N. 256 SENTENZA 3 novembre - 1 dicembre 2020

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Energia - Concessioni di grandi derivazioni idroelettriche  -  Canone
  aggiuntivo unico dovuto per la proroga - Trattenimento da parte dei
  Comuni delle somme versate dai concessionari antecedentemente  alla
  sentenza n. 1 del 2008 della Corte costituzionale - Violazione  del
  giudicato costituzionale - Illegittimita' costituzionale. 
- Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni,
  nella legge 30 luglio 2010, n. 122, art. 15, comma 6-quinquies. 
- Costituzione, artt. 3 e 136. 
(GU n.49 del 2-12-2020 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Mario Rosario MORELLI; 
Giudici :Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana  SCIARRA,  Daria
  de PRETIS, Nicolo' ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio  BARBERA,
  Giulio  PROSPERETTI,  Giovanni  AMOROSO,  Francesco  VIGANO',  Luca
  ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  15,  comma
6-quinquies, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure  urgenti
in  materia  di  stabilizzazione  finanziaria  e  di   competitivita'
economica), convertito, con modificazioni, in legge 30  luglio  2010,
n. 122, promosso dal Tribunale regionale delle acque pubbliche presso
la Corte d'appello di Venezia, nel procedimento vertente tra A2A spa,
societa' incorporante della Edipower spa, e il Comune  di  Montereale
Valcellina con ordinanza dell'11 giugno 2019, iscritta al n. 207  del
registro ordinanze 2019 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica n. 47, prima serie speciale, dell'anno 2019. 
    Visto l'atto di costituzione della societa' A2A spa; 
    udito nell'udienza  pubblica  del  3  novembre  2020  il  Giudice
relatore Nicolo' Zanon; 
    udito l'avvocato Federico Novelli per la A2A spa, in collegamento
da remoto, ai sensi del punto 1) del  decreto  del  Presidente  della
Corte del 30 ottobre 2020; 
    deliberato nella camera di consiglio del 3 novembre 2020. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Il Tribunale regionale delle acque pubbliche presso la  Corte
d'appello di Venezia, con ordinanza dell'11 giugno 2019 (r.o. n.  207
del  2019),  solleva,  in  riferimento  agli  artt.  3  e  136  della
Costituzione, questioni di legittimita' costituzionale dell'art.  15,
comma 6-quinquies, del decreto-legge 31 maggio 2010,  n.  78  (Misure
urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitivita'
economica), convertito, con modificazioni, in legge 30  luglio  2010,
n. 122. 
    2.- Il giudice rimettente espone, in fatto, che  la  A2A  spa  e'
titolare di una concessione di  grande  derivazione  d'acqua  ad  uso
idroelettrico esercitata nel Comune di Montereale Valcellina. Per gli
anni 2006 e 2007 la concessionaria, ai sensi dell'art. 1, comma  486,
della legge 23 dicembre 2005, n. 266, recante  «Disposizioni  per  la
formazione del bilancio annuale  e  pluriennale  dello  Stato  (legge
finanziaria 2006)», ha versato al Comune di Montereale Valcellina,  a
titolo di canone aggiuntivo  unico,  la  somma  complessiva  di  euro
29.368,80. 
    A seguito della sentenza n. 1 del 2008, con  la  quale  la  Corte
costituzionale ha dichiarato illegittimo il citato art. 1, comma 486,
della legge n. 266  del  2005,  A2A  spa  ha  chiesto  al  Comune  di
Montereale Valcellina la restituzione della somma indicata. 
    Il pagamento e' stato rifiutato  in  forza  dell'art.  15,  comma
6-quinquies, del d.l. n. 78 del 2010, come convertito, che  autorizza
i  Comuni  che  hanno  incassato  i  canoni  aggiuntivi   unici   dai
concessionari    delle     grandi     derivazioni     idroelettriche,
antecedentemente alla citata sentenza di accoglimento,  a  trattenere
in via definitiva dette somme. 
    A2A spa ha, quindi, proposto ricorso innanzi al giudice a quo per
ottenere  la  condanna  del  Comune  di  Montereale  Valcellina  alla
restituzione   di   quanto   indebitamente    percepito,    eccependo
l'illegittimita' costituzionale  della  disposizione  che  autorizza,
invece, il trattenimento degli importi versati. 
    Il  rimettente  ha  ritenuto  rilevante  e   non   manifestamente
infondata la questione di legittimita' costituzionale  sollevata  dal
ricorrente. 
    2.1.- In  punto  di  rilevanza,  il  giudice  a  quo,  dopo  aver
rigettato - con  sentenza  non  definitiva  -  l'eccezione  di  parte
resistente con riguardo alla prescrizione della pretesa restitutoria,
espone che l'unico ostacolo all'accoglimento della  domanda  proposta
dalla societa' ricorrente risiede nella  disposizione  censurata,  di
cui ricostruisce la genesi. 
    Ricorda, a tal fine, che con il comma 485 dell'art. 1 della legge
n. 266 del 2005 il legislatore statale aveva disposto la  proroga  di
dieci anni (in presenza di determinate condizioni) delle  concessioni
di derivazione idroelettrica in corso alla data di entrata in  vigore
della legge medesima. Con il  successivo  comma  486  aveva  previsto
l'obbligo in capo ai concessionari di versare, entro il 28 febbraio e
per quattro anni a decorrere dal 2006, un canone aggiuntivo  unico  -
riferito all'intera durata della concessione e pari ad euro 3.600 per
MW di potenza nominale  installata  -  stabilendo  che  gli  introiti
fossero ripartiti,  in  quote  diverse,  tra  lo  Stato  e  i  Comuni
interessati. 
    La Corte costituzionale, con  la  sentenza  n.  1  del  2008,  ha
dichiarato l'illegittimita' costituzionale, tra gli altri, dei  commi
485, 486, 487 e 488 dell'art. 1 della legge n. 266 del 2005,  perche'
giudicati  in  contrasto  con  il  riparto  di  competenze  disegnato
dall'art. 117, terzo comma,  Cost.  Infatti,  la  proroga  costituiva
disposizione statale di  dettaglio,  in  una  materia  affidata  alla
potesta'   legislativa   concorrente   («produzione,   trasporto    e
distribuzione nazionale dell'energia»). 
    Con il d.l. n. 78  del  2010,  come  convertito,  il  legislatore
statale ha tuttavia nuovamente disposto, all'art. 15, una  proroga  -
questa volta di cinque anni - delle concessioni (comma 6-ter, lettera
b), statuendo inoltre che le  somme  incassate  dai  Comuni  e  dallo
Stato,  versate  dai  concessionari  antecedentemente  alla  suddetta
sentenza, fossero definitivamente trattenute dagli  stessi  Comuni  e
dallo Stato (comma 6-quinquies). 
    Sottoposta  anche  tale  nuova  proroga  delle  concessioni  allo
scrutinio della Corte costituzionale,  essa  ha  dichiarato,  con  la
sentenza n. 205 del 2011,  per  le  stesse  ragioni  enunciate  nella
sentenza n. 1 del  2008,  l'illegittimita'  costituzionale,  tra  gli
altri, del comma 6-ter, lettera b), dell'art. 15 del d.l. n.  78  del
2010, come convertito. 
    Successivamente,  nell'ambito  di  un  giudizio  promosso   dalla
medesima A2A spa contro lo Stato per  la  restituzione  di  somme  da
quest'ultimo trattenute in forza dell'art. 15, comma 6-quinquies, del
d.l. n. 78 del 2010, come convertito, venivano sollevate questioni di
legittimita' costituzionale - per violazione, tra  gli  altri,  anche
degli artt. 3 e 136 Cost. - che la Corte  costituzionale  dichiarava,
con ordinanza n.  88  del  2017,  manifestamente  inammissibili,  per
incompleta ricostruzione del quadro normativo di riferimento. 
    Il giudice a quo non aveva allora tenuto  conto  della  legge  28
dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per  la  formazione  del
bilancio annuale e  pluriennale  dello  Stato  (legge  di  stabilita'
2016)». Quest'ultima, al comma 671  dell'art.  1,  preso  atto  delle
indicate sentenze n. 1 del 2008 e n. 205 del 2011,  aveva  modificato
il citato comma 6-quinquies dell'art. 15 del d.l.  n.  78  del  2010,
come convertito,  sopprimendo  la  (sola)  previsione  normativa  che
autorizzava lo Stato a trattenere i canoni aggiuntivi unici  ricevuti
prima della sentenza n. 1 del 2008, e tuttavia lasciando in vigore la
disposizione che ancora abilita i Comuni a  trattenere  le  somme  ad
essi destinate. 
    A  differenza  di  quanto  non   fosse   in   quella   occasione,
nell'attuale giudizio a quo la pretesa restitutoria della A2A spa  si
rivolge contro uno dei Comuni che hanno rifiutato  di  restituire  le
somme  incassate,  essendo   a   cio'   tuttora   autorizzati   dalla
disposizione censurata. 
    2.2.-  Quanto  alla  non  manifesta  infondatezza,   il   giudice
rimettente ritiene che l'art. 15, comma 6-quinquies, del d.l.  n.  78
del 2010, come convertito, violi, nell'ordine,  gli  artt.  136  e  3
Cost. 
    2.2.1.-  In   relazione   al   primo   dei   parametri   evocati,
l'annullamento di «norme dichiarate  illegittime»  comporterebbe  «il
diritto dei soggetti che hanno corrisposto importi dovuti»  in  forza
di esse - «come nel caso dei canoni aggiuntivi di cui si  tratta  nel
presente giudizio» - a chiedere la restituzione di quanto pagato, con
l'unico limite costituito dalle «situazioni consolidate  per  essersi
il relativo  rapporto  definitivamente  esaurito,  in  virtu'  di  un
giudicato  formatosi  o  del  decorso  di  termini  prescrizionali  o
decadenziali previsti dalla legge». 
    Secondo il rimettente, l'art. 136 Cost. risulta violato «ove  una
nuova  disposizione  di  legge  disponga  che  una  norma  dichiarata
illegittima conservi la sua efficacia». Cio' accadrebbe anche  quando
una legge, «per il modo in cui provvede  a  regolare  le  fattispecie
verificatesi prima della sua entrata in vigore, persegue e raggiunge,
anche se indirettamente,  lo  stesso  risultato»  (e'  richiamata  la
sentenza n. 88 del 1966 della  Corte  costituzionale).  Il  parametro
costituzionale evocato dal  rimettente,  infatti,  non  consentirebbe
che,  «attraverso  una   norma   emanata   dopo   la   pronuncia   di
incostituzionalita',   vengano   "salvati"   gli   effetti   di   una
disposizione che, in ragione della  dichiarazione  di  illegittimita'
costituzionale, non  e'  in  grado  di  produrne»  (viene  citata  la
sentenza n. 169 del 2015). 
    Tanto premesso, il giudice a  quo  osserva  che  la  disposizione
censurata,  nel  prevedere  che  «i  comuni  non   restituiscano   ai
concessionari i canoni aggiuntivi incassati in virtu'  di  una  norma
dichiarata incostituzionale», si porrebbe in frontale  contrasto  con
l'art.  136  Cost.:  gli  effetti  prodotti  dalla  norma  dichiarata
incostituzionale, infatti, verrebbero fatti salvi, con  il  risultato
di «privare di efficacia, con riguardo alle annualita' versate  prima
del 2008, la sentenza n. 1 del 2008 della Corte Costituzionale». 
    2.2.2.- La disposizione censurata, inoltre,  lederebbe  l'art.  3
Cost., sotto il profilo della ragionevolezza. 
    Osserva il rimettente che i commi 485 e  486  dell'art.  1  della
legge n. 266 del 2005 ponevano a carico dei  concessionari  l'obbligo
di versare un canone aggiuntivo «quale contropartita per  la  proroga
della scadenza delle concessioni»,  giustificata  in  relazione  alla
necessita'  di  completare  il  processo   di   «liberalizzazione   e
integrazione europea del mercato interno dell'energia elettrica». 
    Dopo la declaratoria di  illegittimita'  costituzionale  di  tali
disposizioni operata dalla sentenza n. 1 del 2008, l'art. 15 del d.l.
n. 78 del 2010, come convertito, ha disposto una nuova proroga  delle
concessioni, questa volta per «consentire il rispetto del termine per
l'indizione delle gare e garantire un equo indennizzo agli  operatori
economici per gli investimenti effettuati ai sensi  dell'articolo  1,
comma  485,  della  legge  n.  266/05»,  prevedendo,   al   contempo,
l'irripetibilita' dei canoni versati per le annualita' 2006 e 2007. 
    Anche  tale  ulteriore  proroga  e'  stata,   pero',   dichiarata
costituzionalmente illegittima con la sentenza n. 205 del  2011,  che
avrebbe fatto venire meno, a giudizio del rimettente, il rapporto  di
«corrispettivita'»  tra  «il  prolungamento   della   concessione   e
l'imposizione   di   un   onere   economico»:   di   qui   l'asserita
irragionevolezza della disposizione. 
    Per il rimettente  non  potrebbe  sostenersi  che  la  norma  sia
giustificata «per il fatto che i concessionari  [avrebbero]  in  ogni
caso  goduto  della   proroga   fino   all'intervento   della   Corte
Costituzionale», in quanto cio' «potrebbe  valere,  al  piu',  per  i
concessionari che  hanno  effettivamente  beneficiato  della  proroga
concessa con la legge n. 266/2005» e non per quelli, come la societa'
ricorrente, «la cui concessione non sarebbe  comunque  ancora  giunta
alla sua prevista scadenza temporale prima del 2008» e  che,  quindi,
non hanno «beneficiato in alcun modo  della  temporanea  applicazione
della disposizione che prevedeva il prolungamento delle concessioni». 
    3.- Nel giudizio si e' costituita la A2A spa, con atto depositato
il 9 dicembre 2019. 
    La societa' ricorrente nel giudizio a quo ripercorre  le  vicende
che vi hanno dato origine e ricostruisce sia la normativa relativa al
canone aggiuntivo unico sia le precedenti  decisioni  assunte  su  di
essa dalla Corte costituzionale, seguendo le orme  dell'ordinanza  di
rimessione e confermando che il Comune di Montereale Valcellina si e'
rifiutato di restituire gli importi versati per gli anni 2006 e  2007
proprio  adducendo,  quale  ragione  impeditiva,  la  vigenza   della
disposizione censurata. 
    Anche in punto di non manifesta infondatezza la A2A spa  aderisce
alle argomentazioni addotte dall'ordinanza di rimessione. 
    Quanto alla prospettata violazione dell'art. 136 Cost., evidenzia
che la disposizione censurata consoliderebbe in capo ai  soli  Comuni
(dopo che la legge n. 208 del 2015 ha eliminato il  riferimento  allo
Stato),  «nell'ambito  di  un  rapporto   di   durata   come   quello
concessorio, gli effetti delle attribuzioni patrimoniali eseguite dai
concessionari a titolo di canone aggiuntivo quale corrispettivo della
proroga    di    concessione;    proroga,    tuttavia,     dichiarata
incostituzionale». 
    In riferimento al supposto contrasto con l'art. 3 Cost.,  osserva
che lo Stato e i Comuni «si trovano nella  medesima  situazione»,  in
quanto, quale contropartita delle proroghe ex lege della durata delle
concessioni,  hanno  tutti  incassato  in  quota  parte   il   canone
aggiuntivo di cui si chiede la restituzione: non  vi  sarebbe  dunque
alcuna ragione di esonerare i Comuni  dall'obbligo  di  restituzione,
imposto invece allo Stato dall'art. 1, comma 671, della legge n.  208
del 2015. 
    4.- Nel giudizio non e' intervenuto il Presidente  del  Consiglio
dei ministri. 
    5.-  In  prossimita'  dell'udienza  pubblica,  la  A2A   spa   ha
depositato  memoria,  ribadendo  le  argomentazioni  gia'  illustrate
nell'atto di costituzione in giudizio. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Tribunale regionale delle acque pubbliche presso la  Corte
d'appello  di  Venezia  dubita  della   legittimita'   costituzionale
dell'art. 15, comma 6-quinquies, del decreto-legge 31 maggio 2010, n.
78 (Misure urgenti in materia di  stabilizzazione  finanziaria  e  di
competitivita' economica), convertito, con modificazioni, in legge 30
luglio 2010, n. 122, ritenendolo in contrasto con gli artt. 3  e  136
della Costituzione. 
    Dopo l'espunzione dal  testo  delle  parole  «e  dallo  Stato»  -
operata dall'art. 1, comma 671, della legge 28 dicembre 2015, n. 208,
recante «Disposizioni  per  la  formazione  del  bilancio  annuale  e
pluriennale dello Stato (legge di stabilita' 2016)» - la disposizione
sospettata d'incostituzionalita' cosi' prescrive: «Le somme incassate
dai  comuni,  versate  dai  concessionari  delle  grandi  derivazioni
idroelettriche,   antecedentemente   alla   sentenza   della    Corte
Costituzionale n. 1 del  14-18  gennaio  2008,  sono  definitivamente
trattenute dagli stessi comuni». 
    A giudizio del rimettente, la disposizione censurata  violerebbe,
in primo luogo, l'art. 136 Cost., perche' farebbe salvi  gli  effetti
prodotti da una norma dichiarata costituzionalmente illegittima,  con
il risultato di «privare di efficacia, con riguardo  alle  annualita'
versate prima del 2008,  la  sentenza  n.  1  del  2008  della  Corte
Costituzionale». 
    In secondo luogo, essa sarebbe in contrasto con l'art.  3  Cost.,
sotto il profilo della ragionevolezza, perche'  risulterebbe  imposta
ai concessionari di grandi derivazioni di acqua per uso idroelettrico
una prestazione patrimoniale ingiustificata, essendo venuta  meno  la
"controprestazione" a  quella  funzionalmente  collegata,  ovvero  la
proroga della concessione in essere. 
    2.- Per meglio comprendere  il  tenore  delle  censure  proposte,
occorre ricordare contenuto ed effetti della sentenza n. 1  del  2008
di questa Corte e considerare la successiva evoluzione normativa. 
    Il  giudicato  costituzionale  di  cui  il  rimettente  asserisce
l'elusione  ha   fondamento   nella   declaratoria   d'illegittimita'
costituzionale di  varie  disposizioni  contenute  in  diversi  commi
dell'art.  1  della  legge  23  dicembre  2005,   n.   266,   recante
«Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale
dello  Stato   (legge   finanziaria   2006)»,   aventi   ad   oggetto
un'articolata disciplina delle concessioni di grandi  derivazioni  di
acqua a scopo idroelettrico. 
    Tra quelle allora impugnate da alcune  Regioni,  in  particolare,
questa Corte  aveva  annullato  la  disposizione  che  prevedeva  una
proroga di dieci  anni  delle  concessioni  esistenti  alla  data  di
entrata in vigore della legge n. 266 del 2005 (art. 1, comma 485). 
    Il citato comma 485 era stato ritenuto  -  una  volta  ricondotto
alla competenza concorrente in materia di  «produzione,  trasporto  e
distribuzione nazionale dell'energia», di  cui  all'art.  117,  terzo
comma, Cost. - lesivo delle competenze regionali, in quanto norma  di
dettaglio. 
    Dalla illegittimita' costituzionale del comma 485 era stata fatta
altresi' discendere quella di tutte le residue previsioni recanti  la
dettagliata disciplina della proroga in questione e, in  particolare,
del successivo comma 486. 
    Quest'ultimo aveva  introdotto  a  carico  dei  concessionari  un
canone aggiuntivo unico, da versare «entro il 28 febbraio per quattro
anni, a decorrere dal 2006», ma  «riferito  all'intera  durata  della
concessione», e ne aveva ripartito il gettito per  cinquanta  milioni
di euro in favore dello Stato  e  per  i  restanti  dieci  milioni  a
beneficio dei Comuni interessati. 
    Questa  Corte  aveva  ritenuto  che  tale  versamento  fosse   da
considerare «quale corrispettivo della proroga» (in tali  termini  si
esprimeva la sentenza n. 1 del 2008: punto 8.6.  del  Considerato  in
diritto). 
    Con il d.l. n. 78  del  2010,  come  convertito,  il  legislatore
statale aveva provveduto ad  una  nuova  proroga  delle  concessioni,
questa volta per la durata di cinque  anni  (art.  15,  comma  6-ter,
lettera b), estensibili tuttavia a dodici anni nel caso  di  apertura
delle societa' concessionarie a compartecipazioni  provinciali  (art.
15, comma 6-ter, lettera d). 
    Contemporaneamente, con la norma oggi censurata,  aveva  disposto
che le  somme  incassate  dai  Comuni  e  dallo  Stato,  versate  dai
concessionari antecedentemente alla sentenza n. 1 del  2008,  fossero
definitivamente trattenute dagli stessi Comuni e dallo Stato. 
    Sottoposta anche tale nuova proroga delle concessioni  al  vaglio
di  legittimita'  costituzionale,  questa   Corte   l'ha   dichiarata
incostituzionale, con la sentenza n. 205 del 2011,  per  le  medesime
ragioni gia' poste a fondamento della precedente pronuncia. 
    Successivamente, la legge n. 208 del 2015, al comma 671 dell'art.
1, preso atto delle sentenze n. 1 del 2008  e  n.  205  del  2011  di
questa Corte, ha modificato il comma  6-quinquies  dell'art.  15  del
d.l. n. 78 del 2010, come convertito, sopprimendo la sola  previsione
normativa che autorizzava lo Stato a trattenere i  canoni  aggiuntivi
unici ricevuti prima della sentenza n. 1 del 2008,  ma  lasciando  in
vigore la disposizione censurata, che  tuttora  abilita  i  Comuni  a
trattenere le somme ad essi versate in forza dell'art. 1, comma  486,
della legge n. 266 del 2005. 
    3.- Tutto cio' premesso, emerge, in primo luogo, la plausibilita'
della motivazione sulla rilevanza delle questioni proposte. 
    Per decidere sulla domanda della societa' ricorrente, il  giudice
a  quo  deve  effettivamente  fare  applicazione  della  disposizione
censurata, che ancora autorizza i (soli) Comuni a trattenere le somme
loro versate negli anni 2006 e 2007 a titolo  di  canone  aggiuntivo,
imposto dal comma 486 dell'art. 1 della legge n. 266  del  2005,  poi
dichiarato costituzionalmente illegittimo con la sentenza  n.  1  del
2008. 
    4.- Passando al  merito,  deve  essere  esaminata  per  prima  la
questione sollevata in riferimento all'art. 136  Cost.  Essa  riveste
infatti carattere di priorita' logico-giuridica (sentenze n. 231  del
2020 e n. 57 del 2019), attenendo «all'esercizio  stesso  del  potere
legislativo» (sentenze n. 245 del 2012 e n. 350 del 2010,  richiamate
dalla sentenza n. 5 del 2017). 
    5.- La questione e' fondata. 
    5.1.- Secondo la costante  giurisprudenza  di  questa  Corte  (ex
plurimis, sentenze n. 57 del 2019, n. 101 del 2018, n. 250 e n. 5 del
2017 e n. 350 del 2010), la violazione del  giudicato  costituzionale
sussiste  non  solo  laddove  il  legislatore  intenda   direttamente
ripristinare o preservare l'efficacia di una  norma  gia'  dichiarata
incostituzionale, ma ogniqualvolta una disposizione di legge  intenda
mantenere in vita  o  ripristinare,  sia  pure  indirettamente,  «gli
effetti [della] struttura normativa» (sentenza n. 72  del  2013)  che
aveva   formato   oggetto   della   pronuncia    di    illegittimita'
costituzionale. Pertanto, il giudicato costituzionale e' violato  non
solo quando e' adottata una disposizione che  costituisce  una  «mera
riproduzione» (sentenze n. 73 del 2013 e n. 245 del 2012)  di  quella
gia' ritenuta lesiva della Costituzione, ma  anche  quando  la  nuova
disciplina mira a perseguire e raggiungere, anche se  indirettamente,
esiti corrispondenti (sentenze n. 231 del 2020, n. 231 del  2017,  n.
73 del 2013, n. 245 del 2012, n. 922 del 1988, n. 223 del 1983  e  n.
88 del 1966). 
    La disposizione censurata  mostra  i  caratteri  descritti  dalle
definizioni appena richiamate. 
    Come si e' detto, l'esito normativo  ritenuto  costituzionalmente
illegittimo dalla sentenza n. 1 del 2008 -  la  cui  riproduzione  e'
dunque preclusa al legislatore - consisteva non solo nella previsione
di una proroga (decennale) delle concessioni  di  grande  derivazione
d'acqua, ma altresi' nella introduzione a carico dei concessionari di
un canone aggiuntivo, quale corrispettivo della proroga. 
    Il d.l. n.  78  del  2010,  come  convertito,  ha  riproposto  la
proroga, sebbene per una durata inferiore (cinque  anni,  estensibili
per altri sette anni) e senza prevedere  espressamente  l'imposizione
di un canone aggiuntivo, ma autorizzando - con la versione originaria
della disposizione censurata - il trattenimento delle  somme  a  tale
titolo versate in precedenza (ai Comuni e allo  Stato)  dai  medesimi
concessionari. 
    Dunque, «la sostanza della  volonta'  dello  stesso  legislatore»
(cosi' si esprime la  sentenza  n.  5  del  2017)  e'  nel  senso  di
raggiungere, con la nuova disciplina, un risultato  corrispondente  a
quello dichiarato costituzionalmente illegittimo con la sentenza n. 1
del 2008. 
    Nel contesto di una nuova proroga delle concessioni (poi ritenuta
a sua volta non conforme a Costituzione con la sentenza  n.  205  del
2011), la disposizione censurata mira esattamente  a  consolidare  la
"situazione  normativa"  derivante  dalla  disciplina  oggetto  dello
scrutinio svolto dalla sentenza n. 1 del 2008: essa autorizza infatti
i Comuni  (e  nella  versione  originaria,  anteriore  alla  modifica
operata con legge n. 208 del  2015,  anche  lo  Stato)  a  trattenere
proprio  le  somme  versate  come  corrispettivo  per  la  precedente
proroga, in forza del comma 486 dell'art. 1 della legge  n.  266  del
2005  dichiarato  a  sua  volta   incostituzionale,   in   tal   modo
ripristinando gli effetti della norma caducata. 
    Come si e' detto, l'art. 136 Cost. risulta leso, del  resto,  non
solo quando  sia  espressamente  disposto  che  la  norma  dichiarata
costituzionalmente illegittima  conservi  la  propria  efficacia,  ma
anche quando una disposizione di legge, per il modo con cui  provvede
a regolare le fattispecie verificatesi prima  della  sua  entrata  in
vigore, persegua e raggiunga - come appunto nella specie - «anche  se
indirettamente, lo stesso risultato» (sentenza n. 169 del  2015,  che
richiama la sentenza n. 88 del 1966). 
    Se il legislatore resta titolare del potere di disciplinare,  con
un  nuovo  atto,  la  stessa  materia  incisa  da  una  sentenza   di
accoglimento di questa Corte, e' pero' «senz'altro da  escludere  che
possa legittimamente farlo - come avvenuto nella specie - limitandosi
a "salvare", e cioe' a "mantenere in  vita",  o  a  ripristinare  gli
effetti prodotti da disposizioni che, in ragione della  dichiarazione
di illegittimita' costituzionale, non sono piu' in grado di produrne»
(cosi', ancora, sentenza n. 169 del 2015). 
    5.2.- A nulla varrebbe sostenere che, di fatto,  i  concessionari
potrebbero effettivamente avere goduto, almeno per gli  anni  2006  e
2007, dei beni oggetto di concessione oltre la naturale  scadenza  di
quest'ultima, sicche' il versamento di una somma troverebbe  comunque
giustificazione in un vantaggio di cui avrebbero beneficiato. 
    Premesso che il canone aggiuntivo  in  questione  si  configurava
prevalentemente come corrispettivo del beneficio  della  proroga,  il
giudice a quo, come la stessa parte privata, sia pur con  riferimento
al  solo  rapporto  concessorio  oggetto  del  giudizio   principale,
attestano che la scadenza  originaria  della  concessione  rilasciata
alla societa' A2A spa era successiva alla sentenza n. 1 del 2008. 
    Piu' in generale,  va  comunque  segnalato  che  dalla  relazione
tecnica che ha accompagnato l'approvazione della legge di  stabilita'
per il 2016 (legge n. 208 del 2015, il cui comma 671 dell'art.  1  ha
modificato la disposizione censurata) risulta che «le prime  scadenze
delle concessioni erano fissate al  2010  e,  quindi,  nessuno  degli
operatori  che  aveva  versato  il  canone  aggiuntivo  aveva  potuto
beneficiare della proroga» disposta dall'art.  1,  comma  485,  della
legge n. 266 del 2005. 
    6.- Va dunque dichiarata, per  violazione  dell'art.  136  Cost.,
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 15, comma 6-quinquies,  del
d.l. n. 78 del 2010, come convertito. 
    L'accoglimento  di  tale  questione  comporta  l'assorbimento  di
quella sollevata in riferimento all'art. 3 Cost. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara  l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  15,  comma
6-quinquies, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure  urgenti
in  materia  di  stabilizzazione  finanziaria  e  di   competitivita'
economica), convertito, con modificazioni, in legge 30  luglio  2010,
n. 122. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 3 novembre 2020. 
 
                                F.to: 
                  Mario Rosario MORELLI, Presidente 
                      Nicolo' ZANON, Redattore 
             Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria 
 
    Depositata in Cancelleria l'1 dicembre 2020. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA