N. 272 SENTENZA 18 novembre - 21 dicembre 2020

Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale. 
 
Ambiente - Norme della Regione Marche - Impianti di  trattamento  dei
  rifiuti - Criteri per la localizzazione delle  aree  non  idonee  -
  Violazione della competenza esclusiva statale in materia di  tutela
  dell'ambiente e dell'ecosistema - Illegittimita' costituzionale. 
Ambiente - Norme della Regione Marche - Impianti di  trattamento  dei
  rifiuti - Disposizioni riferite esclusivamente ad altra  dichiarata
  costituzionalmente  illegittima  -  Sopravvenuto  difetto  di  ogni
  significato    giuridico    -     Illegittimita'     costituzionale
  consequenziale. 
Ambiente - Norme della Regione Marche - Impianti di  trattamento  dei
  rifiuti - Criteri per la localizzazione delle  aree  non  idonee  -
  Ricorso  del  Governo   -   Lamentata   violazione   di   giudicato
  costituzionale - Non fondatezza della questione. 
- Legge della Regione Marche 18 settembre 2019, n. 29, artt. 1, 2, 3,
  4 e 5. 
- Costituzione, artt. 117, secondo comma, lettera s), e 136. 
(GU n.52 del 23-12-2020 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Giancarlo CORAGGIO; 
Giudici :Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria  de  PRETIS,  Nicolo'
  ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI,
  Giovanni  AMOROSO,  Francesco  VIGANO',  Luca   ANTONINI,   Stefano
  PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 1, 2,  e,
in via consequenziale, 3, 4 e 5 della legge della Regione  Marche  18
settembre 2019,  n.  29  (Criteri  localizzativi  degli  impianti  di
combustione dei rifiuti e  del  CSS),  promosso  dal  Presidente  del
Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 25-28 novembre 2019,
depositato in cancelleria il 3 dicembre 2019, ed iscritto al  n.  112
del registro ricorsi 2019 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 51, prima serie speciale, dell'anno 2019. 
    Visto l'atto di costituzione della Regione Marche; 
    udito nella udienza pubblica del  18  novembre  2020  il  Giudice
relatore Augusto Antonio Barbera; 
    uditi  l'avvocato  dello  Stato  Giovanni   Palatiello   per   il
Presidente del Consiglio dei ministri e l'avvocato Marcello Cecchetti
per la Regione Marche; 
    deliberato nella camera di consiglio del 18 novembre 2020. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ricorso notificato il 25 novembre 2019  e  depositato  il
successivo 3 dicembre (reg. ric. n. 112 del 2019) il  Presidente  del
Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso   dall'Avvocatura
generale  dello  Stato,  ha  promosso   questioni   di   legittimita'
costituzionale degli artt. 1 e 2 della legge della Regione Marche  18
settembre 2019,  n.  29  (Criteri  localizzativi  degli  impianti  di
combustione dei rifiuti e del CSS), in riferimento  agli  artt.  117,
secondo comma, lettera s), e 136 della Costituzione. 
    L'art. 1 impugnato «definisce i criteri per l'individuazione  dei
luoghi  idonei  ad  accogliere  gli  impianti  di   combustione   del
combustibile  solido  secondario  (CSS)  e  quelli  rientranti  nelle
tipologie di cui ai punti 1  e  10  dell'Allegato  2,  Suballegato  1
(Norme tecniche per l'utilizzazione dei rifiuti non  pericolosi  come
combustibili o come altro mezzo per produrre  energia),  del  decreto
del Ministero  dell'Ambiente  5  febbraio  1998  (Individuazione  dei
rifiuti non pericolosi  sottoposti  alle  procedure  semplificate  di
recupero ai sensi degli articoli 31 e 33 del  decreto  legislativo  5
febbraio 1997, n. 22)». 
    L'impugnato art. 2 prevede a tal fine che «[g]li impianti di  cui
all'articolo 1 devono essere ubicati ad  una  distanza  minima  di  5
chilometri dai centri abitati, come definiti dal decreto  legislativo
30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice  della  strada)  e  da  funzioni
sensibili» (comma 1), e che «[l]a distanza dai centri abitati di  cui
al  comma  1  va  considerata  dal  perimetro  esterno   delle   zone
residenziali consolidate,  di  completamento  e  di  espansione  come
individuate dagli strumenti urbanistici» (comma 2). 
    Il ricorrente osserva che, con  la  sentenza  n.  142  del  2019,
questa Corte  ha  dichiarato  l'illegittimita'  costituzionale  della
legge della Regione Marche 28 giugno 2018, n. 22 (Modifica alla legge
regionale 12 ottobre 2009, n. 24 "Disciplina regionale in materia  di
gestione integrata dei rifiuti e bonifica dei siti  inquinati"),  che
escludeva la collocazione, sul territorio regionale, di  impianti  di
gestione dei rifiuti mediante combustione. 
    Ne conseguirebbe  che  le  norme  regionali  impugnate  sarebbero
lesive  dell'art.  136  Cost.,   poiche',   eludendo   il   giudicato
costituzionale, perseguirebbero un obbiettivo corrispondente. 
    In secondo luogo, vi sarebbe la lesione  dell'art.  117,  secondo
comma, lettera s), Cost. 
    Premesso che la normativa sui rifiuti appartiene alla  competenza
legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela  dell'ambiente
e dell'ecosistema, il ricorrente osserva che gli artt. 195, comma  1,
lettera p), e 196, comma 1, lettere n) e o) del decreto legislativo 3
aprile 2006, n. 152 (Norme in  materia  ambientale)  consentono  alla
Regione, sulla base dei  criteri  generali  dettati  dalla  normativa
statale, di definire criteri per  l'individuazione,  da  parte  delle
Province, delle aree non idonee alla localizzazione degli impianti di
smaltimento e recupero dei rifiuti. 
    Le norme regionali impugnate, viceversa, vietano  l'installazione
degli impianti a 5 chilometri di distanza dai  centri  abitati  e  da
«funzioni sensibili», ovvero, aggiunge il ricorrente,  da  «strutture
scolastiche, asili, ospedali, case di riposo e case circondariali». 
    In tal modo, anziche' un criterio di localizzazione coerente  con
la  normativa  statale,  si  sarebbe   introdotta   una   illegittima
limitazione  alla  localizzazione,  che  non  permetterebbe  ne'   di
identificare con certezza le aree interdette, ne' di  individuare  in
positivo le aree idonee. Mancherebbe, inoltre, a causa del  carattere
legale del divieto,  la  «concreta  istruttoria  tecnica  preordinata
all'equo contemperamento degli interessi coinvolti». 
    Il ricorrente auspica, infine, che gli artt. 3, 4 e 5 della legge
regionale  impugnata  siano  dichiarati   incostituzionali   in   via
consequenziale,  in  quanto  privi   di   autonomia   rispetto   alle
disposizioni censurate. 
    2.- Si e' costituita in  giudizio  in  data  3  gennaio  2020  la
Regione Marche, chiedendo che le questioni promosse  con  il  ricorso
siano dichiarate inammissibili, e comunque infondate. 
    La Regione eccepisce anzitutto  l'inammissibilita'  del  ricorso,
nella parte relativa all'art. 1 impugnato, posto che la delibera  del
Consiglio  dei  ministri  di  autorizzazione  alla  proposizione  del
ricorso non lo menziona tra le disposizioni da censurare. 
    Inoltre, sarebbe inammissibile, per analoga ragione,  la  censura
basata sull'art. 136 Cost., a sua volta non indicato  nella  suddetta
delibera. 
    Quanto  all'art.  2,  impugnato,  in  riferimento  all'art.  117,
secondo comma,  lettera  s),  Cost.,  la  difesa  regionale  sostiene
anzitutto che la sola norma statale pertinente, tra quelle richiamate
dall'Avvocatura, sarebbe l'art. 196, comma 1, lettera n), del  d.lgs.
n. 152 del 2006  (d'ora  in  avanti  cod.  ambiente)  cod.  ambiente,
perche' gli artt. 195, comma 1, lettera p), e 196, comma  1,  lettera
o), del medesimo d.lgs., avrebbero per oggetto i  soli  "impianti  di
smaltimento", mentre gli  impianti  regolati  dalle  norme  regionali
impugnate sarebbero  "di  recupero",  in  base  alla  classificazione
recata dall'art. 35, comma 4, del decreto-legge 12 settembre 2014, n.
133 (Misure urgenti per l'apertura  dei  cantieri,  la  realizzazione
delle  opere   pubbliche,   la   digitalizzazione   del   Paese,   la
semplificazione burocratica, l'emergenza del dissesto idrogeologico e
per  la  ripresa  delle   attivita'   produttive)   convertito,   con
modificazioni, nella legge n. 164 del 2014. 
    Cio'  premesso,  la  difesa  regionale  conclude  che  l'art.   2
impugnato abbia provveduto a definire i criteri ai quali le  Province
dovranno attenersi per la individuazione delle aree non  idonee,  per
l'appunto in esecuzione di quanto demandato  alla  Regione  dall'art.
196, comma 1, lettera n), del cod. ambiente. 
    La questione sarebbe percio' manifestamente infondata. 
    3.-  Nell'imminenza  dell'udienza  pubblica,   le   parti   hanno
depositato memorie. 
    3.1.- L'Avvocatura generale sottolinea  che  l'impugnato  art.  1
della legge reg. Marche n. 19  del  2019  impugnata  e'  strettamente
connesso all'art. 2, sicche' deve  ritenersi  che  il  Consiglio  dei
ministri abbia autorizzato la proposizione del ricorso, anche  quanto
alla prima di tali disposizioni. 
    Parimenti, la relazione allegata alla delibera del Consiglio  dei
ministri  reca  la  sottolineatura  che  le  disposizioni   regionali
impugnate sono state introdotte "surrettiziamente", per riproporre la
disciplina gia' dichiarata incostituzionale dalla sentenza n. 142 del
2019. 
    Pertanto,  la  questione  relativa  all'art.  136  Cost.  sarebbe
ammissibile. 
    Nel merito, la difesa statale ribadisce  che  agli  "impianti  di
recupero",  da  considerare  parte  dell'insieme   costituito   dagli
"impianti di smaltimento", si applicano le norme  relative  a  questi
ultimi, e tra queste gli artt. 195, comma 1, lettera p), e 196, comma
1, lettera o), del cod. ambiente. 
    3.2.-  La  Regione  Marche,  a  sua  volta,  ha  insistito  sulle
conclusioni gia' rassegnate. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Presidente del Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di
legittimita' costituzionale degli artt.  1  e  2  della  legge  della
Regione Marche 18 settembre 2019, n. 29 (Criteri localizzativi  degli
impianti di combustione dei rifiuti e del CSS), in  riferimento  agli
artt. 117, secondo comma, lettera s), e 136 della Costituzione. 
    Con la legge regionale impugnata il  legislatore  marchigiano  ha
inteso esercitare la competenza  attribuita  alla  Regione  dall'art.
196, comma 1, lettera n), del decreto legislativo 3 aprile  2006,  n.
152 (Norme  in  materia  ambientale),  quanto  alla  definizione  dei
criteri per l'individuazione, da parte delle Province, delle aree non
idonee alla localizzazione degli impianti di smaltimento  e  recupero
dei rifiuti. 
    In  particolare,  con  riguardo  alla   tipologia   di   impianti
individuata  dall'impugnato  art.  1,  l'art.  2  seguente  ne  vieta
l'ubicazione ad una distanza inferiore  a  5  chilometri  dai  centri
abitati,  nonche'  dai  luoghi   ove   siano   esercitate   "funzioni
sensibili". 
    Il ricorrente deduce che  tali  disposizioni  ledano  l'art.  136
Cost., perche' con esse il legislatore regionale  avrebbe  riprodotto
norme gia' dichiarate incostituzionali con la  sentenza  n.  142  del
2019. 
    Con tale pronuncia, in particolare, questa  Corte  ha  dichiarato
l'illegittimita' costituzionale della legge della Regione  Marche  28
giugno 2018, n. 22 (Modifica alla legge regionale 12 ottobre 2009, n.
24 "Disciplina regionale in materia di gestione integrata dei rifiuti
e bonifica dei  siti  inquinati"),  che  escludeva  la  collocazione,
sull'intero territorio regionale, di impianti di gestione dei rifiuti
mediante combustione. 
    Inoltre,  sarebbe  violata  la  competenza  legislativa   statale
esclusiva in materia di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema  (art.
117, secondo comma, lettera s, Cost.), alla  quale  va  pacificamente
ricondotta la disciplina dei rifiuti (ex plurimis,  sentenza  n.  289
del 2019), per due profili distinti. 
    In primo  luogo,  somministrando  alle  Province,  con  la  legge
regionale impugnata, i criteri per individuare le aree non idonee  ad
accogliere gli impianti, sarebbe  stato  eluso  l'obbligo,  formulato
dalla normativa statale, di valutare «in concreto» i luoghi, «in sede
procedimentale», e sarebbe percio' mancata una adeguata  «istruttoria
tecnica  preordinata   all'equo   contemperamento   degli   interessi
coinvolti». 
    In secondo luogo, il divieto di localizzazione prescelto  sarebbe
carente quanto alla  parallela  necessita'  di  selezionare  le  aree
invece idonee e, in ogni caso, non previsto dalla normativa  statale.
Esso  si   rivelerebbe,   percio',   un   illegittimo   limite   alla
localizzazione, anziche' un criterio di localizzazione. 
    2.- La Regione Marche, nel costituirsi in giudizio,  ha  eccepito
l'inammissibilita' delle questioni concernenti  l'art.  1  impugnato,
poiche' esso non e' indicato tra le disposizioni di cui il  Consiglio
dei ministri ha autorizzato l'impugnativa. 
    L'eccezione e' fondata, perche'  questa  Corte  ha  costantemente
affermato che la questione proposta in via principale, rispetto  alla
quale difetti la necessaria piena corrispondenza tra il ricorso e  la
delibera  del  Consiglio  dei  ministri  che  l'ha  autorizzato,   e'
inammissibile (ex plurimis, sentenze n. 199 del 2020, n. 83 del 2018,
n. 152 del 2017, n. 265 e n. 239 del 2016). 
    3.- La resistente  ha  anche  eccepito  l'inammissibilita'  delle
questioni (artt. 1 e 2) basata sulla violazione dell'art. 136  Cost.,
perche' neppure tale parametro sarebbe stato indicato nella  delibera
del Consiglio dei ministri. 
    L'eccezione e' infondata. 
    La delibera  di  autorizzazione  alla  proposizione  del  ricorso
rinvia,  infatti,  alla  relazione  del  Ministro  per   gli   affari
regionali, ove si osserva che «[l]a disposizione regionale in  esame,
surrettiziamente, ripropone dunque il medesimo divieto  generalizzato
gia' censurato» con la sentenza n. 142 del 2019. 
    Benche' l'art. 136 Cost. non  sia  espressamente  menzionato,  e'
evidente la volonta' dell'organo politico,  titolare  del  potere  di
impugnativa, di porre a questa Corte, a mezzo  della  intermediazione
tecnica dell'Avvocatura generale, la questione  di  costituzionalita'
concernente la violazione del giudicato costituzionale. 
    In presenza di tale volonta', questa Corte ha gia' affermato  che
«spetta alla parte  ricorrente  "la  piu'  puntuale  indicazione  dei
parametri del giudizio", giacche' la  discrezionalita'  della  difesa
tecnica ben puo'  integrare  una  solo  parziale  individuazione  dei
motivi di censura [...]» (sentenza n. 128 del 2018). 
    4.- Nel  merito,  la  questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 2 impugnato, in riferimento  all'art.  136  Cost.,  non  e'
fondata. 
    La violazione del giudicato costituzionale si ha ogni qual  volta
una disposizione di legge intende mantenere in vita  o  ripristinare,
sia pure indirettamente, gli effetti della  struttura  normativa  che
aveva   formato   oggetto   della   pronuncia    di    illegittimita'
costituzionale (da ultimo, sentenza n. 256 del 2020). 
    Con  la  sentenza  n.  142   del   2019   e'   stata   dichiarata
costituzionalmente illegittima la scelta del legislatore  marchigiano
di impedire  sull'intero  territorio  regionale  qualsiasi  forma  di
combustione del combustibile solido secondario,  dei  rifiuti  o  dei
materiali e sostanze derivanti dal trattamento dei rifiuti medesimi. 
    La disposizione oggi impugnata, viceversa, prescrive  criteri  di
localizzazione degli impianti di trattamento, sul presupposto che sia
venuto meno  il  divieto  assoluto  colpito  dalla  dichiarazione  di
illegittimita' costituzionale. 
    Essa, pertanto, non lede il giudicato costituzionale. 
    5.- La questione di costituzionalita' dell'art. 2  impugnato,  in
riferimento all'art.  117,  secondo  comma,  lettera  s),  Cost.,  e'
fondata. 
    Il ricorrente ha anzitutto  sostenuto  che,  nell'ambito  di  una
materia assegnata alla competenza legislativa esclusiva  statale,  la
Regione non avrebbe potuto fissare nella forma della legge  regionale
i criteri di individuazione delle aree non  idonee  all'installazione
degli   impianti,   perche',   invece,   sarebbe   stato   necessario
pronunciarsi all'esito di un procedimento amministrativo. 
    Questa  Corte  ha  recentemente  affermato  che  il  procedimento
amministrativo costituisce il luogo elettivo  di  composizione  degli
interessi, in quanto «"[e'] nella sede procedimentale [...] che  puo'
e deve avvenire la valutazione sincronica  degli  interessi  pubblici
coinvolti e meritevoli di tutela, a confronto sia con l'interesse del
soggetto privato operatore economico, sia ancora (e  non  da  ultimo)
con ulteriori interessi di cui  sono  titolari  singoli  cittadini  e
comunita',  e  che  trovano  nei  principi  costituzionali  la   loro
previsione e tutela. La struttura  del  procedimento  amministrativo,
infatti, rende possibili  l'emersione  di  tali  interessi,  la  loro
adeguata prospettazione, nonche'  la  pubblicita'  e  la  trasparenza
della loro valutazione, in attuazione dei principi di cui all'art.  1
della legge 7 agosto 1990,  n.  241[...]:  efficacia,  imparzialita',
pubblicita' e trasparenza. Viene in  tal  modo  garantita,  in  primo
luogo, l'imparzialita' della scelta, alla stregua dell'art. 97 Cost.,
ma poi anche il perseguimento, nel modo piu'  adeguato  ed  efficace,
dell'interesse  primario,  in  attuazione  del  principio  del   buon
andamento dell'amministrazione, di cui  allo  stesso  art.  97  Cost.
(sentenza n. 69 del 2018)"» (sentenza n. 116 del 2020). 
    Si e' aggiunto che «se la materia, per  la  stessa  conformazione
che il legislatore le ha dato, si presenta con  caratteristiche  tali
da enfatizzare il rispetto di regole che  trovano  la  loro  naturale
applicazione nel procedimento amministrativo, cio' deve essere tenuto
in conto nel  vagliare  sotto  il  profilo  della  ragionevolezza  la
successiva scelta legislativa, pur tipicamente discrezionale,  di  un
intervento normativo diretto» (sentenza n. 116 del 2020). 
    Tali asserzioni  di  carattere  generale  trovano  una  speculare
corrispondenza nella prerogativa,  propria  del  legislatore  statale
nelle materie affidate alla sua competenza legislativa esclusiva,  di
vincolare  la  Regione  ad   esercitare   in   forma   procedimentale
l'attivita' amministrativa che la normativa statale abbia allocato  a
livello regionale, precludendo il ricorso alla  funzione  legislativa
(ex plurimis, sentenze n. 28 del 2019, n. 66 del 2018  e  n.  20  del
2012). 
    6.- Con  riferimento  al  procedimento  di  localizzazione  degli
impianti di trattamento dei rifiuti tale principio  ha  gia'  trovato
reiterate conferme nella giurisprudenza costituzionale  (sentenze  n.
142, n. 129 e n. 28 del 2019). 
    L'art. 199, comma 3, del d.lgs. n. 152 del 2006 (d'ora in  avanti
cod. ambiente) disciplina i piani regionali di gestione dei  rifiuti,
attribuendo  loro  un  contenuto  in  parte   eventuale,   in   parte
necessario. 
    Entro quest'ultimo  si  colloca  proprio  la  specificazione  dei
«criteri  per   l'individuazione   delle   aree   non   idonee   alla
localizzazione degli impianti di recupero e smaltimento dei  rifiuti,
nonche' per  l'individuazione  dei  luoghi  o  impianti  adatti  allo
smaltimento dei rifiuti» (art. 199, comma  3,  lettera  l,  del  cod.
ambiente). 
    E'  percio'  il  suddetto  piano  la  sede  che  il   legislatore
competente ha scelto, al fine  di  ponderare  i  complessi  interessi
coinvolti   dalla   decisione,   all'esito   di    un    procedimento
amministrativo aperto alla partecipazione del pubblico, e  nel  quale
sono sentiti gli enti locali e le Autorita' d'ambito. 
    Sul punto, l'art. 199, comma 1,  del  cod.  ambiente  e'  infatti
esplicito nel prevedere che  «[l]'approvazione  dei  piani  regionali
avviene tramite atto amministrativo». 
    7.- Va aggiunto che un simile indirizzo  legislativo  rappresenta
un coerente sviluppo delle premesse  formulate  con  l'individuazione
degli obiettivi che il piano si prefigge, e con l'ulteriore contenuto
che esso assume. 
    L'attivita' di pianificazione e' per propria  natura  devoluta  a
realizzare  una  trama  unitaria  nell'assetto  del  territorio,  ove
confluiscono i piu' vari, e talvolta  divergenti,  interessi  che  la
legge persegue.  Sempre  piu'  presente  nell'ordinamento,  e  tipica
dell'attivita' amministrativa, e' percio' l'esigenza  di  raggiungere
un punto di sintesi, adottando scelte non frazionate, ma sensibili al
contesto di pianificazione al quale vengono a sovrapporsi. 
    L'art. 199, comma 5, del cod. ambiente, stabilendo che «il  piano
regionale di  gestione  dei  rifiuti  e'  coordinato  con  gli  altri
strumenti di pianificazione di competenza  regionale  previsti  dalla
normativa  vigente»  persegue  proprio  tale  scopo.   Ad   esso   la
disposizione regionale impugnata viceversa si sottrae, ricorrendo  ad
un  divieto   di   localizzazione   insensibile   alla   concomitante
pianificazione regionale, oltre che frutto di una scelta  lontana  da
ogni  concreto  apprezzamento  in  ordine  alla   conformazione   del
territorio marchigiano. 
    E' invece necessario che il citato  piano  adatti  i  criteri  di
esclusione  di  certe   porzioni   di   territorio   alla   effettiva
conformazione dello stesso, fuggendo divieti astratti che,  anche  in
quanto formulati senza una visione  sinottica  della  pianificazione,
rischiano di tradursi in un forte ostacolo alla (se non persino nella
impossibilita' di), realizzazione  degli  impianti,  con  conseguente
illegittimita' costituzionale (sentenze n. 154 del 2016 e n. 285  del
2013). 
    Tali profili sono gia' di per se' sufficienti per concludere  nel
senso della fondatezza della questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 2 della legge reg. Marche n. 29  del  2019  in  riferimento
all'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. Non vi e'  percio'  la
necessita' di soffermarsi sulle ulteriori ragioni  di  illegittimita'
denunciate  dal  ricorrente,  con  riguardo  al  medesimo   parametro
costituzionale. 
    8.-   A   seguito   della   dichiarazione    di    illegittimita'
costituzionale dell'impugnato art. 2, l'intero testo della legge reg.
Marche  n.  29  del  2019,  esclusivamente  riferita  al  divieto  di
localizzazione ora dichiarato incostituzionale, e' divenuto privo  di
ogni significato giuridico. 
    Ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo  1953,  n.  87  (Norme
sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale) va
percio'   dichiarata   l'illegittimita'   costituzionale    in    via
consequenziale degli artt. 1, 3, 4 e 5 della legge reg. Marche n.  29
del 2019. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    1) dichiara l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  2  della
legge  della  Regione  Marche  18  settembre  2019,  n.  29  (Criteri
localizzativi degli impianti di combustione dei rifiuti e del CSS); 
    2) dichiara, in via consequenziale, ai sensi dell'art.  27  della
legge  11  marzo  1953,  n.  87  (Norme  sulla  costituzione  e   sul
funzionamento   della   Corte    costituzionale),    l'illegittimita'
costituzionale degli artt. 1, 3, 4 e 5 della legge reg. Marche n.  29
del 2019; 
    3)  dichiara   inammissibile   la   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 1 della legge reg. Marche n.  29  del  2019,
promossa, in riferimento all'art. 117,  secondo  comma,  lettera  s),
della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il
ricorso indicato in epigrafe; 
    4)  dichiara   non   fondata   la   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 2 della legge della Regione Marche n. 29 del
2019, promossa, in riferimento all'art. 136 della  Costituzione,  dal
Presidente del Consiglio dei ministri, con  il  ricorso  indicato  in
epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 18 novembre 2020. 
 
                                F.to: 
                   Giancarlo CORAGGIO, Presidente 
                 Augusto Antonio BARBERA, Redattore 
             Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria 
 
    Depositata in Cancelleria il 21 dicembre 2020. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA