N. 181 ORDINANZA (Atto di promovimento) 8 luglio 2020

Ordinanza dell'8 luglio 2020 del Tribunale  amministrativo  regionale
per il Lazio sul ricorso proposto da  Eurodemolizione  2  srl  contro
Roma capitale. 
 
 Ambiente - Norme della Regione Lazio - Funzioni  amministrative  dei
  Comuni - Previsione che sono delegate ai Comuni l'approvazione  dei
  progetti degli impianti  per  lo  smaltimento  ed  il  recupero  di
  determinati  rifiuti  nonche'  la  relativa   autorizzazione   alla
  realizzazione e all'esercizio delle attivita' suindicate. 
-  Legge della  Regione  Lazio  9  luglio  1998,  n.  27  (Disciplina
  regionale della gestione dei rifiuti), art. 6, comma 2, lettere  b)
  e c). 
(GU n.52 del 23-12-2020 )
 
         IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LAZIO 
                           Sezione seconda 
 
    ha pronunciato  la  presente  ordinanza  sul  ricorso  numero  di
registro generale 11632  del  2019,  proposto  da  Eurodemolizioni  2
s.r.l.,  in  persona   del   legale   rappresentante   pro   tempore,
rappresentata e difesa  dall'avvocato  Luca  Zerella,  con  domicilio
digitale in atti e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via
Ulpiano, n. 29; 
    contro  Roma  Capitale,  in  persona  del  Sindaco  pro  tempore,
rappresentata e difesa dall'avvocato Marina Di Luccio, con  domicilio
digitale in atti e domicilio eletto presso  la  sede  dell'Avvocatura
dell'Ente in Roma, via del Tempio di Giove, n. 21; 
    per l'annullamento 
        della determinazione dirigenziale rep. n. QL/930/2019 del  22
luglio 2019 - prot. n. QL/57455/2019 del 22 luglio 2019,  assunta  da
Roma Capitale - Dipartimento tutela  ambientale,  avente  ad  oggetto
«Conclusione negativa del procedimento  di  autorizzazione  ai  sensi
dell'art. 208 del decreto legislativo n. 152  del  3  aprile  2006  e
successive   modificazioni   ed   integrazioni per   l'impianto    di
"Eurodemolizioni 2 S.r.l." sito in via di  Torre  Spaccata,  n.  113,
Roma»; 
        della  determinazione  dirigenziale  di   Roma   Capitale   -
Dipartimento  tutela  ambientale  rep.  n.  QL/299/2018  -  prot.  n.
QL/13878/2018 del  2  marzo  2018,  con  la  quale  si  richiedeva  a
Eurodemolizioni 2 s.r.l. la presentazione, entro e non  oltre  il  12
aprile 2018, del «progetto definitivo dell'impianto,  completo  della
documentazione  tecnica  che  attesti  la  conformita'  alle  vigenti
disposizioni in materia di  urbanistica,  di  tutela  ambientale,  di
salute e sicurezza sul lavoro e di igiene pubblica da sottoporre alla
conferenza di servizi  ai  sensi  dell'art.  14-bis  della  legge  n.
241/1990», pena la decadenza dell'autorizzazione provvisoria; 
        della nota di Roma Capitale - Dipartimento tutela  ambientale
prot. QL/69117 del 26 settembre 2018, di indizione  della  conferenza
di servizi; 
        della nota di Roma Capitale - Dipartimento tutela  ambientale
prot. QL/77599 del 25 ottobre 2018; 
        della nota di Roma Capitale - Dipartimento tutela  ambientale
prot. QL/77592  del  25  ottobre  2018,  richiamata  nella  decisione
conclusiva della conferenza di  servizi,  mai  trasmessa  e  pertanto
sconosciuta nel contenuto; 
        della nota di Roma Capitale - Dipartimento tutela  ambientale
prot. n. QL/91768 del 10 dicembre 2018; 
        del verbale  di  riunione  della  conferenza  di  servizi  in
modalita' sincrona  del  4  febbraio  2019  del  Dipartimento  tutela
ambientale di Roma Capitale; 
        del  parere  del  Dipartimento  programmazione  e  attuazione
urbanistica prot. n. QL/14004 del 2 gennaio 2019; 
        del parere dell'A.R.P.A. Lazio reso con nota prot.  5892  del
30 gennaio 2019; 
        del  parere  espresso  dalla  Citta'  Metropolitana  di  Roma
Capitale prot. n. 18043/2019; 
        del parere dell'Autorita' di Bacino, reso con note  prot.  n.
4713 del 1° agosto 2018 e prot. n. 5148 del 5 settembre 2018; 
        del parere della Regione Lazio n. 474446 del 1° agosto 2018; 
        di  ogni  altro  atto  antecedente,  conseguente  o  comunque
connesso a quelli sopra indicati. 
    Visti il ricorso e i relativi allegati; 
    Visto l'atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale; 
    Visti  l'art.  134  della  Costituzione,  l'art.  1  della  legge
costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 e l'art. 23 della legge 11 marzo
1953, n. 87; 
    Visto l'art. 79 del Codice del processo amministrativo; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Relatore nell'udienza  pubblica  del  giorno  6  maggio  2020  la
dott.ssa Eleonora Monica; 
    1. Con  il  presente  gravame,  la  Eurodemolizioni  2  s.r.l.  -
titolare dell'impianto di  trattamento  rifiuti  pericolosi  (veicoli
fuori uso), sito in Roma alla via Torrespaccata, n. 113 - impugna  la
determinazione  dirigenziale  con  cui  Roma  Capitale  ha   concluso
negativamente la conferenza di servizi decisoria indetta ai fini  del
rilascio in suo favore dell'autorizzazione ex art.  208  del  decreto
legislativo n. 152/2006, «con  effetto  di  rigetto»  della  relativa
istanza  da  costei  avanzata  in   relazione   a   detto   impianto,
contestualmente richiedendole «la presentazione ... di una  revisione
del progetto definitivo dell'impianto che risponda alle  prescrizioni
della Conferenza di servizi,  attivando  anche,  ove  necessario,  le
procedure di valutazione di assoggettabilita' a VIA presso  gli  enti
competenti»,  nonche'  la  determinazione  di  indiziane   di   detta
conferenza ed i pareri negativi ivi espressi dagli enti coinvolti. 
    La societa' ricorrente - nel premettere di aver  fino  ad  allora
esercitato la relativa attivita' di autodemolizione in forza  di  una
relativa autorizzazione provvisoria - impugna tali atti, chiedendo al
Collegio, in via principale, di sollevare questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 6, comma 2, della legge della Regione  Lazio
n. 27/1998, nella parte  in  cui  statuisce  che  «Sono  delegate  ai
comuni: (..) b) l'approvazione dei progetti  degli  impianti  per  lo
smaltimento ed il recupero dei rifiuti provenienti dalla  demolizione
degli  autoveicoli  a  motore  e  rimorchi,  dalla  rottamazione  dei
macchinari e delle  apparecchiature  deteriorati  ed  obsoleti  e  la
relativa autorizzazione alla realizzazione  degli  impianti,  nonche'
l'approvazione dei progetti  di  varianti  sostanziali  in  corso  di
esercizio  e  la  relativa  autorizzazione  alla  realizzazione;   c)
l'autorizzazione  all'esercizio  delle  attivita'  di  smaltimento  e
recupero dei rifiuti di  cui  alle  lettere  a)  e  b)»,  perche'  la
predetta disposizione sarebbe in contrasto con l'art. 117,  comma  2,
lettera s), della Costituzione, come  sostituito  dall'art.  3  della
legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 - ai sensi del  quale  «Lo
Stato ha legislazione esclusiva nella seguenti materie: ... (tra cui)
tutela  dell'ambiente,  dell'ecosistema  e  dei  beni  culturali»  in
relazione agli articoli 196, comma 1, lettera d) ed  e),  e  208  del
decreto legislativo n. 152/2006  (c.d.  «Codice  dell'ambiente»),  di
attribuzione alle regioni di tali competenze. 
    In  particolare,  parte  ricorrente  prospetta   un   dubbio   di
legittimita'  costituzionale   della   previsione,   da   parte   del
legislatore  regionale,  di  un  modello   di   distribuzione   delle
competenze decisionali  che  individua  nel  Comune  territorialmente
competente l'ente al quale e' assegnata la cura dei  procedimenti  di
approvazione dei progetti e di  autorizzazione  dell'attivita'  degli
«impianti per lo smaltimento ed il recupero dei  rifiuti  provenienti
dalla demolizione  degli  autoveicoli  a  motore  e  rimorchi,  dalla
rottamazione dei macchinari e delle  apparecchiature  deteriorati  ed
obsoleti», stabilendo, invece, il legislatore nazionale  -  al  quale
spetta  in  via  esclusiva  disciplinare  la  materia  della  «tutela
dell'ambiente e dell'ecosistema» - che rientri tra  i  compiti  della
regione  quello  di  approvare  i  progetti  e  di   autorizzare   la
realizzazione e la gestione dei nuovi impianti di  smaltimento  e  di
recupero dei rifiuti, anche pericolosi. 
    Sostiene, dunque, la societa'  come,  in  ragione  dell'«assoluta
inderogabilita' da parte della legislazione regionale  del  principio
espresso dall'art. 117 della Costituzione sulla materia della  tutela
dell'ambiente», sarebbe precluso alle regioni allocare ad un  diverso
livello amministrativo le  suddette  funzioni,  come  affermato,  con
riferimento ad analoghe leggi regionali, dalla  Corte  costituzionale
nelle richiamate pronunce n. 187/2011 e n. 159/2012 (primo motivo  di
ricorso). 
    Ferma restando tale  (pregiudiziale)  questione  di  legittimita'
costituzionale, la  ricorrente  formula,  poi,  nei  confronti  della
gravata determinazione di rigetto una serie di altre censure,  quali,
in particolare: 
        a) l'incompetenza  assoluta  di  Roma  Capitale  al  rilascio
dell'autorizzazione richiesta, in relazione ai citati articoli 196  e
208 del decreto legislativo n. 152/2006, sostenendo come il contrasto
tra la delega ai comuni stabilita all'art. 6, comma 2, lettere  b)  e
c), della legge  regionale  n.  27/1998  e  la  successiva  normativa
nazionale di cui ai citati articoli 196, comma 1, lettere d) ed e), e
208 del Codice dell'ambiente (di attribuzione invece, delle  medesime
funzioni alle regioni) sarebbe in tesi risolvibile - in ossequio agli
ordinari criteri che regolano i rapporti tra norme che  si  succedono
nel tempo  -  in  favore  della  posteriore  normativa  statale,  con
conseguente nullita' di tutti i provvedimenti  impugnati  in  ragione
della «inapplicabilita' ed irrilevanza  della  delega»  di  cui  alle
preesistenti disposizioni regionali, in applicazione delle quali tali
atti risultano essere stati adottati (secondo motivo di ricorso); 
        b) l'illogicita' e  contraddittorieta'  della  determinazione
dirigenziale   di    «conclusione    negativa»    del    procedimento
autorizzativo,  in  particolare  evidenziandosi   come   la   dedotta
illegittimita'    delle    preesistenze    edilizie    cosi'     come
l'incompatibilita'  urbanistica  (entrambe  poste  a  fondamento  del
diniego impugnato) non costituirebbero elemento ostativo al  rilascio
dell'autorizzazione     richiesta,     potendo      l'amministrazione
condizionarne il rilascio al  rispetto  di  determinate  prescrizioni
edilizie o all'esito del procedimento di  condono  nonche'  procedere
alla necessaria variante urbanistica (punto 3.1 del ricorso); 
        c)  la   violazione   degli   articoli   14-bis   (conferenza
semplificata)  e  14-ter  (conferenza  simultanea)  della  legge   n.
241/1990, in relazione sia ai termini perentori di durata massima ivi
previsti  che  al  termine  entro   il   quale   le   amministrazioni
partecipanti  avrebbero  dovuto  rendere  le  loro  valutazioni,  con
conseguente  pretesa  formazione  di  un  provvedimento   tacito   di
silenzio-assenso per quanto riguarda: i) il parere  del  Dipartimento
programmazione e attuazione urbanistica  prot.  n.  QL/14004  del  25
gennaio 2019, con il quale  si  concludeva  per  la  incompatibilita'
urbanistica del sito e l'impossibilita' di esprimere il parere  sulla
compatibilita' edilizia; ii) il parere  dell'A.R.P.A.  Lazio  di  cui
alla nota prot. 5892 del 30 gennaio 2019; iii) il parere espresso  da
Roma  Capitale,  in  quanto  addirittura  reso  successivamente  alla
riunione simultanea  del  4  febbraio  2019  (punti  3.2  e  3.3  del
ricorso); 
        d) la violazione dell'art. 10-bis della  legge  n.  241/1990,
per  mancato  preavviso  di  conclusione  negativa  (punto  3.4   del
ricorso); 
        e) la violazione degli articoli 14-bis e 14-ter  della  legge
n. 241/1990, assumendo l'illegittimita'  del  provvedimento  con  cui
l'amministrazione procedente, al fine di recuperare i propri ritardi,
ha disposto la proroga dei termini per la trasmissione dei pareri  di
competenza, mediante l'assegnazione di un termine superiore a  quello
previsto dall'art. 14-bis, attesa la carenza di un siffatto potere di
proroga, sospensione e/o interruzione degli stessi (quarto motivo); 
        f) (in via  subordinata)  la  violazione  dell'art.  208  del
decreto  legislativo  n.  152/2006  per  mancata   designazione   del
responsabile del procedimento ai sensi del comma 3 e mancato rispetto
dei termini previsti sia per  la  convocazione  della  conferenza  di
servizi (comma 3) sia per la conclusione dell'istruttoria (comma  8),
nonche' per difetto  di  motivazione  (quinto  ed  ultimo  motivo  di
ricorso). 
    Roma Capitale si costituiva in giudizio, contestando il ricorso e
chiedendone il  rigetto,  senza  nulla  argomentare  in  merito  alla
dedotta questione di illegittimita'  costituzionale  della  normativa
regionale. 
    In prossimita'  dell'udienza  pubblica,  le  parti  depositavano,
infine, brevi note ai sensi dell'art. 84, comma 5, del  decreto-legge
17 marzo 2020, n. 18, in cui ciascuna brevemente ribadiva le  proprie
difese. 
    All'udienza del 6  maggio  2020  la  causa  passava,  dunque,  in
decisione. 
    2. Il Collegio condivide i dubbi di  legittimita'  costituzionale
prospettati  dalla  ricorrente  con  il  primo  motivo  di   ricorso,
ritenendo  rilevante  ai  fini   della   decisione   della   presente
controversia e non manifestamente infondata  la  questione  attinente
alla compatibilita' dell'art. 6, comma 2, lettere b) e c) della legge
della Regione Lazio 9 luglio 1998,  n.  27,  recante  la  «Disciplina
regionale dei rifiuti» - come modificata per effetto della successiva
legge regionale 5 dicembre 2006, n. 23 - con  l'art.  117,  comma  2,
lettera s), della Costituzione, come  sostituito  dall'art.  3  della
legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3. 
    3. Per cio'  che  attiene  alla  rilevanza  della  questione  nel
presente  giudizio,  osserva  il  Collegio  come  la   questione   di
legittimita'  costituzionale  dell'art.   6   citato   debba   essere
affrontata in via prioritaria rispetto a tutte le  ulteriori  censure
articolate dedotte dalla ricorrente. 
    Anche  a  prescindere  dalla  chiara  graduazione  delle  censure
formulate, operata dal ricorrente e diretta ad attribuire un  profilo
prioritario    alla    prospettata    questione    di    legittimita'
costituzionale, la stessa assume carattere pregiudiziale  in  ragione
della tipologia del vizio di legittimita' ad  essa  sotteso,  vale  a
dire la compatibilita' della norma attributiva del potere  esercitato
da Roma Capitale con la Carta costituzionale e, quindi, la competenza
dell'amministrazione capitolina ad adottare gli atti  impugnati,  con
la logica conseguenza che il suo positivo scrutinio  da  parte  della
Consulta implicherebbe necessariamente l'accoglimento del ricorso per
tale profilo, con assorbimento di ogni altra censura formulata. 
    In tal  senso,  del  resto  depone  anche  quanto  affermato  dal
Consiglio di Stato nell'Adunanza plenaria n. 5/2015, secondo la quale
lo stesso potere del ricorrente  di  graduare  i  motivi  di  ricorso
incontra un limite nel vizio di incompetenza poiche' «se il potere e'
stato esercitato da un'autorita' incompetente, il giudice  sul  piano
logico non puo' fare altro che rilevare il vizio di incompetenza,  ma
non puo' dettare le  regole  dell'azione  amministrativa,  posto  che
l'azione amministrativa non e' ancora  stata  esercitata  dall'organo
preposto»  e  «l'accoglimento  del  ricorso  giurisdizionale  per  la
riconosciuta  sussistenza  del   vizio   di   incompetenza   comporta
l'assorbimento degli ulteriori motivi di impugnazione, in  quanto  la
valutazione del merito  della  controversia  si  risolverebbe  in  un
giudizio meramente ipotetico sull'ulteriore attivita'  amministrativa
dell'organo competente,  cui  spetta  l'effettiva  valutazione  della
vicenda e  che  potrebbe  emanare,  o  non,  l'atto  in  questione  e
comunque, provvedere con un contenuto diverso».  L'Adunanza  plenaria
ha ritenuto, infatti, che «nonostante sia  formalmente  scomparsa  la
previsione dell'art. 26, comma 2, legge del Tribunale  amministrativo
regionale, con il  nuovo  c.p.a.  i  termini  del  dibattito  restano
invariati e, anzi, si amplia il novero dei vizi che impediscono  alla
parte  di  graduare  ad  libitum  i  relativi  motivi,  a  tal   fine
richiamando il disposto dell'art. 34, comma 2, c.p.a., ai  sensi  del
quale «in nessun caso il giudice puo' pronunciare con  riferimento  a
poteri amministrativi non ancora esercitati». 
    4. Ne' la questione di legittimita' costituzionale  dell'art.  6,
comma 2, lettere b) e c),  della  legge  regionale  n.  27/1998  puo'
ritenersi recessiva rispetto al secondo  motivo  di  ricorso  con  il
quale parte ricorrente sostiene che la prospettata antinomia  tra  la
suddetta norma regionale di delega delle  funzioni  autorizzative  ai
comuni e la successiva normativa nazionale di cui agli articoli  196,
comma  1,  lettere  d)  ed  e),  e  208  del  Codice   dell'ambiente,
attributivi delle medesime funzioni alle  regioni,  sarebbe  in  tesi
risolvibile  in  ossequio  all'ordinario  criterio   secondo   cuilex
posterior derogat priori, con conseguente  «cessazione  di  efficacia
della norma precedente» e «inapplicabilita' ed irrilevanza (nel  caso
di  specie)  della  delega  prevista  dall'art.  6,  comma  2,  legge
regionale n. 27/1998». 
    Al  riguardo  il  Collegio  osserva  che   la   legge   regionale
applicabile alla controversia in esame,  per  quanto  anteriore  alla
riforma del Titolo V della Costituzione e al Codice dell'ambiente, e'
stata oggetto di intervento ad opera del legislatore  regionale  che,
con la legge n. 23 del 5 dicembre 2006, «nelle more  della  revisione
organica della legge regionale  9  luglio  1998,  n.  27  (Disciplina
regionale della gestione dei  rifiuti)  e  successive  modifiche,  in
conformita' alle disposizioni del decreto legislativo 3 aprile  2006,
n. 152 (Norme in  materia  ambientale),  ...  (ha)  apportat(o)  alla
suddetta  legge  regionale  specifiche  modifiche  per  l'adeguamento
dell'assetto organizzativo delle funzioni in materia di bonifica  dei
siti contaminati alle nuove procedure previste  dal  decreto  stesso»
(in tal senso, il relativo art. 1). 
    Ne discende, dunque, che per effetto della  legge  regionale  del
2006 la preesistente legge regionale n. 27/1998 e' stata  convalidata
sul presupposto della compatibilita' delle relative previsioni con il
sopravvenuto  assetto  di  riparto  delle  competenze  definito   dal
legislatore  nazionale  nell'esercizio  della  potesta'   legislativa
esclusiva attribuitagli dall'art. 117, comma  2,  lettera  s),  della
Costituzione. 
    La suddetta convalida, operata dalla legge regionale  n.  23  del
2006, esplica i propri effetti, per quel che qui interessa, anche  in
relazione al piu' volte citato art. 6, comma 2, lettere b)  e  c)  la
cui  efficacia,  pur  in  assenza  di  uno  specifico  intervento  di
adeguamento, risulta confermata, con conseguente applicabilita' della
disposizione  anche  ai  procedimenti  di  autorizzazione  successivi
all'entrata in vigore del Codice dell'ambiente. 
    Il Collegio,  pertanto,  non  ritiene  di  poter  condividere  la
ricostruzione,   proposta   da   parte   ricorrente    dell'implicita
abrogazione della delega  regionale  di  cui  all'art.  6,  comma  2,
lettere b) e c) ad opera del decreto legislativo  n.  152/2006,  alla
luce  della  rammentata  conferma  dell'efficacia   della   normativa
regionale del 1998 per effetto della legge regionale n. 23/2006. 
    A seguito dell'adozione della legge regionale n. 23/2006, non  e'
dunque configurabile nel  caso  di  specie  il  contrasto  tra  norme
giuridiche poste da fonti normative di pari  livello  risolvibile  in
via interpretativa  mediante  l'applicazione  dell'invocato  criterio
cronologico. Spetta, invece, al Collegio dirimere la questione  della
compatibilita' della delega delle funzioni ai comuni,  contenuta  nel
piu' volte citato art. 6, comma 2, lettere b) e c), con i principi di
cui all'art. 117 della Costituzione, che, nell'ambito  del  rinnovato
sistema di riparto delle competenze legislative tra Stato e  regioni,
attribuisce  al  primo  la   competenza   esclusiva   sulla   «tutela
dell'ambiente  e  dell'ecosistema  e   dei   beni   culturali»,   con
conseguente indispensabile scrutinio della Corte Costituzionale sulla
questione. 
    Alla luce  delle  considerazioni  sin  qui  esposte  il  Collegio
ritiene di non  potersi  esimere  dal  sottoporre  alla  Consulta  la
questione di legittimita'  costituzionale  concernente  il  contrasto
dell'art. 6, comma 2, lettere b)  e  c),  della  legge  regionale  n.
27/1998, come modificata dalla legge regionale n. 23/2006, con l'art.
117, comma 2, lettera  s),  della  Costituzione,  laddove  la  stessa
conferisce  ai  comuni  le  funzioni  amministrative  in  materia  di
approvazione dei progetti e di autorizzazione a realizzare e  gestire
nuovi impianti di smaltimento o di recupero di rifiuti. 
    5. Quanto al concorrente profilo della non manifesta infondatezza
della questione, il Collegio ritiene opportuno riepilogare  -  seppur
brevemente - il contesto normativo di riferimento. 
    La Regione Lazio, con l'art. 6, comma 2, lettere b) e  c),  della
legge regionale n. 27/1998, ha delegato ai comuni (per quel  che  qui
interessa)  «l'approvazione  dei  progetti  degli  impianti  per   lo
smaltimento ed il recupero dei rifiuti provenienti dalla  demolizione
degli  autoveicoli  a  motore  e  rimorchi,  dalla  rottamazione  dei
macchinari e delle  apparecchiature  deteriorati  ed  obsoleti  e  la
relativa autorizzazione alla realizzazione  degli  impianti,  nonche'
l'approvazione dei progetti  di  varianti  sostanziali  in  corso  di
esercizio  e  la  relativa  autorizzazione  alla   realizzazione»   e
«l'autorizzazione all'esercizio  delle  attivita'  di  smaltimento  e
recupero dei rifiuti di cui alle lettere a) e b)». 
    A livello nazionale, l'art. 196, comma 1, lettere d)  ed  e)  del
decreto legislativo n. 152/2006 - nel sostituirsi al previgente  art.
19 del decreto legislativo n. 22/1997 - ha  stabilito  che  «Sono  di
competenza delle regioni, nel rispetto dei  principi  previsti  dalla
normativa vigente e dalla parte quarta del presente decreto, ...:  d)
l'approvazione dei progetti di nuovi  impianti  per  la  gestione  di
rifiuti, anche pericolosi, e l'autorizzazione  alle  modifiche  degli
impianti esistenti, fatte salve le competenze statali di cui all'art.
195, comma 1, lettera f), e  di  cui  all'art.  7,  comma  4-bis;  e)
l'autorizzazione all'esercizio  delle  operazioni  di  smaltimento  e
recupero di rifiuti, anche  pericolosi,  fatte  salve  le  competenze
statali di cui all'art. 7, comma 4-bis». 
    Il successivo art. 208, rubricato  «Autorizzazione  unica  per  i
nuovi impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti», ha previsto
che «I soggetti che intendono realizzare e gestire nuovi impianti  di
smaltimento o  di  recupero  di  rifiuti,  anche  pericolosi,  devono
presentare apposita domanda alla regione competente  per  territorio,
allegando il progetto definitivo dell'impianto  e  la  documentazione
tecnica prevista per  la  realizzazione  del  progetto  stesso  dalle
disposizioni vigenti in materia urbanistica, di tutela ambientale, di
salute, di sicurezza sul lavoro e di igiene pubblica. Ove  l'impianto
debba essere sottoposto alla  procedura  di  valutazione  di  impatto
ambientale ai sensi della normativa vigente, alla domanda e' altresi'
allegata la comunicazione del progetto  all'autorita'  competente  ai
predetti ...» (comma 1), stabilendo che «Entro novanta  giorni  dalla
sua  convocazione,  la  Conferenza  di  servizi:  a)   procede   alla
valutazione dei progetti; b) acquisisce e valuta tutti  gli  elementi
relativi  alla  compatibilita'  del  progetto  con  quanto   previsto
dall'art. 177, comma 4; c) acquisisce, ove previsto  dalla  normativa
vigente, la valutazione di compatibilita' ambientale; d) trasmette le
proprie conclusioni con i relativi atti alla regione (comma 4). 
    L'art.  177,  comma  4,  dello  medesimo  Codice   dell'ambiente,
richiamato dal comma 4 del successivo art. 208, afferma, infine,  che
«I rifiuti sono gestiti senza pericolo  per  la  salute  dell'uomo  e
senza usare procedimenti o metodi che potrebbero  recare  pregiudizio
all'ambiente e, in  particolare:  a)  senza  determinare  rischi  per
l'acqua, l'aria, il suolo, nonche' per la fauna e la flora; b)  senza
causare inconvenienti da rumori o  odori;  c)  senza  danneggiare  il
paesaggio e i siti di particolare interesse, tutelati  in  base  alla
normativa vigente». 
    Infine, il  legislatore  regionale  con  la  legge  regionale  n.
23/2006,  in  ragione  del  rinnovato  assetto  organizzativo   delle
funzioni come delineato  nel  decreto  legislativo  n.  152/2006,  ha
apportato alla piu' volte citata legge regionale  n.  27/1998  alcune
specifiche modifiche, confermandone per  il  resto  le  disposizioni,
sulla scorta di  una  valutazione  di  conformita'  delle  stesse  al
sopravvenuto Codice dell'ambiente. 
    6. Cio' posto, il Collegio - ritenuto che l'art.  117,  comma  2,
lettera s), della Costituzione e le norme statali passate in rassegna
confermano che i comuni, nella loro  qualita'  di  enti  esponenziali
della relativa comunita', non sono titolari, in  materia  ambientale,
di  funzioni  amministrative  proprie  -  e'   dell'avviso   che   il
legislatore regionale del Lazio, nel attribuire ai propri  comuni  le
funzioni specificate all'art. 6, comma 2,  lettere  b)  e  c),  della
legge  regionale   n.   27/1998   e   successive   modificazioni   ed
integrazioni, introduca un modello di distribuzione delle  competenze
decisionali  che  viola  la  riserva  della  competenza   legislativa
esclusiva   statale   in   materia   di   tutela   dell'ambiente    e
dell'ecosistema, in quanto contrastante con l'art.  208  del  decreto
legislativo  n.  152/2006  che,  nel  disciplinare  puntualmente   il
procedimento  di  autorizzazione  unica  per  i  nuovi  impianti   di
smaltimento  e  di  recupero  dei  rifiuti,  assegna   alla   regione
territorialmente competente (quella  in  cui  ricade  l'impianto)  il
compito di approvarne il progetto e di autorizzarne la  realizzazione
e la gestione. Diversamente opinando ne risulterebbe pregiudicato  lo
scopo perseguito dal legislatore nazionale  di  garantire,  anche  in
attuazione della normativa comunitaria, la regolarita' della messa in
esercizio dei predetti impianti attraverso la fissazione  di  livelli
di tutela uniformi «proprio in considerazione dei valori della salute
e  dell'ambiente  che  si  intendono  tutelare   in   modo   omogeneo
sull'intero  territorio  nazionale»  (cfr.  in   tal   senso,   Corte
Costituzionale, sentenza 24 luglio 2009, n. 249). 
    L'art. 117,  comma  2,  lettera  s),  della  Costituzione,  nello
stabilire che «Lo Stato  ha  legislazione  esclusiva  nella  seguenti
materie: ... (tra cui) tutela dell'ambiente,  dell'ecosistema  e  dei
beni culturali», fornisce una chiara e univoca indicazione della sola
fonte legislativa  legittimata  ad  operare  la  distribuzione  delle
connesse funzioni amministrative tra  i  vari  livelli  territoriali,
sicche' deve escludersi che il Codice  dell'ambiente,  nel  conferire
alle Regioni  la  relativa  competenza,  ne  abbia  anche  consentito
l'allocazione  ad  un  diverso  livello  amministrativo,  escludendo,
pertanto,  la  possibilita'  di  delegare  tali  funzioni  ai  comuni
insistenti nel proprio territorio. 
    Depone,  in  tal  senso,  anche  una  lettura   combinata   delle
disposizioni contenute nel novellato  Titolo  V  della  Costituzione:
l'art. 118 - a fronte del venir meno  del  tradizionale  parallelismo
tra  funzioni  legislative  e  funzioni  amministrative  -   prevede,
infatti, che in generale «le funzioni amministrative sono  attribuite
ai  comuni»,  a  meno  che  le  stesse  «per  assicurare  l'esercizio
unitario, siano conferite a provincie, citta' metropolitane,  regioni
e Stato, sulla base dei principi di sussidiarieta',  differenziazione
e adeguatezza». In tal modo il legislatore costituzionale  ha  inteso
introdurre  un  elemento  di  elasticita'   nell'attribuzione   delle
funzioni  amministrative,  correlato  alle   esigenze   unitarie   di
esercizio   «sovraterritoriale»   delle   medesime,   attraverso   la
valorizzazione    dei    canoni    di    sussidiarieta'    verticale,
differenziazione e adeguatezza, quali  criteri  guida  della  diversa
distribuzione delle competenze. 
    Quanto fin qui osservato induce a ritenere che, nella materia  di
«tutela dell'ambiente e dell'ecosistema» - nella quale, per  costante
giurisprudenza  costituzionale,  rientra  anche  la  disciplina   dei
rifiuti (cosi', ex multis, le sentenze n. 373 del 2010,  n.  127  del
2010 e n. 61 del 2009) - non possono essere  ammesse  iniziative  del
legislatore  regionale  di  regolamentazione,  nel   proprio   ambito
territoriale, delle funzioni amministrative che modifichino l'assetto
delle competenze come delineato dalla  legge  statale,  ponendosi  la
relativa normativa quale limite insuscettibile  di  deroga  anche  da
parte regioni, nonostante siano abilitate a farlo in altre materie di
legislazione concorrente, quali ad esempio la tutela della salute  ed
il governo del territorio (cfr. in tal senso,  Corte  Costituzionale,
sentenze n. 314 del 2009 e n. 62 del 2008). 
    Orbene, applicando siffatti principi alla controversia in  esame,
emerge che il legislatore della Regione  Lazio  nel  2006  ha  inteso
confermare, in sede di revisione della legge regionale n. 27/1998, la
delega ai comuni del proprio territorio delle funzioni amministrative
relative ai procedimenti finalizzati all'approvazione dei progetti  e
all'autorizzazione,  alla   realizzazione   e   all'esercizio   degli
«impianti per lo smaltimento ed il recupero dei  rifiuti  provenienti
dalla demolizione  degli  autoveicoli  a  motore  e  rimorchi,  dalla
rottamazione dei macchinari e delle  apparecchiature  deteriorati  ed
obsoleti», nonostante il piu' volte rammentato art. 208  del  decreto
legislativo n. 152/2006 avesse, viceversa, individuato nella  regione
il soggetto pubblico  al  quale  tali  funzioni  sono  specificamente
assegnate, con conseguente illegittima alterazione del riparto  delle
competenze delineato dal legislatore nazionale. 
    A supporto della dedotta incompatibilita' della  norma  regionale
in questione con l'art. 117, comma 2, lettera s) della Costituzione e
con la normativa statale, rappresentata dal  decreto  legislativo  n.
152/2006 milita anche la sentenza della Corte Costituzionale  n.  187
del 15 giugno 2011 che ha dichiarato l'illegittimita'  costituzionale
dell'art. 42, commi 7 e 9, della legge regionale  Marche  n.  16/2010
nella parte in cui  il  legislatore  regionale  aveva  attribuito  ai
comuni   territorialmente   competenti    le    procedure    relative
all'affidamento del servizio di gestione dei rifiuti  prodotti  dalle
navi e dei residui del carico, sul  presupposto  che  in  materia  di
rifiuti, «laddove la legge dello Stato ... ha ...  individuato  nella
regione il soggetto pubblico cui tale funzione  e'  assegnata»,  alla
regione non  spetta  la  facolta'  di  «allocare,  con  un  suo  atto
legislativo, la  funzione  amministrativa»  medesima  «presso  l'ente
territoriale comune» (in tal senso, quanto si legge  al  paragrafo  4
della pronuncia). 
    Il predetto principio e' stato riaffermato anche nella successiva
sentenza 27 giugno 2012, n.  159  che,  sempre  con  rifermento  alla
materia dei rifiuti, ha ritenuto «la inderogabilita' da  parte  della
legislazione regionale» della disciplina nazionale che ha  attribuito
alle  regioni  le  funzioni  relative  all'affidamento  del  relativo
servizio di gestione, «con conseguente illegittimita'  costituzionale
della norma legislativa che aveva  allocato  ad  un  diverso  livello
amministrativo la relativa funzione». 
    Appare,  pertanto,  acquisito   nell'orientamento   della   Corte
Costituzionale il principio secondo il quale, nelle materie riservate
dalla Costituzione  alla  competenza  legislativa  dello  Stato,  una
discrasia  normativa  tra  la  norma  statale  (che   stabilisce   un
determinato assetto  di  attribuzione  delle  funzioni)  e  la  norma
regionale  (che  finisce  per  alterarne,  entro  il  proprio  ambito
territoriale, il riparto)  giustifica  di  per  se'  l'illegittimita'
costituzionale di quest'ultima per violazione dell'art. 117, comma 2,
lettera s, che a livello costituzionale ne attribuisce la  disciplina
al legislatore nazionale . 
    7. Il Collegio rileva, infine,  che  altre  regioni  al  fine  di
adeguarsi all'orientamento espresso dalla Corte Costituzionale  nelle
su citate pronunce hanno provveduto  a  ridefinire  il  quadro  delle
competenze  amministrativa  in  materia  di  gestione   di   rifiuti,
riallocando in capo alla regione le funzioni  amministrative  che  lo
Stato le ha attribuito senza possibilita' di delega. Al  riguardo  si
richiama la legge regionale Toscana n. 61/2014 che  ha  provveduto  a
riattribuire alla regione le funzioni delegate con la legge regionale
n. 25/1998 alle province e, segnatamente  le  autorizzazioni  per  la
realizzazione e l'esercizio degli impianti di gestione dei rifiuti. 
    8.  Conclusivamente,  per  tutte  le  ragioni   esposte,   questo
Tribunale  ritiene  rilevante  e  non  manifestamente  infondata   la
questione attinente alla compatibilita'  con  l'art.  117,  comma  2,
lettera s), della Costituzione dell'art. 6, comma 2, lettere b) e c),
della legge regionale Lazio 9 luglio 1998, n. 27, come implicitamente
convalidato dalla legge regionale Lazio n. 23/2006,  nella  parte  in
cui dispone che «Sono delegate  ai  comuni:  ...  l'approvazione  dei
progetti degli impianti per lo smaltimento ed il recupero dei rifiuti
provenienti dalla demolizione degli autoveicoli a motore e  rimorchi,
dalla rottamazione dei macchinari e delle apparecchiature deteriorati
ed obsoleti e la relativa  autorizzazione  alla  realizzazione  degli
impianti, nonche' l'approvazione dei progetti di varianti sostanziali
in  corso  di   esercizio   e   la   relativa   autorizzazione   alla
realizzazione» e «l'autorizzazione all'esercizio delle  attivita'  di
smaltimento e recupero dei rifiuti di cui alle lettere a) e b)». 
    Conseguentemente, il Collegio dispone la sospensione del presente
giudizio  e  la  rimessione  della  predetta  questione  alla   Corte
costituzionale, ai sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo  1953,  n.
87. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Il Tribunale  amministrativo  regionale  per  il  Lazio  (sezione
seconda)  rimette  alla  Corte   costituzionale   la   questione   di
legittimita'  costituzionale  illustrata  in  motivazione,   relative
all'art. 6, comma 2, lettere b) e c), della legge della Regione Lazio
9 luglio 1998, n. 27. 
    Dispone, conseguentemente, la sospensione del presente  giudizio,
con rinvio al definitivo per ogni ulteriore statuizione in rito,  nel
merito e sulle spese di lite, e l'immediata trasmissione  degli  atti
alla Corte Costituzionale. 
    Manda alla segreteria della  sezione  tutti  gli  adempimenti  di
competenza e, in particolare, la notifica  della  presente  ordinanza
alle parti in causa, al Presidente del Consiglio dei  ministri  e  al
Presidente della Regione  Lazio,  nonche'  la  sua  comunicazione  ai
Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. 
    Cosi' deciso in Roma nelle  camere  di  consiglio  del  giorno  6
maggio  2020  e  del  25  maggio  2020,  entrambe  tenutesi  mediante
collegamento da remoto in videoconferenza,  secondo  quanto  disposto
dall'art. 84, comma 6, del decreto-legge 17 marzo 2020,  n.  18,  con
l'intervento dei magistrati: 
        Francesco Riccio, Presidente 
        Marina Perrelli, Consigliere 
        Eleonora Monica, Primo Referendario, estensore 
 
                        Il Presidente: Riccio 
 
 
                                                  L'estensore: Monica