N. 164 ORDINANZA (Atto di promovimento) 3 giugno 2020

Ordinanza del 3 giugno 2020 della  Corte  d'appello  di  Bologna  nel
procedimento penale a carico di F. A. P.. 
 
Processo penale - Divieto di un secondo giudizio - Mancata previsione
  dell'applicabilita' della disciplina  del  divieto  di  un  secondo
  giudizio nei confronti dell'imputato al quale,  con  riguardo  agli
  stessi  fatti,  sia  stata  gia'  irrogata   in   via   definitiva,
  nell'ambito di un  procedimento  amministrativo,  una  sanzione  di
  carattere sostanzialmente penale  alla  luce  dei  criteri  fissati
  dalla giurisprudenza della Corte EDU. 
- Codice di procedura penale, art. 649. 
(GU n.49 del 2-12-2020 )
 
                     CORTE D'APPELLO DI BOLOGNA 
                          Sezione I penale 
 
Ordinanza di rimessione di questione di legittimita' costituzionale 
    Riunita in camera di consiglio nelle persone di: 
      dott. Luca Ghedini - Presidente; 
      dott.ssa Anna Mori - Consigliere; 
      dott.ssa Luisa Raimondi - Consigliere estensore; 
    premesso che: 
      Si procede in questa sede a seguito di appello  promosso  dalla
difesa dell'imputato F. A. P. avverso sentenza di condanna alla  pena
di anni due mesi otto di reclusione emessa  il  17  aprile  2017  dal
Giudice monocratico del Tribunale di Parma per il reato continuato di
cui agli a articoli 81 cpv cp e 4 del decreto legislativo n.  74/2000
per avere il F., quale titolare di partita IVA relativa ad  attivita'
di consulenza amministrativa ed al fine di evadere le  imposte  IRPEF
ed IVA, indicato nelle dichiarazioni annuali d'imposta relative  alle
annualita' 2010 e 2011 elementi passivi fittizi per  gli  importi  di
cui all'imputazione, con evasione superiore  alle  soglie  legali  di
punibilita'. 
    E' stata riproposta nel presente grado di giudizio  dalla  difesa
dell'appellante in  sede  di  Motivi  di  appello  un'eccezione  gia'
rigettata dal Tribunale e fondata sulla ritenuta sussistenza nel caso
di specie della violazione del principio del «ne  bis  in  idem»  con
conseguente  richiesta  alla  Corte  di  sottoporre   a   vaglio   di
costituzionalita' il dettato dell'art. 649 del  codice  di  procedura
penale ove non prevede l'applicazione di  tale  principio  anche  nei
rapporti tra procedimento amministrativo - qualora afferente  ad  una
sanzione alla quale si debba riconoscere natura penale ai sensi della
Convenzione Europea dei Diritti  dell'Uomo  (articoli  117  Cost.  in
relazione  all'art.  4,  prot.  7  Convenzione  Europea  dei  Diritti
dell'Uomo ed all'art. 4 del decreto legislativo n. 74/2000) -  o,  in
subordine, di disporre rinvio pregiudiziale alla Corte  di  Giustizia
dell'Unione europea, ex  art.  267  del  Trattato  sul  Funzionamento
dell'Unione europea per appurare se la previsione dell'art. 50  della
Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea (Carta di  Nizza),
alla luce della giurisprudenza  CEDU  sull'interpretazione  di  detto
art. 4, osti alla possibilita' di celebrare  un  procedimento  penale
avente ad oggetto un fatto per il quale  l'imputato  abbia  riportato
una sanzione amministrativa irrevocabile. 
 
                             Motivazione 
 
Il giudizio di primo grado 
    Il Giudice del Tribunale di Parma ha ripercorso  in  sentenza  le
argomentazioni difensive poste a sostegno  dell'assunto,  fondate  su
quanto segue: 
      a) gli avvisi di accertamento  dell'Agenzia  delle  Entrate  in
atti  per  il  2010  e  2011,  con  i  quali  erano  state  comminate
all'imputato severe sanzioni  tributarie,  facendo  riferimento  alle
medesime condotte oggetto  dell'attuale  imputazione  rivolta  al  F.
nella  presente  sede  penale  evidenziano  l'identita'  oggettiva  e
soggettiva delle condotte contestate in entrambe le sedi; 
      b) trattasi di sanzioni  amministrative  per  la  loro  elevata
entita' riconducibili alla materia penale  sulla  base  dei  principi
piu' volte affermati dalla Corte CEDU; 
      c)  gli  avvisi  di  accertamento,   notificati   al   curatore
fallimentare in data 4  luglio  2014,  in  quanto  non  impugnati  da
quest'ultimo  nel  termine  dei  sessanta   giorni   erano   divenuti
definitivi ed Equitalia Spa, emesse ed iscritte a ruolo  le  relative
cartelle esattoriali, il 20 ottobre 2014 si era insinuata nel passivo
della procedura concorsuale anche  per  gli  importi  delle  sanzioni
irrogate al F. dall'Agenzia delle Entrate in sede amministrativa; 
      d) il 20 ottobre 2014 il procedimento  amministrativo  relativo
all'irrogazione  delle  sanzioni  pecuniarie   de   quibus   si   era
definitivamente   concluso   e   l'Agenzia   delle    Entrate    solo
successivamente - in particolare il 31 ottobre 2014 - aveva trasmesso
la notizia di reato alla Procura della Repubblica di Parma ed  il  PM
aveva esercitato l'azione penale il 13  settembre  2016,  a  distanza
quindi di quasi due anni. 
    Si sarebbe quindi violato il divieto del  «ne  bis  in  idem»  in
quanto il F. sarebbe stato sottoposto  al  procedimento  penale  anni
dopo   la   conclusione   e   la   definitivita'   del   procedimento
amministrativo riguardante le medesime violazioni. 
    Richiamava la difesa davanti al Tribunale (anno 2017) la  recente
sentenza «A e B contro Norvegia»  pronunciata  il  15  novembre  2016
dalla Grande Camera della Corte Edu secondo la quale tale divieto non
precluderebbe  la  contemporanea  apertura  e  celebrazione   di   un
procedimento penale e di un procedimento amministrativo  relativi  al
medesimo fatto a condizione che tra di essi sussista «una connessione
sostanziale e temporale sufficientemente stretta»; da cio'  derivando
la  conseguenza  che  -  stante  l'evidentemente  ampio   scollamento
temporale tra i due procedimenti - il divieto «ne bis  in  idem»  nel
caso di specie sarebbe stato assoluto. 
    Il Giudice di prime cure ha ritenuto infondate le  argomentazioni
difensive  escludendo  versarsi  in  un'ipotesi  di  violazione   del
predetto divieto. 
    Ha  preliminarmente  richiamato   i   principi   espressi   dalla
giurisprudenza della Corte EDU secondo la quale un soggetto non  puo'
essere perseguito e punito due volte per il medesimo fatto, cosicche'
nel caso in cui oggetto del procedimento tributario -  amministrativo
e  di  quello  penale  siano  le  medesime  condotte  e  le  sanzioni
amministrative irrogate rivestano una valenza non  solo  risarcitoria
ma anche punitiva in quanto sanzionatoria e deterrente,  le  garanzie
del giusto processo tra cui quella correlata  al  «ne  bis  in  idem»
devono ritenersi applicabili; e ne ha tratto le seguenti conclusioni: 
      - La Corte di Cassazione ha affermato che il principio  de  quo
non e' direttamente applicabile nell'ordinamento italiano in  quanto,
nel caso in cui si ritenga un  contrasto  tra  una  norma  interna  e
quella europea, il  giudice  nazionale  ove  non  sia  possibile  una
interpretazione  adeguatrice  deve  necessariamente   denunciare   la
rilevata incompatibilita' con lo  strumento  della  rimessione  della
questione di legittimita'  costituzionale  ex  art.  117  Cost.,  non
disponendo del potere di disapplicare direttamente la norma giudicata
contrastante; 
      - Nell'ordinamento interno il diritto garantito dal «ne bis  in
idem» e' tutelato dagli articoli 28 e segg., 649 e 669 del codice  di
procedura penale che si  riferiscono  tuttavia  alla  sola  Autorita'
giudiziaria  penale,  non  essendone  possibile  un'  interpretazione
estensiva   che   applichi   dette   norme   anche   alle    sanzioni
amministrative; 
      - Non vi e' dubbio secondo il Giudice  di  primo  grado  che  i
fatti,  sanzionati  sia  in  via  amministrativa  che   penale,   che
riguardano il presente procedimento siano naturalisticamente identici
ne' sul fatto che, secondo i parametri indicati in merito dalla  Cedu
attraverso i criteri cd «Engel», le elevate  sanzioni  amministrative
comminate con le cartelle esattoriali in premessa rivestano carattere
penale; 
      - Mancherebbe tuttavia, secondo il giudicante,  il  presupposto
della definitivita' del procedimento amministrativo,  condizione  che
come piu' volte rilevato  dalla  giurisprudenza  di  legittimita'  e'
necessaria per l'applicazione del divieto; 
      - Le cartelle esattoriali non risultano essere state notificate
al F. ma  solo  al  curatore  nonostante  il  fatto  che  secondo  il
consolidato orientamento delle Sezioni civili della Cassazione -  nel
caso  in  cui  i  crediti  siano  maturati   nei   loro   presupposti
anteriormente alla dichiarazione di fallimento la notificazione debba
avvenire anche nei confronti del contribuente (il fallito F. nel caso
in esame) che ben potrebbe proporre personalmente ricorso avverso  la
pretesa punitiva tributaria in caso di inerzia sul punto degli organi
fallimentari; 
      - In assenza di notifica al fallito la procedura amministrativa
secondo il Tribunale non sarebbe mai divenuta definitiva, il  che  di
per se' precluderebbe l'applicazione del divieto in questione; 
      - per di piu', afferma  il  Giudice,  il  prevenuto  non  aveva
nemmeno allegato di aver pagato quantomeno  in  parte  all'Erario  le
somme richiestegli, ne' offerto prova documentale sul  punto;  ed  il
pagamento  delle  sanzioni  sarebbe  anch'esso  elemento   necessario
all'operativita' del divieto di un secondo giudizio  come  comprovato
non solo da ragioni di logica e  di  equita'  ma  anche  da  pronunce
intervenute in ambito CEDU che renderebbero  evidente,  si  pure  per
implicito, tale presupposto; 
      - il Giudice sul punto ha fatto riferimento alla nota  sentenza
del 16 novembre 2016 della Grande Camera della CEDU nel  procedimento
«A e B contro Norvegia» dalla quale risulta  che  la  valutazione  va
compiuta in base ad una serie di parametri  di  natura  eminentemente
sostanziale    avendo    la     Corte     sovranazionale     ritenuto
l'inapplicabilita' del divieto - nonostante l'identita' dei  fatti  e
del soggetto e l'integrale pagamento  delle  sanzioni  amministrative
prima nella condanna nel giudizio penale da parte  dei  ricorrenti  -
poiche' i giudici norvegesi avevano quantificato le pene inflitte  ai
due  ricorrenti  tenendo  espressamente  conto   dell'entita'   delle
sanzioni gia' subite e pagate da questi ultimi:  circostanza  che  il
Giudice del Tribunale di Parma ha ritenuto dimostrativa del fatto che
in sede di valutazione relativa alla violazione o meno del «ne bis in
idem» dovrebbe tenersi conto  anche  del  fattore  del  pagamento  (o
dell'omesso pagamento) della sanzione. 
    Il Giudice di primo grado ha rilevato inoltre che: 
      -  l'art.  4,  protocollo  7  CEDU  non  preclude  di  per  se'
l'adozione del diritto interno di una sistema cd.  a  doppio  binario
ammettendo instaurazione di due distinti procedimenti per  la  stesso
fatto, purche' le risposte sanzionatone  in  tal  modo  cumulate  non
comportino per l'interessato un pregiudizio eccessivo; 
      - la CEDU non vieta che i  due  distinti  procedimenti  possano
essere, oltre che  paralleli,  anche  consecutivi,  purche'  esistano
meccanismi che rendano le  risposte  sanzionatorie  «proporzionate  e
prevedibili» quando per esempio  sussistano  particolari  ragioni  di
urgenza da parte dell'Amministrazione finanziaria e non consegua  per
il soggetto  coinvolto  un  pregiudizio  eccessivo  dalla  perdurante
incertezza processuale; 
      - la stessa Corte  europea  elenca  gli  elementi  che  ritiene
indicatori della insussistenza di una violazione  del  principio  «ne
bis in idem»  e  che  devono  costituire  una  guida  per  i  giudici
nazionali, individuati: 
        1) negli scopi differenti e complementari cui sono rivolti  i
due procedimenti; 
        2)  nella  prevedibilita'  per  l'autore  del   fatto   della
duplicita' di provvedimenti; 
        3) nell'evitamento, nella trattazione dei  due  procedimenti,
di ogni duplicazione nella ricerca e nella valutazione  della  prova,
anche attraverso un'adeguata interazione tra le rispettive  Autorita'
competenti; 
        4) nel fatto che della sanzione  applicata  nel  procedimento
conclusosi per primo si tenga conto nel secondo procedimento, in modo
da rispettare il  principio  di  proporzionalita'  complessiva  della
pena. 
    Da quanto sopra  il  Giudice  del  Tribunale  ha  desunto  che  -
quand'anche si ritenesse, nel caso di  specie,  che  il  procedimento
amministrativo  fosse  divenuto  definitivo   anche   nei   confronti
dell'imputato - sarebbe comunque da escludersi  qualsiasi  violazione
del principio qui in  esame  essendo  presenti  tutte  le  condizioni
indicate ai nn. 1-4 sopra riportate in quanto: 
      la stretta  contiguita'  tra   i   due   procedimenti   sarebbe
dimostrata dal fatto che pochissimi mesi separano la datazione  degli
avvisi di accertamento amministrativo (1° luglio 2014) e quella della
iscrizione del F. nel registro degli indagati per  i  medesimi  fatti
(18 novembre 2014); 
      diverso sarebbe lo scopo e  l'oggetto  delle  due  sanzioni  in
quanto in quella rivolta ai fini tributari ed amministrativi viene in
considerazione la finalita'  di  recupero  delle  somme  non  versate
mentre sul versante penale prevale l'aspetto della fraudolenza  della
condotta; 
      l'imputato poteva anticipatamente prevedere la possibilita'  di
essere assoggettato al doppio binario, previsto  espressamente  dalla
normativa interna; 
      non vi e' stata alcuna  duplicazione  nella  raccolta  e  nella
valutazione della prova nell'ambito dei  due  procedimenti,  elemento
secondo la Corte Europea indice di avvenuta violazione del «ne bis in
idem»; 
      e' la normativa stessa che  provvede  a  garantire,  attraverso
appositi  meccanismi,  che  la  sanzione  globalmente  inflitta   sia
caratterizzata da proporzionalita', prevedendo e regolando il decreto
legislativo n. 74/2000 in modo espresso i rapporti tra pagamento  del
debito tributario  e  sanzione  penale  (cfr.  art.  13-bis,  decreto
legislativo n. 74/00, richiamato a pag. 28 della sentenza); ne' il F.
avrebbe comunque sofferto una  pena  complessivamente  sproporzionata
non avendo provato di avere mai pagato alcunche' per l'imposta  evasa
in sede amministrativa. 
    Manifestamente irrilevante ai fini del giudizio e'  stata  quindi
ritenuta dal Giudice di primo grado la questione di costituzionalita'
sollevata dalla difesa ai sensi dell'art. 117 Costituzionale. 
Il giudizio di appello: 
    Nel presente giudizio di appello, attraverso  il  Motivo  esposto
nell'atto  di  impugnazione,   approfondito   ed   aggiornato   nelle
argomentazioni attraverso le successive Memorie del febbraio  2017  e
del dicembre 2019, ha riproposto la questione  della  violazione  del
principio del  «ne  bis  in  idem»  e  la  conseguente  richiesta  di
rimessione alla Corte costituzionale ex art. 117 Cost. come formulata
in primo grado, affrontando in particolare le seguenti questioni: 
A) Sulla definitivita' degli accertamenti amministrativi. 
    Rileva preliminarmente la difesa che il  Giudice  di  Parma,  pur
avendo riconosciuto la natura sostanzialmente penale  delle  sanzioni
amministrative  irrogate  al  F.,  ne  ha  erroneamente  escluso   la
definitivita' sulla base della notifica degli avvisi di  accertamento
avvenuta  nei  confronti  del  curatore  fallimentare  e  non   anche
dell'imputato. 
    Eccepisce invece la difesa che  il  termine  per  impugnare  tali
accertamenti sarebbe comunque decorso, con conseguente  definitivita'
dell'accertamento tributario, in quanto imputato - una volta ricevuta
in data 13 aprile 2016 la notifica di cui all'art. 415-bis del codice
di procedura penale - aveva avuto da quel momento la possibilita'  di
prendere visione degli atti del fascicolo processuale, con decorrenza
dei sessanta giorni utili ad impugnare la pretesa  punitiva:  termine
che,  inutilmente  decorso,  aveva  reso   definitive   le   sanzioni
amministrative  irrogategli   (si   richiama   giurisprudenza   della
Cassazione Civile sul punto). 
    Inoltre (cfr.  Memoria  difensiva  ex  art.  121  del  codice  di
procedura penale del 13 febbraio 2017 con allegati)  come  dimostrato
dalle  produzioni  documentali  difensive  l'Agenzia  delle   Entrate
risulta essersi  insinuata  nel  fallimento  producendo  gli  importi
caricati a ruolo  in  data  20  ottobre  2014  ed,  in  relazione  al
procedimento amministrativo definitivamente conclusosi, ha  richiesto
al fallimento la riscossione dell' intero ammontare delle imposte non
pagate oltre alle sanzioni per le  somme  di  euro  6.642.921,70  per
l'anno 2010 e di euro 4.785.664,50 per l'anno 2011. 
    Il  Giudice  avrebbe  poi  erroneamente  dato  rilevanza,   nella
valutazione  del  caso,   al   mancato   pagamento   delle   sanzioni
amministrative da parte del F. ricollegando a tale omissione  la  non
definitivita' del procedimento tributario;  sul  punto  ritenendo  la
difesa erronea l'interpretazione data in primo grado alla sentenza «A
e B  contro  Norvegia»  del  2016,  utilizzata  per  suffragare  tale
assunto. 
    L'appellante pertanto, ripercorrendo gli orientamenti della Corte
EDU, ritiene che il procedimento penale a carico  del  F.  sia  stato
iniziato  e  proseguito  quando  il  procedimento  avviato  in   sede
tributaria era  gia'  da  tempo  divenuto  definitivo,  con  evidente
violazione del divieto di un secondo giudizio per il medesimo fatto. 
B) Sull'assenza di  una  stretta  connessione  temporale  tra  i  due
procedimenti. 
    Rilevato  che  l'identita'  soggettiva  ed  oggettiva   dei   due
procedimenti  e  la  natura  penale  della  sanzione   amministrativa
tributaria  costituiscono  presupposti  riconosciuti  nella  presente
fattispecie dallo stesso Giudice di primo grado, la difesa ricorda  i
requisiti che la Grande Camera nella sentenza A e B  contro  Norvegia
del 2016 ha indicato al  fine  di  riconoscere  tra  il  procedimento
amministrativo  e   quello   penale   quella   «stretta   connessione
sostanziale e temporale» necessaria affinche' gli Stati membri  siano
legittimati ad adottare, per sanzionare gli stessi fatti, il  sistema
cd. del «doppio binario» senza incorrere nella violazione del «ne bis
in idem»: i due procedimenti devono perseguire scopi complementari  e
prendere in considerazione aspetti diversi della condotta;  non  deve
esservi duplicazione nella raccolta e  valutazione  della  prova;  le
sanzioni irrogate in uno dei due procedimenti vanno tenute  in  conto
nell'altro per evitare una sproporzionatezza della pena; il  soggetto
non deve essere esposto ad una situazione di perdurante incertezza. 
    Secondo la difesa il Giudice di primo grado  avrebbe  errato  nel
ritenere che i due procedimenti, oltre che paralleli, possano  essere
anche consecutivi - come affermato in motivazione - essendo solo  nel
primo caso possibile riconoscere tra gli  stessi  quella  connessione
«in time and in  substance»  richiesta  dalla  sentenza  europea  per
escludere l'applicazione del «ne bis in idem». 
    Pur  ricordando  la  necessita'  di  una   «stretta   connessione
cronologica» tra i due procedimenti il Giudice  ha  infatti  ritenuto
che nel caso di  specie  -  in  cui  il  procedimento  tributario  e'
divenuto    definitivo    qualche    mese    prima    dell'iscrizione
dell'appellante nel registro degli indagati (18 novembre 2014), ma in
cui la prima udienza dibattimentale  si  e'  svolta  nel  2016  e  la
sentenza di primo grado qui appellata e' stata  emessa  il  17  marzo
2017 - tale requisito sia stato rispettato. 
    Al contrario, secondo la difesa, si e'  in  tal  modo  creata  ai
danni del F. la situazione opposta, costituita da quell'esposizione a
«perdurante situazione di incertezza» che il divieto  «bis  in  idem»
intende  appunto  scongiurare,  essendo  venuta   meno   la   stretta
connessione cronologica tra i procedimenti. 
C)  Sull'identita'  delle  condotte  sanzionate  perseguite  e  delle
finalita' perseguite dai due procedimenti. 
    Il Giudice, pur concordando sulla natura  penale  della  sanzione
amministrativa irrogata all'imputato alla stregua dei  noti  «criteri
Engel», ha erroneamente sostenuto che essa avrebbe scopi  diversi  da
quella   penale:   in   particolare   la   sanzione    amministrativa
interesserebbe l'evasione mentre quella  penale  l'aspetto  specifico
della fraudolenza della condotta, e cio' in contrasto con  lo  stesso
tenore delle norme. 
    Altrettanto infondatamente il Giudice  avrebbe  ritenuto  che  in
sede penale si possa prendere in considerazione la sanzione  irrogata
nel procedimento tributario solo nel  caso  in  cui  il  contribuente
abbia pagato la sanzione amministrativa, quantificando cosi' la  pena
in misura eccessiva e  molto  superiore  ai  limiti  minimi  edittali
(quindi non proporzionata)  facendo  riferimento  alla  gravita'  dei
fatti ed all'intensita' del dolo. 
    Con la Memoria difensiva di data 5 dicembre  2019  la  difesa  ha
ripreso i sopraindicati Motivi di appello alla  luce  dell'evoluzione
subita dalla giurisprudenza sovranazionale negli anni successivi alla
sentenza Grande Stevens/Italia del 2014,  passando  per  la  sentenza
della Grande Camera di Strasburgo «A e B/Norvegia»  del  18  novembre
2016 fino alle sentenza della Corte EDU  «Bjarni  Armannsson/Islanda»
del 16 aprile 2019 e  della  sentenza  «Nodet/Francia»  del  medesimo
anno, per sottolineare la rilevanza data dalla  Corte  sovranazionale
alla «close connection in substance and in time» al fine di escludere
l'operativita' del «ne bis in idem» ribadendo l'assenza  -  nel  caso
che qui occupa - di tale stretta connessione tra i  due  procedimenti
specie sotto il profilo cronologico. 
    Evidenzia infatti la difesa che  la  giurisprudenza  europea  dal
2016, pur concedendo al giudice nazionale maggiore  discrezionalita',
richiede un esame particolarmente stringente e rigoroso in  merito  a
tale connessione essendo sufficiente la mancanza anche  solo  di  uno
dei requisiti sopraindicati ad integrare violazione del  divieto  «ne
bis in idem» essendo essi non alternativi ma necessariamente entrambi
presenti affinche' possa ritenersi  legittimata  l'adozione  del  cd.
doppio binario. 
Le conclusioni difensive in ordine al caso specifico di F. A. P. 
    La difesa ha premesso che: 
      1) Risulta dagli estratti ruolo in atti, datati 20 aprile 2014,
che in  tale  data  erano  state  gia'  state  irrogate  le  sanzioni
amministrative, divenute definitive il 18 settembre 2014  e  pari  al
100% delle imposte evase; 
      2) A seguito della segnalazione dell'Agenzia delle Entrate  che
aveva svolto gli accertamenti tributari l'imputato era stato iscritto
nel registro delle persone indagate in data 18 novembre 2014; 
      3) L'azione penale nei  suoi  confronti  era  stata  tutta  via
esercitata solo il 13 settembre 2016; 
      4) La prima udienza dibattimentale nel  giudizio  penale  aveva
avuto luogo il 12 gennaio 2017; 
      5) La sentenza di primo grado era stata pronunciata  nel  marzo
2017; 
      6) Il processo penale non si e' ancora concluso  ed  alla  data
odierna (2020) si trova in grado di appello. 
    Ponendo a confronto tali dati con i requisiti richiesti  in  sede
europea, la difesa  ha  ritenuto  evidente  nel  caso  di  specie  la
violazione del «ne bis in idem» in quanto: 
      a) L'identita' del fatto e' indiscussa  ed  e'  stata  ritenuta
anche nella sentenza di primo grado; 
      b) L'identita' del soggetto e' evidente; 
      c) La sanzione amministrativa irrogata  in  via  definitiva  ha
natura sostanziale penale, come riconosciuto  anche  dal  giudice  di
primo grado; 
      d) Essa persegue gli stessi scopi della sanzione penale  e  non
scopi complementari; 
      e) Il procedimento amministrativo tributario  e'  da  ritenersi
definitivo fondandosi l'opposta valutazione del  giudice  su  assunti
errati quali  il  mancato  pagamento  della  sanzione  e  la  mancata
notifica   dell'avviso   di   accertamento   all'imputato   che    ne
consentirebbe tuttora l'impugnazione; 
      f) Nessuna valenza ha nel caso di  specie  la  circostanza  del
mancato pagamento della sanzione amministrativa, che erroneamente  il
Giudice ha ritenuto essenziale ai fini dell'applicazione del divieto,
riportandosi ad un passaggio della sentenza  n.  43  del  2018  della
Corte costituzionale che, nel rigettare la stessa eccezione  proposta
dall'Avvocatura dello Stato, ha precisato che «cio' che  rileva  allo
scopo e'  la  definitivita'  della  sanzione  amministrativa  il  cui
pagamento  rappresenta  soltanto  un  elemento  sintomatico  di  tale
irrevocabilita'»; rilevando la  difesa  che  nel  caso  in  esame  le
sanzioni amministrative  irrogate  sono  state  iscritte  a  ruolo  e
l'Agenzia delle Entrate  si  e'  insinuata  attraverso  di  esse  nel
fallimento   in   data   10   ottobre    2014,    quindi    all'esito
dell'evidentemente definitivo procedimento amministrativo; 
      g) Non si vede sotto quale aspetto differiscano le sanzioni  di
cui ai due procedimenti vista la medesima natura sostanziale penale e
la finalizzazione di entrambe a reprimere le  stesse  condotte  ed  a
perseguire gli stessi interessi; 
      h) Vi e' pertanto nel caso in esame piena identita' tra  i  due
procedimenti dal punto di vista  dell'oggetto,  del  soggetto,  della
natura sostanzialmente penale delle sanzioni e della identita'  delle
loro finalita'; 
      i) Quanto al profilo  istruttorio  e  probatorio  -  avendo  il
Giudice penale fondato la sentenza di condanna sui soli  accertamenti
di tipo induttivo tipici della sede amministrativa tributaria,  tutti
acquisiti agli atti - non si e' verificata  nessuna  duplicazione  di
prova tra i due diversi procedimenti: ma tale sovrapposizione tra  il
regime probatorio tipico del  procedimento  amministrativo  a  quello
penale, benche' quest'ultimo sia guidato  da  ben  altri  principi  e
garanzie specie in materia di formazione  della  prova,  lungi  dalli
essere stato fisiologico costituisce nel caso  in  esame  oggetto  di
specifica doglianza di merito della difesa, contenuta in altro Motivo
di Appello in cui si chiede la riforma  in  senso  assolutorio  della
sentenza di condanna per il mancato rispetto da parte  del  Tribunale
monocratico delle regole e delle  garanzie  proprie  della  procedura
penale volte alla formazione della prova; 
      j) Anche  il  criterio  della  proporzionalita'  non  e'  stato
rispettato nel  caso  in  esame  in  quanto,  benche'  fossero  state
inflitte all'imputato nel 2014 sanzioni amministrative pari  al  100%
delle imposte evase - e quindi di portata tale da potersi definire di
natura penale - il Giudice penale non ne avrebbe tenuto  alcun  conto
infliggendo al F. una  pena  detentiva  severissima  sull'ininfluente
presupposto del mancato pagamento di tali sanzioni. 
    La difesa all'udienza del 10 gennaio 2020 si e'  richiamata  alla
questione di costituzionalita' che la Corte ha accolto  emettendo  la
presente ordinanza di  rimessione  alla  Corte  costituzionale  della
relativa questione di legittimita' per i seguenti 
 
                               Motivi 
 
    La questione di  costituzionalita'  sottoposta  dalla  difesa  si
ritiene rilevante  ai  fini  della  decisione  e  non  manifestamente
infondata, condividendosi le  ampie  argomentazioni  difensive  sopra
dettagliatamente esposte e che trovano precisa rispondenza negli atti
di causa. 
    Analoga questione relativa all'operativita' del «ne bis in  idem»
in materia tributaria risulta essere stata sottoposta al vaglio della
Corte costituzionale dal Giudice del Tribunale di Monza con ordinanza
di remissione n. 236 del 30 giugno 2016. 
    In particolare il Giudice aveva  investito  la  Corte  EDU  della
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 649 del codice  di
procedura penale - operativo nel diritto interno  solo  nei  rapporti
tra procedimenti penali - per contrasto con l'art. 117, comma 1 Cost.
in  relazione  all'art.  4  della  Convenzione  Europea  dei  Diritti
dell'Uomo nella parte in cui non prevede l'applicabilita' del «ne bis
in idem» nei confronti  di  imputato  al  quale,  relativamente  agli
stessi fatti, sia gia' stata irrogata in via  definitiva  nell'ambito
di  un  procedimento  tributario  una  sanzione   amministrativa   di
carattere sostanzialmente penale ai sensi della  Convenzione  europea
dei diritti dell' uomo e dei relativi protocolli. 
    Il caso sottoposto alla Corte europea riguardava una  fattispecie
tributaria simile a quella ora  in  esame  in  quanto  riferita  alla
posizione di un imputato della violazione  dell'art.  5  del  decreto
legislativo n. 74/2000 per non avere presentato, ai fini  di  evadere
le imposte  ai  fini  IRPEF  ed  IVA,  le  prescritte  dichiarazioni,
essendone derivata un'evasione superiore alle soglie di legge. 
    Essendogli gia' state irrogate in via definitiva e per le  stesse
condotte -  come  risultava  dagli  avvisi  di  accertamento  del  20
febbraio 2013 e dai «dettaglio partita di ruolo» in atti  -  sanzioni
amministrative per un importo equivalente al 120% dell'imposta  evasa
il giudice, ravvisando le condizioni legittimanti il divieto cd.  «ne
bis in idem»  ostativo  alla  prosecuzione  del  processo  penale  in
relazione ai fatti gia' sanzionati in via amministrativa in base alla
giurisprudenza   sovranazionale,    aveva    investito    la    Corte
costituzionale della relativa questione di legittimita'  nei  termini
di cui sopra. 
    La Corte costituzionale con sentenza n. 43 del  24  gennaio  2018
Pres. Lattanzi restituiva gli atti al Giudice del Tribunale di  Monza
per  nuovo  esame  della  questione  proposta  alla  luce  dello  jus
superveniens europeo, nelle more innovato a seguito  dell'intervenuta
sentenza, nelle more,  della  Grande  Camera  di  Strasburgo  del  28
novembre 2016 nel caso «A e B contro Norvegia» alla quale attribuisce
valenza  di  diritto  consolidato  integrante  un  vero   e   proprio
revirement idoneo a mutare profondamente i criteri  utilizzabili  per
il riconoscimento del divieto in questione, attribuendo al giudicante
una discrezionalita' prima assente. 
    Se per la  precedente  giurisprudenza  europea  la  definitivita'
della sentenza in ordine al medesimo fatto ed  al  medesimo  soggetto
segnava il momento a  partire  dal  quale  la  mera  protrazione  del
secondo procedimento avrebbe violato automaticamente il principio «ne
bis ira idem», la Corte Edu con tale ultima pronuncia  ha  reso  solo
eventuale tale violazione escludendola  qualora  i  due  procedimenti
siano caratterizzati da quella  che  e'  stata  definita  una  «close
connection in substance and in time» tale da  rendere  inoperante  la
garanzia di cui all'art. 4 protocollo 1 CEDU; individuando  la  Corte
sovranazionale, ai  fini  del  riconoscimento  di  tale  connessione,
alcuni criteri sintomatici destinati a guidare  i  giudici  nazionali
nella valutazione, quali: 
      la circostanza che  i  due  procedimenti  perseguano  finalita'
complementari e relative ad aspetti diversi delle condotta; 
      il grado di coordinamento dei due procedimenti; 
      la prevedibilita' della loro duplicazione; 
      la  possibilita'  di  tenere  conto  della  pena  inflitta  nel
precedente  procedimento  in  sede  di  irrogazione  della   sanzione
relativa  al  secondo  di  essi  al   fine   di   prevenire   eccessi
sanzionatori; 
      l'appartenenza  di  entrambe  le  sanzioni  all'hard  core  del
diritto penale. 
    Nell'esaminare  la  questione  di  costituzionalita'  sollecitata
dalla difesa ed al fine di valutarne la  non  manifesta  infondatezza
questa Corte deve tenere conto dell'evoluzione  della  giurisprudenza
sovranazionale. 
    Dopo la Grande Camera di Strasburgo del 28 novembre 2016 nel caso
«A e B contro Norvegia» - peraltro tale da porre i giudici  nazionali
in  seria   difficolta'   nella   delicata   indagine   relativa   al
riconoscimento o meno di quella «close connection in substance and in
time» idonea  ad  escludere  l'applicazione  del  «ne  bis  in  idem»
(quest'ultima  privata  dell'automaticita'  stabilita  dalla  «Grande
Stevens contro Italia» del 2014) - sono infatti intervenute ulteriori
pronunce che ne hanno precisato i contorni,  richiamate  anche  dalla
difesa del F. nella Memoria del 5 dicembre 2019. 
    Vanno in particolare ricordate: 
      1) la sentenza della Corte EDU «Bjarni  Armannsson/Islanda  del
16 aprile 2019 nella quale si fa applicazione pratica e rigorosa  dei
criteri enunciati dalla sentenza della Grande Camera A e B  /Norvegia
del 2016. 
    Benche' nel caso sottoposto al suo esame il Giudice penale avesse
tenuto conto, nell'irrogare la pena,  della  sanzione  amministrativa
applicata in via definitiva all'imputato per lo stesso  fatto  e  non
potesse  rilevarsi  una  sproporzione  della   sanzione   globalmente
inflitta, la Corte ha ritenuto  violato  il  divieto  di  un  secondo
giudizio per assenza della necessaria «close connection»  tra  i  due
procedimenti  condannando  lo  Stato   islandese   per   la   mancata
applicazione del divieto del  doppio  binario  stante  l'«assenza  di
sovrapposizione»  tra  i  due  procedimenti  ed   il   loro   mancato
coordinamento dal punto di vista sia «dell'acquisizione e valutazione
della  prova»  sia  del  profilo  cronologico,  dal  momento  che  il
procedimento amministrativo e quello penale  avevano  condiviso  solo
pochi mesi (da  marzo  ad  agosto  2012)  e  che  quello  penale  era
proseguito per anni nonostante quello amministrativo fosse  stato  da
tempo definito. 
      2) La sentenza «Nodet/Francia» del 2019 con la quale  la  Corte
Europea,  fornendo  ulteriore  elenco  dei  criteri  che  il  giudice
nazionale deve osservare al fine di valutare la  sussistenza  o  meno
del divieto di secondo giudizio, ha fatto nuovamente  riferimento  al
criterio della «connessione in  senso  cronologico»;  e  -  ponendosi
sulla scia delle precedenti sentenze sovranazionali  -  decidendo  un
caso in cui riteneva  rispettato  il  principio  di  proporzionalita'
della sanzione richiesto dalla sentenza «A e B/Norvegia», ha tuttavia
ritenuto violato il «ne bis in idem» valutando che: 
        a)  i   due   procedimenti   non   perseguissero   obbiettivi
complementari in quanto diretti a sanzionare i  medesimi  aspetti  di
dannosita' del fatto ed a tutelare identici interessi; 
        b) non vi era  stata  stretta  connessione  temporale  tra  i
procedimenti che erano stati simultaneamente condotti  per  soli  due
anni (dal  2007  al  2009),  dopo  di  che  il  processo  penale  era
proseguito per ulteriori quattro anni. 
    Tanto premesso,  dall'analisi  dell'evoluzione  giurisprudenziale
sovranazionale si rileva che la valutazione  alla  quale  il  Giudice
nazionale  e'  tenuto  ai  fini  dell'individuazione   della   «close
connection in substance and in time», benche' caratterizzata da  piu'
ampia discrezionalita' rispetto ai criteri  dettati  nel  2014,  deve
essere comunque stringente e rigorosa essendo sufficiente la mancanza
anche solo di uno  dei  requisiti  sopra  indicati  ad  integrare  la
violazione del «ne bis in idem» poiche' non alternativi tra  di  loro
ma  necessariamente  entrambi  presenti  al  fine  di  consentire  la
duplicazione dei procedimenti. 
    In  tale  contesto  giurisprudenziale  sovranazionale  va  quindi
valutata e verificato il requisito della «non manifesta infondatezza»
della  questione  di  costituzionalita'  invocata  dalla  difesa   in
relazione alla presente fattispecie, della  quale  vanno  di  seguito
sinteticamente   indicate   -   quale   premessa   -   le    seguenti
caratteristiche: 
      1) il procedimento amministrativo tributario e'  riferito  alle
medesime condotte contestate al F. nel processo penale  e  quindi  ai
medesimi fatti naturalisticamente intesi, come peraltro  riconosciuto
anche dal Giudice di primo grado e come  appare  di  solare  evidenza
confrontando l'art. 4 del decreto legislativo n. 74/2000  oggetto  di
contestazione  e  imputazione  mossa  al  F.  nel  processo   penale,
consistente nella illecito amministrativo di infedele  e  fraudolenta
dichiarazione ai fini IRPEF ed IVA di cui agli articoli  1  e  5  del
decreto legislativo n. 471/1997 che prevedono sanzioni  dal  100%  al
200% della maggiore imposta o della differenza di credito; 
      2)   la   natura   sostanzialmente   penale   della    sanzione
amministrativa prevista ed irrogata al F. e'  evidente  alla  stregua
dei cd. «criteri Engel». 
    Come e' noto  quest'ultima  pronuncia  attribuisce  rilievo  alla
qualificazione giuridica, alla natura ed al grado di severita'  della
sanzione  inflitta,  ed  in  particolar  modo  alla  circostanza  che
quest'ultima concreti un quid pluris  rispetto  all'imposta  evasa  e
presenti dunque un significativo grado  di  afflittivita',  idoneo  a
produrre un effetto dissuasivo e non meramente restitutori o; e  tali
criteri hanno trovato applicazione  nella  successiva  giurisprudenza
sovranazionale che tiene conto dell'elevato grado di severita'  della
sanzione amministrativa,  idoneo  a  conferirle  natura  e  finalita'
repressive  e  preventive,  allo  stesso  modo  della  corrispondente
fattispecie penale. 
    Va qui ricordato che per es. con la sentenza Lucky Dev/Svezia del
27 novembre 2014 la Corte  sovranazionale  ha  ritenuto,  utilizzando
proprio tale criterio, che una  sanzione  amministrativa  in  materia
tributaria   abbia   natura   sostanzialmente   penale   in    quanto
corrispondente al 40% ed al 20% del tributo evaso dal contribuente  a
seguito di omessa dichiarazione dei redditi ed a fini IVA. 
    A fronte degli orientamenti  sopra  esposti  si  ritiene  che  le
sanzioni  amministrative  applicate  all'appellante,  milionarie   ed
addirittura superiori alle imposte evase (cfr. quanto agli importi il
seguente punto 3), ebbero natura penale sostanziale. 
    Si ritiene pertanto che nel caso in esame  le  sanzioni  previste
dal «doppio binario» riguardino le medesime condotte e siano entrambe
di  natura  penale  nonche'  finalizzate   agli   stessi   obbiettivi
repressivi e specialpreventivi. 
      3)  Si  ritiene  provata  la   definitivita'   della   sanzione
amministrativa, intervenuta prima dell'instaurazione del procedimento
penale, rilevandosi dagli atti di causa che Equitalia si insinuo' nel
fallimento con gli importi gia' caricati a ruolo il 20  ottobre  2014
dopo la notifica al curatore fallimentare dott. Foschi, avvenuta il 4
luglio 2014 (la ditta individuale del  F.  essendo  stata  dichiarata
fallita con sentenza depositata il 19 dicembre 2013) degli avvisi  di
accertamento mai impugnati (cfr. la relativa documentazione, allegata
dalla difesa alla Memoria ex art. 121 del codice di procedura  penale
del 13 febbraio 2017 nel processo di primo grado) richiedendo in tale
sede la riscossione dell'intero ammontare delle  imposte  non  pagate
oltre  alle  sanzioni   amministrative   previste,   pari   ad   euro
6.642.921,70 per l'anno 2010 e ad euro 4.785.664,50 per il 2011. 
    Non si ritengono fondate le argomentazioni del Giudice  di  primo
grado secondo il quale  gli  avvisi  di  accertamento  notificati  al
curatore non  sarebbero  divenuti  definitivi  per  il  F.  che,  non
risultando destinatario di tale notifica, sarebbe quindi  tuttora  in
termini per impugnarli. 
    Vale infatti in campo civile la rappresentanza del curatore che -
comportando il fallimento la perdita della legittimazione sostanziale
e processuale del titolare dell'impresa -  subentra  a  rappresentare
quest'ultimo (cfr. sul punto, ex  plurimis,  Cass.  Civile  Sez.  VI.
Ordinanza n. 12789 del /6/2014 Rv. 631115-01); ne' la circostanza del
mancato pagamento, da parte dell'imputato, delle  precitate  sanzioni
amministrative riverbera effetti  su  tale  definitivita'  in  quanto
elemento estrinseco ed indipendente da quest'ultima come statuito  in
modo  inequivoco  dalla  gia'   richiamata   sentenza   della   Corte
costituzionale n. 43 del 2018. 
      4) Non si e' tenuto conto in sede di trattamento sanzionatorio,
nel giudizio di primo grado -  sulla  base  dell'erroneo  presupposto
costituito  dal  mancato  pagamento  -  dell'entita'  particolarmente
elevata della  sanzione  amministrativa  applicata;  si  e'  pertanto
verificata nel caso in esame la sproporzionalita' per  eccesso  della
sanzione globalmente inflitta al  F.,  secondo  i  criteri  enunciati
dalla giurisprudenza della Corte EDU. 
        5) Se di fatto non vi e' stata duplicazione di prova - avendo
il Giudice di primo grado utilizzato ai fini  della  condanna  penale
gli  stesso  elementi   gia'   posti   alla   base   delle   sanzioni
amministrative: circostanza alla  base  di  un  ulteriore  Motivo  di
appello della difesa che di tale sovrapposizione di  prova  si  duole
chiedendo  la  riforma  della  sentenza  di  primo  grado  in   senso
assolutorio e' invece mancato il requisito della stretta  connessione
cronologica (close connection in time) dei  due  procedimenti,  sulla
base della datazione degli  atti  emessi  in  sede  amministrativa  e
penale. 
    Il procedimento amministrativo si concluse definitivamente  il  4
settembre 2014 (sessanta giorni dopo la notifica  al  curatore  degli
avvisi di accertamento avvenuta il 4 luglio 2014);  la  comunicazione
della notizia di reato venne inviata alla  competente  Procura  della
Repubblica il 31 ottobre 2014; l'azione penale fu esercitata solo  in
data 13 settembre 2016; si giunse alla sentenza di condanna di  primo
grado nel marzo del 2017; nel corrente anno 2020 il  processo  penale
si trova ancora pendente in fase di appello,  quindi  a  distanza  di
quasi sei anni dalla definitivita' del procedimento amministrativo; i
due  procedimenti  a  cd.  «doppio  binario»  non  procedettero   mai
contestualmente. 
    Sulla base di quanto sopra si ritiene che nel caso in  esame  non
possa parlarsi di «close connection in time», requisito da  valutarsi
secondo i criteri forniti dalla sentenza della Grande Camera «A  e  B
contro  Norvegia»  ed  approfonditi  dalla  sopra  citata  evoluzione
giurisprudenziale europea (cfr. le sentenze della Corte  EDU  «Bjarni
Armannsson/Islanda del 16 aprile 2019 e «Nodet/Francia» del 2019) che
ha ritenuto violato il divieto del «ne bis in idem» ove fosse assente
il requisito della «close connection in time» poiche' i due processi,
per  quanto  caratterizzati  da  un  decorso  quantomeno   in   parte
contestuale (circostanza mai verificatasi nella fattispecie in esame)
erano stati caratterizzati da una notevole discrasia temporale tra la
conclusione del procedimento tributario e  quella  prospettabile  per
quello penale. 
    Applicando detti principi al caso di specie deve quindi ritenersi
che la sanzione penale subita dal F. sia stata  una  duplicazione  di
quella amministrativa, con conseguente violazione del  principio  del
«ne bis in idem» posto dall'art.  4  protocollo  7  CEDU  come  sopra
interpretato dalla Corte di Strasburgo. 
    In assenza della possibilita' di  un'interpretazione  adeguatrice
del diritto interno la questione  va  quindi  rimessa  al  vaglio  di
legittimita' della Corte costituzionale (cfr. Corte costituzionale n.
43 del 24 gennaio 2018 Pres. Lattanzi) ritenendola non manifestamente
infondata per i Motivi tutti che precedono;  laddove  la  sussistenza
dell'ulteriore presupposto della «rilevanza  ai  fini  dei  decidere»
pare di immediata evidenza poiche' dall'eventuale accoglimento  della
rimessa  questione   di   legittimita'   costituzionale   deriverebbe
l'improcedibilita' del presente giudizio  di  appello  in  forza  del
principio del «ne bis in idem». 
 
                              P. Q. M. 
 
    La Corte di Appello di Bologna, 
    Visto l'art. 23 legge n. 87/1953; 
    ritenuta la rilevanza e la non manifesta infondatezza; 
    sottopone   all'Ecc.ma   Corte   costituzionale   questione    di
legittimita' costituzionale dell'art. 649  del  codice  di  procedura
penale per contrasto con l'art. 117 Cost.  in  relazione  all'art.  4
protocollo 7 della Convenzione Europea dei  Diritti  dell'Uomo  nella
parte in  cui  non  prevede  l'applicabilita'  della  disciplina  del
divieto di un secondo giudizio nei confronti dell'imputato al  quale,
con riguardo agli stessi  fatti,  sia  stata  gia'  irrogata  in  via
definitiva,  nell'ambito  di  un  procedimento  amministrativo,   una
sanzione  di  carattere  sostanzialmente  penale   ai   sensi   della
Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo e  relativi  protocolli  ed
alla luce dei criteri fissati dalla giurisprudenza CEDU; 
    dispone la  sospensione  del  giudizio  in  corso  e  l'immediata
trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; 
    visto l'art. 159  comma  1  n.  2  cp  sospende  il  corso  della
prescrizione. 
    Dispone che la presente ordinanza sia  notificata  al  Presidente
del Consiglio dei ministri, e  comunicata  ai  Presidenti  delle  due
Camere del Parlamento nonche' alle parti processuali. 
      Bologna, 10 gennaio 2020 
 
                       Il Presidente: Ghedini 
 
 
                                   Il consigliere estensore: Raimondi