N. 167 ORDINANZA (Atto di promovimento) 6 luglio 2020

Ordinanza del 6 luglio 2020  della  Corte  d'appello  di  Napoli  sul
ricorso proposto da S. A. contro il Ministero della giustizia. 
 
Processo penale - Equa riparazione per violazione  della  ragionevole
  durata  del  processo  -  Computo  della  durata  del  processo   -
  Previsione  che  il  processo  penale  si  considera  iniziato  con
  l'assunzione della qualita' di parte civile  della  persona  offesa
  dal reato. 
- Legge 24 marzo 2011  [recte:  2001],  n.  89  (Previsione  di  equa
  riparazione in caso  di  violazione  del  termine  ragionevole  del
  processo e modifica  dell'articolo  375  del  codice  di  procedura
  civile), come modificata dall'art. 55 del decreto-legge  22  giugno
  2012, n. 83 (Misure urgenti per la crescita del Paese), convertito,
  con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 134, art. 2, comma
  2-bis. 
(GU n.49 del 2-12-2020 )
 
                    LA CORTE DI APPELLO DI NAPOLI 
                       Seconda sezione civile 
 
    Nella persona del dott. Giovanni de Orecchio, ha  pronunciato  la
seguente ordinanza; 
    Nel procedimento camerale n. 1022/2020, avente ad  oggetto:  equa
riparazione ex legge n. 89/2001, ad  istanza  di  S.  A.  (cf:  ...),
rappresentato e difeso dall'avv. Marco Esposito; ricorrente; 
    Contro il Ministero della  giustizia,  in  persona  del  Ministro
pro-tempore. 
    In data 19 maggio 2020 il  ricorrente  indicato  in  epigrafe  ha
adito questa Corte onde conseguire ai sensi della  legge  n.  89/2001
l'indennizzo per l'irragionevole durata del processo penale  svoltosi
dinanzi al giudice di pace di ... 
    In particolare, il ricorrente deduce che: 
        in data 10 novembre 2010 aveva presentato querela contro  due
donne che l'avevano aggredito verbalmente e fisicamente;  la  querela
era stata da lui presentata presso l'ufficio denunzie  della  Procura
della Repubblica presso il Tribunale di Napoli; 
        il procedimento penale era stato iscritto al  n.  111897/2010
RGNR; 
        il  procedimento  era   rimasto   immobile   per   un   tempo
immemorabile; 
        soltanto in data 14 maggio 2013 il verbale di identificazione
era stato notificato alle querelate; 
        egli,  per  sollecitare  le   indagini   preliminari,   aveva
depositato tramite il proprio difensore una relazione riguardante  le
investigazioni difensive espletate in proprio favore; 
        nonostante i ripetuti solleciti, soltanto il 9  gennaio  2015
il VPO aveva emesso il decreto di citazione diretta a giudizio  delle
due imputate per l'udienza del 14 maggio 2015 in ordine ai  reati  di
cui agli articoli 594 e 56, 582 del codice penale; 
        il processo era stato piu' volte rinviato in fase preliminare
per le piu' svariate ragioni; 
        all'udienza del 6 febbraio 2019 il suo difensore aveva  anche
insistito per depositare l'atto di costituzione di  parte  civile  ma
ancora una volta il giudice di pace aveva  rinviato  il  dibattimento
per consentire la notifica alle imputate; 
        perfezionatosi il contraddittorio, all'udienza del  2  luglio
2019 egli si era costituito parte civile e la  sua  costituzione  era
stata ammessa dal giudice; 
        in quella medesima udienza, peraltro, il giudice, su conforme
richiesta del pubblico ministero di  udienza,  aveva  dichiarato  non
luogo a provvedere perche' i reati si era estinti per prescrizione; 
        la sentenza n. 58/2019 era stata depositata il 17 luglio 2019
ed e' divenuta irrevocabile il 16 settembre 2019; 
        la durata del procedimento da prendere in  considerazione  ai
fini del chiesto indennizzo va quindi dal  10  novembre  2010  al  16
settembre 2019: ed invero il dies a quo va individuato nel giorno  di
presentazione della querela (10 novembre 2010,  appunto)  in  ragione
dell'interpretazione che dell'art. 6 par. 1 della Convenzione europea
per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo   e   delle   liberta'
fondamentali ha dato la Corte europea con la sentenza del 7  dicembre
2017 Arnoldi contro Italia; 
        d'altronde, se la Corte costituzionale, con  la  sentenza  n.
184/2015, ha dato rilievo, al fine di stabilire il periodo di  durata
da prendere in considerazione con riguardo  alla  legge  n.  89/2001,
anche alla fase delle indagini preliminari e  precisamente  al  primo
atto con il  quale  l'indagato  viene  a  conoscenza  di  un'indagine
apertasi nei suoi confronti,  per  parita'  di  trattamento  si  deve
pervenire alla conclusione che per la persona offesa il  procedimento
abbia inizio con la presentazione della querela/ denuncia; 
        la normativa nazionale, prevede pero' altro: l'art. 2,  legge
n. 89/2001, come modificata dalla legge n. 134/2012 introduttiva  del
comma 2-bis, indica quale dies a quo da prendere in considerazione ai
fini della determinazione della durata del processo il giorno in  cui
e' avvenuta la costituzione di parte civile in  tal  modo  escludendo
tutta la fase delle indagini preliminari in cui tale costituzione non
puo' avvenire; 
        si e' venuta a creare pertanto una situazione di macroscopica
disparita' di trattamento tra la persona offesa dal reato ed  il  suo
carnefice, il tutto a favore di quest'ultimo; 
        da cio' deriva l'illegittimita' costituzionale  dell'art.  2,
comma 2-bis legge n. 89/2001 sotto due profili: 
        per violazione dell'art.  3  della  Costituzione  atteso  che
ingiustificatamente la disposizione normativa contempla  due  diversi
momenti da assumere come  riferimento  temporale:  quello  nel  quale
l'indagato assume  la  piena  consapevolezza  dell'esistenza  di  una
accusa nei  suoi  riguardi,  con  riferimento  appunto  alla  persona
indagata; quello invece nel quale la persona  offesa  si  costituisce
parte  civile,  momento  che  matura  peraltro   con   l'inizio   del
dibattimento e che  quindi  esclude  tutta  la  fase  delle  indagini
preliminari; 
        per violazione dell'art. 117 della Costituzione in  relazione
all'art. 6, par. 1 della Convenzione europea per la salvaguardia  dei
diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali per come interpretato
dalla Corte europea dei diritti  dell'uomo:  questa  invero,  con  la
sentenza Arnoldi contro Italia ha statuito, che  il  dies  a  quo  da
prendere in considerazione coincide con il giorno della presentazione
della querela o della denuncia. 
    Tanto  premesso,  va  considerato  che  la  ricostruzione   anche
cronologica dell'antefatto  fornita  dal  ricorrente  trova  adeguato
sostegno probatorio nella  documentazione  prodotta  telematicamente.
Risulta cosi' provato che:  a)  la  querela  e'  stata  sporta  dalla
persona offesa S. A. in data 10 novembre 2010 presso la Procura della
Repubblica presso il tribunale di Napoli; b) il querelante ha  svolto
sue  personali  investigazioni   difensive   assumendo   a   sommarie
informazioni due testimoni; c) i verbali di  tali  informazioni  sono
stati depositati nel  maggio  2013  presso  l'ufficio  del  sostituto
procuratore della Repubblica designato alla trattazione del  relativo
procedimento penale; d) soltanto in data  9  gennaio  2015  e'  stato
emesso il decreto di citazione a giudizio; e) allorquando lo ha avuto
la possibilita'  di  costituirsi  parte  civile  una  volta  esaurita
l'attivita' di notifica  alle  imputate,  ovvero  all'udienza  del  2
luglio 2019, la costituzione e' avvenuta  ed  e'  stata  ammessa;  f)
sulla proposta domanda risarcitoria il giudice  peraltro  non  si  e'
pronunciato  perche'  in  quella  medesima  udienza  ha   pronunciato
sentenza con la quale i reati ascritti alle imputate (594, 56-582 cp)
sono stati dichiarati estinti per prescrizione. 
    Va poi ricordato che la giurisprudenza  di  legittimita'  che  ha
avuto modo di affrontare la posizione della persona offesa in materia
di equa riparazione ha, nelle occasioni in  cui  e'  stata  investita
della problematica, costantemente subordinato il riconoscimento di un
indennizzo per la irragionevole durata del procedimento  penale  alla
costituzione di parte civile. 
    Si segnalano: 
        Cass. Sez. 1, sentenza n. 4138 del 21 marzo 2003  secondo  la
quale l'art. 6, paragrafo 1, della Convenzione  per  la  salvaguardia
dei diritti dell'uomo e delle  liberta'  fondamentali,  in  relazione
alla cui inosservanza l'art. 2 della  legge  24  marzo  2001,  n.  89
accorda equa riparazione (ove si sia prodotto un danno patrimoniale o
non patrimoniale), stabilisce il diritto di ogni persona di  ottenere
entro un termine ragionevole  una  pronuncia  sui  diritti  o  doveri
oggetto di dibattito civile, o sulla  fondatezza  dell'accusa  penale
che gli venga mossa. L'eccessiva  durata  del  processo  penale  puo'
essere dunque friera di equa riparazione, oltre  che  per  l'imputato
sottoposto ad accusa, anche per la persona offesa dal reato, soltanto
se ed a partire dal momento in cui quest'ultima  abbia  inserito  nel
processo stesso domanda  di  riconoscimento  dei  propri  diritti  di
natura  civile,  con  l'iniziativa   prescritta   dalla   legge   per
l'insorgenza del potere - dovere del giudice penale  di  statuire  su
tali diritti, vale a  dire  con  la  costituzione  di  parte  civile.
L'irragionevole  prolungarsi  del  processo  penale,  pertanto,  puo'
implicare spettanza di equa riparazione, in  favore  dell'offeso  dal
reato, solo in relazione al tempo successivo  alla  sua  costituzione
come parte civile, mediante atto idoneo  a  segnare  esercizio  della
domanda di restituzione o risarcimento del danno  inerente  al  reato
(risulti poi fondata o  meno  la  domanda  medesima),  non  anche  in
relazione al periodo in cui tale costituzione manchi, ovvero  sia  da
reputarsi  «tamquam  non  esset»,  per  inosservanza  di   formalita'
essenziali o termini perentori, e  non  possa  cosi'  determinare  la
predetta estensione delle attribuzioni  giurisdizionali  del  giudice
penale nei rapporti civili derivanti dal reato. 
        Cass. Sez. 1, sentenza n. 11480 del 24 luglio 2003 secondo la
quale per la persona offesa  dal  reato  in  quanto  tale  e  per  il
querelante, che non si siano costituiti parte civile, il procedimento
penale non puo' essere definito come una «propria  causa»;  ad  essi,
pertanto, non puo' essere direttamente e  personalmente  riconosciuto
il diritto alla ragionevole durata del processo, di cui  all'art.  6,
paragrafo 1,  della  Convenzione  per  la  salvaguardia  dei  diritti
dell'uomo  e  delle  liberta'   fondamentali,   ai   fini   dell'equa
riparazione prevista dalla legge 24 marzo 2001, n. 89. Ne deriva  che
la  persona  offesa  dal  reato,  che  al  fine  di   conseguire   il
risarcimento del danno si sia costituita parte  civile  nel  processo
penale instaurato dal pubblico ministero  contro  l'autore  di  detto
reato, ha diritto  alla  ragionevole  durata  del  processo,  con  le
connesse conseguenze indennitarie in caso di violazione,  soltanto  a
partire dal momento della costituzione di parte civile  (conf.  Cass.
29 settembre 2005; Cass. 3 aprile 2012,  n.  5294;  Cass.  16  luglio
2015, n. 14925). 
        Da ultimo, Cass.  sez.  6 -  2,  sentenza  n.  26625  del  21
dicembre 2016 secondo la  quale  in  tema  di  equa  riparazione  per
irragionevole durata del processo penale, la persona offesa dal reato
o il querelante, anche a seguito dell'entrata in vigore  del  decreto
legislativo n. 212 del 2015, che ha  rafforzato  la  posizione  della
vittima del  reato,  non  possono  considerarsi  parti  del  suddetto
procedimento prima della loro costituzione  come  parte  civile,  non
avendo un autonomo diritto a che il  reo  sia  sottoposto  a  pena  e
neppure, dunque, alla tempestivita' della decisione di assoluzione  o
di condanna dell'imputato in se' sola  considerata,  senza  che  cio'
contrasti con gli articoli 3 e 24 della Costituzione, ben potendo  la
persona  offesa  svincolarsi   dall'esito   di   quel   procedimento,
promuovendo un'autonoma domanda risarcitoria in sede  civile  ovvero,
quando possibile, costituirsi parte civile nel  procedimento  penale,
senza alcuna compromissione del proprio diritto di difesa. 
    Con  quest'ultima  sua  pronuncia  la  Corte  ha  in  particolare
rimarcato che: 
        l'esercizio dell'azione civile  in  sede  penale,  realizzato
mediante lo strumento della costituzione  di  parte  civile,  benche'
consenta di fare confluire  detta  azione  nell'ambito  del  processo
penale, tuttavia non implica l'incorporazione della causa  civile  in
quella penale e non travolge la differenza che esiste  tra  le  parti
dell'una e dell'altra; 
        la causa penale concerne unicamente la pretesa punitiva dello
Stato nei confronti di chi  si  assume  essere  autore  di  un  fatto
costituente reato, mentre quella civile ha per oggetto il diritto del
privato al risarcimento del danno eventualmente cagionatogli da  quel
medesimo reato, con la conseguenza che la persona offesa  del  reato,
anche quando abbia svolto il ruolo  di  querelante,  non  puo'  dirsi
parte del giudizio penale; 
        se e' vero che diverse disposizioni del codice  di  procedura
penale attribuiscono alle persone offese anche un  ruolo  attivo  del
processo penale, tuttavia resta il fatto che il processo  penale,  di
per se', non e' volto ad accertare nessuna posizione di diritto o  di
soggezione facente capo alla persona offesa, la quale non puo' dunque
essere assimilata ad una delle parti private di cui si occupano altre
disposizioni del medesimo codice; 
        tali  considerazioni  non   appaiono   destinate   a   subire
modificazioni  a  seguito  dell'entrata   in   vigore   del   decreto
legislativo n. 212/2015 che pur avendo rafforzato la posizione  della
vittima del reato e pur avendo individuato specificamente  una  serie
di elementi che debbano essere comunicati ovvero  costituire  oggetto
di informazioni per la persona  offesa  (cfr.  i  novellati  articoli
90-bis e 90-ter del codice di  procedure  penale)  non  incide  sulla
conclusione circa l'impossibilita'  di  attribuire  la  qualifica  di
parte del  processo  penale  alla  persona  offesa  prima  della  sua
costituzione come parte civile; 
      deve pertanto escludersi la violazione delle  previsioni  della
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta' fondamentali in quanto la persona offesa non ha un  autonomo
diritto a che il reato sia sottoposto a pena e neppure, dunque,  alla
tempestivita'  della  decisione  di   assoluzione   o   di   condanna
dell'imputato in se' solo considerata; 
        tali considerazioni escludono  la  sussistenza  del  sospetto
d'incostituzionalita' per disparita' di trattamento  ben  potendo  la
persona offesa liberamente decidere di svincolarsi  dalle  sorti  del
procedimento penale per autonomamente promuovere domanda risarcitoria
in sede civile; ne' e' possibile ravvisare la violazione dell'art. 24
della Costituzione non risultando in alcun modo compresso il  diritto
della persona offesa di costituirsi, quando possibile,  parte  civile
nel procedimento penale; ne' e'  infine  ravvisabile  una  violazione
dell'art. 6, par. l della Convenzione europea perche' il procedimento
penale diventa la causa propria anche della persona offesa  solo  dal
momento in cui la stessa faccia valere in sede penale il  diritto  al
risarcimento dei danni subiti per effetto della commissione del reato
oggetto della denuncia. 
    Si e'  in  presenza,  quindi,  di  una  giurisprudenza  nazionale
assolutamente consolidata - e che lo scrivente pienamente condivide -
in conformita' della quale si dovrebbe pervenir nella fattispecie  in
esame al rigetto della domanda posto che  la  costituzione  di  parte
civile e' avvenuta nella medesima udienza in cui il  giudizio  penale
si e' concluso con conseguente mancato superamento nei suoi  riguardi
dei termini di ragionevole durata  previsti  dall'art.  2,  legge  n.
89/2001. 
    Senonche' - e questo  e'  il  solo  profilo  della  questione  di
legittimita' costituzionale sollevata dal ricorrente che va  valutato
- a questa giurisprudenza e' sopravvenuta la sentenza del 7  dicembre
2017, causa Arnoldi contro Italia, con la quale la Corte  europea  ha
fornito un'interpretazione dell'art.  6,  par.  1  della  Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'
fondamentali incompatibile con la disciplina  normativa  nazionale  e
con l'attuale giurisprudenza della Cassazione che ancorano i  diritti
della persona offesa alla indispensabile sua  costituzione  di  parte
civile. 
    La Corte europea dei diritti dell'uomo ha evidenziato che: 
        la questione dell'applicabilita' dell'art. 6, par. 1 non puo'
dipendere dal riconoscimento dello status formale di parte  ad  opera
del diritto nazionale: occorre andare oltre le apparenze e  ricercare
la realta' della situazione controversa; 
        a prescindere  dallo  status  formale  della  persona  offesa
nell'ambito del procedimento penale italiano, cio'  che  e'  decisivo
per  l'applicabilita'  del  citato  art.  6  e'  verificare   se   il
richiedente  intenda  ottenere  la  tutela  del  suo  diritto  civile
nell'ambito del procedimento penale, non rilevando al  contrario  che
una persona eventualmente presenti denuncia con  finalita'  meramente
repressive, e se l'esito della fase delle  indagini  preliminari  sia
determinante per il diritto di carattere civile in causa; 
        sotto tale ultimo profilo e'  necessaria  una  considerazione
non astratta ma che tenga conto delle particolari caratteristiche del
sistema giuridico nazionale e delle circostanze specifiche del caso; 
        l'ordinamento italiano consente alla  vittima  del  reato  di
esercitare diritti e facolta' anche se non  costituita  parte  civile
(ricevere informazioni sull'esistenza e sulle modalita' di  esercizio
di tali diritti e facolta'; presentare  memorie  e  mezzi  di  prova;
condurre indagini indipendentemente da quelle compiute al procuratore
e dall'imputato; proporre opposizione alla domanda di archiviazione); 
        l'esercizio di questi diritti puo' rivelarsi fondamentale per
una costituzione efficace di parte civile, in particolare  quando  si
tratta di prove che possono deteriorarsi con il tempo; 
        la   fase   delle   indagini   preliminari   puo'    assumere
un'importanza particolare per la preparazione  del  processo  penale:
spesso le prove ottenute durante questa fase  determinano  il  quadro
nel quale il reato ascritto sara' esaminato al processo; 
        nell'ordinamento italiano la posizione della  persona  offesa
in attesa di costituirsi parte civile che abbia esercitato almeno uno
di questi diritti e facolta' nel procedimento penale  non  differisce
sostanzialmente, per quanto riguarda l'applicabilita' dell'art. 6  da
quella della parte civile. 
    Nel caso specifico, ricorrono le condizioni richieste dalla Corte
europea per riconoscere a S. A. il diritto  alla  ragionevole  durata
del processo a decorrere da una data diversa e  precedente  a  quella
della sua avvenuta costituzione di parte civile. 
    Il ricorrente e' innanzi tutto non un mero portatore  d'interesse
a che la pretesa punitiva dello Stato sia esercitata  tempestivamente
ed efficacemente nei confronti di chi e'  dall'Autorita'  giudiziaria
ritenuto responsabile della commissione di un reato ma e' proprio  il
soggetto che del reato, nello specifico dei reati, e' stato  vittima:
e' infatti colui  che  ha  personalmente  e  direttamente  patito  le
denunciate aggressioni fisiche e verbali. 
    E' anche  il  soggetto  che,  avvalendosi  delle  norme  previste
dall'ordinamento processuale penale, dopo avere proposto querela  nei
confronti delle persone  poi  sottoposte  a  giudizio  dall'autorita'
giudiziaria, ha svolto investigazioni difensive: due sono i testimoni
che  per  il  tramite  del  suo  difensore  ha  assunto  a   sommarie
informazioni. 
    E' altresi' il soggetto che i risultati di queste  investigazioni
ha  portato  alla  diretta  conoscenza   dell'autorita'   giudiziaria
procedente  (l'ufficio  della  Procura  della  Repubblica  presso  il
Tribunale di Napoli) proprio per snellire  le  indagine  preliminari,
per evitare che i ricordi dei  due  testimoni  potessero  svanire  in
ragione del trascorrere del tempo e  per  portare  un  contributo  al
concreto promovimento dell'azione penale. 
    E' infine il soggetto che ha  partecipato  alle  plurime  udienze
dibattimentali - le  cui  formalita'  preliminari  si  sono  esaurite
soltanto allorquando il giudice ha ritenuto finalmente instaurato  il
regolare contraddittorio con le imputate, ovvero il 2 luglio 2019 - e
che si e' costituito parte civile. 
    Si profila quindi una incompatibilita' tra la previsione testuale
dell'art. 2, comma 2-bis, legge n.  89/2001,  per  come  tra  l'altro
costantemente interpretata dalla Corte di  cassazione,  e  l'art.  6,
par. 1 della Convenzione europea  per  la  salvaguardia  dei  diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali per come  interpretata  dalla
Corte europea con la predetta sentenza Arnoldi c. Italia (la quale  a
sua volta richiama alcuni precedenti nei quali l'art. 6, par.  1  era
stato gia' ritenuto applicabile ad una parte  lesa  non  costituitasi
parte civile in quanto la  vittima  aveva  in  ogni  caso  esercitato
diritti e facolta' espressamente riconosciuti dalla legge). 
    Detto che questa  incompatibilita'  rileva  nel  caso  di  specie
atteso che la norma nazionale di riferimento (il citato art. 2, comma
2-bis,  legge  n.  89/2001)  richiede  che  la  persona   offesa   si
costituisca parte civile e che soltanto  da  quel  momento  per  essa
inizi il processo e sorga il suo diritto alla ragionevole durata  del
medesimo    mentre    la    norma    convenzionale,     alla     luce
dell'interpretazione  fornita  dalla  Corte  europea,  non   richiede
necessariamente l'avvenuta costituzione di parte civile  ed  anticipa
l'inizio del  processo  anche  al  tempo  della  presentazione  della
querela, sicche' esclusivamente accedendo alla interpretazione  della
norma comune  come  sopra  illustrata  lo  S.  avrebbe  diritto  alla
liquidazione  dell'indennizzo,   va   ricordato   che,   secondo   la
giurisprudenza della Corte costituzionale (cfr. ex plurimis  sentenze
numeri  348  e  349  del  2007),  l'art.  117,  primo   comma   della
Costituzione ed in particolare l'espressione obblighi  internazionali
in  esso   contenuta   si   riferisce   alle   norme   internazionali
convenzionali anche diverse da quelle comprese nella previsione degli
articoli 10 e 11 della Costituzione, di talche' l'eventuale contrasto
di una norma nazionale con una norma  comune,  in  particolare  della
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta' fondamentali, si traduce in una  violazione  dell'art.  117,
primo comma  della  Costituzione  (cfr.  anche  Corte  costituzionale
sentenza n. 311 /2009); che spetta al giudice  nazionale,  in  quanto
giudice comune della convenzione,  di  applicare  le  relative  norme
nell'interpretazione  offertane  dalla  Corte  europea  dei   diritti
dell'uomo alla quale questa  competenza  e'  stata  attribuita  dagli
Stati contraenti; che allorquando si profili un contrasto  tra  norma
interna e norma della Convenzione europea il giudice nazionale comune
deve pertanto procedere ad una interpretazione della prima (la  norma
interna) conforme a quella convenzionale dalla quale soltanto non  e'
consentito  discostarsi  nell'esercizio  del  potere   interpretativo
garantito al giudice nazionale dall'art.  101,  secondo  comma  della
Costituzione  (Corte  costituzionale  n.   49/2015);   che   soltanto
allorquando  non  sia  possibile  comporre  il   contrasto   in   via
interpretativa, il  giudice  comune,  il  quale  non  puo'  procedere
all'applicazione diretta della norma della Convenzione europea per la
salvaguardia dei diritti  dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali
contrastante (Corte costituzionale n. 184/2015),  deve  sollevare  la
questione di costituzionalita' con riferimento al parametro garantito
dall'art. 117, primo comma della Costituzione. 
    In questi sensi quindi questo giudice deve provvedere  posto  che
la norma nazionale, art. 2, comma  2-bis,  legge  n.  89/2001,  nella
parte  in  cui  riconosce  alla  persona  offesa  il   diritto   alla
ragionevole durata  del  processo  soltanto  a  decorrere  dalla  sua
costituzione di parte civile, si pone in contrasto con l'art. 6, par.
1 Convenzione europea per la salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e
delle liberta' fondamentali, nella  interpretazione  fornitane  dalla
Corte europea dei diritti dell'uomo con la sentenza sopra menzionata,
laddove la norma convenzionale attribuisce invece alla persona offesa
la  qualita'  di  parte  processuale  indipendentemente   dalla   sua
costituzione di parte civile e,  a  determinate  condizioni  -  nella
specie  sussistenti   -   dalla   presentazione   della   querela   o
dall'esercizio di diritti e facolta' previsti dall'ordinamento  nella
sua veste appunto di persona offesa. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Visto l'art. 23 legge 11 marzo 1953, n. 87; 
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 2-bis, legge 24  marzo
2011, n. 89, come modificata dall'art. 55,  decreto-legge  22  giugno
2012, n. 83 convertito in legge 7 agosto 2012, n. 134, nella parte in
cui prevede che il processo  penale  si  considera  iniziato  per  la
persona offesa soltanto con  l'assunzione  della  qualita'  di  parte
civile da parte della persona offesa del  reato,  per  contrasto  con
l'art. 117 della Costituzione in relazione all'art. 6, par.  1  della
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta' fondamentali; 
    Dispone  l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
costituzionale; 
    Sospende il procedimento in corso; 
    Ordina che, a cura della cancelleria, la presente  ordinanza  sia
notificata alle parti in causa ed al  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri e comunicata ai Presidenti del  Senato  della  Repubblica  e
della Camera dei deputati. 
        Cosi' deciso in Napoli il 6 luglio 2020 
 
                Il Presidente designato: De Crecchio