N. 281 SENTENZA 1 - 23 dicembre 2020

Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale. 
 
Ambiente - Norme  della  Regione  autonoma  Friuli-Venezia  Giulia  -
  Tutela dei prati stabili naturali - Autorizzazione al transito  per
  lo  svolgimento  di  manifestazioni  motoristiche,  ciclistiche   e
  motonautiche - Termine di  trenta  giorni  per  il  ripristino  dei
  luoghi  -  Ricorso  del  Governo  -  Lamentata   violazione   della
  competenza esclusiva statale in materia di tutela  dell'ambiente  -
  Non fondatezza della questione. 
Straniero - Norme della  Regione  autonoma  Friuli-Venezia  Giulia  -
  Abrogazione del programma annuale degli interventi a  favore  delle
  persone straniere - Ricorso  del  Governo  -  Lamentata  violazione
  della competenza esclusiva statale nelle materie  della  condizione
  giuridica dello straniero  e  dell'immigrazione  -  Non  fondatezza
  della questione. 
Sanita' pubblica - Norme della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia
  -  Punti  di  primo  intervento  presso   i   presidi   ospedalieri
  riconvertiti per lo svolgimento di attivita' distrettuali sanitarie
  e  sociosanitarie  -  Allestimento  di  spazi  di  osservazione   a
  disposizione della funzione  di  emergenza-urgenza  -  Ricorso  del
  Governo - Denunciata violazione della competenza esclusiva  statale
  in  materia  di  determinazione  dei   livelli   essenziali   delle
  prestazioni e dei principi fondamentali in materia di tutela  della
  salute - Non fondatezza delle questioni. 
Lavoro e occupazione - Norme della  Regione  autonoma  Friuli-Venezia
  Giulia  -  Accesso  agli  incentivi  per  il  riassorbimento  delle
  eccedenze occupazionali conseguenti a crisi aziendali  -  Limite  -
  Concessione    riservata    alle    assunzioni,    inserimenti    o
  stabilizzazioni di residenti in  via  continuativa  sul  territorio
  regionale da almeno cinque anni - Irragionevolezza - Illegittimita'
  costituzionale. 
- Legge della Regione Friuli-Venezia Giulia  8  luglio  2019,  n.  9,
  artt. 14, che aggiunge i commi 7-bis e 7-ter all'art. 5 della legge
  della Regione Friuli-Venezia Giulia 29 aprile 2005, n. 9, 45, comma
  1, lettera b), che abroga  l'art.  17  della  legge  della  Regione
  Friuli-Venezia Giulia 9 dicembre 2015, n.  31,  74,  comma  3,  che
  modifica  il  comma  3  dell'art.  34  della  legge  della  Regione
  Friuli-Venezia Giulia 16 ottobre 2014, n. 17, e 88, che aggiunge il
  comma  3-quinquies  all'art.   77   della   legge   della   Regione
  Friuli-Venezia Giulia 9 agosto 2005, n. 18. 
- Costituzione, artt. 3 e 117, commi secondo, lettere a),  b),  m)  e
  s), e terzo; statuto speciale del Friuli-Venezia  Giulia,  art.  5,
  numero 16). 
(GU n.53 del 30-12-2020 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Giancarlo CORAGGIO; 
Giudici :Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria  de  PRETIS,  Nicolo'
  ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI,
  Giovanni  AMOROSO,  Francesco  VIGANO',  Luca   ANTONINI,   Stefano
  PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt.  14,  45,
comma 1, lettera b), 74, comma 3, e  88  della  legge  della  Regione
autonoma Friuli-Venezia Giulia 8  luglio  2019,  n.  9  (Disposizioni
multisettoriali  per  esigenze  urgenti  del  territorio  regionale),
promosso dal Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  con  ricorso
notificato il 6-17 settembre 2019 e depositato il 13 settembre  2019,
iscritto al n. 98  del  registro  ricorsi  2019  e  pubblicato  nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica  n.  43,  prima  serie  speciale,
dell'anno 2019. 
    Visto   l'atto   di   costituzione   della    Regione    autonoma
Friuli-Venezia Giulia; 
    udito nell'udienza pubblica  del  1°  dicembre  2020  il  Giudice
relatore Giuliano Amato, in collegamento  da  remoto,  ai  sensi  del
punto 1) del decreto del Presidente della Corte del 30 ottobre 2020; 
    uditi l'avvocato dello Stato Francesca Morici per  il  Presidente
del Consiglio dei ministri e, in collegamento da remoto, ai sensi del
punto 1) del decreto del Presidente della Corte del 30 ottobre  2020,
l'avvocato  Francesco  Saverio  Marini  per   la   Regione   autonoma
Friuli-Venezia Giulia; 
    deliberato nella camera di consiglio del 1° dicembre 2020. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ricorso notificato il 6-17 settembre 2019 e depositato il
13 settembre 2019 (reg. ric. n.  98  del  2019),  il  Presidente  del
Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso   dall'Avvocatura
generale dello Stato, ha promosso - in  riferimento  complessivamente
agli artt. 3, 117, commi secondo, lettere a), b), m), e s), e  terzo,
della Costituzione, nonche'  all'art.  5,  numero  16),  della  legge
costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della  Regione
Friuli-Venezia Giulia) - tra  le  altre,  questioni  di  legittimita'
costituzionale degli artt. 14, 45, comma 1, lettera b), 74, comma  3,
e 88 - nella parte in cui introduce  l'art.  77,  comma  3-quinquies,
della legge della Regione autonoma  Friuli-Venezia  Giulia  9  agosto
2005, n. 18 (Norme  regionali  per  l'occupazione,  la  tutela  e  la
qualita'  del  lavoro)  -  della   legge   della   Regione   autonoma
Friuli-Venezia   Giulia   8   luglio   2019,   n.   9   (Disposizioni
multisettoriali per esigenze urgenti del territorio regionale). 
    2.- Una prima questione ha ad oggetto l'art. 14 della legge  reg.
Friuli-Venezia Giulia n. 9 del 2019,  che  modifica  l'art.  5  della
legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 29 aprile 2005, n.
9 (Norme  regionali  per  la  tutela  dei  prati  stabili  naturali),
aggiungendovi i commi 7-bis e 7-ter, ove si  prevede:  «7-bis.  Entro
trenta giorni decorrenti dal termine  dell'attivita'  autorizzata  ai
sensi dei commi 1.1-bis e 1.1-quater  dell'articolo  12  della  legge
regionale 15 ottobre 2009  n.  17  (Disciplina  delle  concessioni  e
conferimento di funzioni in materia  di  demanio  idrico  regionale),
qualora il materiale del fondo stradale si  depositi  accidentalmente
sul prato stabile nel corso della  suddetta  attivita',  il  soggetto
organizzatore e' tenuto alla riduzione in pristino  dello  stato  dei
luoghi qualora prescritto dal soggetto che ha  rilasciato  il  titolo
autorizzatorio. 7-ter. Fino alla scadenza  del  termine  indicato  al
comma 7-bis non trova applicazione il divieto di cui all'articolo  4,
comma 1». 
    2.1.- Secondo la  difesa  statale  le  norme  regionali  indicate
lederebbero l'art.  117,  secondo  comma,  lettera  s),  Cost.  -  in
relazione al decreto del  Presidente  della  Repubblica  8  settembre
1997,  n.  357  (Regolamento  recante  attuazione   della   direttiva
92/43/CEE  relativa  alla  conservazione  degli  habitat  naturali  e
seminaturali, nonche' della flora e della fauna  selvatiche)  e  alle
direttive comunitarie con esso recepite - in quanto,  nel  ridurre  i
livelli  di  tutela,  determinerebbero  impatti  negativi  sui  prati
stabili. 
    2.1.1.-  I  prati  stabili   rientrerebbero   tra   gli   habitat
individuati ai sensi della direttiva 21 maggio  1992,  n.  92/43/CEE,
del Consiglio, «relativa alla conservazione degli habitat naturali  e
seminaturali  e  della  flora  e  della  fauna  selvatiche»  e  della
direttiva 30 novembre 2009, n. 2009/147/CE, del Parlamento europeo  e
del  Consiglio,   «concernente   la   conservazione   degli   uccelli
selvatici», recepite, rispettivamente, con la legge 11 febbraio 1992,
n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per
il prelievo venatorio) e con il citato d.P.R. n. 357 del 1997. 
    Secondo la difesa statale le norme impugnate  consentirebbero  lo
svolgimento su tali habitat  delle  attivita'  autorizzate  ai  sensi
dell'art. 12 della  legge  della  Regione  Friuli-Venezia  Giulia  15
ottobre 2009, n. 17 (Disciplina delle concessioni e  conferimento  di
funzioni in materia di  demanio  idrico  regionale),  concernente  le
manifestazioni motoristiche, ciclistiche  e  nautiche,  con  o  senza
mezzi  a  motore,  anche  a  carattere  amatoriale,  per   l'utilizzo
temporaneo  di  beni  del   demanio   idrico   regionale   funzionali
all'organizzazione e allo svolgimento delle predette manifestazioni. 
    In particolare, fissando un termine di trenta  giorni  successivo
allo svolgimento di tali attivita' per il ripristino dello stato  dei
luoghi, periodo per cui non si applica l'art 4, comma 1, della  legge
reg. Friuli-Venezia Giulia n. 9 del 2005, che vieta gli interventi di
riduzione di superficie sui prati stabili, s'introdurrebbe una deroga
idonea a determinare un abbassamento dei livelli di tutela ambientale
sui prati stabili. 
    Da qui la violazione dei limiti posti dallo Stato in  materia  di
«tutela dell'ambiente e dell'ecosistema» (ex multis, sono  richiamate
le sentenze di questa Corte n. 244 e n. 33 del 2011, n. 331 e n.  278
del 2010 e n. 10 del 2009), che s'imporrebbero anche alle  Regioni  a
statuto speciale (si richiama la sentenza n. 300 del 2013). 
    3.- Con una seconda questione lo Stato impugna l'art.  45,  comma
1, lettera b), della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 9 del  2019,
che  abroga  l'art.   17   della   legge   della   Regione   autonoma
Friuli-Venezia  Giulia  9   dicembre   2015,   n.   31   (Norme   per
l'integrazione sociale delle persone straniere immigrate),  attuativo
dell'art. 40 del decreto legislativo 25 luglio 1998,  n.  286  (Testo
unico delle disposizioni concernenti la disciplina  dell'immigrazione
e norme sulla condizione dello straniero),  in  materia  di  accesso,
accoglienza e inserimento abitativo delle persone straniere. 
    3.1.- Secondo l'Avvocatura generale dello Stato  la  disposizione
impugnata violerebbe l'art 117,  secondo  comma,  lettere  a)  e  b),
Cost., in relazione agli artt. 3, comma 5, e 40 del d.lgs. n. 286 del
1998. 
    3.1.1.- L'abrogazione disposta con la norma  impugnata,  infatti,
lascerebbe un vuoto normativo  nella  legislazione  regionale  quanto
alla disciplina relativa  all'accesso  di  cittadini  stranieri  alla
idonea soluzione abitativa,  non  essendo  previsto  nell'ordinamento
regionale  uno  strumento  alternativo   rispetto   al   «[p]rogramma
annuale», individuato dall'abrogato art. 17 per promuovere  le  forme
d'intervento a favore delle persone straniere. 
    Cio' contrasterebbe con l'art. 3, comma 5, del d.lgs. n. 286  del
1998, ai  sensi  del  quale  le  Regioni  «adottano  i  provvedimenti
concorrenti al perseguimento dell'obiettivo di rimuovere gli ostacoli
che di fatto impediscono il pieno riconoscimento dei diritti e  degli
interessi riconosciuti agli stranieri nel territorio dello Stato, con
particolare riguardo a quelle  inerenti  all'alloggio,  alla  lingua,
all'integrazione sociale, nel rispetto dei diritti fondamentali della
persona». 
    Tale disposizione, cosi' come l'art. 40 del  d.lgs.  n.  286  del
1998, su cui peraltro la difesa statale non  si  sofferma,  sarebbero
espressione di competenze esclusive dello Stato, quali la «condizione
giuridica dei cittadini di Stati non appartenenti all'Unione europea»
e l'«immigrazione», recando principi fondamentali dell'ordinamento ex
art. 1, comma 4, dello stesso d.lgs. n. 286  del  1998,  che  per  le
Regioni a statuto speciale avrebbero valore di norme fondamentali  di
riforma economico-sociale della Repubblica. 
    4.- Oggetto d'impugnazione e' poi l'art. 74, comma 3, della legge
reg. Friuli-Venezia Giulia n. 9 del 2019,  che  modifica  l'art.  34,
comma 3, della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia  16
ottobre  2014,  n.  17   (Riordino   dell'assetto   istituzionale   e
organizzativo del Servizio sanitario regionale e norme in materia  di
programmazione sanitaria e sociosanitaria),  ove  si  stabilisce  che
presso i presidi  ospedalieri  riconvertiti  per  lo  svolgimento  di
attivita' distrettuali sanitarie e sociosanitarie, i punti  di  primo
intervento siano dotati di  «spazi  di  osservazione  a  disposizione
della funzione di emergenza-urgenza». 
    4.1.-  Secondo  la  parte  ricorrente  il  legislatore  regionale
avrebbe violato l'art. 117,  commi  secondo,  lettera  m),  e  terzo,
Cost.,  nonche'  l'art.   5,   numero   16),   dello   statuto   reg.
Friuli-Venezia Giulia, in relazione al  decreto  del  Ministro  della
salute, adottato di concerto con il Ministro  dell'economia  e  delle
finanze, 2 aprile 2015, n. 70 (Regolamento recante definizione  degli
standard  qualitativi,  strutturali,   tecnologici   e   quantitativi
relativi all'assistenza ospedaliera), adottato a norma  dell'art.  1,
comma 169, della legge 30 dicembre 2004, n 21, recante  «Disposizioni
per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale  dello  Stato
(legge finanziaria 2005)». 
    4.1.1.- Il d.m. n. 70 del 2015 (Allegato 1, punto  9.1.5),  nella
specie, prevede che «a seguito della riconversione dell'attivita'  di
un ospedale per acuti in un ospedale per la post-acuzie oppure in una
struttura territoriale, potrebbe rendersi necessario  prevedere,  per
un  periodo  di  tempo  limitato,  il  mantenimento  nella  localita'
interessata di un Punto di Primo Intervento, operativo nelle  12  ore
diurne e presidiato dal sistema 118  nelle  ore  notturne».  In  tali
punti di primo intervento non e' prevista  l'osservazione  breve  del
paziente e la loro funzione per le urgenze si limita  unicamente  «ad
ambienti e dotazioni tecnologiche atte al trattamento  delle  urgenze
minori  e  ad  una  prima  stabilizzazione  del  paziente   ad   alta
complessita', al fine di consentirne il trasporto nel pronto soccorso
piu' appropriato». 
    4.1.2.- Secondo la difesa statale la  modifica  introdotta  dalla
norma   regionale   impugnata   contrasterebbe   con   la   normativa
costituzionale sotto un duplice profilo. 
    Da un lato, perche' introdurrebbe nella  Regione  un  sistema  di
assistenza  difforme   dagli   standard   qualitativi,   strutturali,
tecnologici  e  quantitativi  relativi   all'assistenza   ospedaliera
indicati nel d.m. n. 70 del 2015 (e' richiamata la sentenza di questa
Corte n. 231 del 2017), che costituirebbero livelli essenziali  delle
prestazioni. La determinazione di tali standard, in particolare, deve
essere garantita, con carattere di generalita', a  tutti  gli  aventi
diritto e la relativa competenza, avendo  carattere  trasversale,  e'
idonea  ad  investire  tutte  le  materie  rispetto  alle  quali   il
legislatore  statale  deve  poter  porre  le  norme  necessarie   per
assicurare a tutti, sull'intero territorio nazionale, il godimento di
determinate prestazioni, senza che la  legislazione  regionale  possa
limitarle o condizionarle (sono  richiamate  le  sentenze  di  questa
Corte n. 192 del 2017, n. 125 del 2015, n. 207, n. 203 e n.  164  del
2012). 
    Dall'altro  lato,  l'art.  34,  comma   3,   della   legge   reg.
Friuli-Venezia Giulia n. 17 del  2014,  come  novellato,  inciderebbe
anche  sull'organizzazione  sanitaria  e,  pertanto,  sulla   materia
«tutela della salute» (si richiama la sentenza di questa Corte n.  54
del 2015), interferendo con l'ambito funzionale e operativo  definito
dallo  Stato  proprio  allo  scopo  di  garantire   la   qualita'   e
l'adeguatezza  delle  specifiche  prestazioni  (viene  richiamata  la
sentenza n. 207 del 2010). 
    La  norma  impugnata,  pertanto,  eccederebbe  dalla   competenza
legislativa attribuita alla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia in
materia di «assistenza sanitaria ed ospedaliera» dall'art. 5,  numero
16,  dello  statuto  regionale,  violando  principi  che  secondo  la
giurisprudenza costituzionale s'imporrebbero  anche  alle  Regioni  a
statuto speciale (tra tutte, viene richiamata la sentenza n. 126  del
2017), in quanto  la  potesta'  concorrente  assegnata  alle  Regioni
ordinarie dal testo costituzionale e'  assai  piu'  ampia  di  quella
attribuita dagli statuti speciali in materia di assistenza  sanitaria
e ospedaliera (ex plurimis, sono richiamate le sentenze  n.  162  del
2007, n. 134 del 2006 e n. 270 del 2005). 
    5.-  Da  ultimo,  e'  impugnato  l'art.  88  della   legge   reg.
Friuli-Venezia Giulia n. 9 del 2019,  nella  parte  in  cui  aggiunge
all'art. 77 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 18 del 2005  il
comma  3-quinquies,  che  dispone:  «[a]l   fine   di   favorire   il
riassorbimento  delle  eccedenze  occupazionali   determinatesi   sul
territorio regionale in conseguenza di situazioni di crisi aziendale,
gli  incentivi  di  cui  al  comma  3-bis  possono  essere   concessi
esclusivamente a fronte di assunzioni, inserimenti o  stabilizzazioni
occupazionali riguardanti soggetti che, alla data della presentazione
della domanda di incentivo, risultino residenti continuativamente sul
territorio regionale da almeno cinque anni». 
    5.1.-  Secondo  la  difesa  statale  la  disposizione  impugnata,
subordinando il riconoscimento di  un  incentivo  occupazionale  alla
residenza del lavoratore in Regione da almeno cinque anni, violerebbe
gli artt. 3 e 117, secondo comma, lettera m), Cost. e il principio di
ragionevolezza, in relazione all'art. 11, comma l,  lettera  c),  del
decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 150  (Disposizioni  per  il
riordino della normativa in materia di servizi per  il  lavoro  e  di
politiche attive, ai sensi dell'articolo 1, comma 3, della  legge  10
dicembre 2014, n. 183). 
    5.1.1.-  Sotto   un   primo   profilo,   la   norma   limiterebbe
irragionevolmente  il  diritto  all'incentivo,  con  una   violazione
indiretta del diritto al lavoro di cui all'art. 4 Cost., riconosciuto
a tutti indistintamente, di fatto riservandolo  solo  alla  categoria
dei residenti quinquennali,  cosi'  ponendosi  in  conflitto  con  le
molteplici attivita' statali volte alla promozione  delle  condizioni
per facilitare l'ingresso nel mondo lavorativo da  riconoscersi  tout
court a tutti i lavoratori. 
    Il d.lgs. n. 150 del 2015, infatti, all'art. 11, comma 1, lettera
c), prevede la disponibilita' di servizi  e  di  misure  di  politica
attiva del lavoro a tutti i  residenti  sul  territorio  italiano,  a
prescindere dalla Regione o dalla Provincia  autonoma  di  residenza.
Cosi',  la  cumulabilita'  degli  incentivi   regionali   con   altri
interventi contributivi disposti da leggi statali, prevista dall'art.
77, comma 2, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 18  del  2005,
violerebbe il principio di uguaglianza sostanziale di cui all'art. 3,
secondo comma, Cost. e la normativa comunitaria in tema  di  liberta'
di circolazione, diritto di stabilimento e libera concorrenza. 
    5.1.2.- Sotto un altro profilo, s'introdurrebbe  un  elemento  di
irragionevolezza,  non  profilandosi  alcuna   connessione   tra   il
riconoscimento di un incentivo al datore di  lavoro  e  il  requisito
della residenza protratta  nel  tempo  del  lavoratore.  Si  potrebbe
ipotizzare, a titolo esemplificativo, che un soggetto  non  residente
abbia svolto  negli  ultimi  cinque  anni  un  periodo  di  attivita'
lavorativa  piu'  consistente  rispetto  a  un  altro   semplicemente
residente, contribuendo il  primo  piu'  del  secondo  al  «progresso
materiale e morale della comunita' su base regionale». 
    5.1.3.- Infine, l'Avvocatura generale dello  Stato  asserisce  la
violazione anche dell'art. 117, secondo  comma,  lettera  m),  Cost.,
riguardante  i  livelli  essenziali   delle   prestazioni,   in   cui
rientrerebbero le misure di politica attiva del lavoro, ivi  compresi
gli incentivi occupazionali riconosciuti  ai  datori  di  lavoro  per
l'assunzione  di  particolari  categorie  di  lavoratori,   i   quali
sarebbero, ai sensi dell'art. 11, comma 1, lettera c), del d.lgs.  n.
150 del 2015, «servizi che  devono  essere  riconosciuti  a  tutti  i
residenti sul territorio italiano,  a  prescindere  dalla  regione  o
provincia autonoma di residenza». 
    6.- Con atto depositato l'11 ottobre 2019  si  e'  costituita  in
giudizio la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, chiedendo che  le
questioni siano dichiarate inammissibili e comunque infondate. 
    7.- Con riferimento alla prima questione,  relativa  all'art.  14
della legge reg. Friuli-Venezia Giulia  n.  9  del  2019,  la  difesa
regionale,  oltre  all'infondatezza  nel  merito,  eccepisce  plurimi
motivi d'inammissibilita'. 
    7.1.- In primo luogo, la questione sarebbe  totalmente  generica,
limitandosi  il  Governo  ad  affermare  la  violazione  delle  fonti
nazionali ed europee nel loro complesso, senza individuare  le  norme
violate e, in  particolare,  il  livello  di  tutela  ambientale  che
risulterebbe ridotto per effetto della disposizione impugnata. 
    La ormai costante giurisprudenza costituzionale, invece, richiede
che i termini delle questioni di  legittimita'  costituzionale  siano
ben identificati, dovendo il ricorrente individuare  le  disposizioni
impugnate,  i  parametri  evocati  e  le  ragioni  delle   violazioni
prospettate (ex plurimis, sono richiamate  le  sentenze  n.  154  del
2017, n. 141, n. 65, n. 40 e n. 3 del 2016, n. 273, n. 176 e  n.  131
del  2015),  chiarendo  altresi'  che   l'esigenza   di   un'adeguata
motivazione   a   fondamento   della   richiesta   declaratoria    di
illegittimita'  costituzionale  si  pone  in  termini  perfino   piu'
pregnanti nei giudizi proposti in via principale  rispetto  a  quelli
instaurati in via incidentale (vengono richiamate le sentenze n. 251,
n. 233, n. 218, n. 142 e n. 82 del 2015). 
    7.2.- Sotto un secondo profilo la questione sarebbe inammissibile
quanto alla pretesa  violazione  delle  fonti  europee,  per  mancata
individuazione del parametro costituzionale. 
    La parte ricorrente, infatti, assumerebbe il mero  contrasto  con
le direttive europee, senza invocare  la  violazione  dell'art.  117,
primo comma, Cost. 
    7.3.- Ulteriore ragione d'inammissibilita' deriverebbe dal  fatto
che nel caso di specie non potrebbe  invocarsi  l'art.  117,  secondo
comma, lettera s), Cost. 
    7.3.1.- La Regione autonoma Friuli-Venezia  Giulia,  infatti,  ha
competenza primaria in materia di «agricoltura e foreste,  bonifiche,
ordinamento delle minime unita' culturali e ricomposizione fondiaria,
irrigazione, opere di miglioramento agrario e  fondiario,  zootecnia,
ittica, economia montana, corpo forestale» (art. 4, numero  2,  dello
statuto  reg.  Friuli-Venezia  Giulia).  Pertanto,  spetterebbe  alla
Regione dare concreta  attuazione  per  il  proprio  territorio  alla
direttiva 92/43/CEE - che impone misure di salvaguardia sui  siti  di
importanza comunitaria (SIC) e misure  di  conservazione  sulle  zone
speciali di conservazione (ZSC) e sulle zone di  protezione  speciale
(ZPS), a seguito della «definizione» di queste ultime d'intesa con lo
Stato - e alla direttiva 2009/147/CE (si richiamano  le  sentenze  di
questa Corte n. 104 del 2008 e n. 425 del 1999). 
    La competenza statutaria non risulterebbe neppure menzionata  nel
ricorso,  in  senso  contrario  alla  giurisprudenza  costituzionale,
secondo cui, nel caso d'impugnazione di una legge di una  Regione  ad
autonomia  speciale,  il  ricorrente  e'  tenuto  a  individuare   le
competenze  previste  dallo  statuto  di  autonomia,   necessarie   a
inquadrare l'oggetto del giudizio e a motivare perche' la  disciplina
contestata  esorbiterebbe  dalle   stesse   (ex   plurimis,   vengono
richiamate le sentenze n. 58 del 2016, n. 151 e n. 142 del  2015,  n.
87 e n. 54 del 2014, n. 308, n. 288, n. 277 e n. 187 del 2013). 
    7.4.- La questione sarebbe poi inammissibile  e  infondata  anche
per erroneita' del presupposto interpretativo. 
    7.4.1.  -  Secondo   il   Governo,   infatti,   la   legge   reg.
Friuli-Venezia   Giulia   n.   9   del   2005   farebbe   riferimento
esclusivamente alle aree  rientranti  nell'ambito  applicativo  delle
citate direttive europee. 
    L'art.  1  di  tale  legge   regionale,   invece,   dispone   che
l'amministrazione regionale, al fine di  garantire  la  conservazione
dell'identita' biologica del  territorio  e  la  biodiversita'  degli
habitat e delle specie floristiche e faunistiche, promuove la  tutela
dei prati stabili naturali delle aree regionali di  pianura,  secondo
le modalita' individuate dalla medesima legge; il comma  l-bis  dello
stesso articolo  precisa  che  la  Regione  armonizza  la  disciplina
inerente  i  prati  stabili  e  i  siti  della  rete  «Natura  2000»,
individuati ai sensi delle richiamate  direttive  europee,  affinche'
siano perseguite le rispettive finalita' in forme tra loro coordinate
e complementari. L'art.  2,  nel  dettare  la  definizione  di  prati
stabili, chiarisce che essi  sono  le  formazioni  appartenenti  alle
alleanze di vegetazione Phragmition communis, Magnocaricion elatae  e
Arrhenatherion elatioris, suddivise in tipologie  in  funzione  della
composizione   floristica   del   cotico   erbaceo,   come   indicato
nell'Allegato A della legge, nonche' le  formazioni  erbacee  di  cui
all'Allegato I della direttiva 92/43/CEE. 
    Sarebbe chiaro, quindi, che nella definizione  di  prato  stabile
naturale non rientrerebbero solo i siti individuati  dalla  direttiva
92/43/CEE, riguardo a cui  la  disposizione  contestata  non  avrebbe
alcuna incidenza, in quanto le  manifestazioni  di  cui  all'art.  12
della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 17 del 2009 non  potrebbero
essere ivi autorizzate. Infatti, quest'ultima  disposizione  riguarda
il rilascio dell'autorizzazione idraulica  all'interno  di  aree  del
demanio idrico regionale, autorizzazione subordinata, tra l'altro, al
parere della struttura  regionale  competente,  qualora  il  transito
interessi SIC e ZPS o  ricada  in  aree  protette,  biotopi  e  prati
stabili. 
    Di cio' vi sarebbe conferma anche in base al  combinato  disposto
degli artt. 4 e 5 della legge reg. Friuli-Venezia  Giulia  n.  9  del
2005. L'art. 4 individua le attivita' non ammesse sui prati  stabili,
tra cui la riduzione di superficie, mentre l'art. 5 stabilisce alcune
deroghe ai divieti di cui all'art. 4, precisando, al comma 1, che  la
deroga  alla  riduzione  della   superficie   possa   avvenire   solo
«compatibilmente con la disciplina comunitaria e nazionale in materia
di conservazione della biodiversita'». 
    7.5.- La  questione  sarebbe  in  ogni  caso  infondata,  perche'
l'impugnato art. 14 non recherebbe comunque una deroga all'obbligo di
riduzione in pristino dello stato dei luoghi, ne'  introdurrebbe  una
tutela inferiore rispetto a quella prevista in precedenza. 
    7.5.1.- La disposizione regionale, al contrario, da un  lato  non
riguarderebbe  i  siti  individuati  dalla   normativa   comunitaria,
dall'altro appresterebbe una tutela piu' estesa, individuando ex lege
nell'organizzatore dell'evento il soggetto tenuto al ripristino dello
stato dei luoghi in conseguenza di un evento  accidentale.  Il  fatto
che nel corso del periodo di  rimessione  in  pristino  possa  essere
ridotta la superficie  del  prato  stabile  sarebbe  una  prestazione
connaturata e intrinsecamente conseguente all'attivita' di ripristino
stessa. 
    D'altronde, l'art. 2 del d.P.R. n. 357 del 1997 stabilisce che le
misure di conservazione necessarie per mantenere o  ripristinare  gli
habitat naturali  e  le  popolazioni  di  specie  di  fauna  e  flora
selvatiche in uno stato soddisfacente devono rispondere a una  logica
di stabilita' nel lungo periodo e non contingente.  Disposizione  che
in nessun modo potrebbe ritenersi lesa dalle norme  impugnate,  volte
proprio ad assicurare la  conservazione  a  lungo  termine  dell'area
naturale costituente prato stabile, attraverso l'immediata rimessione
in pristino a carico dell'organizzatore dell'evento. 
    8.- Anche riguardo alla seconda questione, relativa  all'art.  45
della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 9 del 2019, la difesa della
Regione    autonoma    Friuli-Venezia     Giulia     ne     asserisce
l'inammissibilita' e l'infondatezza. 
    8.1.-  La  questione  sarebbe  inammissibile,  in   primis,   per
genericita', difetto di motivazione e mancata individuazione puntuale
del parametro interposto, poiche' la parte ricorrente si  limiterebbe
a invocare gli artt. 3, comma 5, e 40 del d.lgs.  n.  286  del  1998,
senza spiegare perche' la disposizione abrogativa  regionale  sarebbe
in contrasto con gli stessi. 
    8.2.- Sotto un ulteriore profilo, il motivo  di  ricorso  sarebbe
inammissibile in quanto la  disciplina  censurata  andrebbe  ascritta
alla competenza regionale di attuazione e integrazione nella  materia
«assistenza  sociale»  (art.  6,  numero  2,   dello   statuto   reg.
Friuli-Venezia Giulia). 
    Il Governo non perimetrerebbe  l'oggetto  del  giudizio,  tenendo
conto anche della competenza statutaria, ne' specificherebbe  perche'
la disciplina censurata esorbiterebbe rispetto ai poteri attuativi  e
integrativi da essa attribuiti. 
    8.3.- Nel merito la questione sarebbe comunque infondata. 
    8.3.1.- La norma abrogata, infatti, avrebbe avuto per oggetto  la
promozione  di  forme  d'intervento  regionali  ulteriori  e  diverse
rispetto a quelle previste dall'art. 40 del d.lgs. n. 286  del  1998,
concernenti i centri di accoglienza e l'inserimento  abitativo  degli
stranieri regolarmente soggiornanti. 
    Tali  interventi,  invece,  sarebbero  disciplinati  aliunde,  in
primis  da   ulteriori   disposizioni   della   stessa   legge   reg.
Friuli-Venezia Giulia n. 31 del 2015,  che  all'art.  3  incarica  la
Regione di curare l'attuazione degli interventi attribuiti  da  leggi
statali. Detti interventi sarebbero dunque  abilitati  a  individuare
idonee misure, anche in termini d'impegno finanziario, per  programmi
di  inserimento,  di  lotta  alla  discriminazione,  di   accesso   a
prestazioni  sociali  e  a   servizi   territoriali,   ivi   compresi
l'assistenza e  la  prima  accoglienza  per  coloro  che  versano  in
situazioni di bisogno. E, ancora, l'art. 25, comma 2, della  medesima
legge assicurerebbe la continuita' dei finanziamenti e dei  programmi
in corso. 
    Ulteriori previsioni si avrebbero  poi  all'art.  3  legge  della
Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 31 marzo 2006, n.  6  (Sistema
integrato di interventi e servizi per la promozione e la  tutela  dei
diritti di cittadinanza sociale), a cui rinvia l'art. 15 della  legge
reg.  Friuli-Venezia  Giulia  n.  31  del  2015,  ove  si  garantisce
l'integrazione  delle  politiche  socioassistenziali  di   protezione
sociale,  sanitarie,  abitative,  dei   trasporti,   dell'educazione,
formative, del lavoro, culturali, ambientali  e  urbanistiche,  dello
sport e del tempo libero,  nonche'  di  tutti  gli  altri  interventi
finalizzati al benessere  della  persona  e  alla  prevenzione  delle
condizioni di  disagio  sociale,  al  coordinamento  regionale  delle
politiche di cittadinanza sociale. La legge  della  Regione  autonoma
Friuli-Venezia Giulia 19 febbraio 2016, n. 1 (Riforma organica  delle
politiche  abitative  e  riordino  delle  Ater),  infine,  stabilisce
l'integrazione tra tali strumenti finalizzati a garantire il  diritto
di cittadinanza sociale con quelli di politica abitativa (art. 1)  e,
nell'individuare i beneficiari delle provvidenze e dei contributi  in
materia di politiche abitative, indicherebbe espressamente proprio  i
soggetti di cui all'art. 41 del d.lgs. n. 286 del 1998. 
    L'abrogazione  della   disposizione   impugnata,   pertanto,   si
spiegherebbe  unicamente  nell'ottica  di  garantire   una   maggiore
flessibilita' nella programmazione regionale, ma  non  abolirebbe  il
programma  annuale  degli  interventi,  ne'  lascerebbe  scoperta  la
disciplina inerente all'accesso  di  cittadini  stranieri  all'idonea
soluzione abitativa comunque prevista dalla legislazione regionale. 
    9.- Venendo alla questione relativa all'art. 74, comma  3,  della
legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 9 del 2019, la  difesa  regionale
ne asserisce l'inammissibilita' e l'infondatezza. 
    9.1.- In primo luogo, infatti, il d.m. n. 70 del  2015,  invocato
dalla   parte   ricorrente   quale   fonte   interposta,   stabilisce
espressamente, all'art. 3, che «[l]e regioni a statuto speciale e  le
province autonome di  Trento  e  di  Bolzano  applicano  il  presente
decreto compatibilmente con i propri statuti di autonomia  e  con  le
relative norme di attuazione». Inoltre, per le Regioni e le  Province
autonome che provvedono autonomamente al finanziamento  del  Servizio
sanitario regionale esclusivamente con  fondi  del  proprio  bilancio
(come la Regione  autonoma  Friuli-Venezia  Giulia),  il  decreto  si
applica  «compatibilmente  con   le   peculiarita'   demografiche   e
territoriali  di  riferimento  nell'ambito   della   loro   autonomia
organizzativa». 
    Il  Governo  non  solo  non  terrebbe  conto  dello  statuto   di
autonomia,  ma  anche  di  quest'ultimo  elemento  fondamentale,  che
conferirebbe alla Regione resistente  la  potesta'  di  adattare  gli
standard  previsti  dal  citato   decreto   alle   proprie   esigenze
territoriali, compatibilmente con la propria competenza in materia di
«igiene e sanita', assistenza sanitaria ed  ospedaliera,  nonche'  il
recupero dei minorati fisici e mentali» (art.  5,  numero  16,  dello
statuto reg. Friuli-Venezia  Giulia)  e  con  la  propria  competenza
primaria in  materia  di  «ordinamento  degli  Uffici  e  degli  Enti
dipendenti dalla Regione e stato giuridico ed economico del personale
ad essi addetto» (art. 4, numero 1, dello statuto reg. Friuli-Venezia
Giulia). 
    9.2.- La questione sarebbe inammissibile anche per erroneita' del
presupposto interpretativo e comunque infondato nel merito. 
    9.2.1.-   La    parte    ricorrente,    infatti,    confonderebbe
l'osservazione breve del paziente, che non e' prevista nei  punti  di
primo intervento, con l'osservazione «a disposizione  della  funzione
di emergenza-urgenza», di cui all'impugnata disposizione regionale. 
    L'art. 34 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 17 del  2014,
infatti, dispone la riconversione dei presidi ospedalieri di Cividale
del Friuli, Gemona del Friuli, Maniago e Sacile, nonche' di parte del
presidio ospedaliero "Maggiore" di Trieste,  per  lo  svolgimento  di
attivita' distrettuali sanitarie e sociosanitarie,  specificando  che
tali presidi si  rapportano,  per  l'erogazione  dell'attivita',  con
l'ospedale di riferimento e supportano, se necessario,  le  attivita'
del medesimo, assicurando la presenza di un punto di primo intervento
sulle dodici/ventiquattro ore  dotato  di  spazi  di  osservazione  a
disposizione della funzione di emergenza-urgenza e la  postazione  di
un mezzo di soccorso sulle ventiquattro ore. 
    Cio' sarebbe conforme al d.m. n. 70 del 2015, venendo  assicurata
la presenza di un punto di  primo  intervento  a  disposizione  della
funzione di emergenza-urgenza, con finalita' di raccordo tra  presidi
ospedalieri e territoriali per  la  gestione  delle  emergenze,  come
indicato anche dal punto 9.1.2  dell'Allegato  1  al  citato  decreto
ministeriale. 
    9.3.- Nella memoria presentata  in  prossimita'  dell'udienza  la
difesa regionale ha altresi' precisato che la disposizione  impugnata
e'  stata  abrogata  dall'art.   71   dalla   legge   della   Regione
Friuli-Venezia Giulia 12 dicembre 2019, n. 22  (Riorganizzazione  dei
livelli  di  assistenza,  norme  in  materia  di   pianificazione   e
programmazione sanitaria e  sociosanitaria  e  modifiche  alla  legge
regionale 26/2015 e alla legge regionale 6/2006), a decorrere dal  1°
gennaio 2020, chiedendo pertanto che  sia  dichiarata  la  cessazione
della materia del contendere. 
    10.- Infine, anche in riferimento alle questioni di  legittimita'
costituzionale dell'art. 88 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n.
9 del 2019, la difesa regionale  ne  argomenta  l'inammissibilita'  e
l'infondatezza. 
    10.1.- In primo luogo, le questioni sarebbero  inammissibili  per
genericita', poiche' i  molteplici  parametri  asseritamente  violati
verrebbero meramente richiamati, peraltro  senza  individuare  sempre
specificamente la fonte (come per la non meglio precisata  «normativa
comunitaria  in  tema  di  liberta'  di  circolazione,   diritto   di
stabilimento e libera concorrenza»). 
    Per di piu', il Governo neppure si sforzerebbe di chiarire, anche
solo in maniera sintetica, quali sarebbero le  ragioni  di  contrasto
della  disposizione  contestata   con   riferimento   agli   invocati
parametri. 
    10.2.- Manifestamente inammissibile sarebbe la  censura  inerente
la pretesa «violazione indiretta del diritto al lavoro», dal  momento
che ne' nel ricorso, ne' nella delibera di impugnazione del Consiglio
dei ministri, risulterebbe evocato l'art. 4 Cost. quale parametro  di
legittimita' costituzionale della disposizione impugnata. 
    10.3.- L'inammissibilita' dovrebbe essere rilevata anche  per  la
contraddittorieta' tra motivazione e petitum. 
    Secondo la resistente, infatti, l'Avvocatura generale dello Stato
sembrerebbe dolersi del fatto che la disposizione impugnata  richieda
il presupposto della residenza protratta  per  cinque  anni  ai  fini
dell'accesso ai  benefici  in  esame  da  parte  delle  imprese,  pur
chiedendo la caducazione dell'intera disposizione. 
    Se, invece, la censura  dovesse  ritenersi  estesa  al  requisito
della residenza tout court, la questione sarebbe  a  maggior  ragione
inammissibile, essendo chiaramente connaturata alla natura  regionale
della   misura   e   alla   competenza   della   Regione   resistente
l'individuazione di misure incentivanti che tengano a riferimento  il
presupposto della residenza. 
    10.4.- Sotto un ulteriore versante, i motivi in  esame  sarebbero
inammissibili per mancata individuazione delle norme dello statuto di
autonomia sulla cui base e' stata adottata la disposizione impugnata,
in particolare la competenza primaria  in  materia  di  «industria  e
commercio» (art. 4,  numero  6,  dello  statuto  reg.  Friuli-Venezia
Giulia), nonche' la competenza integrativa  in  materia  di  «lavoro,
previdenza e assistenza sociale» (art. 6,  numero  2,  dello  statuto
reg. Friuli-Venezia Giulia). 
    10.5.- Nel merito le questioni sarebbero comunque infondate. 
    10.5.1.- Con riferimento  alla  pretesa  violazione  dell'art.  3
Cost., sarebbero pienamente legittime le  misure  volte  a  sostenere
l'ingresso  nel  mercato  del  lavoro  di  determinate  categorie  di
soggetti, purche' caratterizzate dalla  ragionevolezza  della  scelta
posta a base dell'individuazione delle categorie beneficiarie. 
    10.5.1.1.- Affermare che un incentivo (statale  o  regionale)  di
politica del lavoro debba avere  ambito  applicativo  necessariamente
generale,   pena   la   violazione   dell'art.   3   Cost.,   sarebbe
manifestamente   illogico;   a   seguirlo   acriticamente,   infatti,
bisognerebbe considerare irragionevoli e indirettamente lesive  anche
del diritto al lavoro  le  misure  incentivanti  che  il  legislatore
statale ha attivato nel corso degli anni per favorire l'ingresso o il
reingresso nel mercato del lavoro di determinate categorie soggettive
(come per i disabili, i lavoratori in mobilita' o i cassaintegrati di
lunga durata). 
    Tale assioma sarebbe infondato anche a livello dogmatico, essendo
acquisizione consolidata quella per cui gli incentivi alle assunzioni
non  perseguono  il   fine   specifico   di   aumentare   i   livelli
occupazionali, ma quello  di  favorire  l'ingresso  nel  mercato  del
lavoro di categorie di lavoratori che in cio' incontrano  particolari
difficolta'. 
    10.5.1.2.-  Ne'  la  misura  regionale  sarebbe  irragionevole  o
elusiva del principio  di  uguaglianza  sostanziale,  che  secondo  i
rilievi del Governo conseguirebbe all'assenza di connessione  tra  il
riconoscimento dell'incentivo al datore  di  lavoro  e  il  requisito
della residenza protratta nel tempo del lavoratore. 
    Anche   qui   la   genericita'   del   motivo   tradirebbe    una
superficialita' delle censure governative. La disposizione,  infatti,
perseguirebbe ragionevolmente la  ratio  prefissata  dal  legislatore
regionale, consistente nel favorire il riassorbimento delle eccedenze
occupazionali determinatesi sul territorio regionale  in  conseguenza
di situazioni di crisi aziendale. 
    Come accennato, inoltre, il  grave  difetto  di  motivazione  del
ricorso avversario non consentirebbe  nemmeno  di  comprendere  se  a
essere contestata sia l'individuazione del requisito della  residenza
tout court ai fini dell'accesso ai benefici, o piuttosto il fatto che
la disposizione impugnata richieda una residenza protratta nel tempo. 
    In ogni caso, simile requisito non  potrebbe  essere  considerato
irragionevole. 
    La giurisprudenza costituzionale,  infatti,  avrebbe  piu'  volte
precisato che le politiche sociali delle Regioni ben possono prendere
in considerazione un radicamento territoriale ulteriore rispetto alla
sola  residenza,  purche'  contenuto  entro  limiti  non  palesemente
arbitrari o irragionevoli. La Regione, pertanto, potrebbe favorire  i
residenti da un dato tempo, anche in virtu' del contributo portato al
progresso della comunita' (si richiamano le sentenze n. 141 del  2014
e n. 222 del 2013 e l'ordinanza n. 32 del 2008). 
    Le  uniche  eccezioni  concernerebbero  i  casi  di   provvidenze
intrinsecamente legate  ai  bisogni  della  persona  e  a  situazioni
contingenti di disagio sociale. In queste ultime  ipotesi,  comunque,
ad  avviso  della  difesa  regionale  questa  Corte  non   riterrebbe
illegittimo subordinare tali benefici al presupposto della residenza,
bensi', piuttosto, il requisito della residenza prolungata (sul punto
e' richiamata la sentenza n. 172 del 2013). Nel caso  di  provvidenze
che esulino  da  tali  bisogni  primari,  invece,  il  requisito  del
radicamento  territoriale  prolungato  nel  tempo  sarebbe   ritenuto
legittimo, se rientrante nei parametri di ragionevolezza. 
    Applicando   tali   coordinate   ermeneutiche   la   disposizione
contestata non violerebbe  il  principio  di  ragionevolezza  nemmeno
sotto il profilo in esame. 
    La misura, infatti, non ricadrebbe nell'alveo delle  disposizioni
che prevedono provvidenze legate allo  stato  urgente  di  bisogno  e
disagio della persona. La Regione, invece, avrebbe inteso incentivare
il riassorbimento di lavoratori che abbiano perduto il lavoro con  un
radicamento nel territorio da un numero minimo e ragionevole di anni,
tale per cui possa presumersi che abbiano trasferito  in  Regione  il
proprio  nucleo  familiare,  premiando  cosi'  in  via  indiretta  il
contributo offerto dalla  famiglia  e  dai  lavoratori  al  progresso
materiale e morale della comunita' costituita su base regionale. 
    10.5.1.3.- Quanto alla violazione del  principio  di  uguaglianza
sostanziale, nonche' della «normativa comunitaria in tema di liberta'
di circolazione, diritto di stabilimento e libera  concorrenza»,  che
secondo   la   parte   ricorrente   deriverebbe   dalla    «possibile
cumulabilita'   di   incentivi   regionali   con   altri   interventi
contributivi  previsti  da  leggi  statali»,   ferma   la   manifesta
inammissibilita' della censura per genericita',  sarebbe  sufficiente
precisare che l'art. 77 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n.  18
del 2005 prevede, al comma  2,  che  gli  incentivi  accordati  dalla
medesima  legge  regionale  sono  cumulabili  «nel   rispetto   della
normativa comunitaria» e salvo che «altre leggi statali  e  regionali
[...]   espressamente   escludano   la   cumulabilita'   con    altre
provvidenze». 
    10.5.2.- Infine, infondato sarebbe altresi' il vizio inerente  la
pretesa violazione dei  livelli  essenziali  delle  prestazioni,  che
secondo la parte  ricorrente  risulterebbero  fissati  dall'art.  11,
comma 1, lettera c), del d.lgs. n. 150 del 2015. 
    Tale  disposizione,  effettivamente  individuata  quale   livello
essenziale delle prestazioni dal successivo art. 28, si limiterebbe a
prevedere il contenuto minimo delle convenzioni che il Ministero  del
lavoro stipula con ciascuna Regione al fine di  regolare  i  relativi
rapporti e obblighi, in relazione alla gestione dei  servizi  per  il
lavoro e delle politiche  attive  del  lavoro  nel  territorio  della
Regione o Provincia autonoma. Sarebbero tali convenzioni,  quindi,  a
dover prevedere la «disponibilita' di servizi e  misure  di  politica
attiva del lavoro a tutti i  residenti  sul  territorio  italiano,  a
prescindere dalla regione o provincia autonoma di residenza». 
    Inoltre, il citato art. 11 del d.lgs. n. 150 del 2015,  al  comma
2, riconosce alle Regioni le «competenze in materia di programmazione
di politiche attive del lavoro»,  con  particolare  riferimento  alla
«identificazione della strategia regionale per l'occupazione».  E  il
pure richiamato art. 28 attribuisce natura di fonte individuativa dei
livelli essenziali delle  prestazioni  anche  all'art.  18,  che  non
comprende gli incentivi alle assunzioni, collocati  invece  nel  Capo
III del decreto legislativo in esame, ove il legislatore delegato non
individuerebbe alcun livello  essenziale  delle  prestazioni,  ma  si
limiterebbe  a  enunciare  principi  generali  di   fruizione   degli
incentivi, non contraddetti dalla disposizione regionale impugnata. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con ricorso iscritto al n. 98 del registro ricorsi  2019,  il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, ha promosso  -  in  riferimento
complessivamente agli artt. 3, 117, commi secondo,  lettere  a),  b),
m), e s), e terzo, della Costituzione, nonche' all'art. 5, numero 16,
della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n.  1  (Statuto  speciale
della regione Friuli-Venezia Giulia) - tra  le  altre,  questioni  di
legittimita' costituzionale degli artt. 14, 45, comma 1, lettera  b),
74, comma 3, e 88 - nella parte in cui  introduce  l'art.  77,  comma
3-quinquies, della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia
9 agosto 2005, n. 18 (Norme regionali per l'occupazione, la tutela  e
la  qualita'  del  lavoro)  -  della  legge  della  Regione  autonoma
Friuli-Venezia   Giulia   8   luglio   2019,   n.   9   (Disposizioni
multisettoriali per esigenze urgenti del territorio regionale). 
    2.- La prima questione qui esaminata  concerne  l'art.  14  della
legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 9 del 2019, che modifica l'art. 5
della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia  Giulia  29  aprile
2005,  n.  9  (Norme  regionali  per  la  tutela  dei  prati  stabili
naturali), aggiungendovi i commi 7-bis e 7-ter. 
    La disposizione impugnata, nella specie, introduce un termine  di
trenta giorni per la riduzione in pristino dello stato dei luoghi  da
parte dell'organizzatore, dopo  le  attivita'  autorizzate  ai  sensi
dell'art. 12 della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia
15 ottobre 2009, n. 17 (Disciplina delle concessioni  e  conferimento
di funzioni in materia di demanio idrico regionale),  concernente  le
manifestazioni motoristiche, ciclistiche  e  nautiche,  con  o  senza
mezzi  a  motore,  anche  a  carattere  amatoriale,  per   l'utilizzo
temporaneo  di  beni  del   demanio   idrico   regionale   funzionali
all'organizzazione e allo svolgimento delle predette  manifestazioni.
Inoltre, si dispone che per tale lasso di tempo non si applichi l'art
4, comma 1, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 9 del 2005, che
vieta gli interventi di riduzione di superficie sui prati stabili. 
    2.1.- Secondo la difesa statale  verrebbe  in  tal  modo  violato
l'art. 117, secondo comma,  lettera  s),  Cost.  -  in  relazione  al
decreto del Presidente della Repubblica  8  settembre  1997,  n.  357
(Regolamento recante attuazione della  direttiva  92/43/CEE  relativa
alla conservazione degli habitat  naturali  e  seminaturali,  nonche'
della flora e della fauna selvatiche) e alla legge 11 febbraio  1992,
n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per
il prelievo  venatorio)  -  in  quanto  si  determinerebbero  impatti
negativi sui prati stabili e si  ridurrebbero  i  livelli  di  tutela
ambientale previsti dalla normativa statale. 
    2.2.- In via preliminare devono  essere  esaminate  le  eccezioni
d'inammissibilita'  sollevate  dalla   difesa   regionale,   per   la
genericita' delle censure e la mancata indicazione  delle  competenze
statutarie. 
    2.2.1.-  In  primo   luogo,   pur   nell'evidente   essenzialita'
dell'argomentazione, nonche' nella non sempre puntuale individuazione
delle disposizioni interposte di cui la parte ricorrente asserisce la
violazione, appare comunque possibile  determinare  i  termini  della
questione. 
    Lo Stato, infatti, assume la violazione degli standard di  tutela
ambientale degli habitat naturali fissati dal d.P.R. n. 357 del  1997
- che ha recepito la direttiva 21  maggio  1992,  n.  92/43/CEE,  del
Consiglio, «relativa alla  conservazione  degli  habitat  naturali  e
seminaturali e della flora e della fauna selvatiche» - e dalla  legge
n. 157 del 1992, come modificata in particolare dalla legge 4  giugno
2010, n. 96 (Disposizioni per  l'adempimento  di  obblighi  derivanti
dall'appartenenza  dell'Italia  alle  Comunita'   europee   -   Legge
comunitaria 2009), con cui si e' recepita la  direttiva  30  novembre
2009,  n.  2009/147/CE,  del  Parlamento  europeo  e  del  Consiglio,
«concernente la conservazione degli uccelli selvatici». 
    In tal senso, non fondata risulta anche l'eccezione relativa alla
mancata invocazione quale parametro del giudizio dell'art. 117, primo
comma, Cost., in quanto le direttive europee sono richiamate per come
attuate  dal  legislatore  statale,  senza  assurgere  al  rango   di
normativa interposta. 
    2.2.2- In secondo luogo, talune lacune del ricorso si riscontrano
in riferimento  all'individuazione  delle  competenze  statutarie,  a
conferma di una prassi nella formulazione delle  censure  non  sempre
rispettosa dell'onere  d'individuare  le  competenze  previste  dallo
statuto di autonomia (ex plurimis, sentenze n. 58 del 2016, n. 151  e
n. 142 del 2015, n. 87 e n. 54 del 2014, n. 308, n. 288, n. 277 e  n.
187 del 2013) e di motivare perche' debba essere applicato il  Titolo
V e non lo statuto speciale (tra le tante, sentenze n. 43  del  2020,
n. 147, n. 119 e n. 81 del 2019, n. 178, n. 168 e n. 122 del 2018, n.
52 del 2017 e n. 151 del 2015). 
    Nondimeno,  nel  caso  di  specie  viene  asserita  dalla   parte
ricorrente la violazione di  standard  nella  materia  della  «tutela
dell'ambiente», idonei  a  limitare  anche  la  potesta'  legislativa
primaria delle autonomie  speciali.  Casi  in  cui  questa  Corte  ha
ritenuto comunque  ammissibili  le  censure  statali  (si  vedano  le
sentenze n. 16 del 2020, n. 166 del 2019 e n. 153 del  2019,  n.  201
del 2018 e n. 103 del 2017). 
    2.2.3.- Appare invece attenere  al  merito  l'eccezione  relativa
all'erroneita' del presupposto interpretativo, formulata, non a caso,
anche come motivo d'infondatezza. 
    2.3.-  Nel  merito  la  questione  non  e'  fondata,   risultando
possibile un'interpretazione delle disposizioni  impugnate  in  senso
conforme alla Costituzione. 
    2.3.1.- Il d.P.R. n. 357 del  1997,  nel  recepire  la  direttiva
92/43/CEE, detta la disciplina tesa alla salvaguardia  degli  habitat
naturali e delle relative  specie  floristiche  e  faunistiche.  Sono
cosi' individuate le zone speciali di conservazione  (ZSC),  ossia  i
siti d'importanza comunitaria in cui  sono  applicate  le  misure  di
conservazione necessarie al mantenimento  o  al  ripristino,  in  uno
stato di conservazione soddisfacente, degli habitat naturali o  delle
popolazioni delle specie per cui il sito e' designato. E' definito di
importanza comunitaria (SIC) un sito ricompreso in una lista  redatta
dalla Commissione europea e inserito  nella  rete  ecologica  «Natura
2000», formata dai siti in cui si trovano i tipi di habitat  naturali
elencati nell'Allegato I della citata direttiva. 
    Ai sensi dell'art. 4 del d.P.R. n. 357 del 1997, le Regioni e  le
Province autonome assicurano, per i siti di  importanza  comunitaria,
opportune misure per  evitare  il  degrado  degli  habitat  naturali,
adottando per le ZSC le misure di conservazione necessarie. 
    Della rete Natura 2000 fanno parte anche le  zone  di  protezione
speciale (ZPS), di cui all'art. 1 della legge n. 157 del 1992.  Anche
in tal caso le Regioni e le Province autonome adottano le  misure  di
conservazione ai sensi del d.P.R. n. 357 del 1997. 
    La normativa statale, pertanto,  fissa  taluni  standard  per  la
conservazione  degli  habitat  naturali,   come   individuati   dalla
disciplina comunitaria, ed e' quindi ascrivibile alla  materia  della
«tutela  dell'ambiente»,  potendo  limitare   anche   le   competenze
statutarie delle autonomie speciali (sul punto si vedano le  sentenze
n. 151 del 2018, n. 300 del 2013  e,  con  specifico  riferimento  al
d.P.R. n. 357 del 1997, n. 425 del 1999). 
    2.3.2.- La legge reg. Friuli-Venezia Giulia  n.  9  del  2005  e'
intervenuta entro tale cornice normativa a dettare la disciplina  dei
prati stabili, individuati dall'art. 2 in determinate  formazioni  di
vegetazione, suddivise in tipologie indicate  nell'Allegato  A  della
medesima legge, nonche' nelle formazioni erbacee di cui  all'Allegato
I della direttiva n. 92/43/CEE. Pertanto, nella definizione normativa
di prato stabile naturale non rientrano solo i siti individuati dalla
normativa europea. L'art. 4 delimita poi le attivita' non ammesse sui
prati stabili, tra cui la  riduzione  di  superficie,  riguardo  alla
quale, tuttavia, l'art. 5, comma 1, stabilisce si' alcune deroghe, ma
«compatibilmente con la disciplina comunitaria e nazionale in materia
di conservazione della biodiversita'». 
    Proprio sulle deroghe e' intervenuto l'art. 14 della  legge  reg.
Friuli-Venezia  Giulia  n.  9  del  2019,   oggetto   d'impugnazione,
aggiungendo i commi  7-bis  e  7-ter  all'art.  5  della  legge  reg.
Friuli-Venezia Giulia n. 9 del 2005. Tali disposizioni  regolano  una
specifica procedura per la restituzione in pristino dei luoghi ove si
svolgano le manifestazioni autorizzate ai sensi  dell'art.  12  della
legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 17 del 2009, qualora il materiale
del fondo stradale si depositi accidentalmente sul prato stabile  nel
corso   delle   relative   attivita',   individuando   nel   soggetto
organizzatore il responsabile  della  restituzione  in  pristino,  da
effettuarsi  entro   trenta   giorni   dal   termine   dell'attivita'
autorizzata, anche in deroga al divieto di riduzione di superficie. 
    2.3.3.- Alla luce di  tale  disamina  delle  norme  regionali  e'
possibile   affermare   che   le   autorizzazioni   per   le   citate
manifestazioni sono sottoposte al parere  della  struttura  regionale
competente in materia di tutela degli ambienti naturali,  qualora  il
transito interessi SIC e ZPS o ricada in  aree  protette,  biotopi  e
prati stabili. Tale parere, tra l'altro, e' adottato al solo fine  di
accertare che il tracciato non ricada in dette aree, ove dunque  deve
ritenersi escluso  che  le  attivita'  in  questione  possano  essere
autorizzate. 
    Infatti, pur venendo introdotto uno specifico caso di  deroga  al
divieto di riduzione  di  superficie,  resta  fermo  quanto  previsto
dall'art. 5, comma 1, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 9 del
2005,   secondo   cui   tali   deroghe   devono   comunque   avvenire
compatibilmente con la disciplina comunitaria e nazionale in  materia
di conservazione della biodiversita'. 
    Di conseguenza,  l'attivita'  consentita  ai  sensi  delle  norme
oggetto di censura non potrebbe  comunque  svolgersi  in  pregiudizio
della disciplina sugli habitat naturali, ne'  essere  effettuata  nei
siti individuati dal d.P.R. n. 357 del 1997. 
    Cosi' ricostruito e interpretato il contesto normativo, pertanto,
e' possibile ritenere le disposizioni impugnate compatibili  con  gli
standard di tutela  ambientale  fissati  dallo  Stato  riguardo  alla
conservazione degli habitat naturali. 
    3.- Con una seconda questione e' oggetto d'impugnazione l'art 45,
comma 1, lettera b), della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 9  del
2019, che  abroga  l'art.  17  della  legge  della  Regione  autonoma
Friuli-Venezia  Giulia  9   dicembre   2015,   n.   31   (Norme   per
l'integrazione sociale delle persone straniere immigrate), in materia
di  accesso,  accoglienza  e  inserimento  abitativo  delle   persone
straniere. 
    3.1.-  A  detta  dell'Avvocatura  generale   dello   Stato   tale
abrogazione violerebbe l'art 117, secondo comma,  lettere  a)  e  b),
Cost., in  relazione  agli  artt.  3,  comma  5,  e  40  del  decreto
legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo  unico  delle  disposizioni
concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla  condizione
dello straniero).  In  tal  modo,  infatti,  si  creerebbe  un  vuoto
normativo  nella  legislazione  regionale  quanto   alla   disciplina
relativa all'accesso  di  cittadini  stranieri  all'idonea  soluzione
abitativa,  non  essendo  previsto  nell'ordinamento  regionale   uno
strumento alternativo rispetto al  «programma  annuale»,  individuato
dall'abrogato art. 17 per promuovere le specifiche forme d'intervento
a favore delle persone straniere. 
    3.2.-  Anche  per  tale  questione  devono  essere  rigettate  le
eccezioni d'inammissibilita' sollevate  dalla  difesa  della  Regione
autonoma Friuli-Venezia-Giulia. 
    3.2.1.- In primo luogo, pur dovendosi sottolineare la genericita'
del  ricorso,  e'  comunque   possibile   ritenere   sufficientemente
individuata  la  questione,  in  quanto  la  difesa  statale  censura
l'abrogazione delle  norme  regionali  che  disciplinavano  l'accesso
all'abitazione  per  le  persone  straniere,  in   violazione   delle
disposizioni statali che attribuiscono alle  Regioni  il  compito  di
adottare le misure tese a favorire l'accesso alle soluzioni abitative
per gli stranieri. 
    3.2.2.-  In  secondo  luogo,  possono  estendersi  anche  a  tale
questione  le  sopra  riportate  conclusioni  relative  alla  mancata
delimitazione   delle   competenze   statutarie,   con    conseguente
infondatezza delle relative eccezioni di  inammissibilita'  formulate
dalla Regione resistente. 
    Il ricorso, infatti, qualifica le norme interposte come norme  di
riforma economico-sociale (come indicato,  d'altronde,  dallo  stesso
d.lgs. n.  286  del  1998),  che  s'imporrebbero  quindi  anche  alla
potesta' legislativa primaria delle autonomie speciali. 
    3.3.- Nel merito la questione non e' fondata. 
    3.3.1.- L'art. 3, comma 5, del d.lgs. n.  286  del  1998  prevede
che,  nell'ambito  delle  rispettive  attribuzioni  e  dotazioni   di
bilancio, le Regioni, le Province, i Comuni e gli altri  enti  locali
adottino i provvedimenti tesi a rimuovere gli ostacoli che  di  fatto
impediscono il pieno riconoscimento dei  diritti  e  degli  interessi
riconosciuti  agli  stranieri  nel  territorio   dello   Stato,   con
particolare riguardo all'alloggio,  alla  lingua  e  all'integrazione
sociale. 
    Il successivo art. 40 stabilisce  che  le  Regioni  predispongano
centri di accoglienza destinati  a  ospitare  stranieri  regolarmente
soggiornanti   per   motivi   diversi   dal   turismo,   che    siano
temporaneamente  impossibilitati  a  provvedere  autonomamente   alle
proprie  esigenze  alloggiative  e  di  sussistenza,  determinando  i
requisiti  gestionali  e  strutturali  dei  centri.   Gli   stranieri
regolarmente  soggiornanti,  inoltre,  possono  accedere  ad  alloggi
sociali, collettivi o privati, predisposti secondo i criteri previsti
dalle leggi regionali. Infine, per gli stranieri titolari di carta di
soggiorno o di permesso di soggiorno almeno biennale e che esercitano
una regolare attivita' di lavoro subordinato o di lavoro autonomo, e'
possibile  accedere,  in  condizioni  di  parita'  con  i   cittadini
italiani, agli alloggi di edilizia residenziale pubblica e ai servizi
di intermediazione delle agenzie sociali eventualmente predisposte da
ogni Regione  o  dagli  enti  locali  per  agevolare  l'accesso  alle
locazioni abitative e al credito agevolato in  materia  di  edilizia,
recupero, acquisto e locazione della prima casa di abitazione. 
    Si tratta di disposizioni che, per espressa indicazione dell'art.
1 del d.lgs. n.  286  del  1998,  s'impongono  anche  alle  autonomie
speciali quali norme fondamentali di riforma economico-sociale  della
Repubblica. 
    3.3.2.- Va precisato che le competenze esclusive statali  di  cui
all'art. 117, secondo comma, lettere a) e b), Cost.,  in  materia  di
«condizione giuridica  dello  straniero»  e  «immigrazione»  lasciano
impregiudicata  la  possibilita'  di  interventi  legislativi   delle
Regioni  e  delle  Province  autonome  con   riguardo   al   fenomeno
dell'immigrazione, concernenti ambiti diversi dalla  regolamentazione
dei flussi migratori o dei titoli di soggiorno  (sentenze  n.  2  del
2013, n. 61 del 2011, n. 299 e n. 134 del 2010, n. 300 del 2005).  In
particolare, gli interventi relativi agli alloggi per  gli  stranieri
ricadono nell'ambito di competenze residuali delle Regioni in materia
di assistenza sociale, entro cui deve  essere  garantito  il  diritto
fondamentale all'abitazione, come sancito, appunto,  anche  dall'art.
3, comma 5, del d.lgs. n. 286 del 1998 (sentenze n. 61 del 2011 e  n.
299 del 2010). 
    Le disposizioni regionali impugnate, in tal senso, possono essere
ascritte alla potesta' legislativa regionale in materia di  politiche
abitative, senza pregiudicare l'attuazione  di  quanto  previsto  dal
d.lgs. n. 286 del 1998. 
    3.3.3.- Anche in seguito all'abrogazione dell'art. 17 della legge
reg.  Friuli-Venezia  Giulia  n.  31  del  2015  possono   rinvenirsi
ulteriori disposizioni della medesima  legge  idonee  a  regolare  la
materia della prima accoglienza e  dell'inserimento  abitativo  delle
persone straniere immigrate. 
    In particolare l'art. 3 prevede un  apposito  programma  annuale,
unico strumento di pianificazione degli  interventi  attribuiti  alla
Regione resistente da leggi statali o da norme comunitarie, in virtu'
della novella di cui all'art. 31, comma 1, lettera  a),  della  legge
della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 29 giugno 2020,  n.  13,
recante «Disposizioni in materia di finanze,  patrimonio  e  demanio,
funzione   pubblica,   autonomie   locali,    sicurezza,    politiche
dell'immigrazione,  corregionali  all'estero  e  lingue  minoritarie,
cultura e sport, infrastrutture, territorio  e  viabilita',  turismo,
risorse agroalimentari,  forestali,  montagna,  attivita'  venatoria,
lavoro,  formazione,  istruzione  e  famiglia,  ambiente  e  energia,
cooperazione allo sviluppo e partenariato internazionale,  sanita'  e
sociale, Terzo settore (Legge  regionale  multisettoriale)»,  che  ha
eliminato il piano triennale. 
    L'art. 7 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n.  31  del  2015
stabilisce che con il programma annuale sono definite  le  azioni  di
settore, con le relative modalita' di attuazione, e sono  individuate
le priorita' da perseguirsi;  tra  queste,  ai  sensi  dell'art.  16,
rientrano gli interventi di assistenza e  di  prima  accoglienza  per
coloro che versano in situazioni  di  bisogno.  L'art.  15,  inoltre,
garantisce a tutti, cittadini italiani e  stranieri,  l'accesso  agli
interventi di politica sociale, secondo quanto previsto  dalla  legge
della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia  31  marzo  2006,  n.  6
(Sistema integrato di interventi e servizi per  la  promozione  e  la
tutela dei diritti di cittadinanza sociale), che  regola  il  sistema
integrato di interventi e servizi per la promozione e la  tutela  dei
diritti di cittadinanza sociale. 
    Vero e' che l'abrogato art. 17  recava  specifici  interventi  in
materia  di  accoglienza  e  inserimento  abitativo,  prevedendo,  in
attuazione dell'art. 40 del d.lgs. n. 286 del 1998 e sulla base della
normativa regionale di settore,  che  il  programma  annuale  potesse
altresi' promuovere il sostegno alla gestione di  strutture  dedicate
all'ospitalita' temporanea, il sostegno  delle  Agenzie  sociali  per
l'abitare al fine di realizzare azioni volte a favorire  e  orientare
l'accesso a un'idonea soluzione abitativa, nonche' il  sostegno  alla
gestione di alloggi sociali in forma collettiva. 
    Tuttavia, siffatta abrogazione produce  essenzialmente  l'effetto
di non vincolare il programma annuale a specifici contenuti,  ma  non
fa  venir  meno  l'obbligo  di  prevedere  comunque  gli   interventi
necessari all'attuazione degli obblighi previsti  dalla  legislazione
statale, in particolare quelli indicati dall'art. 40  del  d.lgs.  n.
286 del 1998. 
    Interventi che, come sottolineato, continuano a trovare  la  loro
sede  nel  programma  annuale,  non  abrogato   dall'intervento   dal
legislatore regionale. 
    4.- L'Avvocatura generale dello Stato impugna altresi' l'art. 74,
comma 3, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 9  del  2019,  che
modifica l'art. 34, comma  3,  della  legge  della  Regione  autonoma
Friuli-Venezia Giulia 16 ottobre 2014, n. 17  (Riordino  dell'assetto
istituzionale e organizzativo  del  Servizio  sanitario  regionale  e
norme in  materia  di  programmazione  sanitaria  e  sociosanitaria),
prevedendo che i punti di primo intervento esistenti presso i presidi
ospedalieri  della  Regione,  riconvertiti  per  lo  svolgimento   di
attivita' distrettuali sanitarie e sociosanitarie,  siano  dotati  di
spazi   di   osservazione   a   disposizione   della   funzione    di
emergenza-urgenza. 
    4.1.- Secondo la difesa  statale  verrebbero  in  tal  modo  lesi
l'art. 117, secondo comma, lettera m), e terzo comma, Cost.,  nonche'
l'art.  5,  numero  16),  statuto  reg.  Friuli  Venezia  Giulia,  in
relazione al decreto del Ministro della salute, adottato di  concerto
con il Ministro dell'economia e delle finanze, 2 aprile 2015,  n.  70
(Regolamento  recante   definizione   degli   standard   qualitativi,
strutturali,  tecnologici  e  quantitativi  relativi   all'assistenza
ospedaliera). 
    La  norma  impugnata,  infatti,  introdurrebbe  un   livello   di
assistenza  difforme  dalla  normativa  statale,  che   non   prevede
l'osservazione breve del paziente  nei  punti  di  primo  intervento,
violando altresi' i principi fondamentali in  materia  «tutela  della
salute», che s'imporrebbero anche alle Regioni a statuto speciale. 
    4.2.- In via preliminare, va precisato che non risulta  possibile
dichiarare   cessata   la   materia   del   contendere   alla    luce
dell'abrogazione della disposizione impugnata da parte dell'art.  71,
comma 2, della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia  12
dicembre 2019, n. 22 (Riorganizzazione  dei  livelli  di  assistenza,
norme in materia  di  pianificazione  e  programmazione  sanitaria  e
sociosanitaria e modifiche alla legge regionale 26/2015 e alla  legge
regionale 6/2006), come prospettato dalla difesa regionale. 
    Com'e' noto, la cessazione  della  materia  del  contendere  puo'
essere dichiarata qualora l'abrogazione o  la  modifica  delle  norme
impugnate abbia  carattere  satisfattivo  e  ove  non  vi  sia  stata
applicazione medio tempore delle stesse (ex multis,  sentenze  n.  56
del 2019, n. 44 del 2018 e n. 50 del 2017). 
    Nel caso di  specie,  sebbene  possa  riconoscersi  il  carattere
satisfattivo dell'abrogazione, la disposizione impugnata  e'  rimasta
in vigore per circa cinque mesi, nel corso dei quali non e' possibile
escludere che essa abbia avuto una qualche  applicazione,  attraverso
le misure organizzative adottate  dai  singoli  presidi  ospedalieri.
Ne', in tal senso, la difesa regionale fornisce alcun elemento utile. 
    4.3.- Sempre in via preliminare deve essere rigettata l'eccezione
d'inammissibilita' relativa alla mancata considerazione dello statuto
di autonomia. 
    La difesa statale fa valere la violazione dei livelli  essenziali
delle prestazioni, dunque di  una  potesta'  esclusiva  dello  Stato,
riguardo alla quale non  rilevano  le  competenze  della  Regione  in
materia  sanitaria,  siano  esse  qulle  individuate  dallo   statuto
regionale o quelle, piu' ampie, previste dall'art. 117, terzo  comma,
Cost., in materia di «tutela della salute». 
    Va poi rilevato che, ai sensi dell'art. 3 del d.m. n. 70 del 2015
«[l]e regioni a statuto speciale e le province autonome di  Trento  e
di Bolzano applicano il presente decreto compatibilmente con i propri
statuti di autonomia e con le relative norme di attuazione». 
    4.4.- Per quanto concerne l'eccezione d'inammissibilita' relativa
all'erroneita' del  presupposto  interpretativo,  infine,  la  stessa
appare in realta' formulata quale censura di  merito  e  pertanto  in
tale sede deve essere esaminata. 
    4.5.- Nel merito le questioni non sono fondate. 
    4.5.1.- Il d.m. n.  70  del  2015,  indicato  quale  disposizione
interposta dalla parte ricorrente, detta  gli  standard  qualitativi,
strutturali,  tecnologici  e  quantitativi  relativi   all'assistenza
ospedaliera. 
    Come gia' sottolineato da questa Corte, la determinazione di tali
standard deve essere garantita, con carattere di generalita', a tutti
gli aventi diritto (sentenze n. 231 e n. 192 del  2017,  n.  134  del
2006). Pertanto, la normativa statale, pur intersecando la  sfera  di
competenza  legislativa  regionale  nell'ambito   dell'organizzazione
sanitaria, rinviene il suo prevalente titolo di legittimazione  nella
competenza legislativa esclusiva dello Stato prevista dall'art.  117,
secondo comma, lettera m), Cost., che s'impone anche  alle  autonomie
speciali (sentenze n. 126 del 2017 e n. 162 del 2007). 
    Nella specie, il punto 9.1.2. dell'Allegato 1 del d.m. n. 70  del
2015 prevede forme di  raccordo  tra  i  presidi  territoriali  e  il
servizio di pronto soccorso ospedaliero. Il  successivo  punto  9.1.5
stabilisce che  le  strutture  ospedaliere  riconvertite  in  presidi
territoriali possano prevedere, per un periodo di tempo limitato,  il
mantenimento  nella  localita'  interessata  di  un  punto  di  primo
intervento, operativo  nelle  dodici  ore  diurne  e  presidiato  dal
sistema 118 nelle ore notturne.  In  tali  punti,  tuttavia,  non  e'
prevista l'osservazione breve del paziente  e  la  loro  funzione  si
limita unicamente al trattamento delle urgenze minori e a  una  prima
stabilizzazione  del  paziente  ad  alta  complessita',  al  fine  di
consentirne il trasporto nel pronto soccorso piu' appropriato. 
    4.5.2.- Cio' precisato, l'art. 34 della legge reg. Friuli-Venezia
Giulia n. 17 del  2014  ha  disposto  la  riconversione  dei  presidi
ospedalieri di Cividale del Friuli,  Gemona  del  Friuli,  Maniago  e
Sacile, nonche' di  parte  del  presidio  ospedaliero  "Maggiore"  di
Trieste, per lo svolgimento di  attivita'  distrettuali  sanitarie  e
sociosanitarie.  Tali  presidi  si  collegano   con   l'ospedale   di
riferimento e forniscono supporto, se necessario, alle attivita'  del
medesimo, assicurando la presenza di un  punto  di  primo  intervento
sulle dodici/ventiquattro ore. 
    La disposizione regionale impugnata e' intervenuta  sullo  stesso
art. 34, aggiungendo la previsione che il punto di  primo  intervento
sia dotato di spazi di osservazione a disposizione della funzione  di
emergenza-urgenza e la postazione  di  un  mezzo  di  soccorso  sulle
ventiquattro ore. 
    Come gia' sottolineato, il d.m. n. 70 del 2015 richiede forme  di
raccordo tra presidi  territoriali  e  pronto  soccorso,  consentendo
altresi' nei punti di primo intervento il trattamento  delle  urgenze
minori e una prima stabilizzazione del paziente. 
    Il  legislatore  regionale,   in   tal   senso,   nel   prevedere
un'osservazione «a disposizione della funzione di emergenza-urgenza»,
si  e'  limitato  a  consentire  lo  svolgimento  proprio  di  quelle
attivita' di raccordo con il servizio di pronto  soccorso  consentite
dalle norme statali,  senza  che  possa  quindi  configurarsi  alcuna
lesione della normativa statale interposta. 
    5.- Da ultimo, lo  Stato  impugna  l'art.  88  della  legge  reg.
Friuli-Venezia Giulia n. 9 del 2019,  nella  parte  in  cui  aggiunge
all'art. 77 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 18 del 2005  il
comma  3-quinquies,  che  limita  la  concessione   degli   incentivi
occupazionali previsti dal precedente comma  3-bis  alle  assunzioni,
inserimenti  o   stabilizzazioni   riguardanti   soggetti   residenti
continuativamente sul territorio regionale da almeno cinque anni. 
    5.1.- La parte ricorrente argomenta  la  violazione  dell'art.  3
Cost. e del principio di ragionevolezza, perche' la  norma  impugnata
riserverebbe irragionevolmente  solo  alla  categoria  dei  residenti
quinquennali l'accesso agli incentivi - con una violazione  indiretta
del diritto al lavoro  e  della  normativa  comunitaria  in  tema  di
liberta'  di  circolazione,  diritto   di   stabilimento   e   libera
concorrenza  -  senza  che  vi  sia   alcuna   connessione   tra   il
riconoscimento di un incentivo al datore di  lavoro  e  il  requisito
della residenza protratta nel tempo del lavoratore. 
    Inoltre, verrebbe leso anche l'art. 117, secondo  comma,  lettera
m), Cost., in relazione all'art. 11, comma l, lettera c), del decreto
legislativo 14 settembre 2015, n. 150 (Disposizioni per  il  riordino
della normativa in materia di servizi per il lavoro  e  di  politiche
attive, ai sensi dell'articolo 1, comma 3, della  legge  10  dicembre
2014, n. 183), in quanto le misure di politica attiva del lavoro, ivi
compresi gli  incentivi  occupazionali,  costituirebbero  un  livello
essenziale delle prestazioni, rientrando tra  i  servizi  che  devono
essere riconosciuti a tutti i residenti sul territorio italiano. 
    5.2.- Anche in riferimento a tali questioni la  difesa  regionale
ha eccepito plurimi  motivi  d'inammissibilita',  che  devono  essere
respinti. 
    5.2.1.-  In  primo  luogo,  non   risulta   fondata   l'eccezione
d'inammissibilita'  per   genericita'   delle   censure,   risultando
sufficientemente chiaro dal tenore delle argomentazioni che le stesse
sono  tese  a  lamentare  l'irragionevolezza  della  limitazione   ai
residenti quinquennali degli incentivi occupazionali. 
    Inoltre, con riferimento alla violazione del diritto al lavoro  e
delle liberta' comunitarie, le doglianze appaiono meramente ancillari
all'asserita lesione dell'art. 3 Cost. Non configurandosi,  pertanto,
come autonome censure, non rileva  l'assenza  nella  deliberazione  a
impugnare del Consiglio dei ministri  dell'indicazione  dei  relativi
parametri, come lamentato dalla difesa regionale. 
    5.2.2.-  Riguardo  alla  mancata  indicazione  delle   competenze
statutarie, possono nuovamente richiamarsi le  argomentazioni  svolte
in relazione alla prima questione, venendo  asserita  la  violazione,
oltre che di  parametri  non  attinenti  al  riparto  di  competenze,
dell'art. 117, secondo comma, lettera  m),  Cost.,  in  virtu'  della
lesione del livello essenziale individuato  dall'art.  11,  comma  1,
lettera c), del d.lgs. n. 150 del 2015. 
    5.2.3.- Venendo all'eccezione  relativa  alla  contraddittorieta'
del petitum, pur riconoscendosi un'argomentazione non sempre  precisa
delle questioni, risulta possibile  ritenere,  anche  alla  luce  del
fatto che la parte ricorrente chiede una pronuncia ablativa,  che  il
petitum sia teso all'eliminazione della residenza del lavoratore, non
solo  della  sua  durata  quinquennale,  quale   requisito   per   la
concessione degli incentivi. 
    5.3.- Nel merito la questione promossa in riferimento all'art.  3
Cost. e' fondata. 
    5.3.1.- La giurisprudenza costituzionale e' intervenuta  in  piu'
occasioni con riferimento  al  requisito  della  residenza,  solo  in
materia di accesso ai  servizi  sociali  e  ammettendolo  soltanto  a
determinate condizioni, quando sussista un  ragionevole  collegamento
con la funzione del servizio (sentenze n. 44 del 2020, n.  168  e  n.
141 del 2014, n. 222 e n. 133 del 2013). 
    Cosi', ad esempio,  se  la  residenza  costituisce  un  requisito
ragionevole al  fine  d'identificare  l'ente  pubblico  competente  a
erogare una certa prestazione, non e' possibile  che  l'accesso  alle
prestazioni  pubbliche  sia  escluso  solo  per  il  fatto  di   aver
esercitato il proprio diritto di circolazione o di aver dovuto mutare
regione di residenza (sentenze n. 44 del 2020 e n. 107 del 2018). 
    Con particolare  riferimento  al  requisito  della  residenza  di
durata ultra-quinquennale,  oltre  a  precisare  che  lo  stesso  non
costituisce  di  per  se'  un  indice  di  elevata  probabilita'   di
permanenza in un determinato ambito  territoriale,  questa  Corte  ha
sottolineato come il  radicamento  territoriale  non  possa  assumere
un'importanza tale da escludere  qualsiasi  rilievo  dello  stato  di
bisogno  ed  essendo  piu'  appropriato  utilizzarlo  ai  fini  della
formazione di graduatorie e criteri preferenziali (sentenza n. 44 del
2020). 
    Tra l'altro, l'introduzione di requisiti basati sulla  residenza,
specie se prolungata, finisce per costituire una limitazione, seppure
meramente fattuale, alla circolazione tra le regioni, violando  cosi'
il divieto di cui all'art. 120, primo comma,  Cost.,  in  particolare
nel suo collegamento con l'art. 3, secondo comma, Cost. (sentenza  n.
107 del 2018). 
    5.3.2.-  Venendo  alla  disposizione   impugnata,   sebbene   sia
condivisibile che gli  incentivi  occupazionali  possono  ben  essere
rivolti solo alle assunzioni di particolari categorie di  lavoratori,
risulta irragionevole il collegamento tra  il  riconoscimento  di  un
incentivo al datore di lavoro e  il  requisito  della  residenza  del
lavoratore, non solo ove protratta nel tempo. 
    Sotto un primo profilo,  infatti,  non  puo'  sostenersi  che  il
criterio  della  residenza  sia  necessario  a  identificare   l'ente
pubblico competente a erogare una  certa  prestazione,  tenuto  conto
che, nel caso di specie, i beneficiari diretti  dell'erogazione  sono
le imprese, che devono  ovviamente  avere  una  sede  nel  territorio
regionale. 
    Sotto  un  secondo  profilo,  la  limitazione  introdotta   dalla
disposizione impugnata risulta in contrasto con la ratio dalla stessa
indicata,  ossia  il  riassorbimento  delle  eccedenze  occupazionali
determinatesi sul territorio regionale in conseguenza  di  situazioni
di crisi aziendale. Verrebbero infatti esclusi,  ad  esempio,  coloro
che, sebbene non residenti, abbiano svolto un  periodo  di  attivita'
lavorativa  piu'  consistente  rispetto  ai  soggetti   semplicemente
residenti, dando cosi' un maggiore contributo a quel progresso  della
comunita' regionale asserito anche dalla difesa della  Regione  quale
motivo ispiratore dell'incentivo. Il che finirebbe per penalizzare la
stessa mobilita' inter-regionale dei lavoratori. 
    5.4.- La questione relativa all'art. 117, secondo comma,  lettera
m), Cost. e' assorbita. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    1) dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art.  77,  comma
3-quinquies, della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia
9 agosto 2005, n. 18 (Norme regionali per l'occupazione, la tutela  e
la qualita' del lavoro), introdotto dall'art. 88  della  legge  della
Regione  autonoma  Friuli-Venezia  Giulia  8  luglio   2019,   n.   9
(Disposizioni multisettoriali per  esigenze  urgenti  del  territorio
regionale); 
    2) dichiara non fondata, nei sensi  di  cui  in  motivazione,  la
questione di legittimita' costituzionale  dell'art.  14  della  legge
reg. Friuli-Venezia Giulia n. 9 del 2019, promossa dal Presidente del
Consiglio dei ministri, in riferimento all'art. 117,  secondo  comma,
lettera s), della Costituzione, con il ricorso indicato in epigrafe; 
    3)  dichiara   non   fondata   la   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 45, comma 1, lettera b),  della  legge  reg.
Friuli-Venezia Giulia n. 9 del  2019,  promossa  dal  Presidente  del
Consiglio dei ministri, in riferimento all'art. 117,  secondo  comma,
lettere a) e b), Cost., con il ricorso indicato in epigrafe; 
    4)  dichiara   non   fondate   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 74, comma 3, della legge reg. Friuli-Venezia
Giulia n. 9 del 2019,  promossa  dal  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri, in riferimento all'art. 117, commi secondo, lettera  m),  e
terzo,  Cost.,  nonche'  all'art.  5,   numero   16),   della   legge
costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della  regione
Friuli Venezia Giulia), con il ricorso indicato in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 1° dicembre 2020. 
 
                                F.to: 
                   Giancarlo CORAGGIO, Presidente 
                      Giuliano AMATO, Redattore 
             Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria 
 
    Depositata in Cancelleria il 23 dicembre 2020. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA