N. 177 ORDINANZA (Atto di promovimento) 5 ottobre 2020

Ordinanza del 5 ottobre 2020 del Giudice per le indagini  preliminari
del Tribunale di Ravenna nel procedimento penale a carico di B. R.. 
 
Reati e pene - Sostituzione di pene detentive brevi nel limite di sei
  mesi  -  Determinazione  dell'ammontare  della  pena  pecuniaria  -
  Criteri - Individuazione  del  valore  giornaliero  al  quale  puo'
  essere assoggettato l'imputato, da moltiplicare  per  i  giorni  di
  pena detentiva, che non puo' essere inferiore alla  somma  indicata
  dall'art.   135   del   codice   penale   -   Mancata    previsione
  dell'applicazione dei criteri di ragguaglio di  cui  all'art.  459,
  comma 1-bis, del codice di procedura penale ovvero  dei  meccanismi
  di adeguamento di cui all'art. 133-bis del codice penale. 
- Legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale),  art.
  53, comma 2. 
(GU n.51 del 16-12-2020 )
 
                        TRIBUNALE DI RAVENNA 
                           Ufficio GIP/GUP 
 
    Questo Giudice per le indagini preliminari Tribunale  ritiene  di
sollevare questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  53,
comma 2, della legge 24 novembre 1981, n. 689,  nella  parte  in  cui
prevede che, nel determinare l'ammontare  della  pena  pecuniaria  in
sostituzione della pena detentiva di  durata  sino  a  sei  mesi,  il
giudice  individui  il  valore  giornaliero,a1  quale   puo'   essere
assoggettato  l'imputato,  da  moltiplicare  per  i  giorni  di  pena
detentiva, in un valore giornaliero che  non  puo'  essere  inferiore
alla somma indicata all'art. 135 del  codice  penale,  pari  ad  euro
250,00, anziche' fare applicazione dei criteri di ragguaglio  di  cui
al comma 1-bis dell'art. 459 del codice di  procedura  penale  oppure
potersi avvalere delle facolta' di cui al comma 2  dell'art.  133-bis
del codice penale, per contrasto con gli articoli 3, comma  2  e  27,
comma 3, della Costituzione. 
Rilevanza della questione 
    Il  sig.  B.,  imputato  nel  procedimento  penale  n.  2310/2019
R.G.N.R. e n. 1874/2019 Giudice per le indagini preliminari, ha fatto
opposizione avverso al decreto penale di condanna emesso dal  Giudice
per le indagini preliminari presso il Tribunale di Ravenna in data 24
giugno 2019, chiedendo l'applicazione della pena, ex articoli  444  e
ss, codice procedura penale, con sostituzione della  pena  detentiva,
pari a mesi due, giorni venti di reclusione, in quella pecuniaria, ex
articoli 53 legge n.  689/81  e  135  del  codice  penale,  senza  il
beneficio della sospensione condizionale. 
    La pena finale da applicare all'imputato B., per il reato di  cui
all'art. 22, comma 12, del decreto legislativo n. 286/1998,  ascritto
al medesimo, e', come si e' visto, pari a mesi due,  giorni venti  di
reclusione, oltre ad euro 2.222,22 di multa. 
    Detta pena detentiva dovrebbe  essere  sostituita,  ex  art.  53,
legge n. 689/81, con la pena pecuniaria. 
    L'importo minimo della  pena  pecuniaria  sostitutiva,  dovendosi
fare applicazione dei criteri di ragguaglio di cui all'art.  135  del
codice penale, al quale l'art. 53, comma 2,  della  legge  n.  689/81
rinvia, sara', pertanto, nel caso  di  specie,  complessivamente,  di
euro 22.222,22. 
    Infatti,  la  pena  detentiva  di  mesi  due,   giorni venti   di
reclusione,  pari  a  giorni ottanta  di  reclusione,   deve   essere
sostituita con una pena pecuniaria l'ammontare della quale sara' pari
ad una somma determinata calcolando, come importo minimo  giornaliero
applicabile, tenendo conto delle condizioni economiche dell'imputato,
un valore di euro 250,00 per ciascun  giorno  di  pena  detentiva  da
convertire, somma alla quale andra', poi, aggiunto l'importo di  euro
2.222,22 della multa, determinando, in tal modo, la somma complessiva
di cui sopra, ottenuta applicando, come si e' visto, i criteri minimi
di ragguaglio tra la pena  detentiva  e  quella  pecuniaria  previsti
dalla vigente disciplina di cui agli articoli 53, comma 2,  legge  n.
689/81 e 135 del codice penale. 
    Pertanto, nel  caso  di  specie,  la  questione  di  legittimita'
costituzionale  di  che  trattasi  risulta  indubbiamente  rilevante,
vertendo sull'irrazionalita' della vigente disciplina  normativa  dei
criteri  di  sostituzione  delle  pene  detentive   brevi   in   pene
pecuniarie, per  ritenuta  violazione  dei  principi  di  uguaglianza
sostanziale  e  razionalita'  di  cui  all'art.  3,  comma  2,  della
Costituzione, nonche' della finalita' rieducativa cui  la  pena  deve
sempre  tendere,  sancita  dall'art.  27,  comma   3,   della   legge
fondamentale, come meglio si illustrera' nel prosieguo. 
Non manifesta infondatezza della questione 
    L'art. 53, comma 2,  della  legge  n.  689/81  prevede  che:  «La
sostituzione della pena detentiva ha luogo secondo i criteri indicati
dall'art. 57. Per determinare l'ammontare della  pena  pecuniaria  il
giudice  individua  il  valore  giornaliero  al  quale  puo'   essere
assoggettato l'imputato e lo moltiplica per giorni di pena detentiva.
Nella determinazione dell'ammontare di cui al precedente  periodo  il
giudice  tiene   conto   della   condizione   economica   complessiva
dell'imputato e del suo nucleo familiare. Il valore  giornaliero  non
puo' essere inferiore alla somma indicata dall'art.  135  del  codice
penale e non puo'  superare  di  dieci  volte  tale  ammontare.  Alla
sostituzione della pena detentiva con la pena pecuniaria  si  applica
l'art. 133-ter del codice penale» (comma cosi' sostituito dall'art. 4
della legge n. 134 del 2003). 
    L'art. 135 del codice penale, a sua volta,  stabilisce:  «Quando,
per qualsiasi effetto giuridico, si deve eseguire un  ragguaglio  fra
pene pecuniarie e pene detentive, il computo ha luogo calcolando euro
250, o frazione di euro 250, di pena pecuniaria per un giorno di pena
detentiva». 
    Il rinvio operato dall'art. 53, comma 2, della  legge  n.  689/81
all'art. 135 del  codice  penale,  e'  un  rinvio  inequivocabilmente
«mobile» e, pertanto, in seguito  alla  modifica  della  disposizione
richiamata del codice penale ad opera  dell'art.  3  della  legge  n.
94/2009, che ha innalzato il valore giornaliero minimo di calcolo per
il ragguaglio tra le pene pecuniarie e quelle  detentive,  portandolo
dagli euro 38, o frazione di  euro  38,  agli  attuali  euro  250,  o
frazione di euro 250  di  pena  pecuniaria  per  un  giorno  di  pena
detentiva, attualmente anche una pena detentiva  breve,  come  quella
che si deve applicare nel caso di specie, della durata di  mesi  due,
giorni venti di reclusione, dovra' essere sostituita dal  giudice  in
una  pena  pecuniaria  di  importo  non  inferiore   ad   una   somma
considerevole, nel caso di specie pari  ad  euro  20.000,00,  con  la
conseguenza che il meccanismo in questione e' divenuto assai oneroso,
tanto da essere stato trasformato, di fatto, in un privilegio  per  i
soli  condannati  abbienti.  In  tal  modo,  si  ritiene,  e'   stata
introdotta, nell'ordinamento, una irragionevole  discriminazione,  in
palese  contrasto  con  i  principi  di  uguaglianza  sostanziale   e
ragionevolezza di cui all'art. 3 della Costituzione, ma anche con  la
finalita' rieducativa che la pena, ai sensi dell'art.  27,  comma  3,
della Costituzione, deve sempre avere. 
    D'altro canto, la stessa Corte costituzionale, chiamata,  con  la
sentenza  dell'11  febbraio  2020,  n.  15,  a   pronunciarsi   sulla
legittimita'  costituzionale  dell'art.  135  del  codice  penale,  a
seguito della questione sollevata dal Tribunale ordinario di Firenze,
sezione terza  penale,  con  ordinanza  del  27  novembre  2018,  pur
dichiarando inammissibile la  questione  posta,  in  motivazione,  ha
rilevato come: «Il problema che fa da sfondo alle questioni sollevate
e', invero, reale. 
    L'art. 53, comma 2, della legge n. 689 del 1981, nel prevedere la
possibilita' di sostituzione della pena detentiva nel limite dei  sei
mesi con la pena pecuniaria,  stabilisce,  tra  l'altro,  che  «[p]er
determinare l'ammontare della pena pecuniaria il giudice individua il
valore giornaliero al quale puo' essere assoggettato l'imputato e  lo
moltiplica per i  giorni  di  pena  detentiva.  Nella  determinazione
dell'ammontare di cui al precedente periodo il  giudice  tiene  conto
della condizione economica complessiva dell'imputato e del suo nucleo
familiare. Il valore giornaliero non puo' essere inferiore alla somma
indicata dall'art. 135 del codice penale e non puo' superare di dieci
volte tale ammontare». 
    Ora, il tasso di ragguaglio previsto  dall'art.  135  del  codice
penale - gia' fissato dall'art. 1 della legge 5 ottobre 1993, n.  402
(Modifica dell'articolo 135 del codice penale:  ragguaglio  fra  pene
pecuniarie e pene detentive), in 75.000 lire per ogni giorno di  pena
detentiva, poi convertite in 38 euro - e' stato innalzato a 250  euro
giornalieri  per  effetto  della  legge  15  luglio   2009,   n.   94
(Disposizioni in materia di sicurezza pubblica). 
    Tale aumento ha fatto si' che - in forza  del  richiamo  all'art.
135 del codice penale contenuto nell'art. 53 della legge n.  689  del
1981,, pacificamente considerato quale rinvio «mobile»  -  il  valore
giornaliero  minimo  della  pena  pecuniaria  sostituita  alla   pena
detentiva sia attualmente pari a 250  euro.  Il  risultato  e'  stato
quello di rendere eccessivamente onerosa, per  molti  condannati,  la
sostituzione della pena pecuniaria, sol che si pensi che ad esempio -
il minimo legale della reclusione, fissato dall'art.  23  del  codice
penale in quindici giorni, deve oggi essere sostituito in  una  multa
di  almeno  3.750  euro,  mentre  la  sostituzione  di  sei  mesi  di
reclusione (pari al limite massimo entro il  quale  puo'  operare  il
meccanismo previsto dall'art. 53, comma 2, della  legge  n.  689  del
1981,) da' a luogo a una multa non inferiore a 45.000 euro. 
    Cio' ha determinato, nella prassi, una drastica compressione  del
ricorso alla sostituzione della pena pecuniaria, che pure  era  stata
concepita dal legislatore del 1981, - in piena sintonia con la logica
dell'art.  27,  terzo  comma,  della  Costituzione  -  come  prezioso
strumento destinato a evitare a chi sia stato  ritenuto  responsabile
di reati di modesta gravita' di scontare pene detentive troppo  brevi
perche' possa essere impostato un reale  percorso  trattamentale,  ma
gia' sufficienti a  produrre  i  gravi  effetti  di  lacerazione  del
tessuto familiare, sociale e lavorativo,  che  il  solo  ingresso  in
carcere  solitamente  produce.  Con   il   conseguente   rischio   di
trasformare la sostituzione della pena pecuniaria  in  un  privilegio
per i soli condannati  abbienti:  cio'  che  appare  di  problematica
compatibilita' con l'art. 3, secondo comma,  della  Costituzione,  il
cui centrale rilievo nella commisurazione della  pena  pecuniaria  e'
stato da tempo sottolineato  dalla  giurisprudenza  di  questa  Corte
(sentenza n. 131 del 1979). 
    E, ancora: «Le considerazioni poc'anzi svolte inducono,  comunque
questa Corte a formulare l'auspicio che il legislatore  intervenga  a
porre rimedio alle incongruenze evidenziate (supra, 2.1.); nel quadro
di un complessivo intervento -  la  cui  stringente  opportunita'  e'
stata anche di recente segnalata (sentenza n. 279 del 2019) - volto a
restituire effettivita' alla pena pecuniaria,  anche  attraverso  una
revisione degli attuali, farraginosi meccanismi di esecuzione forzata
e di conversione in pene limitative della liberta' personale. E  cio'
nella  consapevolezza  che  soltanto  una   disciplina   della   pena
pecuniaria in grado di garantirne una  commisurazione  da  parte  del
giudice proporzionata tanto  alla  gravita'  del  reato  quanto  alle
condizioni  economiche  del  reo,  e  assieme  di   assicurarne   poi
l'effettiva riscossione, puo' costituire una seria  alternativa  alla
pena detentiva, cosi' come di fatto accade in molti altri ordinamenti
contemporanei». 
    La Corte costituzionale, con la sentenza citata, pur  concludendo
per l'inammissibilita'  della  questione  sollevata,  in  quanto  non
vertente proprio sulla disposizione di cui all'art. 53 della legge n.
689/81, ha colto l'occasione per  evidenziare  come  la  sostituzione
della  pena  detentiva  con  la   pena   pecuniaria   sia   diventata
eccessivamente  onerosa  per  molti  condannati:  basti  pensare,  ad
esempio, che il minimo legale della reclusione, fissato dall'art.  23
del codice penale in quindici giorni, deve oggi essere sostituito  in
una multa  di  importo  minimo  pari  ad  euro  3.750,00,  mentre  la
sostituzione della pena di mesi sei di  reclusione  (pari  al  limite
massimo entro il quale puo' operare il meccanismo previsto  dall'art.
53, comma 2, della legge n. 689 del 1981,) da' a luogo ad  una  multa
di importo non inferiore ad euro  45.000,00.  Questo  ha  determinato
nella  prassi  -  si  osserva  nella  pronuncia   -   «una   drastica
compressione del ricorso alla sostituzione della pena pecuniaria, che
pure era stata  concepita  dal  legislatore  del  1981,  -  in  piena
sintonia con la logica dell'art. 27, terzo comma, della  Costituzione
- come prezioso  strumento  destinato  a  evitare  a  chi  sia  stato
ritenuto responsabile di reati di modesta gravita' di  scontare  pene
detentive troppo  brevi  perche'  possa  essere  impostato  un  reale
percorso trattamentale,  ma  gia'  sufficienti  a  produrre  i  gravi
effetti di lacerazione del tessuto familiare, sociale  e  lavorativo,
che il solo ingresso in carcere solitamente produce». Non  e'  dunque
affatto peregrino il rischio di «trasformare  la  sostituzione  della
pena pecuniaria in un privilegio per i soli condannati abbienti: cio'
che appare di  problematica  compatibilita'  con  l'art.  3,  secondo
comma,  della   Costituzione,   il   cui   centrale   rilievo   nella
commisurazione della pena pecuniaria e' stato da  tempo  sottolineato
dalla giurisprudenza di questa Corte (sentenza n. 131 del 1979)».  Da
qui, «l'auspicio che il legislatore intervenga a porre  rimedio  alle
incongruenze  evidenziate  [...]  nel  quadro   di   un   complessivo
intervento - la cui stringente opportunita' e' stata anche di recente
segnalata  (sentenza  n.  279  del  2019)  -   volto   a   restituire
effettivita' alla pena pecuniaria,  anche  attraverso  una  revisione
degli attuali, farraginosi meccanismi  di  esecuzione  forzata  e  di
conversione in pene limitative della liberta' personale. 
    Si ritiene, pertanto, che la vigente  disciplina  in  materia  di
sostituzione delle pene detentive brevi con le pene pecuniarie di cui
all'art. 53, comma 2, della legge n. 689/81, che rimanda  ai  criteri
stabiliti dall'art. 135 del codice penale, sia  in  palese  contrasto
con  i   fondamentali   principi   di   uguaglianza   sostanziale   e
ragionevolezza di  cui  all'art.  3,  comma  2,  della  Costituzione,
nonche' con la finalita' rieducativa cui «le pene», e pertanto  anche
la pena  pecuniaria,  devono  sempre  tendere,  secondo  il  disposto
dell'art. 27, comma 3, della Carta costituzionale. 
    D'altra parte, non e' praticabile, nella materia di che trattasi,
un'interpretazione  della   vigente   disciplina   costituzionalmente
orientata, anche in ragione dell'intervenuta modifica  dell'art.  53,
comma 2, della legge n. 689/81 ad opera dell'art. 4  della  legge  n.
134/2003. La norma, infatti, prima della modifica in questione, nella
parte finale disponeva: «Alla sostituzione della pena  detentiva  con
la pena  pecuniaria  si  applicano  altresi'  gli  articoli  133-bis,
secondo comma, e 133-ter del codice penale». 
    Attualmente, invece, l'art. 53, comma 2, della  legge  n.  689/81
richiama soltanto l'art. 133-ter del codice  penale,  in  materia  di
rateizzazione della pena pecuniaria. 
    L'art. 133-bis, 2° comma, del codice  penale,  che,  prima  della
modifica apportata dall'art. 4 della legge n. 134/2003, si  applicava
in  materia  di  conversione  della  pena  detentiva  breve  in  pena
pecuniaria prevede  che:  «Il  giudice  puo'  aumentare  la  multa  o
l'ammenda stabilite dalla legge sino al triplo o diminuirle  sino  ad
un terzo quando, per le condizioni economiche del reo, ritenga che la
misura massima  sia  inefficace  ovvero  che  la  misura  minima  sia
eccessivamente gravosa». 
    In tal modo era consentito, al giudice,  di  adeguare,  nel  caso
concreto, realmente l'ammontare della pena  pecuniaria  applicata  in
sostituzione di quella detentiva alle condizioni economiche effettive
del reo, potendo aumentarla oppure ridurla sino ad un terzo, nel caso
in cui la misura minima fosse eccessivamente  gravosa,  in  tal  modo
consentendo di rispettare i  criteri  di  uguaglianza  sostanziale  e
ragionevolezza, nonche' il finalismo rieducativo della pena irrogata. 
    Il rinvio all'art. 133-bis del codice penale, tuttavia, come si e
visto, e' stato espunto,  per  cui  il  giudice  non  dispone,  nella
prassi, di uno strumento che gli  consenta  di  adeguare  l'ammontare
della  pena  pecuniaria  da  applicare  alle  condizioni   economiche
effettive del reo. 
    Si ritiene, ancora, che  il  criterio  di  ragionevolezza  ed  il
principio  di   uguaglianza   sostanziale,   oltre   alla   finalita'
rieducativa cui le pene devono sempre tendere  impongano  che,  anche
nel caso di  sostituzione  della  pena  detentiva  breve  con  quella
pecuniaria ai sensi dell'art. 53, comma 2, della legge n. 689/81,  si
faccia applicazione dei medesimi criteri di cui all'art.  459,  comma
1-bis, del codice di procedura penale, dettati in materia di  decreto
penale di condanna, oppure si consenta  al  giudice  di  applicare  i
meccanismi di adeguamento di cui all'art. 133-bis del codice penale; 
 
                              P. Q. M. 
 
    Ritenuta la rilevanza  e  la  non  manifesta  infondatezza  della
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 53, comma 2, della
legge  n.  689/1981,  nella  parte  in  cui  non  prevede  che,   nel
determinare l'ammontare della pena pecuniaria in  sostituzione  della
pena detentiva di durata sino a sei mesi,  il  giudice  individui  il
valore giornaliero al quale puo' essere assoggettato  l'imputato,  da
moltiplicare per i giorni di pena detentiva, in un valore giornaliero
che non puo' essere inferiore alla somma indicata  all'art.  135  del
codice penale, pari ad euro 250,00, anziche'  fare  applicazione  dei
criteri di ragguaglio di cui all'art. 459, comma  1-bis,  del  codice
penale ovvero poter fare applicazione dei meccanismi  di  adeguamento
di cui all'art. 133-bis del codice penale, per ritenuto contrasto con
gli articoli 3, comma 2 e 27, comma 3, della Costituzione. 
        Sospende il presente procedimento nei confronti di B. R. 
        Dispone la trasmissione degli atti alla Corte  costituzionale
affinche',  ove  ne  ravvisi   i   presupposti,   voglia   dichiarare
l'illegittimita' costituzionale  dell'art.  53,  comma  2,  legge  n.
689/1981, nella parte indicata. 
        Dispone  che  la  presente  ordinanza   sia   notificata   al
Presidente del Consiglio dei ministri e sia comunicata ai  Presidenti
della due camere del parlamento. 
        Manda la cancelleria per gli adempimenti 
          Ravenna, 5 ottobre 2020 
 
                          Il Giudice: Bosi