N. 252 SENTENZA 21 ottobre - 26 novembre 2020

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Processo penale - Operazioni di  polizia  per  la  prevenzione  e  la
  repressione  del  traffico  illecito  di  stupefacenti  e  sostanze
  psicotrope - Perquisizioni personali e domiciliari autorizzate  per
  telefono - Convalida successiva - Omessa  previsione  -  Violazione
  della liberta' personale  e  dell'inviolabilita'  del  domicilio  -
  Illegittimita' costituzionale in parte qua. 
Processo penale - Prove  illegittimamente  acquisite  (nella  specie:
  perquisizioni e ispezioni compiute dalla polizia giudiziaria  fuori
  dei  casi  previsti  dalla  legge  o   comunque   non   convalidate
  dall'autorita'  giudiziaria)  -   Inutilizzabilita'   degli   esiti
  probatori, compreso il sequestro del corpo del reato o  delle  cose
  pertinenti al reato, nonche' la deposizione testimoniale in  ordine
  a tale attivita' - Omessa previsione - Denunciata  irragionevolezza
  e disparita' di trattamento,  violazione  dei  diritti  inviolabili
  della persona, della liberta' personale, del principio  di  riserva
  di legge, del diritto di difesa e di quello, garantito anche in via
  convenzionale, al rispetto della vita privata e del domicilio della
  persona - Manifesta inammissibilita' delle questioni. 
- Decreto del Presidente della Repubblica 9  ottobre  1990,  n.  309,
  art. 103, comma 3; codice di procedura penale, art. 191. 
- Costituzione, artt. 2, 3, 13, 14, 24, 97,  secondo  comma,  e  117,
  primo comma; Convenzione per la salvaguardia dei diritti  dell'uomo
  e delle liberta' fondamentali, art. 8. 
(GU n.49 del 2-12-2020 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Mario Rosario MORELLI; 
Giudici :Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana  SCIARRA,  Daria
  de PRETIS, Nicolo' ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio  BARBERA,
  Giulio  PROSPERETTI,  Giovanni  AMOROSO,  Francesco  VIGANO',  Luca
  ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nei giudizi di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  191  del
codice di procedura penale e dell'art. 103 del d.P.R. 9 ottobre 1990,
n. 309 (Testo unico  delle  leggi  in  materia  di  disciplina  degli
stupefacenti   e   sostanze   psicotrope,   prevenzione,    cura    e
riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza), promosso dal
Tribunale ordinario di Lecce, in composizione  monocratica,  con  sei
ordinanze del 5 luglio, del 13 settembre, del 14  settembre,  del  1°
ottobre 2018, del 20 settembre 2019 e del 13 dicembre 2018, iscritte,
rispettivamente, dal n. 17 al n. 22 del  registro  ordinanze  2020  e
pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica numeri  8  e  9,
prima serie speciale, dell'anno 2020. 
    Visti gli atti di intervento del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 21 ottobre  2020  il  Giudice
relatore Franco Modugno; 
    deliberato nella camera di consiglio del 21 ottobre 2020. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con sei ordinanze, di tenore  per  larga  parte  analogo,  il
Tribunale  ordinario  di  Lecce,  in  composizione  monocratica,   ha
sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3,  13,  14,  24,  97,  terzo
(recte: secondo) comma,  e  117,  primo  comma,  della  Costituzione,
quest'ultimo  in  relazione  all'art.  8  della  Convenzione  per  la
salvaguardia dei diritti  dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali
(CEDU), firmata  a  Roma  il  4  novembre  1950,  ratificata  e  resa
esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, innanzitutto questioni  di
legittimita' costituzionale dell'art. 191  del  codice  di  procedura
penale, nella parte in cui - secondo  l'interpretazione  predominante
nella giurisprudenza  di  legittimita',  qualificabile  come  diritto
vivente - non prevede che la  sanzione  dell'inutilizzabilita'  delle
prove acquisite in violazione di un divieto di legge  riguardi  anche
gli esiti probatori - compreso il sequestro del  corpo  del  reato  o
delle cose pertinenti al  reato  -  degli  atti  di  perquisizione  e
ispezione domiciliare e personale compiuti dalla polizia  giudiziaria
fuori dai casi tassativamente previsti dalla legge,  ovvero  (secondo
le sole ordinanze iscritte ai numeri 17, 18, 20, 21  e  22  del  r.o.
2020) non convalidati,  comunque  sia,  dal  pubblico  ministero  con
provvedimento motivato. 
    In  alcune  delle  ordinanze,  il  rimettente  lamenta  in   modo
specifico che l'inutilizzabilita' non colpisca anche le perquisizioni
e le ispezioni  operate  dalla  polizia  giudiziaria  sulla  base  di
elementi non utilizzabili, quali le fonti confidenziali (r.o.  n.  19
del 2020), o in assenza della flagranza di  reato  (r.o.  n.  20  del
2020); ovvero autorizzate verbalmente dal  pubblico  ministero  senza
che ne risultino le ragioni (r.o. n. 20 del 2020); ovvero  effettuate
ai sensi dell'art. 103 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico
delle leggi in materia di disciplina degli  stupefacenti  e  sostanze
psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati  di
tossicodipendenza) (inde: «t.u. stupefacenti»), senza aver chiesto  -
come ivi prescritto - l'autorizzazione del pubblico ministero e senza
che consti l'impossibilita' di farlo (r.o. n. 21 del  2020);  ovvero,
ancora, che l'inutilizzabilita' non  riguardi  anche  la  deposizione
testimoniale  sulle  attivita'  prese  in  considerazione  (ordinanze
iscritte ai numeri 17, 18 e 19 del r.o. 2020). 
    La sola ordinanza n.  22  del  r.o.  2020  solleva,  inoltre,  in
riferimento  agli  artt.  13,  14  e  117,  primo  comma,   Cost.   -
quest'ultimo  in  relazione  all'art.  8   CEDU   -,   questioni   di
legittimita' costituzionale dell'art. 103 t.u.  stupefacenti,  «nella
parte in cui prevede che il  [pubblico  ministero]  possa  consentire
l'esecuzione di perquisizioni in forza di autorizzazione orale  senza
necessita' di una successiva documentazione formale delle ragioni per
cui l'ha rilasciata». 
    1.1.- Secondo quanto emerge dalle  ordinanze  di  rimessione,  il
giudice a quo e' investito, in sede dibattimentale, di  processi  per
reati in materia di stupefacenti (ordinanze iscritte  ai  numeri  17,
18, 21 e 22 del r.o. 2020), ovvero per  reati  contro  il  patrimonio
(ordinanze iscritte ai numeri 19 e 20 del r.o. 2020). 
    In ciascuno dei casi, la prova esclusiva o principale  dei  fatti
e' costituita dal sequestro del corpo del reato  -  secondo  i  casi,
sostanze stupefacenti, piante di cannabis, ovvero beni di provenienza
furtiva - rinvenuti presso l'abitazione degli imputati a  seguito  di
perquisizioni  eseguite  dalla  polizia  giudiziaria.  Dai   relativi
verbali, si desume che le perquisizioni erano state effettuate  sulla
base di notizie fornite da fonti confidenziali (ordinanze iscritte ai
numeri 17, 19, 21 e 22 del r.o. 2020), o acquisite  tramite  una  non
meglio specificata «attivita'  infoinvestigativa»  (r.o.  n.  18  del
2020), ovvero ancora sulla base di  una  segnalazione  della  persona
offesa, in assenza di una situazione di flagranza di reato  (r.o.  n.
20 del 2020). 
    Ad avviso del rimettente, tali perquisizioni dovrebbero ritenersi
abusive, in quanto compiute fuori dai  casi  tassativamente  indicati
dalla legge. 
    Riproponendo le considerazioni  gia'  svolte  in  due  precedenti
ordinanze di rimessione, il giudice salentino rileva  che  l'art.  13
Cost. (richiamato, quanto a garanzie e forme ivi previste,  dall'art.
14  Cost.  con  riguardo  a  ispezioni,  perquisizioni  e   sequestri
domiciliari) prevede che ogni forma  di  limitazione  della  liberta'
personale  -  compresa  quella  insita  nelle   ispezioni   e   nelle
perquisizioni personali  -  possa  essere  disposta  solo  con  «atto
motivato dell'autorita' giudiziaria e nei soli casi e  modi  previsti
dalla legge». A tale principio puo'  derogarsi  unicamente  «in  casi
eccezionali di necessita' ed urgenza, indicati  tassativamente  dalla
legge», nei quali l'autorita' di  pubblica  sicurezza  puo'  adottare
«provvedimenti   provvisori»   soggetti   a   convalida   da    parte
dell'autorita' giudiziaria, in difetto della quale essi «si intendono
revocati e restano privi di ogni effetto». 
    L'ipotesi principale che, in base alla legge ordinaria, legittima
l'intervento eccezionale delle  forze  di  polizia  e'  quella  della
flagranza di reato (artt. 352 e 354 cod. proc. pen.). Norme  speciali
hanno, peraltro, ampliato i casi nei  quali  la  polizia  giudiziaria
puo' procedere a ispezioni e  perquisizioni.  Una  delle  fattispecie
piu' ricorrenti nella pratica - e rilevante in una parte dei  giudizi
a quibus - e' quella contemplata dall'art. 103 t.u.  stupefacenti,  i
cui commi 2 e 3 abilitano la polizia giudiziaria a  procedere  -  nel
corso di operazioni finalizzate alla prevenzione e  alla  repressione
del  traffico  illecito  di  sostanze  stupefacenti  o  psicotrope  -
rispettivamente, all'ispezione dei mezzi di trasporto, dei bagagli  e
degli effetti personali, e a perquisizioni, allorche' vi sia «fondato
motivo» di ritenere che possano  essere  rinvenute  tali  sostanze  e
ricorrano, altresi' - nel  caso  delle  perquisizioni  -  «motivi  di
particolare necessita' ed urgenza che non  consentano  di  richiedere
l'autorizzazione  telefonica  del   magistrato   competente».   Delle
operazioni deve  essere  data  notizia,  entro  quarantotto  ore,  al
procuratore della Repubblica, il quale le convalida nelle quarantotto
ore successive, sempre che ne sussistano i presupposti. 
    A  parere  del  giudice  a   quo,   una   interpretazione   delle
disposizioni ora richiamate  rispettosa  del  dettato  costituzionale
imporrebbe di ritenere che il presupposto che legittima  l'intervento
della polizia giudiziaria, anche fuori  dai  casi  di  flagranza  nel
reato, debba possedere un  «requisito  minimo  di  comprovabilita'  e
verificabilita'». Diversamente opinando,  infatti,  si  attribuirebbe
alla polizia giudiziaria il potere di ledere «ad libitum» la liberta'
personale e domiciliare  dell'individuo,  vanificando  il  senso  del
controllo dell'autorita' giudiziaria sul suo operato. 
    Di  conseguenza,  il  fondato  sospetto   di   detenzione   dello
stupefacente non potrebbe essere basato  su  informazioni  anonime  o
confidenziali, le quali non  sono  in  alcun  modo  verificabili  dal
giudice e  delle  quali  e'  proprio  per  questo  prevista,  in  via
generale, l'inutilizzabilita' (artt. 195, comma 7, 203,  comma  1,  e
240 cod. proc. pen.). 
    Cio' renderebbe illegittime le perquisizioni domiciliari  di  cui
si discute nei giudizi a quibus. All'atto  della  perquisizione,  non
emergeva una situazione di flagranza del reato, ma nemmeno sussisteva
- quanto alle perquisizioni  operate  ai  sensi  dell'art.  103  t.u.
stupefacenti - un «fondato motivo» per ritenere che potessero  essere
rinvenute sostanze stupefacenti: di la', infatti, dal  riferimento  a
inutilizzabili fonti confidenziali, o a  una  imprecisata  «attivita'
infoinvestigativa», i verbali di  perquisizione  non  indicano  quali
elementi potessero far presumere la presenza di droga nell'abitazione
dell'imputato. 
    Le perquisizioni erano destinate, d'altro canto, a rimanere prive
di ogni effetto - secondo il giudice a quo - in ragione  dell'assenza
di un valido provvedimento, antecedente o successivo,  dell'autorita'
giudiziaria. In un caso, infatti, la perquisizione non era stata  ne'
autorizzata  preventivamente,  ne'  convalidata  successivamente  dal
pubblico ministero (r.o. n. 18 del 2020); in altri  casi,  era  stata
bensi'  convalidata,  ma  con  provvedimento  totalmente   privo   di
motivazione (ordinanze iscritte ai numeri 17, 19 e 21 del r.o. 2020);
in un altro caso ancora,  era  stata  autorizzata  oralmente  e  indi
convalidata, ma sempre senza motivazione (ordinanza r.o.  n.  20  del
2020);  in  un  ultimo  caso,  infine,  era  stata  solo  autorizzata
oralmente, di nuovo pero' senza che ne constassero le  ragioni  (r.o.
n. 22 del 2020). 
    Con particolare  riguardo  ai  casi  di  avvenuta  convalida,  il
rimettente rileva come, pur in assenza di una esplicita previsione in
tal  senso  nell'art.  13  Cost.,  sia  giocoforza  ritenere  che  la
convalida debba essere effettuata  mediante  provvedimento  motivato,
rimanendo altrimenti frustrata la  ratio  della  garanzia  apprestata
dalla  norma  costituzionale.  Non  avrebbe  senso,  d'altronde,  che
quest'ultima   richieda   l'«atto   motivato»   quando    l'autorita'
giudiziaria, titolare in via ordinaria  del  potere,  incida  di  sua
iniziativa sulla liberta' personale, e non pure nell'ipotesi  -  piu'
delicata - in cui sia chiamata a verificare se la polizia giudiziaria
abbia agito fuori dai casi eccezionali nei quali la legge le consente
di intervenire. 
    Di conseguenza, nei  casi  oggetto  dei  giudizi  principali,  il
provvedimento del pubblico ministero, proprio perche' immotivato, non
eviterebbe la perdita di efficacia degli atti di  polizia,  stabilita
dall'art.  13  Cost.  nell'ipotesi  di  mancata  convalida  da  parte
dell'autorita' giudiziaria nel termine stabilito. 
    1.2.- Cio' posto, il giudice rimettente assume che, al lume della
previsione dello stesso art.  13  Cost.,  gli  atti  di  ispezione  e
perquisizione eseguiti abusivamente dalla polizia giudiziaria, o  non
convalidati dall'autorita' giudiziaria con atto motivato,  dovrebbero
rimanere  privi  di  effetto  anche  sul  piano  probatorio.  L'unica
efficacia perdurante nel tempo  di  tali  atti  e',  infatti,  quella
relativa alla loro «capacita' probatoria»: di modo che la perdita  di
efficacia non potrebbe  che  equivalere,  per  essi,  a  quella  che,
nell'art. 191 cod. proc. pen., e' qualificata come  inutilizzabilita'
delle prove assunte in violazione di un divieto di legge. 
    Tale esito interpretativo  risulterebbe,  tuttavia,  contraddetto
dall'indirizzo  della   giurisprudenza   di   legittimita'   divenuto
«assolutamente dominante» a partire dalla  sentenza  della  Corte  di
cassazione, sezioni unite penali, 27 marzo-6 maggio 1996, n. 5021. Le
sezioni  unite  hanno  ritenuto,   infatti,   valido   il   sequestro
conseguente a una perquisizione eseguita fuori dai casi  e  dai  modi
previsti dalla legge, allorche' abbia ad oggetto il corpo del reato o
cose pertinenti al reato,  posto  che,  in  tal  caso,  il  sequestro
costituisce un atto dovuto ai sensi  dell'art.  253,  comma  1,  cod.
proc. pen., che non potrebbe essere omesso dalla polizia  giudiziaria
solo a causa dell'abuso compiuto.  Correlativamente,  gli  agenti  di
polizia giudiziaria potrebbero anche testimoniare sugli  esiti  della
perquisizione. 
    1.3.- Il giudice a quo dubita,  tuttavia,  che  l'art.  191  cod.
proc. pen.,  nella  lettura  offertane  dal  diritto  vivente,  possa
ritenersi compatibile con il dettato costituzionale. 
    L'interpretazione censurata si porrebbe,  infatti,  in  contrasto
con gli artt.  13  e  14  Cost.,  negando  concreta  attuazione  alla
previsione della perdita di efficacia  delle  perquisizioni  e  delle
ispezioni, nonche' dei sequestri ad esse conseguenti, ove eseguiti in
violazione dei divieti. La disciplina stabilita  dall'art.  191  cod.
proc. pen. mirerebbe, in effetti, ad offrire una efficace  tutela  ai
diritti  costituzionalmente  garantiti,   disincentivando   le   loro
violazioni finalizzate all'acquisizione  della  prova  col  prevedere
l'inutilizzabilita'   dei   relativi   risultati.   Ammettendo    una
"sanatoria" ex post di  tali  violazioni,  legata  agli  esiti  della
perquisizione o dell'ispezione, si verrebbe, per converso,  a  negare
la tutela  del  cittadino  in  confronto  agli  abusi  della  polizia
giudiziaria. 
    L'interpretazione denunciata violerebbe  anche  l'art.  3  Cost.,
escludendo l'inutilizzabilita' in casi del tutto  omologhi  ad  altri
per i quali la legge espressamente la prevede, o  la  giurisprudenza,
comunque  sia,  la  riconosce:  quali,  ad  esempio,   quelli   delle
intercettazioni  e  delle  acquisizioni  di  tabulati  del   traffico
telefonico  eseguite  dalla  polizia  giudiziaria   in   assenza   di
provvedimento  motivato  dell'autorita'  giudiziaria.  Essa   darebbe
luogo, altresi', al  paradosso  di  un  sistema  giuridico  che  vede
inefficaci ab origine le leggi incostituzionali, ma  «efficacissimi»,
anche sotto il profilo probatorio, gli atti  di  polizia  giudiziaria
compiuti in violazione dei diritti costituzionali del cittadino. 
    La soluzione  ermeneutica  censurata  lederebbe  anche  l'art.  2
Cost., facendo si' che vengano a mancare effettive garanzie contro le
illecite compromissioni dei diritti inviolabili dell'uomo; come  pure
l'art. 97, secondo  comma,  Cost.,  che  sottopone  in  via  generale
l'azione dei pubblici poteri  al  principio  di  legalita',  rendendo
prevalente l'azione illegale degli organi statali,  finalizzata  alla
repressione  dei  reati,  rispetto  ai  diritti  costituzionali   dei
consociati: con ulteriore violazione dell'art. 3 Cost., posto che  in
un ordinamento che prevede come centrali i diritti inviolabili  della
persona questi dovrebbero porsi quantomeno  sullo  stesso  piano  dei
diritti della collettivita' e dello Stato. 
    Un  conclusivo  profilo  di  violazione  dell'art.  3  Cost.   e'
ravvisato  nel  fatto  che  l'interpretazione  censurata   si   trova
irrazionalmente   a    convivere    con    quella    che    riconosce
l'inutilizzabilita' di prove vietate dalla  legge  solo  perche'  non
verificabili (come nel caso  degli  scritti  anonimi  e  delle  fonti
confidenziali).   Al   riguardo,    basterebbe    considerare    come
l'«insondabilita'»  degli  elementi  che  hanno  spinto  la   polizia
giudiziaria a eseguire la perquisizione non consenta di escludere  la
possibilita' che siano stati proprio i  terzi  latori  della  notizia
confidenziale o anonima - se non, addirittura, come  talora  pure  e'
avvenuto, le stesse forze di polizia - a  introdurre  nell'abitazione
dell'imputato la  res  illicita,  con  conseguente  violazione  anche
dell'art. 24 Cost., per compromissione del diritto di difesa. 
    La lettura della norma denunciata offerta dal diritto vivente  si
porrebbe in contrasto, infine, con  l'art.  8  CEDU  e,  quindi,  con
l'art. 117, primo comma, Cost., risolvendosi nella  mancata  adozione
di efficaci disincentivi  agli  abusi  delle  forze  di  polizia  che
implichino indebite interferenze nella vita privata della  persona  o
nel suo domicilio: abusi contro i quali - secondo  la  giurisprudenza
della Corte europea dei diritti dell'uomo - il diritto interno  deve,
per converso, offrire garanzie adeguate e sufficienti. 
    La dedotta illegittimita' costituzionale avrebbe, come necessaria
conseguenza, anche il divieto di  testimonianza  degli  operatori  di
polizia  giudiziaria  in  ordine  al  risultato  delle  attivita'  di
ispezione, perquisizione e sequestro indebitamente eseguite:  divieto
che discenderebbe logicamente dalla perdita di ogni efficacia di tali
attivita'. 
    1.4.- Con la sola ordinanza iscritta al r.o. n. 22  del  2020  il
rimettente  dubita,  altresi',  della   legittimita'   costituzionale
dell'art. 103 t.u. stupefacenti, «nella parte in cui prevede  che  il
[pubblico ministero] possa consentire l'esecuzione  di  perquisizioni
in forza di autorizzazione orale senza necessita' di  una  successiva
documentazione formale delle ragioni per cui l'ha rilasciata». 
    Nel caso di specie - secondo quanto si  legge  nell'ordinanza  di
rimessione - la  polizia  giudiziaria,  sulla  base  di  informazioni
confidenziali, aveva effettuato una perquisizione presso l'abitazione
dell'imputato, che aveva portato al  rinvenimento  e  al  conseguente
sequestro di piante di cannabis. 
    La perquisizione era stata autorizzata dal pubblico ministero per
telefono. Poiche' l'art. 103 t.u. stupefacenti in  tal  caso  non  lo
prevede, il pubblico ministero non aveva emesso  alcun  provvedimento
di convalida della perquisizione, limitandosi a convalidare  solo  il
conseguente sequestro. 
    Sulla scorta delle  considerazioni  gia'  svolte,  il  rimettente
reputa che la norma censurata violi, in parte qua, gli artt. 13, 14 e
117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione all'art.  8  CEDU,
non consentendo una  simile  autorizzazione  un  controllo  effettivo
sulla sussistenza delle condizioni che legittimano la perquisizione. 
    2.- Nei giudizi relativi alle ordinanze iscritte  ai  numeri  18,
19, 20, 21 e 22 del r.o.  2020,  e'  intervenuto  il  Presidente  del
Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso   dall'Avvocatura
generale dello Stato, chiedendo che  le  questioni  siano  dichiarate
inammissibili o infondate. 
    2.1.- Con riguardo alle prime quattro ordinanze di rimessione ora
indicate, la difesa dell'interveniente  eccepisce  l'inammissibilita'
delle questioni per carente descrizione della  fattispecie  concreta,
essendosi il rimettente limitato a un sintetico riepilogo dei  fatti,
senza specificare il titolo di reato per cui si procede; in tutte  le
ordinanze, inoltre, il giudice a quo non avrebbe specificato in  modo
chiaro  e  univoco  da  quale  vizio,  fra  i   plurimi   ipotizzati,
deriverebbe l'illegittimita' della perquisizione, impedendo cosi'  di
verificare se ci si trovi a fronte di ipotesi di inutilizzabilita', o
a vizi di natura diversa. 
    In ogni caso,  i  vizi  indicati  dal  rimettente  non  sarebbero
riconducibili al disposto dell'art.  191  cod.  proc.  pen.,  che  ha
riguardo  alle  sole  «prove  acquisite  in  violazione  dei  divieti
stabiliti dalla legge», e non  anche  alle  prove  assunte  senza  il
completo rispetto delle norme che le disciplinano. Si tratterebbe, in
sostanza,  di  semplici  vizi  di  motivazione,  i  quali  potrebbero
determinare solo la  nullita'  dell'atto,  perdendo,  in  ogni  caso,
rilievo una volta che questo  sia  stato  convalidato  dall'autorita'
giudiziaria. 
    Lo  stesso  vizio  di  motivazione,  legato  al  fatto   che   la
perquisizione sia basata su informazioni confidenziali,  risulterebbe
insussistente, giacche' - come piu' volte affermato  dalla  Corte  di
cassazione  -  l'art.  203  cod.   proc.   pen.   non   precluderebbe
l'utilizzazione delle fonti confidenziali come  spunto  investigativo
per attivare strumenti di  ricerca  della  prova,  e  in  particolare
perquisizioni volte al reperimento di sostanze stupefacenti. 
    2.2.- Con particolare riguardo all'ordinanza iscritta al r.o.  n.
21 del 2020 - emessa nell'ambito di un processo nel quale il  giudice
a  quo   e'   chiamato   a   convalidare   l'arresto   dell'imputato,
preliminarmente  alla  celebrazione  del  giudizio   direttissimo   -
l'Avvocatura generale dello Stato assume,  ancora,  che  il  problema
dell'utilizzabilita' o meno del sequestro del corpo del reato (droga)
resterebbe del tutto irrilevante, non dovendo il giudice stabilire se
l'imputato sia colpevole, ma solo se, in base  a  quanto  riferitogli
dalla polizia giudiziaria, vi  fosse  una  situazione  di  flagranza:
situazione insita nella detenzione stessa dello stupefacente. 
    2.3.- L'Avvocatura dello Stato ricorda,  per  altro  verso,  come
questa Corte abbia gia' ritenuto inammissibili analoghe questioni  di
legittimita' costituzionale dell'art. 191 cod. proc. pen. (e'  citata
l'ordinanza n. 332 del 2001) e, piu' di recente, abbia rilevato  come
la soluzione prospettata dal giudice a  quo  finisca  per  trasferire
nella  disciplina  della  inutilizzabilita'  un  concetto  di   vizio
derivato che il  sistema  regola  esclusivamente  in  relazione  alla
figura - ben  distinta  -  delle  nullita':  operazione  che  implica
l'esercizio di opzioni che l'ordinamento  riserva  esclusivamente  al
legislatore (e' citata la  sentenza  n.  219  del  2019,  relativa  a
questioni sostanzialmente sovrapponibili alle odierne). 
    2.4.- Nel merito, le questioni sarebbero - secondo l'Avvocatura -
in ogni caso infondate. 
    Almeno per le  cose  il  cui  sequestro  e'  obbligatorio  e,  in
particolare, per le cose il cui possesso integra un reato  (come  gli
stupefacenti),  l'illegittimita'  della  perquisizione  non  potrebbe
travolgere  anche  l'apprensione  del  bene,   in   quanto   l'omessa
apprensione determinerebbe una condizione di flagrante commissione di
un reato in capo al  soggetto  mantenuto  nel  possesso  della  cosa.
Proprio queste sarebbero le ragioni,  del  tutto  condivisibili,  che
sorreggono il diritto vivente, la cui legittimita' costituzionale  e'
contestata dal giudice a quo. 
    3.- Il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  ha  ripreso  e
sviluppato tali argomenti con successive  memorie,  insistendo  nelle
conclusioni gia' formulate. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con sei ordinanze iscritte ai numeri da  17  a  22  del  r.o.
2020, di tenore per larga parte analogo, il  Tribunale  ordinario  di
Lecce,  in  composizione  monocratica,  dubita   della   legittimita'
costituzionale dell'art. 191 del codice di  procedura  penale,  nella
parte in cui - secondo l'interpretazione accolta dalla giurisprudenza
di legittimita', qualificabile come diritto vivente - non prevede che
la  sanzione  dell'inutilizzabilita'   delle   prove   acquisite   in
violazione di un divieto di legge riguardi anche gli esiti probatori,
compreso il sequestro del corpo del reato o delle cose pertinenti  al
reato,  degli  atti  di  perquisizione  e  ispezione  domiciliare   e
personale  compiuti  dalla  polizia  giudiziaria   fuori   dai   casi
tassativamente  previsti  dalla  legge,  ovvero  (secondo   le   sole
ordinanze iscritte ai numeri 17, 18, 20, 21 e 22 del r.o.  2020)  non
convalidati, comunque sia, dal pubblico ministero  con  provvedimento
motivato. 
    In  alcune  delle  ordinanze,  il  rimettente  lamenta  in   modo
specifico che l'inutilizzabilita' non colpisca anche le perquisizioni
e le ispezioni  operate  dalla  polizia  giudiziaria  sulla  base  di
elementi non utilizzabili, quali le fonti confidenziali (r.o.  n.  19
del 2020), o in assenza della flagranza di  reato  (r.o.  n.  20  del
2020); ovvero autorizzate verbalmente dal  pubblico  ministero  senza
che ne risultino le ragioni (r.o. n.  20  del  2020);  ovvero  ancora
effettuate ai sensi dell'art. 103 del d.P.R. 9 ottobre 1990,  n.  309
(Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli  stupefacenti
e  sostanze  psicotrope,  prevenzione,  cura  e  riabilitazione   dei
relativi stati di tossicodipendenza) (inde: t.u. stupefacenti), senza
aver chiesto - come ivi prescritto -  l'autorizzazione  del  pubblico
ministero e senza che consti l'impossibilita' di farlo ( r.o.  n.  21
del 2020); ovvero, ancora, che  non  colpisca  anche  la  deposizione
testimoniale  sulle  attivita'  prese  in  considerazione  (ordinanze
iscritte ai numeri 17, 18 e 19 del r.o. 2020). 
    Ad avviso del  giudice  a  quo,  la  norma  censurata  violerebbe
anzitutto gli artt. 13 e 14 della Costituzione, in  forza  dei  quali
l'autorita'  di  pubblica  sicurezza  puo'  procedere   a   ispezioni
personali e a perquisizioni, personali e domiciliari,  solo  in  casi
eccezionali di necessita' e  urgenza  indicati  tassativamente  dalla
legge, mediante atti soggetti a  convalida  da  parte  dell'autorita'
giudiziaria (da intendere come convalida motivata), in mancanza della
quale essi «restano privi di ogni efficacia»:  perdita  di  efficacia
che  implicherebbe  necessariamente  l'inutilizzabilita'   dei   loro
risultati sul piano probatorio, anche perche' solo in questo modo  si
tutelerebbero efficacemente  i  diritti  fondamentali  alla  liberta'
personale e domiciliare, disincentivando la loro violazione ad  opera
della polizia giudiziaria per finalita' di ricerca della prova. 
    Risulterebbe, altresi', violato l'art. 3 Cost., sotto un  duplice
profilo. 
    Da un lato, per l'ingiustificata disparita' di trattamento  delle
ipotesi considerate rispetto a situazioni analoghe, per le  quali  la
sanzione dell'inutilizzabilita' e' espressamente prevista dalla legge
o   riconosciuta   dalla   giurisprudenza,   quali    quelle    delle
intercettazioni  e  dell'acquisizione  di   tabulati   del   traffico
telefonico  operate  dalla  polizia   giudiziaria   in   difetto   di
provvedimento motivato dell'autorita' giudiziaria. 
    Dall'altro lato, per contrasto con il  «principio  di  necessaria
razionalita' dell'ordinamento», venendosi a teorizzare un sistema che
considera «inefficaci  ab  origine  le  leggi  incostituzionali»,  ma
«efficacissimi», anche sotto  il  profilo  probatorio,  gli  atti  di
polizia giudiziaria compiuti in violazione dei diritti costituzionali
del cittadino. 
    Sarebbe  vulnerato  anche  l'art.   2   Cost.,   non   risultando
predisposte effettive garanzie contro le illecite compromissioni  dei
diritti inviolabili dell'uomo; come pure gli  artt.  3  e  97,  terzo
(recte: secondo)  comma,  Cost.,  venendo  resa  prevalente  l'azione
illegale degli  organi  statali,  finalizzata  alla  repressione  dei
reati, rispetto ai  diritti  inviolabili  dei  consociati,  posti  al
centro dell'ordinamento costituzionale. 
    Il rimettente deduce, ancora, la violazione degli artt.  3  e  24
Cost., essendo generalmente riconosciuta l'inutilizzabilita' di prove
vietate dalla legge solo perche' non verificabili (quali gli  scritti
anonimi e le fonti confidenziali), mentre, nell'ipotesi in esame,  si
considerano irrazionalmente utilizzabili prove acquisite  in  diretta
violazione  di  un  divieto  di  legge   (anche   costituzionale)   e
caratterizzate  anch'esse  da  una  «ridotta   verificabilita'»,   in
particolare  quanto  agli  elementi  che  hanno  indotto  la  polizia
giudiziaria  a  procedere   alla   perquisizione,   con   conseguente
compromissione anche del diritto di difesa dell'imputato. 
    Viene prospettata, infine, la violazione dell'art. 117 Cost.,  in
relazione all'art.  8  della  Convenzione  per  la  salvaguardia  dei
diritti dell'uomo e delle liberta'  fondamentali  (CEDU),  firmata  a
Roma il 4 novembre 1950, ratificata e  resa  esecutiva  con  legge  4
agosto  1955,  n.  848,  giacche'  verrebbero  a   mancare   efficaci
disincentivi  agli  abusi  delle  forze  di  polizia  che  implichino
indebite interferenze nella vita privata  della  persona  o  nel  suo
domicilio. 
    La sola ordinanza iscritta  al  r.o.  n.  22  del  2020  solleva,
inoltre, questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 103  t.u.
stupefacenti, «nella parte in cui prevede che il [pubblico ministero]
possa  consentire  l'esecuzione  di   perquisizioni   in   forza   di
autorizzazione   orale   senza   necessita'   di    una    successiva
documentazione formale delle ragioni per cui l'ha rilasciata»: in tal
modo violando - secondo il rimettente - gli artt. 13, 14 e 117, primo
comma, Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 8  CEDU,  posto  che
una simile autorizzazione non varrebbe  ad  assicurare  un  controllo
effettivo sulla  sussistenza  delle  condizioni  che  legittimano  la
perquisizione. 
    2.- Le ordinanze di rimessione sollevano questioni  identiche,  o
in larga misura analoghe, sicche' i relativi  giudizi  vanno  riuniti
per essere definiti con unica decisione. 
    3.- Riguardo alle questioni aventi ad  oggetto  l'art.  191  cod.
proc. pen., va rilevato che questa Corte, con la sentenza n. 219  del
2019  -  successiva  alle  ordinanze  di  rimessione  -  si  e'  gia'
pronunciata su questioni sostanzialmente sovrapponibili alle odierne,
sollevate dal medesimo  giudice  in  veste  di  Giudice  dell'udienza
preliminare dello stesso Tribunale di Lecce. 
    3.1.- Nell'occasione, si e' rilevato  come  con  la  disposizione
censurata - secondo la quale «[l]e prove acquisite in violazione  dei
divieti stabiliti dalla legge non possono  essere  utilizzate»  -  il
legislatore abbia inteso introdurre  «un  meccanismo  preclusivo  che
direttamente  attingesse,  dissolvendola,   la   stessa   "idoneita'"
probatoria di atti vietati dalla legge», distinguendo nettamente tale
fenomeno dai profili di inefficacia conseguenti  alla  violazione  di
una regola sancita a pena di nullita' dell'atto. 
    Anche tale vizio resta, peraltro, soggetto - come le  nullita'  -
ai paradigmi della tassativita' e della legalita'. Essendo il diritto
alla prova un connotato essenziale del  processo  penale,  in  quanto
componente del giusto processo, e' solo la legge a  stabilire  -  con
norme di  stretta  interpretazione,  in  ragione  della  loro  natura
eccezionale - quali siano e come si atteggino  i  divieti  probatori,
«in funzione di scelte di  "politica  processuale"  che  soltanto  il
legislatore  e'  abilitato,  nei  limiti  della  ragionevolezza,   ad
esercitare». 
    Di  qui  l'impossibilita'  -  ripetutamente  riconosciuta   dalla
giurisprudenza di legittimita' - di riferire all'inutilizzabilita' il
regime del "vizio derivato", che l'art. 185, comma 1, cod. proc. pen.
contempla solo nel campo delle nullita' (stabilendo, in  specie,  che
«[l]a nullita' di un atto rende invalidi  gli  atti  consecutivi  che
dipendono da quello dichiarato nullo»). 
    In tale cornice, il petitum del rimettente si traduceva,  quindi,
nella richiesta di una pronuncia «fortemente "manipolativa"», volta a
rendere  automaticamente  inutilizzabili  gli  atti   di   sequestro,
«attraverso  il  "trasferimento"  su   di   essi   dei   "vizi"   che
affliggerebbero gli atti di perquisizione personale e domiciliare dai
quali i sequestri sono scaturiti, in  ragione  di  una  ritenuta  non
congruita'» -  in  particolare,  rispetto  ai  presupposti  enunciati
dall'art. 103  t.u.  stupefacenti  -  «dell'apparato  di  motivazioni
esibito dalla polizia giudiziaria a corredo degli atti in  questione,
ancorche' convalidati da parte del pubblico ministero». 
    Cio' rendeva le questioni inammissibili,  vertendosi  in  materia
caratterizzata  da  ampia  discrezionalita'  del  legislatore  (quale
quella processuale), e discutendosi, per giunta, di una disciplina di
natura  eccezionale  (quale  appunto  quella  relativa   ai   divieti
probatori e alle clausole di inutilizzabilita' processuale). 
    Lo stesso assunto del giudice a quo - evocativo della  cosiddetta
teoria dei "frutti dell'albero avvelenato"  -  secondo  il  quale  la
soluzione proposta sarebbe stata necessaria al fine di disincentivare
le pratiche di acquisizione delle  prove  con  modalita'  lesive  dei
diritti fondamentali (rendendole "non  paganti"),  rivelava  come  le
questioni coinvolgessero scelte di politica processuale riservate  al
legislatore. L'obiettivo di disincentivare possibili abusi risultava,
peraltro, perseguito dall'ordinamento vigente tramite la persecuzione
diretta, in sede disciplinare o, se del  caso,  anche  penale,  della
condotta  "abusiva"  della  polizia  giudiziaria,  come   del   resto
ripetutamente affermato dalla giurisprudenza di legittimita'. 
    La conclusione valeva  a  fortiori  in  rapporto  alla  richiesta
"collaterale" del rimettente di introdurre, ex  novo,  uno  specifico
divieto probatorio, sancendo l'inutilizzabilita' delle  dichiarazioni
rese dalla polizia giudiziaria in  ordine  alle  attivita'  compiute:
«preclusione, quest'ultima, che si colloca  in  posizione  del  tutto
eccentrica rispetto al tema costituzionale coinvolto dagli artt. 13 e
14 Cost.». 
    3.2.- Le medesime considerazioni valgono evidentemente  anche  in
rapporto alle questioni sollevate dalle ordinanze di rimessione  oggi
in esame, il cui impianto  argomentativo  ricalca  ampiamente  quello
delle ordinanze gia' scrutinate. 
    Le parziali variazioni del  petitum,  operate  da  quattro  delle
ordinanze in correlazione alle peculiarita' delle vicende oggetto dei
giudizi a quibus, non mutano, nella sostanza, i termini del problema,
traducendosi  in  mere  specificazioni  ulteriori  del  genus   delle
perquisizioni illegittime, secondo la visione del rimettente. 
    Le  questioni  concernenti  l'art.  191  cod.  proc.  pen.  vanno
dichiarate, di conseguenza, manifestamente inammissibili. 
    Le   ulteriori   eccezioni    di    inammissibilita'    formulate
dall'Avvocatura generale dello Stato -  calibrate  esclusivamente  su
tali questioni, anche quanto alle eccezioni sollevate nell'ambito del
giudizio relativo all'ordinanza iscritta al r.o. n.  22  del  2020  -
restano assorbite. 
    4.- Le questioni di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  103
t.u. stupefacenti, sollevate dalla sola ordinanza iscritta al r.o. n.
22 del 2020, sono invece fondate in riferimento agli artt.  13  e  14
Cost., nei termini di seguito indicati. 
    4.1.- La disposizione  censurata  si  colloca  nel  novero  delle
numerose norme speciali che attribuiscono alla polizia giudiziaria il
potere di compiere perquisizioni e  ispezioni  d'iniziativa  in  casi
diversi e ulteriori rispetto a quelli disciplinati dagli artt. 352  e
354 cod.  proc.  pen.  In  particolare,  quanto  alle  perquisizioni,
l'intervento  della  polizia   giudiziaria   viene   svincolato   dai
presupposti dell'esistenza di una situazione di flagranza  di  reato,
apprezzabile ex ante, ovvero di evasione, previsti  in  via  generale
dall'art. 352 cod. proc. pen. 
    Le operazioni contemplate  dalle  norme  speciali  possono  avere
carattere preventivo ovvero repressivo. Le une, anche se compiute  da
appartenenti alla polizia giudiziaria, prescindono  dall'acquisizione
di una notizia di  reato  e  quindi  rientrano  nell'attivita'  della
polizia di sicurezza; le altre presuppongono invece la commissione di
un reato  e  si  riconducono  all'attivita'  autonoma  della  polizia
giudiziaria. 
    Il  comun  denominatore  di  tali   perquisizioni   e   ispezioni
"speciali"  e'  l'intento  legislativo  di  apprestare  strumenti  di
contrasto di determinate forme di criminalita' maggiormente  incisivi
di quelli prefigurati  in  via  ordinaria  dal  codice  di  procedura
penale, attraverso l'attribuzione alla polizia giudiziaria di  poteri
piu' ampi rispetto a quelli codificati. 
    E' questo appunto il caso dell'art. 103 t.u. stupefacenti, con il
quale il  legislatore  ha  potenziato  l'operativita'  della  polizia
giudiziaria onde realizzare una  piu'  efficace  attivita'  tanto  di
prevenzione  quanto  di  repressione   dei   traffici   illeciti   di
stupefacenti,  prevedendo  una  ricerca  sommaria,  suscettibile   di
evolvere,  tuttavia,  in  accertamenti  piu'  penetranti,  sino,   se
necessario, alla perquisizione. 
    In particolare, dopo aver delineato, al comma 1, una facolta'  di
visita, ispezione e controllo  negli  spazi  doganali  in  capo  alla
Guardia di finanza, al fine di assicurare  l'osservanza  delle  norme
del medesimo t.u. stupefacenti, la disposizione  denunciata  prevede,
al comma 2, che, nel corso di operazioni  per  la  prevenzione  e  la
repressione del traffico illecito di droga, gli ufficiali e agenti di
polizia giudiziaria possono procedere, «in ogni luogo», all'ispezione
dei mezzi di  trasporto,  dei  bagagli  e  degli  effetti  personali,
«quando hanno fondato motivo di ritenere che possano essere rinvenute
sostanze stupefacenti o psicotrope». Delle operazioni  compiute  deve
essere redatto verbale mediante appositi moduli, da trasmettere entro
quarantotto ore alla procura della Repubblica, per la convalida nelle
quarantotto ore successive. 
    Il comma 3 - ed e' questa la previsione che  qui  particolarmente
interessa - stabilisce che  gli  ufficiali  di  polizia  giudiziaria,
«quando ricorrono motivi di particolare necessita' e urgenza che  non
consentono di richiedere l'autorizzazione telefonica  del  magistrato
competente,  possono  altresi'  procedere  a  perquisizioni   dandone
notizia,  senza  ritardo  e  comunque  entro  quarantotto   ore,   al
procuratore della Repubblica il quale, se ne ricorrono i presupposti,
le convalida entro le successive  quarantotto  ore».  In  assenza  di
specificazioni  limitative,  la  perquisizione  puo'   essere   tanto
personale, quanto locale o domiciliare. E' implicito, inoltre, stante
il collegamento tra i commi 2 e 3, che  anche  per  le  perquisizioni
operino i presupposti di legittimita' indicati nel comma 2:  occorre,
cioe', che sia in corso un'operazione antidroga  e  che  sussista  un
fondato motivo per ritenere che la  perquisizione  possa  portare  al
reperimento di sostanze stupefacenti. 
    4.2.- Il  rimettente  dubita  della  legittimita'  costituzionale
della norma, nella parte in cui consente  al  pubblico  ministero  di
autorizzare   oralmente   l'esecuzione   di   perquisizioni,   «senza
necessita' di una successiva documentazione  formale  delle  ragioni»
per le quali l'autorizzazione e' stata rilasciata. 
    La premessa ermeneutica da cui muove il  giudice  a  quo,  e  che
fonda il quesito di costituzionalita' - formulato in riferimento a un
caso   nel   quale   il   pubblico   ministero   aveva    autorizzato
telefonicamente la perquisizione, omettendo, quindi, di  convalidarla
- si presenta corretta. 
    La disposizione censurata appare, infatti, chiara nel  senso  che
le perquisizioni da essa previste  sono  soggette  a  convalida  solo
quando non sia  stato  possibile  «richiedere»  (e  quindi  ottenere)
«l'autorizzazione    telefonica    del    magistrato     competente»:
autorizzazione che, a sua volta, tiene il luogo del decreto  motivato
con il quale, ai sensi dell'art. 247, comma 2, cod.  proc.  pen.,  le
perquisizioni debbono essere ordinariamente  disposte  dall'autorita'
giudiziaria.  Cio'  risponde,  peraltro,  alla  logica  della  norma,
consentendo alla  polizia  giudiziaria  di  intervenire  prontamente,
sulla base anche di una semplice interlocuzione orale con il pubblico
ministero. Il decreto di perquisizione previsto dal codice  di  rito,
presupponendo l'esistenza di una notizia di reato (come si desume dal
comma 1 dello stesso art. 247 cod.  proc.  pen.),  non  risulterebbe,
d'altronde, neppure pertinente allorche'  l'attivita'  della  polizia
giudiziaria assuma - come e' possibile in base alla norma censurata -
un carattere preventivo. 
    4.3.- In  quest'ottica,  la  previsione  normativa  censurata  si
rivela, tuttavia, incompatibile  con  il  disposto  degli  artt.  13,
secondo comma, e 14, secondo comma, Cost. 
    A  mente  dell'art.  13,  secondo  comma,  Cost.,   infatti,   le
perquisizioni personali - al pari delle ispezioni personali e di ogni
altra restrizione della liberta' personale - possono essere  disposte
solo «per atto motivato» dell'autorita' giudiziaria. Tale garanzia e'
estesa dall'art. 14, secondo comma, Cost. alle perquisizioni -  oltre
che alle ispezioni e ai sequestri - eseguiti nel domicilio. 
    La motivazione dell'atto e' evidentemente funzionale alla  tutela
della persona che subisce la  perquisizione,  la  quale  deve  essere
posta in grado di conoscere - cosi' da poterle, all'occorrenza, anche
contestare - le ragioni per quali e' stata disposta  una  limitazione
dei suoi diritti fondamentali alla liberta' personale e domiciliare. 
    Un'autorizzazione telefonica - che, di per se', non lascia alcuna
traccia accessibile delle sue ragioni, ne' per l'interessato ne'  per
il giudice - non soddisfa tale requisito. Se i motivi per i quali  e'
stata consentita la perquisizione restano nel chiuso di un  colloquio
telefonico tra pubblico ministero e polizia  giudiziaria,  la  tutela
prefigurata  dalle   norme   costituzionali   resta   inevitabilmente
vanificata. 
    Al riguardo, non assume alcun rilievo la circostanza - gia' posta
in  evidenza  e  rispondente  a  un   consolidato   indirizzo   della
giurisprudenza  di  legittimita'  -  che  la  perquisizione  prevista
dall'art. 103, comma 3, t.u. stupefacenti  si  differenzi  da  quella
ordinaria regolata dal codice di rito, potendo  avere  una  finalita'
non solo repressiva, ma anche preventiva. Lo  scopo  -  preventivo  o
repressivo - della perquisizione costituisce, infatti, una  variabile
indifferente ai fini dell'operativita' delle garanzie stabilite dagli
artt. 13 e 14 Cost. a tutela dei diritti fondamentali dell'individuo. 
    4.4.- Al fine di rimuovere il vulnus  costituzionale  denunciato,
il rimettente chiede a questa Corte di imporre al pubblico  ministero
una «successiva documentazione formale» delle ragioni  che  lo  hanno
indotto ad autorizzare oralmente la perquisizione. 
    Il petitum del  giudice  a  quo  non  puo'  essere  evidentemente
recepito tal quale, posto che una  simile  soluzione  lascerebbe  nel
vago quando e come il pubblico ministero debba adempiere il su  detto
obbligo. 
    Al tempo stesso, pero', l'intervento di  questa  Corte  non  puo'
trovare ostacolo nella circostanza  che,  in  linea  astratta,  siano
prospettabili plurime soluzioni alternative per evitare il  su  detto
vuoto normativo. Nella sua giurisprudenza piu' recente,  infatti,  si
e' ripetutamente affermato che, a fronte della violazione di  diritti
costituzionali, «[l]'ammissibilita' delle questioni  di  legittimita'
costituzionale risulta [...] condizionata non tanto dall'esistenza di
un'unica  soluzione  costituzionalmente   obbligata,   quanto   dalla
presenza nell'ordinamento di una o piu' soluzioni  costituzionalmente
adeguate, che si inseriscano nel tessuto normativo coerentemente  con
la logica perseguita dal legislatore» (sentenza n.  99  del  2019)  e
idonee, quindi, a porre rimedio nell'immediato al vulnus riscontrato,
ferma restando la facolta' del legislatore di intervenire con  scelte
diverse (sentenze n. 40 del 2019, n. 233, n. 222 e n. 41 del 2018, n.
236 del 2016). Occorre, infatti, evitare che  l'ordinamento  presenti
zone franche immuni dal  sindacato  di  legittimita'  costituzionale:
«posta di fronte a un vulnus  costituzionale,  non  sanabile  in  via
interpretativa - tanto piu' se attinente a diritti fondamentali -  la
Corte e' tenuta comunque a porvi rimedio» (sentenze n. 242 del  2019,
n. 162 del 2014 e n. 113 del 2011). 
    Nella specie, la soluzione con il piu' immediato  aggancio  nella
disciplina vigente - essendo questo offerto, in pratica, dalla stessa
norma censurata - e' quella di richiedere che anche la  perquisizione
autorizzata telefonicamente debba essere convalidata, entro il doppio
termine delle quarantotto ore. 
    Tale soluzione presenta l'apparente elemento di anomalia connesso
al fatto che, in linea di principio, la convalida successiva si rende
necessaria quando  e'  mancato  l'assenso  preventivo  dell'autorita'
giudiziaria: assenso che qui invece vi e' stato, anche  se  in  forma
orale. E, pero', si tratta di assenso che - per quanto  detto  -  non
risponde ai requisiti richiesti dall'art. 13, secondo comma, Cost.: e
proprio questo rende necessaria la convalida. 
    Occorre considerare, d'altro canto, che - come si e'  avuto  modo
di sottolineare - l'art. 103 t.u. stupefacenti amplia i poteri  della
polizia giudiziaria rispetto a quanto  previsto  dall'art.  352  cod.
proc. pen., consentendole di eseguire perquisizioni anche in  assenza
di una situazione di flagranza di reato apprezzabile  ex  ante.  Cio'
giustifica un plus  di  garanzie  -  non  pregiudizievole,  peraltro,
rispetto alle esigenze di celerita' dell'operazione - imponendo  alla
polizia giudiziaria di munirsi di un assenso preventivo informale del
pubblico ministero, salvo  che  sussistano  motivi  di  necessita'  e
urgenza che non consentano  nemmeno  quest'ultimo:  assenso  che  non
esclude, peraltro, una successiva convalida formale  dell'operazione,
in occasione della quale il pubblico ministero puo' avere anche  modo
di  verificare  quanto  riferitogli  dalla  polizia  giudiziaria  per
telefono, magari in modo frammentario, e  comunque  sia  posto  nella
condizione di verificare le modalita' con le quali  la  perquisizione
e' stata eseguita. 
    Ovviamente, tale soluzione presuppone  che,  pur  in  assenza  di
espressa indicazione in questo senso,  la  convalida  prevista  dalla
disposizione censurata debba essere resa con provvedimento motivato. 
    Al riguardo,  va  in  effetti  rilevato  che,  pur  nel  silenzio
dell'art. 352, comma 4, cod. proc. pen., l'opinione prevalente e' nel
senso che  anche  la  perquisizione  "ordinaria"  d'iniziativa  della
polizia giudiziaria debba essere convalidata dal  pubblico  ministero
con decreto motivato, proprio per un'esigenza di rispetto degli artt.
13 e 14 Cost. 
    E' ben vero che il riferimento all'«atto  motivato»  e'  presente
solo  nel  secondo  comma  dell'art.  13  Cost.,  a  proposito  della
perquisizione disposta ab origine dall'autorita' giudiziaria,  e  non
pure nel successivo terzo comma,  a  proposito  della  convalida  dei
«provvedimenti provvisori» adottati dall'autorita' di sicurezza,  nei
casi eccezionali di necessita' ed  urgenza,  tassativamente  indicati
dalla legge. Ma, in  proposito,  coglie  nel  segno  il  rilievo  del
giudice a quo, secondo cui l'esigenza della motivazione  anche  della
convalida  deve  ritenersi  implicita  nel  dettato   costituzionale,
rimanendo altrimenti frustrata la  ratio  della  garanzia  apprestata
dall'art. 13 Cost. Non  avrebbe  senso,  in  effetti,  che  la  norma
costituzionale  richieda   l'«atto   motivato»   quando   l'autorita'
giudiziaria, titolare ordinaria del potere, operi di sua  iniziativa,
e non pure nell'ipotesi - piu' delicata  -  in  cui  sia  chiamata  a
verificare se la polizia giudiziaria abbia agito nell'ambito dei casi
eccezionali di necessita' e urgenza nei quali la legge le consente di
intervenire. 
    A livello di legge ordinaria, non  si  e'  mancato  di  rilevare,
d'altro canto, in dottrina, come una esegesi letterale dell'art. 352,
comma 4, cod. proc. pen., il quale  non  richiede  esplicitamente  la
motivazione   del   decreto   di   convalida,   determinerebbe    una
ingiustificabile  differenza  di  disciplina  rispetto  alla  analoga
ipotesi della  convalida  del  sequestro,  per  la  quale  invece  la
motivazione e' richiesta  (art.  355,  comma  2,  cod.  proc.  pen.).
Rilievo, questo, estensibile  anche  alla  convalida  prevista  dalla
norma denunciata. 
    4.5.- Sotto altro profilo, pur essendo le censure del  rimettente
rivolte  in  modo  indistinto  all'art.  103  t.u.  stupefacenti,  la
declaratoria di illegittimita' costituzionale deve  colpire  in  modo
specifico il comma 3, ove e' contenuta la disposizione produttiva del
vulnus. 
    La   pronuncia   va,   inoltre,   limitata   ai   casi   in   cui
l'autorizzazione abbia  ad  oggetto  una  perquisizione  personale  o
domiciliare, perche' e' solo  a  queste  che  risultano  riferite  le
garanzie previste dagli artt. 13, secondo comma, e 14, secondo comma,
Cost. 
    4.6.- Alla luce di quanto precede,  l'art.  103,  comma  3,  t.u.
stupefacenti  va  quindi  dichiarato  costituzionalmente  illegittimo
nella parte in cui non prevede che anche le perquisizioni personali e
domiciliari autorizzate per telefono debbano essere convalidate. 
    La censura di violazione dell'art. 117, primo  comma,  Cost.,  in
relazione all'art. 8 CEDU, resta assorbita. 
    Ovviamente, anche in questo caso rimane  ferma  la  facolta'  del
legislatore di introdurre, nella sua discrezionalita',  altra,  e  in
ipotesi  piu'  congrua,   disciplina   della   fattispecie,   purche'
rispettosa dei principi costituzionali. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    riuniti i giudizi, 
    1) dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 103,  comma
3, del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309  (Testo  unico  delle  leggi  in
materia di  disciplina  degli  stupefacenti  e  sostanze  psicotrope,
prevenzione,  cura   e   riabilitazione   dei   relativi   stati   di
tossicodipendenza), nella parte in  cui  non  prevede  che  anche  le
perquisizioni  personali  e  domiciliari  autorizzate  per   telefono
debbano essere convalidate; 
    2) dichiara la  manifesta  inammissibilita'  delle  questioni  di
legittimita' costituzionale dell'art. 191  del  codice  di  procedura
penale, sollevate, in riferimento agli artt. 2, 3, 13,  14,  24,  97,
secondo comma, e 117, primo comma, della  Costituzione,  quest'ultimo
in relazione all'art. 8 della Convenzione  per  la  salvaguardia  dei
diritti dell'uomo e delle liberta'  fondamentali  (CEDU),  firmata  a
Roma il 4 novembre 1950, ratificata e  resa  esecutiva  con  legge  4
agosto  1955,  n.  848,  dal  Tribunale  ordinario   di   Lecce,   in
composizione monocratica, con le ordinanze indicate in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 21 ottobre 2020. 
 
                                F.to: 
                  Mario Rosario MORELLI, Presidente 
                      Franco MODUGNO, Redattore 
                    Filomena PERRONE, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 26 novembre 2020. 
 
                           Il Cancelliere 
                       F.to: Filomena PERRONE