N. 164 ORDINANZA (Atto di promovimento) 3 giugno 2020
Ordinanza del 3 giugno 2020 della Corte d'appello di Bologna nel procedimento penale a carico di F. A. P.. Processo penale - Divieto di un secondo giudizio - Mancata previsione dell'applicabilita' della disciplina del divieto di un secondo giudizio nei confronti dell'imputato al quale, con riguardo agli stessi fatti, sia stata gia' irrogata in via definitiva, nell'ambito di un procedimento amministrativo, una sanzione di carattere sostanzialmente penale alla luce dei criteri fissati dalla giurisprudenza della Corte EDU. - Codice di procedura penale, art. 649.(GU n.49 del 2-12-2020 )
CORTE D'APPELLO DI BOLOGNA Sezione I penale Ordinanza di rimessione di questione di legittimita' costituzionale Riunita in camera di consiglio nelle persone di: dott. Luca Ghedini - Presidente; dott.ssa Anna Mori - Consigliere; dott.ssa Luisa Raimondi - Consigliere estensore; premesso che: Si procede in questa sede a seguito di appello promosso dalla difesa dell'imputato F. A. P. avverso sentenza di condanna alla pena di anni due mesi otto di reclusione emessa il 17 aprile 2017 dal Giudice monocratico del Tribunale di Parma per il reato continuato di cui agli a articoli 81 cpv cp e 4 del decreto legislativo n. 74/2000 per avere il F., quale titolare di partita IVA relativa ad attivita' di consulenza amministrativa ed al fine di evadere le imposte IRPEF ed IVA, indicato nelle dichiarazioni annuali d'imposta relative alle annualita' 2010 e 2011 elementi passivi fittizi per gli importi di cui all'imputazione, con evasione superiore alle soglie legali di punibilita'. E' stata riproposta nel presente grado di giudizio dalla difesa dell'appellante in sede di Motivi di appello un'eccezione gia' rigettata dal Tribunale e fondata sulla ritenuta sussistenza nel caso di specie della violazione del principio del «ne bis in idem» con conseguente richiesta alla Corte di sottoporre a vaglio di costituzionalita' il dettato dell'art. 649 del codice di procedura penale ove non prevede l'applicazione di tale principio anche nei rapporti tra procedimento amministrativo - qualora afferente ad una sanzione alla quale si debba riconoscere natura penale ai sensi della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo (articoli 117 Cost. in relazione all'art. 4, prot. 7 Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo ed all'art. 4 del decreto legislativo n. 74/2000) - o, in subordine, di disporre rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell'Unione europea, ex art. 267 del Trattato sul Funzionamento dell'Unione europea per appurare se la previsione dell'art. 50 della Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea (Carta di Nizza), alla luce della giurisprudenza CEDU sull'interpretazione di detto art. 4, osti alla possibilita' di celebrare un procedimento penale avente ad oggetto un fatto per il quale l'imputato abbia riportato una sanzione amministrativa irrevocabile. Motivazione Il giudizio di primo grado Il Giudice del Tribunale di Parma ha ripercorso in sentenza le argomentazioni difensive poste a sostegno dell'assunto, fondate su quanto segue: a) gli avvisi di accertamento dell'Agenzia delle Entrate in atti per il 2010 e 2011, con i quali erano state comminate all'imputato severe sanzioni tributarie, facendo riferimento alle medesime condotte oggetto dell'attuale imputazione rivolta al F. nella presente sede penale evidenziano l'identita' oggettiva e soggettiva delle condotte contestate in entrambe le sedi; b) trattasi di sanzioni amministrative per la loro elevata entita' riconducibili alla materia penale sulla base dei principi piu' volte affermati dalla Corte CEDU; c) gli avvisi di accertamento, notificati al curatore fallimentare in data 4 luglio 2014, in quanto non impugnati da quest'ultimo nel termine dei sessanta giorni erano divenuti definitivi ed Equitalia Spa, emesse ed iscritte a ruolo le relative cartelle esattoriali, il 20 ottobre 2014 si era insinuata nel passivo della procedura concorsuale anche per gli importi delle sanzioni irrogate al F. dall'Agenzia delle Entrate in sede amministrativa; d) il 20 ottobre 2014 il procedimento amministrativo relativo all'irrogazione delle sanzioni pecuniarie de quibus si era definitivamente concluso e l'Agenzia delle Entrate solo successivamente - in particolare il 31 ottobre 2014 - aveva trasmesso la notizia di reato alla Procura della Repubblica di Parma ed il PM aveva esercitato l'azione penale il 13 settembre 2016, a distanza quindi di quasi due anni. Si sarebbe quindi violato il divieto del «ne bis in idem» in quanto il F. sarebbe stato sottoposto al procedimento penale anni dopo la conclusione e la definitivita' del procedimento amministrativo riguardante le medesime violazioni. Richiamava la difesa davanti al Tribunale (anno 2017) la recente sentenza «A e B contro Norvegia» pronunciata il 15 novembre 2016 dalla Grande Camera della Corte Edu secondo la quale tale divieto non precluderebbe la contemporanea apertura e celebrazione di un procedimento penale e di un procedimento amministrativo relativi al medesimo fatto a condizione che tra di essi sussista «una connessione sostanziale e temporale sufficientemente stretta»; da cio' derivando la conseguenza che - stante l'evidentemente ampio scollamento temporale tra i due procedimenti - il divieto «ne bis in idem» nel caso di specie sarebbe stato assoluto. Il Giudice di prime cure ha ritenuto infondate le argomentazioni difensive escludendo versarsi in un'ipotesi di violazione del predetto divieto. Ha preliminarmente richiamato i principi espressi dalla giurisprudenza della Corte EDU secondo la quale un soggetto non puo' essere perseguito e punito due volte per il medesimo fatto, cosicche' nel caso in cui oggetto del procedimento tributario - amministrativo e di quello penale siano le medesime condotte e le sanzioni amministrative irrogate rivestano una valenza non solo risarcitoria ma anche punitiva in quanto sanzionatoria e deterrente, le garanzie del giusto processo tra cui quella correlata al «ne bis in idem» devono ritenersi applicabili; e ne ha tratto le seguenti conclusioni: - La Corte di Cassazione ha affermato che il principio de quo non e' direttamente applicabile nell'ordinamento italiano in quanto, nel caso in cui si ritenga un contrasto tra una norma interna e quella europea, il giudice nazionale ove non sia possibile una interpretazione adeguatrice deve necessariamente denunciare la rilevata incompatibilita' con lo strumento della rimessione della questione di legittimita' costituzionale ex art. 117 Cost., non disponendo del potere di disapplicare direttamente la norma giudicata contrastante; - Nell'ordinamento interno il diritto garantito dal «ne bis in idem» e' tutelato dagli articoli 28 e segg., 649 e 669 del codice di procedura penale che si riferiscono tuttavia alla sola Autorita' giudiziaria penale, non essendone possibile un' interpretazione estensiva che applichi dette norme anche alle sanzioni amministrative; - Non vi e' dubbio secondo il Giudice di primo grado che i fatti, sanzionati sia in via amministrativa che penale, che riguardano il presente procedimento siano naturalisticamente identici ne' sul fatto che, secondo i parametri indicati in merito dalla Cedu attraverso i criteri cd «Engel», le elevate sanzioni amministrative comminate con le cartelle esattoriali in premessa rivestano carattere penale; - Mancherebbe tuttavia, secondo il giudicante, il presupposto della definitivita' del procedimento amministrativo, condizione che come piu' volte rilevato dalla giurisprudenza di legittimita' e' necessaria per l'applicazione del divieto; - Le cartelle esattoriali non risultano essere state notificate al F. ma solo al curatore nonostante il fatto che secondo il consolidato orientamento delle Sezioni civili della Cassazione - nel caso in cui i crediti siano maturati nei loro presupposti anteriormente alla dichiarazione di fallimento la notificazione debba avvenire anche nei confronti del contribuente (il fallito F. nel caso in esame) che ben potrebbe proporre personalmente ricorso avverso la pretesa punitiva tributaria in caso di inerzia sul punto degli organi fallimentari; - In assenza di notifica al fallito la procedura amministrativa secondo il Tribunale non sarebbe mai divenuta definitiva, il che di per se' precluderebbe l'applicazione del divieto in questione; - per di piu', afferma il Giudice, il prevenuto non aveva nemmeno allegato di aver pagato quantomeno in parte all'Erario le somme richiestegli, ne' offerto prova documentale sul punto; ed il pagamento delle sanzioni sarebbe anch'esso elemento necessario all'operativita' del divieto di un secondo giudizio come comprovato non solo da ragioni di logica e di equita' ma anche da pronunce intervenute in ambito CEDU che renderebbero evidente, si pure per implicito, tale presupposto; - il Giudice sul punto ha fatto riferimento alla nota sentenza del 16 novembre 2016 della Grande Camera della CEDU nel procedimento «A e B contro Norvegia» dalla quale risulta che la valutazione va compiuta in base ad una serie di parametri di natura eminentemente sostanziale avendo la Corte sovranazionale ritenuto l'inapplicabilita' del divieto - nonostante l'identita' dei fatti e del soggetto e l'integrale pagamento delle sanzioni amministrative prima nella condanna nel giudizio penale da parte dei ricorrenti - poiche' i giudici norvegesi avevano quantificato le pene inflitte ai due ricorrenti tenendo espressamente conto dell'entita' delle sanzioni gia' subite e pagate da questi ultimi: circostanza che il Giudice del Tribunale di Parma ha ritenuto dimostrativa del fatto che in sede di valutazione relativa alla violazione o meno del «ne bis in idem» dovrebbe tenersi conto anche del fattore del pagamento (o dell'omesso pagamento) della sanzione. Il Giudice di primo grado ha rilevato inoltre che: - l'art. 4, protocollo 7 CEDU non preclude di per se' l'adozione del diritto interno di una sistema cd. a doppio binario ammettendo instaurazione di due distinti procedimenti per la stesso fatto, purche' le risposte sanzionatone in tal modo cumulate non comportino per l'interessato un pregiudizio eccessivo; - la CEDU non vieta che i due distinti procedimenti possano essere, oltre che paralleli, anche consecutivi, purche' esistano meccanismi che rendano le risposte sanzionatorie «proporzionate e prevedibili» quando per esempio sussistano particolari ragioni di urgenza da parte dell'Amministrazione finanziaria e non consegua per il soggetto coinvolto un pregiudizio eccessivo dalla perdurante incertezza processuale; - la stessa Corte europea elenca gli elementi che ritiene indicatori della insussistenza di una violazione del principio «ne bis in idem» e che devono costituire una guida per i giudici nazionali, individuati: 1) negli scopi differenti e complementari cui sono rivolti i due procedimenti; 2) nella prevedibilita' per l'autore del fatto della duplicita' di provvedimenti; 3) nell'evitamento, nella trattazione dei due procedimenti, di ogni duplicazione nella ricerca e nella valutazione della prova, anche attraverso un'adeguata interazione tra le rispettive Autorita' competenti; 4) nel fatto che della sanzione applicata nel procedimento conclusosi per primo si tenga conto nel secondo procedimento, in modo da rispettare il principio di proporzionalita' complessiva della pena. Da quanto sopra il Giudice del Tribunale ha desunto che - quand'anche si ritenesse, nel caso di specie, che il procedimento amministrativo fosse divenuto definitivo anche nei confronti dell'imputato - sarebbe comunque da escludersi qualsiasi violazione del principio qui in esame essendo presenti tutte le condizioni indicate ai nn. 1-4 sopra riportate in quanto: la stretta contiguita' tra i due procedimenti sarebbe dimostrata dal fatto che pochissimi mesi separano la datazione degli avvisi di accertamento amministrativo (1° luglio 2014) e quella della iscrizione del F. nel registro degli indagati per i medesimi fatti (18 novembre 2014); diverso sarebbe lo scopo e l'oggetto delle due sanzioni in quanto in quella rivolta ai fini tributari ed amministrativi viene in considerazione la finalita' di recupero delle somme non versate mentre sul versante penale prevale l'aspetto della fraudolenza della condotta; l'imputato poteva anticipatamente prevedere la possibilita' di essere assoggettato al doppio binario, previsto espressamente dalla normativa interna; non vi e' stata alcuna duplicazione nella raccolta e nella valutazione della prova nell'ambito dei due procedimenti, elemento secondo la Corte Europea indice di avvenuta violazione del «ne bis in idem»; e' la normativa stessa che provvede a garantire, attraverso appositi meccanismi, che la sanzione globalmente inflitta sia caratterizzata da proporzionalita', prevedendo e regolando il decreto legislativo n. 74/2000 in modo espresso i rapporti tra pagamento del debito tributario e sanzione penale (cfr. art. 13-bis, decreto legislativo n. 74/00, richiamato a pag. 28 della sentenza); ne' il F. avrebbe comunque sofferto una pena complessivamente sproporzionata non avendo provato di avere mai pagato alcunche' per l'imposta evasa in sede amministrativa. Manifestamente irrilevante ai fini del giudizio e' stata quindi ritenuta dal Giudice di primo grado la questione di costituzionalita' sollevata dalla difesa ai sensi dell'art. 117 Costituzionale. Il giudizio di appello: Nel presente giudizio di appello, attraverso il Motivo esposto nell'atto di impugnazione, approfondito ed aggiornato nelle argomentazioni attraverso le successive Memorie del febbraio 2017 e del dicembre 2019, ha riproposto la questione della violazione del principio del «ne bis in idem» e la conseguente richiesta di rimessione alla Corte costituzionale ex art. 117 Cost. come formulata in primo grado, affrontando in particolare le seguenti questioni: A) Sulla definitivita' degli accertamenti amministrativi. Rileva preliminarmente la difesa che il Giudice di Parma, pur avendo riconosciuto la natura sostanzialmente penale delle sanzioni amministrative irrogate al F., ne ha erroneamente escluso la definitivita' sulla base della notifica degli avvisi di accertamento avvenuta nei confronti del curatore fallimentare e non anche dell'imputato. Eccepisce invece la difesa che il termine per impugnare tali accertamenti sarebbe comunque decorso, con conseguente definitivita' dell'accertamento tributario, in quanto imputato - una volta ricevuta in data 13 aprile 2016 la notifica di cui all'art. 415-bis del codice di procedura penale - aveva avuto da quel momento la possibilita' di prendere visione degli atti del fascicolo processuale, con decorrenza dei sessanta giorni utili ad impugnare la pretesa punitiva: termine che, inutilmente decorso, aveva reso definitive le sanzioni amministrative irrogategli (si richiama giurisprudenza della Cassazione Civile sul punto). Inoltre (cfr. Memoria difensiva ex art. 121 del codice di procedura penale del 13 febbraio 2017 con allegati) come dimostrato dalle produzioni documentali difensive l'Agenzia delle Entrate risulta essersi insinuata nel fallimento producendo gli importi caricati a ruolo in data 20 ottobre 2014 ed, in relazione al procedimento amministrativo definitivamente conclusosi, ha richiesto al fallimento la riscossione dell' intero ammontare delle imposte non pagate oltre alle sanzioni per le somme di euro 6.642.921,70 per l'anno 2010 e di euro 4.785.664,50 per l'anno 2011. Il Giudice avrebbe poi erroneamente dato rilevanza, nella valutazione del caso, al mancato pagamento delle sanzioni amministrative da parte del F. ricollegando a tale omissione la non definitivita' del procedimento tributario; sul punto ritenendo la difesa erronea l'interpretazione data in primo grado alla sentenza «A e B contro Norvegia» del 2016, utilizzata per suffragare tale assunto. L'appellante pertanto, ripercorrendo gli orientamenti della Corte EDU, ritiene che il procedimento penale a carico del F. sia stato iniziato e proseguito quando il procedimento avviato in sede tributaria era gia' da tempo divenuto definitivo, con evidente violazione del divieto di un secondo giudizio per il medesimo fatto. B) Sull'assenza di una stretta connessione temporale tra i due procedimenti. Rilevato che l'identita' soggettiva ed oggettiva dei due procedimenti e la natura penale della sanzione amministrativa tributaria costituiscono presupposti riconosciuti nella presente fattispecie dallo stesso Giudice di primo grado, la difesa ricorda i requisiti che la Grande Camera nella sentenza A e B contro Norvegia del 2016 ha indicato al fine di riconoscere tra il procedimento amministrativo e quello penale quella «stretta connessione sostanziale e temporale» necessaria affinche' gli Stati membri siano legittimati ad adottare, per sanzionare gli stessi fatti, il sistema cd. del «doppio binario» senza incorrere nella violazione del «ne bis in idem»: i due procedimenti devono perseguire scopi complementari e prendere in considerazione aspetti diversi della condotta; non deve esservi duplicazione nella raccolta e valutazione della prova; le sanzioni irrogate in uno dei due procedimenti vanno tenute in conto nell'altro per evitare una sproporzionatezza della pena; il soggetto non deve essere esposto ad una situazione di perdurante incertezza. Secondo la difesa il Giudice di primo grado avrebbe errato nel ritenere che i due procedimenti, oltre che paralleli, possano essere anche consecutivi - come affermato in motivazione - essendo solo nel primo caso possibile riconoscere tra gli stessi quella connessione «in time and in substance» richiesta dalla sentenza europea per escludere l'applicazione del «ne bis in idem». Pur ricordando la necessita' di una «stretta connessione cronologica» tra i due procedimenti il Giudice ha infatti ritenuto che nel caso di specie - in cui il procedimento tributario e' divenuto definitivo qualche mese prima dell'iscrizione dell'appellante nel registro degli indagati (18 novembre 2014), ma in cui la prima udienza dibattimentale si e' svolta nel 2016 e la sentenza di primo grado qui appellata e' stata emessa il 17 marzo 2017 - tale requisito sia stato rispettato. Al contrario, secondo la difesa, si e' in tal modo creata ai danni del F. la situazione opposta, costituita da quell'esposizione a «perdurante situazione di incertezza» che il divieto «bis in idem» intende appunto scongiurare, essendo venuta meno la stretta connessione cronologica tra i procedimenti. C) Sull'identita' delle condotte sanzionate perseguite e delle finalita' perseguite dai due procedimenti. Il Giudice, pur concordando sulla natura penale della sanzione amministrativa irrogata all'imputato alla stregua dei noti «criteri Engel», ha erroneamente sostenuto che essa avrebbe scopi diversi da quella penale: in particolare la sanzione amministrativa interesserebbe l'evasione mentre quella penale l'aspetto specifico della fraudolenza della condotta, e cio' in contrasto con lo stesso tenore delle norme. Altrettanto infondatamente il Giudice avrebbe ritenuto che in sede penale si possa prendere in considerazione la sanzione irrogata nel procedimento tributario solo nel caso in cui il contribuente abbia pagato la sanzione amministrativa, quantificando cosi' la pena in misura eccessiva e molto superiore ai limiti minimi edittali (quindi non proporzionata) facendo riferimento alla gravita' dei fatti ed all'intensita' del dolo. Con la Memoria difensiva di data 5 dicembre 2019 la difesa ha ripreso i sopraindicati Motivi di appello alla luce dell'evoluzione subita dalla giurisprudenza sovranazionale negli anni successivi alla sentenza Grande Stevens/Italia del 2014, passando per la sentenza della Grande Camera di Strasburgo «A e B/Norvegia» del 18 novembre 2016 fino alle sentenza della Corte EDU «Bjarni Armannsson/Islanda» del 16 aprile 2019 e della sentenza «Nodet/Francia» del medesimo anno, per sottolineare la rilevanza data dalla Corte sovranazionale alla «close connection in substance and in time» al fine di escludere l'operativita' del «ne bis in idem» ribadendo l'assenza - nel caso che qui occupa - di tale stretta connessione tra i due procedimenti specie sotto il profilo cronologico. Evidenzia infatti la difesa che la giurisprudenza europea dal 2016, pur concedendo al giudice nazionale maggiore discrezionalita', richiede un esame particolarmente stringente e rigoroso in merito a tale connessione essendo sufficiente la mancanza anche solo di uno dei requisiti sopraindicati ad integrare violazione del divieto «ne bis in idem» essendo essi non alternativi ma necessariamente entrambi presenti affinche' possa ritenersi legittimata l'adozione del cd. doppio binario. Le conclusioni difensive in ordine al caso specifico di F. A. P. La difesa ha premesso che: 1) Risulta dagli estratti ruolo in atti, datati 20 aprile 2014, che in tale data erano state gia' state irrogate le sanzioni amministrative, divenute definitive il 18 settembre 2014 e pari al 100% delle imposte evase; 2) A seguito della segnalazione dell'Agenzia delle Entrate che aveva svolto gli accertamenti tributari l'imputato era stato iscritto nel registro delle persone indagate in data 18 novembre 2014; 3) L'azione penale nei suoi confronti era stata tutta via esercitata solo il 13 settembre 2016; 4) La prima udienza dibattimentale nel giudizio penale aveva avuto luogo il 12 gennaio 2017; 5) La sentenza di primo grado era stata pronunciata nel marzo 2017; 6) Il processo penale non si e' ancora concluso ed alla data odierna (2020) si trova in grado di appello. Ponendo a confronto tali dati con i requisiti richiesti in sede europea, la difesa ha ritenuto evidente nel caso di specie la violazione del «ne bis in idem» in quanto: a) L'identita' del fatto e' indiscussa ed e' stata ritenuta anche nella sentenza di primo grado; b) L'identita' del soggetto e' evidente; c) La sanzione amministrativa irrogata in via definitiva ha natura sostanziale penale, come riconosciuto anche dal giudice di primo grado; d) Essa persegue gli stessi scopi della sanzione penale e non scopi complementari; e) Il procedimento amministrativo tributario e' da ritenersi definitivo fondandosi l'opposta valutazione del giudice su assunti errati quali il mancato pagamento della sanzione e la mancata notifica dell'avviso di accertamento all'imputato che ne consentirebbe tuttora l'impugnazione; f) Nessuna valenza ha nel caso di specie la circostanza del mancato pagamento della sanzione amministrativa, che erroneamente il Giudice ha ritenuto essenziale ai fini dell'applicazione del divieto, riportandosi ad un passaggio della sentenza n. 43 del 2018 della Corte costituzionale che, nel rigettare la stessa eccezione proposta dall'Avvocatura dello Stato, ha precisato che «cio' che rileva allo scopo e' la definitivita' della sanzione amministrativa il cui pagamento rappresenta soltanto un elemento sintomatico di tale irrevocabilita'»; rilevando la difesa che nel caso in esame le sanzioni amministrative irrogate sono state iscritte a ruolo e l'Agenzia delle Entrate si e' insinuata attraverso di esse nel fallimento in data 10 ottobre 2014, quindi all'esito dell'evidentemente definitivo procedimento amministrativo; g) Non si vede sotto quale aspetto differiscano le sanzioni di cui ai due procedimenti vista la medesima natura sostanziale penale e la finalizzazione di entrambe a reprimere le stesse condotte ed a perseguire gli stessi interessi; h) Vi e' pertanto nel caso in esame piena identita' tra i due procedimenti dal punto di vista dell'oggetto, del soggetto, della natura sostanzialmente penale delle sanzioni e della identita' delle loro finalita'; i) Quanto al profilo istruttorio e probatorio - avendo il Giudice penale fondato la sentenza di condanna sui soli accertamenti di tipo induttivo tipici della sede amministrativa tributaria, tutti acquisiti agli atti - non si e' verificata nessuna duplicazione di prova tra i due diversi procedimenti: ma tale sovrapposizione tra il regime probatorio tipico del procedimento amministrativo a quello penale, benche' quest'ultimo sia guidato da ben altri principi e garanzie specie in materia di formazione della prova, lungi dalli essere stato fisiologico costituisce nel caso in esame oggetto di specifica doglianza di merito della difesa, contenuta in altro Motivo di Appello in cui si chiede la riforma in senso assolutorio della sentenza di condanna per il mancato rispetto da parte del Tribunale monocratico delle regole e delle garanzie proprie della procedura penale volte alla formazione della prova; j) Anche il criterio della proporzionalita' non e' stato rispettato nel caso in esame in quanto, benche' fossero state inflitte all'imputato nel 2014 sanzioni amministrative pari al 100% delle imposte evase - e quindi di portata tale da potersi definire di natura penale - il Giudice penale non ne avrebbe tenuto alcun conto infliggendo al F. una pena detentiva severissima sull'ininfluente presupposto del mancato pagamento di tali sanzioni. La difesa all'udienza del 10 gennaio 2020 si e' richiamata alla questione di costituzionalita' che la Corte ha accolto emettendo la presente ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale della relativa questione di legittimita' per i seguenti Motivi La questione di costituzionalita' sottoposta dalla difesa si ritiene rilevante ai fini della decisione e non manifestamente infondata, condividendosi le ampie argomentazioni difensive sopra dettagliatamente esposte e che trovano precisa rispondenza negli atti di causa. Analoga questione relativa all'operativita' del «ne bis in idem» in materia tributaria risulta essere stata sottoposta al vaglio della Corte costituzionale dal Giudice del Tribunale di Monza con ordinanza di remissione n. 236 del 30 giugno 2016. In particolare il Giudice aveva investito la Corte EDU della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 649 del codice di procedura penale - operativo nel diritto interno solo nei rapporti tra procedimenti penali - per contrasto con l'art. 117, comma 1 Cost. in relazione all'art. 4 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo nella parte in cui non prevede l'applicabilita' del «ne bis in idem» nei confronti di imputato al quale, relativamente agli stessi fatti, sia gia' stata irrogata in via definitiva nell'ambito di un procedimento tributario una sanzione amministrativa di carattere sostanzialmente penale ai sensi della Convenzione europea dei diritti dell' uomo e dei relativi protocolli. Il caso sottoposto alla Corte europea riguardava una fattispecie tributaria simile a quella ora in esame in quanto riferita alla posizione di un imputato della violazione dell'art. 5 del decreto legislativo n. 74/2000 per non avere presentato, ai fini di evadere le imposte ai fini IRPEF ed IVA, le prescritte dichiarazioni, essendone derivata un'evasione superiore alle soglie di legge. Essendogli gia' state irrogate in via definitiva e per le stesse condotte - come risultava dagli avvisi di accertamento del 20 febbraio 2013 e dai «dettaglio partita di ruolo» in atti - sanzioni amministrative per un importo equivalente al 120% dell'imposta evasa il giudice, ravvisando le condizioni legittimanti il divieto cd. «ne bis in idem» ostativo alla prosecuzione del processo penale in relazione ai fatti gia' sanzionati in via amministrativa in base alla giurisprudenza sovranazionale, aveva investito la Corte costituzionale della relativa questione di legittimita' nei termini di cui sopra. La Corte costituzionale con sentenza n. 43 del 24 gennaio 2018 Pres. Lattanzi restituiva gli atti al Giudice del Tribunale di Monza per nuovo esame della questione proposta alla luce dello jus superveniens europeo, nelle more innovato a seguito dell'intervenuta sentenza, nelle more, della Grande Camera di Strasburgo del 28 novembre 2016 nel caso «A e B contro Norvegia» alla quale attribuisce valenza di diritto consolidato integrante un vero e proprio revirement idoneo a mutare profondamente i criteri utilizzabili per il riconoscimento del divieto in questione, attribuendo al giudicante una discrezionalita' prima assente. Se per la precedente giurisprudenza europea la definitivita' della sentenza in ordine al medesimo fatto ed al medesimo soggetto segnava il momento a partire dal quale la mera protrazione del secondo procedimento avrebbe violato automaticamente il principio «ne bis ira idem», la Corte Edu con tale ultima pronuncia ha reso solo eventuale tale violazione escludendola qualora i due procedimenti siano caratterizzati da quella che e' stata definita una «close connection in substance and in time» tale da rendere inoperante la garanzia di cui all'art. 4 protocollo 1 CEDU; individuando la Corte sovranazionale, ai fini del riconoscimento di tale connessione, alcuni criteri sintomatici destinati a guidare i giudici nazionali nella valutazione, quali: la circostanza che i due procedimenti perseguano finalita' complementari e relative ad aspetti diversi delle condotta; il grado di coordinamento dei due procedimenti; la prevedibilita' della loro duplicazione; la possibilita' di tenere conto della pena inflitta nel precedente procedimento in sede di irrogazione della sanzione relativa al secondo di essi al fine di prevenire eccessi sanzionatori; l'appartenenza di entrambe le sanzioni all'hard core del diritto penale. Nell'esaminare la questione di costituzionalita' sollecitata dalla difesa ed al fine di valutarne la non manifesta infondatezza questa Corte deve tenere conto dell'evoluzione della giurisprudenza sovranazionale. Dopo la Grande Camera di Strasburgo del 28 novembre 2016 nel caso «A e B contro Norvegia» - peraltro tale da porre i giudici nazionali in seria difficolta' nella delicata indagine relativa al riconoscimento o meno di quella «close connection in substance and in time» idonea ad escludere l'applicazione del «ne bis in idem» (quest'ultima privata dell'automaticita' stabilita dalla «Grande Stevens contro Italia» del 2014) - sono infatti intervenute ulteriori pronunce che ne hanno precisato i contorni, richiamate anche dalla difesa del F. nella Memoria del 5 dicembre 2019. Vanno in particolare ricordate: 1) la sentenza della Corte EDU «Bjarni Armannsson/Islanda del 16 aprile 2019 nella quale si fa applicazione pratica e rigorosa dei criteri enunciati dalla sentenza della Grande Camera A e B /Norvegia del 2016. Benche' nel caso sottoposto al suo esame il Giudice penale avesse tenuto conto, nell'irrogare la pena, della sanzione amministrativa applicata in via definitiva all'imputato per lo stesso fatto e non potesse rilevarsi una sproporzione della sanzione globalmente inflitta, la Corte ha ritenuto violato il divieto di un secondo giudizio per assenza della necessaria «close connection» tra i due procedimenti condannando lo Stato islandese per la mancata applicazione del divieto del doppio binario stante l'«assenza di sovrapposizione» tra i due procedimenti ed il loro mancato coordinamento dal punto di vista sia «dell'acquisizione e valutazione della prova» sia del profilo cronologico, dal momento che il procedimento amministrativo e quello penale avevano condiviso solo pochi mesi (da marzo ad agosto 2012) e che quello penale era proseguito per anni nonostante quello amministrativo fosse stato da tempo definito. 2) La sentenza «Nodet/Francia» del 2019 con la quale la Corte Europea, fornendo ulteriore elenco dei criteri che il giudice nazionale deve osservare al fine di valutare la sussistenza o meno del divieto di secondo giudizio, ha fatto nuovamente riferimento al criterio della «connessione in senso cronologico»; e - ponendosi sulla scia delle precedenti sentenze sovranazionali - decidendo un caso in cui riteneva rispettato il principio di proporzionalita' della sanzione richiesto dalla sentenza «A e B/Norvegia», ha tuttavia ritenuto violato il «ne bis in idem» valutando che: a) i due procedimenti non perseguissero obbiettivi complementari in quanto diretti a sanzionare i medesimi aspetti di dannosita' del fatto ed a tutelare identici interessi; b) non vi era stata stretta connessione temporale tra i procedimenti che erano stati simultaneamente condotti per soli due anni (dal 2007 al 2009), dopo di che il processo penale era proseguito per ulteriori quattro anni. Tanto premesso, dall'analisi dell'evoluzione giurisprudenziale sovranazionale si rileva che la valutazione alla quale il Giudice nazionale e' tenuto ai fini dell'individuazione della «close connection in substance and in time», benche' caratterizzata da piu' ampia discrezionalita' rispetto ai criteri dettati nel 2014, deve essere comunque stringente e rigorosa essendo sufficiente la mancanza anche solo di uno dei requisiti sopra indicati ad integrare la violazione del «ne bis in idem» poiche' non alternativi tra di loro ma necessariamente entrambi presenti al fine di consentire la duplicazione dei procedimenti. In tale contesto giurisprudenziale sovranazionale va quindi valutata e verificato il requisito della «non manifesta infondatezza» della questione di costituzionalita' invocata dalla difesa in relazione alla presente fattispecie, della quale vanno di seguito sinteticamente indicate - quale premessa - le seguenti caratteristiche: 1) il procedimento amministrativo tributario e' riferito alle medesime condotte contestate al F. nel processo penale e quindi ai medesimi fatti naturalisticamente intesi, come peraltro riconosciuto anche dal Giudice di primo grado e come appare di solare evidenza confrontando l'art. 4 del decreto legislativo n. 74/2000 oggetto di contestazione e imputazione mossa al F. nel processo penale, consistente nella illecito amministrativo di infedele e fraudolenta dichiarazione ai fini IRPEF ed IVA di cui agli articoli 1 e 5 del decreto legislativo n. 471/1997 che prevedono sanzioni dal 100% al 200% della maggiore imposta o della differenza di credito; 2) la natura sostanzialmente penale della sanzione amministrativa prevista ed irrogata al F. e' evidente alla stregua dei cd. «criteri Engel». Come e' noto quest'ultima pronuncia attribuisce rilievo alla qualificazione giuridica, alla natura ed al grado di severita' della sanzione inflitta, ed in particolar modo alla circostanza che quest'ultima concreti un quid pluris rispetto all'imposta evasa e presenti dunque un significativo grado di afflittivita', idoneo a produrre un effetto dissuasivo e non meramente restitutori o; e tali criteri hanno trovato applicazione nella successiva giurisprudenza sovranazionale che tiene conto dell'elevato grado di severita' della sanzione amministrativa, idoneo a conferirle natura e finalita' repressive e preventive, allo stesso modo della corrispondente fattispecie penale. Va qui ricordato che per es. con la sentenza Lucky Dev/Svezia del 27 novembre 2014 la Corte sovranazionale ha ritenuto, utilizzando proprio tale criterio, che una sanzione amministrativa in materia tributaria abbia natura sostanzialmente penale in quanto corrispondente al 40% ed al 20% del tributo evaso dal contribuente a seguito di omessa dichiarazione dei redditi ed a fini IVA. A fronte degli orientamenti sopra esposti si ritiene che le sanzioni amministrative applicate all'appellante, milionarie ed addirittura superiori alle imposte evase (cfr. quanto agli importi il seguente punto 3), ebbero natura penale sostanziale. Si ritiene pertanto che nel caso in esame le sanzioni previste dal «doppio binario» riguardino le medesime condotte e siano entrambe di natura penale nonche' finalizzate agli stessi obbiettivi repressivi e specialpreventivi. 3) Si ritiene provata la definitivita' della sanzione amministrativa, intervenuta prima dell'instaurazione del procedimento penale, rilevandosi dagli atti di causa che Equitalia si insinuo' nel fallimento con gli importi gia' caricati a ruolo il 20 ottobre 2014 dopo la notifica al curatore fallimentare dott. Foschi, avvenuta il 4 luglio 2014 (la ditta individuale del F. essendo stata dichiarata fallita con sentenza depositata il 19 dicembre 2013) degli avvisi di accertamento mai impugnati (cfr. la relativa documentazione, allegata dalla difesa alla Memoria ex art. 121 del codice di procedura penale del 13 febbraio 2017 nel processo di primo grado) richiedendo in tale sede la riscossione dell'intero ammontare delle imposte non pagate oltre alle sanzioni amministrative previste, pari ad euro 6.642.921,70 per l'anno 2010 e ad euro 4.785.664,50 per il 2011. Non si ritengono fondate le argomentazioni del Giudice di primo grado secondo il quale gli avvisi di accertamento notificati al curatore non sarebbero divenuti definitivi per il F. che, non risultando destinatario di tale notifica, sarebbe quindi tuttora in termini per impugnarli. Vale infatti in campo civile la rappresentanza del curatore che - comportando il fallimento la perdita della legittimazione sostanziale e processuale del titolare dell'impresa - subentra a rappresentare quest'ultimo (cfr. sul punto, ex plurimis, Cass. Civile Sez. VI. Ordinanza n. 12789 del /6/2014 Rv. 631115-01); ne' la circostanza del mancato pagamento, da parte dell'imputato, delle precitate sanzioni amministrative riverbera effetti su tale definitivita' in quanto elemento estrinseco ed indipendente da quest'ultima come statuito in modo inequivoco dalla gia' richiamata sentenza della Corte costituzionale n. 43 del 2018. 4) Non si e' tenuto conto in sede di trattamento sanzionatorio, nel giudizio di primo grado - sulla base dell'erroneo presupposto costituito dal mancato pagamento - dell'entita' particolarmente elevata della sanzione amministrativa applicata; si e' pertanto verificata nel caso in esame la sproporzionalita' per eccesso della sanzione globalmente inflitta al F., secondo i criteri enunciati dalla giurisprudenza della Corte EDU. 5) Se di fatto non vi e' stata duplicazione di prova - avendo il Giudice di primo grado utilizzato ai fini della condanna penale gli stesso elementi gia' posti alla base delle sanzioni amministrative: circostanza alla base di un ulteriore Motivo di appello della difesa che di tale sovrapposizione di prova si duole chiedendo la riforma della sentenza di primo grado in senso assolutorio e' invece mancato il requisito della stretta connessione cronologica (close connection in time) dei due procedimenti, sulla base della datazione degli atti emessi in sede amministrativa e penale. Il procedimento amministrativo si concluse definitivamente il 4 settembre 2014 (sessanta giorni dopo la notifica al curatore degli avvisi di accertamento avvenuta il 4 luglio 2014); la comunicazione della notizia di reato venne inviata alla competente Procura della Repubblica il 31 ottobre 2014; l'azione penale fu esercitata solo in data 13 settembre 2016; si giunse alla sentenza di condanna di primo grado nel marzo del 2017; nel corrente anno 2020 il processo penale si trova ancora pendente in fase di appello, quindi a distanza di quasi sei anni dalla definitivita' del procedimento amministrativo; i due procedimenti a cd. «doppio binario» non procedettero mai contestualmente. Sulla base di quanto sopra si ritiene che nel caso in esame non possa parlarsi di «close connection in time», requisito da valutarsi secondo i criteri forniti dalla sentenza della Grande Camera «A e B contro Norvegia» ed approfonditi dalla sopra citata evoluzione giurisprudenziale europea (cfr. le sentenze della Corte EDU «Bjarni Armannsson/Islanda del 16 aprile 2019 e «Nodet/Francia» del 2019) che ha ritenuto violato il divieto del «ne bis in idem» ove fosse assente il requisito della «close connection in time» poiche' i due processi, per quanto caratterizzati da un decorso quantomeno in parte contestuale (circostanza mai verificatasi nella fattispecie in esame) erano stati caratterizzati da una notevole discrasia temporale tra la conclusione del procedimento tributario e quella prospettabile per quello penale. Applicando detti principi al caso di specie deve quindi ritenersi che la sanzione penale subita dal F. sia stata una duplicazione di quella amministrativa, con conseguente violazione del principio del «ne bis in idem» posto dall'art. 4 protocollo 7 CEDU come sopra interpretato dalla Corte di Strasburgo. In assenza della possibilita' di un'interpretazione adeguatrice del diritto interno la questione va quindi rimessa al vaglio di legittimita' della Corte costituzionale (cfr. Corte costituzionale n. 43 del 24 gennaio 2018 Pres. Lattanzi) ritenendola non manifestamente infondata per i Motivi tutti che precedono; laddove la sussistenza dell'ulteriore presupposto della «rilevanza ai fini dei decidere» pare di immediata evidenza poiche' dall'eventuale accoglimento della rimessa questione di legittimita' costituzionale deriverebbe l'improcedibilita' del presente giudizio di appello in forza del principio del «ne bis in idem».
P. Q. M. La Corte di Appello di Bologna, Visto l'art. 23 legge n. 87/1953; ritenuta la rilevanza e la non manifesta infondatezza; sottopone all'Ecc.ma Corte costituzionale questione di legittimita' costituzionale dell'art. 649 del codice di procedura penale per contrasto con l'art. 117 Cost. in relazione all'art. 4 protocollo 7 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo nella parte in cui non prevede l'applicabilita' della disciplina del divieto di un secondo giudizio nei confronti dell'imputato al quale, con riguardo agli stessi fatti, sia stata gia' irrogata in via definitiva, nell'ambito di un procedimento amministrativo, una sanzione di carattere sostanzialmente penale ai sensi della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo e relativi protocolli ed alla luce dei criteri fissati dalla giurisprudenza CEDU; dispone la sospensione del giudizio in corso e l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; visto l'art. 159 comma 1 n. 2 cp sospende il corso della prescrizione. Dispone che la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei ministri, e comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento nonche' alle parti processuali. Bologna, 10 gennaio 2020 Il Presidente: Ghedini Il consigliere estensore: Raimondi