N. 185 ORDINANZA (Atto di promovimento) 8 luglio 2020
Ordinanza dell'8 luglio 2020 del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio sul ricorso proposto da Autodemolizioni Efrati sas di Efrati Alessandro in persona del legale rappresentante pro tempore contro Roma Capitale. Ambiente - Norme della Regione Lazio - Funzioni amministrative dei Comuni - Previsione che sono delegate ai Comuni l'approvazione dei progetti degli impianti per lo smaltimento ed il recupero di determinati rifiuti nonche' la relativa autorizzazione alla realizzazione e all'esercizio delle attivita' suindicate. - Legge della Regione Lazio 9 luglio 1998, n. 27 (Disciplina regionale della gestione dei rifiuti), art. 6, comma 2, lettere b) e c).(GU n.53 del 30-12-2020 )
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LAZIO Sezione seconda ha pronunciato la presente ordinanza sul ricorso numero di registro generale 11625 del 2019, proposto dalla societa' Autodemolizioni Efrati S.a.s. di Efrati Alessandro, in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Luca Zerella, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Ulpiano 29; contro Roma Capitale, in persona del Sindaco pro-tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Antonio Ciavarella, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso l'Avvocatura civica in Roma, via del Tempio di Giove n. 21; per l'annullamento della determinazione dirigenziale rep. n. QL/972/2019 del 31 luglio 2019 - prot. n. QL/60460/2019 del 31 luglio 2019, assunta da Roma Capitale -, Dipartimento tutela ambientale, avente ad oggetto «Conclusione negativa del procedimento di autorizzazione ai sensi dell'art. 208 del decreto legislativo n. 152 del 3 aprile 2006 e ss.mm.ii per l'impianto di "Autodemolizioni Efrati S.a.S. di Efrati Alessandro" sito in Via Ostiense n. 779, Roma»; della determinazione dirigenziale rep. n. QL1302/2018 - prot. n. QL/13899/2018 del 2 marzo 2018 di Roma Capitale, Dipartimento tutela ambientale con la quale si richiedeva alla Autodemolizioni Efrati s.a.s. la presentazione, entro e non oltre il 12 aprile 2018, del «progetto definitivo dell'impianto, completo della documentazione tecnica che attesti la conformita' alle vigenti disposizioni in materia di urbanistica, di tutela ambientale, di salute e sicurezza sul lavoro e di igiene pubblica da sottoporre alla conferenza di servizi ai sensi dell'art. 14-bis della legge 241/1990», pena la decadenza dell'autorizzazione provvisoria; della comunicazione prot. n. QL/22168 del 5 aprile 2018 di Roma Capitale - Dipartimento tutela ambientale; della comunicazione prot. n. QL/23415 del 10 aprile 2018 di Roma Capitale - Dipartimento tutela ambientale; della nota prot. QL47498 del 2 luglio 2018 di' Roma Capitale - Dipartimento tutela ambientale, di indizione della conferenza di servizi, sconosciuta nel contenuto; della nota prot. QL/65979 del 14 settembre 2018 di Roma Capitale - Dipartimento tutela ambientale, di revoca e contestuale indizione della nuova conferenza di servizi; della nota prot. QL/77586 del 25 ottobre 2018 di Roma Capitale - Dipartimento tutela ambientale; della nota prot. n. QL/92662 del 12 dicembre 2018 di Roma Capitale - Dipartimento tutela ambientale; della nota prot. n. QL/5313 del 24 gennaio 2019 di Roma Capitale - Dipartimento tutela ambientale; del verbale di riunione della conferenza di servizi simultanea in modalita' sincrona del 4 febbraio 2019 del Dipartimento tutela ambientale di Roma Capitale; dei pareri del Dipartimento programmazione e attuazione urbanistica rispettivamente prot. n. QL/152880 del 24 settembre 2018, contenente parere negativo e prot. n. QL/152880 del 1° febbraio 2019, con il quale si rilevava l'impossibilita' di esprimere il parere di competenza; del parere dell'ARPA Lazio reso con nota prot. 5886 del 30 gennaio 2019; del parere espresso da Citta' Metropolitana di Roma Capitale trasmesso (alle ore 12.13 del 4 febbraio 2019), successivamente alla chiusura dei lavori della riunione simultanea (ore 10.55); del parere dell'Autorita' di bacino, reso con note prot. n. 4713 del 1° agosto 2018 e prot. n. 5148 del 5 settembre 2018; del parere del Corpo nazionale dei vigili del fuoco - Comando provinciale di Roma prot. 46477 del 12 luglio 2018; del parere della Regione Lazio n. 589133 del 27 settembre 2018; e comunque di ogni altro atto antecedente, conseguente o comunque connesso a quelli sopra indicati. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti tutti gli atti della causa; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale; Relatore nell'udienza del giorno 6 maggio 2020 la dott.ssa Marina Perrelli e trattenuta la causa in decisione, ai sensi dell'art. 84, comma 5, del decreto legislativo n. 18/2020, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 27/2020; 1. Con il presente gravame la Autodemolizioni Efrati s.a.s. di Alessandro Efrati, titolare dell'impianto di trattamento rifiuti pericolosi, sito in Roma alla via Ostiense n. 779, giusta autorizzazione provvisoria all'esercizio dell'attivita' di autodemolizione n. 76, rilasciata da Roma Capitale e rinnovata per la durata di anni uno con la determina dirigenziale prot. n. QL/39209/2017 del 28 giugno 2017, ha impugnato la determinazione dirigenziale prot. QL/60460 del 31 luglio 2019, con la quale Roma Capitale ha dispoto la conclusione negativa della Conferenza di servizi, indetta sulla richiesta ex art. 208 del decreto legislativo 152/2006, con contestuale assegnazione di termine pari a 60 giorni per la «revisione del progetto definitivo dell'impianto che risponda alle prescrizioni della Conferenza di servizi nonche' a quanto richiesto nella sezione "Rilevato" della presente, attivando anche, ove necessario, le procedure di valutazione di assoggettabilita' a VIA presso gli enti competenti». 1.2. La societa' ricorrente - nel premettere di avere esercitato l'attivita' di autodemolizione in forza di autorizzazioni provvisorie rinnovate nel corso degli anni - ha impugnato la suddetta determina, unitamente agli atti presupposti, chiedendo al Collegio, in via principale, di sollevare questione di legittimita' costituzionale dell'art. 6, comma 2, della legge della Regione Lazio n. 27/1998, nella parte in cui statuisce che «Sono delegate ai comuni: (...) b) l'approvazione dei progetti degli impianti per lo smaltimento ed il recupero dei rifiuti provenienti dalla demolizione degli autoveicoli a motore e rimorchi, dalla rottamazione dei macchinari e delle apparecchiature deteriorati ed obsoleti e la relativa autorizzazione alla realizzazione degli impianti, nonche' l'approvazione dei progetti di varianti sostanziali in corso di esercizio e la relativa autorizzazione alla realizzazione; e) l'autorizzazione all'esercizio delle attivita' di smaltimento e' recupero dei rifiuti di cui alle lettere a) e b)», poiche' la suddetta disposizione sarebbe in contrasto con l'art. 117, comma 2, lettera s), della Costituzione, come sostituito dall'art. 3 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 - ai sensi del quale «Lo Stato ha legislazione esclusiva nella seguenti materie: ... (tra cui) tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali» in relazione agli arti. 196, comma 1, lett. d) ed e), e 208 del d.lgs. n. 152/2006 (c.d. «Codice dell'ambiente»), di attribuzione alle Regioni di tali competenze. Secondo la prospettazione di parte ricorrente sarebbe dubbia la legittimita' costituzionale della citata previsione laddove il legislatore regionale disegna un modello di distribuzione delle competenze decisionali che individua nel comune territorialmente competente l'ente al quale e' assegnata la cura dei procedimenti di approvazione dei progetti e di autorizzazione dell'attivita' degli «impianti per lo smaltimento ed il recupero dei rifiuti provenienti dalla demolizione degli autoveicoli a motore e rimorchi, dalla rottamazione dei macchinari e delle apparecchiature deteriorati ed obsoleti», stabilendo, invece, il legislatore nazionale - al quale spetta in via esclusiva disciplinare la materia della «tutela dell'ambiente e dell'ecosistema» - che rientra tra i compiti della regione quello di approvare i progetti e di autorizzare la realizzazione e la gestione dei nuovi impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti, anche pericolosi. Sostiene, dunque, la societa' che, in ragione dell'assoluta inderogabilita' da parte della legislazione regionale del principio espresso dall'art. 117 Cast. sulla materia della tutela dell'ambiente", sarebbe precluso alle Regioni allocare ad un diverso livello amministrativo le suddette funzioni, come affermato, con riferimento ad analoghe leggi regionali, dalla Corte Costituzionale nelle pronunce n. 187/2011 e n. 159/2012 (primo motivo di ricorso). 1.3. Ferma restando tale (pregiudiziale) questione di legittimita' costituzionale, la ricorrente deduce una serie di ulteriori censure: a) l'incompetenza assoluta di Roma Capitale al rilascio dell'autorizzazione richiesta, in relazione ai citati articoli 196 e 208 del decreto legislativo n. 152/2006, poiche' il contrasto tra la delega ai comuni di cui all'art. 6, comma 2, lett. b) e c), della legge regionale n. 27/1998 e la successiva normativa nazionale di cui ai citati articoli 196, comma 1, lett. d) ed e), e 208 del Codice dell'ambiente (di attribuzione invece, delle medesime funzioni alle regioni) sarebbe risolvibile - in ossequio agli ordinari criteri che regolano i rapporti tra norme che si succedono nel tempo - in favore della posteriore normativa statale, con conseguente nullita' di tutti i provvedimenti impugnati in ragione della «inapplicabilita' ed irrilevanza della delega» di cui alle preesistenti disposizioni regionali, in applicazione delle quali tali atti risultano essere stati adottati (secondo motivo di ricorso); b) l'illogicita' e contraddittorieta' della determinazione dirigenziale di «conclusione negativa» del procedimento autorizzativo, in particolare evidenziandosi come la dedotta illegittimita' delle preesistenze edilizie, cosi come l'incompatibilita' urbanistica (entrambe poste a fondamento del diniego impugnato), non costituirebbero elemento ostativo al rilascio dell'autorizzazione richiesta, potendo l'amministrazione condizionarne il rilascio al rispetto di determinate prescrizioni edilizie o all'esito del procedimento di condono, nonche' procedere alla necessaria variante urbanistica (punto 3.1 del ricorso); c) la violazione degli articoli 14 bis (conferenza semplificata) e 14 ter (conferenza simultanea) della legge n. 241/1990, in relazione sia ai termini perentori di durata massima ivi previsti che al termine entro il quale le amministrazioni partecipanti avrebbero dovuto rendere le loro valutazioni, con conseguente pretesa formazione di un provvedimento tacito di silenzio-assenso per quanto riguarda: i) il parere del Dipartimento programmazione e attuazione urbanistica prot. n. QL/18649 dell'1.2.2019, con il quale si concludeva per la incompatibilita' urbanistica del sito e l'impossibilita' di esprimere il parere sulla compatibilita' edilizia; ii) il parere dell'A.R.P.A. Lazio reso con nota prot. 5886 del 30.1.2019; iii) il parere espresso dalla citta' metropolitana di Roma Capitale, in quanto addirittura reso successivamente alla riunione simultanea del 4 febbraio 2019 (punti 3.2 e 3.3 del ricorso); d) la violazione dell'art. 10 bis della 1. n. 241/1990, per mancato preavviso di conclusione negativa (punto 3.4 del ricorso); e) la violazione degli articoli 14 bis e 14 ter della legge n. 241/1990, assumendo l'illegittimita' del provvedimento con cui l'amministrazione procedente, al fine di recuperare i propri ritardi, ha disposto la proroga dei termini per la trasmissione dei pareri di competenza, mediante l'assegnazione di un termine superiore a quello previsto dall'art. 14 bis, attesa la carenza di un siffatto potere di proroga, sospensione e/o interruzione degli stessi (quarto motivo); f) (in via subordinata), la violazione dell'art. 208 del decreto legislativo n. 152/2006 per mancata designazione del responsabile del procedimento, ai sensi del comma 3, e per mancato rispetto dei termini previsti sia per la convocazione della conferenza di servizi (comma 3), sia per la conclusione dell'istruttoria (comma 8), nonche' per difetto di motivazione (quinto ed ultimo motivo di ricorso). 2. Roma Capitale si e' costituita in giudizio, contestando il ricorso e chiedendone il rigetto, senza nulla argomentare in merito alla questione di illegittimita' costituzionale della normativa regionale. 3. In prossimita' dell'udienza fissata per la trattazione del merito, parte ricorrente ha depositato note, ai sensi dell'art. 84, comma 5, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, ribadendo le proprie censure e insistendo per il loro accoglimento. 4. All'udienza del 6 maggio 2020 la causa e' stata trattenuta la causa in decisione, ai sensi dell'art. 84, comma 5, del decreto-legge n. 18/2020, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 27/2020. 5. Il Collegio condivide i dubbi di legittimita' costituzionale prospettati dalla ricorrente con il primo motivo di ricorso, ritenendo rilevante ai fini della decisione della presente controversia e non manifestamente infondata la questione attinente alla compatibilita' dell'art. 6, comma 2, lett. b) e e) della legge della Regione Lazio del 9 luglio 1998, n. 27, recante la «Disciplina regionale dei rifiuti» - come modificata per effetto della successiva legge regionale del 5 dicembre 2006, n. 23 - con l'art. 117, comma 2, lettera s), della Costituzione, come sostituito dall'art. 3 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3. 6. Per cio' che attiene alla rilevanza della questione nel presente giudizio, osserva il Collegio come la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 6 citato debba essere affrontata in via prioritaria rispetto a tutte le ulteriori censure articolate dalla ricorrente. Anche a prescindere dalla chiara graduazione delle censure formulate, operata dal ricorrente e diretta ad attribuire un profilo prioritario alla prospettata questione di legittimita' costituzionale, la stessa assume carattere pregiudiziale in ragione della tipologia del vizio di legittimita' ad essa sotteso, vale a dire la compatibilita' della norma attributiva del potere esercitato da Roma Capitale con la Carta costituzionale e, quindi, la competenza dell'amministrazione capitolina ad adottare gli atti impugnati, con la logica conseguenza che il suo positivo scrutinio da parte della Consulta implicherebbe necessariamente l'accoglimento del ricorso per tale profilo, con assorbimento di ogni altra censura formulata. In tal senso, del resto depone anche quanto affermato dal Consiglio di stato nell'Adunanza plenaria n. 5/2015, secondo la quale la stessa facolta' del ricorrente di graduare i motivi di ricorso incontra un limite nel vizio di incompetenza poiche' «se il potere e' stato esercitato da un'autorita' incompetente, il giudice sul piano logico non puo' fare altro che rilevare il vizio di incompetenza, ma non puo' dettare le regole dell'azione amministrativa, posto che l'azione amministrativa non e' ancora stata esercitata dall'organo preposto» e «l'accoglimento del ricorso giurisdizionale per la riconosciuta sussistenza del vizio di incompetenza comporta l'assorbimento degli ulteriori motivi di impugnazione, in quanto la valutazione del merito della controversia si risolverebbe in un giudizio meramente ipotetico sull'ulteriore attivita' amministrativa dell'organo competente, cui spetta l'effettiva valutazione della vicenda e che potrebbe emanare, o non, l'atto in questione e comunque, provvedere con un contenuto diverso». L'Adunanza plenaria ha ritenuto, infatti, che "nonostante sia formalmente scomparsa" la previsione dell'art. 26, comma 2, legge del Tribunale amministrativo regionale, con il nuovo codice del processo amministrativo i termini del dibattito restano invariati e, anzi, si amplia il novero dei vizi che impediscono alla parte di graduare ad libitum i relativi motivi, a tal fine richiamando il disposto dell'art. 34, comma 2, codice del processo amministrativo, ai sensi del quale «in nessun caso il giudice puo' pronunciare con riferimento a poteri amministrativi non ancora esercitati». 7. Ne' la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 6, comma 2, lett. b) e e), della legge regionale n. 27/1998 puo' ritenersi recessiva rispetto al secondo motivo di ricorso con il quale parte ricorrente sostiene che la prospettata antinomia tra la suddetta norma regionale di delega delle funzioni autorizzative ai comuni e la successiva normativa nazionale di cui agli articoli 196, comma 1, lett. d) ed e), e 208 del Codice dell'ambiente, attributivi delle medesime funzioni alle Regioni, sarebbe in tesi risolvibile in ossequio all'ordinario criterio secondo cui lex posterior derogar priori, con conseguente «cessazione di efficacia della norma precedente» e «inapplicabilita' ed irrilevanza (nel caso di specie) della delega prevista dall'art. 6, comma 2, legge regionale 27/1998». Al riguardo il Collegio osserva che la legge regionale applicabile alla controversia in esame, per quanto anteriore alla riforma del Titolo V della Costituzione e al Codice dell'ambiente, e' stata oggetto di intervento ad opera del legislatore regionale che, con la legge n. 23 del 5 dicembre 2006, «nelle more della revisione organica della legge regionale 9 luglio 1998, n. 27 (Disciplina regionale della gestione dei rifiuti) e successive modifiche, in conformita' alle disposizioni del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), ... (ha) apportato) alla suddetta legge regionale specifiche modifiche per l'adeguamento dell'assetto organizzativo delle funzioni in materia di bonifica dei siti contaminati alle nuove procedure previste dal decreto stesso» (in tal senso, il relativo art. 1). Ne discende, dunque, che per effetto della legge regionale del 2006 la preesistente legge regionale n. 27/1998 e' stata convalidata sul presupposto della compatibilita' delle relative previsioni con il sopravvenuto assetto di riparto delle competenze definito dal legislatore nazionale nell'esercizio della potesta' legislativa esclusiva attribuitagli dall'art. 117, comma 2, lettera s), della Costituzione. La suddetta convalida, operata dalla legge regionale n. 23 del 2006, esplica i propri effetti, per quel che qui interessa, anche in relazione al piu' volte citato art. 6, comma 2, lett. b) e c) la cui efficacia, pur in assenza di uno specifico intervento di adeguamento, risulta confermata, con conseguente applicabilita' della disposizione anche ai procedimenti di autorizzazione successivi all'entrata in vigore del Codice dell'ambiente. Il Collegio, pertanto, non ritiene di poter condividere la ricostruzione, proposta da parte ricorrente dell'implicita abrogazione della delega regionale di cui all'art. 6, comma 2, lett. b) e e) ad opera del decreto legislativo n. 152/2006, alla luce della rammentata conferma dell'efficacia della normativa regionale del 1998 per effetto della legge regionale n. 23/2006. A seguito dell'adozione della legge regionale n. 23/2006 non e' dunque configurabile nel caso di specie il contrasto tra norme giuridiche poste da fonti normative di pari livello, risolvibile in via interpretativa mediante l'applicazione dell'invocato criterio cronologico. Spetta, invece, al Collegio dirimere la questione della compatibilita' della delega delle funzioni ai comuni, contenuta nel piu' volte citato art. 6, comma 2, lett. b) e e), con i principi di cui all'art. 117 della Costituzione, che, nell'ambito del rinnovato sistema di riparto delle competenze legislative tra stato e regioni, attribuisce al primo la competenza esclusiva sulla «tutela dell'ambiente e dell'ecosistema e dei beni culturali», con conseguente indispensabile scrutinio della Corte costituzionale sulla questione. Alla luce delle considerazioni sin qui esposte il Collegio ritiene di non potersi esimere dal sottopone alla Consulta la questione di legittimita' costituzionale concernente il contrasto dell'art. 6, comma 2, lett. b) e c), della legge regionale n. 27/1998, come modificata dalla legge regionale n. 23/2006, con l'art. 117, comma 2, lettera s), della Costituzione, laddove la stessa conferisce ai comuni le funzioni amministrative in materia di approvazione dei progetti e di autorizzazione a realizzare e gestire nuovi impianti di smaltimento o di recupero di rifiuti. 7. Quanto al concorrente profilo della non manifesta infondatezza della questione, il Collegio ritiene opportuno riepilogare - seppur brevemente - il contesto normativo di riferimento. La Regione Lazio, con l'art. 6, comma 2, lett. b) e e), della legge regionale n. 27/1998, ha delegato ai comuni (per quel che qui interessa) «l'approvazione dei progetti degli impianti per lo smaltimento ed il recupero dei rifiuti provenienti dalla demolizione degli autoveicoli a motore e rimorchi, dalla rottamazione dei macchinari e delle apparecchiature deteriorati ed obsoleti e la relativa autorizzazione alla realizzazione degli impianti, nonche' l'approvazione dei progetti di varianti sostanziali in corso di esercizio e la relativa autorizzazione alla realizzazione» e «l'autorizzazione all'esercizio delle attivita' di smaltimento e recupero dei rifiuti di cui alle lettere a) e b)». A livello nazionale, l'art. 196, comma 1, lett. d) ed e) del decreto legislativo n. 152/2006 - nel sostituirsi al previgente art. 19 del decreto legislativo n. 22/1997 - ha stabilito che «Sono di competenza delle regioni, nel rispetto dei principi previsti dalla normativa vigente e dalla parte quarta del presente decreto, ...: d) l'approvazione dei progetti di nuovi impianti per la gestione di rifiuti, anche pericolosi, e l'autorizzazione alle modifiche degli impianti esistenti, fatte salve le competenze statali di cui all'art. 195, comma 1, lettera f), e di cui all'art. 7, comma 4-bis; e) l'autorizzazione all'esercizio delle operazioni di smaltimento e recupero di rifiuti, anche pericolosi, fatte salve le competenze statali di cui all'art. 7, comma 4-bis». Il successivo art. 208, rubricato «Autorizzazione unica per i nuovi impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti», ha previsto che «I soggetti che intendono realizzare e gestire nuovi impianti di smaltimento o di recupero di rifiuti, anche pericolosi, devono presentare apposita domanda alla regione competente per territorio, allegando il progetto definitivo dell'impianto e la documentazione tecnica prevista per la realizzazione del progetto stesso dalle disposizioni vigenti in materia urbanistica, di tutela ambientale, di salute, di sicurezza sul lavoro e di igiene pubblica. Ove l'impianto debba essere sottoposto alla procedura di valutazione di impatto ambientale ai sensi della normativa vigente, alla domanda e' altresi' allegata la comunicazione del progetto all'autorita' competente ai predetti fini ...» (comma 1), stabilendo che «Entro novanta giorni dalla sua convocazione», la Conferenza di servizi: a) procede alla valu azione dei progetti; b) acquisisce e valuta tutti gli elementi relativi alla compatibilita' del progetto con quanto previsto dall'art. 177, comma 4; c) acquisisce, ove previsto dalla normativa vigente, la valutazione di compatibilita' ambientale; d) trasmette le proprie conclusioni con i relativi atti alla regione (comma 4). L'art. 177, comma 4, dello medesimo Codice dell'ambiente, richiamato dal comma 4 del successivo art. 208, afferma, infine, che «I rifiuti sono gestiti senza pericolo per la salute dell'uomo e senza usare procedimenti o metodi che potrebbero recare pregiudizio all'ambiente e, in particolare: a) senza determinare rischi per l'acqua, l'aria, il suolo, nonche' per la fauna e la flora; b) senza causare inconvenienti da rumori o odori; e) senza danneggiare il paesaggio e i siti di particolare interesse, tutelati in base alla normativa vigente». Infine, il legislatore regionale con la legge regionale n. 23/2006, in ragione del rinnovato assetto organizzativo delle funzioni come delineato nel decreto legislativo n. 152/2006, ha apportato alla piu' volte citata legge regionale n. 27/1998 alcune specifiche modifiche, confermandone per il resto le disposizioni, sulla scorta di una valutazione di conformita' delle stesse al sopravvenuto Codice dell'ambiente. 8. Cio' posto, il Collegio - ritenuto che l'art. 117, comma 2 lettera s), della Costituzione e le norme statali passate in rassegna confermano che i Comuni, nella loro qualita' di enti esponenziali della relativa comunita', non sono titolari, in materia ambientale, di funzioni amministrative proprie - e' dell'avviso che il legislatore regionale del Lazio, nel attribuire ai propri comuni le funzioni specificate all'art. 6, comma 2, lett. b) e e), della legge regionale n. 27/1998 e s.m.i., introduca un modello di distribuzione delle competenze decisionali che viola la riserva della competenza legislativa esclusiva statale in materia di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema, in quanto contrastante con l'art. 208 del decreto legislativo n. 152/2006 che, nel disciplinare puntualmente il procedimento di autorizzazione unica per i nuovi impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti, assegna alla regione territorialmente competente (quella in cui ricade l'impianto) il compito di approvarne il progetto e di autorizzarne la realizzazione e la gestione. Diversamente opinando ne risulterebbe pregiudicato lo scopo perseguito dal legislatore nazionale di garantire, anche in attuazione della normativa comunitaria, la regolarita' della messa in esercizio dei predetti impianti attraverso la fissazione di livelli di tutela uniformi «proprio in considerazione dei valori della salute e dell'ambiente che si intendono tutelare in modo omogeneo sull'intero territorio nazionale» (cfr. in tal senso, Corte costituzionale, sentenza 24 luglio 2009, n. 249). L'art. 117, comma 2, lettera s), della Costituzione, nello stabilire che «Lo Stato ha legislazione esclusiva nella seguenti materie: ... (tra cui) tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali», fornisce una chiara e univoca indicazione della sola fonte legislativa legittimata ad operare la distribuzione delle connesse funzioni amministrative tra i vari livelli territoriali, sicche' deve escludersi che il Codice dell'ambiente, nel conferire alle regioni la relativa competenza, ne abbia anche consentito l'allocazione ad un diverso livello amministrativo, escludendo, pertanto, la possibilita' di delegare tali funzioni ai comuni insistenti nel proprio territorio. Depone, in tal senso, anche una lettura combinata delle disposizioni contenute nel novellato Titolo V della Costituzione: l'art. 118 - a fronte del venir meno del tradizionale parallelismo tra funzioni legislative e funzioni amministrative - prevede, infatti, che in generale «le funzioni amministrative sono attribuite ai comuni», a meno che le stesse «per assicurare l'esercizio unitario, siano conferite a provincie, citta' metropolitane, regioni e stato, sulla base dei principi di sussidiarieta', differenziazione e adeguatezza». In tal modo il legislatore costituzionale ha inteso introdurre un elemento di elasticita' nell'attribuzione delle funzioni amministrative, correlato alle esigenze unitarie di esercizio «sovraterritoriale» delle medesime, attraverso la valorizzazione dei canoni di sussidiarieta' verticale, differenziazione e adeguatezza, quali criteri guida della diversa distribuzione delle competenze. Quanto fin qui osservato induce a ritenere che, nella materia di «tutela dell'ambiente e dell'ecosistema» - nella quale, per costante giurisprudenza costituzionale, rientra anche la disciplina dei rifiuti (cosi, ex multis, le sentenze n. 373 del 2010, n. 127 del 2010 e n. 61 del 2009) - non possono essere ammesse iniziative del legislatore regionale di regolamentazione, nel proprio ambito territoriale, delle funzioni amministrative che modifichino l'assetto delle competenze come delineato dalla legge statale, ponendosi la relativa normativa quale limite insuscettibile di deroga anche da parte delle regioni, nonostante siano abilitate a farlo in altre materie di legislazione concorrente, quali ad esempio la tutela della salute ed il governo del territorio (cfr. in tal senso, Corte costituzionale, sentenze n. 314 del 2009 e n. 62 del 2008). Orbene, applicando siffatti principi alla controversia in esame, emerge che il legislatore della Regione Lazio nel 2006 ha inteso confermare, in sede di revisione della legge regionale n. 27/1998, la delega ai comuni del proprio territorio delle funzioni amministrative relative ai procedimenti finalizzati all'approvazione dei progetti e all'autorizzazione, alla realizzazione e all'esercizio degli «impianti per lo smaltimento ed il recupero dei rifiuti provenienti dalla demolizione degli autoveicoli a motore e rimorchi, dalla rottamazione dei macchinari e delle apparecchiature deteriorati ed obsoleti», nonostante il piu' volte rammentato art. 208 del decreto legislativo n. 152/2006 avesse, viceversa, individuato nella regione il soggetto pubblico al quale tali funzioni sono specificamente assegnate, con conseguente illegittima alterazione del riparto delle competenze delineato dal legislatore nazionale. A supporto della dedotta incompatibilita' della norma regionale in questione con l'art. 117, comma 2, lettera s) della Costituzione e con la normativa statale, rappresentata dal decreto legislativo n. 152/2006, milita anche la sentenza della Corte costituzionale n. 187 del 15 giugno 2011 che ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 42, commi 7 e 9, della legge regionale Marche n. 16/2010 nella parte in cui il legislatore regionale aveva attribuito ai comuni territorialmente competenti le procedure relative all'affidamento del servizio di gestione dei rifiuti prodotti dalle navi e dei residui del carico, sul presupposto che in materia di rifiuti, «laddove la legge dello Stato ... ha ... individuato nella regione il soggetto pubblico cui tale funzione e' assegnata», alla regione non spetta la facolta' di «allocare, con un suo atto legislativo, la funzione amministrativa» medesima «presso Pente territoriale Comune» (in tal senso, quanto si legge al paragrafo 4 della pronuncia). Il predetto principio e' stato riaffermato anche nella successiva sentenza 27 giugno 2012, n. 159 che, sempre con rifermento alla materia dei rifiuti, ha ritenuto «la inderogabilita' da parte della legislazione regionale» della disciplina nazionale che ha attribuito alle regioni le funzioni relative all'affidamento del relativo servizio di gestione, «con conseguente illegittimita' costituzionale della norma legislativa che aveva allocato ad un diverso livello amministrativo la relativa funzione». Appare, pertanto, acquisito nell'orientamento della Corte costituzionale il principio secondo il quale, nelle materie riservate dalla Costituzione alla competenza legislativa dello Stato, una discrasia normativa tra la norma statale (che stabilisce un determinato assetto di attribuzione delle funzioni) e la norma regionale (che finisce per alterarne, entro il proprio ambito territoriale, il riparto) giustifica di per se' l'illegittimita' costituzionale di quest'ultima per violazione dell'art. 117, comma 2 lettera s, che a livello costituzionale ne attribuisce la disciplina al legislatore nazionale. 9. Il Collegio rileva, infine, che altre regioni al fine di adeguarsi all'orientamento espresso dalla Corte costituzionale nelle su citate pronunce hanno provveduto a ridefinire il quadro delle competenze amministrative in materia di gestione di rifiuti, riallocando in capo alla regione le funzioni amministrative che lo stato le ha attribuito senza possibilita' di delega. Al riguardo si richiama la legge regionale della Toscana n. 61/2014 che ha provveduto a riattribuire alla regione le funzioni delegate con la legge regionale n. 25/1998 alle province e, segnatamente le autorizzazioni per la realizzazione e l'esercizio degli impianti di gestione dei rifiuti. 10. Conclusivamente, per tutte le ragioni esposte, questo Tribunale ritiene rilevante e non manifestamente infondata la questione attinente alla compatibilita' con l'art. 117, comma 2, lettera s), della Costituzione dell'art. 6, comma 2, lett. b) e c), della legge regionale del Lazio 9 luglio 1998, n. 27, come implicitamente convalidato dalla legge regionale del Lazio n. 23/2006 , nella parte in cui dispone che «Sono delegate ai comuni: ... l'approvazione dei progetti degli impianti per lo smaltimento ed il recupero dei rifiuti provenienti dalla demolizione degli autoveicoli a motore e rimorchi, dalla rottamazione dei macchinari e delle apparecchiature deteriorati ed obsoleti e la relativa autorizzazione alla realizzazione degli impianti, nonche' l'approvazione dei progetti di varianti sostanziali in corso di esercizio e la relativa autorizzazione alla realizzazione» e «l'autorizzazione all'esercizio delle attivita' di smaltimento e recupero dei rifiuti di cui alle lettere a) e b)». Conseguentemente, il Collegio dispone la sospensione del presente giudizio e la rimessione della predetta questione alla Corte costituzionale, ai sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87.
P. Q. M. Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio (sezione seconda), rimette alla Corte costituzionale la questione di legittimita' costituzionale illustrata in motivazione, relativa all'art. 6, comma 2, lett. b) e e), della legge della Regione Lazio 9 luglio 1998, n. 27. Dispone, conseguentemente, la sospensione del presente giudizio, con rinvio al definitivo per ogni ulteriore statuizione in rito, nel merito e sulle spese di lite, e l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Manda alla segreteria della sezione tutti gli adempimenti di competenza e, in particolare, la notifica della presente ordinanza alle parti in causa, al Presidente del Consiglio dei ministri e al Presidente della Regione Lazio, nonche' la sua comunicazione ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Cosi' deciso in Roma nelle camere di consiglio dei giorni 6 maggio 2020, 25 maggio 2020, tenutesi in videoconferenza da remoto, ai sensi dell'art. 84, comma 6, del decreto-legge n. 18/2020, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 27/2020 con l'intervento dei magistrati: Francesco Riccio, Presidente Marina Perrelli, Consigliere, Estensore Giovanna Vigliotti, Referendario Il Presidente: Riccio L'estensore: Perrelli