N. 180 ORDINANZA (Atto di promovimento) 10 luglio 2020

Ordinanza  del  10  luglio  2020  del  Tribunale   di   Bergamo   nel
procedimento civile promosso da Edward Linda contro INPS. 
 
Assistenza  e  solidarieta'  sociale  -  Straniero   -   Reddito   di
  cittadinanza - Beneficiari - Requisiti di cittadinanza, residenza e
  soggiorno - Possesso, per i cittadini di Paesi terzi, del  permesso
  di soggiorno UE per soggiornanti  di  lungo  periodo  -  Esclusione
  dall'accesso alla prestazione per  i  titolari  di  permesso  unico
  lavoro, ex art. 5, comma 8.1., del d.lgs. n. 286  del  1998,  o  di
  permesso di soggiorno di almeno un anno, ex art. 41 del  d.lgs.  n.
  286 del 1998. 
- Decreto-legge 28  gennaio  2019,  n.  4  (Disposizioni  urgenti  in
  materia di reddito di cittadinanza e di pensioni), convertito,  con
  modificazioni, nella legge 28 marzo 2019, n. 26, art. 2,  comma  1,
  lettera a). 
(GU n.52 del 23-12-2020 )
 
                        TRIBUNALE DI BERGAMO 
                           Sezione Lavoro 
 
    Il Tribunale di Bergamo, in composizione monocratica  in  persona
del dott. Sergio  Cassia,  in  funzione  di  giudice  del  lavoro,  a
scioglimento della riserva assunta il 9 giugno 2020,  ha  pronunciato
la seguente ordinanza nel procedimento di ex art. 702-bis del  codice
di procedura civile promosso da Edward Linda, con gli avv. A. Guariso
e I. Traina - ricorrente; 
    Contro INPS, con sede a  Roma,  in  persona  del  Presidente  pro
tempore, con gli avv. A. Imparato e F. Collerone - convenuto. 
 
                      Svolgimento del processo 
 
    Con ricorso depositato il 13 gennaio 2020, Edward Linda proponeva
ricorso ex art. 702-bis del  codice  di  procedura  civile  avanti  a
questo tribunale perche' fosse accertato il carattere discriminatorio
del comportamento  dell'INPS  (consistito  nell'avere  impedito  alla
ricorrente di presentare domanda volta all'erogazione del reddito  di
cittadinanza,  in  quanto  straniera  non  titolare  di  permesso  di
soggiorno  UE  per  soggiornanti  di  lungo  periodo  o  titolare  di
protezione internazionale), dando diretta  applicazione  all'art.  12
della direttiva 2011/98/UE o previa  rimessione  della  questione  di
costituzionalita' dell'art. 2, comma 1, lettera a), decreto-legge  n.
4/2019 (convertito con legge n. 26/2019), nella parte in cui  esclude
dalla prestazione del reddito di cittadinanza i titolari di  permesso
unico lavoro ex decreto legislativo  n.  40/2014  o  di  permesso  di
soggiorno di almeno un  anno  ex  art.  41,  decreto  legislativo  n.
286/1998,   con   i   conseguenti   ordini   di   cessazione    della
discriminazione e rimozione degli effetti (ordinando  cioe'  all'INPS
di modificare la procedura di presentazione della domanda on  line  e
condannandolo al pagamento del reddito di cittadinanza, oltre che  al
risarcimento del danno derivante dalla impossibilita' di fruire delle
prestazioni connesse allo stesso). 
    Si costituiva l'INPS, eccependo l'inammissibilita' della  domanda
e comunque contestandone la fondatezza. 
    Il giudice si riservava la decisione. 
 
                       Motivi della decisione 
 
    In fatto, si rileva che: 
        a) la ricorrente, cittadina nigeriana, ha fatto  ingresso  in
Italia nel 1996, e' iscritta all'anagrafe dal  febbraio  2000  ed  e'
titolare del permesso di soggiorno per «attesa  occupazione»  del  12
gennaio 2017, scaduto il 27  marzo  2019,  di  cui  ha  richiesto  il
rinnovo (cfr. docc. 3-5, 13 e 14 Edward); 
        b) in data 7 ottobre 2019, la ricorrente  ha  presentato  via
PEC  domanda  «cartacea»  finalizzata  ad  ottenere  il  reddito   di
cittadinanza; la ricorrente non ha potuto presentare  la  domanda  in
forma telematica, atteso  che  il  sistema  informatico  consente  di
dichiarare di essere cittadino  di  Paese  terzo  solo  spuntando  la
casella relativa  al  possesso  del  permesso  di  soggiorno  UE  per
soggiornanti di  lungo  periodo  o  alla  titolarita'  di  protezione
internazionale (cfr. doc. 8 Edward); 
        c) in data 23 ottobre 2019, l'INPS ha ritenuto  inammissibile
la domanda, in quanto la stessa «va presentata solo ed esclusivamente
online, non e' possibile accettare domande  cartacee»  (cfr.  doc.  9
Edward). 
    La  ricorrente,  premesso  di  possedere  di  tutti  i  requisiti
previsti  dal  decreto-legge  n.  4/2019  (convertito  con  legge  n.
26/2019) per beneficiare del reddito di cittadinanza ad eccezione del
permesso di soggiorno  UE  per  soggiornanti  di  lungo  periodo,  ha
richiesto che il tribunale dichiari il carattere discriminatorio  del
comportamento dell'INPS, dando diretta applicazione all'art. 12 della
direttiva   2011/98/UE   oppure   sollevando    la    questione    di
costituzionalita' dell'art. 2, comma 1, lettera a), decreto-legge  n.
4/2019 (convertito con legge n. 26/2019), nella parte in cui  esclude
dalla prestazione del reddito di cittadinanza i titolari di  permesso
unico lavoro ex decreto legislativo  n.  40/2014  o  di  permesso  di
soggiorno di almeno un  anno  ex  art.  41,  decreto  legislativo  n.
286/1998. 
    L'eccezione di inammissibilita' della domanda e' infondata. 
    L'azione esperita  dalla  ricorrente  nelle  forme  ex  art.  28,
decreto legislativo n. 150/2011 e' un'azione  tipica,  specificamente
prevista  per  dare  ampia  e  flessibile  tutela  nei  confronti  di
qualunque atto discriminatorio  oggettivamente  pregiudizievole,  con
potere giudiziale di adottare, «anche nei  confronti  della  pubblica
amministrazione, ogni  ...  provvedimento  idoneo  a  rimuoverne  gli
effetti». 
    Nel merito,  si  osserva  preliminarmente  che  il  Tribunale  di
Bergamo si e' recentemente pronunciato  in  merito  a  una  questione
analoga (ordinanza dell'1 agosto 2019 nel  procedimento  n.  107/2019
R.G., relativo  al  reddito  di  inclusione),  la  cui  condivisibile
motivazione puo' essere in questa sede richiamata, con le  necessarie
puntualizzazioni. 
    «Ritenuta la straordinaria necessita' e urgenza di prevedere  una
misura ... utile ad assicurare un  livello  minimo  di  sussistenza»,
l'art. 1, decreto-legge n. 4/2019 (convertito con legge  n.  26/2019)
ha istituito, «a decorrere dal mese di aprile  2019,  il  reddito  di
cittadinanza ... quale misura fondamentale  di  politica  attiva  del
lavoro a garanzia del diritto al lavoro, di contrasto alla  poverta',
alla disuguaglianza  e  all'esclusione  sociale,  nonche'  diretta  a
favorire il diritto all'informazione, all'istruzione, alla formazione
e alla cultura attraverso politiche volte  al  sostegno  economico  e
all'inserimento sociale dei soggetti a rischio di emarginazione nella
societa' e  nel  mondo  del  lavoro».  Il  reddito  di  cittadinanza,
prosegue il medesimo art. 1, «costituisce  livello  essenziale  delle
prestazioni nei limiti delle risorse disponibili». 
    L'art. 2, comma 1, decreto-legge n. 4/2019 riconosce  il  reddito
di cittadinanza «ai nuclei familiari in possesso cumulativamente,  al
momento della presentazione della  domanda  e  per  tutta  la  durata
dell'erogazione del beneficio» di alcuni requisiti;  in  particolare,
per quanto interessa in questa sede: 
        a) «con riferimento ai requisiti di cittadinanza, residenza e
soggiorno,  il  componente  richiedente  il  beneficio  deve   essere
cumulativamente: 
          1) in possesso  della  cittadinanza  italiana  o  di  Paesi
facenti parte dell'Unione Europea, ovvero suo familiare, ..., che sia
titolare  del  diritto  di  soggiorno  o  del  diritto  di  soggiorno
permanente, ovvero cittadino di Paesi terzi in possesso del  permesso
di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo; 
          2) residente in Italia per  almeno  10  anni,  di  cui  gli
ultimi due, considerati al momento della presentazione della  domanda
e  per  tutta  la  durata  dell'erogazione  del  beneficio,  in  modo
continuativo»; 
        b) «con riferimento a requisiti reddituali e patrimoniali, il
nucleo familiare deve possedere: 
          1) un valore  dell'Indicatore  della  situazione  economica
equivalente (ISEE), ..., inferiore a  9.360  euro»,  con  particolare
disciplina «nel caso di nuclei familiari con minorenni», 
          determinati valori del patrimonio immobiliare  e  mobiliare
(punti 2 e 3) e 
          «4) un valore del reddito familiare inferiore ad una soglia
di euro 6.000 annui», con determinati incrementi e maggiorazioni; 
        c) infine, il nucleo familiare si deve trovare in  specifiche
condizioni «con riferimento al godimento di beni durevoli». 
    Il beneficio in parola e' poi connesso alla sottoscrizione di  un
«patto per il lavoro» o  di  un  «patto  per  l'inclusione  sociale»,
attraverso i Centri  per  l'Impiego  o  i  servizi  comunali  per  il
contrasto alla poverta', come disciplinati dall'art. 4, decreto-legge
n. 4/2019. 
    Ebbene nel  caso  in  esame  e'  controversa  solo  la  questione
dell'estensione soggettiva del beneficio (atteso  che  la  ricorrente
non e' titolare permesso di soggiorno UE per  soggiornanti  di  lungo
periodo),  mentre  risulta  agli  atti  (e  comunque  non  e'   stato
specificamente contestato  dall'INPS)  il  possesso  da  parte  della
ricorrente  di  tutti  gli  altri  requisiti  previsti  per  il   suo
riconoscimento. 
    Va poi  escluso  che  la  circostanza  che  la  ricorrente  abbia
presentato la domanda in forma cartacea, anziche' in via  telematica,
possa rilevare ai fini del riconoscimento della prestazione,  laddove
ne vengano accertati  i  fatti  costitutivi.  La  strutturazione  del
sistema di ricezione dell'INPS - cui la resistente fatto accesso,  ma
senza poter  concludere  la  procedura  per  l'esistenza  di  vincoli
informatici - risulta esclusivamente imputabile all'Istituto stesso. 
    La questione di legittimita' costituzionale  dell'art.  comma  1,
lettera  a),  decreto-legge  n.  4/2019  (convertito  con  legge   n.
26/2019), nella  parte  in  cui  attribuisce  il  beneficio  ai  soli
cittadini di Paesi terzi in possesso del permesso di soggiorno UE per
soggiornanti di lungo periodo, di cui la ricorrente e' sprovvista, e'
pertanto rilevante. 
    Il reddito di cittadinanza  e'  esplicitamente  qualificato  come
«livello essenziale delle prestazioni», pur nei limiti delle  risorse
disponibili, ed e'  teso  «a  garanzia  del  diritto  al  lavoro,  di
contrasto  alla  poverta',  alla  disuguaglianza   e   all'esclusione
sociale», con misure «sostegno economico e  ...  inserimento  sociale
dei soggetti a rischio di emarginazione nella societa'  e  nel  mondo
del lavoro». 
    Tale beneficio  e'  pertanto  evidentemente  finalizzato  a  dare
attuazione ai fondamentali  compiti  della  Repubblica  di  cui  agli
articoli 2  e  3  della  Costituzione,  proponendosi  di  assicurare,
mediante  l'intervento  della  solidarieta'  economica,  un  «livello
minimo di sussistenza» e  la  concreta  possibilita'  di  svolgimento
della  personalita'  nelle  formazioni  sociali  (in  primis,  quella
lavorativa, fondamento della Repubblica), rimuovendo gli ostacoli  di
ordine economico e sociale (in primis, le condizioni di  poverta'  ed
emarginazione  sociale)  che  impediscono  il  pieno  sviluppo  della
persona umana. 
    In tema di diritti  essenziali,  la  Corte  costituzionale  (cfr.
sentenza n. 187/2010 e la giurisprudenza della  CGUE  richiamata)  ha
affermato che la valutazione  in  termini  di  «essenzialita'»  della
prestazione deve essere effettuata «alla  luce  della  configurazione
normativa e della funzione sociale che questa e' chiamata a  svolgere
nel sistema», verificando se «integri o meno un rimedio destinato  il
concreto soddisfacimento dei "bisogni primari" inerenti  alla  stessa
sfera di tutela della persona umana, che e' compito della  Repubblica
promuovere e salvaguardare; rimedio costituente, dunque,  un  diritto
fondamentale,  perche'  garanzia  per  la  stessa  sopravvivenza  del
soggetto.  ...  Ove,  pertanto,  si  versi  in  tema  di  provvidenza
destinata a far fronte al "sostentamento"  della  persona,  qualsiasi
discrimine tra cittadini e  stranieri  regolarmente  soggiornati  nel
territorio dello Stato, fondato su requisiti diversi dalle condizioni
soggettive, finirebbe per risultare in  contrasto  con  il  principio
sancito dall'art. 14 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo,
avuto riguardo alla  relativa  lettura  che  ...  e'  stata  in  piu'
circostanze offerta dalla Corte di Strasburgo». 
    Ebbene, se il reddito di cittadinanza e' riconducibile nell'alveo
dei diritti essenziali  -  come  appare  esserlo,  in  ragione  delle
esplicite qualificazioni e  finalita'  attribuite  dalla  legge  alla
prestazione, sopra richiamate - la scelta di  introdurre  particolari
condizioni soggettive (in particolare, il possesso  del  permesso  di
soggiorno UE di lungo periodo) appare in contrasto con i principi  ex
art. 2 e 3 della Costituzione (anche  nelle  specifiche  forme  della
tutela della famiglia  e  del  lavoro  ex  articoli  31  e  38  della
Costituzione), nonche' dell'art. 117, comma 1 della Costituzione,  in
relazione all'art. 14 CEDU e agli articoli 20 e 21  della  Carta  dei
diritti fondamentali dell'Unione  Europea  in  tema  di  principi  di
eguaglianza e di non discriminazione. 
    In ogni caso, se anche il reddito di cittadinanza fosse  ritenuto
una  prestazione  estranea  al  nucleo  dei  diritti  essenziali,  la
limitazione  soggettiva   dell'art.   2,   comma   1,   lettera   a),
decreto-legge n. 4/2019 appare ancora  una  volta  in  contrasto  con
l'art. 3 della Costituzione per irragionevolezza. 
    Infatti, se  e'  vero  che  il  legislatore  puo'  legittimamente
decidere di circoscrivere la platea dei  beneficiari  di  determinate
prestazioni  sociali,  l'eventuale  limitazione  «deve   pur   sempre
rispondere  al  principio  di  ragionevolezza   ex   art.   3   della
Costituzione»  e  «tale  principio  puo'  ritenersi  rispettato  solo
qualora esista una "causa normativa" della differenziazione, che  sia
giustificata dal una ragionevole correlazione tra la conduzione a cui
e' subordinata l'attribuzione del beneficio  e  gli  altri  peculiari
requisiti che ne condizionano il riconoscimento e ne  definiscono  la
ratio. ... Una simile ragionevole causa normativa  puo'  in  astratto
consistere nella richiesta di un titolo che dimostri il carattere non
episodico o di breve durata della  permanenza  sul  territorio  dello
Stato: anche  in  questi  casi,  peraltro,  occorre  pur  sempre  che
sussista  una  ragionevole  correlazione  tra  la  richiesta   e   le
situazioni di bisogno o di disagio, in vista delle quali  le  singole
prestazioni sono state previste» (cfr. Corte costituzionale, sentenza
n. 166/2018). 
    Nel caso in esame, l'esclusione dei cittadini di Paesi terzi  che
- come la ricorrente - siano in possesso dei requisiti di residenza e
di un permesso di soggiorno, ma sprovvisti  di  quello  UE  di  lungo
periodo (il quale, ai  sensi  dell'art.  9,  decreto  legislativo  n.
286/1998, richiede la disponibilita'  di  un  reddito  non  inferiore
all'assegno sociale, pari nel 2019 e euro  5.889,  oltre  che  di  un
alloggio),  finisce  per  penalizzare  -  senza  alcuna  apprezzabile
ragione e anzi  in  aperto  contrasto  con  l'intento  legislativo  -
proprio i nuclei familiari piu' bisognosi (come del resto evidenziato
dai dati statistici allegati dalla ricorrente a pag. 7  del  ricorso,
non contestati dall'INPS). 
    Valgono in  tema  di  apparente  contrasto  con  l'art.  3  della
Costituzione  gli  argomenti  recentemente  svolti  dalla  Corte   di
Cassazione nell'ordinanza  di  rimessione  n.  16164/19  (cfr.  punti
16-21), relativa all'art. 1,  comma  125,  legge  n.  190/2014;  tale
disposizione ha escluso dalla prestazione i nati o gli  adottati  tra
l'1 gennaio  2012  e  il  31  dicembre  2017  da  genitori  cittadini
extracomunitari legalmente residenti in  Italia  in  base  ad  idoneo
permesso di soggiorno  e  lavoro  e  che  fruiscono  di  redditi  non
superiori a determinate soglie, ma che siano sprovvisti del  permesso
di soggiorno UE di lungo periodo. 
    La Corte di Cassazione ha rilevato che «pare in contrasto con  il
principio della ragionevolezza ... escludere  dalla  ...  prestazione
sociale, rilevante perche' a contenuto economico, intere categorie di
soggetti, selezionati non in  base  all'entita'  o  alla  natura  del
bisogno, ma ad un criterio privo di  ogni  collegamento  con  questo,
quale la titolarita' del permesso di lungo soggiorno  che  presuppone
una durata pregressa della residenza almeno quinquennale, un  reddito
comunque almeno pari all'importo dell'assegno  sociale,  un  alloggio
idoneo e la conoscenza della lingua italiana: determinando, con cio',
l'esclusione di  chi  si  trova  in  situazione  di  maggior  bisogno
rispetto a tale categoria e disparita' di trattamento tra  situazioni
identiche o  analoghe,  con  conseguente  lesione  del  principio  di
eguaglianza». 
    Tanto piu' che la disposizione in quella sede censurata - al pari
quella rilevante nella presente controversia - «non  si  raccorda  in
alcun modo con la  previsione  contenuta  nell'art.  41  del  decreto
legislativo n. 286 del 1998 (disposizione appartenente all'insieme di
norme contenute nel t.u. che l'art.  1,  comma  4,  definisce  "norme
fondamentali di  riforma  economico-sociale  della  Repubblica")  che
riconosce in linea  generale  parita'  di  trattamento,  rispetto  ai
cittadini italiani, in materia di assistenza  sociale,  ai  cittadini
extracomunitari titolari di permesso di soggiorno e di lavoro  validi
per almeno un anno». 
    Va infine considerato, sempre richiamando la Corte di Cassazione,
che non rilevano, «in  senso  contrario,  valutazioni  relative  alla
necessita'  di  limitare  l'erogazione  di  prestazioni   di   natura
economica eccedenti quelle essenziali in  ragione  della  limitatezza
delle risorse disponibili, posto che cio' non esclude "che le  scelte
connesse alla individuazione dei  beneficiari  -  necessariamente  da
circoscrivere in ragione della limitatezza delle risorse  disponibili
- debbano essere operate sempre e comunque in ossequio  al  principio
di ragionevolezza" come statuito da Corte costituzionale  n.  40  del
2001 e n. 432 del 2005». 
    Quanto  infine  alla  questione  relativa  all'applicazione   del
diritto alla  parita'  di  trattamento  sancito  dall'art.  12  della
direttiva 2011/98/UE nel godimento  delle  prestazioni  di  sicurezza
sociale ex reg. CE 883/04 in favore di tutti i titolari  di  permesso
unico lavoro, si osserva che la possibilita' o meno di ricondurre  il
reddito di cittadinanza alle «prestazioni di disoccupazione» ex  art.
3, comma 1, lettera h), reg. CE 883/04 non condiziona la proposizione
della questione di legittimita' costituzionale; sul punto si richiama
quanto gia' affermato nell'ordinanza n.  16164/2019  della  Corte  di
Cassazione ai punti 7-12. 
    Conclusivamente, si deve ritenere rilevante e non  manifestamente
infondata la questione di legittimita'  costituzionale  dell'art.  2,
comma 1, lettera a), decreto-legge n. 4/2019 (convertito con legge n.
26/2019), in relazione agli articoli 2, 3, 31,  38  e  117,  comma  1
della Costituzione (quest'ultimo in relazione all'art. 14 CEDU e agli
articoli 20 e 21 della Carta  dei  diritti  fondamentali  dell'Unione
Europea), nella parte in cui esclude dalla prestazione del reddito di
cittadinanza i titolari di permesso unico lavoro  ex  art.  5,  comma
8.1, decreto legislativo n. 286/1998 o di permesso  di  soggiorno  di
almeno un anno ex art. 41, decreto legislativo n. 286/1998. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Il Tribunale di Bergamo, in funzione di giudice del lavoro, visti
l'art. 134 della Costituzione, l'art. 1 della legge costituzionale n.
1/1948 e l'art. 23 della legge n. 87/1953, ritenuta rilevante  e  non
manifestamente infondata la questione di legittimita'  costituzionale
dell'art. 2, comma 1, lettera a), decreto-legge n. 4/2019 (convertito
con legge n. 26/2019), in relazione agli articoli 2, 3, 31, 38 e 117,
comma 1 della Costituzione (quest'ultimo  in  relazione  all'art.  14
CEDU e agli articoli 20 e 21 della  Carta  dei  diritti  fondamentali
dell'Unione Europea), nella parte in cui  esclude  dalla  prestazione
del reddito di cittadinanza i titolari di permesso  unico  lavoro  ex
art. 5, comma 8.1, decreto legislativo n. 286/1998 o di  permesso  di
soggiorno di almeno un  anno  ex  art.  41,  decreto  legislativo  n.
286/1998, sospende il giudizio e dispone la trasmissione  degli  atti
alla Corte costituzionale, ordinando che, a cura  della  cancelleria,
l'ordinanza di rimessione alla Corte  costituzionale  sia  notificata
alle parti in causa, al Presidente del Consiglio dei  ministri  e  ai
presidenti delle due Camere del Parlamento. 
        Bergamo, 9 luglio 2020 
 
                    Il Giudice del lavoro: Cassia