N. 262 SENTENZA 19 novembre - 4 dicembre 2020
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Imposte e tasse - Imposta municipale propria (IMU) - Corresponsione sugli immobili strumentali all'attivita' di impresa - Indeducibilita' dalle imposte sui redditi d'impresa - Irragionevolezza e violazione del principio della capacita' contributiva - Illegittimita' costituzionale in parte qua. - Decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, art. 14, comma 1, nel testo anteriore alle modifiche apportate dall'art. 1, comma 715, della legge 27 dicembre 2013, n. 147. - Costituzione, artt. 3, 41 e 53.(GU n.50 del 9-12-2020 )
LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente:Giancarlo CORAGGIO; Giudici :Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolo' ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANO', Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA,
ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 14, comma 1, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23 (Disposizioni in materia di federalismo Fiscale Municipale), nel testo anteriore alle modifiche apportate dall'art. 1, comma 715, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilita' 2014)», promosso dalla Commissione tributaria provinciale di Milano nel giudizio vertente tra la Tecnogras srl e l'Agenzia delle entrate, Direzione provinciale II di Milano, con ordinanza del 2 luglio 2019, iscritta al n. 191 del registro ordinanze 2019 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 45, prima serie speciale, dell'anno 2019. Visti l'atto di costituzione della Tecnogras srl, nonche' l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nell'udienza pubblica del 18 novembre 2020 il Giudice relatore Luca Antonini; uditi l'avvocato Giulio Enea Vigevani per la Tecnogras srl e l'avvocato dello Stato Gianni De Bellis per il Presidente del Consiglio dei ministri, in collegamento da remoto, ai sensi del punto 1) del decreto del Presidente della Corte del 30 ottobre 2020; deliberato nella camera di consiglio del 19 novembre 2020. Ritenuto in fatto 1.- Con ordinanza del 2 luglio 2019, la Commissione tributaria provinciale (CTP) di Milano ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 41 e 53 della Costituzione, questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 14, comma 1, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23 (Disposizioni in materia di federalismo Fiscale Municipale), nel testo anteriore alle modifiche apportate dall'art. 1, comma 715, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilita' 2014)», ai sensi del quale l'imposta municipale propria (IMU) «e' indeducibile dalle imposte erariali sui redditi e dall'imposta regionale sulle attivita' produttive». 1.1.- Il rimettente riferisce che le questioni sono sorte nel corso di un giudizio promosso dalla Tecnogras srl, «attiva nel settore immobiliare (acquisto, vendita, locazione, leasing, costruzione, ristrutturazione) e proprietaria di diverse unita' immobiliari», per il rimborso di parte dell'imposta sul reddito delle societa' (IRES) interamente versata per il 2012 (anno in cui aveva partecipato con altra societa' controllata al consolidato fiscale in qualita' di consolidante). Il rimettente soggiunge che il rimborso attiene alla parte corrispondente a quanto pagato in conseguenza dell'indeducibilita' dell'IMU, quest'ultima a sua volta integralmente corrisposta, nel medesimo periodo 2012, «su immobili propri», con la precisazione che «[t]ale esborso [...] deriva dagli immobili strumentali della societa' stessa». 1.2.- In punto di rilevanza, la CTP precisa che la norma censurata: a) stabilisce l'indeducibilita' dell'IMU dall'IRES in deroga all'art. 99, comma 1, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, recante «Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi» (di seguito anche: TUIR), a norma del quale tutte le imposte, diverse da quelle sui redditi e quelle per le quali e' prevista la rivalsa, sono deducibili nell'esercizio in cui avviene il pagamento; b) si applica ratione temporis al periodo d'imposta a cui si riferisce la richiesta di rimborso; c) «conduce inevitabilmente al rigetto della richiesta e del ricorso poiche' inibisce il rimborso». 1.3.- In punto di non manifesta infondatezza il rimettente ritiene che il censurato art. 14, comma 1, del d.lgs. n. 23 del 2011 violi: a) l'art. 53 Cost., sotto il profilo dell'effettivita' della capacita' contributiva, in quanto, nel disporre l'indeducibilita' dell'IMU dall'IRES, farebbe gravare la tassazione su «un reddito d'impresa in parte fittizio, in contrasto con il principio di capacita' contributiva»; cio' muovendo dal presupposto che: i) «[l]'indeducibilita' totale o parziale [...] e' ammissibile soltanto con riguardo a costi che presentano elementi di incertezza nell'inerenza o nella determinazione, o ancora qualora sia fondato il pericolo che la deduzione di tali costi rischi di coprire l'elusione o l'evasione fiscale»; ii) la spesa per il pagamento dell'IMU relativa agli immobili strumentali della societa' stessa deve essere considerata un costo certo e inerente alla produzione del reddito; b) l'art. 53 Cost., sotto il profilo del divieto della doppia imposizione, atteso che la societa' ricorrente nel giudizio a quo, in ragione della proprieta' degli immobili, sarebbe «costretta a pagare, di fatto, due volte un'imposta sulla base del medesimo presupposto», il che potrebbe, peraltro, «condurre all'esaurimento della capacita' contributiva, o comunque puo' costituire un carico eccessivo che supera il limite massimo tollerabile per il prelievo tributario»; c) gli artt. 3 e 53 Cost., con riferimento al principio di ragionevolezza, poiche' il censurato regime di indeducibilita', in assenza di una valida giustificazione, non sarebbe «coerente con la struttura stessa del presupposto» dell'IRES, tributo che, a norma dell'art. 75, comma 1, TUIR, «si applica sul reddito complessivo netto»: e' vero infatti che il legislatore in materia tributaria «gode di una discrezionalita' ampia nel fissare il presupposto d'imposta; tuttavia, nell'individuazione dei singoli elementi che concorrono alla formazione della base imponibile tale discrezionalita' si restringe in modo considerevole» essendo tenuto a strutturare il tributo in modo coerente con il presupposto prescelto; d) l'art. 3 Cost., quanto al principio di uguaglianza formale, poiche' la mancata deducibilita' avrebbe «un impatto sul piano della cd. equita' orizzontale», sottoponendo irragionevolmente a una maggiore tassazione la societa' che si serve di immobili strumentali di proprieta' rispetto a quella che invece utilizza immobili strumentali che non sono di sua proprieta'; e) l'art. 41 Cost., avuto riguardo al principio di liberta' di iniziativa economica privata, in quanto la norma censurata penalizzerebbe indebitamente la scelta dell'impresa di investire gli utili nell'acquisto degli immobili strumentali, senza che peraltro siano rinvenibili «differenze qualitative apprezzabili del costo in esame rispetto alla generalita' dei costi deducibili» in base alla disciplina generale dell'IRES. 2.- Con atto depositato il 26 novembre 2019, si e' costituita la Tecnogras srl, chiedendo che la norma censurata sia dichiarata incostituzionale. La societa' afferma di condividere «pienamente la prospettazione del Giudice a quo». Quanto alla rilevanza, la difesa privata ritiene che «[n]on puo' [...] sussistere alcun dubbio sul fatto che la norma rilevante nel giudizio a quo» sia quella censurata, considerato che, in particolare, e' lo stesso legislatore ad aver escluso ogni effetto retroattivo dell'art. 1, comma 715, della legge n. 147 del 2013, disponendo che la parziale deducibilita' dell'IMU relativa agli immobili strumentali avesse effetto «a decorrere dal periodo d'imposta in corso al 31 dicembre 2013». La parte ritiene, poi, di doversi confrontare con le motivazioni della sentenza n. 163 del 2019, emessa successivamente all'odierna ordinanza di rimessione, con cui questa Corte ha dichiarato l'inammissibilita', per difetto di motivazione sulla rilevanza e incongruenza nella prospettazione, di una questione di legittimita' «che, sotto alcuni profili, appare simile a quella odierna» perche': a) avente parimenti a oggetto l'art. 14, comma 1, del d.lgs. n. 23 del 2011, ma nella formulazione cosi' come sostituita dal citato art. 1, comma 715, della legge n. 147 del 2013; b) prospettata con riferimento all'art. 53 Cost., sotto il profilo dell'effettivita' della capacita' contributiva. Ad avviso della societa', entrambe le ragioni che hanno condotto alla citata pronuncia di inammissibilita' non ricorrerebbero nel caso di specie. L'ordinanza di rimessione, infatti, recherebbe, da un lato, una diffusa motivazione circa la rilevanza della questione e, dall'altro, una precisa individuazione della norma censurata. Da ultimo, la parte privata osserva che la norma indubbiata ha cessato di avere efficacia a decorrere dal periodo d'imposta in corso al 31 dicembre 2013; pertanto a distanza di molti anni le controversie ancora pendenti che riguardano la sua applicazione sarebbero plausibilmente «un numero limitato», cosicche' l'auspicata declaratoria di incostituzionalita' «non comporterebbe il rischio di determinare alcuna significativa alterazione dell'equilibrio di bilancio». 3.- Con atto depositato il 26 novembre 2019, e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili o comunque infondate. 3.1.- La difesa statale innanzitutto ripercorre il complesso iter evolutivo in cui si e' sviluppata la graduale previsione di deducibilita' dell'IMU. Cio' premesso, ad avviso della difesa dello Stato, la questione prospettata sarebbe inammissibile «[i]n analogia» a quanto statuito da questa Corte nella sopra citata sentenza n. 163 del 2019, poiche' «il giudice a quo omette di confrontarsi con i regimi normativi relativi ad altri periodi d'imposta altrettanto rilevanti nella fattispecie per il suo esame». 3.2.- Nel merito, l'Avvocatura ritiene, quanto alla violazione dell'art. 53 Cost., che il rimettente muova dall'erroneo presupposto interpretativo per cui «tutte le imposte siano sempre deducibili l'una dalla base imponibile dell'altra», mentre rientrerebbe nella discrezionalita' del legislatore regolare la materia degli oneri deducibili e in particolare di quelli natura fiscale. Tale disciplina, infatti, atterrebbe «in sostanza alla congruita' delle aliquote che e' compito esclusivo del legislatore valutare e fissare in relazione ai diversi obiettivi della politica economica e fiscale». Inoltre proprio la conformita' al principio di capacita' contributiva dovrebbe portare a considerare la deducibilita' degli oneri fiscali come un'eccezione e a ritenere che, dato il suo carattere di agevolazione, «semmai lo strumento della deduzione dall'imponibile vada riservato dal legislatore ad altro tipo di oneri, non coattivi, dei quali si intende per varie ragioni incentivare l'assunzione da parte dei contribuenti». Sotto un diverso profilo la difesa erariale precisa che la previsione dell'integrale indeducibilita' dell'IMU avrebbe costituito una non irragionevole «misura eccezionale e temporanea, per il solo anno 2012», giustificata dalla «grave crisi economica che il Paese stava attraversando», la quale aveva, tra l'altro, determinato il legislatore ad anticipare l'introduzione dell'IMU proprio a tale anno. Per queste ragioni la norma censurata sarebbe finalizzata a conciliare le esigenze finanziarie dello Stato con quelle del cittadino chiamato a contribuire ai bisogni della vita collettiva, come del resto gia' concluso da questa Corte, con riferimento agli artt. 3 e 53 Cost., nella sentenza n. 574 del 1988. Ad avviso dell'Avvocatura andrebbe inoltre considerato che le medesime argomentazioni varrebbero a legittimare dal punto di vista costituzionale anche il successivo regime di deducibilita' parziale, introdotto dal 2013 e poi nel tempo modificato, in quanto espressivo del non irragionevole esercizio discrezionale del potere legislativo nella valutazione contingente di tale bilanciamento. La difesa statale ritiene, infine, che la denunciata duplicazione dell'imposizione dovrebbe considerarsi esclusa in ragione del diverso presupposto impositivo dell'IMU, imposta patrimoniale di carattere reale, rispetto a IRES e IRPEF, imposte personali incidenti sui flussi di reddito del contribuente. Onde, la legittima coesistenza di detti tributi. Infine, osserva l'Avvocatura, la censura formulata con riferimento all'art. 41 Cost. dovrebbe ritenersi inammissibile in quanto meramente enunciata o comunque infondata poiche' tramite «l'agevolazione fiscale il legislatore vuole promuovere la competitivita' delle imprese nell'interesse generale, senza che possa dirsi sussistente ne' un obbligo per il medesimo legislatore di estendere la misura agevolativa, ne' tanto meno la palese arbitrarieta' o irrazionalita' nella scelta discrezionale di non estendere il beneficio». 4.- In prossimita' dell'udienza la Tecnogras srl ha presentato memoria, replicando in modo analitico alle argomentazioni della difesa erariale. La difesa della parte insiste per l'accoglimento delle questioni e, in particolare, ritiene non condivisibile l'argomento della transitorieta' ed eccezionalita' della norma censurata, utilizzato dall'Avvocatura generale e basato sulla circostanza che la suddetta norma e' rimasta in vigore solo per il 2012. Osserva, infatti, la societa' che, «nel momento in cui e' entrata in vigore, la norma oggetto del presente giudizio non aveva carattere transitorio o eccezionale e soltanto una successiva valutazione del legislatore ha portato a una sua riscrittura (e cio' proprio nel malcelato tentativo di rimediare ai profili di illegittimita' che i commentatori hanno da subito evidenziato rispetto al totale divieto di deducibilita')». Considerato in diritto 1.- Con ordinanza del 2 luglio 2019, la Commissione tributaria provinciale (CTP) di Milano ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 41 e 53 della Costituzione, questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 14, comma 1, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23 (Disposizioni in materia di federalismo Fiscale Municipale), nel testo anteriore alle modifiche apportate dall'art. 1, comma 715, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilita' 2014)», ai sensi del quale l'imposta municipale propria (IMU) «e' indeducibile dalle imposte erariali sui redditi e dall'imposta regionale sulle attivita' produttive» (IRAP). 1.1.- A giudizio del rimettente la disposizione violerebbe: a) l'art. 53 Cost., sotto il profilo dell'effettivita' della capacita' contributiva, in quanto, nel disporre l'indeducibilita' dell'IMU dall'imposta sul reddito delle societa' (IRES), farebbe gravare la tassazione su «un reddito d'impresa in parte fittizio, in contrasto con il principio di capacita' contributiva»; cio' sul presupposto che: i) «l'indeducibilita' totale o parziale e' ammissibile soltanto con riguardo a costi che presentano elementi di incertezza nell'inerenza o nella determinazione, o ancora qualora sia fondato il pericolo che la deduzione di tali costi rischi di coprire l'elusione o l'evasione fiscale»; ii) la spesa per il pagamento dell'IMU relativa agli immobili strumentali della societa' stessa deve essere considerata un costo certo e inerente alla produzione del reddito; b) l'art. 53 Cost., sotto il profilo del divieto della doppia imposizione, atteso che la societa' ricorrente nel giudizio a quo, in ragione della proprieta' degli immobili, sarebbe «costretta a pagare, di fatto, due volte un'imposta sulla base del medesimo presupposto», il che potrebbe, peraltro, «condurre all'esaurimento della capacita' contributiva, o comunque puo' costituire un carico eccessivo che supera il limite massimo tollerabile per il prelievo tributario»; c) gli artt. 3 e 53 Cost., con riferimento al principio di ragionevolezza, poiche' il censurato regime di indeducibilita', in assenza di una valida giustificazione, non sarebbe «coerente con la struttura stessa del presupposto» dell'IRES, tributo che, a norma dell'art. 75, comma 1, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, recante «Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi» (di seguito anche: TUIR), «si applica sul reddito complessivo netto»: e' vero infatti che il legislatore in materia tributaria «gode di una discrezionalita' ampia nel fissare il presupposto d'imposta; tuttavia, nell'individuazione dei singoli elementi che concorrono alla formazione della base imponibile tale discrezionalita' si restringe in modo considerevole» essendo tenuto a strutturare il tributo in modo coerente con il presupposto prescelto; d) l'art. 3 Cost., quanto al principio di uguaglianza formale, poiche' la mancata deducibilita' avrebbe «un impatto sul piano della cd. equita' orizzontale», sottoponendo irragionevolmente a una maggiore tassazione la societa' che si serve di immobili strumentali di proprieta' rispetto a quella che invece utilizza immobili strumentali che non sono di sua proprieta'; e) l'art. 41 Cost., avuto riguardo al principio di liberta' di iniziativa economica privata, in quanto la norma censurata penalizzerebbe indebitamente la scelta dell'impresa di investire gli utili nell'acquisto degli immobili strumentali, senza che peraltro siano rinvenibili «differenze qualitative apprezzabili del costo in esame rispetto alla generalita' dei costi deducibili» in base alla disciplina generale dell'IRES. 1.2.- Preliminarmente e' necessario delimitare il thema decidendum. Dalla motivazione e dal tenore letterale dell'ordinanza di rimessione si evince chiaramente che le questioni riguardano unicamente il rimborso dell'IRES nella misura dell'importo dell'IMU corrisposta nell'anno 2012 dalla contribuente - societa' «attiva nel settore immobiliare» - in relazione a «immobili propri [...] strumentali della societa' stessa». Dal complesso delle argomentazioni sulla non manifesta infondatezza risulta infatti che viene richiesta una pronuncia di accoglimento delle questioni limitatamente alla parte in cui la norma censurata prevede, ai fini della determinazione dell'IRES, l'indeducibilita' dell'IMU corrisposta per gli immobili strumentali. Non e', invece, oggetto di censura, da parte del giudice a quo, la previsione dell'indeducibilita' dell'IMU dall'IRAP. La possibilita' di «circoscrivere l'oggetto del giudizio di legittimita' costituzionale ad una parte soltanto della o delle disposizioni censurate, se cio' e' suggerito dalla motivazione dell'ordinanza di rimessione», trova del resto costante conforto nella giurisprudenza di questa Corte (ex plurimis, sentenze n. 108 del 2019, n. 35 del 2017, n. 203 del 2016 e n. 244 del 2011). 1.3.- Ai fini della rilevanza, il rimettente ha sufficientemente descritto la fattispecie da cui e' originata la richiesta di rimborso dell'IRES, specificando che l'importo domandato corrisponde all'esborso dell'IMU derivante «dagli immobili strumentali della societa' stessa» e, altresi', correttamente precisando che, in mancanza di un effetto retroattivo dello ius superveniens, la sorte del giudizio principale resta regolata dall'art. 14, comma 1, del d.lgs. n. 23 del 2011, nella sua formulazione in vigore per il solo 2012, che costituisce appunto oggetto dell'odierna censura. Va in particolare osservato che la natura strumentale, accertata dal rimettente, degli immobili sui quali era stata corrisposta l'IMU nel 2012 non e' incompatibile con l'oggetto dell'attivita' d'impresa della srl contribuente, indicato nell'ordinanza di rimessione («acquisto, vendita, locazione, leasing, costruzione, ristrutturazione» nel settore immobiliare): di qui la plausibilita' della suddetta qualificazione di strumentalita' degli immobili fornita dal giudice a quo, del resto non contestata ne' nel giudizio principale, ne' nel giudizio di costituzionalita'. 1.4.- Da tali considerazioni discende anche l'infondatezza dell'eccezione formulata dall'Avvocatura generale dello Stato, secondo la quale le questioni prospettate sarebbero inammissibili «[i]n analogia» a quanto statuito da questa Corte nella sentenza n. 163 del 2019, anch'essa in tema di deducibilita' dell'IMU dall'IRES, poiche' il giudice a quo avrebbe omesso (come nell'ordinanza di rimessione esaminata con detta sentenza) «di confrontarsi con i regimi normativi relativi ad altri periodi d'imposta altrettanto rilevanti nella fattispecie per il suo esame». Non solo, infatti, da almeno due punti dell'ordinanza di rimessione si evince che la CTP ha esaminato in modo adeguato, seppur sinteticamente, l'evoluzione normativa del censurato art. 14, comma 1, al fine di trarne conseguenze coerenti e non contraddittorie con le questioni prospettate; ma, come prima precisato, la valutazione da compiere nel presente giudizio e' circoscritta alla sola formulazione in vigore nel 2012 del citato articolo. Pertanto, nel caso di specie, non e' replicabile la richiamata motivazione di inammissibilita', addotta con riferimento a una differente fattispecie dalla sentenza n. 163 del 2019. 2.- Nel merito, le questioni sono fondate in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost. sotto il profilo della coerenza e quindi della ragionevolezza. 2.1.- E' opportuno premettere che la censurata indeducibilita' dell'IMU dall'imponibile dell'IRES si pone all'interno di un complesso sviluppo normativo, che ha condotto, ben al di la' del fisiologico effetto di un'imposta patrimoniale, all'esito di un particolare aggravio della pressione fiscale a carico delle imprese proprietarie di immobili strumentali. Il tributo, infatti, e' stato in origine previsto nell'ambito del d.lgs. n. 23 del 2011 sul federalismo fiscale municipale, attuativo della legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell'articolo 119 della Costituzione), e diretto a spostare l'asse del prelievo sul comparto immobiliare dallo Stato ai Comuni, in vista degli obiettivi di rafforzarne il grado di autonomia finanziaria, di valorizzare il principio di correlazione tra imposizione e funzioni e di semplificare il sistema della finanza locale. A tale scopo, in particolare, si prevedeva che a decorrere dall'anno 2014 fossero introdotte nell'ordinamento fiscale due nuove forme di imposizione municipale: a) una imposta municipale propria; b) una imposta municipale secondaria. La prima, la cosiddetta IMU, riuniva in un unico, nuovo, tributo la precedente imposta comunale sugli immobili (ICI) (che gia' significativamente aveva ampliato il livello della finanza autonoma), e l'imposta (statale) sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) - e relative addizionali - dovuta in relazione ai redditi fondiari (riguardanti i beni non locati). Si attribuiva in tal modo ai Comuni un significativo gettito erariale, compensato da una corrispondente riduzione dei trasferimenti statali; cosi' limitando il grado di finanza derivata. La seconda imposta - destinata pero' a rimanere prima inattuata e poi abrogata dall'art. 1, comma 25, della legge 28 dicembre 2015, n. 208 recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilita' 2016)» - perseguiva il medesimo scopo di semplificazione accorpando altri tributi minori locali in un'unica forma impositiva. Per quanto qui interessa e' opportuno precisare che ai Comuni, a cui era destinato l'intero gettito dell'IMU e a cui si consentiva una manovra in aumento o in diminuzione fino allo 0,30 per cento, veniva attribuita la facolta' di ridurne fino alla meta' l'aliquota «nel caso in cui abbia ad oggetto immobili non produttivi di reddito fondiario ai sensi dell'articolo 43 del citato testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986, ovvero nel caso in cui abbia ad oggetto immobili posseduti dai soggetti passivi dell'imposta sul reddito delle societa'» (art. 8, comma 7, del citato d.lgs. n. 23 del 2011). Tale disposizione era funzionale a consentire ai Comuni di evitare che il nuovo tributo determinasse un incremento della pressione fiscale sulle imprese: infatti l'IMU, calibrata in modo da risultare sostanzialmente a saldo zero (nell'aliquota standard dello 0,76 per cento) per il contribuente persona fisica (che avrebbe corrisposto al Comune quanto prima versava allo Stato a titolo di IRPEF fondiaria), senza questa misura di riduzione si sarebbe risolta in un aggravio per quei soggetti, come le imprese (o i lavoratori autonomi), proprietari di immobili strumentali, che non versavano IRPEF fondiaria. 2.2.- La linearita' di questo disegno e' stata pero' travolta da una serie di interventi normativi immediatamente successivi che hanno radicalmente trasformato, gia' dal 2012, l'IMU. In particolare, in conseguenza dell'acuirsi della grave crisi finanziaria, proprio sull'IMU si e' scaricato gran parte del peso di una manovra emergenziale che, soprattutto per le imprese, ha aggravato il livello dell'imposizione patrimoniale sugli immobili e ha, peraltro, anche inciso fortemente sul grado di autonomia finanziaria dei Comuni. Infatti con il decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l'equita' e il consolidamento dei conti pubblici) ), convertito, con modificazioni, nella legge 22 dicembre 2011, n. 214 - il cosiddetto "decreto salva Italia" -, e' stata disposta l'anticipazione dell'introduzione dell'IMU al 2012; sono stati introdotti moltiplicatori delle rendite catastali che ne hanno notevolmente incrementato l'incidenza; e' stato attribuito allo Stato, pur mantenendo il carattere municipale dell'imposta, meta' del gettito su tutti gli immobili, a eccezione dell'abitazione principale e dei fabbricati rurali a uso strumentale; e' stata, inoltre, prevista l'applicazione dell'imposta anche all'abitazione principale. Di li' a poco, con l'art. 1, comma 380, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilita' 2013)», il quadro e' stato nuovamente modificato, definendo cosi' le grandi linee dell'assetto attuale: a) la menzionata riserva allo Stato, che riguardava prevalentemente l'IMU sulle seconde case, e' stata sostituita con una riserva allo stesso dell'intero gettito IMU dovuto sugli immobili a uso produttivo classificati nel gruppo catastale D (ovverosia capannoni industriali e opifici); b) tale gettito e' stato determinato ad aliquota standard dello 0,76 per cento, cosi' sostanzialmente impedendo la possibilita', in precedenza accordata, per i Comuni, di dimezzare l'IMU sugli immobili strumentali; c) e' stata ribadita espressamente la possibilita' dei Comuni di incrementare, trattenendo il relativo gettito, fino a 0,3 punti percentuali tale aliquota standard sugli immobili a uso produttivo, portandola quindi fino all'1,06 per cento (art.1, comma 380, lettera g, della legge n. 228 del 2012). 2.3.- Una volta definito questo assetto, il legislatore si e' subito mostrato avvertito che esso era divenuto particolarmente gravoso e critico per le imprese. Gia' l'incipit dell'art. 1, comma 1, del decreto-legge 21 maggio 2013, n. 54 (Interventi urgenti in tema di sospensione dell'imposta municipale propria, di rifinanziamento di ammortizzatori sociali in deroga, di proroga in materia di lavoro a tempo determinato presso le pubbliche amministrazioni e di eliminazione degli stipendi dei parlamentari membri del Governo), convertito, con modificazioni, nella legge 18 luglio 2013, n. 85, significativamente afferma: «[n]elle more di una complessiva riforma della disciplina dell'imposizione fiscale sul patrimonio immobiliare [...] volta, in particolare, a riconsiderare l'articolazione della potesta' impositiva a livello statale e locale, e la deducibilita' ai fini della determinazione del reddito di impresa dell'imposta municipale propria relativa agli immobili utilizzati per attivita' produttive». Inoltre, nell'agosto del 2013 (a pochi giorni della conversione del suddetto decreto-legge) il Dipartimento delle finanze del Ministero dell'economia e delle finanze, nel documento «Ipotesi di revisione del prelievo sugli immobili», esaminava espressamente il tema della «deducibilita' ai fini della determinazione del reddito di impresa dell'imposta municipale propria relativa agli immobili utilizzati per attivita' produttive». In particolare, preso atto che «[c]on il passaggio dall'ICI all'IMU, gli immobili di proprieta' delle imprese hanno subito un incremento di prelievo, dovuto sia all'aumento delle aliquote e dei coefficienti moltiplicativi applicati alle rendite catastali, sia alla circostanza che l'IMU non ha sostituito le imposte sui redditi che gravano sugli immobili ad uso produttivo (mentre ha sostituito il prelievo IRPEF sui redditi di tutti gli altri immobili non locati)», viene evidenziato come «[i]l riferimento alla deducibilita' dell'IMU relativa agli immobili utilizzati per attivita' produttive ai fini della determinazione del reddito di impresa contenuto nell'art. 1 del D.L. n. 54 del 2013, prospetta un intervento che sarebbe in linea con quanto avviene nei principali Paesi europei e, inoltre, consentirebbe di superare i problemi di incostituzionalita' che l'indeducibilita' attualmente prevista puo' porre sul piano della capacita' contributiva». Tuttavia, mentre il menzionato d.l. n. 54 del 2013, cosi' come convertito, aveva solo sospeso il pagamento della prima rata 2013 dell'IMU sull'abitazione principale (fattispecie che poi la legge n. 147 del 2013 avrebbe definitivamente escluso dalla tassazione in relazione a immobili classificati nelle categorie diverse da A/1, A/8 e A/9), l'intervento sulla norma oggetto dell'odierna censura e' concretamente avvenuto solo con l'art. 1, commi 715 e 716, della legge n. 147 del 2013, che l'ha sostituita stabilendo che «[l]'imposta municipale propria relativa agli immobili strumentali e' deducibile ai fini della determinazione del reddito di impresa e del reddito derivante dall'esercizio di arti e professioni» nella misura del 30 per cento per il periodo d'imposta in corso al 31 dicembre 2013 e del 20 per cento dal 1° gennaio 2014. Sono poi seguite ulteriori modifiche: l'art. 1, comma 12, della legge 30 dicembre 2018, n. 145 (Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021), ha innalzato al 40 per cento la percentuale di deducibilita' dell'IMU a decorrere dal 1° gennaio 2019 (art. 19 della medesima legge n. 145 del 2018). In realta' questa disposizione non e' mai stata effettivamente applicata, poiche' prima con l'art. 3, comma 1, del decreto-legge 30 aprile 2019, n. 34 (Misure urgenti di crescita economica e per la risoluzione di specifiche situazioni di crisi), convertito, con modificazioni, nella legge 28 giugno 2019, n. 58, e poi con l'art. 1, commi 4, 772 e 773, della legge 27 dicembre 2019, n. 160 (Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2020 e bilancio pluriennale per il triennio 2020-2022), le percentuali sono state rimodulate nei seguenti termini: - 50 per cento per il periodo d'imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2018; - 60 per cento per il periodo d'imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2019; - 60 per cento per il periodo d'imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2020; - 100 per cento per i periodi d'imposta successivi a quello in corso al 31 dicembre 2021. 3.- La descritta evoluzione, nel denotare un quadro normativo poco lineare e sistematico, lascia in ogni caso intravedere come proprio l'indeducibilita' totale dell'IMU ai fini delle imposte erariali sui redditi, dato il forte impatto sul sistema delle imprese, sia risultata ben presto, per stessa ammissione del legislatore, uno dei temi critici e quindi da riformare. In effetti la deducibilita' in esame, rispondendo a finalita' intrinseche al prelievo, non si pone affatto, contrariamente a quanto sostenuto dall'Avvocatura generale dello Stato, sul piano delle agevolazioni fiscali propriamente dette, che sono dettate da finalita' extrafiscali e rispetto alle quali la giurisprudenza di questa Corte - che pertanto qui non rileva - ha riconosciuto un'ampia discrezionalita' (purche' non trasmodi in palese irrazionalita' e arbitrarieta') al legislatore (ex plurimis, sentenze n. 264 e n. 177 del 2017). La deducibilita' qui considerata attiene, invece, a quegli istituti tributari nei quali e' «ravvisabile la prevalenza di un carattere strutturale, dal momento che la sottrazione all'imposizione (o la sua riduzione) e' resa necessaria dall'applicazione coerente e sistematica del presupposto del tributo» (sentenza n. 120 del 2020). Nella medesima pronuncia questa Corte ha precisato che tali istituti non sono riconducibili a quelli in cui «invece, la natura di agevolazione e' propriamente riscontrabile, perche', a differenza di quelli appena descritti, essi presuppongono l'esistenza di una capacita' contributiva coerente con la struttura del tributo, ma, in deroga (gia', in tal senso, sentenza n. 159 del 1985) al dictum de omni di cui all'art. 53, primo comma, Cost., prevedono, per motivi extrafiscali, forme di esenzione, di tassazione sostitutiva piu' favorevole o altre misure comunque dirette a rendere meno gravoso o non incidente il carico tributario in relazione a determinate fattispecie». La deducibilita' dell'IMU dall'imponibile dell'IRES assume natura strutturale in quanto, come si approfondira' di seguito, il legislatore ha espressamente individuato il presupposto dell'IRES nel possesso di un «reddito complessivo netto» (art. 75, comma 1, TUIR); cio' a differenza di quanto ha invece stabilito per alcune categorie di reddito, come, ad esempio, i redditi di lavoro dipendente, che sono computati al lordo, senza deduzione (analitica) dei costi di produzione. E' ben vero che il TUIR fissa poi regole specifiche per la misurazione del reddito d'impresa, precisando, per alcune componenti positive o negative risultanti dal conto economico, la misura in cui possono concorrere alla determinazione del reddito complessivo, ovverosia alla base imponibile dell'IRES. Tuttavia, costituisce principio imprescindibile della determinazione del reddito d'impresa quello di inerenza del costo da portare in deduzione. Nella sua formulazione essenziale, «[i]l principio di inerenza dei costi deducibili si ricava dalla nozione di reddito d'impresa ed esprime una correlazione tra costi ed attivita' d'impresa in concreto esercitata, traducendosi in un giudizio di carattere qualitativo, che prescinde, in se', da valutazioni di tipo utilitaristico o quantitativo» (Corte di cassazione, sezione quinta civile, sentenza 22 gennaio 2020, n. 1290); sostanzialmente conforme, ex plurimis, a Corte di cassazione, sezione quinta civile, sentenza 11 gennaio 2018, n. 450): tale principio da un lato definisce e dall'altro delimita, escludendo i costi che si collocano in una sfera estranea all'esercizio dell'impresa, l'area dei costi che concorrono al reddito tassabile. Da tale principio il legislatore non puo' arbitrariamente prescindere: questo infatti costituisce il presidio della verifica della ragionevolezza delle deroghe rispetto all'individuazione di quel reddito netto complessivo che il legislatore stesso ha assunto a presupposto dell'IRES. 3.1.- Tale principio si riflette anche sui costi fiscali. Va precisato, infatti, che in relazione agli oneri fiscali l'art. 99, comma 1, del TUIR (rubricato «Oneri fiscali e contributivi») sancisce in via generale il principio della deducibilita' delle imposte dal reddito, stabilendo che «[l]e imposte sui redditi e quelle per le quali e' prevista la rivalsa, anche facoltativa, non sono ammesse in deduzione. Le altre imposte sono deducibili nell'esercizio in cui avviene il pagamento». Tale disciplina prevede espressamente dunque solo due esclusioni dalla regola della deducibilita', del tutto ragionevoli e confermative del principio di tassazione al netto: a) una attiene alle imposte per le quali e' prevista la rivalsa (il cui peso non e' sopportato dall'impresa, onde la logicita' della mancata deduzione del relativo onere); b) l'altra riguarda le imposte sui redditi (che, in quanto derivanti dal reddito, non possono logicamente rientrare tra gli antecedenti causali di questo). Quanto alle «altre imposte», il richiamato art. 99 TUIR, come detto, ne stabilisce la deducibilita', affermando un criterio si' derogabile dal legislatore, ma non quando vengano in considerazione fattispecie come quella in esame, relative a un tributo (non commisurato al reddito e ne' oggetto di rivalsa) direttamente e pienamente inerente alla produzione del reddito. Un tributo cosi' caratterizzato costituisce, infatti, un costo fiscale inerente di cui non si puo' precludere, senza compromettere la coerenza del disegno impositivo, la deducibilita' una volta che il legislatore abbia, nella propria discrezionalita', stabilito per il reddito d'impresa il criterio di tassazione al netto. In questa prospettiva, dunque, correttamente le considerazioni del rimettente concentrano la censura sull'indeducibilita' dell'IMU relativa ai beni strumentali, che rappresenta un onere certo e inerente, costituendo un costo necessitato che si atteggia alla stregua di un ordinario fattore della produzione, a cui l'imprenditore non puo' sottrarsi. 3.2.- La disposizione censurata contrasta, pertanto, con gli artt. 3 e 53 Cost., sotto il profilo della coerenza e quindi della ragionevolezza, con assorbimento di ogni altra questione. L'ampia discrezionalita' del legislatore tributario nella scelta degli indici rivelatori di capacita' contributiva (ex plurimis, sentenza n. 269 del 2017) non si traduce in un potere discrezionale altrettanto esteso nell'individuazione dei singoli elementi che concorrono alla formazione della base imponibile, una volta identificato il presupposto d'imposta: quest'ultimo diviene, infatti, il limite e la misura delle successive scelte del legislatore. E' del resto principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte che il controllo «in ordine alla lesione dei principi di cui all'art. 53 Cost., come specificazione del fondamentale principio di uguaglianza di cui all'art. 3 Cost.», si riconduce a un «giudizio sull'uso ragionevole, o meno, che il legislatore stesso abbia fatto dei suoi poteri discrezionali in materia tributaria, al fine di verificare la coerenza interna della struttura dell'imposta con il suo presupposto economico» (sentenza n. 116 del 2013; ma anche, ex plurimis, sentenze n. 10 del 2015, n. 223 del 2012, n. 111 del 1997, nonche', in senso analogo, gia' sentenza n. 42 del 1980). Quindi, con riferimento all'IRES, una volta che il legislatore nella sua discrezionalita' abbia identificato il presupposto nel possesso del «reddito complessivo netto», scegliendo di privilegiare tra diverse opzioni quella della determinazione analitica del reddito, non puo', senza rompere un vincolo di coerenza, rendere indeducibile un costo fiscale chiaramente e interamente inerente. Quanto precede e' ampiamente sufficiente per l'accoglimento delle questioni di legittimita' costituzionale sollevate in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost. Tuttavia non e' inopportuno sottolineare, altresi', che la rottura del vincolo di coerenza interna comporta effetti concreti di distorsione fiscale, determinando numerose irragionevoli conseguenze, alcune delle quali evidenziate dallo stesso rimettente nel prospettare altri profili di illegittimita' costituzionale. Nel caso in esame, ad esempio, il mancato riconoscimento della deducibilita' si riflette in un aggravio del tributo sui redditi causato soltanto dalla misura dell'IMU (divenuta, come si e' visto particolarmente incidente per le imprese), che potrebbe, di fatto, azzerare lo stesso reddito netto o che paradossalmente potrebbe, in via di diritto, essere incrementata esponenzialmente dal legislatore con il solo limite della capacita' contributiva desumibile dall'imposta indeducibile. Senza che si dia luogo a un fenomeno di doppia imposizione giuridica (perche' i presupposti di IMU e IRES sono diversi), rimane comunque fermo che in tal modo l'entita' del prelievo IRES subito da ciascun soggetto risulta in realta' irragionevolmente determinata da un indice di capacita' contributiva riferito a un presupposto diverso dal reddito netto. Altra conseguenza della rottura del principio di coerenza e', nel caso di specie, l'indebita penalizzazione, rilevata dal rimettente, di quelle imprese che abbiano scelto (opzione non certo biasimabile, perche' funzionale alla solidita' dell'azienda) di investire gli utili nell'acquisto della proprieta' degli immobili strumentali rispetto a quelle che svolgono la propria attivita' utilizzando immobili in locazione: solo queste ultime possono infatti dedurre tutti i costi (i relativi canoni), non essendo soggette, come invece le prime, all'IMU (indeducibile). 3.3.- Va precisato che quanto detto non esclude in assoluto che il legislatore possa prevedere limiti alla deducibilita' dei costi, anche se effettivamente sostenuti nell'ambito di un'attivita' d'impresa; tuttavia forme di deducibilita' parziale o forfetaria si devono giustificare in termini di proporzionalita' e ragionevolezza, come ad esempio al fine di: a) evitare indebite deduzioni di spese di dubbia inerenza; b) evitare ingenti costi di accertamento; c) prevenire fenomeni di evasione o elusione. Si tratta di deroghe che rispondono a esigenze di tutela dell'interesse fiscale (non immediatamente rinvenibili nel caso in esame, che concerne beni immobili, ovvero i cosiddetti "beni al sole", difficilmente sfruttabili per manovre evasive, elusive o erosive) o che possono rispondere anche a finalita' extrafiscali, ma sempre riferibili a specifici valori costituzionali, come, ad esempio, nel caso dell'indeducibilita' dei costi da reato al fine di penalizzare condotte disapprovate dall'ordinamento. Fuori da queste ipotesi le deroghe stentano a trovare adeguata ragione giustificatrice: alla mera esigenza di gettito, in particolare, il legislatore e' tenuto a rispondere in modo trasparente, aumentando l'aliquota dell'imposta principale, non attraverso incoerenti manovre sulla deducibilita', che si risolvono in discriminatori, sommersi e rilevanti incrementi della base imponibile a danno solo di alcuni contribuenti. Rimarcando il valore della inderogabilita' del dovere tributario, questa Corte, ha del resto precisato che tale «qualifica, tuttavia, dato il contesto sistematico in cui si colloca, si giustifica solo nella misura in cui il sistema tributario rimanga saldamente ancorato al complesso dei principi e dei relativi bilanciamenti che la Costituzione prevede e consente, tra cui, appunto, il rispetto del principio di capacita' contributiva (art. 53 Cost.). [S]icche' quando il legislatore disattende tali condizioni, si allontana dalle altissime ragioni di civilta' giuridica che fondano il dovere tributario: in queste ipotesi si determina un'alterazione del rapporto tributario, con gravi conseguenze in termini di disorientamento non solo dello stesso sviluppo dell'ordinamento, ma anche del relativo contesto sociale» (sentenza n. 288 del 2019). 3.4.- Nemmeno puo' porsi a giustificazione della integrale indeducibilita' disposta dalla norma censurata quanto asserito dalla difesa erariale sul carattere di «misura eccezionale e temporanea, per il solo anno 2012» che essa rivestirebbe, giustificata dalla «grave crisi economica che il Paese stava attraversando» e che aveva determinato il legislatore ad anticipare l'introduzione dell'IMU proprio a tale anno. Non solo questa Corte ha gia' precisato che di per se' «la temporaneita' dell'imposizione non costituisce un argomento sufficiente a fornire giustificazione a un'imposta, che potrebbe comunque risultare disarticolata dai principi costituzionali» (sentenza n. 288 del 2019), ma tale carattere non e' nemmeno propriamente riferibile - come osserva la parte privata - alla norma censurata, nella cui struttura l'integrale indeducibilita' e' stata prevista come permanente e solo accidentalmente, per effetto di discrezionali e successivi interventi del legislatore, e' risultata limitata all'anno 2012. 3.5.- Deve quindi essere dichiarata la illegittimita' costituzionale del censurato art. 14, comma 1, del d.lgs. n. 23 del 2011 nella parte in cui prevede l'indeducibilita' dell'IMU sugli immobili strumentali dall'imponibile delle imposte sui redditi d'impresa. La riscontrata violazione del principio di coerenza e quindi di ragionevolezza ai sensi degli artt. 3 e 53 Cost., rilevata con riguardo alla indeducibilita' dell'IMU sugli immobili strumentali dall'imponibile dell'IRES, infatti non puo' che coinvolgere anche l'indeducibilita' dal reddito d'impresa ai fini dell'IRPEF, poiche' per effetto del rinvio disposto dall'art. 56 TUIR - «[i]l reddito d'impresa e' determinato secondo le disposizioni della sezione I del capo II del titolo II, salvo quanto stabilito nel presente capo» - esso si determina sostanzialmente secondo le regole dell'IRES disposte all'art. 81 e seguenti TUIR. 4.- Infine questa Corte ha valutato se procedere all'estensione d'ufficio in via consequenziale, ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), della suddetta pronuncia di illegittimita' costituzionale alle disposizioni successive a quella censurata e che negli anni hanno previsto una parziale deducibilita' dell'IMU sugli immobili strumentali con riguardo ai redditi di impresa, senza tuttavia disporre l'integrale deducibilita': art. 1, commi 715 e 716, della legge n. 147 del 2013; art. 3, comma 1, del d.l. n. 34 del 2019, convertito, con modificazioni, nella legge n. 58 del 2019; art. 1, commi 4 e 773, della legge n. 160 del 2019, limitatamente alla parte in cui prevede la deducibilita' parziale dell'IMU. Ha ritenuto pero' che non sussistano i presupposti di tale estensibilita'. Nel descritto percorso, infatti, il legislatore (in sostanziale analogia con quanto accaduto nel caso deciso con la sentenza n. 187 del 2016) si e' gradualmente corretto - prendendo atto via, via, di esigenze di equilibrio del bilancio (art. 81 Cost.) - fino a giungere alla virtuosa previsione, certamente non piu' procrastinabile, della totale deducibilita' a partire dal 2022 (secondo quanto oggi previsto dall'art. 1, comma 773, della legge n. 160 del 2019).
per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 14, comma 1, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23 (Disposizioni in materia di federalismo Fiscale Municipale), nel testo anteriore alle modifiche apportate dall'art. 1, comma 715, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilita' 2014)», nella parte in cui dispone che, anche per gli immobili strumentali, l'imposta municipale propria e' indeducibile dalle imposte sui redditi d'impresa. Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 novembre 2020. F.to: Giancarlo CORAGGIO, Presidente Luca ANTONINI, Redattore Filomena PERRONE, Cancelliere Depositata in Cancelleria il 4 dicembre 2020. Il Cancelliere F.to: Filomena PERRONE