N. 189 ORDINANZA (Atto di promovimento) 19 marzo 2020
Ordinanza del 19 marzo 2020 del Tribunale di Napoli nel procedimento penale a carico di R. G.. Esecuzione penale - Sospensione della esecuzione delle pene detentive brevi - Esclusione per il delitto di cui all'art. 291-ter, comma 1, del d.P.R. n. 43 del 1973. - Codice di procedura penale, art. 656, comma 9, lettera a).(GU n.1 del 7-1-2021 )
TRIBUNALE DI NAPOLI IV Sezione penale Il giudice dell'esecuzione, dott. Anna Laura Alfano; Letti gli atti del procedimento nei confronti di R. G., nato a , attualmente detenuto presso la casa circondariale Saporito di Aversa (CE), in esecuzione della pena di anni uno e mesi quattro di reclusione, irrogata con sentenza n. 6642/19 (Reg. Gen. n. 7901/2019 e RGNR n. 14278/2019), emessa dal Tribunale di Napoli, in composizione monocratica in data 31 maggio 2019, passata in giudicato in data 8 novembre 2019 (fine pena 21 aprile 2021); Rilevato che la difesa ha chiesto in via principale revocarsi l'ordine di esecuzione della carcerazione e, in via subordinata e incidentale, ha sollevato questione di illegittimita' costituzionale dell'art. 656, comma 9, lettera a) del codice di procedura penale come modificato dall'art. 2, comma 1, lettera m) del decreto-legge 23 maggio 2008, n. 92, convertito con modificazioni dall'art. 1, comma 1 della legge 24 luglio 2008, n. 125, per violazione degli articoli 3, 27 della Costituzione nella parte in cui dispone che la sospensione della pena non puo' essere disposta nei confronti delle persone condannate per il delitto di detenzione e trasporto di tabacchi lavorati esteri di contrabbando per il delitto di cui all'art. 291-ter, comma 1 del decreto del Presidente della Repubblica n. 43/1973 richiamato dall'art 4-bis 1-ter ord. penit.; Acquisito il parere del pubblico ministero del 30 dicembre 2019; Sentite le parti e sciogliendo la riserva di cui al verbale di udienza del 25 febbraio 2020; Osserva R. G. e' stato tratto in arresto in data 30 maggio 2019 per il delitto di trasporto di tabacchi lavorati esteri del peso di chilogrammi 195,2, occultato e custodito all'interno del veicolo Renault Trafic (fatto commesso in , il , con l'aggravante di aver adoperato mezzi di trasporto appartenenti a terzi e con la recidiva reiterata specifica. All'esito del giudizio per direttissima il Tribunale di Napoli, in composizione monocratica, con sentenza pronunciata in data 31 maggio 2019 (n. 6642/19 Reg. Gen. n. 7901/2019 e RGNR n. 14278/2019), ha applicato ai sensi dell'art. 444 del codice di procedura penale, previa concessione delle attenuanti generiche con giudizio di equivalenza sulla contestata aggravante e recidiva reiterata specifica, la pena di anni uno e mesi quattro di reclusione ed euro 650.000,00 di multa e disposto la misura cautelare dell'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria. La sentenza e' passata in giudicato in data 8 novembre 2019 e l'Ufficio del pubblico ministero, una volta diventata esecutiva la sentenza, ha emesso l'ordine di esecuzione per la carcerazione n. 3728/19 del 19 novembre 2019, notificato al condannato in data 23 dicembre 2019, essendo il reato di cui all'art. 291-ter, comma 1 del decreto del Presidente della Repubblica n. 43/1973 ricompreso tra quelli di cui all'art. 4-bis richiamato nell'art. 656, comma 9 del codice di procedura penale. Pertanto R. G. e' stato tradotto presso la casa di reclusione Saporito di Aversa (CE) ove tutt'ora e' detenuto con fine pena al 21 aprile 2021. La difesa ha chiesto, in via principale, revocarsi l'ordine di esecuzione e, in via subordinata e incidentale, ha sollevato questione di illegittimita' costituzionale dell'art. 656, comma 9, lettera a) del codice di procedura penale come modificato dall'art. 2, comma 1, lettera m) del decreto-legge 23 maggio 2008, n. 92, convertito con modificazioni dall'art. 1, comma 1 della legge 24 luglio 2008, n. 125, per violazione degli articoli 3 e 27 della Costituzione nella parte in cui richiama genericamente l'art. 291-ter del decreto del Presidente della Repubblica n. 43/1973 e stabilisce che non puo' essere disposta la sospensione dell'esecuzione nei confronti delle persone condannate per delitto di detenzione e trasporto di tabacchi lavorati esteri di contrabbando aggravato ai sensi dell'art. 291-ter, comma 1 del decreto del Presidente della Repubblica n. 43/1973. Nel corso dell'udienza e all'esito della discussione la difesa ha allegato parere favorevole espresso in caso analogo dall'Ufficio di Procura nel procedimento n. 225/20 Siep (nei confronti di D. P. A., in atti generalizzato), pendente dinanzi ad altro giudice dell'esecuzione, nonche' copia della sentenza della Corte costituzionale del 6 aprile 2016 che ha valutato, secondo la prospettazione difensiva, caso analogo. Con riferimento al requisito della rilevanza della questione, la difesa ha evidenziato che la dedotta questione di illegittimita' costituzionale - richiamandosi al parere favorevole espresso dal pubblico ministero in altro procedimento come allegato in atti - e' rilevante ai fini del presente giudizio, giacche' la norma censurata ha previsto un diverso e piu' grave trattamento penitenziario in tema di esecuzione della pena, sicche' dall'accoglimento della proposta questione deriverebbe l'applicazione di un trattamento meno grave, potendo l'Ufficio di Procura emettere ordine di sospensione della esecuzione della pena e consentire al condannato, da libero, di accedere alle misure alternative. Riguardo al profilo della non manifesta infondatezza la difesa lamenta la violazione dei diversi profili della violazione del principio di uguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione e di quello della rieducazione della pena di cui all'art. 27 della Costituzione. Quanto alla violazione del principio di uguaglianza formale sancito dall'art. 3 della Costituzione, la difesa ha dedotto a riguardo l'ingiustificata disparita' di trattamento dei soggetti che commettono reati come quello in esame rispetto ad altri connotati da maggiore gravita', pur inseriti nell'art. 4-bis 1-ter ord. pen., caratterizzati dall'uso di minaccia o violenza (si pensi ai reati di rapina e estorsione aggravati, i delitti di sangue pur ricompresi in nella seconda fascia dell'art. 4-bis OP). Del pari, deve ritenersi violato anche il principio di ragionevolezza delle leggi, logico corollario del principio di uguaglianza, atteso che il delitto di trasporto di tabacchi lavorati esteri di contrabbando sia considerato, sotto il profilo del trattamento esecutivo, piu' grave della detenzione e trasporto di droghe pesanti o di altri reati, come la rapina o l'estorsione semplice, che legittimano l'applicazione dell'art 656, comma 5 del codice di procedura penale e l'emissione dell'ordine di sospensione della pena. Ha poi evidenziato sul punto che il delitto di contrabbando ricomprende fattispecie di diverso allarme sociale, minore per l'aggravante generica di cui al comma 1 dell'art. 291-ter del decreto del Presidente della Repubblica n. 43/1973 di aver adoperato mezzi di trasporto appartenenti ad estranei (comma 1. Se i fatti previsti dall'art. 291-bis sono commessi adoperando mezzi di trasporto appartenenti a persone estranee al reato, la pena e' aumentata ai sensi dell' 64 del codice penale) e certamente maggiore per le fattispecie previste dalle aggravanti ad effetto speciale di cui ai commi successivi (comma 2. Nelle ipotesi previste dall'articolo 291-bis, si applica la multa di euro 25,00 per ogni grammo convenzionale di prodotto e la reclusione da tre a sette anni [codice penale 633; codice di procedura penale 33-ter, 280, 381, 384, 5501], quando: a) nel commettere il reato o nei comportamenti diretti ad assicurare il prezzo, il prodotto, il profitto o l'impunita' del reato, il colpevole faccia uso delle armi [codice penale 585] o si accerti averle possedute nell'esecuzione del reato [codice di procedura penale 4072a)]; b) nel commettere il reato o immediatamente dopo l'autore e' sorpreso insieme a due o piu' persone in condizioni tali da frapporre ostacolo agli organi di polizia; c) il fatto e' connesso [codice di procedura penale 12] con altro reato contro la fede pubblica [codice penale 453 ss.] o contro la pubblica amministrazione [codice penale 314 ss.]; d) nel commettere il reato l'autore ha utilizzato mezzi di trasporto, che, rispetto alle caratteristiche omologate, presentano alterazioni o modifiche idonee ad ostacolare l'intervento degli organi di polizia ovvero a provocare pericolo per la pubblica incolumita' [codice penale 337-bis; codice di procedura penale 4072a)]; e) nel commettere il reato l'autore ha utilizzato societa' di persone o di capitali ovvero si e' avvalso di disponibilita' finanziarie in qualsiasi modo costituite in Stati che non hanno ratificato la Convenzione sul riciclaggio, la ricerca, il sequestro e la confisca dei proventi di reato, fatta a Strasburgo l'8 novembre 1990, ratificata e resa esecutiva ai decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43, sensi della legge 9 agosto 1993, n. 328 [codice penale 648-bis], e che comunque non hanno stipulato e ratificato convenzioni di assistenza giudiziaria con l'Italia aventi ad oggetto il delitto di contrabbando [codice di procedura penale 4072a)]. 3. La circostanza attenuante prevista dall'articolo 62-bis del codice penale, se concorre con le circostanze aggravanti di cui alle lettere a) e d) del comma 2 del presente articolo, non puo' essere ritenuta equivalente o prevalente rispetto a esse e la diminuzione di pena si opera sulla quantita' di pena risultante dall'aumento conseguente alle predette aggravanti). Secondo la difesa, dunque, non appare comprensibile come per un reato di trasporto di quantitativi di tabacchi lavorati esteri di contrabbando superiore a 10 chilogrammi (fattispecie depenalizzata limitatamente al suddetto quantitativo), pur aggravato ai sensi del comma 1 dell'art. 291-ter, ord. penit., possa presumersi una pericolosita' assoluta e di rilevante allarme sociale, nonostante il titolo di reato, l'aggravante generica - pur elisa nel giudizio di merito dalla concessione dell'attenuante generica con giudizio di equivalenza sulle contestate aggravanti - e la breve pena inflitta siano, invece, elementi sintomatici, a differenza degli altri reati ostativi ricompresi nell'art 4-bis seconda fascia ord. penit., di un minore e diverso allarme sociale. Quanto alla violazione dell'art. 27 della Costituzione la difesa evidenzia, allo stesso modo, che il divieto di sospensione dell'esecuzione di cui all'art. 656, comma 9 del codice di procedura penale si fonda sulla presunzione di pericolosita' in relazione al titolo di reato, alla gravita' della sanzione edittale o al particolare allarme sociale destato da alcune condotte criminose, certamente non proporzionata al fatto per cui si procede, tenuto conto del titolo di reato e della breve pena prevista, con conseguenze paradossali in contrasto con il principio di rieducazione della pena in quanto impediscono l'accesso del condannato da libero alle misure alternative. Da ultimo richiama la sentenza emessa dalla Corte costituzionale n. 125/2016 che si e' occupata di un caso analogo dichiarando la illegittimita' costituzionale dell'art. 656, comma 9, lettera a) del codice di procedura penale nella parte in cui stabilisce che non puo' essere disposta la sospensione dell'esecuzione nei confronti delle persone condannate per il delitto di furto con strappo. L'Ufficio del pubblico ministero, nel parere espresso nell'ambito del presente procedimento in data 30 dicembre 2019 sulla revoca dell'ordine di esecuzione per la carcerazione ha evidenziato che l'art. 291-ter del decreto del Presidente della Repubblica n. 43/1973 e' inserito tra i reati ostativi, senza alcuna ulteriore specificazione in relazione al fatto come in concreto verificatosi; ne' appare pertinente il riferimento fatto a reati piu' gravi caratterizzati dalla violenza, ricomprendendo il suddetto articolo anche reati senza uso di violenza come quelli contro la pubblica amministrazione; per le medesime ragioni ha poi non condiviso le ragioni poste dalla difesa a fondamento della sollevata questione di illegittimita' costituzionale. A diverse conclusioni perviene, invece, lo stesso Ufficio di Procura in procedimento analogo nel parere del 13 febbraio 2020 espresso nell'ambito di analogo e diverso procedimento (pendente dinanzi ad altro giudice dell'esecuzione) e prodotto in atti dalla difesa. Ed invero l'Ufficio del pubblico ministero, nel rigettare l'istanza avanzata dalla difesa di sospensione ex art. 656 del codice di procedura penale per il sospetto di incostituzionalita' della norma (non avendo i provvedimenti emessi dal pubblico ministero nella fase esecutiva natura giurisdizionale ma amministrativa), ha tuttavia evidenziato l'irragionevolezza della scelta del legislatore di equiparare l'aggravante di cui all'art. 291-ter, comma 1 del decreto del Presidente della Repubblica n. 43/1973 a quelle descritte nel successivo comma 2 del medesimo articolo, atteso che la suddetta aggravante generica viene trattata alla stregua di una circostanza aggravante ad effetto speciale, che comporta preclusioni pregiudizievoli per il condannato; equiparazione che appare ancora piu' irragionevole se si considera piu' in generale che nel catalogo dei reati ostativi non si ravvisano altre ipotesi in cui l'aggravante generica comporta la soggezione del condannato alle rigide preclusioni di cui all'art. 4-bis. E' utile riportare alcuni dei passaggi delle argomentazioni svolte dall'Ufficio del pubblico ministero nel parere sopra indicato allegato dalla difesa: «...Il tema dell'ampiezza del sindacato del giudice delle leggi sulle scelte di politica criminale del legislatore e' oggetto di un lungo e travagliato percorso giurisprudenziale tuttora in itinere e si e' recentemente concentrato su questioni relative al quantum della pena. Si tratta di argomento affine alla materia che ci occupa, perche' offre una serie di coordinate ermeneutiche utili al perimetrare l'ampiezza del controllo di ragionevolezza anche alla luce del principio di colpevolezza e della funzione rieducativa della pena. Pur rientrando tra i "grandi principi costituzionali di carattere generale", il principio di ragionevolezza ha manifestato precipue declinazioni in materia penale, spesso articolandosi ad altri principi (come quelli di determinatezza e di offensivita', o della finalita' rieducativa della pena), anche se il suo utilizzo e' stato condizionato - oltre che da non infrequenti difetti di formulazione delle ordinanze di rimessione, specie nell'indicazione del tertium comparationis - da specifici fattori limitativi, e da particolare cautela, sia a fronte dell'elevato coefficiente di politicita' caratteristico delle scelte di legislazione criminale, sia, parallelamente, a fronte del particolare argine stabilito - in base all'art. 25, comma 2 della Costituzione - dal regime di riserva di legge e dal divieto di sentenze additive in malam partem. Oltre al tradizionale vaglio sulle incriminazioni direttamente configgenti con il "nucleo forte" dell'art. 3, comma 1 della Costituzione il controllo di ragionevolezza-eguaglianza ha consentito - in chiave piu' congeniale alle specificita' della materia - di sindacare eventuali asimmetrie punitive tra norme penali, concentrate ora sull'incongruita' dell'equiparazione sanzionatoria di fattispecie diverse, ora sulla disparita' della scelta sanzionatoria (lato sensu intesa) rispetto a fattispecie assimilabili. Questo modulo di giudizio, per lungo tempo limitato ai casi di sperequazione "grave ed evidente", o comunque tale da scadere nell'arbitrio, e' stato poi gradatamente calibrato su asimmetrie meno grossolane, e successivamente declinato sull'intrinseca sproporzione tra misura edittale e disvalore del fatto, specie alla luce della funzione rieducativa della pena, finalmente assunta come direttrice di politica criminale gia' nella redazione della fattispecie astratta. In questo secondo schema, dove il giudizio di ragionevolezza prende le mosse da valutazioni necessariamente concernenti l'interesse protetto e il coefficiente di offensivita' del tipo (per misurare - appunto attraverso la ratio legis - la coerenza sistematica, ha preso progressivamente corpo il principio di proporzione quale fondamentale canone di controllo sull'equilibrio tra disvalore del fatto incriminato e sanzione astrattamente comminata: un principio la cui dignita' autonoma appare confermata dall'art. 49, comma 3 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. Piu' in generale, poi, il principio di ragionevolezza ha consentito anche alla Corte di misurare la ammissibilita' delle presunzioni legali anche in materia penale, sindacando il loro effettivo radicamento empirico, e di calibrare deroghe che - non solo per tal via - si prospettano rispetto all'ordinario operare di taluni principi fondamentali. Il lungo percorso ermeneutico intrapreso dal giudice delle leggi, che per brevita' ivi non puo' ripercorrersi integralmente, e' culminato con le recenti sentenze 236/2016 e 222/2018 e il c.d. abbandono del tertium comparationis e delle "rime obbligate". La prima pronuncia ha riguardato il giudizio di proporzione. Si trattava in estrema sintesi di valutare le sanzioni previste per il reato di alterazione di stato mediante false dichiarazioni o certificazioni, punito assai piu' gravemente (reclusione da cinque a quindici anni) del fatto commesso attraverso la sostituzione di un neonato con un altro (reclusione da tre a dieci anni). Ebbene, nella sentenza n. 236/2016 vi sono affermazioni che sembrano fare a meno del c.d. tertium comparationis: "la fondatezza delle questioni sollevate si rivela [...] in virtu' della manifesta sproporzione della cornice edittale censurata, se considerata alla luce del reale disvalore della condotta punita"; ed ancora, "laddove la proporzione tra sanzione e offesa difetti manifestamente, perche' alla carica offensiva insita nella condotta descritta dalla fattispecie normativa il legislatore abbia fatto corrispondere conseguenze punitive di entita' sproporzionata, non ne potra' che discendere una compromissione ab initio del processo rieducativo"; ed infine, "rimane fermo che le questioni all'attuale esame sollecitano, prima di tutto, un controllo di proporzionalita' sulla cornice edittale stabilita dalla norma censurata, alla luce dei principi costituzionali evocati (articoli 3 e 27 della Costituzione), non gia' una verifica sull'asserito diverso trattamento sanzionatorio di condotte simili o identiche, lamentato attraverso la mera identificazione di disposizioni idonee a fungere da tertia comparationis". Proprio facendo leva su tali affermazioni, la sentenza in esame e' stata letta nel senso che "esprime una variazione potenzialmente decisiva del rapporto tra logica della proporzionalita' ex se e logica della comparazione tra 'eguali' nel sindacato sulle scelte sanzionatorie del legislatore", in quanto "la Corte ha ricusato una logica di diretta comparazione con la fattispecie 'parallela' della sostituzione di neonati, rifiutando dunque di discutere se non fosse addirittura invertita, nella previsione sanzionatoria, la proporzione tra gravita' dei fatti ed entita' delle pene". Ed ancora, nella stessa prospettiva si e' affermato che "l'importanza della presente pronuncia sta nell'avere strutturato il cuore della motivazione non gia' attorno alla disparita' di trattamento tra la disposizione censurata e altra disposizione assunta come tertium comparationis, quanto piuttosto attorno all'irragionevolezza intrinseca del trattamento sanzionatorio previsto dalla disposizione oggetto di scrutinio, alla luce del principio della funzione rieducativa della pena e - in generale - dell'esigenza di proporzionalita' del sacrificio dei diritti fondamentali cagionata dalla pena rispetto all'importanza del fine perseguito attraverso l'incriminazione". Andando ancora piu' a fondo, questo nuovo modo di compiere il giudizio di proporzione giunge ad attribuire al tertium comparationis soltanto la funzione di individuare il trattamento sanzionatorio derivante dalla dichiarazione di illegittimita' costituzionale, quindi soltanto nella seconda fase del sindacato, non anche nel primo passaggio: "la novita' della sentenza" - si e' affermato - "risiede nella sequenza, essendo evidente che la Corte non ha inteso rinunciare al metodo comparativo per la determinazione della sanzione proporzionata [...] e tuttavia, nella specie almeno, la comparazione non ha condizionato la rilevazione del 'vizio', valendo solo, ed a seguito di quella rilevazione, ad individuare (in termini dichiaratamente non stringenti) una soluzione alternativa obbligata". Con la sentenza n. 222/2018 la Corte ha invece rivisitato il proprio orientamento sulla problematica della disciplina derivante dall'eventuale accoglimento della questione di legittimita', e lo ha fatto in termini per certi aspetti ancor piu' dirompenti rispetto a quanto si ritiene abbia fatto per il giudizio di proporzione basato sul tertium. Si trattava in sintesi di valutare se fosse irragionevole la fissita' della pena accessoria di dieci anni prevista per alcuni reati fallimentari (art. 216, ultimo comma del regio decreto n. 267/1942). Preliminarmente, la Corte richiama il suo orientamento tradizionale rigorosamente basato sulla obbligatorieta': "questa Corte ha avuto recentemente occasione di stabilire che, laddove il trattamento sanzionatorio previsto dal legislatore per una determinata figura di reato si riveli manifestazione irragionevole a causa della sua evidente sproporzione rispetto alla gravita' del fatto, un intervento correttivo del giudice delle leggi e' possibile a condizione che il trattamento sanzionatorio medesimo possa essere sostituito sulla base di 'precisi punti di riferimento, gia' rinvenibili nel sistema legislativo', intesi quali 'soluzioni [sanzionatorie] gia' esistenti, idonee a eliminare o ridurre la manifesta irragionevolezza lamentata". Successivamente, pero' la Corte compie un notevole balzo in avanti, giungendo, in buona sostanza, alla conclusione che davanti a due soluzioni entrambe costituzionalmente legittime la Corte, in definitiva, puo' compiere una scelta: "tale principio deve essere confermato, e ulteriormente precisato, nel senso che - a consentire l'intervento di questa Corte di fronte a un riscontrato vulnus ai principi di proporzionalita' e individualizzazione del trattamento sanzionatorio - non e' necessario che esista, nel sistema, un'unica soluzione costituzionalmente vincolata in grado di sostituirsi a quella dichiarata illegittima, come quella prevista per una norma avente identica struttura e ratio, idonea a essere assunta come tertium comparationis. Essenziale, e sufficiente, a consentire il sindacato della Corte sulla congruita' del trattamento sanzionatorio [...] e' che il sistema nel suo complesso offra alla Corte 'precisi punti di riferimento' e soluzioni 'gia' esistenti' [...] esse stesse immuni da vizi di illegittimita', ancorche' non 'costituzionalmente obbligate' - che possano sostituirsi alla previsione sanzionatoria dichiarata illegittima; si' da consentire a questa Corte di porre rimedio nell'immediato al vulnus riscontrato, senza creare insostenibili vuoti di tutela degli interessi di volta in volta tutelati dalla norma incriminatrice incisa dalla propria pronuncia". La definitiva affermazione del principio di ragionevolezza e proporzionalita' "intrinseco" si e' avuta con la nota sentenza Corte costituzionale n. 40/2019 in materia di stupefacenti ove, affermata la possibilita' del proprio sindacato sul quantum di pena stabilito dal legislatore, la Corte ha rilevato come "l'ampiezza del [vigente] divario sanzionatorio [tra il primo e il quinto comma dell'art. 73 t.u.stup.] condiziona inevitabilmente la valutazione complessiva che il giudice di merito deve compiere al fine di accertare la lieve entita' del fatto (ritenuta doverosa da Corte di cassazione, sezioni unite penali, sentenza 27 settembre-9 novembre 2018, n. 51063), con il rischio di dar luogo a sperequazioni punitive, in eccesso o in difetto, oltre che a irragionevoli difformita' applicative in un numero rilevante di condotte". Da cio' deriva, pertanto, la violazione dei principi di eguaglianza, proporzionalita', ragionevolezza ex art. 3 della Costituzione, e del principio di rieducazione della pena ex art. 27 della Costituzione». Pertanto, alla luce delle suddette argomentazioni, l'Ufficio del pubblico ministero ha rimesso gli atti del diverso procedimento al giudice dell'esecuzione per quanto di competenza (tutt'ora pendente). Tanto premesso, osserva in via preliminare questo giudice che il difensore ha chiesto la sospensione dell'ordine di carcerazione della pena sopra irrogata emesso dal pubblico ministero, onde poter presentare istanza di ammissione ad una misura alternativa alla detenzione ai sensi dell'art. 656, comma 5 del codice di procedura penale. Tale istanza non potrebbe essere, allo stato, accolta, ad essa ostando la previsione di cui alla disposizione censurata, che per l'appunto vieta di sospendere l'esecuzione della pena detentiva nei confronti dei condannati per il delitto di contrabbando di cui agli art. 291-ter del decreto del Presidente della Repubblica n. 43/1973 ricompreso nella seconda fascia dell'art. 4-bis ord. penit. richiamato dall'art. 656, comma 9, lettera a) del codice di procedura penale. Cio' detto, ad avviso della scrivente la subordinata questione di illegittimita' costituzionale di cui e' stata investita appare rilevante e non manifestamente infondata e pertanto ritiene necessario sollevare la questione di illegittimita' costituzionale. In punto di rilevanza si evidenzia che l'istante e' stato tratto in arresto in data , unitamente ai correi B. V. e I. C. per il delitto di trasporto di tabacchi lavorati esteri di contrabbando del peso di chilogrammi 195,2, occultati e custoditi all'interno del veicolo Renault Trafic (fatto commesso in , il ), con l'aggravante di aver adoperato mezzi di trasporto appartenenti a terzi e con la recidiva reiterata specifica. Il giudice monocratico, con la sentenza emessa in data 31 maggio 2019, all'esito della convalida dell'arresto e del giudizio per direttissima, ha applicato ai sensi dell'art. 444 del codice di procedura penale nei confronti del R., previa concessione delle attenuati generiche con giudizio di equivalenza sulla contestata aggravante e recidiva ed anche in considerazione della natura del fatto, la pena di anni uno e mesi quattro di reclusione ed euro 650.000,00 di multa; decidendo poi sulla richiesta misura cautelare, ha disposto nei confronti del R., ritenendola adeguata, la misura cautelare dell'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria. Passata in giudicato la sentenza, l'Ufficio del pubblico ministero ha emesso ordine di esecuzione della pena con carcerazione ai sensi dell'art. 656, comma 9 del codice di procedura penale e dell'art. 4-bis 1-ter ord. pen. (ordine di esecuzione n. 3728/2019 del 19 dicembre 2019 notificato al R. il 23 dicembre 2019). La questione appare rilevante. La norma censurata ha previsto un diverso e piu' grave trattamento in tema di esecuzione della pena, attraverso la carcerazione, nonostante il titolo di reato e la pena breve irrogata (previa riconoscimento dell'attenuante generica che ha determinato l'annullamento degli aumenti di pena per le contestate aggravanti e recidiva), sicche' dall'accoglimento della proposta questione deriverebbe l'applicazione di un trattamento meno grave, potendo l'Ufficio di Procura emettere ai sensi dell'art. 656, comma 5 del codice di procedura penale ordine di sospensione della esecuzione della pena e consentire al condannato di accedere - da libero e senza passare per il carcere - alle misure alternative, salvo, ovviamente, le valutazioni sulla scelta e meritevolezza delle stesse da rimettere al Tribunale di sorveglianza. L'ordine di carcerazione e' stato emesso arrestandosi, dunque, al profilo formale della preclusione in ragione del titolo di reato e prima ancora di ogni trasmissione al Tribunale di sorveglianza, giudice naturale preposto alla fase giurisdizionale della vicenda esecutiva nella quale si dispiega l'apprezzamento del magistrato in relazione alla sussistenza o meno dei presupposti e delle condizioni che consentono l'accesso del condannato a forme di esecuzione qualitativamente diverse da quelle carcerarie. Se infatti, in linea generale, in caso di condanna a pena detentiva non superiore a quattro anni, anche se costituente residuo di maggior pena, il pubblico ministero e' tenuto a sospendere l'ordine di esecuzione contestualmente emesso nei confronti del condannato che si trovi in stato di liberta' o agli arresti domiciliari, si' da consentirgli di presentare istanza al Tribunale di sorveglianza competente - nei trenta giorni successivi - per la concessione di una misura alternativa alla detenzione (art. 656, commi 5 - come modificato dalla sentenza n. 41 del 2018 della Corte costituzionale), il comma 9, lettera a) del medesimo art. 656 del codice di procedura penale preclude invece al pubblico ministero di sospendere l'ordine di esecuzione relativo alle condanne per una serie di delitti, tra i cui quelli di cui all'art. 4-bis ordin. penit. Ne consegue il necessario ingresso in carcere, nelle more del procedimento di sorveglianza, di chi sia condannato a pena detentiva non sospesa, nonostante l'entita' della pena da scontare possa consentire al condannato di essere ammesso a una misura alternativa alla detenzione sin dall'inizio dell'esecuzione. Risulta percio' non implausibile affermare, in punto di rilevanza della questione di legittimita' costituzionale, che l'accoglimento della questione comporterebbe l'inefficacia dell'ordine di esecuzione poiche' il condannato, che non e' stato sottoposto a una misura cautelare di carattere custodiale (bensi' alla misura dell'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria), deve scontare una pena breve e non superiore a quattro anni di detenzione (il fine pena e' fissato al 21 aprile 2021) e la condanna si riferisce ad un reato ostativo che, solo perche' incluso nell'art. 4-bis ord. penit. e rientra nel catalogo di quelli per i quali l'art. 656, comma 9, lettera a) del codice di procedura penale esclude la sospensione di tale ordine di sospensione. Questo giudice dubita, poi, della compatibilita' della disposizione in parola con gli articoli 3, comma 1 e 27, comma terzo della Costituzione, ritenendo la questione non manifestamente infondata. Con riguardo alla dedotta violazione del principio di uguaglianza rileva come il principio di uguaglianza imponga di trattare allo stesso modo le medesime situazioni e le condotte identiche laddove, in presenza di situazioni di fatto diverse e piu' gravi, e' plausibile un diverso trattamento sanzionatorio commisurato allo stato di fatto, fondato su fattori circostanziali, oggettivi, attinenti alla entita' e modalita' della condotta e al suo dispiegarsi. Ne discende che appare irragionevole la scelta normativa del legislatore di differenziare l'applicazione delle modalita' di esecuzione della pena del delitto di contrabbando di tabacchi lavorati esteri, che si differenzia nelle modalita' della condotta, richiamando il comma 1 una aggravante generica (quella di aver adoperato mezzi di trasporto appartenenti a persone estranee al reato come nella fattispecie in esame) ed il comma 2 del medesimo articolo aggravanti ad effetto speciale, ricollegate all'uso di armi, alla presenza di piu' persone ed agli ostacoli o violenza opposta agli organi di polizia giudiziaria [lettere a) e b) del comma 2 dell'art. 291-ter], nonche' al collegamento con reati contro la fede pubblica (art. 453 del codice penale e ss.) o contro la pubblica amministrazione (art. 314 del codice penale e ss.) o a circuiti finanziari e societari dediti al riciclaggio [capi c) e d) della medesima disposizione]. Quelle indicate nel comma 2 dell'art. 291-ter del decreto del Presidente della Repubblica n. 43/1973 costituiscono aggravanti ad effetto speciale per le quali il successivo comma 3 del medesimo articolo inibisce anche il giudizio di bilanciamento delle attenuanti generiche con alcune delle fattispecie previste sub lettere a) e d) del medesimo comma. E' evidente come nei reati di contrabbando possono ricomprendersi fenomeni criminali molto diversi tra loro e di diverso allarme sociale, a seconda delle modalita' della condotta, della durata, dei mezzi ed uomini impiegati e dei collegamenti con circuiti criminali organizzati o sintomatici di necessaria espressione di una organizzazione criminale ampia, strutturata e con radicato consenso sociale, ben diversi da quelli di breve durata, espressione di una occasionalita' di azione e di una organizzazione rudimentale e approssimativa. Il delitto di cui all'art. 291-ter, comma 1 del decreto del Presidente della Repubblica n. 43/1973, pertanto, non richiederebbe necessariamente l'esistenza di una stabile organizzazione criminale ma potrebbe essere realizzato anche con condotte estemporanee, di limitato impatto ed e' certo ben diverso da quei reati che sacrificano il patrimonio, la liberta' e la vita delle vittime pure ricompresi nella seconda fascia dell'art. 4-bis OP. Pertanto, e a maggior ragione, dovrebbe escludersi la presunzione di un siffatto collegamento nel caso come quello in esame, tenuto conto della condotta non espressiva di un certo allarme sociale e della brevita' della pena (tra l'altro il giudice di merito ha riconosciuto all'agente l'attenuante delle circostanze generiche con giudizio di equivalenza sulla contestata aggravante e recidiva). La norma censurata determinerebbe, inoltre, un ingiustificato deteriore trattamento non solo tra le diverse fattispecie di detenzione e trasporto di tabacco lavorato estero di contrabbando, ma anche rispetto ad altre piu' gravi fattispecie come la detenzione e spaccio di droghe pesanti non interessate dal divieto (se non aggravate dall'ingente quantita' sub art. 80, comma 2 del decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990); allo stesso modo ne deriverebbe un ingiustificato deteriore trattamento del reato di contrabbando rispetto ai piu' gravi delitti di rapina ed estorsione, parimenti non abbracciati - nelle forme non aggravate - dal divieto in esame disposto per i reati di seconda fascia di cui all'art. 4-bis 1-ter ord. penit. Si richiamano dunque sul punto le condivisibili argomentazioni gia' espresse dall'Ufficio del pubblico ministero nel parere espresso in procedimento analogo, richiamando le sentenze della Corte costituzionale citate che affermano l'esigenza di operare scelte costituzionalmente orientate e proporzionali nel rapporto tra offesa e sanzione ed individualizzate della pena in modo da evitare asimmetrie sanzionatorie. La previsione censurata si esporrebbe, poi, a parere di questo giudice, ai medesimi rilievi che hanno condotto la Corte costituzionale, nella sentenza n. 125 del 2016, a dichiarare l'illegittimita' costituzionale del divieto di sospensione dell'ordine di carcerazione in relazione ai condannati per furto con strappo, previsto al secondo comma dello stesso art. 624-bis del codice penale, in relazione in particolare all'agevole ipotizzabilita' di «casi in cui, nel progredire dell'azione delittuosa, il furto con strappo si trasforma in una rapina, per la necessita' di vincere la resistenza della vittima, o anche in una rapina impropria, per la necessita' di contrastare la reazione della vittima dopo la sottrazione della cosa». Con conseguente irragionevolezza - rilevata dalla sentenza suddetta - di una disciplina che, come quella allora censurata, prevedeva il divieto di sospendere l'ordine di esecuzione rispetto al solo delitto di furto con strappo, ma non - in particolare - rispetto a quello piu' grave di rapina, pur oggetto di una possibile, e anzi agevolmente ipotizzabile, progressione criminosa. La disposizione censurata si fonderebbe, inoltre, come nel caso analogo di cui sopra, su di una «aprioristica presunzione di pericolosita', oltrepassando il limite della non manifesta irragionevolezza delle scelte legislative», colpendo anche chi abbia commesso un reato di modesta gravita' e abbia riportato condanna a una pena detentiva breve», come il condannato nel giudizio a quo. Sul punto della censurata aprioristica presunzione di pericolosita' si richiama anche la recente sentenza della Corte costituzionale n. 253 del 2019 (che ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 4-bis, comma 1 della legge 26 luglio 1975, n. 354, nella parte in cui non prevede che, ai detenuti per i delitti di cui all'art. 416-bis del codice penale e per quelli commessi avvalendosi delle condizioni previste dallo stesso articolo ovvero al fine di agevolare l'attivita' delle associazioni in esso previste, possano essere concessi permessi premio anche in assenza di collaborazione con la giustizia a norma dell'art. 58-ter del medesimo ordin. penit., allorche' siano stati acquisiti elementi tali da escludere, sia l'attualita' di collegamenti con la criminalita' organizzata, sia il pericolo del ripristino di tali collegamenti), ove la Corte, nell'affrontare la delicata questione dell'accesso ai benefici premiali dei condannati per i piu' gravi delitti di criminalita' organizzata ricompresi nella prima fascia di cui all'art. 4-bis ord. pen., in assenza di una collaborazione con la giustizia, richiama la sentenza n. 306 del 1993, che, pur dichiarando, tra l'altro, non fondate le questioni allora sollevate sull'art. 4-bis, comma 1, ordin. penit., in relazione all'art. 27, terzo comma della Costituzione - osservo' che inibire l'accesso ai benefici penitenziari ai condannati per determinati gravi reati, i quali non collaborino con la giustizia, comporta una «rilevante compressione» della finalita' rieducativa della pena: «la tipizzazione per titoli di reato non appare consona ai principi di proporzione e di individualizzazione della pena che caratterizzano il trattamento penitenziario, mentre appare preoccupante la tendenza alla configurazione normativa di "tipi d'autore", per i quali la rieducazione non sarebbe possibile o potrebbe non essere perseguita» in caso di mancata collaborazione. Queste ultime valutazioni - l'irragionevole compressione della finalita' rieducativa della pena attuata attraverso la tipizzazione per titoli di reato, non consona ai principi di proporzione e di individualizzazione della pena che caratterizzano il trattamento penitenziario - applicate alla fattispecie in esame, certamente di diverso e lieve allarme sociale, conducono a ritenere non manifestamente infondata la questione anche sotto il profilo della irragionevole applicazione del principio della presunzione di pericolosita' disancorata da ogni valutazione in concreto per il delitto di cui all'art. 291-ter, comma 1 del decreto del Presidente della Repubblica n. 43/1973 solo perche' inserito tra i reati «di seconda fascia» dell'art. 4-bis ord. penit. - che comprendono omicidio, rapina ed estorsione aggravate, nonche' produzione e traffico di ingenti quantita' di stupefacenti, delitti, questi, per i quali, come sottolinea la Corte, le connessioni con la criminalita' organizzata erano, nella valutazione del legislatore, meramente eventuali, come affermato nella sentenza n. 149 del 2018 e si richiedeva - in termini inversi, dal punto di vista probatorio - l'insussistenza di elementi tali da far ritenere attuali detti collegamenti. Infatti, in tal caso, la fattispecie di cui all'art. 291-quater, comma 1 del decreto del Presidente della Repubblica n. 43/1973 riposerebbe su una presunzione - se pure eventuale e con onere probatorio inverso - di elevatissima pericolosita', collegabile a contesti di criminalita' organizzata - e non risponderebbe, comunque, a dati di esperienza, riassumibili nella formula dell'id quod plerumque accidit, determinando il contrasto del medesimo art. 4-bis 1-ter ordin. penit. con gli articoli 3 e 27 della Costituzione. Del resto, come gia' detto, non solo il delitto di cui all'art. 291-ter, comma 1 del decreto del Presidente della Repubblica non richiederebbe necessariamente l'esistenza di una stabile organizzazione criminale, potendo essere realizzato attraverso condotte estemporanee, ma la presunzione del collegamento con organizzazioni criminali dovrebbe essere esclusa per il tipo di reato, nel caso in cui sia caratterizzato da un'aggravante generica e, a maggior ragione, quando essa venga elisa dal bilanciamento con l'attenuante delle circostanze generiche, come si evince dagli accertamenti di fatto compiuti dal giudice del merito; e proprio sulla scorta di questi emerge una incoerenza irragionevole, costituzionalmente illegittima per lesione degli articoli 3 della Costituzione, tra la complessiva ratio sottostante al disposto di cui all'art. 4-bis, 1-ter ordin. penit., da una parte, e l'inclusione in esso, dall'altra, dell'art. 291-ter, comma 1 del decreto del Presidente della Repubblica n. 43/1973 (fattispecie ben diversa da quella di cui all'art. 291-ter, comma 2 che prevede aggravanti ad effetto speciale, come del resto anche le altre fattispecie ricomprese nel medesimo art. 4-bis seconda fascia ord. pen. o quella sottostante alla fattispecie associativa di cui all'art. 291-quater attinente ad organizzazioni criminali dedite all'importazione di tabacco lavorato estero di contrabbando, ricompreso nella prima fascia di cui all'art. 4-bis 1 ord. penit.). Non e' di poco rilievo evidenziare che la disciplina di cui all'art. 4-bis ordin. penit. consiste nel sottolinearne la natura di disposizione speciale, di carattere restrittivo, che dispone la forma di esecuzione piu' grave - la carcerazione - per determinate categorie di detenuti che si presumono socialmente pericolosi unicamente in ragione del titolo di reato per il quale la detenzione e' stata disposta. Una disposizione che, ormai, ricollega un trattamento penitenziario piu' aspro all'allarme sociale derivante dal mero titolo di reato per cui e' condanna, irragionevole rispetto ad altre allarmanti fattispecie; quella della importazione di tabacchi lavorati esteri aggravato genericamente ai sensi dell'art. 291-quater, comma 1 del decreto del Presidente della Repubblica n. 43/1973 dovrebbe essere, dunque, espunta dal catalogo di cui all'art. 4-bis 1-ter ordin. penit., tenuto conto anche del giudizio di bilanciamento delle circostanze generiche svolto dal giudice di merito e della breve pena irrogata, che ha privato di ogni validita', sul piano logico e statistico, la presunzione del collegamento del condannato con organizzazioni criminali o comunque con circuiti criminali organizzati, riducendo per lo piu' il fatto ad evento occasionale e isolato. La stessa giurisprudenza di legittimita' (Corte di cassazione, sezione prima penale, sentenze 3 febbraio 2016, n. 37578, e 19 settembre 2012, n. 36) ha chiarito che il legislatore, nell'elenco di cui all'art. 4-bis ordin. penit., ha voluto attribuire esclusivo rilievo a profili di carattere oggettivo, sulla scorta del mero titolo di reato giudicato, in ragione della pericolosita' di quanti ne siano stati ritenuti responsabili, a prescindere dalle decisioni in concreto assunte in tema di trattamento punitivo e di bilanciamento tra circostanze (in questo senso anche l'ordinanza n. 3 del 2018 della Corte costituzionale, con riferimento ad alcuni delitti ricompresi nell'art. 4-bis, comma 1-quater, ordin. penit.). Sotto il profilo della non manifesta infondatezza si evidenzia ancora che la presunzione assoluta di pericolosita' - gia' ridimensionata rispetto alla scelta delle misure cautelari che altro non sono che l'esatta inquadratura speculare di quelle alternative, sebbene fondate su ragioni di continenza diverse - non puo' sfuggire al giudizio di adeguatezza e proporzionalita' della sola custodia carceraria come parametro di commisurazione al fatto commesso ed alla persona. Sul punto si richiama la giurisprudenza della Corte costituzionale sugli «automatismi» nell'applicazione delle misure cautelari personali, secondo la quale la presunzione di pericolosita', che impone l'applicazione della misura custodiale in carcere, trova giustificazione - sulla base di dati d'esperienza generalizzati, riassumibili nella formula dell'id quod plerumque accidit - solo per l'affiliato all'associazione mafiosa, ma la stessa giustificazione non trova in relazione ai condannati per reati che tale affiliazione non presuppongono. E si ribadisce non sempre le fattispecie come quelle in esame riguardano fenomeni espressione di criminalita' organizzata e grave allarme sociale: esse possono essere realizzate, in base a dati di comune esperienza, anche da fatti estemporanei, senza una significativa predisposizione di uomini o mezzi, al di fuori di circuiti criminali. Di conseguenza, come gia' accennato, la disposizione in parola violerebbe anche l'art 27, terzo comma della Costituzione poiche' parrebbe irragionevole applicare, al passaggio in giudicato della sentenza, la misura restrittiva del carcere come esecuzione della pena in casi come quello in esame, a prescindere da ogni valutazione in concreto, e caso per caso, sul percorso di emenda intrapreso e ingiustificatamente incidere, quindi, sulla finalita' rieducativa della pena e sul principio di individualizzazione della stessa, che impongono, salva la ragionevolezza della presunzione legale di pericolosita', valutazioni commisurate alle condizioni e ai segnali di cambiamento del singolo individuo. L'ordinamento penitenziario e' costellato da rigidi automatismi (si pensi agli sbarramenti per l'accesso ai benefici posti per alcuni reati confluiti nel 4-bis o agli sbarramenti dei limiti edittali della pena), che non consentono di determinare in modo costituzionalmente e convenzionalmente orientato la modalita' di espiazione della pena. Automatismi in contrasto con gli articoli 3 e 27, terzo comma della Costituzione con riferimento ai principi di ragionevolezza e funzione rieducativa della pena, attesa l'automatica incidenza, sul percorso rieducativo dei condannati, delle sopravvenute preclusioni all'accesso a benefici penitenziari e a misure alternative alla detenzione, con conseguente impossibilita' per l'autorita' giudiziaria preposta di operare valutazioni individualizzate in sede di esame delle istanze di concessione di detti benefici e misure. Non vanno trascurati i principi espressi nello sviluppo della giurisprudenza costituzionale, che ritiene che e' criterio costituzionalmente vincolante quello che esclude rigidi automatismi e richiede sia resa, invece, possibile una valutazione individualizzata, caso per caso (sentenza n. 436/1999, 257/2006), che eviti un automatismo sicuramente in contrasto con i principi di proporzionalita' ed individualizzazione della pena (sentenza n. 255/2006). Le modalita' di esecuzione carceraria non possono basarsi su meri automatismi e riequilibrare, a favore della prima, il rapporto tra la funzione rieducativa e quelle istanze ispirate ad esigenze di difesa sociale. Il modello di esecuzione penale costituzionalmente ispirato alla finalizzazione rieducativa della pena rende inaccettabile dal punto di vista costituzionale preclusioni legali assolute che dipendano dal solo titolo di reato della condanna in esecuzione, anziche' dalla condotta del soggetto. L'esclusione del reato di contrabbando di cui al comma 1 dell'art 291-ter, comma 1 del decreto del Presidente della Repubblica n. 43/1973 dall'accesso alla sospensione dell'esecuzione della pena, sancita dalla disposizione censurata, sarebbe in tal modo in contrasto con i principi di individualizzazione della pena e di finalita' rieducativa della stessa, ove tale esclusione riguardi un condannato per un fatto che, pur qualificato ai sensi dell'art. 291-ter, comma 1, non desta un certo allarme sociale, tenuto conto anche della brevita' della pena irrogata e comunque inferiore ai quattro anni. Non puo' non considerarsi che il giudice di merito ha irrogato una pena cui e' pervenuto considerando l'entita' della condotta e valutato condizioni soggettive oltre che oggettive ed ha applicato una misura cautelare non custodiale. Gli elementi oggetto di valutazione della prognosi di pericolosita' di recidivanza, gia' analizzati dal giudice in fase cautelare all'esito del giudizio di merito - che ha applicato, all'esito dell'irrogazione di una pena breve, la misura non detentiva dell'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria, in modo adeguato e proporzionale al fatto reato e tenendo conto anche della personalita' del condannato - appaiono essere rimasti gli stessi, sebbene ispirati a ragioni di continenza diversi, anche dopo il passaggio in giudicato della sentenza. Ed appare irragionevole che, cio' nonostante, al passaggio in giudicato della sentenza, si aprano le porte girevoli del carcere sulla base di un automatismo che prescinde dalla valutazione del fatto come giudicato e soprattutto della persona. Il percorso rieducativo della pena deve essere, invero, individualizzato, modulato sull'uomo e non sul fatto commesso e non certo su presunzioni legali di irrecuperabilita' sociale, ne' pene che si risolvano nella restrizione basata sul mero titolo di reato, spezzando tra l'altro una continuita' con le scelte operate dal giudice in fase cognitiva, specie se il passaggio in giudicato della sentenza avviene in tempi rapidi dalla pronuncia della pronuncia di condanna ed irrogazione della pena, come nel caso in esame, in virtu' della scelta del rito alternativo di applicazione della pena; continuita' necessaria soprattutto ai fini di garantire un percorso unitario e coerente del reo-condannato, che puo' realizzarsi solo con il ragionevole e coordinato raccordo tra le fasi di cognizione ed esecuzione, interrotto invece dalla ostativita' di rigidi automatismi. E' irragionevole, allora, ritenere di escludere il reato di contrabbando aggravato genericamente dalla sospensione dell'ordine di esecuzione allorquando la pena irrogata, breve e inferiore agli anni quattro, e' «strutturalmente e funzionalmente» collegata alla possibilita' di ottenere misure alternative di cui, in continuita' con quella cautelare irrogata, se pure ispirata a ragioni diverse di contenimento della pericolosita', condivide lo scopo di deflazione carceraria e di prevenzione speciale, sulla base della comune presunzione di una ridotta pericolosita' del condannato ed ai fini di un processo di rieducazione individualizzato. Un automatismo che sembra contrastare anche sotto il profilo della violazione del principio dell'affidamento, che imporrebbe la cristallizzazione del trattamento sanzionatorio irrogabile all'autore del reato, sotto il profilo dell'entita' e qualita' della pena, al momento della commissione del fatto o, quantomeno, del passaggio in giudicato della sentenza di condanna. Del resto nel senso dell'auspicio al superamento delle preclusioni e degli automatismi normativi ed abbattimento di tutte le «barriere ostative», anche di quelle predisposte per alcune fattispecie ricomprese nella seconda fascia nell'art. 4-bis ord. penit., si erano espressi, sulla scia di una interpretazione costituzionalmente orientata, gli Stati Generali dell'Esecuzione Penale nel progetto di riforma dell'esecuzione penale, sul condivisibile assunto secondo cui «ogni presunzione assoluta di pericolosita' contrasta con il finalismo rieducativo della pena e con il principio dell'individualizzazione del trattamento» (cfr. proposta 9 e Relazione accompagnatoria); argomentazioni che avevano ispirato una riforma dell'esecuzione della pena che escludeva da ogni forma di automatismo alcune delle fattispecie di cui alla seconda fascia dell'art. 4-bis OP proponendone l'abrogazione. Lo si evince dal documento finale degli Stati Generali dell'Esecuzione Penale (aggiornato al 18 aprile 2016): «...L'auspicato ampliamento qualitativo e quantitativo delle misure di comunita', ove realizzato, finirebbe per accentuare l'attuale asimmetria tra chi puo' accedere alle misure e chi ne resta aprioristicamente escluso, se non si provvedesse a rimuovere le barriere normative che interdicono la concessione di tali misure per motivi che prescindono dalla partecipazione all'opera di recupero sociale. Il conseguimento dell'obbiettivo di dare effettivita' al "diritto alla rieducazione" (v. Parte prima) passa anche per il superamento di preclusioni ed automatismi normativi che si frappongono in radice alla possibilita' di attuare un progetto individualizzato di risocializzazione. Si tratta, in altri termini, di procedere ad una attenta ricognizione critica e ad una sostanziale "bonifica" del sistema dalle presunzioni assolute di non concedibilita' di una misura rieducativa, in ragione del titolo del reato commesso o dello status del soggetto, indifferenti all'evoluzione psico-comportamentale del condannato». L'applicazione rigida e automatica della detenzione carceraria, senza possibilita' di valutazione - anteriore all'ingresso nell'istituto di pena del condannato - da parte del Tribunale di sorveglianza, risulterebbe, dunque, in contrasto con il finalismo rieducativo della pena, che postulerebbe sempre una valutazione individualizzata del prevenuto in relazione alla concedibilita' o meno dei benefici previsti dall'ordinamento penitenziario. Gia' la Corte costituzionale nella sentenza n. 216 del 2019 - con la quale ha ritenuto non manifestamente fondata l'eccezione di illegittimita' costituzionale dell'art. 656, comma 9, lettera a) del codice di procedura penale, nella parte in cui stabilisce che la sospensione dell'esecuzione di cui al comma 5 della medesima disposizione non puo' essere disposta nei confronti dei condannati per il delitto di furto in abitazione di cui all'art. 624-bis, comma primo del codice penale in riferimento agli articoli 3, primo comma, e 27, terzo comma della Costituzione - ha tuttavia evidenziato comunque necessario segnalare al legislatore, per ogni sua opportuna valutazione, l'incongruenza cui puo' dar luogo il difetto di coordinamento attualmente esistente tra la disciplina processuale e quella sostanziale relativa ai presupposti per accedere alle misure alternative alla detenzione, in relazione alla situazione dei condannati nei cui confronti non e' prevista la sospensione dell'ordine di carcerazione ai sensi dell'art. 656, comma 5 del codice di procedura penale, ai quali - tuttavia - la vigente disciplina sostanziale riconosce la possibilita' di accedere a talune misure alternative sin dall'inizio dell'esecuzione della pena: come, per l'appunto, i condannati per i reati elencati dall'art. 656, comma 9, lettera a) del codice di procedura penale, diversi da quelli di cui all'art. 4-bis ordin. penit. (per i quali l'accesso ai benefici penitenziari e' invece subordinato a specifiche stringenti condizioni). Cio', in particolare, in relazione al rischio - specialmente accentuato nel caso di pene detentive di breve durata, peraltro indicative di solito di una minore pericolosita' sociale del condannato - che la decisione del tribunale di sorveglianza intervenga dopo che il soggetto abbia ormai interamente o quasi scontato la propria pena. Eventualita', quest'ultima, purtroppo non infrequente, stante il notorio sovraccarico di lavoro che affligge la magistratura di sorveglianza, nonche' il tempo necessario per la predisposizione della relazione del servizio sociale in merito all'osservazione del condannato in carcere. Ed ancora nella sentenza sopra indicata la Corte segnalava comunque: «pur senza affiancare ai parametri "interni" della prospettata questione di legittimita' costituzionale [...] quello "interposto" costituito dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo» - si evidenzia come la prospettata questione di legittimita' costituzionale trae forza anche dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, rispetto agli obblighi da essa fissati nei confronti dell'ordinamento italiano in relazione al superamento della situazione di sovraffollamento degli istituti penitenziari»; esigenza alla quale sarebbe, tra l'altro, funzionale il meccanismo della sospensione dell'esecuzione dell'ordine di esecuzione della pena stabilito dall'art. 656, comma 5 del codice di procedura penale, irragionevolmente precluso ai condannati per il delitto di contrabbando di tabacchi lavorati esteri solo perche' ricompresi nella seconda fascia dell'art. 4-bis ord. penit. In conclusione nella specie, appare possa essere ravvisato un irragionevole e aprioristico automatismo legislativo: il legislatore, infatti, ha, con valutazione che appare non immune da censure sul piano costituzionale, ritenuto che, indipendentemente dalla gravita' della condotta posta in essere dal condannato e dall'entita' della pena irrogatagli, la pericolosita' individuale evidenziata dal trasporto di tabacchi lavorati esteri di contrabbando aggravato genericamente ai sensi dell'art. 291-ter, comma 1 del decreto del Presidente della Repubblica n. 43/1973, rappresenti ragione sufficiente per negare in via generale ai condannati per il delitto in esame il beneficio della sospensione dell'ordine di carcerazione, in attesa della valutazione caso per caso, da parte del Tribunale di sorveglianza, della possibilita' di concedere al singolo condannato i benefici compatibili con il suo titolo di reato e la durata della sua condanna. E', infatti, indubbio che il meccanismo di sospensione automatica dell'ordine di esecuzione di cui all'art. 656, comma 5 del codice di procedura penale sia anche funzionale a evitare l'inutile meccanismo delle porte girevoli con ingresso nel sistema penitenziario - gia' afflitto da grave sovraffollamento - di condannati che potrebbero essere ammessi a misure alternative sin dall'inizio dell'esecuzione della pena; meccanismo che puo' trovare giustificazione sempre entro i limiti segnati dalla non manifesta irragionevolezza, nella definizione delle categorie di detenuti che di tale meccanismo possono beneficiare. Analogamente, la disposizione censurata non consentirebbe sin da subito al Tribunale di sorveglianza di graduare - come fatto nel caso in esame dal giudice di merito nella scelta della pena da irrogare e della misura cautelare da irrogare - la sanzione in relazione alla gravita' del caso concreto; cio' che, invece, apparirebbe necessario dal punto di vista dell'art. 3 e 27 della Costituzione, dal momento che le fattispecie possono avere, nei diversi casi concreti, una gravita' molto diversa tra loro; una sorta di «automatismo sanzionatorio» correlato ad una presunzione iuris et de iure di gravita' del fatto e di pericolosita' del condannato, se pure recidivo reiterato, che preclude al Tribunale di sorveglianza di pervenire, nella fattispecie concreta, a diverse conclusioni in continuita' con la sanzione irrogata dal giudice di merito e con la misura cautelare non detentiva disposta. Una simile presunzione iuris et de iure dovrebbe considerarsi illegittima, secondo la giurisprudenza della Corte sopra richiamata ogniqualvolta sia agevole formulare ipotesi di accadimenti reali contrari alla generalizzazione posta a base della presunzione stessa.
P. Q. M. Letti gli articoli 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, 666 e 666 e 670 del codice di procedura penale; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata e rimette alla Corte costituzionale la questione di illegittimita' costituzionale dell'art. 656, comma 9, lettera a) del codice di procedura penale, nella parte in cui stabilisce che la sospensione dell'esecuzione di cui al comma 5 della medesima disposizione non puo' essere disposta nei confronti dei condannati di cui all'art. 4-bis ord. penit. con riferimento al delitto di cui all'art. 291-ter, comma 1 del decreto del Presidente della Repubblica n. 43/1973, ricompreso nella seconda fascia dell'art. 4-bis ord. penit., per contrasto con gli articoli 3 e 27 della Costituzione; Dichiara la sospensione del procedimento; Manda alla cancelleria per la notifica di copia della presente ordinanza all'interessato, al suo difensore, al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli, al Presidente del Consiglio dei ministri, per la comunicazione della stessa ai presidenti della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica e dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. In Napoli, cosi' deciso il 19 marzo 2020 Il giudice: Alfano -- Il tribunale, nella persona del giudice monocratico, in funzione di giudice dell'esecuzione Anna Laura Alfano; Letti gli atti del procedimento penale sopra indicato nei confronti di R. G., nato a Napoli il 15/10/1957; Letta l'ordinanza del 19 marzo 2020 con la quale e' stata sollevata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 656, comma 9, lettera a) del codice di procedura penale, nella parte in cui stabilisce che la sospensione dell'esecuzione di cui al comma 5 della medesima disposizione non puo' essere disposta nei confronti dei condannati di cui all'art. 4-bis ord. penit. con riferimento al delitto di cui all'art. 291-ter, comma 1 del decreto del Presidente della Repubblica n. 43/1973, ricompreso nella seconda fascia dell'art. 4-bis ord. penit., per contrasto con gli articoli 3 e 27 della Costituzione; Rilevato che nelle pag. 9 rigo 22, pag. 19 rigo 9 e nel dispositivo pag. 21, per mero errore materiale, si legge illegittimita' costituzionale anziche' eccezione/ questione di legittimita' costituzionale; Ritenuto necessario procedere alla correzione, in quanto trattasi di un errore materiale che non inficia il contenuto dell'atto; Dispone: la correzione delle pag. 9 rigo 24, pag. 19 rigo 9 nel senso che dove si legge «questione» o «eccezione» di illegittimita' costituzionale deve intendersi di legittimita' costituzionale; dispone la correzione del dispositivo pag. 21 rigo 9 nel senso che dove si legge «dichiara rilevante e non manifestamente infondata e rimette alla Corte costituzionale la questione di illegittimita' costituzionale» deve intendersi «dichiara rilevante e non manifestamente infondata e rimette alla Corte costituzionale la questione di legittimita' costituzionale»; che della presente ordinanza, a cura della cancelleria, venga fatta annotazione sull'originale dell'atto, ai sensi dell'art. 130, comma 2 del codice di procedura penale; Manda alla cancelleria per gli adempimenti di competenza e la comunicazione e trasmissione della presente ordinanza all'interessato, al suo difensore, al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli e l'immediata trasmissione alla Corte costituzionale. Cosi' deciso a Napoli il 6 aprile 2020. Il giudice: Alfano