N. 168 ORDINANZA (Atto di promovimento) 9 giugno 2020
Ordinanza del 9 giugno 2020 del Tribunale di Torre Annunziata nel procedimento penale a carico di L. E.. Processo penale - Dibattimento - Riqualificazione giuridica del fatto - Facolta' dell'imputato, allorquando sia invitato dal giudice del dibattimento a instaurare il contraddittorio sulla riqualificazione giuridica del fatto, di richiedere il giudizio abbreviato relativamente al fatto diversamente qualificato - Mancata previsione. - Codice di procedura penale, art. 521.(GU n.49 del 2-12-2020 )
TRIBUNALE DI TORRE ANNUNZIATA Sezione penale Il Giudice monocratico, dott.ssa Gabriella Ambrosino, visti gli atti del procedimento a carico di L E , nato a sottoposto alle misure congiunte del divieto di dimora nella Regione Campania e dell'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria, assente con domicilio eletto in difeso di fiducia dagli avvocati Alfonso Piscino e Giuliano Sorrentino del Foro di Torre Annunziata imputato 1) del reato p. e p. dall'art. 612-bis, commi 1 e 2, del codice penale perche', con reiterate condotte di minaccia e molestia di seguito indicate, cagionava alla compagna C P un perdurante e grave stato di ansia e paura, ingenerandole un fondato motivo per la propria incolumita' al punto da costringerla, altresi', ad alterare le abitudini di vita ed in particolare: - costringendola a non uscire di casa per timore di incontrarlo; - costringendola a non usare piu' un numero di telefono a se' intestato; in particolare: a) presentandosi sotto casa della compagna C P facendo scenate di gelosia, profferendo nel contempo espressioni del tipo «Sta puttana! sta troia!» e, quando non la trovava in casa, urlando dal balcone per farsi sentire dai figli e vicini di casa; b) manifestando una pressante gelosia nei confronti della C , litigando e colpendola per questi motivi con schiaffi al volto; c) minacciando di fare del male alla famiglia della compagna e, in particolare, al figlio C profferendo nei suoi confronti la seguente espressione «Mo che veng' sotto o portone e' meglio che acchiapp' a figliet! E primm mazzate hann' a essere soje»; d) dopo essersi recato con la C in un hotel, sottraendole il telefono cellulare e spegnendolo, avvisandola che non sarebbe uscita dalla stanza senza la sua volonta' e, accortosi che la stessa aveva riacceso il telefono per chiamare il figlio, dapprima costringendola con la forza ad inserire la password di sblocco profferendo al suo indirizzo espressioni del tipo «Sta zoccola! sta cessa!» «pensavi e me fa a me!» e ancora «La devi pagare!» e, successivamente aggredendola fisicamente con pugni al volto, stringendole il collo con le mani urlando di volerla ammazzare, trascinandola nel bagno per i capelli e facendole sbattere il volto ripetutamente contro il lavandino e il muro, colpendola con una sedia sulle gambe e sui piedi, afferrandole le orecchie con le mani e torcendole, cagionandole in tal modo le lesioni personali meglio descritte al capo 2) (episodio del 25 novembre 2019); e) telefonando alla persona offesa e pretendendo che la stessa coprisse con il trucco i lividi del giorno prima (episodio del 26 novembre 2019); In ed altri luoghi dal settembre al dicembre 2019; 2) del reato p. e p. dagli articoli 582-585, in relazione all'art. 576 n. 5.1 e 577 n. 1) del codice penale, perche' con la condotta meglio descritta nel capo 1), cagionava a C P lesioni personali consistite in «Trauma chiuso di una costola, traumatismo di faccia e naso, traumatismo della testa, contusione della coscia, del piede, della regione della spalla, della mano, del braccio superiore; frattura V costa destra, contusione regione orbitaria DX, trauma cranico non commotivo, contusione coscia sinistra, contusione piede destra e sinistro, della spalla destra, della mano destra, del braccio destro», giudicate guaribili in giorni 25; Con l'aggravante di aver commesso il fatto in danno della persona vittima di atti persecutori ed in danno di persona legata al colpevole da relazione affettiva. In P il 25 novembre 2019 Con la recidiva specifica a scioglimento della riserva di decidere formulata all'udienza del 9 giugno 2020 ha pronunciato la seguente Ordinanza per sollevare la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 521 del codice di procedura penale, per violazione degli articoli 3, 24 e 111 della Costituzione, nella parte in cui non prevede la facolta' dell'imputato, allorquando sia invitato dal giudice del dibattimento ad instaurare il contraddittorio sulla riqualificazione giuridica del fatto, di richiedere il giudizio abbreviato relativamente al fatto diversamente qualificato dal giudice in esito al giudizio. Il procedimento a quo Con decreto di giudizio immediato emesso il 10 gennaio 2020, L E , gia' in stato di custodia cautelare in carcere per questo procedimento dal 6 dicembre 2019 - giusta ordinanza di custodia cautelare in carcere, per il capo 1), e di arresti domiciliari, per il capo 2) (1) - veniva tratto a giudizio per rispondere dei delitti di cui agli articoli 612-bis, comma 2, del codice penale e 585-85 del codice penale indicati nell'epigrafe del presente provvedimento. Alla prima udienza dibattimentale del 5 marzo 2020, si rilevava la regolarita' delle notifiche e, presente l'imputato, si ammetteva la costituzione di parte civile della persona offesa C P . Quindi l'imputato, per il tramite del suo difensore, reiterava ai sensi dell'art. 448, comma 1, del codice di procedura penale, la richiesta di applicazione della pena ai sensi dell'art. 444 del codice di procedura penale gia' formulata all'Ufficio di Procura nei termini previsti dalla legge, e il pubblico ministero illustrava le motivazioni del dissenso gia' espresso, producendo tra l'altro la documentazione attestante la precedente interlocuzione sul punto avvenuta tra le parti. Preso atto della reiterazione del dissenso, questo giudice procedeva all'apertura del dibattimento ed ammetteva i mezzi di prova indicati dalle parti. Si iniziava quindi l'istruttoria dibattimentale con l'escussione della persona offesa e degli altri testi d'accusa, proseguendosi poi, con le spontanee dichiarazioni dell'imputato e l'escussione dei testi della difesa, nelle udienze del 10 marzo 2020 e del 7 aprile 2020, disponendo rinvio per le conclusioni. All'udienza del 30 aprile 2020, si dichiarava chiusa l'istruttoria dibattimentale e si invitavano le parti a formulare le conclusioni. Terminata la discussione, prima di ritirarsi in camera di consiglio, questo giudice, secondo un'interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente orientata dell'art. 521, comma 1, del codice di procedura penale, invitava le parti a instaurare il contraddittorio in ordine ad un'eventuale riqualificazione giuridica del fatto contestato al capo 1) nell'ipotesi incriminatrice di cui all'art. 572 del codice penale, reato, tra l'altro, piu' grave di quello di cui all'art. 612-bis del codice penale, contestato nel decreto di giudizio immediato. Il pubblico ministero e la difesa di parte civile nulla osservavano, mentre l'imputato chiedeva la restituzione degli atti al pubblico ministero ai sensi dell'art. 521, comma 2, del codice di procedura penale, rinvenendo un'ipotesi di fatto diverso, in modo da essere rimesso in termini per formulare richiesta di rito abbreviato; in subordine, comunque, ove il fatto fosse ritenuto lo stesso, di essere giudicato nelle forme del rito abbreviato. Ritiratosi in camera di consiglio, questo giudice rilevava l'assenza agli atti del fascicolo di documentazione medica indispensabile per la decisione in merito al capo 2) dell'imputazione ed emetteva ordinanza di rimessione della causa sul ruolo ai sensi dell'art. 525 del codice di procedura penale, rinviando al 9 giugno 2020 per l'acquisizione documentale sollecitata ai sensi dell'art. 507 del codice di procedura penale. All'udienza del 9 giugno 2020, acquisita la documentazione indispensabile ai fini della decisione, il giudice dichiarava chiusa l'istruttoria dibattimentale e invitava le parti a formulare nuovamente le conclusioni, che venivano rassegnate da ciascuno riportandosi alle richieste illustrate nell'udienza del 30 aprile 2020; a tal uopo la difesa produceva procura speciale per l'ammissione al rito abbreviato illustrata in conclusioni. All'esito della camera di consiglio, analizzate le risultanze istruttorie e vagliate le argomentazioni delle parti, questo giudice ritiene che il fatto provato in dibattimento sia lo stesso rispetto a quello contestato al capo 1) dell'imputazione, ma debba ricondursi all'alveo della diversa e ben piu' grave ipotesi incriminatrice di cui all'art. 572 del codice penale. Potrebbe quindi pervenire alla pronuncia decisoria nei termini di cui all'art. 521, comma 1, del codice di procedura penale senza tenere conto della richiesta del difensore di accedere al rito abbreviato, poiche' inammissibile, non essendo contemplata dalle disposizioni normative un'ipotesi di rimessione in termini. Cionondimeno, alla luce della richiesta formulata dal difensore di essere ammesso al rito abbreviato, ritiene di dover sollevare questione di legittimita' costituzionale - rilevante e non manifestamente infondata - dell'art. 521 del codice di procedura penale, giusta l'assenza di una disposizione di legge che attribuisca all'imputato - allorquando sia invitato dal giudice del dibattimento ad instaurare il contraddittorio sulla riqualificazione giuridica del fatto - il diritto di richiedere al giudice del dibattimento il giudizio abbreviato relativamente al fatto diversamente qualificato dal giudice in esito al giudizio. Rilevanza della questione 1.Le risultanze istruttorie nel procedimento a quo Dal momento che la valutazione di medesimezza del fatto opera su un piano non astratto ma concreto e consiste nel verificare se il fatto provato all'esito dell'istruttoria (2) , sul quale il giudice fonda la sua decisione riqualificatoria, sia il medesimo di quello descritto in imputazione, non si ritiene corretto in questa sede - anche a rischio di penetrare nelle pieghe dell'istruttoria e della valutazione delle sue risultanze - omettere l'analisi di cosa (e come) sia emerso in sede istruttoria. In sostanza, poiche' logico presupposto dell'opera di riqualificazione giuridica e' la medesimezza dal fatto e quindi l'identificazione chiara dei fatti provati e la loro corrispondenza con l'oggetto di imputazione (3) , sia consentito sostare sul primo dei presupposti logici della riqualificazione. Ebbene, all'esito dell'istruttoria dibattimentale, si ritiene che gli episodi fattuali emersi in sede istruttoria corrispondano a quelli decritti in contestazione ed il nucleo del fatto sia rimasto immutato. Le risultanze dell'istruttoria dibattimentale hanno infatti fornito prova dell'accadimento di siffatti episodi fattuali. La parte civile ha superato il vaglio di attendibilita' oggettiva e soggettiva, sia con riferimento al singolo episodio di lesioni del 25 novembre 2019, sia con riferimento ai fatti oggetto di contestazione al capo 1): il racconto e' stato dettagliato, genuino, coerente, non contraddittorio, equilibrato e mai la signora C ha mostrato tendenza a indugiare in descrizioni sovrabbondanti o inutilmente mortificanti, pur mantenendo un apprezzabile livello di precisione. Il suo racconto e' stato inoltre riscontrato: (i) dai fotogrammi ritraenti le parti del corpo, visibilmente compromesse, della C immortalate dai Carabinieri in sede di denuncia (cfr. fascicolo fotografico agli atti) - fotogrammi riferibili non solo a lesioni immediatamente recenti, ma anche a cicatrici o segni piu' risalenti; (ii) dalle dichiarazioni del figlio C D S , testimone diretto dello stato d'animo della madre, dei segni visibili talora sul suo corpo, nei litigi telefonici tra lei e il L ; e testimone de relato dei fatti, poiche' destinatario delle confidenze successive della madre. (iii) dall'annotazione di PG; (iv) in parte, dalle dichiarazioni delle stesse testimoni della difesa, ossia S A e L R , rispettivamente madre e sorella dell'imputato, le quali hanno entrambe confermato la gelosia di L e raccontato, per averlo appreso dalla C , un episodio in cui L distrusse il suo telefono - telefono riacquistato dalla stessa S . L'unico elemento narrativo frontalmente contrario rispetto ai fatti oggetto di contestazione, offerto dalle testimoni, e' stato dichiararsi ignare delle violenze fisiche subite dalla C . Tale elemento, di per se' non determinante ai fini della decisione nella misura in cui non si nega che i fatti si siano verificati, ma soltanto che le donne ne fossero a conoscenza, si e' ritenuto comunque inattendibile viste le contraddizioni del narrato. Quanto all'imputato, L si e' offerto di risarcire il danno - offerta rifiutata dalla parte civile - e, in sede di spontanee dichiarazioni, si e' detto profondamente pentito e ha chiesto scusa (4) . 1.1. Di seguito si offrira' la ricostruzione delle risultanze istruttorie per consentire - come si e' anticipato - a codesta Corte, ai fini della valutazione di rilevanza della questione proposta, di cogliere la concretezza del caso affrontato e, soprattutto, per dare conto con esaustivita' di quali siano le ragioni che, non solo in astratto ma in concreto, impongono la scelta del giudice a quo di riqualificare i fatti immutati nell'ipotesi di cui all'art. 572 del codice penale. (5) Prima di calarsi nel dettaglio, deve premettersi che i fatti di minacce, ingiurie, pressioni e violenza - condotte costitutive del reato di stalking contestato al capo 1), e descritte nelle lettere a), c) ed e), quanto alle minacce, ingiurie, pressioni, e descritte nelle lettere b) e d), quanto alla violenza - si sono tutti verificati in costanza della relazione sentimentale tra la C e il L . La persona offesa C P , giovane trentenne gia' madre di tre figli, due dei quali minorenni, ha raccontato di aver conosciuto l'odierno imputato L E , gia' separato dalla vecchia moglie nell'agosto del 2019 e di averlo frequentato fino al 26 novembre 2019, data in cui ha sporto la denuncia. Durante la relazione non vi fu stabile convivenza: la C viveva infatti nell'abitazione con i suoi tre figli, mentre il L da poco separato dalla ex moglie vittima di maltrattamenti (cfr. condanna n. 320/2018 emessa dal GIP presso il Tribunale di Torre Annunziata in data 11 ottobre 2018, irrevocabile il 5 marzo 2020), viveva nell'abitazione con la madre. Tuttavia, nonostante non vi fosse stabile convivenza, la relazione tra loro era seria, consolidata e fondata sulla condivisione dei rispettivi affetti: il L era stato presentato sin da subito ai figli della C (cfr. dichiarazioni della C e del figlio C D S e talora usciva a passeggiare con la C e i figli o addirittura prelevava da solo il figlio della C , C , in stazione quando il ragazzo faceva rientro da ove lavorava (cfr. dichiarazioni della C del figlio C ). Per converso, la C , introdotta sin da subito in famiglia come compagna del L , aveva stretto un intenso rapporto affettivo con la madre e la sorella dell'imputato, che frequentava stabilmente (cfr. dichiarazioni di S A e L R rispettivamente madre e sorella dell'imputato (6) ); quasi ogni pomeriggio, si recava a casa della madre dell'imputato, ove spesso si tratteneva anche senza il L attendendo il suo rientro da lavoro, preparando la cena per tutti i familiari del compagno (cfr. dichiarazioni di L R ) e consumandola poi in loro compagnia (cfr. dichiarazioni della C e della madre dell'imputato); di frequente, trascorreva in quella casa tutta la serata a guardare un film (cfr. dichiarazioni della C , e nel fine settimana, si fermava a dormire (cfr. dichiarazioni della madre dell'imputata). 1.2. Venendo ai fatti specifici di cui all'imputazione, secondo quanto raccontato dalla C , la relazione tra l'imputato e la vittima, inizialmente serena, si rivelo' dopo poche settimane turbolenta: frequenti divennero i diverbi e crescente ed usuale la violenza dell'imputato, che prese l'abitudine di scagliarsi contro di lei e colpirla con schiaffi e anche calci. Le aggressioni fisiche dell'imputato erano determinate da motivi che non possono che definirsi futili (7) , di frequente legati a gelosia (8) . (condotta di cui alla lettera b). Il L addirittura, la privo' dell'utilizzo libero del telefono cellulare (che controllava continuamente, talora addirittura deteneva vietandogliene l'uso e la cui scheda era comunque intestata a lui) (fatto indicato come evento del reato di cui al capo 1), le vieto' i social network e, ogni qualvolta non erano insieme ed ella non rispondeva al telefono, le telefonava con insistenza o le inviava messaggi fino ad ottenere una risposta (circostanza confermata dalla stessa sorella dell'imputato L R nel corso della sua deposizione (9) ) o addirittura la raggiungeva fin sotto casa, anche di notte, esigendo di parlarle (circostanza confermata dal figlio C D S nel corso della sua deposizione) (condotta di cui alla lettera a). Nonostante mantenesse riserbo sulle violenze subite, la sua relazione con il L desto' la preoccupazione di suo figlio maggiorenne C , il quale le chiese ripetutamente se i segni visibili sul suo corpo fossero stati provocati dall'imputato ed al quale nascose la verita' - fino alla sera del 25 novembre, giorno antecedente alla denuncia - addebitando i lividi ad incidenti stradali o a sbadataggine (cfr. circostanza confermata dal figlio C D S nel corso della sua lunga deposizione (10) ). D'altra parte, lo stesso figlio C aveva avuto percezione diretta delle intemperanze del L , poiche', in un'occasione, aveva assistito a una litigata tra la madre e il compagno al telefono e, sentite le grida dell'uomo, aveva preso la cornetta e gli aveva chiesto contezza della sua aggressivita'. Addirittura, il ragazzo aveva poi incontrato il L unitamente ad altri familiari della C , alla Stazione di solo per chiarire questo litigio e la questione si era chiusa li'. Anche la C ha raccontato questo episodio ed ha aggiunto che, in un litigio successivo tra lei e L , suo figlio C fu destinatario indiretto delle minacce poiche' il L , riferendosi al ragazzo, disse: «Si', si', fa' veni' pure a' figliete, pecche' vatte pure a' figliete...» (condotta di cui alla lettera c). La donna ha precisato di aver provato piu' volte a troncare la relazione con l'imputato successivamente ai loro litigi, ma di esservi tornata puntualmente insieme dopo qualche giorno, poiche' lo amava, nutriva la speranza di poterlo cambiare ed aiutarlo a mitigare il suo carattere irascibile ed aveva anche paura delle sue reazioni al distacco (fatto indicato quale evento nel corpo dell'imputazione di cui al capo 1). Innamorata del L , per ridurre le occasioni di litigio e proseguire la relazione, la C aveva imparato ad assecondarlo in tutto e renderlo continuamente partecipe dei suoi spostamenti. La C ha infine riferito che la relazione con l'imputato la costrinse all'alterazione delle sue abitudini di vita, soprattutto nel rapporto con i figli: in particolare, L pretendeva che ella trascorresse in sua compagnia tutte le sere - e non soltanto serate alterne, come era avvenuto in un pruno momento - e rincassasse a tarda ora, o addirittura si trattenesse per la notte, anche quando non si era organizzata per la gestione dei figli. Ella - per proseguire la relazione, non volendovi rinunciare ed avendo piacere di trascorrere la notte in compagnia di L - lo assecondo', sebbene fosse consapevole del fatto che una mancanza cosi' assidua da casa le creasse problemi, atteso che ivi l'aspettavano i suoi tre figli, due dei quali minorenni (circostanza - quella dei ripetuti rientri in tarda notte - confermata dal figlio C nel corso della sua lunga deposizione). Non ha fatto invece riferimento alla paura di uscire ed incontrarlo (come invece e' indicato in contestazione). Con riferimento all'episodio verificatosi il 25 novembre 2019, oggetto di autonoma contestazione al capo 2) (ma anche condotta di cui alla lettera d), la C ha raccontato l'episodio nei termini precisi in cui e' indicato in contestazione (11) , raccontando di un'aggressione da parte del L , protrattasi per varie ore all'interno di un hotel in cui stava con lui trascorrendo la notte, all'esito della quale, colpita con calci all'addome e alla schiena, trascinata per i capelli, sbattuta contro il muro e colpita alle gambe con una sedia di ferro, riporto' lesioni consistite nella frattura di una costola e vari diffusi e importanti traumi su viso e arti, guaribili in giorni venticinque (cfr. referto). Fu il figlio C che ha confermato la circostanza nel corso della sua deposizione) ad accoglierla sgomento in casa il mattino seguente all'aggressione e a spingerla, con l'aiuto di amici e altri familiari, nonostante le sue resistenze, a raggiungere il pronto soccorso e poi a denunciare. Il giorno successivo all'aggressione senti' telefonicamente anche l'imputato, il quale minimizzo' l'accaduto chiedendole di uscire e di coprire i lividi con un po' di trucco (condotta di cui alla lettera e). Dinanzi al suo rifiuto, L la chiamo' ripetutamente, ma ella non gli rispose piu' ed anzi si reco' a sporgere denuncia; da quel giorno, i due non si sono piu' incontrati. In data 6 dicembre 2019, il L e' stato attinto dalla misura della custodia cautelare in carcere. 1.3. Vale la pena dare conto anche delle risultanze istruttorie portate dalla difesa, poiche' tornera' utile, nel corso dei paragrafi successivi, tenere presente (a) quale sia stata la strategia adoperata dal difensore per difendersi dal fatto di cui al titolo di reato, contestato; e (b) se sia esigibile e corretto pretendere che la difesa adoperi nel processo una strategia che difenda l'imputato non solo dal titolo di reato contestato, ma da tutti i titoli di reato astrattamente compatibili con il fatto oggetto di contestazione, indipendentemente dalla loro enunciazione nell'atto d'accusa. Invero, la C ha precisato che l'unica persona con la quale si confido' sulle violenze subite fu proprio S A , madre dell'imputato, con la quale aveva un rapporto di viva confidenza: a suo dire, la donna, notando i lividi ed i segni sul suo volto e raccolte le sue rivelazioni, le consiglio' di interrompere il rapporto con suo figlio, perche' non era giusto che soffrisse in questo modo, ma lei non ci riusci', poiche' troppo coinvolta. La madre dell'imputato, nel corso della sua escussione quale teste della difesa, ha confermato di avere avuto un rapporto di estrema confidenza e sincero affetto con la C di aver appreso da lei che L e aveva distrutto il cellulare per ragioni di gelosia e di averlo ricomprato a sue spese, di aver consigliato invano alla ragazza di lasciarlo, di aver appreso dalle sue parole della violenza subita il 25 novembre 2019, poiche' quella mattina, come tutte le mattine si sentirono telefonicamente e la ragazza le disse di essere in ospedale. Tuttavia, ha negato di aver ricevuto confidenze sulle aggressioni fisiche perpetrate da L o di aver mai notato personalmente segni sul corpo della ragazza, neppure il giorno dopo l'aggressione del 25 novembre 2019. Ignara delle violenze fisiche si e' dichiarata anche la sorella dell'imputato L R . Ora, a prescindere dal dettaglio delle valutazioni in punto di attendibilita' delle testi della difesa sui temi delle violenze - che piu' correttamente deve trovare altrove la sua sede (12) -, va osservato che entrambe le donne - la S e la L , nel corso della deposizione, si sono soffermate sulla forza e l'intensita' del legame tra la C e L , sulla loro complicita', sull'assiduita' della loro frequentazione, sull'intimita' che loro stesse, in virtu' di quel legame, avevano creato con la C ; ed anche sulle «asperita'» caratteriali del L seppure ridimensionandole. La S ha anche chiaramente affermato di essersi accorta delle conseguenze emotive che queste asperita' avevano prodotto sulla ragazza e, addirittura, di aver tentato di dissuadere la ragazza a continuare il rapporto con L ; suggerimento che la ragazza non aveva potuto accogliere proprio per l'incapacita' di recidere il legame con l'imputato. 2. La riconducibilita' del fatta di cui al capo 1) alla fattispecie incriminatrice di cui all'art. 572 del codice penale Essendovi, come visto, corrispondenza tra i fatti storici oggetto di imputazione e i fatti emersi all'esito dell'istruttoria dibattimentale, questo giudice ritiene di doverli riqualificare nell'ipotesi incriminatrice di cui all'art. 572 del codice penale. Va a tal proposito osservato che i fatti addebitati all'imputato in imputazione, connotati, quanto alla condotta, da un alto grado di violenza e, quanto all'evento, da uno stato di paura, ma anche da uno stato di mortificazione e dipendenza fisica e psichica importante nella vittima, si sono svolte in costanza di una relazione sentimentale stabile tra le parti, che non ha avuto soluzione di continuita'. Alla luce di tali due elementi (ossia, da un lato, la gravita' dell'evento psichico - gia' descritto in imputazione - e le condotte, che non si sono limitate - gia' in contestazione - a minaccia e molestia; e dall'altro, la presenza di una relazione stabile e consolidata tra le parti) non appare corretta, a parere di questo giudice, la riconduzione operata dall'Ufficio di Procura dei fatti oggetto di imputazione alla fattispecie incriminatrice di cui all'art. 612-bis, comma 2, del codice penale. 2.1. Va premesso che la ratio di politica criminale che ha sorretto l'introduzione legislativa della fattispecie di cui all'art. 612-bis del codice penale, con l'art. 7 del decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11 («Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonche' in tema di atti persecutori»), convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 23 aprile 2009, n. 38, induceva ad escludere che i casi in cui tra vittima e carnefice fosse in corso una relazione affettiva stabile potessero ricadervi (sul punto, icastico il richiamo del difensore al termine anglofono stalking che nel linguaggio giudiziale da' titolo al reato e che implica etimologicamente la presenza di un cacciatore e di una preda (13) ). Il legislatore intendeva colmare un vuoto di tutela avverso i comportamenti persecutori, assillanti e invasivi della vita altrui, introducendo, in linea con gli ordinamenti stranieri, l'art. 612-bis del codice penale, per attribuire autonomo e aggravato rilievo penale alle condotte di minaccia e molestia - gia' punite come reati autonomi - quando le stesse fossero assillanti e reiterate (trattasi di reato abituale) ed idonee a cagionare almeno uno degli eventi indicati nel testo normativo (trattasi di reato di evento), ossia stato di ansia o di paura, timore per l'incolumita' personale e cambiamento delle abitudini di vita. In tali casi, il maggiore disvalore giuridico del fatto e' giustificato dall'esposizione della vittima a gravi conseguenze nella vita emotiva (stato di ansia e di paura ovvero timore per l'incolumita') e pratica (cambiamento delle abitudini di vita). Nel testo normativo originario, a conferma della fisionomia criminale dello stalking quale condotta di un soggetto allontanato dalla vita della vittima il quale, perseguitandola, tenta di rompere gli argini di quel confinamento, militavano argomenti interpretativi inequivocabili. La voluntas legislatoris appariva manifesta, in primis, nei dati statistici offerti dalla relazione di accompagnamento al disegno di legge n. 1440, riportanti i casi riconducibili alle fattispecie di nuovo conio, facendo riferimento a condotte «commesse in un caso su due (...) ad opera di ex mariti, ex conviventi o ex fidanzati, ma (...) anche da conoscenti, colleghi o estranei». Nessuna menzione di condotte perpetrate dal partner in costanza di relazione. In secondo luogo, con riferimento all'aggravante di cui al secondo comma dell'art. 612-bis del codice penale, nella stesura definitiva della disposizione originaria, non fu accolta la proposta di modifica della Commissione alla Camera, in cui si suggeriva che l'aggravamento della pena riguardasse anche il coniuge (non solo separato o divorziato) e la persona ancora legata da relazione affettiva alla persona offesa. Da questi due dati, emergeva che le ipotesi riconducibili a stalking perpetrate nell'ambito di una relazione affettiva stabile erano state ritenute, gia' dal legislatore del 2009, statisticamente risibili o comunque eccentriche rispetto alla ratio di introduzione della fattispecie, e pertanto neppure meritevoli di piu' stringente tutela - in distonia con la fisionomia di altri reati contro la persona in cui la relazione affettiva e' elemento aggravante (14) . 2.2. Come noto, tuttavia, l'aggravante di cui all'art. 612-bis, comma 2, del codice penale e' stata poi modificata dall'art. 1, comma 3, lettera a), del decreto-legge n. 93/2013, convertito dalla legge n. 119/20131, sostituendo all'espressione «coniuge legalmente separato o divorziato» quella di «coniuge anche legalmente separato o divorziato» ed attraendo nell'aggravante anche i rapporti affettivi in corso. Questo ampliamento - in teoria ben chiaro nella sua ratio di approntare una tutela rafforzata delle relazioni affettive in cui le minacce ben possono realizzarsi - ha snaturato, a parere di questo giudice, la fisionomia criminis del reato di stalking, creando dei profili di sovrapposizione con il reato di cui all'art. 572 del codice penale. Se le esigenze di politica criminale perseguite con la novella del 2009 erano infatti quelle di colmare uno specifico vuoto di tutela, con l'obiettivo di punire «la reiterazione insistente di condotte intrusive (15) , quali telefonate, appostamenti, pedinamenti fino, nei casi piu' gravi, alla realizzazione di condotte integranti di per se' reato (minacce, ingiurie, danneggiamenti, aggressioni fisiche) (16) .», sarebbe stato logico mantenere differenziati gli ambiti applicativi della fattispecie di stalking, rispetto a quelli del reato di maltrattamenti, poiche' era palesemente in contrasto con la ratio legislativa (e si veda in tal senso la - probabilmente superflua (17) - clausola di salvaguardia) la punizione di condotte che gia' ricevevano tutela con pene piu' gravi nella normativa previgente. Peraltro, la scelta di tenere distinte le ipotesi di maltrattamenti e di atti persecutori utilizzando quale parametro distintivo la presenza di una stabile relazione affettiva in corso, avrebbe avuto una sua ratio di politica criminale del tutto ragionevole: tenere condotte di minaccia o molestia nel contesto di una relazione stabile, reciprocamente condivisa, in danno di un partner il quale, nonostante le molestie e le minacce, non ha in se' le risorse emotive per respingere il reo, ed anzi, in una situazione di dipendenza affettiva e psicologica, subisce, ingoiandole, le sue condotte e continua a vivere la relazione nella speranza di poterla recuperare, evoca un fatto ascrivibile a pieno titolo alla ratio applicativa del reato di cui all'art. 572 del codice penale, molto piu' che nel terreno dello stalking che lascia ipotizzare la presenza di una vittima che fugge e di un carnefice che insegue. Tuttavia, come gia' detto, la presenza dell'aggravante di cui all'art. 612-bis, comma 2, del codice penale, che attrae alla sfera applicativa dell'art. 612-bis del codice penale anche le condotte persecutorie tenute nei confronti di una persona della famiglia lato sensu intesa (nozione sulla quale ci si soffermera'), impone di rivisitare i rapporti tra le due fattispecie in termini di sovrapposizione e di concorso apparente di norme, tenendo presente che la clausola di salvaguardia contenuta nell'art. 612-bis del codice penale rende espressamente sussidiaria l'ipotesi di stalking rispetto a quella di maltrattamenti, punita piu' gravemente (18) . 2.3. Ebbene, venendo all'analisi comparativa delle fattispecie, va osservato che innanzitutto l'oggettivita' giuridica di cui agli articoli 572 e 612-bis del codice penale e' diversa: il reato di maltrattamenti e' un reato contro la famiglia lato sensu intesa (o meglio contro l'assistenza famigliare) e il suo oggetto giuridico e' costituito dai congiunti interessi dello Stato alla tutela della famiglia da comportamenti vessatori e violenti e delle persone facenti parte della famiglia alla difesa della propria incolumita' fisica e psichica. Il reato di atti persecutori e' un reato contro la persona e in particolare contro la liberta' morale, che puo' essere commesso da chiunque con atti di minaccia o molestia reiterati e che non presuppone l'esistenza di interrelazioni soggettive specifiche. Venendo alla struttura dei due reati, rispetto all'asciutta descrizione del delitto di maltrattamenti - concetto omnicomprensivo, indeterminato o quantomeno elastico, che tra l'altro riassume in se' sia la condotta che l'evento psichico -, il delitto di stalking attribuisce rilievo penale alle condotte di minaccia o molestia idonee a cagionare uno dei tre eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice, quali la modifica delle abitudini di vita, il perdurante e grave stato di ansia e di paura e il fondato timore per l'incolumita'. La valutazione di idoneita' va condotta in concreto dal giudice il quale dovra' verificare il nesso causale tra la condotta posta in essere dall'agente e i turbamenti derivati alla vita privata della vittima (cfr. fra le tante Cassazione n. 46331/13 e n. 6417/10). Con riferimento agli eventi, agevole e' il controllo giudiziario sull'evento pratico ed esterno, quale la «modifica delle abitudini di vita»; piu' delicata la verifica degli eventi che riguardano la sfera intima, emotiva e psicologica, quali il «perdurante e grave stato di ansia e di paura» e il «fondato timore per l'incolumita'», che debbono essere accertati attraverso la verifica di elementi sintomatici di tale turbamento psicologico, ricavabili dalle dichiarazioni della vittima, messe in relazione alla sua sensibilita' personale, ma soprattutto dai suoi comportamenti conseguenti alla condotta posta in essere dall'agente ed anche da quest'ultima, considerando tanto il suo profilo concreto quanto la sua astratta idoneita' a causare l'evento. E' poi autonomo ed ulteriore il controllo della fattispecie soggettiva, dovendosi, tra l'altro, ritenere rilevanti solo gli eventi conosciuti dall'imputato e da questi valutati per portare a compimento il proprio intento persecutorio. Ponendo a confronto le due fattispecie, si evidenzia che, quanto alla condotta, i contegni di stalking - minacce e molestie (19) - sono astrattamente idonei ad integrare la condotta di maltrattamenti di cui all'art. 572 del codice penale, che attrae a se' tutti gli atti lesivi dell'integrita' fisica e morale della vittima, e quindi non solo le minacce e le molestie, ma anche, da un lato, le mortificazioni psichiche, e dall'altro, le ingiurie ed ogni forma di violenza. D'altronde, entrambi sono delitti abituali a forma libera, in cui le condotte si tipizzano per la loro idoneita' alla causazione dell'evento. A ben vedere anche gli eventi, non omologabili testualmente difettando l'esplicitazione dell'evento nel delitto di cui all'art. 572 del codice penale (implicito nella descrizione della condotta che attrae a se' sia l'atto di maltrattare sia l'evento di essere maltrattati), di fatto incontrano numerosi profili di sovrapposizione, almeno con riferimento ai due eventi alternativi emotivi e psichici, perche' il maltrattato e' chi sviluppa nei confronti del maltrattante un sentimento di timore o, quantomeno, di paura e di stress. Ad un'attenta analisi, tuttavia, lo status di maltrattato implica un evento psichico piu' complesso della sola paura, poiche' la vittima vive uno stato di svilimento, di prostrazione, di sopraffazione della sua personalita' morale, un costante patimento, determinato da un regime di vita in cui l'offesa alla propria personalita' e' divenuta abitudine costante, cosciente e volontaria da parte del soggetto attivo (20) . L'unico elemento di specialita' per aggiunta nello stalking rispetto al delitto di maltrattamenti e' l'evento della modifica delle abitudini di vita della vittima, che, non a caso, non e' richiesto nell'art. 572 del codice penale, fattispecie dall'estensione dell'evento psichico evidentemente piu' ristretta nelle sue ricadute tangibili e concrete. Del resto la modifica delle abitudini di vita, sebbene alternativo, appare emblematico dell'originaria vocazione della fattispecie di stalking nella modifica delle abitudini di vita della vittima causata dalle condotte persecutorie si scorge quel tentativo - ma anche quella capacita' - evitante della vittima rispetto alle persecuzioni del reo, capacita' che di regola non si riscontra ed infatti non e' richiesta nel reato di cui all'art. 572 del codice penale: in quest'ultimo caso, la vittima subisce il maltrattamento perche', sentimentalmente legata al maltrattante, ancora fortemente condizionata dal legame affettivo, non riesce ad allontanarsene - se non per brevi, faticosi momenti -, subisce e prosegue la relazione. Per converso, l'art. 572 del codice penale presenta un elemento di specialita' per specificazione rispetto all'art. 612-bis del codice penale, poiche', quasi a compensare la vaghezza della descrizione onnicomprensiva della condotta/evento di maltrattamenti, e' fortemente restrittivo nell'individuazione dell'ambito applicativo soggettivo: maltrattante e', per quanto qui rileva, solo la persona della famiglia o comunque convivente, come suggerisce anche la collocazione sistematica della disposizione. 2.4. Che per «famiglia» dovesse intendersi la «formazione sociale», fondata oltre che sulla costanza del matrimonio anche sul legame affettivo di chi l'ha costituita e da cui derivano i doveri di solidarieta' materiale e morale di tutti coloro che tali legami hanno creato, era noto ben prima della novella legislativa del 2012 (21) che ha aggiunto la dicitura «o comunque convivente», positivizzando un dato abbondantemente acquisito in via pretorile. Del resto, un'interpretazione estensiva dell'ambito applicativo soggettivo della norma e' in linea con la ratio dell'art. 572 del codice penale, che e' quella di punire autonomamente colui che adoperi condotte maltrattanti in un contesto affettivo protetto e di tutelare la vittima che subisce, proprio nella dimensione emotiva in cui dovrebbe ricevere maggiore cura, condotte di prevaricazione fisica o morale; e che, al contempo, anzi, proprio per la persistenza del legame affettivo e per il condizionamento emotivo che lo stesso esplica nella sua vita, fatica a riconoscere i suoi diritti, la sua dignita' e il suo spazio di liberta' nonche' ad esercitare la sua capacita' di difendersi. Le situazioni di vita che ricevono tutela nell'art. 572 del codice penale sono i legami affettivi forti e stabili, tali da rendere particolarmente difficoltoso per colui che patisce i maltrattamenti sottrarsi ad essi e particolarmente agevole per colui che li perpetua proseguire. Dal punto di vista della vittima, la reazione e' inibita perche' profondo e' il sentimento di dipendenza psicologica, irrinunciabile il progetto di vita intrapreso, pesante il senso di subordinazione o insuperabile il condizionamento materiale ed economico: la vittima ritiene comunque di dover accettare o di non poter o saper rompere il rapporto. Dal punto di vista dell'autore, il legame affettivo - sebbene sfibrato dalle mortificazioni -, in uno con la soggezione psicologica della vittima, la sua dipendenza morale, il suo affetto, il suo condizionamento materiale ed economico, il suo rispetto del valore stesso del rapporto, sono gli elementi che consentono la reiterazione, l'abitualita' dei suoi comportamenti di negazione e mortificazione dell'impegno di stabilita', assistenza reciproca e fedelta' (22) . Verificata l'oggettivita' giuridica del reato, tenuto conto della ratio legislativa della novella del 2012 di estensione dell'ambito applicativo del reato a coloro che comunque convivono, ratio legislativa improntata al rafforzamento della tutela e non al suo indebolimento, deve comprendersi quale estensione applicativa abbia il concetto di convivenza. Sul punto, la giurisprudenza di legittimita' - come si diceva - era stata molto chiara, anche prima della novella del 2012, nel ritenere persona di famiglia colei con la quale vi sia una relazione stabile e stabilmente organizzata, sia pure naturale e di fatto, prescindente dalla stabile coabitazione, condivisa nei reciproci ambienti di vita, fondata su unita' di intenti e progetti, reciproca assistenza, protezione e solidita'; caratteristiche che, per vero, costituiscono l'humus nel quale si innestano i condizionamenti subiti dal maltrattato (cfr. Cassazione penale, Sezione quinta, Sentenza n. 24688 del 17 marzo 2010, rv. 248312, in cui si afferma che «La giurisprudenza di legittimita' ha da tempo chiarito che il delitto di maltrattamenti in famiglia e' ravvisabile anche per la cosi' detta famiglia di fatto, ovvero quando in un consorzio di persone si sia realizzato, per strette relazioni e consuetudini di vita, un regime di vita improntato a rapporti di umana solidarieta' ed a strette relazioni, dovute a diversi motivi, anche assistenziali (vedi Cassazione, Sezione terza, 3 luglio-3 ottobre 1997, n. 8953). La sentenza citata ha, altresi', precisato che non e' necessaria la convivenza e la coabitazione; cio' perche' la convivenza non rappresenta un presupposto della fattispecie criminosa in questione»; o anche Cassazione penale, Sezione terza, sentenza n. 8953 del 3 luglio 1997 Ud. (dep. 3 ottobre 1997) Rv. 208444 - 01; e Cassazione penale, Sezione sesta, 18 dicembre 1970, ove si e' ritenuto sufficiente che tra i non conviventi vi fosse una stabile relazione sessuale). Ma, anche all'indomani della novella del 2012, la giurisprudenza ha operato un'interpretazione estensiva del concetto di convivenza, valorizzando ben piu' del dato formale della condivisione continuativa di spazi fisici, il dato sostanziale della condivisione di progetti di vita (cfr. da ultimo, Cassazione penale, Sezione sesta, sentenza n. 19922 del 2019, ed anche Cassazione penale, Sezione seconda, 23 gennaio 2019, n. 10222. Piu' diffusamente, Cassazione penale, Sezione sesta, n. 31121 del 18 marzo 2014, Rv. 261472, in cui si ritiene integrato il delitto di maltrattamenti con riferimento a due amanti non conviventi, «Da tempo la giurisprudenza ha chiarito che la norma di cui all'art. 572 del codice penale non riguarda solo i nuclei familiari costruiti sul matrimonio, ma qualunque relazione che, per la consuetudine e la qualita' dei rapporti creati all'interno di un gruppo di persone, implichi l'insorgenza di vincoli affettivi e aspettative di assistenza assimilabili a quelli tradizionalmente propri del nucleo familiare. E' infatti in contesti del genere che sorge la primaria esigenza di tutela assicurata dalla norma incriminatrice, cioe' quella di evitare che dai vincoli familiari nascano minorate capacita' di difesa a fronte di sistematici atteggiamenti prevaricatori assunti da un componente del gruppo: evitare cioe' che la relazione costituisca al tempo stesso l'occasione e la "vittima" di assetti patologici nei rapporti interpersonali piu' stretti. Cio' detto, sembra chiaro come la fattispecie non esiga affatto il carattere monogamico del vincolo sentimentale posto a fondamento della relazione, e neppure una continuita' di convivenza, intesa quale coabitazione. E' necessario piuttosto, ed unicamente, che detta relazione presenti intensita' e caratteristiche tali da generare un rapporto stabile di affidamento e solidarieta'.»). D'altra parte, un'interpretazione siffatta e' l'unica compatibile con l'art. 3 della Costituzione: sarebbe infatti irragionevole tutelare la vittima di mortificazioni abituali allorquando sia legata da vincoli fondati sul matrimonio, anche in quei casi in cui il rapporto sia ormai sgretolato e indebolito nella sua capacita' di condizionare la vittima (si pensi al caso di ex coniugi, in relazione ai quali la giurisprudenza ritiene configurabile il reato di maltrattamenti e assorbito quello di atti persecutori aggravati (23) ); e non tutelare, invece, la vittima di mortificazioni abituali che avvengono in contesti affettivi non suggellati da scelte formali, ma caratterizzati comunque dalla attuale condivisione di spazi e progetti di vita che condizionano fortemente la capacita' di reagire della vittima. Va peraltro rilevato che, anche dopo l'innovazione del 2012, secondo un'interpretazione letterale, la convivenza non puo' essere ritenuta elemento costitutivo, ma solo residuale, del delitto di cui all'art. 572 del codice penale, in considerazione del fatto che la norma si riferisce, nell'indicare il soggetto passivo ad «una persona della famiglia o comunque convivente». Del resto, le ulteriori ipotesi di rapporti giuridici presi in considerazione dalla norma (sottoposizione ad autorita' o affidamento per ragioni di educazione, istruzione, cura vigilanza custodia, ovvero per l'esercizio di una professione o di un'arte) prescindono tutte dall'elemento della convivenza, essendo invece dirimente l'elemento del carattere para-familiare dei rapporti (24) . 2.5. Ora, identificato il rapporto di specialita' bilaterale tra le fattispecie, posto che, per quanto di interesse, entrambi i reati possono essere integrati in corso di relazione affettiva (per lo stalking, in particolare, nell'ipotesi aggravata di cui all'art. 612-bis, comma 2, del codice penale qui contestata), deve ritenersi che il rapporto tra le fattispecie, in tal caso, si ponga in termini di gradualita' e approfondimento dell'offesa, coerentemente con la risposta sanzionatoria prevista dal legislatore, che vede oggi il reato di maltrattamenti punito ben piu' gravemente del delitto di atti persecutori anche nella forma aggravata. Se le molestie e le minacce si accompagnano ad altre condotte diverse e ancor piu' mortificanti (quali violenze, ingiurie, mortificazioni e pressioni psicologiche) tali da provocare uno svilimento della sfera morale ed emotiva della vittima e paralizzarla nelle sue reazioni, la condotta e' idonea a integrare il reato di maltrattamenti, per cui il reato di stalking, in virtu' della clausola di salvaguardia, non potra' configurarsi. Nel caso contrario - casisticamente limitato, restando l'art. 572 del codice penale l'ambito elettivo per la tutela delle relazioni affettive esposte al rischio di distorsioni - in cui la condotta di minaccia e molestie, pur generando nella vittima uno degli eventi psichici alternativi del delitto di stalking, non si risolva in una condizione di mortificazione insostenibile per la vittima, perche' costei, pur impaurita, sia per esempio in grado di reagire e fronteggiare il carnefice, offrendo condotte pari e contrarie (25) ovvero modificando le sue abitudini di vita in chiave respingente del carnefice, l'unico reato configurabile sara' quello di atti persecutori nella forma aggravata. D'altra parte, quando la condotta, nel tempo, si sia progressivamente concretata in atti ben piu' gravi delle sole molestie e minacce appare evidente dalle stesse condotte che la vittima abbia sopportato dal carnefice molto piu' di quanto avrebbe, in una relazione percepita alla pari, consentito. In tal modo, si offre una lettura del tutto compatibile con il dato normativo, poiche' e' fatto salvo lo spazio applicativo della fattispecie aggravata di cui all'art. 612-bis, comma 2, del codice penale in caso di relazione affettiva o coniugale ancora in corso, ferma restando la sussidiarieta' della fattispecie ove il fatto sia riconducibile all'ipotesi piu' grave di maltrattamenti 2.6. Applicando le conclusioni cui si e' pervenuti al caso oggetto di giudizio occorre rilevare che, al momento dei fatti, tra la C e L vi era un rapporto di condivisione affettiva stabile, come si evince nella stessa imputazione (cfr. in punto di indicazione dell'aggravante di cui all'art. 612-bis, comma 2, del codice penale): nonostante non vi fosse convivenza a carattere continuativo, trattandosi tra l'altro, per entrambi, di una seconda relazione a seguito di una prima esperienza relazionale naufragata (sono soggetti gia' separati e, almeno la C , con figli), il rapporto era serio, stabile e fondato sulla condivisione dei rispettivi affetti. Il L era stato presentato sin da subito ai figli della C (cfr. dichiarazioni della C e del figlio C D S ) e talora usciva a passeggiare con la C e i figli o addirittura prelevava da solo il figlio della C , C , in stazione quando il ragazzo faceva rientro da S , ove lavorava (cfr. dichiarazioni della C e del figlio C ). Per converso, la C introdotta sin da subito in famiglia come compagna del L , frequentava quotidianamente l'abitazione della madre di L ove costui viveva: quasi ogni pomeriggio, si recava in quella casa, spesso si tratteneva anche senza il L , attendendo il suo rientro da lavoro, preparando la cena per tutti i familiari del compagno (cfr. dichiarazioni di L R ) e consumandola poi in loro compagnia (cfr. dichiarazioni della C e della madre dell'imputato); di frequente, trascorreva in quella casa tutta la serata a guardare un film (cfr. dichiarazioni della C ) e nel fine settimana, si tratteneva a dormire (cfr. dichiarazioni della madre dell'imputato). Aveva inoltre stretto un intenso rapporto affettivo con la madre e la sorella dell'imputato, che frequentava stabilmente (cfr. dichiarazioni di S A L R , rispettivamente madre e sorella dell'imputato (26) ). Indubbia la condivisione del progetto di vita ed evidente l'intenso legame affettivo, che si pervadeva nei reciproci ambiti di vita, avvincendo la C al L . Il contesto e' quindi quello di una relazione affettiva attuale e stabile, con doveri ed interessi reciproci, caratterizzata anche dal coinvolgimento degli amanti nei rispettivi rapporti familiari, tale da attrarre le condotte tenute dal L nel campo applicativo soggettivo di sovrapposizione tra la fattispecie di cui all'art. 612-bis, comma 2, del codice penale e 572 del codice penale. 2.7. Poste queste premesse, vanno analizzate le condotte contestate al L e l'evento psichico ed eventualmente materiale prodotto nella C . Le condotte descritte in imputazione consistono, innanzitutto, in violenze fisiche gravi, altamente lesive reiterate, sovente legate a ragioni di gelosia, (condotte descritte alle lettere b e d); le stesse hanno trovato conferma in sede istruttoria (cfr. fascicolo fotografico e descrizione della vittima) e sono parse peraltro sovente legate a motivi veramente futili. Non mancano le violenze psicologiche, riconoscibili nell'atto di (i) distruggere, in piu' occasioni, il telefono della vittima e privarla di un telefono a lei intestato e da lei gestito liberamente, anche mediante uso dei social network (fatto descritto in imputazione, pur avendo il pubblico ministero ritenuto un evento del delitto di atti persecutori, e non invece una condotta persecutoria); (ii) aggredirla allorquando scopri' che utilizzava ugualmente un telefono al di fuori del suo controllo (condotta descritta alla lettera d); (iii) raggiungerla sotto casa, anche di notte, e tempestarla di telefonate, ove non fosse agevolmente raggiungibile telefonicamente, poi ingiuriandola (condotta riconducibile al concetto di molestia descritta alla lettera a) (iv) minacciare, nel corso di un litigio, di ledere l'incolumita' fisica di suo figlio - ragazzo che incontrava anche da solo in stazione - col quale aveva peraltro gia' avuto un confronto acceso (condotta descritta alla lettera c); (v) pressarla per uscire, nonostante i visibili lividi sul volto che gli aveva provocato, invitandola a coprirli col trucco notte - condotta riconducibile al concetto di molestia descritta alle lettera d). Le condotte descritte, secondo quell'ottica, di cui si e' discusso in precedenza, di approfondimento dell'offesa intesa quale sistematica mortificazione del legame relazionale ed affettivo, appaiono a pieno titolo sussumibili nell'art. 572 del codice penale poiche', lungi dal risolversi in mere minacce e molestie, si sono concretizzate in qualcosa di piu': sistematici e coscienti atti di prevaricazione fisica e psicologica che la vittima ha ampiamente tollerato senza opporre mai resistenza. Oltre alla gravita' delle condotte descritte, che paiono esprimere per se' sole con pienezza e solidita' il concetto di maltrattamenti, elemento idoneo a dare corpo alla tipicita' del reato e' anche l'evento psichico prodotto sulla C . In punto di evento, si esprime innanzitutto piena condivisione della tesi difensiva, nella parte in cui il difensore propendeva per l'esclusione, nel caso di specie, dell'evento della modifica delle abitudini di vita. Non e' infatti dato di riconoscere nei fatti indicati in contestazione, e finanche in quelli esplicitati dalla vittima in sede istruttoria, la modifica della abitudini di vita richiesta dalla norma incriminatrice di cui all'art. 612-bis del codice penale. Con riferimento ai primi, cioe' quelli oggetto di imputazione, l'Ufficio di Procura ritiene sia evento pratico del reato l'avere la C (a) smesso di uscire di casa per non incontrare L (evento completamente smentito in sede istruttoria); e (b) avere acconsentito a detenere un telefono intestato all'imputato (scelta accusatoria che tradisce un equivoco sulla ratio dell'art. 612-bis del codice penale e sul nesso causale tra condotta ed evento, poiche' acconsentire a un'imposizione dell'imputato non rientra nell'evento pratico della modifica della abitudini di vita - evento che richiede invece l'attivarsi dell'iniziativa reattiva della vittima in chiave evitante delle persecuzioni del reo - ma esprime semplicemente la tolleranza della condotta del reo, in cui si scorge al piu' l'evento psichico del reato). Quanto poi alla pretesa modifica delle abitudini di vita riferita dalla vittima in sede istruttoria consistente nel doversi trattenere la sera tardi con l'imputato, trascurando i suoi figli (che a rigore non sarebbe neppure un evento contestato nel dettaglio dell'imputazione) - tralasciando il fatto che la donna ha ammesso di intrattenersi con L anche perche' aveva piacere a trascorrere la notte con lui - anche questo comportamento, come rilevava correttamente la difesa, non e' idoneo a integrare una modifica delle abitudini di vita causata dalla condotta persecutoria in chiave evitante, ma esprime, ancora una volta, semplicemente la tolleranza della condotta del reo, in cui si coglie al piu' l'evento psichico del reato. Vale la pena, peraltro, di precisare che l'assenza di una condotta concretamente evitante di modifica delle abitudini di vita e' proprio uno degli elementi che conduce a propendere per l'integrazione dell'evento psichico di maltrattamenti, secondo le coordinate espresse nel paragrafo precedente, poiche' manifesta quello stato di svilimento e carenza di reattivita' della vittima che e' tipico evento psichico implicito del delitto di maltrattamenti. L'evento psichico, come rilevato nei paragrafi che precedono, e' un terreno che offre rischi di scivolamento, in sede probatoria, tra il reato di atti persecutori, ove l'evento psichico e' alternativamente esplicitato, e quello di maltrattamenti, ove l'evento psichico e' implicito. Quando la contestazione contenga in se' - come accade nel caso di specie - l'evento psichico di stress paura e timore per l'incolumita' esso e' idoneo a coprire sia l'evento di maltrattamenti che quello di persecuzione, e sara' necessario vagliare nel merito come concretamente l'evento si atteggi. Chiaramente, trattandosi di evento psichico, la prova dovra' raccogliersi, come accade in tutte le verifiche di stati interiori, emotivi o volitivi, privilegiando l'analisi oggettiva delle condotte di entrambe le parti, e non i sentimenti interiori cosi' come riferiti in sede istruttoria. Poste queste premesse, si offre all'interprete un profilo di ampia osmosi tra condotta ed evento, poiche' quanto piu' sono dirompenti le condotte aggressive del reo tanto piu' la persona offerta e' stata disposta, gradualmente nel tempo, a sopportare, mostrando quell'altissimo livello di prostrazione e svilimento della sua persona, di dipendenza psicologica, che costituisce, in uno alla paura e al timore per la propria incolumita', il dato tipico dell'evento psichico maltrattamenti. Ne deriva che, quando le condotte del partner trasmodino in attacchi fisici e seri, in pratiche di controllo sistematico della vita altrui, che non incontrano resistenza e si sviluppano per un tempo non esiguo, diventa arduo escludere il piu' profondo evento psichico caratterizzante della vittima maltrattata. Nel caso di specie, la C aveva sicuramente paura di L , aveva sicuramente timore per se' e per i suoi cari (cosi' come indicato in imputazione) ma la gravita' delle condotte che la stessa e' stata disposta a sopportare - in termini di privazioni, pesanti violenze culminate nella frattura di una costola e di tre dita, di rischi che concretamente correva per se' e per suo figlio, apertamente minacciato da L , soggetto del quale ben conosceva l'indole violenta scatenatasi contro l'ex moglie - illumina un evento inserito in un contesto di paralisi, coazione a ripetere, conservazione del rapporto ad ogni costo, resistenza al cambiamento (ampiamente dimostrata nelle parole del figlio e della suocera) che conduce in modo chiaro, inequivocabile alla cifra dei maltrattamenti. Questi elementi rendono ragione della riqualificazione giuridica dei fatti contestati al capo 1) nell'ipotesi incriminatrice di cui all'art. 572 del codice penale. 3. Il potere di riqualificazione giuridica del fatto nella fattispecie di cui all'art. 572 del codice penale, trattandosi di stesso fatto Non v'e' alcun dubbio che, nel caso di specie, il fatto ritenuto in decisione sia esattamente conforme e medesimo rispetto al fatto di cui alla contestazione, avendo operato questo giudice entro gli stretti limiti consentiti dalla riqualificazione giuridica, in ossequio al principio iura novit curia. 3.1. Va, innanzitutto, premesso che l'illustrazione, teste' operata, dei rapporti tra le due fattispecie in termini di concorso apparente di nome, risolto con applicazione del principio di specialita' - reso addirittura sovrabbondante e scontato dall'utilizzo della clausola di salvaguardia di cui all'art. 612-bis del codice penale - consente di ritenere integrato finanche quel requisito accreditato dalla dottrina piu' garantisca per aversi medesimo fatto: e' noto infatti che una certa dottrina ritiene che, in tanto possa parlarsi di stesso fatto, in quanto tra la fattispecie originariamente contestata e la fattispecie individuata dal giudice vi sia un rapporto di specialita' (27) . 3.2. D'altra parte, e' stato correttamente sostenuto (28) che l'analisi circa la medesimezza del fatto non debba essere affrontata avendo riguardo alle fattispecie astratte secondo criteri di diritto sostanziale, ma piuttosto in concreto, avendo a mente il fatto processualizzato, la fattispecie giudiziale, nella sua unicita' storica e nel suo dipanarsi procedimentale. Ebbene, anche secondo questo approccio processualistico puro, che pone al centro il diritto di difesa, il fatto giudicato nel presente giudizio ed emerso all'esito dell'istruttoria deve ritenersi immutato rispetto alla contestazione. Secondo questa prospettiva, per verificare che il giudice abbia operato un'autentica riqualificazione giuridica e non abbia invece agito in violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, occultando, dietro la riqualificazione giuridica, una diversa ricostruzione del fatto rilevante ex art. 516 del codice di procedura penale, finalizzata ad evitare la restituzione degli atti all'Ufficio di Procura imposta dall'art. 521, comma 2, del codice di procedura penale in caso di fatto diverso gli elementi fattuali posti alla base della fattispecie tipica nuova ritenuta dal giudice in sentenza devono trovare corrispondenza nei temi di prova di cui si compone l'imputazione, sebbene siano stati poi valorizzati diversamente dal giudice all'esito dell'istruttoria (o all'esito della lettura degli atti, quando la riqualificazione opera in sede di abbreviato). Quanto piu' la tecnica redazionale utilizzata dall'Ufficio di Procura per la stesura della contestazione sara' stata appropriata, tanto piu' sara' possibile scorgere tra i fatti esposti al contraddittorio quelli utilizzati dal giudice nella costruzione della nuova fattispecie - che, evidentemente, nell'ottica accusatoria erano stati ritenuti ancillari o semplicemente fraintesi nel loro significato giuridico. In altri termini, se nell'imputazione la condotta attribuita all'imputato e' descritta in termini fattuali, riferibili a circostanze determinate, e non invece parafrasando le espressioni che ricorrono nella disposizione normativa (29) , la strada alla riqualificazione rispetterebbe a pieno il principio di correlazione tra accusa e sentenza riferito al fatto, poiche' la difesa avra' potuto instaurare il contraddittorio ed organizzato la difesa su tutti gli elementi presi in considerazione dal giudice per operare una correzione in iure. Nel caso di specie cio' si e' puntualmente verificato: l'imputazione e' assolutamente adeguata, perche' utilizza un approccio concreto nel descrivere i fatti, ma, attraverso lo scheletro testuale, distribuisce gli elementi del reato in modo puntuale in modo che ne emerga chiaramente il significato che l'accusa vi ha attribuito in diritto. Nel capitolo precedente, dedicato all'illustrazione delle ragioni della riqualificazione, in nessun passaggio argomentativo, si' e' utilizzato un fatto non oggetto di imputazione, quale elemento costitutivo del delitto di maltrattamenti, o comunque quale argomento per la riqualificazione. Si e' operato, dapprima, descrivendo i rapporti astratti tra le fattispecie di cui all'art. 612-bis del codice penale e 572 del codice penale e poi, promuovendo un'interpretazione estensiva del concetto di famiglia e convivenza sostenuta anche in via pretorile, si sono individuati i criteri risolutivi del concorso apparente di norme in caso di condotte poste in essere dal partner in corso di relazione affettiva. Dopodiche', ci si e' limitati a rilevare che, alla stregua di quei criteri: 1) le condotte descritte in imputazione devono ritenersi, per la loro gravita', quelle tipiche del delitto di maltrattamenti; 2) uno dei due eventi descritti in imputazione e qualificato giuridicamente dall'accusa come «modifica delle abitudini di vita» ex art. 612-bis del codice penale deve ritenersi, sebbene correttamente descritto in fatto, come elemento ascrivibile all'area delle condotte, o, al piu' puo' costituire uno dei fatti oggettivi - unitamente a tutte le altre condotte - da cui tratte la prova dell'evento psichico di maltrattamenti; 3) gli eventi menzionati (30) in imputazione quali eventi psichici del delitto di atti persecutori, tenuto conto della gravita' delle condotte e della dirompenza dell'evento di lesioni, devono ritenersi quelli tipici dell'evento psichico del delitto di maltrattamenti. 3.3. Non sfugge peraltro a questo giudice che i criteri illustrati, che pure sono soddisfatti nel caso in specie, sono incomparabilmente piu' restrittivi di quelli utilizzati dalla giurisprudenza di legittimita' in tema di riqualificazione giuridica del fatto (cfr. Cassazione, Sezioni unite 19 giugno 1996, Di Francesco, in Cassazione penale 1997, p. 367), alla stregua dei quali non v'e' dubbio alcuno che il caso di specie si annoveri tra i mutamenti di nomen iuris. Secondo la giurisprudenza di legittimita', il fatto ritenuto in sentenza e' diverso ed obbliga all'epilogo di cui all'art. 521, comma 2, del codice di procedura penale, solo (i) quando sia radicalmente trasformato e logicamente incompatibile rispetto a quello contestato, restando irrilevanti variazioni che non incidono sul nucleo della condotta (Cassazione 6 febbraio 2014, M., in CEDCass, m. 260156; Cassazione 16 dicembre 2015, Addio, in CEDCass, m. 265946); o addirittura, secondo la c.d. teoria funzionale del fatto (ii) quando sul fatto diverso da quello oggetto di imputazione, la difesa non abbia potuto esercitare il diritto al contraddittorio (Cassazione 18 giugno 2013, Crescioli, in CEDCass, m. 257015). La teoria, argutamente, inverte l'ordine logico tra diversita' del fatto e lesione del diritto di difesa: il fatto non lede il contraddittorio perche' e' diverso; ma e' diverso perche' lede il contraddittorio. Frontalmente contrastata dalla dottrina, questa prassi consentirebbe quello che viene dalla dottrina definito il c.d. «doppio scarto dall'accusa» (31) , sia in punto di fatto che di diritto, metodo col quale la giurisprudenza amplierebbe irreparabilmente lo spazio di applicazione della riqualificazione giuridica, a detrimento del diritto di difesa. Senza pretendere di esaurire il lungo - e ben piu' autorevolmente sostenuto - dibattito sul tema, sara' utile, nei paragrafi che seguono, tenere ben presente la vis espansiva che il potere riqualificatorio del giudice conosce nella prassi. 3.4. Va infine segnalato che, in numerosi casi analoghi ma riferiti all'ex coniuge, la giurisprudenza di legittimita' ha ammesso la riqualificazione del fatto nell'ipotesi di cui all'art. 572 del codice penale anche in sede decisionale, ritenendo che l'imputato avesse piena consapevolezza, fin dall'origine del procedimento, dei fatti storici ascrittigli, sebbene gli stessi andassero squalificati - restando il nucleo fattuale identico - e sussunti, in ragione della clausola di assorbimento prevista dallo stesso art. 612-bis del codice penale, sotto il regime della fattispecie speciale dei maltrattamenti in famiglia (sul punto, Cassazione, Sezione quinta, Sentenza n. 4166 del 4 maggio 2016 Ud. (dep. 4 ottobre 2016). 4. La preclusione per l'imputato all'accesso al rito abbreviato, in caso di riqualificazione giuridica del fatto operata in sede di decisione Chiarito che il fatto emerso all'esito dell'istruttoria non sia diverso dal fatto oggetto di imputazione e che, cionondimeno, debba essere riqualificato nell'ipotesi incriminatrice di cui all'art. 572 del codice penale, deve escludersi che la richiesta difensiva di restituzione degli atti all'Ufficio di Procura strumentale alla rivalutazione dell'accesso al rito abbreviato formulata in sede di conclusioni - allorquando le parti venivano interpellate ad esprimersi in merito alla riqualificazione giuridica - possa trovare applicazione poiche' si e' fuori dal paradigma previsto dall'art. 521, comma 2, del codice di procedura penale. La disciplina processuale prevista in caso di riqualificazione giuridica del fatto, in ossequio al principio iura novit curia, e' quella prevista dall'art. 521, comma 1, del codice di procedura penale, a norma del quale «il giudice puo' dare al fatto una definizione giuridica diversa da quella enunciata nell'imputazione, purche' il reato non ecceda la sua competenza ne' risulti attribuito alla cognizione del tribunale in composizione collegiale anziche' monocratica». In tale contesto, neppure puo' trovare accoglimento la richiesta difensiva di ammissione al rito abbreviato, che va ritenuta tardiva e inammissibile, poiche', a norma dell'art. 458 del codice di procedura penale, la richiesta di rito abbreviato nel giudizio immediato deve essere formulata, a pena di decadenza, entro quindici giorni dalla notificazione del decreto di giudizio immediato. Tale termine nel caso di specie e ampiamente spirato, ne' vi sono disposizioni normative che consentano, in questa ipotesi, di restituire l'imputato nel termine per formulare la richiesta. Orbene, questo giudice - per le ragioni che si illustreranno - dubita della tenuta costituzionale della norma di cui all'art. 521 del codice di procedura penale nella parte in cui non prevede la facolta' dell'imputato di richiedere il rito abbreviato relativamente all'ipotesi riqualificata; e - per le ragioni illustrate - ritiene altresi' che la questione di legittimita' costituzionale di tale disposizione sia rilevante nel presente giudizio, dal momento che, ove questa venisse dichiarata costituzionalmente illegittima, l'imputato sarebbe giudicato nel giudizio a quo nelle forme del rito abbreviato. Non manifesta infondatezza della questione Tanto premesso in punto di rilevanza della questione nel caso di specie, ritiene questo giudice che la disposizione di cui all'art. 521 del codice di procedura penale violi gli articoli 3, 24 e 111 della Costituzione per i motivi che nei paragrafi che seguono si esporranno. 1. Premessa Come noto, il potere attribuito al giudice, ai sensi dell'art. 521, comma 1, del codice di procedura penale di operare direttamente in sentenza la riqualificazione giuridica del fatto, purche' sia immutato, e' storicamente ispirato al principio iura novit curia. Tale ampio potere del giudice sul nomen iuris si fonda, storicamente, sull'assunto per il quale l'attivita' di sussunzione del fatto nella fattispecie astratta, a differenza dell'attivita' di accertamento del fatto (32) , e' neutra e meccanicistica, scevra da valutazioni e apprezzamenti, fondata su criteri di pura logicita' e operante su un universo normativo governabile, lineare, comprensibile, ponderato. Corollario di questo assunto e' l'inutilita' del contraddittorioin iure, o meglio la sua rinunciabilita' in nome di esigenze ritenute ad esso sovraordinate; e sembrerebbe essere proprio questa la ratio dell'art. 521, comma 1, del codice di procedura penale. Senonche' questa premessa, ispirata al positivismo giuridico, ha offerto il fianco a una critica, ampiamente condivisa, che ritiene l'attivita' interpretativa ontologicamente creativa: complice un universo normativo polisemico (33) , multilivello, talora irrazionale, l'interpretazione del giudice, non improntata per natura a criteri di scienza «forte» e irrimediabilmente guidata dal suo sistema valoriale e da condizionamenti piu' o meno consapevoli, sarebbe un'attivita' non prevedibile, ne' univoca. Posta in tali termini, la riqualificazione giuridica - sebbene irrinunciabile in quanto corollario del principio di legalita' sostanziale e del suo rovescio processuale, ossia la soggezione del giudice alla legge - operata addirittura in decisione «a sorpresa» ai sensi dell'art. 521, comma 1, del codice di procedura penale, e' tutt'altro che un evento neutro ed appare piuttosto una vicenda traumatica per tutte le parti. Il legislatore del 1988 ben conosceva il potenziale impatto che la riqualificazione aveva sulle posizioni delle parti, ma, per il timore che la prerogativa riqualificatoria del giudice ne uscisse indebolita, si scelse di sacrificare le garanzie difensive (34) . 1.1. E' stata necessaria una decisa spinta della Corte europea dei diritti dell'uomo per chiarire che il costo di questa scelta, si' categorica, fosse troppo alto in termini di sacrifico dei diritti di difesa: la giurisprudenza della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali ha infatti chiarito, con il noto caso Drassich (35) , che il mutamento della qualifica giuridica rappresenta una frattura nel processo, al ricorrere della quale il diritto di difesa deve essere garantito quantomeno nella declinazione di diritto al contraddittorio argomentativo e probatorio. In estrema sintesi, si e' stabilito che l'art. 6, 1 e 3, lettere a) e b) della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, cosi' come enucleati in via interpretativa dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, riconosce all'imputato il diritto di essere informato, in termini dettagliati, non solo dei «fatti materiali» addebitatigli, ma anche della «qualificazione giuridica» degli stessi e di ogni possibile loro modificazione nel corso del giudizio. Tale diritto e' funzionale a quello previsto all'art. 6, lettera b), cioe' a consentire all'imputato di disporre di un tempo sufficiente per preparare la propria difesa sull'elemento mutato, sia esso in fatto sia in diritto. Il contenuto del diritto peraltro appare ripreso nell'art. 111 della Costituzione. 1.2. A fronte di una restituzione di dignita' piu' piena al diritto di difesa, progressivamente delineatasi nelle pronunce della Corte europea dei diritti dell'uomo (36) , forte e' stata la tentazione di cercare nei principi sovrazionali i criteri guida per eliminare ogni residuo ostacolo all'estrinsecazione del diritto di difesa, in tutte le sue declinazioni, ivi compresa la richiesta di riti alternativi, nei fenomeni di mutamento dell'imputazione. E' da ascriversi a tale tentativo, approdato tuttavia nell'ambito del diritto dell'Unione Europea, la recente ordinanza di rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell'Unione Europea proposta dal Tribunale di Brindisi (37) , il quale ha dubitato che l'art. 521 del codice di procedura penale, nella misura in cui disciplina diversamente quaestio facti e iuris ed impedisce, solo nella modifica in iure, l'accesso al patteggiamento, sia compatibile con gli articoli 2, 3, par. 1, lettera c), e 6, par. 1-3 della direttiva n. 2012/13/UE e con l'art. 48 della Carta dei diritti fondamentali dell'UE (CdfUE), riguardanti il diritto all'informazione delle persone indagate e imputate. L'apprezzabile tentativo, come noto, non ha condotto ai risultati sperati, non perche' la premessa giuridica di fondo difettasse di fondatezza, ma perche', secondo la Corte di Giustizia (38) , garantire il diritto di difesa in ogni sua declinazione - anche quindi nella scelta del rito - a fronte dei mutamenti dell'imputazione, sia in fatto che in diritto, e' una scelta che svetta al di sopra di quegli standard minimi di tutela delle garanzie, fissati nel diritto dell'Unione Europea, e, indirettamente, dal diritto convenzionale (39) . Le fonti sovranazionali, operando su un'eterogeneita' di sistemi ordinamentali, si limitano a fissare standard minimi inderogabili, che sta poi al singolo legislatore interpretare e declinare secondo le proprie direttive costituzionali. Con riferimento al caso esaminato, la Corte osserva che, in caso di mutamento dell'imputazione, il riconoscimento del diritto di accedere al rito alternativo e' una componente del diritto di difesa non disciplinata dal diritto dell'Unione ne' tutelata in modo specifico in sede convenzionale, e che evidentemente si colloca al di sopra degli standard minimi. 1.3. Da questo complesso quadro, si desume che, in caso di mutamento in iure: a) e' riconosciuto il diritto di difesa nella dimensione del diritto al contraddittorio argomentativo e probatorio. E', infatti, gia' possibile per il giudice operare un'interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente orientata dell'art. 521 del codice di procedura penale (alla luce degli articoli 24, 111 della Costituzione, 117 della Costituzione, norma interposta integrata dall'art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali) nel senso che essa imponga al giudice, prima della deliberazione della sentenza (40) , di instaurare il contraddittorio argomentativo e probatorio della difesa in ordine alla riqualificazione giuridica del fatto (41) . b) non e' riconosciuto il diritto di difesa nella declinazione di diritto alla scelta del rito, nonostante esso costituisca «una modalita', tra le piu' qualificanti, di esercizio del diritto di difesa» (ex plurimis, Corte costituzionale n. 219 del 2004, n. 70 del 1996, n. 497 del 1995, n. 76 del 1993, n. 237 del 2012, n. 141 del 2018; e di recente, in un caso di straordinario interesse per il tema della mutatio in iure, la n. 131 del 2019 (42) . Il diritto di difesa, in caso di mutatio in iure, e' inteso solo come diritto all'argomentazione contraria e alla controprova: la concessione di un termine al difensore - che la sentenza Drassich suggerisce - e' strumentale alla riorganizzazione della difesa nel dibattimento, attraverso l'instaurazione di un contraddittorio argomentativo o probatorio (43) . Si sottovaluta, in altre parole, la vocazione ancipite del diritto di difesa, da intendersi sia come diritto al riassestamento della strategia difensiva nel dibattimento, sia come diritto alla rivisitazione della scelta del dibattimento. Questa visione e' contraria sia agli articoli 24 e 111 della Costituzione, che all'art. 3 della Costituzione, secondo i profili che si illustreranno. L'essenza dell'incostituzionalita' non sta, invece, nella irragionevolezza ex se della distinzione tra questio facti e questio iuris (44) , che - a parere di chi scrive - ha una ratio costituzionale ben precisa, poiche' racconta la fisionomia dei rapporti tra giudice terzo e accusatore, padrone del fatto e' solo l'accusa (e il giudice ne e' vincolato, per cui, se ritiene che il fatto sia diverso, deve restituirgli gli atti ex art. 521, comma 2, del codice di procedura penale), padrone del diritto e' solo il giudice (e il giudice e' libero per cui, se ritiene il fatto diversamente qualificato, puo' decidere ex art. 521, comma 1, del codice di procedura penale). Tuttavia, questo bilanciamento nei poteri, questo «gioco delle parti» non puo' risolversi in un detrimento per la difesa, ne' nel primo ne' nel secondo caso. Riconoscere, in casi siffatti, la dimensione piena del diritto di difesa, anche nella declinazione della scelta del rito, e' una conquista in termini di garanzie di liberta' nel processo, che sembra svettare al di sopra degli standard minimi fissati dal diritto convenzionale e comunitario (45) . Non sembra, pertanto, potersi attingere a questa fonte per trarre principi guida utili. Cionondimeno, questo best standard sembra essere stato gia' ampiamente raggiunto dal Giudice delle leggi, nella sua trentennale riflessione condotta sui rapporti tra mutamento del fatto e diritto di difesa: da questo autentica miniera di principi - pur nella diversita' sopra delineata, e che si riprendera', tra questio iuris e quaestio facti - e' possibile trarre importanti linee guida, che spiegano in quale modo la scelta normativa di precludere il rito abbreviato anche in caso dimutatio in iure leda diritti di difesa, le regole del giusto processo e il principio di uguaglianza. 2. Violazione dell'art. 24 della Costituzione e dell'art. 111 della Costituzione. La riflessione sull'atteggiarsi dei rapporti tra mutamento del nomen iuris e diritto di difesa, e' fibrillata, soprattutto in dottrina, in seguito al menzionato caso Drassich e il pregio dell'approfondimento e' stato quello di offrire una lucida analisi, con incredibile ricchezza di spunti, della dinamica traumatica con cui questo evento processuale si riverbera sul diritto di difesa; e su come il diritto di difesa vada tutelato nella sua dimensione diacronica, secondo i dettami dell'art. 111 della Costituzione. Si e' gia' discusso di quali siano i criteri che una teoria piu' rigorosa e garantista adopera per delimitare il potere del giudice di mutare la veste giuridica, senza operare surrettiziamente un mutamento del fatto; ma si e' anche vista la vis espansiva che a tale potere viene attribuita, nell'interpretazione della giurisprudenza di legittimita'. Quale che sia il confine fissato all'operazione di mutamento officioso della veste giuridica, essa rappresenta ontologicamente una frattura nel processo che non puo' ritenersi ridotta ad un'operazione di esegesi della fattispecie astratta: attribuire un diverso nomen iuris all'esito del dibattimento, all'esito cioe' della costruzione ultimata dei rispettivi, contrapposti, fatti processuali, disorienta le parti, poiche' sposta non l'impalcatura, ma le fondamenta di quei fatti, modifica la lente attraverso cui guardarli, valorizza elementi che in imputazione vi erano, ma restavano nell'ombra. Secondo un'opinione largamente condivisa, nell'operazione di interpretazione, la questio facti e quaestio iuris, sebbene distinte (46) , si porrebbero in una relazione di reciproca dipendenza e il risultato decisorio, nel dipanarsi processuale del ragionamento del giudice, deriverebbe dal progressivo raffronto tra la norma e il fatto: in altre parole, il giudice guarderebbe al fatto, non come entita' nuda, ma attraverso la «lente» del diritto. Anche nelle modifichein iure rigidamente intese e «non mascherate» esisterebbe quindi un «movimento circolare» tra il piano del diritto e il piano del fatto, tale per cui ogni modifica dell'uno si riverbera in qualche misura anche sull'altro. Questa acuta riflessione ha il pregio di far comprendere per quale ragione, sebbene il mutamento riguardi il solo piano del diritto, la difesa (rectius, tutte le parti) debba essere ammessa non solo ad argomentare la scelta in iure (quale sia la norma applicabile al caso concreto e quale sia la sua corretta interpretazione), ma altresi' a portare nuove prove (47) . Il mutamento del nomen iuris presuppone la scomposizione del fatto ad opera del giudice e la selezione e valorizzazione di elementi che, sebbene presenti, erano secondari o impliciti nella imputazione. Cio' comporta l'esigenza per la difesa, oltre che di discutere dell'approdo in diritto, di ricomporre gli elementi fattuali dell'imputazione, di rivisitare le operazioni selettive compiute dal giudice e, non da ultimo, di contraddire quei fatti secondari o comunque inesplorati, portando nuove prove contrarie che mettano in discussione la fonte da cui il fatto secondario e' stato tratto, ovvero facciano emergere fatti incompatibili con quel fatto secondario. E allora, se uno spazio per questo diritto al contraddittorio probatorio e' imprescindibile ed e' infatti garantito ai sensi degli articoli 24 della Costituzione e 111 della Costituzione - quest'ultimo inteso come principio che impone di verificare, costantemente, la chiarezza della relazione tra imputato e imputazione -, non si vede perche' non debba essere garantito, ai sensi delle medesime coordinate costituzionali, il diritto della difesa di rinunciare a quel contraddittorio, restituendole la possibilita' di rivisitare, alla luce dell'avvenuta frattura, la sua strategia anche nella scelta del rito, che - vale la pena di ripeterlo - e' una modalita', tra le piu' qualificanti, di esercizio del diritto di difesa (da ultimo, Corte costituzionale n. 131 del 2012). Ben potrebbe la difesa ritenere che sui fatti, secondari, impliciti o diversamente valutati, alla luce del nuovo nomen proposto dal giudice, non vi siano i medesimi spazi per contraddire nel dibattimento che aveva inizialmente valutato, allorquando quando aveva, sulla scorta dell'imputazione, operato la scelta del rito; spazi che nel dibattimento la difesa ha peraltro sfruttato solo per contraddire gli elementi della fattispecie originaria, secondo strategie che potrebbero addirittura risultare irreparabili alla luce del fatto come interpretato dal giudice in funzione della nuova fattispecie. Ma vi e' di piu'. La mutatio in iure, oltre a operare uno spostamento, nel modo descritto piu' o meno ampio, dei temi di prova - fattore condizionante essenziale nella scelta del rito, perche' il tema di prova condiziona la sostenibilita' del contraddittorio orale (sollecitando considerazioni inerenti alla componente propriamente deflattiva del rito abbreviato) - puo' operare anche e soprattutto uno stravolgimento nella risposta sanzionatoria - fattore che, parimenti, esercita un potere condizionante fortissimo sulla scelta del rito (perche' sollecita considerazioni inerenti alla componente propriamente premiale del rito abbreviato). 2.1. Per rendere concreta la riflessione, vale la pena di osservare che, ad esempio, nel caso di specie, come si e' gia' detto, questo giudice, senza giudicare fatti diversi o nuovi, si e' limitato a valorizzare un fatto secondario nell'imputazione, ossia il rapporto tra vittima e reo, che era peraltro indicato espressamente come elemento nella contestazione dell'aggravante. Si e' poi valorizzato il grado di dirompenza delle condotte - anche esse contestate. Si e', infine, approfondito nel merito, nel corso dell'istruttoria, come le condotte contestate avessero avuto impatto sulla vittima, producendo in lei un evento psichico di paura, timore, asservimento e prostrazione. Di tale evento - anch'esso implicito nell'imputazione - si e' tratta prova, piu' che dall'istruttoria - ne' piu' ne' meno che - dalle stesse condotte con testate. Ora, la difesa, interpellata sulla riqualificazione, avrebbe potuto, oltre che contrastare in diritto l'interpretazione offerta da questo giudice dell'art. 572 del codice penale e dei rapporti in astratto con la fattispecie contestata di cui all'art. 612-bis, comma 2, del codice penale, anche contrastare nel merito il fatto, implicito, secondario, o diversamente valorizzato da questo giudice nella contestazione. Tuttavia, la difesa, che nel dibattimento aveva, evidentemente in chiave strategica, gia' portato prove dichiarative e documentali volte a dimostrare proprio che la relazione tra le parti, per la sua intensita' e per la solidita' del legame, sfuggisse alla fattispecie tipica del delitto di cui all'art. 612-bis del codice penale, si e' trovata invece spiazzata. Le prove portate, se da un lato le hanno consentito di difendersi da almeno uno dei fatti costitutivi della fattispecie contestata - la carenza dell'evento pratico e materiale di modifica delle abitudini di vita - hanno cionondimeno scontato l'effetto indesiderato di arricchire e porre luce su un fatto implicito dell'imputazione, che ha attratto il fatto, complessivamente ricomposto secondo la lente utilizzata da questo giudice, verso una fattispecie diversa e ben piu' grave. Ben pochi spazi di contraddittorio probatorio ha evidentemente rinvenuto la difesa alla luce della riqualificazione proposta, ed infatti, interpellata sulla prospettiva riqualificatoria, si e' limitata a chiedere di poter essere messa in condizioni di rivedere la sua scelta nella selezione del rito adeguato, essendone cambiati in modo importante due fattori condizionanti: il thema probandum e, anche, la pena applicabile (portata, nel minimo - con la recidiva contestata - da due anni a quattro anni e sei mesi, quindi oltre il doppio) e quindi anche il quantum della sua riduzione. 2.2. Non si vuole, qui, ignorare l'esistenza di argomenti contrari al riconoscimento di un diritto di difesa cosi' pieno - inteso sia come diritto al riassestamento della strategia difensiva nel dibattimento, sia come diritto alla rivisitazione della scelta del dibattimento - innanzi a un'eventualita' necessaria e fisiologica del processo, quale e' la riqualificazione del fatto operata dal giudice all'esito del giudizio. Anzi, vale la pena di sviscerare questi argomenti per dimostrane la debolezza. In primis, vi e' il binomio premialita'/deflazione, autentica ratio del rito alternativo, che potrebbe apparire mortificata dall'amissione dell'imputato al rito premiale in una fase non fisiologica, a dibattimento gia' svolto: l'avvenuto dipanarsi dell'istruttoria sembrerebbe disintegrare il corrispettivo della premialita', che non avrebbe piu' ragion d'essere (48) . Come noto, questo argomento ha rappresentato un ostacolo anche nel graduale, trentennale processo di riconoscimento del diritto di difesa in tutte le sue declinazioni, in caso di mutamento della contestazione in fatto. Senza alcuna pretesa di esaustivita' sulla riflessione trentennale, va ricordato che il codice del 1988 non prevedeva che il mutamento dell'imputazione in fatto, avvenuto attraverso la contestazione suppletiva di un fatto nuovo, di un fatto diverso o di una circostanza aggravante, producesse nel diritto di difesa una tensione tale da rendere doveroso restituirla nel termine per rivalutare la sua strategia, anche attraverso la richiesta di un rito alternativo. La tensione - si badi bene - era pacificamente riconosciuta (49) , ma il diritto di difesa era garantito solo come diritto alla controprova: la concessione di un termine per riorganizzare la difesa era strumentale alla difesa nel dibattimento, attraverso l'instaurazione di un contraddittorio probatorio - inizialmente limitato negli angusti spazi dell'art. 507 del codice di procedura penale e poi divenuto (50) - pieno. Sono state necessarie numerose pronunce additive della Corte costituzionale, per riconoscere progressivamente, per ogni tipo di mutamento in facto - fatto nuovo, fatto diverso, nuova circostanza - imposto dalle risultanze gia' agli atti o emerso per la prima volta in dibattimento - contestazione patologica o fisiologica - il diritto di accedere a qualunque rito alternativo. Non sfuggono le assonanze con l'evoluzione dei rapporti tra mutatio in iure e diritto di difesa. Ebbene, con riferimento al binomio deflazione-premialita', a chiare lettere, la Corte costituzionale ne ha sancito la assoluta sub-valenza rispetto ai principi costituzionali di cui all'art. 24 e all'art. 3 della Corte (51) , riconoscendo che la logica dello «scambio» fra sconto di pena e risparmio di energie processuali debba comunque cedere di fronte all'esigenza di ripristinare la pienezza delle garanzie difensive e l'osservanza del principio di eguaglianza. Del resto, nel caso dimutatio in iure all'esito dell'istruttoria, non vi sarebbe neppure una completa rinuncia alla deflazione, giacche', come si e' detto, l'imputato, posto di fronte alla riqualificazione giuridica, sarebbe chiamato ad operare una scelta tra l'integrazione del contraddittorio probatorio sui nuovi temi e la rinuncia al contraddittorio con l'acquisizione, altresi', di tutti gli atti del fascicolo ampliando la piattaforma probatoria con atti meno garantiti di cui aveva inizialmente valutato la sconvenienza; ragion per cui la premialita' troverebbe un corrispettivo nell'evitamento dell'ulteriore approfondimento istruttorio (52) . 2.3. Altro argomento contrario al riconoscimento del diritto al rito alternativo in caso di mutamento in iure e' quello per il quale la modifica della veste giuridica dovrebbe considerarsi un rischio del dibattimento che l'imputato si addossa allorquando opta per il rito ordinario. Siffatto argomento ha rappresentato, come noto, un ostacolo anche per il riconoscimento del diritto di accesso ai riti alternativi in caso di contestazioni suppletive: si osservava che, se l'imputato voleva porsi al riparo dal rischio delle contestazioni suppletive, ben avrebbe fatto a tenere una condotta diligente optando per il rito alternativo, dal momento che l'art. 441, comma 1, del codice di procedura penale - che, nell'estendere al giudizio abbreviato le norme che disciplinano lo svolgimento dell'udienza preliminare, esclude esplicitamente l'applicazione degli articoli 422 e 423 del codice di procedura penale - impedisce, in caso di rito abbreviato secco (53) le contestazioni suppletive. Se l'imputato invece optava per il rito ordinario, ogni novita' incidente sull'imputazione emersa in dibattimento, sebbene sottoponesse a tensione i suoi diritti, doveva considerarsi «un rischio a suo carico», addebitabile alla sua «inerzia» (nel non aver optato per il rito alternativo) (54) . Era, in altre parole, un costo che avrebbe dovuto iscrivere a bilancio allorche' avesse optato per il rito ordinario. La tesi dell'assunzione del rischio, come noto, e' stata ampiamente superata con riferimento alle contestazioni suppletive e ritenuta inidonea ad offrire una soluzione appagante al problema delle interferenze tra diritto di difesa e mutamento dell'imputazione. Come noto, la Corte costituzionale, dapprima, rilevo', con riferimento alle contestazioni patologiche, che la condotta processuale «anomala» del pubblico ministero (il quale, cadendo in errore, non avesse contestato fatti che gia' risultavano ex actis) avesse sviato, inquinato, compromesso la capacita' dell'imputato di scegliere il rito adeguato ed ostacolato l'assunzione libera del rischio dibattimentale, imponendo in tali casi la rimessione in termini per la scelta del rito alternativo (55) (Corte costituzionale n. 265 del 1994). E, in un secondo momento, accantono' del tutto il criterio della distribuzione del rischio, con il riconoscimento del diritto ai riti alternativi anche in caso di contestazioni fisiologiche, in cui nessun profilo di addebitabilita' era ascrivibile al pubblico ministero: la Corte in quella sede rinunciava definitivamente alla ricerca di un colpevole su cui far ricadere le conseguenze dall'evento modificativo e semplicemente affermava che, se la contestazione suppletiva e' un evento necessario per garantire la flessibilita' del rito dibattimentale (e il principio di non dispersione delle prove), cionondimeno tale eventualita' deve bilanciarsi con il diritto di difesa e il principio di uguaglianza (Corte costituzionale n. 237 del 2012). 2.4. Il discorso impone innanzitutto una precisazione per le modifiche in iure. Ritenere che la modifica della veste giuridica - della cui natura traumatica per il diritto di difesa in relazione ai principi del giusto processo si e' gia' detto - debba considerarsi, per la difesa, un rischio del dibattimento, e' una teoria che - oltre a tradire un'anacronistica dimensione punitiva del rito ordinario (56) - apparirebbe fuorviante. Come noto, la mutatio in iure non rappresenta, infatti, un rischio proprio del dibattimento ma, a ben vedere, un rischio proprio del processo, dal momento che, per giurisprudenza costante, il giudice puo' operare la riqualificazione anche direttamente in sede di rito abbreviato, e non necessariamente all'esito del dibattimento (cfr. da ultimo, Cassazione penale, Sezione quarta, sentenza 18793/2019). Quindi, a voler adoperare la tesi dell'assunzione del rischio - gia' ampiamente superata con riferimento alla mutatio in facto - se ne dovrebbe operare un correttivo e affermare che il mutamento in iure e' un rischio che sempre e comunque deve ricadere sull'imputato, a prescindere dal rito prescelto e dal quale nessuna condotta diligente puo' porlo al riparo (57) . Per giustificare questa rigida, inderogabile distribuzione del rischio in danno dell'imputato si potrebbe sostenere che la mutatio in iure e' un rischio che deve andare a suo carico perche' e' un evento per natura prevedibile. A tal proposito, corre l'obbligo di rilevare che, nell'unica sentenza in cui la Corte di Cassazione ha affrontato in modo diretto il rapporto tra modifica in iure e rito abbreviato (58) , e' proprio questo della prevedibilita' (59) l'argomento adoperato per ritenere che la modifica in iure imputet sibi, precludendo il rito. La tesi appare insostenibile per almeno due ordini di motivi. In primo luogo, una siffatta teoria appare confondere la fisiologia della riqualificazione con la prevedibilita' in concreto di quella riqualificazione. Che il giudice abbia la prerogativa, posta a presidio del principio di legalita', di riqualificare il fatto in sentenza e' un evento ineliminabile, irrinunciabile del processo, perche', da un lato, ribadisce che il giudice ha l'ultima parola in diritto, e dall'altro impedisce, che, ove si imponga la necessita' di riqualificare, il processo debba ripartire dall'inizio, vanificando il principio di non dispersione della prova. In questa logica, l'evento riqualificazione e' sicuramente fisiologico, poiche' e' il processo a prevederlo quale possibile epilogo decisionale. Ben diverso e' ritenere che sia prevedibile, «nella confusa e sterminata boscaglia» normativa, identificare i possibili reati cui un medesimo fatto sia riconducibile. Affermare che la riqualificazione sia un evento prevedibile in concreto, nel risultato, nei suoi approdi e' una petizione di principio; e non si comprende poi perche' la riqualificazione dovrebbe essere prevedibile nei risultati per l'imputato, e non per il pubblico ministero - che infatti, proprio non prevedendola, ha commesso un errore a monte - e ricadere quindi a carico del primo. Ritenere prevedibile il mutamento di nomen nella direzione ipotizzata dal giudice - e in tutte le altre possibili - pone la difesa in una sorta di paradosso: il difensore, infatti, se argomentasse molto, prevedendo diligentemente tutti i possibili esiti riqualificatori, rischierebbe di suggerire egli stesso una via alla quale il giudice non aveva neppure pensato, con qualche forzatura del principio nemo tenetur se detegere; se mantenesse invece un profilo basso, argomentando nei limiti della fattispecie contestata - che, per definizione, dovrebbero essere incompatibili con le altre immaginabili -, lascerebbe delle zone inesplorate che, se pur lo conducessero al risultato rispetto alla fattispecie originaria, lo inchioderebbero su una delle altre possibili, tra l'altro con un'anomala inversione dell'onere della prova, poiche' finirebbe per essere condannato per non essersi difeso su un'ipotesi non argomentata dall'accusa. Francamente, si fatica a comprendere perche' quella che e' semplicemente un'evenienza processuale - ossia la riqualificazione del fatto ad opera del giudice - debba essere guardata come un rischio da scaricare su una delle parti, adoperando criteri elaborati in temi di responsabilita' civile, e non possa piuttosto essere studiato come uno scenario fisiologico, al manifestarsi del quale i diritti delle parti vanno riorganizzati e ripristinati secondo le direttive costituzionali (60) . In secondo luogo, ove si voglia insistere nel guardare l'evento modificativo in iure come un rischio da distribuire, non puo' non rilevarsi che la mutatio in iure altro non e' che la correzione operata dal giudice di un errore del pubblico ministero. Partecipa quindi, in tal senso, della stessa natura della contestazione patologica: e' un errore di selezione della veste giuridica addebitabile all'accusa, cui era possibile porre rimedio gia' ex actis, attraverso una lettura corretta del fatto oggetto di imputazione (poiche', e' chiaro che, se il fatto risultasse diverso da quello contestato, neppure si potrebbe operare la riqualificazione). Non si comprende quindi perche' un errore di valutazione dell'Ufficio di Procura nella selezione del nomen iuris debba risolversi in un nocumento delle prerogative proprie del diritto di difesa, sconfessando una conquista sul tema delle liberta' processuali che si e' raggiunta quasi un trentennio fa con riferimento alla mutatio in facto (cfr. Corte costituzionale n. 265 del 1994). 2.5. Superati gli argomenti contrari al riconoscimento del diritto di difesa inteso come diritto alla scelta del rito alternativo in ogni caso di mutamento dell'imputazione - conformemente come deve essere inteso un diritto di difesa pieno ex art. 24 della Costituzione garantito costantemente nelle dinamiche modificative dell'imputazione ex art. 111 della Costituzione - una riflessione va infine dedicata alle conseguenze dirompenti che la riqualificazione in peius ha sull'aspettativa di pena. L'aspettativa di pena e' un parametro alla cui variazione non puo' non connettersi la possibilita' di rivedere la scelta del rito e seguire la premialita'. Sul punto, di particolare aiuto appaiono le riflessioni che la Corte costituzionale ha offerto in tema di contestazione suppletiva della circostanza aggravante e rimessione in termini per la scelta del rito alternativo, approdando ad una nuova pronuncia additiva che ha esteso anche a questa ipotesi il diritto di accesso al rito alternativo (61) . Con riferimento alle interazioni tra contestazione suppletiva della circostanza aggravante e riti alternativi, la Corte osserva: «La motivazione della sentenza [la n. 265 del 1994] puo' ugualmente riferirsi al caso di contestazione "tardiva" di una o piu' circostanze aggravanti, in quanto anche la trasformazione dell'originaria imputazione in un'ipotesi circostanziata (o pluricircostanziata) determina un significativo mutamento del quadro processuale. Le circostanze in questione possono incidere sull'entita' della sanzione, anche in modo rilevante, laddove il legislatore contempla la previsione di pene di specie diversa o di pene della stessa specie, ma con limiti edittali indipendenti da quelli stabiliti per il reato base, o, talvolta, sullo stesso regime di procedibilita' del reato o, ancora, sull'applicabilita' di alcune sanzioni sostitutive» (62) . La Corte appare in queste pronunce fare un passo ulteriore: nel descrivere il modo in cui il mutamento incida concretamente sull'imputazione, non considera piu' nodale il problema del thema probandum, ma il problema del rischio sanzionatorio non calcolato. Implicitamente, la Corte sembra sganciare l'esigenza di garanzia difensiva dall'interesse della difesa alla controprova del fatto nuovo o diverso: la Corte non si interroga se sia necessario garantire alla difesa, sul fatto diversamente circostanziato, la possibilita' di valutare la convenienza del rito contratto con riferimento al profilo deflattivo, del contraddittorio probatorio. La Corte non sembra prendere piu' in considerazione lo smacco difensivo attinente al thema probandum (ossia la necessita' che la difesa possa riorganizzarsi sulla prova della diversa porzione di fatto) e si concentra, valorizzandolo, sul secondo parametro condizionante la scelta del rito abbreviato, ossia lo sconto di pena (la componente puramente premiale). A riprova di cio', si ponga mente al fatto che vi e' un caso - la contestazione suppletiva di recidiva, che in quanto circostanza aggravante e' partecipa delle conseguenze delle pronunce costituzionali additive - in cui l'imputato, pur non godendo del diritto al termine a difesa ne' del contradditorio probatorio, ha diritto alla premialita', senza deflazione. Si coglie in questi passaggi la necessita' di tutelare l'aspettativa di pena dell'imputato da qualunque sopravvenienza sfavorevole, sia che essa dipenda da un mutamento in fatto sia che essa dipenda dalla riconduzione dell'immutato fatto ad una diversa fattispecie. All'imputato va garantito sempre il diritto di mutare la sua scelta in direzione premiale, anche solo ed esclusivamente in relazione all'aggravato rischio sanzionatorio, per garantire che il suo pieno diritto di difesa (art. 24 della Costituzione) sia tenuto in considerazione in ogni momento di variazione dell'addebito (art. 111 della Costituzione). 3. Violazione dell'art. 3 della Costituzione. Molti sono, per altro verso, i profili che evidenziano la contrarieta' della preclusione all'accesso al rito alternativo rispetto al principio di uguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione. 3.1. Innanzitutto, l'imputato destinatario, sin dal principio, dell'imputazione corretta avra' accesso al rito abbreviato; diversamente l'imputato - che abbia commesso il medesimo fatto - in relazione al quale il pubblico ministero abbia commesso un errore di valutazione, perdera' del tutto la possibilita' di vagliare il rito premiale rispetto al medesimo titolo di reato. L'errore del pubblico ministero nella scelta della contestazione, o comunque la correttezza della sua impostazione, non appare un criterio ragionevole per trattare diversamente imputati che, commesso il medesimo reato, si vedono invece dinanzi scenari processuali ben diversi. L'imputato viene cosi' irragionevolmente discriminato, ai fini dell'accesso ai procedimenti speciali, in dipendenza dalla esattezza della discrezionale valutazione in diritto delle risultanze delle indagini operata dal pubblico ministero nell'esercitare l'azione penale alla chiusura delle indagini stesse. 3.2. In secondo luogo, va ricordato che il potere di riqualificazione del giudice incontra un unico limite normativo invalicabile: l'art. 521 del codice di procedura penale stabilisce che «nella sentenza il giudice puo' dare al fatto una definizione giuridica diversa da quella enunciata nell'imputazione, purche' il reato non ecceda la sua competenza ne' risulti attribuito alla cognizione del tribunale in composizione collegiale anziche' monocratica». Nel caso in cui il reato ritenuto rientri nella competenza di un giudice superiore, ovvero risulti attribuito al tribunale in composizione collegiale, il giudice dovra' restituire gli atti al pubblico ministero e il processo dovra' ricominciare il suo corso. Da cio' emerge un'irragionevole fonte di disparita' di trattamento poiche' l'imputato potrebbe vedersi restituito nella facolta' di accedere al rito per circostanze in qualche modo «occasionali» (63) , non prevedibili ex ante: il recupero della facolta' di accesso al rito alternativo viene infatti a dipendere dalla circostanza che la riqualificazione approdi in concreto a un reato di competenza superiore o collegiale. Il tendenziale criterio di maggiore gravita' del reato che presidia le ipotesi - che comunque non sente di coprire tutte le ipotesi di riqualificazione in peius - siccome opera su un risultato non prevedibile ex ante non e' comunque elemento idoneo a giustificare la disparita' di trattamento, poiche' non e' in rado di orientare le scelte in punto di rito che vengono compiute quando la riqualificazione e' ben di la' da venire. 3.3. Va infine osservato che, sebbene vi sia differenza sistemica tra quaestio iuris e quaestio facti, che impone di attribuire al giudice il diritto di stabilire, al termine del procedimento, la veste corretta, tale differenza - come detto in precedenza - racconta la dinamica dei rapporti tra giudice e pubblico ministero, nulla dicendo - o meglio nulla imponendo - in merito alla compressione dei diritti della difesa. Essa non appare, sul piano ontologico, filosofico e scientifico, idonea a giustificare una cosi' macroscopica difformita' di trattamento. Va allora considerato che non appare adeguatamente indicato quale sia il parametro che consenta di trattare diversamente imputati che subiscano, nel corso del procedimento, modifiche in fatto della contestazione e modifiche in diritto. Non e' chiara la ragione che consenta di trattare diversamente, da un lato, l'imputato che, anche a fattispecie incriminatrice ferma, subisca la nuova contestazione di una circostanza aggravante, quale e' la recidiva, che neppure lo rimette in termini per il contraddittorio probatorio, al quale viene attribuito il diritto, in limine litis, di accedere al rito abbreviato; e dall'altro, l'imputato che si veda, all'esito della sua costruzione strategica del processo, minato nelle fondamenta, e con una prospettiva sanzionatoria stravolta, pur godendo di un potenziale spazio probatorio, al quale viene precluso il diritto di rivedere le sue scelte in tema di rito. 3.4. Resta in ultima analisi il dubbio di un ulteriore spazio di diseguaglianza. Parte della dottrina ritiene che, sebbene sia vero che il giudice ha l'ultima parola sul nomen iuris ed in questa scelta non ha limiti purche' il fatto sia invariato, cionondimeno non sembrerebbe precluso al pubblico ministero, in corso di procedimento, un potere di rivisitazione autonomo del nomen iuris. E' opinione condivisa che tale modifica debba intendersi esercitata nell'ambito dei poteri di mutamento dell'imputazione di cui all'art. 516 del codice di procedura penale: sembrerebbe cosi' emergere uno scenario di ampia discriminazione, poiche', se fosse il pubblico ministero a rivedere in iure l'imputazione, si entrerebbe nell'ambito dell'art. 516 del codice di procedura penale e l'imputato sarebbe rimesso in termini per la scelta del rito alternativo; se fosse il giudice ad operare la medesima modifica, nell'esercizio del potere di cui all'art. 521, comma 1, del codice di procedura penale, cio' sarebbe precluso. E' una regola che, se ritenuta percorribile, oltre a mostrare debolezza in termini di idoneita' a giustificare il trattamento diverso di imputati che si trovano nella medesima situazione, appare facilmente aggirabile nella prassi. 4. Assenza di discrezionalita' legislativa sul tema per carenza di un'alternativa normativa compatibile con la Costituzione Venendo alle battute conclusive, non puo' essere ignorata in questa sede la sentenza n. 103 del 2010 della Corte costituzionale (64) , ove la Corte e' stata chiamata a pronunciarsi sul tema della legittimita' del potere di riqualificazione d'ufficio del giudice e dei suoi rapporti con le garanzie difensive. Da piu' parti, si e' interpreta questa pronuncia come momento di arresto della riflessione sulla tutela piena dei diritti di difesa in caso di mutamento della qualificazione giuridica, poiche' la Corte, pur non affrontando il merito della questione proposta e arrestandosi all'inammissibilita' per insufficiente motivazione in punto di rilevanza della questione (65) , operava un passaggio ulteriore (66) in cui rilevava l'appartenenza della tematica al terreno della discrezionalita' legislativa. Interrogata sulla possibilita' di prevedere con una pronuncia additiva - strumentale alla tutela del diritto di difesa e al principio di uguaglianza - la parificazione della disciplina tra quaestio iuris e quaestio facti, la Corte rilevava che le garanzie difensive potevano trovare tutela attraverso soluzioni diverse da quella proposta, che tra l'altro mirava «ad ottenere la parificazione di situazioni processuali tra loro non omogenee, quali l'accertamento che un fatto debba essere diversamente qualificato e la constatazione che il fatto e' differente da quello descritto nel decreto che dispone il giudizio». In questa pronuncia, prendendo le distanze dalle operazioni additive gia' operate in riferimento alla disciplina della nuove contestazioni (vi erano gia' state la pronuncia del 19194 e quella del 2009), la Corte aggiungeva anche che «la decisione richiesta, dunque, coinvolgendo scelte relative alla conformazione della disciplina processuale, rientra nella discrezionalita' del Parlamento». Alla luce di questo monito, va esaminato con puntualita' se, pur dimostrata la necessita' costituzionale di garantire l'accesso al rito abbreviato in caso di mutamento in iure officioso operato all'esito della decisione, vi siano tuttavia altre strade normative costituzionalmente compatibili con questo risultato, diverse dalla rimessione nei termini della difesa per la formulazione della richiesta. Se tali strade vi fossero, lo spazio per garantire questo test standard del diritto di difesa non rientrerebbe nelle competenze operative del Giudice delle leggi e si collocherebbe sul terreno di discrezionalita' legislativa, poiche' - secondo quanto ribadito nella citata pronuncia del 2010 - spetterebbe al legislatore decidere quale sia l'opzione meglio rispondente alla complessiva disciplina codicistica. 4.1. Sul punto, potrebbe ritenersi che la strada alternativa per garantire l'accesso al rito abbreviato in caso di mutamento in iure, sia proprio quella indicata dal giudice a quo nel procedimento approdato alla sentenza n. 103 del 2010 Corte costituzionale, ossia la parificazione tra quaestio iuris e quaestio facti: se il giudice restituisse gli atti al pubblico ministero, in ogni caso di riqualificazione, l'imputato sarebbe posto, infatti, nella condizione di valutare la scelta di accedere al rito. Una scelta siffatta avrebbe, peraltro, il pregio di abolire appunto (quella che da taluni si ritiene essere) una scomoda e superabile distinzione. Questa strada non e' solo un'alternativa normativa sovradimensionata rispetto al risultato da garantire, peraltro estranea agli stessi principi convenzionali (67) , ma e' costituzionalmente impraticabile. 4.2. Si e', infatti, correttamente osservato che precludere al giudice il potere di modificare la connotazione giuridica dell'imputazione, ove ritenga errata quella proposta dalle parti, trovandosi costretto in tal caso a restituire gli atti al pubblico ministero, condurrebbe ad una violazione del principio di legalita' sostanziale e del principio di soggezione del giudice alla legge. Introdurre un potere dispositivo delle parti processuali sul nomen iuris depriverebbe il giudice dell'ermeneutica giuridica, che e' l'unica liberta' intangibile di cui gode nel processo, in cui si incarna la ragione del suo potere e che esprime anche una funzione di presidio di tutte le parti, poiche' il giudice applica le norme secondo criteri prestabiliti, ispirati se non ad una scienza esatta ad una scienza sociale; ed e' soggetto solo a tali criteri e affrancato da poteri altri (68) . Riconoscere questo spazio interpretativo intangibile del giudice non esclude, ma anzi rinforza, l'urgenza di fissare i confini chiari all'esercizio concreto di questa liberta' In altre parole, la presa d'atto delle difficolta' ontologiche di garantire l'esattezza e la razionalita' della decisione in iure e delle difficolta' operative, riscontrate nella prassi legislativa, di rendere il corpus normativo un apparato intellegibile e razionale, non puo' condurre ad abdicare a questo prezioso principio di legalita' sostanziale. Vale invece la pena di recuperare le acute riflessioni di coloro i quali coglievano del processo la dimensione corale, nella quale la fattispecie processuale si consegna alle mani del giudice dopo essersi dipanata a piu' voci; e di recuperare anche le riflessioni di coloro i quali suggeriscono di ritrovare nella disciplina del processo - ispirata all'art. 111 della Costituzione - quegli spazi di liberta' sostanziale inevitabilmente perduti in ragione di quelle difficolta' antologiche e operative sopra evidenziate. Da ultimo, si coglie nell'opzione di restituzione degli atti una logica completamente contraria al principio di economia processuale e di non dispersione dei mezzi di prova, di recente recuperato dalla Corte costituzionale, proprio nella dimensione del processo penale (69) . Non vi sono quindi alternative normative possibili e la scelta costituzionalmente obbligata appare essere quella della rimessione in termini dell'imputato per la scelta del rito alternativo. 4.3. Del resto, l'obbligo costituzionalmente imposto di suscitare il contraddittorio delle parti allorquando il giudice dissenta dalla costruzione dei fatti processualizzati presentata dalle parti, e' in sintonia con quella dimensione corale e a piu' voci del processo che deve essere recuperata. Si e' gia' osservato che l'interlocuzione del giudice non equivale ad una anticipazione di giudizio (70) : va, anzi, tenuto presente che il giudice in tanto suscita il contraddittorio sul nomen iuris, in quanto su quel tema non ha ancora esaurito il suo potere, ne' il suo dubbio ermeneutico. Il giudice non presenta la sua decisione, ma uno scenario possibile che, per la prima volta, catalizza le attenzioni delle parti. Mantenendo la sua imparzialita', il giudice si pone ancora in una dimensione di ricerca della collaborazione delle parti nella costruzione dell'edificio decisorio; una dimensione collaborativa dalla quale si allontanera' definitivamente solo in camera di consiglio e solo all'esito dell'ulteriore tassello argomentativo e probatorio apposto dagli attori processuali. Il giudice, con la proposta di riqualificazione, ipotizza che il reato contestato non vi sia, ma che vi siano spazi applicativi per un reato diverso. Superfluo appare precisare che gli scenari possibili, nel momento dell'interlocuzione, sono ancora plurimi, e possibilmente diversi dalla proposta illustrata dal giudice. In sede di interlocuzione il difensore: 1) potrebbe decidere di argomentare in punto di norma giuridica applicabile, sostenendo che il giudice correttamente ha proposto di escludere la norma originariamente contestata, ma cadrebbe in errore nel ritenere che vi siano spazi interpretativi per il nomen proposto, sia alla luce della normativa applicabile sia alla luce di quanto gia' emerso in dibattimento; e/o in subordine 2a) potrebbe optare per una resa in punto di nomen iuris, convenendo che gli spazi applicativi per il nuovo reato vi siano, ma contrastare questi spazi in punto di fatto, nel merito, portando prova di fatti con essi incompatibili. 2b) in questa seconda ipotesi, la difesa, nondimeno potrebbe - rectius, dovrebbe avere il diritto di - ritenere conveniente optare per la rinuncia alla possibilita' di portare prove nuove di fatti incompatibili (perche' ad esempio non ve ne siano) ed, anzi, decidere di cedere in punto di arricchimento della piattaforma probatoria del giudice, offrendogli per la sua decisione anche gli atti raccolti dal pubblico ministero che sino a quel momento non aveva acconsentito ad acquisite, poiche' senza contraddittorio, in modalita' meno garantita (71) . Se in camera di consiglio il giudice, alla luce delle eventuali argomentazioni delle parti espresse in sede interlocuzione, si determinera' a ricondurre il fatto oggetto di contestazione nell'alveo della diversa fattispecie, e se tale fatto risultera' provato, alla luce della valutazione congiunta delle risultanze istruttorie formate nel contraddittorio delle parti con i meno garantiti atti di indagine, il giudice condannera' per il reato riqualificato, applicando lo sconto di pena del terzo secco (72) . 4.4. Chiaramente, il riconoscimento di questo modello operativo presupporrebbe che all'imputato, nel medesimo giudizio in cui viene per la prima volta operata la riqualificazione, sia riservato uno spazio interlocutorio poiche' e' in questo spazio che dovrebbe trovare posto la sua richiesta di accesso al rito abbreviato. D'altra parte, riservare questo spazio ad un momento antecedente alla riqualificazione risponde gia' a un'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 521 del codice di procedura penale. In questo senso, si e' gia' detto in precedenza, che - almeno ad avviso di chi scrive - la questione di costituzionalita' dell'art. 521 del codice di procedura penale con i parametri di cui agli articoli 111, 24, 3 della Costituzione, nella parte in cui non prevede che il giudice che intenda operare la riqualificazione susciti un contraddittorio argomentativo e probatorio, apparirebbe infondata poiche' e' praticabile un'interpretazione conforme. Cionondimeno, la questione meriterebbe uno scrutinio - oltre che per leggere sul punto voci ben piu' autorevoli di chi scrive - anche solo per suscitare una sentenza interpretativa di rigetto della Corte costituzionale che, indicando la corretta interpretazione, a) uniformi la disciplina; b) chiarisca se - come si ritiene - tale interlocuzione debba necessariamente essere stimolata obbligatoriamente gia' nel giudizio di prime cure; e c) entro quali spazi sia consentito il contraddittorio probatorio. Non e' questa la sede per porre in via diretta un simile quesito, poiche', essendosi riconosciuto questo spazio interlocutorio, la questione non si e' neppure potuta sollevare per difetto di rilevanza. Tuttavia, se le riflessioni illustrate appaiano convincenti, il modulo operativo in cui inserire la richiesta di rito abbreviato in caso di modifica in iure sembrerebbe essere il giudizio in cui la riqualificazione viene operata per la prima volta -, poiche' la richiesta del rito e' presupposto logico - e verrebbe prima - della decisione di condanna per la fattispecie riqualificata. Nell'ipotesi in cui si accogliesse la visione prospettata, sarebbe auspicabile modificare l'art. 521 del codice di procedura penale nel senso che lo stesso imponga di offrire uno spazio interlocutorio, collocato in un momento che sia determinato con precisione, entro cui poter esercitare tutti i diritti difensivi, sia quelli che sia gia' possibile riconoscere con un'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 521 del codice di procedura penale - contraddittorio argomentativo e probatorio - sia quelli oggetto di eventuale pronuncia additiva - accesso al rito abbreviato. (1) Misura sostituita, dapprima in data 23 marzo 2020, con quella degli arresti domiciliari con braccialetto elettronico nel Comune di ; e poi, in data 9 giugno 2020, con le misure congiunte del divieto di dimora e dell'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria. (2) Ma anche all'esito della lettura degli atti di indagine, in caso di riqualificazione operata ex officio in sede di rito abbreviato (3) Si deve precisare che il momento in cui si e' sollevata la questione di costituzionalita' non e' in sede di contraddittorio delle parti sulla possibilita' di operare la riqualificazione - poiche' si e' ritenuto che in quella sede la questione non si ponesse come rilevante essendo la riqualificazione una mera possibilita' ancora di la' da venire - ma in sede di camera di consiglio, quando tale riqualificazione e' diventata un segmento della decisione. Cionondimeno - come si illustrera' nei paragrafi che seguono cio' che impedisce di pervenire alla decisione piena e ha costretto a sospendere il giudizio e' il dubbio che il ragionamento decisorio - e quindi anche il suo risultato - non sia corretto, poiche' lo stesso avrebbe dovuto essere condotto tenendo conto della richiesta difensiva di definizione nelle forme del rito abbreviato: da un lato, integrando la piattaforma probatoria anche con la lettura degli atti di indagine, e dall'altro, nel caso in cui anche dagli atti di indagine si trovi conferma del perimetro fattuale provato e dell'esito riqualificatorio, pervenendo ad una condanna con la riduzione secca di un terzo. (4) La difesa ha poi prodotto un cd contenente i messaggi WhazzApp oggetto di scambio tra vittima e imputato nel corso della loro relazione, che danno modo di delineare la tipologia di relazione e il livello di frequentazione tra le parti in costanza di reato. (5) Va ricordato che, nella pronuncia n. 103 del 2010 della Corte costituzionale la Corte dichiaro' inammissibile la questione rilevando che il giudice a quo si era limitato a confrontare le fattispecie, originaria e riqualificata, solo ed esclusivamente su un piano di fattispecie astratte, senza giustificare nel merito perche' ravvisasse un identico fatto. In essa si legge: «l'esercizio di tale potere non puo' [...] prescindere da una verifica volta ad accertare in concreto, cioe' con riferimento alla fattispecie in esame, se il fatto sia diverso da quello descritto nell'imputazione» (Corte costituzionale, 10 marzo 2010, n. 103 del 2010, in Giur. Cost. 2010, 1159). (6) Entrambe le donne hanno dichiarato che L parlava in modo entusiastico della C e si diceva certo di aver trovato la donna giusta. La S ha addirittura raccontato di aver stretto un rapporto materno con la C , con la quale si sentiva telefonicamente ogni mattina ed aveva assoluta intimita'. (7) La donna ha ricordato un episodio in particolare: mentre erano di rientro da un centro commerciale, ove aveva accompagnato il L a fare compere ma costui non era riuscito a trovare capi di abbigliamento di suo gradimento, l'imputato, in un accesso di rabbia, la accuso' di avergli fornito consigli errati sul centro commerciale a lui adatto e la scaravento' a terra, trascinandola per i capelli fino all'autovettura e facendole sbattere il viso contro la portiera. Una volta entrati in autovettura, durante il tragitto verso un altro centro commerciale, il L invei' contro di lei e, improvvisamente, estrasse dalla portiera un giravite con la cui punta le graffio' ripetutamente la gamba, costringendola a fare rientro in casa per cambiarsi pantalone macchiato di sangue. La C , in dibattimento, ha indicato precisamente, tra quelli allegati alla denuncia, il fotogramma ritraente la cicatrice riconducibile all'aggressione con il giravite, che era ancora visibile al momento della denuncia del 26 novembre 2019. Ha poi ricordato che frequenti erano le discussioni con il L in ordine al suo orario di ritirata nelle sere in cui si incontravano: addirittura, quando i suoi figli (due dei quali minori) che l'attendevano a casa le telefonavano per chiederle quando rientrasse, l'imputato reagiva spegnendole o addirittura distruggendole il telefono. Questa reazione di violenza sul telefono divenne assai frequente - e legata anche ad altre occasioni di litigio - al punto che ella, avendo subito in un solo mese la rottura di ben tre schede telefoniche a lei intestate e non potendone attivare una quarta a suo nome, fu costretta ad adottare una scheda telefonica intestata al L . (8) A tal proposito, la C ha ricordato un episodio in particolare: mentre era in autovettura con il L ricevette un messaggio vocale da una sua amica la quale le comunicava di aver incontrato il suo ex compagno, il quale le portava i saluti ed esprimeva il desiderio di rincontrarla. Mentre era intenta ad ascoltare il messaggio audio, il L le strappo' il telefono di mano e, quando lo ebbe ascoltato, reagi' dapprima distruggendole il telefono e poi picchiandola con calci e schiaffi, nonostante lei continuasse a ripetergli che quel messaggio non significava nulla e che non aveva alcuna intenzione di incontrare il suo ex compagno. Questo specifico episodio in cui L distrusse il telefono e' noto alla madre e alla sorella di L che lo hanno raccontato nel corso delle rispettive deposizioni, in cui si sono peraltro mostrate al corrente della gelosia di L (cfr. deposizioni di S A e L R ) (9) La signora L R , sorella dell'imputato, ha precisato che il rapporto tra i due era connotato da un marcato e reciproco sentimento di gelosia che, nel caso del fratello, era verosimile derivasse dal senso di insicurezza dovuto al tradimento subito dalla ex moglie. Addirittura, il L si impressionava ogni volta che la C non rispondeva al telefono e le chiedeva continuamente dove si trovasse e con chi fosse. (10) Il ragazzo ha raccontato di aver notato, durante la relazione tra la madre e il L (persona che, a settembre 2019, le fu presentata dalla madre come suo compagno), un profondo cambiamento nella madre, che appariva preoccupata e stressata. Ipotizzo' che questo cambiamento fosse causato dalla relazione con il L , poiche' la madre era turbata, piangeva e gridava ogni volta che riceveva telefonate da costui. Talvolta - il ragazzo ha ricordato nitidamente almeno due occasioni - aveva notato graffi ed ecchimosi anche sul suo volto, ma la madre aveva risposto in modo evasivo, accampando scuse. D'altra parte, confrontandosi con altri parenti, si era reso conto che la madre era ormai evasiva non solo con lui, ma con tutti e si era allontanata dai suoi affetti. (11) La donna ha raccontato di aver iniziato la serata litigando con l'imputato, ma nonostante il litigio, si reco' con lui in un hotel a - ove erano soliti intrattenersi - e ivi consumarono un rapporto sessuale consenziente. Poi, dal momento che il suo telefono cellulare era stato sequestrato e spento dal L (e che il telefona della C non fosse raggiungibile lo ha confermato il figlio C nel corso della sua deposizione, il quale provo' invano a telefonarle fino alle 2,00 del mattino), approfittando dell'uscita di quest'ultimo dalla stanza, prese il secondo telefono regalatogli dalla madre dell'imputato, che aveva scrupolosamente nascosto nella sua borsa all'insaputa del L e lo accese per inviare un messaggio. Al suo rientro in stanza, il L senti' il suono del cellulare e comincio' a frugare nella borsa, rovesciandone il contenuto sul pavimento e strappando tutti i documenti riposti al suo interno. Trovato il telefono, il L lo accese, facendosi dare il pin per l'accensione da lei e vi ritrovo' alcuni messaggi, ivi compresi quelli vocali che la C si era scambiata con la madre del L . A questa scoperta, L adirato con lei che - nel timore che glielo rompesse - gli aveva nascosto l'esistenza di un secondo telefono, reagi' insultandola - «sei una zoccola, una puttana» - e minacciando di rinchiuderla in un posto lontano e non farle piu' vedere figli. Tali aggressioni verbali, intervallate da violenze fisiche, si protrassero dalle ore 23,00 alle ore 3,00/4,00 circa del mattino, momento in cui l'imputato, dolente ad un braccio, crollo' esausto sul letto e si addormento'. Anch'ella, impaurita, tamponato il viso gonfio con un asciugamano, si addormento' e, alle ore 6,00 del mattino, riaccompagno' l'imputato a casa e rientro' nel suo appartamento. (12) Basti qui solo dire che la manifesta contraddizione delle dichiarazioni suddette con il fascicolo fotografico e con le altre - molto piu' - convincenti fonti rappresentative, oltre che il contegno processuale della madre di L e le spontanee dichiarazioni dello stesso imputato, conducono a ritenere inattendibili entrambe le deposizioni almeno per la parte riferita alla percezione delle aggressioni fisiche, fermo restando che, quandanche le due donne non avessero assistito personalmente a violenze o fossero state destinatarie di confidenze in tal senso, non sarebbe questo elemento idoneo a sconfessare il narrato credibile e riscontrato della persona offesa. (13) In «The Oxford English Dictionary» la definizione e' «To approach slow, and quietly in order not to be discovered when getting closer towards an animal or a person, in order to kill, catch or harm it or them». E in riferimento al termine nella sua connotazione criminale «to illegaly follow and watch somebody over a long period of time, in a way that is annoying or frightening». Nel dossier redatto dal Servizio Studi del Senato, febbraio 2009, n. 98, a commento dei disegni di legge AA.SS. nn. 451, 751, 795, 861 e 1348 in materia di stalking, si legge «Il termine "stalking" (e il verbo "to stalk") e' derivato dal linguaggio tecnico della caccia ed e' traducibile lateralmente con la perifrasi "fare la posta" (alla preda)». Sembrerebbe lampante in questa sola definizione che per aversi stalking c'e' un reo che, in senso lato, insegue e una vittima che sfugge. (14) D'altra parte, dalla lettura delle discussioni parlamentari prodromiche all'approvazione del testo normativo, si' evince un clima di confusione in merito alla ratio di esclusione di una siffatta aggravante, e talora e' introdotto il tema dell'antologica estraneita' del reato di atti persecutori alle ipotesi di rapporto affettivo in corso. (15) Le condotte intrusive in tanto possono definirsi tali, in quanto vi sia uno spazio individuale che la persona offesa protegge ed in cui la presenza del reo e' espressamente rifiutata. (16) Relazione di accompagnamento al disegno di legge n. 1440 (17) Giudica - correttamente - superflua la clausola di salvaguardia attenta dottrina, rilevando che, per la le regole generali. (18) In particolare a seguito della recente legge del 19 luglio 2019, n. 69 «Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere», applicabile ratione temperis al caso di specie. (19) Molestie che, ancora una volta, evocano un concetto di «disturbo» della vittima, che sembrerebbe male attagliarsi ad una relazione affettiva in corso. (20) L'evento psichico, connesso alla natura di reato di durata e quindi sviluppato nel tempo e' prima di tutto psichico: maltrattato non e' il leso, il minacciato, il molestato, ma e' colui che consente, tollera, subisce la reiterazione nel tempo delle condotte d'abuso. E' stato efficacemente descritto in dottrina, come uno stato di «sofferenza di natura fisica e morale si ripercuota sulla personalita' della vittima, impedendone la normale espansione, soffocandola, o anche soltanto rendendole ingiustamente piu' difficile la libera formazione ed esplicazione, frustrandola, deformandola in direzioni diverse da quelle che senza i maltrattamenti avrebbe potuto assumere, comprimendola in uno stato di terrore e di abiezione indegno di un essere umano», Maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli [XXV, 1975] di Coppi Franco, voce in Enciclopedia del diritto. (21) Le parole «o comunque convivente» sono state aggiunte dalla legge n. 172 del 2012 - Ratifica ed esecuzione della Convocazione del Consiglio d'Europa per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l'abuso sessuale, fatta a Lanzarote il 25 ottobre 2007, nonche' norme di adeguamento dell'ordinamento interno. (22) D'altra parte, il riferimento dell'art. 572 del codice penale anche alle relazioni fondate sull'autorita' e sull'affidamento inducono a soffermarsi sul dato comune della natura particolare del rapporto considerato, in cui vi e' una componente di fiducia - o di soggezione - che la vittima ripone nell'autore. Si tratta di rapporti che, proprio per la componente di fiducia - o soggezione - possono favorire le manifestazioni di prepotenza di un soggetto sull'altro e indebolire nella vittima la capacita' di sottrarsi alle vessazioni. Centrale in tutti e tre i casi appare la tutela della personalita' di singoli individui in ragione della loro particolare posizione psicologico-affettivo - o formalmente subordinata - rispetto all'autore dei maltrattamenti. (23) Da ultimo, Cassazione penale, Sezione seconda, 23 gennaio 2019, (ud. 23 gennaio 2019, dep. 8 marzo 2019), n. 10222). Contra, Cassazione penale, Sezione sesta, 9 novembre 2018, n. 55737). (24) Al riguardo si consideri la giurisprudenza che ha riconosciuto la realizzazione del reato in esame nelle ipotesi di mobbing, secondo cui «Le pratiche persecutorie realizzate ai danni del lavoratore dipendente e finalizzate alla sua emarginazione (cosiddetto "mobbing") possono integrare il delitto di maltrattamenti in famiglia esclusivamente qualora il rapporto tra il datore di lavoro e il dipendente assuma natura para-familiare, in quanto caratterizzato da relazioni intense ed abituali, da consuetudini di vita tra i soggetti, dalla soggezione di una parte nei confronti dell'altra, dalla fiducia riposta dal soggetto piu' debole del rapporto in quello che ricopre la posizione di supremazia», v. da ultimo, Sezione sesta, Sentenza n. 39920 del 2018, non massimata; Sezione sesta, n. 24642 del 19 marzo 2014 - dep. 11 giugno 2014, Pg in proc. L. G. Rv. 26006301. (25) Come noto, secondo la giurisprudenza di legittimita', se vi sono molestie o minacce reciproche non e' configurabile il delitto di maltrattamenti in famiglia (v. Cassazione penale, Sezione sesta, n. 4935 del 23 gennaio 2019 - dep. 31 gennaio 2019, M. Rv. 27461701 secondo cui «In tema di maltrattamenti in famiglia, integra gli estremi del reato la condotta di chi infligge abitualmente vessazioni e sofferenze, fisiche o morali, a un'altra persona, che ne rimane succube, imponendole un regime di vita persecutoria e umiliante, che non ricorre qualora le violenze, le offese e le umiliazioni siano reciproche, con un grado di gravita' e intensita' equivalenti»). (26) Entrambe le donne hanno dichiarato che L parlava in modo entusiastico della C e si diceva certo di aver trovato la donna giusta che potesse affiancarlo, una donna con cui, dopo la fine del rapporto con la ex compagna, aveva ritrovato stabiliti nella sua vita, trovando addirittura un impiego. La S ha addirittura raccontato di aver stretta un rapporto materno con la C con la quale si sentiva telefonicamente ogni mattina. La C si confidava molto con lei e le racconto' del suo stato depressivo, in relazione al quale la stessa S a sue spese la condusse da uno specialista. (27) Altrove, come noto, si e' sostenuto che per aversi medesimezza del fatto le due fattispecie dovrebbero essere poste a presidio dello stesso bene giuridico. (28) Non solo in dottrina, ma anche in giurisprudenza, proprio in occasione di un dubbio di legittimita' costituzionale simile - sebbene diversamente prospettato nell'epilogo -: «l'esercizio di tale potere non puo' [...] prescindere da una verifica volta ad accertare in concreto, cioe' con riferimento alla fattispecie in esame, se il fatto sia diverso da quello descritto nell'imputazione».(Corte costituzionale, 10 marzo 2010, n. 103 del 2010, in Giur. Cost. 2010, 1159). (29) Come peraltro impone l'art. 178, lettera c) del codice di procedura penale, che sanziona con la nullita' una prassi accusatoria di tal sorta. (30) Nel menzionare gli eventi psichici di paura, stress, timore, che attengono alla dimensione soggettiva/interiore, l'accusa non puo' che limitarsi a parafrasare il contenuto della disposizione, spostandosi il nucleo dei diritti difensivi dalla descrizione del fatto alla prova del fatto, parimenti a quanto accade per il dolo. (31) Prassi per la quale il giudice inserirebbe nella fattispecie riqualificata un elemento fattuale non contestato, ma su cui la difesa ha esercitato il diritto al contraddittorio. (32) Accertamento che rientra nel potere dispositivo delle parti e sul quale il giudice non ha il medesimo dominio; per cui, laddove accerti che il fatto accertato e' diverso o nuovo rispetto a quello contestato, dovra' ai sensi dell'art. 521, comma 2, del codice di procedura penale restituire gli atti all'Ufficio di Procura. (33) Anche a causa delle tecniche utilizzate dal legislatore per la redazione della fattispecie, quali la tecnica casistica o l'abuso di clausole generali, ma si pensi anche al frequente utilizzo di elementi valutativi, di fattispecie aperte. (34) Nei lavori preparatori del progetto di codice di procedura, era stata proposta per le modifiche in iure l'adozione di una disciplina analoga a quella prevista per la contestazione del fatto diverso, oppure «la previsione di un dovere del giudice di rendere nota preventivamente la decisione di modificare la qualificazione giuridica, consentendo la discussione sul punto». Il legislatore, pero', ritenne di non adottare ne' l'una ne' l'altra soluzione, in quanto entrambe avrebbero comportato un «dispendio di attivita' probabilmente eccessivo e il rischio, in pratica, di indurre il giudice a conformarsi in ogni caso al nomen iuris contestato». (35) Sentenza Corte europea dei diritti dell'uomo, 11 dicembre 2007, Drassich contro Italia. (36) La giurisprudenza della Corte europea ha rafforzato nel tempo lo spessore del diritto di difesa, mutando il parametro di giudizio circa la violazione del diritto di difesa in caso di riqualificazione giuridica dell'accusa. Nella sentenza 25 marzo 1999, Pelissier e Sassi, dopo aver constatato che la mutatio in iure non era stata comunicata ai ricorrenti, per stabilire se ci fosse violazione, aveva anche valutato se le argomentazioni impiegate dalla difesa avrebbero potuto essere in concreto diverse a fronte della possibilita' di un mutamento del titolo del reato, e, ritenendolo probabile, aveva accolto il ricorso. Successivamente, invece (dapprima nella sentenza 20 aprile 2006, I. H. contro Austria e, nella stessa sentenza 11 dicembre 2007, Drassich contro Italia) ha ritenuto di prescindere da una tale verifica, valorizzando il principio secondo il quale ogni diversita' relativa alla qualificazione giuridica attribuita al fatto, ove non sia stata oggetto di contraddittorio, lede comunque l'art. 63, lettera a), della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali. (37) Tribunale di Brindisi, ord. 20 ottobre 2017, proc. n. 1607/15 R.G.N.R., Giud. Biondi, imp. Moro. (38) Corte giust. UE, sentenza 13 giugno 2019, causa C-646/17, Moro. (39) Come noto, la direttiva 2012/13/UE, utilizzata come parametro dal Tribunale brindisino, e il diritto convenzionale operano in stretta sinergia: la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali agisce sulla direttiva a livello normativo, integrando il contenuto delle garanzie procedurali previste dall'atto europeo; le pronunce della Corte europea dei diritti dell'uomo agiscono sulla direttiva a livello interpretativo, poiche', delimitando il significato e la portata del testo convenzionale, integrano indirettamente significato e portata delle disposizioni della direttiva. (40) L'informazione sulla possibile riqualificazione giuridica del fatto non mette in dubbio l'imparzialita' del giudice e l'utilita' del contraddittorio (cfr. Cassazione penale, Sezione terza, Sentenza n. 6211 dell'11 novembre 2014 Cc. (dep. 11 febbraio 2015) Rv. 264820 - 01). (41) Non si vuole qui ignorare che la nostra giurisprudenza di legittimita', nell'interpretazione del diritto al contraddittorio sulla riqualificazione in iure, abbia nondimeno teso ad assestarsi sugli standard minimi fissati dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, nella misura in cui ha ritenuto che il diritto di difesa, secondo i parametri della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, sia garantito (i) anche quando il contraddittorio sia consentito nel grado di giudizio successivo, e quindi per la riqualificazione operata in prime cure, in sede di appello (cfr. Cassazione 11 aprile 2014, Salsi, in CED Cassazione, m. 259564; Cassazione 7 novembre 2012, Manara, in CP 2014, 1019; Cassazione 24 settembre 2012, Jovanovic, in CEDCass, m. 254649; Cassazione 14 febbraio 2012, Vinci, ivi, m. 251961); e per la riqualificazione operata in appello, innanzi alla Corte di Cassazione (cfr. Cassazione 4 marzo 2015, Bu, in CEDCass, m. 262778; Cassazione 11 aprile 2014, Salsi, ivi, m. 259564; Cassazione 15 maggio 2015, Drassich, ivi, m. 256652; Cassazione 7 maggio 2013, Maiuri, ivi, m. 255735; Cassazione 13 novembre 2012, Tirenna, ivi, m. 254357; Cassazione 25 maggio 2012, Saviolo, ivi, m. 254055; Cassazione 9 maggio 2012, D.D., in CP 2013, 1975); e (ii) anche quando la riqualificazione giuridica sia stata resa nota attraverso qualunque atto, ivi compreso quello cautelare (cfr. Cassazione penale 18 febbraio 2010, di Gati). Secondo queste interpretazioni restrittive, animate evidentemente dagli stessi timori del legislatore del 1988, sarebbe necessario stimolare il contraddittorio - argomentativo - solo nel giudizio di legittimita' e non e' chiaro come sia poi garantito il diritto al contraddittorio probatorio in sede di giudizio di rinvio. Non si dubita che cio' possa corrispondere ai principi convenzionali (cfr. in tal senso, C. eur., 1 marzo 2001, Dallos contro Ungheria, § 52; C. eur., 21 febbraio 2002, Sipavicius contro Lituania, §§ 32-33; C. eur., 6 giugno 2002, Feldman contro Francia; C. eur., 20 aprile 2006, I.H. e altri contro Austria, § 36; C. eur. 9 marzo 2013, Zhupnik contro Ucraina, § 43); tuttavia va ribadito che tali principi fissano standard minimi, dai quali e' possibile discostarsi prevedendo tutele piu' piene ove cio' sia imposto dai principi costituzionali di uno Stato Membro: sicuramente garantire il contraddittorio sin dalle prime cure, senza privare l'imputato di un grado di giudizio, dargli la possibilita' di difendersi nella fase processuale piu' adeguata per le garanzie istruttorie, e' una regola improntata all'art. 24 della Costituzione nella dimensione processuale fissata dall'art. 111. Si direbbe, in definitiva, che, su questo profilo - non rilevante nel caso di specie -, sia auspicabile un sindacato di legittimita' costituzionale dell'art. 521 del codice di procedura penale in relazione agli articoli 24 e 111 della Costituzione, nonostante la possibilita' di un'interpretazione conforme - quale infatti si e' operata nel caso di specie - e quindi un verosimile rigetto per infondatezza, anche al sol fine di ottenere una sentenza interpretativa di rigetto con cui il Giudice delle leggi indichi, una volta e per tutte, quale sia l'unica interpretazione conforme alla Costituzione e fissi a chiare lettere a quale livello il contraddittorio, in caso di riqualificazione, debba essere assicurato - secondo un metodo fatto proprio dalla Corte proprio nella recente sentenza n. 131 del 2019, in cui si sono delineati i rapporti tra riqualificazione giuridica e probation. (42) Con riferimento a tale pronuncia sembra potersi osservare che, a dispetto dell'esito di infondatezza, la Corte costituzionale, nell'indicare una strada interpretativa conforme a Costituzione, abbia ritenuto implicitamente che l'accesso ai riti alternativi fosse un'alternativa che - sebbene gia' possibile in via interpretativa - intanto e' da garantire in quanto rispondente ai parametri costituzionali indicati dal giudice a quo.) (43) Come indicato nella nota precedente, ove il contraddittorio fosse instaurato - come si ritiene corretto - gia' dal primo grado ove qui operi la riqualificazione, non si comprende se sui nuovi temi emersi si instauri un contraddittorio limitato negli angusti dell'art. 507 del codice di procedura penale, con l'esercizio di un potere peraltro gia' previsto in quella fase, ovvero pieno ex art. 187 del codice di procedura penale nei limiti ordinari di pertinenza e rilevanza. (44) Sembrerebbe essere questa invece la strada seguita dal Tribunale brindisino per sollecitare la pronuncia della Corte di giustizia sull'art. 521 del codice di procedura penale sopra menzionata, ma anche la strada seguita dal giudice a quo nella sentenza n. 103 del 2010 della Corte costituzionale. (45) Come osservato dalla Corte di Giustizia nel caso sollevato dal Tribunale di Brindisi, il diritto di difesa di fronte all'evento di mutamento, nel diritto convenzionale e comunitario, si esplica solo come diritto all'informazione e al contraddittorio. Sebbene non si ignori che la Corte europea dei diritti dell'uomo potrebbe approdare a conclusioni diverse e maggiormente garantiste, disattendendo l'interpretazione della Corte di Giustizia, e' innegabile che il diritto convenzionale fissi standard minimi ed e' parere di chi scrive - se sia consentito esprimerlo - che, allo stato, l'unica dimensione del diritto di difesa riconosciuta in quella sede sia questa. (46) Parte non trascurabile della dottrina, come noto, contesta in radice, non solo il pregio della distinzione, ma finanche la possibilita' logica di distinguere i piani. Ora - senza addentrarsi in tematiche che trovano altrove riflessioni ben piu' strutturate - vale la pena di rimarcare che il principio che stabilisce il dominio del giudice sulla quaestio (tenendola implicitamente distinta dalla quaestio facti) oltre ad essere largamente condiviso nella giurisprudenza della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, rappresenta fra l'altro un corollario del principio di legalita', e trova attuazione, oltre che nell'art. 521 del codice di procedura penale, anche art. 530 del codice di procedura penale nella selezione delle formule assolutorie, e nell'art. 5 del codice penale. (47) La stessa Corte di Cassazione, pure nell'oscillante e talora insoddisfacente rielaborazione dei principi della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, ha mostrato sensibilita' su queste implicazioni. Nella sentenza 23 giugno 2017, n. 49054, si legge «che una lettura costituzionalmente orientata dell'art. 521 del codice di procedura penale impone di ritenere che il potere di attribuire alla condotta addebitata all'imputato una nuova e diversa qualificazione giuridica non possa essere esercitato "a sorpresa" ma solo a condizione che vi sia stata una preventiva promozione, ad opera del giudice, del contraddittorio fra le parti sulla "questio iuris" relativa; e cio' anche nel caso in cui la nuova e diversa qualificazione risulti piu' favorevole per il giudicabile, atteso che la difesa ben puo' diversamente atteggiarsi (quanto alle opzioni strategiche) e modularsi (sul piano tattico) in rapporto alla differente qualificazione giuridica della condotta, rispetto alla quale, oltre tutto, le emergenze processuali assumono, a loro volta, diversa rilevanza, dovendo la garanzia del contraddittorio in ordine alle questioni inerenti alla diversa qualificazione giuridica del fatto essere concretamente assicurata all'imputato sin dalla fase di merito in cui si verifica la modifica dell'imputazione». (48) L'argomento e' stato, sinteticamente, utilizzato nella sentenza della Corte di Cassazione n. 5546/92 Sezione quinta, Sentenza n. 5546 del 5 marzo 1992 Ud. (dep. 12 maggio 1992) Rv. 190092 - 01, per negare l'accesso al patteggiamento in caso di riqualificazione. Nella sentenza si legge: «In caso di accordo delle parti sulla pena ai sensi dell'art. 444 del Nuovo Codice di procedura penale il controllo relativo alla qualificazione giuridica del reato ed alla inesistenza di cause di non punibilita' ex art. 129 stesso codice deve essere effettuato dal giudice ex ufficio, allo stato degli atti, e non a seguito di una fase dibattimentale comprendente la discussione da parte dei difensori e del P.M. di una tesi principale al cui accoglimento venga subordinata la richiesta di patteggiamento. Una trattazione, infatti, della causa implicante esposizione di tesi e decisione sulle stesse darebbe luogo ad un vero e proprio giudizio dibattimentale incompatibile col rito del patteggiamento. (Nella specie questa Corte ha rigettato il ricorso dell'imputato che lamentava la mancata ammissione da parte del Tribunale della discussione sulla qualificazione giuridica dei fatti, pur avendo le parti chiesto in via principale la derubricazione del reato di falso in atto pubblico in falso in certificazione e solo, subordinatamente, l'applicazione della pena patteggiata).» (49) Le nuove contestazioni sono definite dalla stessa Corte costituzionale un meccanismo anomalo (o comunque derogatorio rispetto alle ordinarie cadenze procedimentali) che diventa patologico allorquando si consente di inserire nel dibattimento fatti che, sebbene risultassero gia' dalla lettura degli atti, non erano stati inseriti in imputazione per errore o malizia, o inesattezza nelle scelte del pubblico ministero. Nonostante l'anomalia o la patologia, il meccanismo era ritenuto necessario per garantire flessibilita' al dibattimento ed evitare che, per ogni fatto diverso o nuovo - per il fatto nuovo, entro i noti limiti normativi - , il processo dovesse riprendere da capo il suo corso (cfr. Corte costituzionale 237 del 2012). (50) Corte costituzionale 3 giugno 1992, n. 241 e 20 febbraio 1995, n. 50. (51) In Corte costituzionale n. 273 del 2014, si osserva «Come gia' in precedenza rilevato, d'altra parte, se pure e' indubbia, in una prospettiva puramente "economica", che piu' si posticipa il termine utile per la rinuncia al dibattimento e meno il sistema ne "guadagna", resta comunque assorbente la considerazione che l'esigenza della "corrispettivita'" fra riduzione di pena e deflazione processuale non puo' prendere il sopravvento sul principio di eguaglianza ne' tantomeno sul diritto difesa, dichiarato inviolabile dall'art. 24, secondo comma, della Costituzione». In passato si era affermato invece che «L'interesse dell'imputato ai riti alternativi trova tutela solo in quanto la sua condotta consenta l'effettiva adozione di una sequenza procedimentale che, evitando il dibattimento, permetta di raggiungere l'obiettivo di una rapida definizione del processo» (sentenze n. 129 del 1993, n. 316 del 1992 e n. 593 del 1990; ordinanze n. 107 del 1993 e n. 213 del 1992). (52) Si vuole comunque ribadire che, se questo piccolo spazio di corrispettivita' era di fatto salvaguardato anche nelle contestazioni suppletive di cui agli articoli 516 e 517 del codice di procedura penale, la Corte costituzionale, nel riconoscere l'accesso ai riti alternativi anche in caso di contestazione suppletiva di una circostanza aggravante, ha definitivamente abbandonato il binomio premialita'/deflazione. E' infatti diritto dell'imputato accedere al rito alternativo finanche in caso di contestazione suppletiva della recidiva - poiche' essa e' una circostanza - sebbene, in tal caso, l'imputato non goda del diritto al termine a difesa ne' al contradditorio probatorio: la premialita' non trova corrispettivo in alcuna deflazione. (53) Diversa la disciplina del giudizio abbreviato a prova integrata, su cui di recente Cassazione, Sezioni unite, 20 febbraio 2020 (ud. 18 aprile 2019), n. 5788, Pres. Carcano, Rel. De Crescienzo. (54) «Se, per l'inerzia dell'imputato (che abbia omesso di chiedere il rito alternativo nei termini con riguardo all'originaria imputazione), tale scopo [la deflazione, n.d.r.] non puo' piu' essere raggiunto - essendosi ormai pervenuti al dibattimento - sarebbe irrazionale che si addivenga egualmente al rito speciale in base alle contingenti valutazioni dell'imputato stesso nell'andamento del processo» (sentenze n. 129 del 1993, n. 316 del 1992 e n. 593 del 1990; ordinanze n.107 del 1993 e n. 213 del 1992). (55) Si puo' dire che, quasi come se la scelta del rito ordinario fosse in se' una condotta processuale colposa, l'errore del pubblico ministero introduceva un elemento. in grado di escludere la prevedibilita' della colpa dell'imputato nella scelta del rito ordinario e pertanto l'evento non appariva all'imputato ascrivibile. (56) Non a caso questa teoria fu utilizzata per negare il diritto al rito alternativo in caso di contestazione suppletive all'indomani dell'entrata in vigore del codice di procedura penale. Emerge in questo approccio tutta la difficolta' con cui il legislatore aveva accettato contraddittorio orale quale normale metodo di formazione della prova e la sua resistenza a rinunciare al modello inquisitorio. Era quindi nella forma mentis dell'epoca - oggi ampiamente superata - ostacolarne l'accesso appesantendolo di rischi, calcolabili e non, e al contempo offrire detenenti alla scelta dei riti alternativi. (57) Sembra questa la ratio che ha ispirato, per la verita', la sentenza della Cassazione penale n. 5493/1997 nel ritenere manifestamente infondata la questione di legittimita' dell'art. 446 in relazione agli articoli 3 e 24 della Costituzione nella parte in cui non prevede la facolta' dell'imputato di accedere al rito di cui all'art. 444 del codice di procedura penale nei casi di condanna per reato diverso. (58) Sezione quinta, Sentenza n. 13597 del 12 marzo 2019 ud. (dep. 12 aprile 2010) Rv. 246719 - 01 in cui la Corte afferma «La diversa qualificazione giuridica del fatto all'esito del processo o il proscioglimento da taluna o da tutte le imputazioni non costituiscono la dimostrazione che l'imputato e' stato sottoposto ad un processo ingiusto ma esattamente il contrario, e cioe' che la istruttoria dibattimentale e il contraddittorio delle parti hanno parlato, proprio per la esistenza e il rispetto di regole processuali, alla acquisizione di una verita' che non ha permesso di confermare in toto la ipotesi di accusa, istituzionalmente spettante, quanto alla individuazione del fatto penalmente rilevante, al rappresentante dell'Ufficio del Pubblico minestra e quanto alla qualificazione giuridica, al verdetto finale del giudice. La emersione in termini per la scelta di riti alternativi, d'altra parte, e' evenienza non estranea all'ordinamento vigente ma con riferimento alla contestazione di fatti miopi (art. 516 del codice di procedura penale) e non anche alla diversa qualificazione giuridica. Quest'ultima, a differenza della contestazione suppletiva che e' evento processuale eccezionale e non prevedibile, e' invece espressione della discrezionalita' tecnica del giudice il quale e' sempre tenuto a ricondurre la fattispecie nell'esatto perimetro normativo, nel rispetto della contestazione dei fatti. La parte, pertanto, ha il dovere di esercitare tutte le proprie opzioni nella previsione che tale eventualita' di verifichi.» (59) L'argomento della prevedibilita' era stato speso, come noto, anche per negare il diritto al rito alternativo in caso di nuova contestazione: si sosteneva che, siccome l'emersione in dibattimento di un evento gia' risultante dagli atti, era un'eventualita' che l'imputato ben poteva prevedere, la concretizzazione di quel rischio - ossia la contestazione patologica - dovesse risultare a suo carico, inibendogli la scelta di un rito diverso. Nella sentenza n. 316 del 1992 si leggeva infatti: «L'esclusione di tale possibilita' [di accesso al rito alternativo, n.d.r.] e', giustificata dal rilievo che la contestazione e' evenienza, per un verso, non infrequente in un sistema processuale imperniato sulla formazione della prova in dibattimento (cfr. ordinanza n. 213 del 1992), e ben prevedibile, dato lo stretto rapporto intercorrente tra l'imputazione originaria e il reato connesso» ed anche «il relativo rischio rientra naturalmente nel calcolo in base al quale l'imputato si determina a chiedere o meno tale rito, onde egli non ha che da addebitare a se medesimo le conseguenze della propria scelta». L'argomento fu ben presto superato, gia' nel 1994 n. 265 - tanto che le prime contestazioni rispetto alle quali fu ammesso il rito alternativo furono proprio le contestazioni patologiche - innanzitutto nella sua verificabilita', ritenendo opinabile qualificare come prevedibili le modifiche dell'imputazione - sia fisiologiche che patologiche -; e poi ritenendo che il criterio in se' fosse comunque inidoneo a giustificare la compressione di diritti di difesa (lo osserva la Corte costituzionale n. 237 del 2012). (60) Il ragionamento e' parallelo a quello che la Corte costituzionale nella sentenza n. 237 del 2012 segue per le modifiche in fatto: se le contestazioni suppletive sono un ineliminabile meccanismo per consentire la flessibilita' e il funzionamento del dibattimento, cio' non puo' risolversi in una compromissione delle garanzie difensive; per cui, in tale evenienza, in chiave di bilanciamento, va riconosciuta al diritto di difesa la sua massima espansione, anche nel formulare richiesta di riti alternativi. (61) Le pronunce n. 184 del 2014 con riferimento al patteggiamento, la n. 139 del 2015 con riferimento al giudizio abbreviato e la n. 141 del 2018 con riferimento alla sospensione del procedimento con messa alla prova. (62) Sentenza n. 184 del 2014. (63) Negli stessi termini si esprimeva la Corte con riferimento al simile parametro che disciplinava le contestazioni suppletive, in relazione alle quali il divieto operativo di contestazione per il caso in cui il reato rientrasse tra quelli per i quali era prevista l'udienza preliminare, consentendo indirettamente l'accesso ai riti alternativi, introduceva una disparita' irragionevole, fondata su un parametro casuale (cfr., Cost. 237/2012: «L'mpossibilita' di definire con giudizio abbreviato gli addebiti oggetto delle nuove contestazioni "fisiologiche" risulta, peraltro, irragionevole e fonte di ingiustificate disparita' di trattamento anche sotto un altro profilo: vale a dire, in ragione del fatto che, in taluni casi, l'imputato potrebbe recuperare detta facolta' per circostanze puramente "occasionali", che determinino la regressione del procedimento»). (64) Ove si e dichiarata inammissibile la questione di legittimita' costituzionale degli articoli 424, 429 e 521, comma 1, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli articoli 3, 24, 111, terzo comma, e 117, primo comma, della Costituzione «nella parte in cui consentono al GUP di disporre il rinvio a giudizio dell'imputato in relazione ad un fatto qualificato, di ufficio, giuridicamente in maniera diversa, senza consentire il previo ed effettivo sviluppo del contraddittorio sul punto, chiedendo al PM di modificare la qualificazione giuridica del fatto e, in caso di inerzia dell'organo dell'accusa, disponendo la trasmissione degli atti al medesimo P.M.» (65) «(...) dal momento che il giudice a quo ha trascurato di precisare perche', nella fattispecie sottoposta al suo giudizio, il fatto debba ritenersi diversamente qualificato e non si tratti, piuttosto di un fatto diverso rispetto a quello originariamente contestato» (66) Per la sua preziosita', si ritiene di riportare integralmente il passaggio: «il rimettente sollecita una pronunzia additiva, non avente carattere di soluzione costituzionalmente obbligata, ma rientrante nell'ambito di scelte discrezionali riservate al legislatore. Tale profilo, del resto, e' desumibile dalla stessa ordinanza di rimessione, nella parte in cui si sofferma sulle diverse possibili procedure adottabili dal giudice dell'udienza preliminare, al fine di far cadere i dubbi di legittimita' costituzionale della disciplina censurata. Invero, da un lato, il rimettente prospetta la possibilita' di pronunziare un'apposita ordinanza attraverso cui informare le parti della diversa qualificazione giuridica attribuita al fatto, cosi' da consentire un contraddittorio anche sulla nuova qualificazione giuridica; dall'altro, prospetta l'applicazione in via analogica dell'art. 521, comma 2, del codice di procedura penale. Entrambe le soluzioni, poi, sono ritenute inadeguate dalla citata ordinanza, che prospetta come indispensabile l'intervento di questa Corte mediante una pronunzia additiva che preveda la regressione del procedimento nella fase delle indagini preliminari, attraverso la restituzione degli atti all'organo dell'accusa. Risulta evidente, quindi, che la pronunzia richiesta postula una soluzione che non e' l'unica possibile. Deve, altresi', rilevarsi che la soluzione prospettata dal giudice a quo tende ad ottenere la parificazione di situazioni processuali tra loro non omogenee, quali l'accertamento che un fatto debba essere diversamente qualificalo e la constatazione che il fatto e' differente da quello descritto nel decreto che dispone il giudizio. La decisione richiesta, dunque, coinvolgendo scelte relative alla conformazione della disciplina processuale, rientra nella discrezionalita' del Parlamento. Al riguardo, si deve osservare che il legislatore si e' gia' espresso sul punto, in sede di relazione al progetto preliminare del codice di procedura penale del 1988; in tale occasione, con riferimento al tema della non obbligatorieta' della correlazione tra la decisione sul tema giuridico dell'accusa e le conclusioni del pubblico ministero", era stata proposta l'adozione di una disciplina analoga a quella prevista per la contestazione del fatto diverso, oppure "la previsione di un dovere del gradire di rendere nota preventivamente la decisione di modificare la qualificazione giuridica, consentendo la discussione sul punto". Il legislatore, pero', ha ritenuto di non adottare ne' l'una, ne' l'altra soluzione, in quanto entrambe avrebbero comportato un dispendio di attivita' probabilmente eccessivo e il rischio, in pratica, di indurre il giudice a conformarsi in ogni caso al nomen iuris contestato». (67) Non si e' pone in discussione, nei principi della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, il dominio del giudice sulla qualificazione giuridica, ma si impone esclusivamente, in tal caso, un rinforzamento delle garanzie difensive. (68) Anche attraverso un esercizio congruo del potere legislativo per esempio nella redazione delle fattispecie incriminatrici. (69) Corte costituzionale n. 132 del 2019. (70) Fra le altre, Cassazione penale, Sezione terza, Sentenza n. 6211 del 11 novemebre 2014 Cc. (dep. 11 febbraio 2015 ) Rv. 264820 - 01, per cui «In tema di ricusazione, non costituisce indebita anticipazione di giudizio il provvedimento con il quale il giudice inviti, in qualsiasi fase del procedimento, le parti ad interloquire sulla qualificazione giuridica del fatto, trattandosi di una prerogativa rientrante nell'esercizio delle sue funzioni e non di una manifestazione indebita del proprio convincimento sui fatti oggetta di imputazione, posto che siffatta interlocuzione e' imposta dall'art. 4, paragrafi 1 e 3, lettere a) e b) della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (Fattispecie in cui, all'esito delle conclusioni delle parti, il giudice aveva pronunciato ordinanza invitando le stesse ad interloquire sulla configurabilita' di una diversa e piu' grave qualificazione giuridica del fatto contestato).» (71) La difesa potrebbe operare una scelta simile, o valutando in un'ottica strategica la sola componente premiale dello sconto di pena, oppure anche - sebbene questa rappresenti un'ipotesi piu' remota - immaginando che l'accesso del giudice agli atti di indagine possa inquinare il suo giudizio, ad esempio in punto di attendibilita' delle fonti dichiarative. L'ipotesi e' per vero affatto remota, poiche', quando la scelta per l'abbreviato si inserisca in una fase non fisiologica, a dibattimento gia' svolto, in limine litis, la sua funzione strategica - cioe' finalizzata comunque all'approdo assolutorio - appare depotenziata, come si e' gia' sperimentato d'altronde nella prassi, in caso di rito abbreviato in limine litis sulla contestazione mutata in facto (cfr. Sezione quinta, Sentenza n. 21133 del 25 marzo 2019 Ud. (dep. 15 maggio 2019) Rv. 275315 - 01) -. In queste ipotesi, difficilmente l'abbreviato in limine litis sara' autenticamente utilizzato quale strategia per smentite i fatti descritti nell'imputazione, perche' la difesa aveva a disposizione quegli atti sin dal principio e, se avesse voluto, ben prima avrebbe potuto farli acquisire ex art. 493, comma 3, del codice di procedura penale. Peraltro, se avesse voluto smentire la fonte dichiarativa avrebbe potuto sia far transitare gli atti di indagine, sia illuminarne le contraddizioni del narrato in controesame, attraverso la formulazione delle contestazioni. Ad ogni modo, vale la pena di considerare questa ipotesi sul campo come ipotesi che puo' concretamente condurre ad un approdo assolutorio, perche' e' importante ricordare che l'abbreviato, neppure in queste ipotesi, e' una resa incondizionata: la richiesta, formulata in sede di interlocuzione, non e' avanzata in un momento in cui il giudizio decisorio in punto di riqualificazione sia stato gia' concluso, come puro pretesto per l'applicazione dello sconto di pena; ne', soprattutto, si innesta su una decisione gia' presa in anticipo, perche' la decisione stessa trovera' sede in camera di consiglio e dovra' comunque relazionarsi anche col materiale di indagine per verificare la sua fondatezza. Se il fatto non trovera' conferma negli atti di indagine, perche' ad esempio, le fonti dichiarative ne usciranno travolte o emergeranno risultanze in grado di smentirlo, si versera' in ipotesi assolutoria. E' peraltro questa riflessione che conduce a ritenere nel caso di specie niente affatto esaurito - ed anzi interrotto - il giudizio, ne' presa la decisione, perche' l'eventuale decisione nelle forme del rito abbreviato comporterebbe un ulteriore vaglio, allo stato non operato. (72) E' opinione di chi scrive che, conformemente a quanto accade per l'abbreviato in caso di contestazioni suppletive, che, pur comportando l'acquisizione dell'intero fascicolo in ottica deflattiva, resta comunque - nei suoi effetti premiali - limitato al nuovo fatto-reato, si potrebbe ipotizzare che, allorche' il giudice, dall'analisi congiunta delle risultanze istruttorie e degli atti di indagine, evinca elementi in grado di giustificare la scelta del titolo operata dal pubblico ministero, escludendo quello scenario riqualificatorio che aveva prospettato, condanni senza applicare lo sconto di pena, per evitare di riconoscere effetti premiali ultronei. D'altra parte, la scelta del rito abbreviato da parte della difesa, richiesta solo al momento dello scenario riqualificatorio, dovrebbe coerentemente essere strumentale non solo ad un mero sconto di pena, ma anche ad evitare uno scenario siffatto; quindi, nel caso in cui il giudice, proprio alla luce della lettura degli atti di indagine, escluda la correttezza dell'opzione riqualificatoria, la finalita' difensiva dell'acquisizione avrebbe gia' raggiunto l'alto obiettivo di scongiurare il rischio prospettato; a quel punto, riconoscere lo sconto di pena, sulla base di una prospettazione non realizzata, sarebbe un ingiustificato ed irrazionale effetto premiale.
P.Q.M. Dichiara d'ufficio rilevante nel presente giudizio e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 521 del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede la facolta' dell'imputato, allorquando sia invitato dal giudice del dibattimento ad instaurare il contraddittorio sulla riqualificazione giuridica del fatto, di richiedere al giudice del dibattimento il giudizio abbreviato relativamente al fatto diversamente qualificato dal giudice in esito al giudizio, per violazione degli articoli 3, 24 e 111 della Costituzione nei termini di cui in motivazione; Sospende il giudizio; Dispone che la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata ai presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati; Ordina l'immediata trasmissione alla Corte costituzionale della presente ordinanza e degli atti del giudizio, insieme con la prova delle comunicazioni e notificazioni di cui al precedente capoverso. Da' atto che la presente ordinanza e' stata letta in udienza e che, pertanto, essa deve intendersi notificata a coloro che sono o devono considerarsi presenti, ex art. 148, comma 5, del codice di procedura penale. Torre Annunziata, 9 giugno 2020 Il Giudice: Ambrosino