   impugnata   non   possano
rientrarvi.  Cio'  sia  perche'  il  controllo  di  vicinato  sarebbe
estraneo ai settori ivi elencati, sia «perche'  una  regolamentazione
per  via  legale  del  fenomeno  contrasta,  per  il  suo   carattere
autoritativo ed unilaterale, con il modulo convenzionale che  informa
l'intera  materia  sia,  infine,  perche'  la   "legificazione"   del
controllo di vicinato eccede  certamente  l'ambito  delle  misure  di
sostegno che, in base alla legge statale ed agli accordi che  sono  a
questa seguiti, le autonomie locali sono legittimate ad  adottare  in
un ambito [...] per principio precluso al legislatore regionale». 
    Ne' la disciplina regionale del controllo  di  vicinato  potrebbe
farsi rientrare nel concetto  di  «sicurezza  urbana»  e  nei  moduli
cooperativi per essa stabiliti dallo stesso d.l. n. 14 del 2017. 
    Il controllo di vicinato atterrebbe  invece  alla  materia  della
sicurezza, come reso evidente dalla sua definizione  da  parte  della
legge  regionale  impugnata,  che  lo  qualifica  come  strumento  di
prevenzione generale e controllo del  territorio,  e,  dunque,  quale
strumento di prevenzione,  anche  criminale.  Esso  avrebbe  pertanto
potuto,   eventualmente,   trovare   riconoscimento   e    disciplina
«nell'ambito degli accordi  e  dei  patti  previsti  dalla  normativa
statale in materia di sicurezza», come delineata dal d.l. n.  14  del
2017, ma certo non per mano del legislatore regionale, «essendo  [il]
coordinamento riservato alla legislazione statale la  quale,  con  il
decreto-legge piu' volte citato, ha appunto previsto un complesso  di
azioni e di interventi» da parte dei diversi soggetti  istituzionali,
tutti orientati «all'attuazione di un sistema unitario  ed  integrato
di sicurezza per il benessere delle comunita' locali». 
    La legge regionale n. 34 del 2019 violerebbe infine la competenza
legislativa  esclusiva  statale   in   materia   di   ordinamento   e
organizzazione amministrativa  dello  Stato  e  degli  enti  pubblici
nazionali, di cui all'art. 117, secondo  comma,  lettera  g),  Cost.,
posto che, secondo la giurisprudenza  costituzionale,  «le  forme  di
collaborazione  e  di  coordinamento  che   coinvolgono   compiti   e
attribuzioni di organi dello Stato non  possono  essere  disciplinate
unilateralmente   e   autoritativamente   dalle   regioni,    nemmeno
nell'esercizio della loro potesta' legislativa: esse debbono  trovare
il loro fondamento o il loro presupposto  in  leggi  statali  che  le
prevedano o le consentano, o in accordi  tra  gli  enti  interessati»
(sentenza n. 134 del 2004). 
    1.3.-  In  via  subordinata,  il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri  impugna  singole  disposizioni  della  legge  regionale  in
questione. 
    In particolare, assume l'illegittimita' costituzionale  dell'art.
1, dell'art. 2, commi 2, 3 e 4, nonche' dell'art. 4, comma 1, lettera
a), per avere il legislatore regionale  definito  in  tali  norme  il
controllo di  vicinato  «quale  contributo  funzionale  all'attivita'
istituzionale di prevenzione generale e  controllo  del  territorio»,
stabilendo che detta forma di  controllo  «si  attua  attraverso  una
collaborazione tra Enti locali, Forze dell'ordine, Polizia locale»  e
societa' civile, e attribuendo a tal fine alla  Giunta  regionale  il
potere di promuovere moduli  negoziali  tra  Uffici  territoriali  di
Governo ed enti locali, previo confronto con questi ultimi e  con  le
associazioni aventi per finalita' statutaria principale il  controllo
di  vicinato.  In  questo  modo,  il  legislatore  regionale  avrebbe
violato: 
    - l'art. 117,  secondo  comma,  lettera  h),  Cost.,  in  quanto,
trasformando «il controllo di vicinato in uno strumento  di  politica
criminale», tali disposizioni determinerebbero un'interferenza -  non
solo  potenziale  -  «nella  disciplina  statale  di  prevenzione   e
repressione dei reati»; 
    -  l'art.  118,  terzo  comma,  Cost.,  in  quanto   tali   norme
introdurrebbero regole di coordinamento interistituzionale  riservate
al legislatore statale; nonche' 
    - l'art. 117, secondo comma, lettera  g),  Cost.,  in  quanto  le
stesse disposizioni prevedono, «anche se al solo fine di promuoverli,
la stipula di accordi dai quali deriveranno  obblighi  a  carico  dei
titolari e dei preposti ad organi ed uffici  pubblici  dello  Stato»,
cosi' interferendo «nell'organizzazione amministrativa dello Stato  e
dei suoi apparati». 
    Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna  poi  l'art.  3,
comma 2, lettera b), della legge regionale in esame, dal momento  che
tale disposizione, prevedendo programmi regionali  nell'ambito  delle
attivita' di «ricerca, documentazione, comunicazione ed  informazione
circa le azioni realizzate e di analisi sui risultati conseguiti, con
particolare riguardo  al  livello  di  impatto  sulla  sicurezza  nel
contesto di  riferimento»,  violerebbe  l'art.  117,  secondo  comma,
lettera h), Cost. perche' interferirebbe, anche solo  potenzialmente,
sull'attivita' di organi statali competenti  all'«analisi  strategica
interforze dei fenomeni criminali ai fini del supporto dell'Autorita'
nazionale di pubblica sicurezza». 
    Infine, oggetto  di  impugnazione  e'  altresi'  l'art.  5,  che,
prevedendo la creazione di una banca dati in cui confluiscano, previa
intesa con i soggetti istituzionali competenti in materia di ordine e
sicurezza pubblica, anche dati finalizzati all'analisi dell'efficacia
del  controllo  di  vicinato  e  della  «situazione  concernente   le
potenziali  tipologie  di  reati  ed  il  loro  impatto  sul  sistema
territoriale», violerebbe ancora l'art. 117, secondo  comma,  lettera
h), Cost., in ragione  della  «sovrapposizione»  o  quantomeno  della
«interferenza  con  le  banche  dati  formate  e  tenute  dal  Centro
elaborazione dati (CED) interforze istituito presso  il  Dipartimento
della  pubblica  sicurezza  del  Ministero  dell'interno   ai   sensi
dell'art. 7, comma 1, della legge n. 121/1981».  La  norma  regionale
mirerebbe infatti a promuovere la costituzione «di una  "banca  dati"
parallela, alimentata dagli  elementi  informativi  forniti  da  enti
locali che svolgono attivita' di controllo di vicinato, suscettibile,
ancora una volta, di interferire con l'attivita' degli organi statali
competenti». La stessa banca dati,  del  resto,  «dovrebbe  assolvere
anche  all'ulteriore  funzione  di  consentire  "la  definizione   di
analisi... sulla situazione concernente le  potenziali  tipologie  di
reati ed il loro impatto sul sistema territoriale"»  (art.  5,  comma
2), con cio' determinandosi, «in modo eclatante»,  l'invasione  della
competenza esclusiva statale «in  tema  di  prevenzione  dei  reati»,
discostandosi, peraltro, «da  altre  esperienze  regionali  che,  nel
rispetto del riparto di competenze fissato dalla Costituzione e dalle
leggi ordinarie, hanno, invero, previsto la mera possibilita' per  le
polizie locali di collegarsi alla banca dati del CED interforze». 
    Ne'  sarebbe  possibile  un'interpretazione  della   disposizione
impugnata compatibile con  il  rispetto  delle  competenze  esclusive
statali in materia, tesa a ridurre  lo  scopo  della  banca  dati  in
questione al solo monitoraggio  delle  attivita'  svolte  dagli  enti
locali in attuazione dei protocolli di intesa  e  dei  patti  per  la
sicurezza e verificarne gli  effetti,  posto  che  cio'  risulterebbe
precluso dalla  funzione  attribuita  alla  banca  dati  dalla  norma
censurata «di consentire analisi  "sulla  situazione  concernente  le
potenziali  tipologie  di  reati  ed  il  loro  impatto  sul  sistema
territoriale"». 
    La difesa erariale conclude, sul punto, osservando come le  linee
guida approvate dall'accordo in sede di Conferenza unificata  del  26
luglio 2018 prevedano gia' «la possibilita' di costituire, nei comuni
sedi  di  circoscrizioni  di  decentramento  amministrativo  di   cui
all'art. 17 del T.U.E.L. - decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267
- appositi Tavoli di Osservazione (TdO), regolamentati nei Patti  per
la sicurezza, coordinati da dirigenti delle Prefetture e composti dai
presidenti   delle   circoscrizioni   e   dai   responsabili    delle
articolazioni delle Forze di polizia e delle polizie locali», con  la
finalita' di individuare «azioni di prevenzione  e  di  contrasto  da
porre in essere con le risorse disponibili, anche attraverso  momenti
di confronto con i comitati civici e gli altri soggetti  esponenziali
degli interessi e dei bisogni delle "realta' di quartiere"».  Secondo
l'Avvocatura generale dello Stato, in  tali  tavoli  di  osservazione
troverebbero espressione anche  le  istanze  espresse  da  gruppi  di
privati, con conseguente inutilita' della dalla banca  dati  prevista
dall'art. 5 impugnato. 
    2.- Con memoria dell'8 novembre 2019, depositata il  12  novembre
2019, si e' costituita in giudizio la Regione  Veneto,  la  quale  ha
chiesto  che  venga  dichiarata   l'inammissibilita'   o,   comunque,
l'infondatezza del ricorso appena illustrato, sia nella parte in  cui
e' impugnata l'intera legge regionale n. 34 del 2019, sia nella parte
in cui sono impugnate le singole disposizioni sopra indicate. 
    2.1.-    La    difesa     regionale     eccepisce,     anzitutto,
l'inammissibilita'  delle  censure  dirette  contro  l'intera   legge
regionale,  limitandosi   il   ricorso   governativo   «ad   asserire
tautologicamente la violazione della competenza esclusiva dello Stato
in  materia  di  ordine  pubblico  e  sicurezza  e  in   materia   di
organizzazione  amministrativa  statale,  senza  enucleare  specifici
motivi di censura che involgano gli effetti  precettivi  della  legge
regionale,  considerata  nella   sua   interezza   ed   unitarieta'».
Dall'inadeguatezza  e  genericita'  delle  motivazioni  del  ricorso,
deriverebbe l'inammissibilita' del primo motivo di  impugnazione  (e'
citata la sentenza di questa Corte n. 137 del 2019). 
    2.2.-  Nel  merito,  la  difesa  regionale  ritiene  il   ricorso
infondato. 
    La legge regionale impugnata sarebbe infatti diretta  ad  attuare
il d.l. n. 14 del 2017, il quale, all'art. 3, comma 2, consente  alle
Regioni  di  sostenere  iniziative  e  progetti  volti   ad   attuare
interventi di promozione della sicurezza integrata «anche sulla  base
degli accordi» tra Stato e Regioni  (e  Province  autonome)  previsti
dallo stesso articolo, con cio' implicitamente ammettendo che un tale
sostegno possa avvenire anche al di fuori di tali accordi, pur sempre
nell'esercizio di competenze di spettanza regionale. 
    Inoltre, la medesima legge regionale mirerebbe  a  promuovere  la
sussidiarieta' orizzontale di cui all'art. 118, ultimo comma,  Cost.,
sostenendo l'autonoma iniziativa dei cittadini per lo svolgimento  di
attivita' di interesse generale, quale, in particolare, l'interesse a
garantire vivibilita' e decoro dei luoghi in cui si  vive,  interesse
afferente alle «numerose competenze [regionali]  in  ambito  sociale,
culturale ed economico». La necessita' di disciplinare  il  controllo
di vicinato sorgerebbe, in particolare, in quanto esso  costituirebbe
«fenomeno sociale e culturale che gia' caratterizza  diverse  realta'
territoriali», anche in Veneto, come confermato dal progetto di legge
di iniziativa parlamentare alla Camera (A.C. n. 1250)  che  considera
in termini analoghi il controllo di vicinato. 
    La legge regionale n. 34 del 2019  si  limiterebbe  d'altronde  a
considerare  «gli  aspetti  eminentemente  sociali  e  culturali  del
fenomeno [...], senza intervenire in merito agli  aspetti  di  ordine
pubblico  [o  alle]  politiche  relative  alla  sicurezza   integrata
impostate con il D.L. 14/2017». 
    2.3.- Quanto poi alle specifiche disposizioni  impugnate  in  via
subordinata dal ricorso statale, la Regione  Veneto  ne  sostiene  in
parte la non fondatezza, e in parte l'inammissibilita'. 
    Per quanto riguarda l'art.2, comma 2, esso  avrebbe  mera  natura
definitoria, come tale  inidonea  a  interferire  con  la  disciplina
statale.  Cosi'  come  definito   dalla   disposizione   in   parola,
d'altronde, il controllo di vicinato non costituirebbe uno  strumento
di politica criminale, ma una delle forme e dei sistemi coordinati  e
integrati di vigilanza e sicurezza locale e di quartiere di cui  alla
legge della Regione Veneto 7 maggio 2002, n. 9 (Interventi  regionali
per la promozione della legalita' e della sicurezza),  rappresentando
esercizio di competenza «esclusivamente nell'ambito della "promozione
della legalita'", quale materia-valore tesa alla diffusione di valori
di civilta' e pacifica convivenza su cui si regge la Repubblica, che,
di per se', non costituisce, ne' puo'  costituire,  una  attribuzione
monopolistica in capo allo Stato». 
    In merito poi all'impugnazione dei commi 3 e 4  dell'art.  2,  in
tema di modalita' attraverso cui attuare il controllo di  vicinato  e
di promozione regionale di accordi o  protocolli  di  intesa  per  il
controllo di vicinato, si tratterebbe  di  disposizioni  da  cui  non
derivano  obblighi  in  capo  agli  organi  statali,   senza   alcuna
violazione dell'art. 117, secondo comma, lettera g),  Cost.,  essendo
la stipula degli accordi rimessa alla libera scelta delle parti,  nel
rispetto dei limiti imposti dalla legislazione statale.  Gli  accordi
in questione sarebbero, d'altronde, quelli gia' previsti dall'art. 3,
comma 1, del d.l. n. 14 del 2017, cui rinvierebbe l'art. 2, comma  4,
della legge regionale impugnata; e la Regione, lungi dal dar luogo  a
soluzioni  unilaterali   e   autoritative,   opererebbe   solo   come
«catalizzatore in funzione della promozione di soluzioni di controllo
di vicinato», «nel solco gia' tracciato dalle linee generali e  dalle
linee guida» previste dal d.l. n. 14 del 2017. 
    La censura concernente l'art. 3, comma 2, lettera b), della legge
regionale  impugnata  sarebbe  poi  inammissibile,  non  avendone  il
ricorso mostrato l'interferenza con i compiti svolti dalle  autorita'
di pubblica sicurezza statali nell'ambito dell'analisi strategica dei
fenomeni criminali, il monitoraggio  regionale  vertendo  in  realta'
solo sugli effetti delle misure regionali. 
    Infine, l'art. 5, impugnato in ragione dell'interferenza  che  la
banca dati regionale ivi prevista causerebbe  rispetto  all'attivita'
di monitoraggio e raccolta  dati  delle  forze  dell'ordine  statali,
avrebbe, in realta', il solo scopo di «monitorare  l'efficacia  delle
misure attuative del  controllo  di  vicinato»,  mentre  la  funzione
ulteriore di «analisi dell'impatto  sul  territorio  regionale  delle
diverse tipologie di reato» sarebbe subordinata «alla  sottoscrizione
di un'apposita convenzione con il  Ministero  dell'Interno».  Non  vi
sarebbe, pertanto,  alcuna  interferenza  o  sovrapposizione  con  le
banche dati del CED interforze di cui  all'art.  7,  comma  1,  della
legge 1 aprile 1981, n. 121 (Nuovo  ordinamento  dell'Amministrazione
della pubblica sicurezza), avendo la banca  dati  regionale  il  solo
scopo di  monitorare  le  attivita'  svolte  dagli  enti  locali  «in
attuazione dei protocolli di intesa e dei patti per la sicurezza e di
verificarne gli effetti con la  fornitura,  proprio  da  parte  dello
stesso   Ministero   degli   Interni,   dei    dati    sull'andamento
dell'attivita' repressiva dei reati». 
    3.- In  prossimita'  dell'udienza,  l'Avvocatura  generale  dello
Stato ha depositato memoria, contestando gli argomenti della  Regione
e ribadendo le tesi gia' articolate nel ricorso introduttivo. 
    In particolare, la difesa statale osserva  che  dal  progetto  di
legge statale sul controllo di vicinato (A.C. n. 1250,  citato  dalla
stessa difesa regionale) emergerebbe una  perfetta  sovrapponibilita'
con i contenuti della legge regionale impugnata, la quale  finirebbe,
cosi',  per  introdurre  «differenziazioni  su  base  regionale,  che
potrebbero   pregiudicare   la   stessa   efficacia   dell'intervento
legislativo dello Stato». Lungi dal «considerare solo gli aspetti  di
relazione associativa del fenomeno», anche la legge  regionale  -  al
pari  del  progetto  di  legge  statale  -  recherebbe  infatti  «una
disciplina organica del controllo di vicinato, anticipando - di fatto
- l'approvazione dell'iniziativa parlamentare  e  interferendo  -  in
questo modo - con l'esercizio delle attribuzioni statali in materia». 
    D'altra parte, osserva l'Avvocatura generale  dello  Stato  nella
propria  memoria,  la  disciplina  del  controllo  di  vicinato   non
rientrerebbe tra gli ambiti di intervento demandati alle Regioni  dal
d.l. n. 14 del  2017,  il  cui  art.  3  limiterebbe  gli  interventi
regionali «ad iniziative - di carattere amministrativo -  volte  alla
promozione e al sostegno - anche finanziario  -  delle  politiche  di
sicurezza integrata», e pertanto  sarebbe  «del  tutto  inidone[o]  a
legittimare un intervento legislativo [...] che di  fatto  introduce,
nell'ordinamento  regionale,  la  disciplina  organica  di  un  nuovo
strumento di contrasto alla micro-criminalita' urbana». 
    Con riguardo poi alle singole disposizioni impugnate,  l'art.  2,
comma 2, della legge regionale in  esame  non  potrebbe  dirsi,  come
sostenuto dalla Regione, norma priva di capacita' lesiva: delimitando
l'ambito di applicazione oggettivo della legge regionale impugnata  e
precisando i caratteri e le funzioni del controllo di vicinato,  tale
disposizione  chiarirebbe  infatti  espressamente  che  tra  le   sue
funzioni vi e' quella di contribuire «all'attivita' istituzionale  di
prevenzione generale e controllo del territorio», con  cio'  offrendo
una   nozione   regionale   del   «controllo   di    vicinato»    che
pregiudicherebbe «quelle imprescindibili esigenze di uniformita', che
solo la legge dello Stato potrebbe garantire mediante  l'elaborazione
di una definizione valevole su tutto il territorio nazionale». 
    Non risponderebbe, poi, al vero che l'art. 2,  commi  3  e  4,  e
l'art.  4,   comma   1,   della   legge   regionale   impugnata   non
interferirebbero con le competenze  statali,  in  quanto  limitate  a
prevedere la stipulazione dei protocolli di intesa di cui all'art. 3,
comma 1, del d.l. n. 14 del 2017. Gli accordi in materia di sicurezza
integrata cui tale norma statale  rimanda,  infatti,  non  potrebbero
vertere nella  materia  del  controllo  di  vicinato;  ne'  le  norme
regionali  impugnate  richiamerebbero  in  alcun  modo  le   garanzie
procedurali stabilite nelle linee generali cui il d.l. n. 14 del 2017
rinvia  «a  tutela  delle  attribuzioni  istituzionali  dei  soggetti
coinvolti nelle politiche di sicurezza integrata». Lo stesso art.  2,
comma 4, della legge regionale impugnata contemplerebbe del resto  il
ricorso agli accordi tra Stato e Regione come mera ipotesi residuale,
praticabile qualora  ricorrano  «condizioni»  non  meglio  precisate;
sicche' le norme regionali in questione  finirebbero  per  introdurre
«strumenti innovativi e ulteriori  rispetto  a  quelli  previsti  dal
citato decreto  legge,  il  cui  obiettivo  specifico  e'  quello  di
garantire l'attuazione del "controllo di vicinato", inteso [...] come
istituto di rafforzamento del controllo  del  territorio»,  con  cio'
invadendo  le  competenze  esclusive  statali  di  cui  ai  parametri
invocati. 
    Non condivisibile sarebbe anche  l'interpretazione  dell'art.  3,
comma  2,  della  legge  regionale  impugnata  offerta  dalla  difesa
regionale.  Tale  norma  infatti  non  si  limiterebbe  a   prevedere
l'analisi dei risultati delle azioni di controllo di vicinato,  senza
interferire con l'attivita' di monitoraggio spettante alle  forze  di
polizia  dello  Stato,  posto  che   alla   lettera   b)   disciplina
espressamente la raccolta di dati e informazioni «sulla sicurezza nel
contesto di riferimento», con cio' eccedendo il mero monitoraggio del
controllo di vicinato e interferendo con i compiti di raccolta dati e
informazioni  sull'ordine  e  la  sicurezza  demandati  al  Ministero
dell'interno dall'art. 6 della legge n. 121 del 1981. 
    D'altronde,  tale  interferenza  sarebbe  ulteriormente   provata
dall'art. 5 della legge  regionale  impugnata,  ove  si  prevede  «la
creazione di una banca  dati»  regionale  finalizzata,  tra  l'altro,
all'analisi «sulla situazione concernente le potenziali tipologie  di
reati ed il loro impatto sul sistema territoriale» regionale; con  il
che si dimostrerebbe che il monitoraggio regionale non  riguarderebbe
solo l'efficacia degli interventi a favore del controllo di vicinato,
bensi'  anche  «l'analisi  del  tipo  di  criminalita'  presente  sul
territorio e l'impatto che essa ha in ambito regionale», trattandosi,
in proposito, delle medesime funzioni attribuite dalla legge  n.  121
del 1981 alla banca dati del CED,  la  cui  disciplina  -  rientrando
nella competenza legislativa esclusiva  dello  Stato  in  materia  di
ordine  e  sicurezza  pubblica  -  apparirebbe  in  radice   preclusa
all'intervento del legislatore regionale. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con il  ricorso  indicato  in  epigrafe,  il  Presidente  del
Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso   dall'Avvocatura
generale dello Stato, ha impugnato la legge della  Regione  Veneto  8
agosto 2019, n. 34 (Norme per il riconoscimento ed il sostegno  della
funzione sociale del controllo di vicinato nell'ambito di un  sistema
di cooperazione interistituzionale integrata per la promozione  della
sicurezza   e   della   legalita'),    assumendone    il    contrasto
complessivamente con gli artt. 117, secondo comma, lettere g) e h), e
118, terzo comma, della Costituzione. 
    1.1.-  In  via  principale,  la  legge  e'  impugnata  nella  sua
interezza, in quanto contraria, secondo il Presidente  del  Consiglio
dei ministri: 
    - all'art. 117, secondo comma, lettera h), Cost., che preclude in
radice al legislatore regionale la disciplina dell'ordine pubblico  e
della sicurezza; 
    - all'art. 118, terzo comma, Cost., che riserva il  coordinamento
in detta materia al legislatore statale e, conseguentemente, preclude
al legislatore regionale l'introduzione di  regole  di  coordinamento
interistituzionale; 
    - all'art. 117, secondo comma, lettera g), Cost., che riserva  al
legislatore statale l'ordinamento e  l'organizzazione  amministrativa
dello Stato e degli enti pubblici e,  conseguentemente,  preclude  al
legislatore  regionale  di  disporre   delle   competenze   e   delle
attribuzioni di organi ed uffici pubblici statali. 
    1.2.- In via subordinata,  sono  impugnate  le  seguenti  singole
disposizioni della medesima legge regionale: 
    - gli artt. 1, 2, commi 2, 3 e 4, e 4, comma 1, lettera  a),  con
riferimento a tutti e tre i parametri costituzionali menzionati; 
    - gli artt. 3, comma 2, lettera b), e 5, con riferimento al  solo
art. 117, secondo comma, lettera h), Cost. 
    2.- La  Regione  ha  eccepito  l'inammissibilita'  delle  censure
riferite all'intera legge impugnata, in quanto meramente assertive  e
generiche. 
    L'eccezione e' infondata. 
    La legge regionale n. 34 del 2019 detta un'articolata  disciplina
relativa al controllo di vicinato, definito all'art. 2, comma 2, e al
quale si  riferiscono  tutte  le  altre  disposizioni,  con  la  sola
eccezione dell'art. 1, che enuncia generici obiettivi  di  promozione
della civile e ordinata convivenza nelle citta' e nel territorio,  da
attuarsi mediante la collaborazione tra istituzioni e societa' civile
nonche' attraverso la partecipazione di quest'ultima  alle  politiche
pubbliche. Tali obiettivi sono poi  declinati  dalla  parte  restante
della legge con riferimento esclusivo - appunto  -  al  controllo  di
vicinato. 
    La legge regionale ha, dunque, un contenuto fortemente  omogeneo,
che ad avviso del Presidente del Consiglio dei ministri impinge nella
sua globalita' in competenze esclusive dello Stato, la  cui  allegata
invasione e' oggetto di puntuale  analisi  da  parte  dell'Avvocatura
generale  dello  Stato:  dal  che  l'ammissibilita'  dell'impugnativa
dell'intera legge (si vedano, analogamente, le sentenze n. 143  e  n.
128 del 2020 e n. 194 del 2019). 
    3.- Nel merito, il ricorso e' fondato rispetto all'intera  legge,
con riferimento agli artt. 117, secondo comma,  lettera  h),  e  118,
terzo comma, Cost. 
    3.1.- L'art. 117,  secondo  comma,  lettera  h),  Cost.  sancisce
l'esclusiva competenza  statale  in  materia  di  ordine  pubblico  e
sicurezza, ad esclusione della polizia amministrativa locale;  mentre
l'art.  118,  terzo  comma,  Cost.  riserva  alla  legge  statale  la
disciplina delle forme di coordinamento fra Stato e Regioni in questa
materia. 
    Il thema decidendum consiste  dunque  nel  determinare  se,  come
ritiene la  difesa  statale,  la  legge  regionale  impugnata  incida
effettivamente sulla materia dell'ordine pubblico e della  sicurezza;
e se,  in  caso  affermativo,  essa  sia  riconducibile  a  forme  di
coordinamento fra Stato e Regioni in materia  di  ordine  pubblico  e
sicurezza gia' contemplate da  una  disciplina  statale  adottata  ai
sensi dell'art. 118, terzo comma, Cost. 
    3.2.- La recente sentenza n. 285  del  2019  ha  ricapitolato  la
giurisprudenza di  questa  Corte  relativa  alla  nozione  di  ordine
pubblico e sicurezza, approdando a esiti che meritano in questa  sede
di essere integralmente confermati. 
    L'endiadi contenuta  nella  lettera  h)  dell'art.  117,  secondo
comma, Cost. allude al complesso di «funzioni primariamente dirette a
tutelare beni fondamentali,  quali  l'integrita'  fisica  o  psichica
delle persone, la sicurezza dei  possessi  ed  ogni  altro  bene  che
assume primaria importanza per l'esistenza  stessa  dell'ordinamento»
(sentenza n. 290 del 2001). Tali funzioni, ha osservato questa  Corte
nella sentenza n. 285 del 2019, costituiscono una «materia  in  senso
proprio,  e  cioe'  [...]  una  materia  oggettivamente  delimitata»,
rispetto  alla  quale  la  prevenzione  e   repressione   dei   reati
costituisce uno dei nuclei essenziali; materia  che,  peraltro,  «non
esclude  l'intervento  regionale  in  settori  ad   essa   liminari»,
dovendosi  in  proposito  distinguere  tra  un  «nucleo  duro   della
sicurezza  di  esclusiva  competenza   statale»,   definibile   quale
«sicurezza  in  "senso  stretto"  (o  sicurezza  primaria)»,  e   una
«sicurezza "in  senso  lato"  (o  sicurezza  secondaria),  capace  di
ricomprendere un fascio di  funzioni  intrecciate,  corrispondenti  a
plurime e diversificate competenze di spettanza anche regionale». 
    Conseguentemente, «[a]lle Regioni e' [...] consentito  realizzare
una serie di azioni volte a migliorare le condizioni  di  vivibilita'
dei rispettivi territori, nell'ambito di competenze ad esse assegnate
in via residuale o concorrente, come, ad esempio, le politiche  (e  i
servizi) sociali,  la  polizia  locale,  l'assistenza  sanitaria,  il
governo  del  territorio»  (ancora,  sentenza  n.  285   del   2019),
rientranti per l'appunto nel genus della "sicurezza secondaria". 
    In coerente applicazione di questi principi, recenti pronunce  di
questa Corte hanno ad esempio ritenuto  costituzionalmente  legittime
normative   regionali   che   promuovono   «azioni   coordinate   tra
istituzioni,   soggetti   non   profit,   associazioni,   istituzioni
scolastiche e formative per favorire la cooperazione  attiva  tra  la
categoria professionale degli interpreti e traduttori e le  forze  di
polizia locale  ed  altri  organismi,  allo  scopo  di  intensificare
l'attivita' di prevenzione nei confronti dei soggetti ritenuti vicini
al mondo dell'estremismo  e  della  radicalizzazione  attribuibili  a
qualsiasi organizzazione terroristica» (sentenza n.  208  del  2018),
che mirano a contrastare il  cyberbullismo  attraverso  programmi  di
promozione   culturale   e   finanziamenti   regionali    nell'ambito
dell'educazione scolastica (sentenza n. 116 del 2019),  o  ancora  ad
istituire osservatori  sulla  legalita',  con  compiti  consultivi  e
funzioni  di  studio,  ricerca  e  diffusione  delle  conoscenze  sul
territorio,  nonche'  a  promuovere  e  sostenere   la   stipula   di
"protocolli  di   legalita'"   tra   prefetture   e   amministrazioni
aggiudicatrici  per  potenziare  gli  strumenti  di   prevenzione   e
contrasto dei  fenomeni  corruttivi  e  delle  infiltrazioni  mafiose
(sentenza n. 177 del 2020). 
    Sono  state  invece  dichiarate  costituzionalmente   illegittime
normative regionali suscettibili di produrre interferenze, anche solo
potenziali, nell'azione di prevenzione e  repressione  dei  reati  in
senso stretto,  considerata  attinente  al  nucleo  della  "sicurezza
primaria" di esclusiva competenza statale (si vedano, ad esempio,  la
gia'  citata  sentenza  n.  177  del  2020,  che  ha  annullato   una
disposizione  regionale  istitutiva  di  una  banca  dati  dei   beni
confiscati alla criminalita'  organizzata  esistenti  sul  territorio
regionale, in ragione della sua  interferenza  con  i  compiti  della
Banca dati  nazionale  unica  per  la  documentazione  antimafia;  la
sentenza n. 35 del  2012,  relativa  a  una  normativa  regionale  in
materia  di  tracciabilita'  dei  flussi  finanziari  per   prevenire
infiltrazioni criminali; la sentenza n. 325 del 2011, relativa a  una
legge   regionale   che   istituiva   un'agenzia    avente    compiti
sostanzialmente sovrapponibili  a  quelli  dell'Agenzia  statale  per
l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati
alla criminalita' organizzata). 
    Deve essere infine segnalato che lo stesso legislatore statale  -
con il decreto-legge 20 febbraio 2017 n. 14 (Disposizioni urgenti  in
materia di sicurezza delle citta'),  convertito,  con  modificazioni,
nella legge 18 aprile  2017,  n.  48  -  ha  dettato,  in  attuazione
dell'art. 118, terzo comma, Cost., un'articolata disciplina  volta  a
coordinare l'intervento dello Stato e  delle  Autonomie  territoriali
nella  materia  della  "sicurezza  integrata",  da  intendersi   come
«l'insieme degli interventi assicurati dallo  Stato,  dalle  Regioni,
dalle Province autonome di Trento e  Bolzano  e  dagli  enti  locali,
nonche' da altri  soggetti  istituzionali,  al  fine  di  concorrere,
ciascuno nell'ambito delle proprie competenze e responsabilita', alla
promozione e all'attuazione di un sistema  unitario  e  integrato  di
sicurezza per il benessere delle  comunita'  territoriali»  (art.  1,
comma 2, d.l. n. 14 del 2017). 
    «Nel disegno del legislatore statale» -  come  rileva  ancora  la
piu' volte menzionata  sentenza  n.  285  del  2019  -  «l'intervento
regionale dovrebbe assicurare le precondizioni per un  piu'  efficace
esercizio delle classiche funzioni di ordine pubblico, per migliorare
il  contesto  sociale  e  territoriale  di  riferimento,   postulando
l'intervento dello Stato in relazione  a  situazioni  non  altrimenti
correggibili se  non  tramite  l'esercizio  dei  tradizionali  poteri
coercitivi». 
    3.3.-  La  legge  regionale  in  questa   sede   impugnata   mira
essenzialmente a promuovere la «funzione  sociale  del  controllo  di
vicinato come strumento di prevenzione finalizzato  al  miglioramento
della qualita' di vita dei cittadini» (art. 2,  comma  1),  favorendo
altresi' la stipula di accordi o protocolli di intesa in materia  tra
gli uffici territoriali di governo e le amministrazioni locali  (art.
2, comma 4), sostenendone in vario modo l'attivita' (artt. 3 e 4),  e
istituendo una banca dati per il monitoraggio dei relativi  risultati
(art. 5). 
    Tutto questo complesso di interventi ruota attorno  alla  nozione
di «controllo di vicinato»,  definita  dall'art.  2,  comma  2,  come
«quella forma di cittadinanza attiva che favorisce lo sviluppo di una
cultura di partecipazione al tema della sicurezza urbana ed integrata
per il miglioramento della qualita'  della  vita  e  dei  livelli  di
coesione  sociale  e  territoriale  delle  comunita',  svolgendo  una
funzione di osservazione, ascolto e  monitoraggio,  quale  contributo
funzionale all'attivita'  istituzionale  di  prevenzione  generale  e
controllo  del   territorio.   Non   costituisce   comunque   oggetto
dell'azione di controllo di vicinato l'assunzione  di  iniziative  di
intervento per la repressione di reati o di altre  condotte  a  vario
titolo  sanzionabili,  nonche'  la  definizione   di   iniziative   a
qualsivoglia titolo incidenti sulla riservatezza delle persone». 
    Ritiene questa Corte che - nonostante l'esplicita esclusione  dai
compiti del controllo di vicinato della possibilita' di intraprendere
iniziative per la «repressione di reati» o comunque  incidenti  sulla
riservatezza delle persone - l'espressa menzione, nella  disposizione
appena citata, della «attivita' istituzionale di prevenzione generale
e   controllo   del   territorio»,   lungi   dall'alludere   a   mere
«precondizioni  per  un  piu'  efficace  esercizio  delle   classiche
funzioni di ordine pubblico» (sentenza n. 285 del 2019) riconducibili
alla nozione di "sicurezza secondaria", non possa che riferirsi  alla
specifica finalita' di "prevenzione dei reati", da attuarsi  mediante
il classico strumento del controllo del territorio. 
    Tale finalita' costituisce il nucleo centrale della  funzione  di
pubblica sicurezza, certamente riconducibile - assieme alla  funzione
di "repressione dei reati" -  al  concetto  di  "sicurezza  in  senso
stretto" o "sicurezza primaria", di esclusiva competenza  statale  ai
sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera h), Cost. 
    In secondo luogo, il successivo comma 4 del citato art. 2 impegna
la Giunta regionale a promuovere la stipula di accordi  o  protocolli
di intesa tra Uffici territoriali  di  Governo  ed  enti  locali  «in
materia di tutela dell'ordine e sicurezza pubblica»: con conseguente,
ed esplicitamente rivendicata, interferenza del legislatore regionale
in una materia in cui l'intervento regionale e' in  radice  precluso,
al di fuori delle ipotesi disciplinate espressamente dal  legislatore
statale ai sensi dell'art. 118, terzo comma, Cost. (ipotesi che, come
subito si dira', non ricorrono nella specie). 
    Ancora, la previsione all'art. 5 della legge regionale impugnata,
di una banca  dati  regionale  finalizzata  anche  all'analisi  della
«situazione concernente le potenziali tipologie di reati ed  il  loro
impatto sul sistema territoriale» - banca dati che la  stessa  difesa
regionale afferma dovrebbe essere alimentata, previa  intesa  con  il
Ministero dell'interno, con  i  «dati  sull'andamento  dell'attivita'
repressiva dei reati» - mira ad  affermare  un  ruolo  della  Regione
nello  specifico  e  ristretto  ambito  della  sicurezza   "primaria"
riservata allo Stato, costituita dall'attivita'  di  prevenzione  dei
reati in senso stretto. 
    Tutto cio', peraltro, senza che  risulti  chiaro  quali  siano  i
precisi ambiti materiali, distinti  appunto  dall'ordine  pubblico  e
dalla sicurezza, e in ipotesi riconducibili alla sfera di  competenza
regionale, interessati dalla disciplina all'esame. 
    3.4.- Ne', d'altra parte, le  previsioni  della  legge  regionale
impugnata appaiono riconducibili a forme di coordinamento fra Stato e
Regioni in materia di ordine pubblico e  sicurezza  gia'  contemplate
dalla legge statale ai sensi dell'art. 118, terzo comma, Cost. 
    Il d.l. n. 14 del  2017  ha  fissato  il  quadro  generale  delle
procedure e strumenti pattizi entro il quale lo Stato e le  Autonomie
territoriali possono collaborare per realizzare interventi  congiunti
aventi  ad  oggetto  la  «sicurezza  integrata»  -   che   presuppone
essenzialmente il coordinamento e  lo  scambio  di  informazioni  tra
forze di polizia statali e polizia urbana - e la «sicurezza urbana» -
definita dalla legge statale come «il  bene  pubblico  che  afferisce
alla vivibilita' e  al  decoro  delle  citta',  da  perseguire  anche
attraverso interventi di riqualificazione, anche urbanistica, sociale
e  culturale,  e  recupero  delle  aree   o   dei   siti   degradati,
l'eliminazione dei fattori di marginalita' e di  esclusione  sociale,
la prevenzione della criminalita', in particolare di tipo predatorio,
la  promozione  della  cultura  del  rispetto   della   legalita'   e
l'affermazione  di  piu'  elevati  livelli  di  coesione  sociale   e
convivenza civile [...]» (art. 4 d.l. n. 14 del 2017). 
    Tuttavia, il d.l. n.  14  del  2017  certo  non  conferisce  alle
Regioni la possibilita' di legiferare con specifico riferimento  alla
promozione e organizzazione del coinvolgimento di «gruppi di soggetti
residenti nello stesso quartiere o in zone contigue o  ivi  esercenti
attivita'  economiche»  impegnati  in  attivita'  di   «osservazione,
ascolto e monitoraggio» funzionali alla «prevenzione generale»  e  al
«controllo del  territorio»  (art.  2,  commi  2  e  3,  della  legge
regionale impugnata): attivita', tutte, inscindibilmente connesse con
la funzione di prevenzione dei reati svolta dalle forze di polizia, e
assai distanti da quelle espressamente menzionate dal decreto  legge,
che appaiono  invece  agevolmente  riconducibili  alla  tutela  della
"sicurezza secondaria", nell'accezione sopra precisata. 
    Il d.l. n. 14 del 2017 prevede, inoltre,  che  la  collaborazione
interistituzionale  tra  Stato,  Regioni  ed  enti  locali  da   esso
disciplinata si svolga  mediante  precise  scansioni  procedimentali;
scansioni in concreto realizzatesi,  dopo  l'entrata  in  vigore  del
decreto-legge, mediante l'adozione, con l'accordo del 24 gennaio 2018
in sede di Conferenza unificata, delle linee generali delle politiche
pubbliche per la promozione della sicurezza integrata, in  attuazione
delle quali e' previsto che  possano  essere  stipulati  tra  singole
Regioni (o Province autonome) e lo Stato specifici accordi, i quali a
loro volta disciplinano gli interventi di promozione della  sicurezza
integrata nel territorio di riferimento.  Per  la  sicurezza  urbana,
d'altro canto, il citato decreto-legge  attribuisce  alla  Conferenza
Stato-citta' ed autonomie locali il compito di adottare - in coerenza
con le menzionate linee generali - delle linee guida  (effettivamente
approvate il 26 luglio 2018), alla stregua delle quali possono essere
sottoscritti patti per l'attuazione della  sicurezza  urbana  tra  il
prefetto e il sindaco (art. 5 d.l. n. 14 del 2017). 
    La legge regionale impugnata disciplina invece  direttamente,  al
di fuori del quadro istituzionale menzionato, forme di collaborazione
tra Stato ed enti locali  con  il  sostegno  della  Regione,  in  una
materia di esclusiva competenza  statale,  in  cui  l'intervento  del
legislatore regionale e'  ammissibile  soltanto  nel  rispetto  delle
procedure e dei limiti sostanziali stabiliti dal legislatore  statale
ai sensi dell'art.  118,  terzo  comma,  Cost.  (in  senso  conforme,
sentenza n. 134 del 2004, richiamata poi dalle sentenze  n.  322  del
2006 e n. 167 del 2010). 
    3.5.-  Da  tutto  cio'  consegue  la  fondatezza  della  censura,
spiegata  in  via  principale  dal  ricorrente,   di   illegittimita'
costituzionale dell'intera legge regionale impugnata: e cio' sia  con
riferimento all'art. 117, secondo comma, lettera h), Cost., per avere
la stessa invaso una sfera di competenza esclusiva statale;  sia  con
riferimento all'art. 118, terzo comma,  Cost.,  per  avere  la  legge
regionale disciplinato forme  di  coordinamento  tra  Stato  ed  enti
locali in materia di ordine pubblico e  sicurezza,  con  il  sostegno
della stessa Regione, al di  fuori  dei  casi  previsti  dalla  legge
statale, e con modalita' non consentite da quest'ultima. 
    4.- Resta assorbita la doglianza formulata dalla  difesa  statale
con riferimento all'art.  117,  secondo  comma,  lettera  g),  Cost.,
nonche' quella presentata in via subordinata sugli artt. 1, 2,  commi
2, 3 e 4, 3, comma 2, lettera b), 4, comma 1, lettera a), e  5  della
medesima legge regionale n. 34 del 2019. 
    5.- La presente pronuncia di illegittimita' costituzionale riposa
esclusivamente sulla ritenuta  invasione,  da  parte  della  Regione,
delle competenze riservate dalla Costituzione al legislatore statale.
Resta ferma  naturalmente  la  possibilita',  per  la  legge  statale
stessa, di  disciplinare  il  controllo  di  vicinato,  eventualmente
avvalendosi del  contributo  delle  stesse  Regioni,  come  possibile
strumento - funzionale  a  una  piena  attuazione  del  principio  di
sussidiarieta' orizzontale di cui all'art. 118, quarto  comma,  Cost.
(sentenza  n.  131  del  2020)   -   di   partecipazione   attiva   e
responsabilizzazione dei cittadini anche  rispetto  all'obiettivo  di
una  piu'  efficace  prevenzione  dei   reati,   attuata   attraverso
l'organizzazione di attivita' di ausilio e  supporto  alle  attivita'
istituzionali delle forze di polizia. Strumento,  quello  menzionato,
che ben potrebbe essere ricondotto  all'ampia  nozione  di  sicurezza
urbana fornita dal d.l. n. 14 del 2017,  e  che  e'  del  resto  gia'
oggetto, nel territorio nazionale, di numerosi protocolli  di  intesa
stipulati dagli Uffici territoriali di Governo con i Comuni. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara  l'illegittimita'  costituzionale  della   legge   della
Regione Veneto 8 agosto 2019, n. 34 (Norme per il  riconoscimento  ed
il  sostegno  della  funzione  sociale  del  controllo  di   vicinato
nell'ambito  di  un  sistema   di   cooperazione   interistituzionale
integrata per la promozione della sicurezza e della legalita'). 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 21 ottobre 2020. 
 
                                F.to: 
                  Mario Rosario MORELLI, Presidente 
                    Francesco VIGANO', Redattore 
                    Filomena PERRONE, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 12 novembre 2020. 
 
                           Il Cancelliere 
                       F.to: Filomena PERRONE