N. 196 ORDINANZA (Atto di promovimento) 11 settembre 2020

Ordinanza dell'11 settembre 2020 dell'Arbitro di Roma  nell'arbitrato
in corso tra Lauretti Andrea contro Villani Cristiano. 
 
Edilizia e urbanistica - Edilizia  residenziale  pubblica  -  Vincoli
  relativi alla determinazione del prezzo massimo di  cessione  delle
  singole unita' abitative  e  loro  pertinenze  nonche'  del  canone
  massimo di locazione delle stesse, contenuti nelle  convenzioni  di
  cui all'art. 35 della legge n. 865 del 1971 - Rimozione,  dopo  che
  siano  trascorsi  almeno  cinque  anni   dalla   data   del   primo
  trasferimento, con atto pubblico o scrittura privata autenticata, a
  richiesta delle persone fisiche che vi abbiano interesse, anche  se
  non piu' titolari di diritti reali sul  bene  immobile,  e  con  il
  pagamento di un corrispettivo di affrancazione - Previsione che, in
  pendenza della rimozione dei vincoli, il contratto di trasferimento
  dell'immobile non produce effetti limitatamente alla differenza tra
  il prezzo convenuto e il prezzo vincolato e che l'eventuale pretesa
  di rimborso della predetta differenza si estingue con la  rimozione
  dei  vincoli  -  Applicazione  anche  agli  immobili  oggetto   dei
  contratti stipulati prima della data di  entrata  in  vigore  della
  legge di conversione del decreto-legge n. 119 del 2018. 
- Legge 17 dicembre 2018, n. 136  [recte:  Decreto-legge  23  ottobre
  2018,  n.  119  (Disposizioni  urgenti   in   materia   fiscale   e
  finanziaria) convertito, con modificazioni, nella legge 17 dicembre
  2018, n. 136], art. 25-undecies; legge 23  dicembre  1998,  n.  448
  (Misure di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo  sviluppo),
  art. 31, commi 49-bis, 49-ter e 49-quater. 
(GU n.3 del 20-1-2021 )
 
                           L'ARBITRO UNICO 
 
    Costituitosi in data 23 giugno 2020 in virtu' di' convenzione  di
arbitrato rituale ex art. 806 e ss. codice di procedura civile del 23
giugno 2020, con la quale veniva nominato arbitro  unico  dai  sig.ri
sig. Lauretti Andrea, nato a Taranto (TA), il 31 agosto  1983  (C.F.:
LRTNDR83M31L049W), residente in Roma, via San Nicola Dell'Alto n. 30,
rappresentato   e   difeso   dall'Avv.   Antonio   Corvasce    (C.F.:
CRVNTN70E08A669D   PEC:   avv.antoniocorvasce@legalmail.it   -   FAX:
06.89184253) e Villani Cristiano, nato a Roma il 23 marzo 1968  (CF.:
VLLCST68C23HSO1L), residente in Roma, via Pasquale del Giudice n. 12,
rappresentato  e  difeso  dall'AVI,.  Alessandro   De   Luca   (C.F.:
DLCLSN64D02HSO11 - PEC: avvalessandrodeluca@ordineavvocatiroma.org  -
FAX:  06.4819484),  giusta  procura  in  calce  alla  convenzione  di
arbitrato rituale del 23 giugno 2020, ove la clausola  compromissoria
e' cosi formulata... 
    «Il Tribunale Arbitrale sara' composto da un arbitro  unico,  che
le parti, concordemente, individuano nell'avv. Vincenzo Ciraolo  (c.f
CRLVCN64D06F158F - P.E.C. vincenzo.ciraolo@pec.giuffre.it), del  foro
di Messina, con studio in Roma,  alla  via  Attilio  Regolo,  19,  il
quale, ai sensi dell'art. 816-bis codice  di  procedura  civile,  nel
rispetto  del  principio  del  contraddittorio,  avra'  facolta'   di
regolare lo svolgimento  del  giudizio  di  arbitrato  nel  modo  che
riterra'  piu'  opportuno,  comunque,  nel   rispetto   delle   norme
inderogabili degli articoli 806 e ss. del codice di procedura civile. 
    ... le  parti  si  riservano  di  dedurre,  produrre,  depositare
documenti, indicare prove  nei  termini  che  a  tale  fine  verranno
disposti dal suddetto  arbitro  unico.»,  per  la  risoluzione  della
controversia  insorta  relativamente  al  contratto  di  vendita  del
5luglio 2013, con atto pubblico  a  rogito  del  notaio  dott.  Paolo
Farinaro di Roma, rep. 244473, racc. 39705. 
    Svolgimento del processo 
    Nella sopra richiamata «convenzione di arbitrato», le parti cosi,
testualmente, argomentavano e descrivevano i fatti di causa:  «a)  in
data 5 luglio 2013, con atto pubblico a rogito del notaio dott. Paolo
Farinaro  rep.  244473,  racc.  39705  (All.  1  -  copia   atto   di
compravendita), il sig. Villani  Cristiano  vendeva  al  sig.  Andrea
Lauretti,  per  l'importo   di   Euro   260.000,00,   la   proprieta'
superficiaria delle seguenti porzioni immobiliari, site nel Comune di
Roma, rientrante nel P.d.Z 31» «Osteria del Curato - variante quater»
comparto  «b»,  via  S.  Nicola  dell'Alto  30  e  precisamente:   1)
«appartamento al piano terzo della scala «B», distinto con il  numero
int. 14 (quattordici), articolato nei piani terzo e quarto  tra  loro
collegati  mediante  scala  interna  esclusiva,  composto  da  cinque
camere, e cioe': da due camere, cucina e accessori al piano  terzo  e
di locali di sgombero e terrazzo  al  piano  quarto,  confinante  con
appartamenti n. 13 e 15, chiostrina e pianerottolo delle scale: 
          annesso locale ad uso cantina al piano  interrato  distinto
al numero B14 (B quattordici), confinante con cantine  B13  e  B15  e
corridoio delle cantine per due lati; 
          box auto al piano interrato, distinto con il subalterno  55
(cinquantacinque)  sito  nell'autorimessa   comune   sottostante   il
fabbricato con accesso dal civico n. ventisei (26) di via San  Nicola
dell'Alto, confinante con box auto sub. 56, locale condominiale,  box
auto sub. 54 e spazio di manovra. 
    Dette porzioni immobiliari risultano censite  presso  il  catasto
dei fabbricati del Comune di Roma al  foglio  978,  particella  1347,
subalterni; sub 35 (l'appartamento ai diversi piani  e  la  cantina);
sub. 55 (il box auto). 
    Il tutto, originariamente di proprieta' del suddetto sig. Villani
Cristiano cui e' pervenuto da «Apriliana  Domus  -  soc.  cooperativa
edilizia», con atto pubblico del 4 dicembre 2007 a rogito del  notaio
Giovanni Ungari Trasatti,  rep.  41247  racc.  n.  21904,  registrato
presso l'Uffico delle entrate di Roma 5 il 28  dicembre  2007  al  n.
26557 serie 1T e trascritto  in  data  28  dicembre  2007  presso  la
Conservatoria dei RR.II. di  Roma  1  al  n.  104006  di  formalita',
pagando la  somma  di  euro  108.225,03  (All.  2  -  copia  atto  di
assegnazione). 
      il sig. Lauretti, sostiene che l'alloggio in questione  rientra
nella fattispecie  di  «alloggio  sociale  di  edilizia  residenziale
pubblica»   e   precisamente   nella   fattispecie    di    «edilizia
agevolata-convenzionata», perche' fa parte di un  complesso  edilizio
edificato in regime di edilizia  economica  e  popolare,  su  terreno
prima espropriato e poi concesso dal Comune  di  Roma  alla  predetta
impresa «Apriliana Domus» in  diritto  di  superficie  per  99  anni,
giusta convenzione urbanistica, rogata ai sensi  dell'art.  35  della
legge 865/1971, con atto pubblico a rogito del notaio Giovanni Ungari
Trasatti rep. n. 34301/17270 del 21 gennaio 2004, registrata in  data
27 gennaio 2004 al n. 492 e trascritto in data 28 gennaio 2004 presso
la Conservatoria dei RR.II di Roma 1 al n. 7584 di formalita' (All. 3
- copia convenzione urbanistica). 
      Il sig. Villani, nell'art. 5  del  predetto  atto  di  vendita,
garantiva al sig. Lauretti, acquirente, che l'immobile in oggetto era
libero da pesi, ipoteche, trascrizioni pregiudizievoli e  vincoli  di
ogni altro genere. 
      Il sig. Lauretti, pero',  sostiene  che  gli  immobili  di  che
trattasi  erano  (e  sono  ancora)  gravati  dai  vincoli  al  libero
trasferimento, imposti dall'art. 35 della legge 865/1971, cosi'  come
riportati nella predetta convenzione urbanistica a rogito del  notaio
Giovanni Ungari Trasatti (v. All. 3, art. 14) ed  in  particolare,  a
quello attinente al divieto di commercializzare il cespite in oggetto
a prezzo libero di mercato e che,  quindi,  l'alloggio  in  questione
sarebbe gravato dal vincolo del prezzo massimo di cessione  derivante
dal combinato disposto del dettato dell'art. 35 della legge 865/1971,
dell'art. 18 del Decreto del Presidente  della  Repubblica  380/2001,
nonche' dell'art. 14 della predetta convenzione urbanistica  ex  art.
35 della legge 865/1971 a rogito del notaio Giovanni Ungari  Trasatti
(v. All 3. pag. 27) e che. quindi, alla data del 5  luglio  2013,  il
corrispettivo massimo di cessione, determinato ex  lege,  cosi'  come
determinato tenendo conto del  dettato  dell'art.  24  della  ridetta
convenzione  urbanistica,  sarebbe  dovuto  essere   pari   ad   euro
120.887,36 (All. 4 - scheda Istat). 
      Il sig. Lauretti,  avendo  appreso  della  pubblicazione  della
sentenza  della  S.C.  di  Cassazione  a  SS.UU.  n.  18135/2015  che
confermava il divieto di  commercializzazione  di  detti  immobili  a
prezzo libero di mercato, con lettera  raccomandata  del  16  ottobre
2017  a  firma  dell'avv.  Antonio  Corvasce,  rimasta  senza  esito,
contestava, al sig. Villani, la nullita' parziale  del  contratto  di
compravendita in parola, per la parte eccedente il prezzo massimo  di
cessione  e,  conseguentemente,  domandava  la  ripetizione,  in  suo
favore, di euro 139.112,64,  corrispondenti  a  quanto  indebitamente
pagato in eccesso rispetto al prezzo calcolato «ex lege»  (All.  5  e
5-bis - copia lettera avv. Antonio Corvasce  e  sentenza  della  S.C.
Cassazione a SS.UU. n. 18135/2015). 
    b) il signor Cristiano  Villani  contesta  le  domande  del  sig.
Lauretti e l'applicazione, al caso di specie, delle norme  imperative
di legge  e  convenzionali  invocate  da  quest'ultimo;  in  sintesi,
secondo il sig. Villani, la  sentenza  della  S.C.  di  Cassazione  a
SS.UU. n. 18135/2015 non attiene al caso  di  specie,  in  quanto  la
vendita dell'alloggio in questione non  doveva  essere  effettuata  a
valore «convenzionale», ma a prezzo di mercato, cosi come in  effetti
e' avvenuto e,  pertanto,  l'atto  di  vendita  contestato  dal  sig.
Lauretti e' pienamente valido ed  efficace.  Tanto,  in  virtu',  tra
l'altro, del disposto della legge 179/1992, che ha stabilito che, per
gli alloggi realizzati nei piani di zona ex lege 167/9162 e  regolati
dalle convenzioni ex art 35 legge  865/1971,  le  vendite  successive
alla prima assegnazione, decorsi cinque anni  da  quest'ultimo  atto,
possono essere effettuati a prezzo libero di mercato. 
    Contesta, inoltre, il sig. Villani, che il  valore  dell'immobile
sito in Roma - Via S. Nicola dell'Alto n. 30 - int. 14, e' molto piu'
alto  di  quello  indicato,   riportando,   tra   l'altro,   l'errata
indicazione   del   corrispettivo   effettivamente    versato    alla
cooperativa, il mancato calcolo dell'iva,  il  mancato  aggiornamento
dell'istat,  la  realizzazione   di   ulteriori   lavori   effettuati
all'interno dell'immobile, l'acquisto  da  parte  del  sig.  Lauretti
anche dei mobili di pregio presenti nell'immobile  (All.  6  -  copia
contratto preliminare del 28 maggio 2013). 
      Il sig. Villani, inoltre, senza  accettare  il  contraddittorio
sul punto e per mero tuziorismo difensivo, ha depositato,  al  comune
di Roma Capitale (All. 7), per l'alloggio in  questione,  istanza  di
«affrancazione» dal vincolo del prezzo massimo di cessione, cosi come
consentito dai commi 49-bis, ter e quater dell'art.  31  della  legge
448/1998, come novellata dall'art. 25 undecies della legge  136/2018,
a  seguito  della  quale,  comunque,  la   domanda   di   ripetizione
dell'indebito del  sig.  Lauretti,  sarebbe  comunque  inammissibile,
improcedibile e/o infondata. 
    In conclusione, il sig. Villani ritiene che le domande e  pretese
del sig. Lauretti, come formulate nella  suddetta  missiva  dell'avv.
Antonio  Corvasce  del  16   ottobre   2017,   siano   inammissibili,
improcedibili o,  comunque,  del  tutto  infondate  in  fatto  ed  in
diritto. 
    Con ordinanza del 26 luglio 2020 questo  arbitro  autorizzava  ha
fissato la prima udienza per il  giorno  3  luglio  2020,  ore  10.00
concedendo termine sino al giorno 30 giugno 2020, per la formulazione
dei quesiti, delle istanze istruttorie  dirette  ed  il  deposito  di
documenti e fino al giorno 2 luglio 2020,  per  la  formulazione  dei
controquesiti, le istanze istruttorie ed il deposito di documenti  in
replica. Il sig. Lauretti, previa rituale e  tempestivo  deposito  in
data 30 giugno 2020 ribadiva le proprie deduzioni, cosi'  come  sopra
riportate e le  proprie  conseguenti  domande,  cosi',  testualmente,
concludendo: 
    «I. accertarsi e dichiararsi che il contratto  di  vendita  delle
porzioni immobiliari per cui e' causa, stipulato tra le odierne parti
del giudizio e' parzialmente nullo, in particolare, all'art. 3  (pag.
2 del contratto), nella parte in  cui  si  stabilisce  il  prezzo  di
vendita in euro 260.000,00: 
    II. accertarsi e  dichiararsi  che  il  prezzo  della  proprieta'
superficiaria relativa ai cespiti ceduti dal  resistente  e'  quello,
stabilito «ex lege», di euro 120.887,36 o, in via gradata, di  quello
«ex  lege»  che  emergera'  all'esito  della  presente  procedura  di
arbitrato rituale. 
    III. Per l'effetto, voglia codesto onorevole arbitro disporre, ai
sensi del combinato  disposto  dell'art.  35  della  legge  865/1971,
dell'art. 18 del Decreto del Presidente  della  Repubblica  380/2001,
nonche' degli articoli 1418, 1419 e  1339  del  codice  di  procedura
civile, la sostituzione automatica del suddetto  prezzo  di  vendita,
come sopra dichiarato nullo, con quella stabilito «ex lege»  di  euro
120.887,36 o, in via  gradata,  a  quello  «ex  lege»  che  emergera'
all'esito della presente procedura di arbitrato rituale. 
    IV.  Per  l'ulteriore  effetto,  condannarsi  il  sig.  Cristiano
Villani, alla restituzione/ripetizione, in favore del sig.  Lauretti,
di  quanto  da  quest'ultimo   indebitamente   pagato   al   suddetto
resistente, per la causali di cui sopra, pari ad euro  139.112,64  o,
in via gradata, a quella somma determinata «ex lege» e che  emergera'
all'esito della presente procedura di arbitrato rituale.». 
    «Seguivano   le   relative   istanze   istruttorie   e   deposito
documentale.». 
    Il sig. Cristiano Villani, di contro, oltre a quanto dedotto  con
la «convenzione di arbitrato», eccepiva e concludeva come segue: «...
2) Nel merito, in via subordinata: Modifica  normativa  introdotta  -
Possibilita' affrancazione - Mancanza  del  Decreto  di  dettaglio  -
Sospensione  -  Responsabilita'  aggravata  ex  art.  96  codice   di
procedura penale. 
    Controparte avrebbe avuto l'obbligo giuridico  di  prendere  atto
della modifica legislativa intervenuta con il decreto-legge  119/2018
convertito in legge n. 136/2018 ed entrato in vigore il  19  dicembre
2018, il cui art.  25-undicies  ha  finalmente  posto  fine  al  caos
relativo alla pubblicazione della sentenza delle SS.UU della Corte di
cassazione 18135/2015, richiamata da controparte, il cui contenuto e'
noto ad ogni parte e della circostanza, anche questa resa  nota,  che
il sig. Villani, in data 30 giugno 2020, ha depositato, in quanto  ex
proprietario, presso il comune di Roma Capitale, la relativa  istanza
per  la  rimozione,  dall'alloggio  per  cui  e'  lite,  del  vincolo
convenzionale del prezzo massimo di  cessione  (cd.  «affrancazione»)
(All. 8 - Istanza di affrancazione - Alt. 9 - Stima corrispettivo  di
affrancazione).». 
    Il sig. Villani si riferisce  all'art.  25-undecies  della  legge
136/2018 (legge finanziaria dell'anno 2018, ndr.) che  ha  modificato
il comma 49-bis dell'art. 31 della legge  n.  448/1998  nel  seguente
modo: 
    1. All'articolo 31 della legge 23 dicembre  1998,  n.  448,  sono
apportate le seguenti modificazioni: 
        «a) il comma 49-bis e' sostituito dal seguente: 
          «49-bis. I vincoli relativi alla determinazione del  prezzo
massimo di cessione delle singole unita' abitative e loro  pertinenze
nonche' del canone massimo di locazione delle stesse, contenuti nelle
convenzioni di cui all'art. 35 della legge 22 ottobre 1971, n. 865, e
successive modificazioni, per la cessione del diritto di proprieta' o
per la cessione del diritto di superficie,  possono  essere  rimossi,
dopo che siano trascorsi almeno cinque  anni  dalla  data  del  primo
trasferimento, con atto pubblico  o  scrittura  privata  autenticata,
stipulati a richiesta delle persone fisiche che vi abbiano interesse,
anche se non piu' titolari di diritti  reali  sul  bene  immobile,  e
soggetti  a  trascrizione  presso  la  conservatoria   dei   registri
immobiliari, per un corrispettivo proporzionale  alla  corrispondente
quota millesimale, determinato, anche per le  unita'  in  diritto  di
superficie, in misura  pari  ad  una  percentuale  del  corrispettivo
risultante dall'applicazione del comma 48 del presente  articolo.  La
percentuale  di  cui  al  presente  comma  e'  stabilita,  anche  con
l'applicazione  di  eventuali  riduzioni  in  relazione  alla  durata
residua del vincolo, con decreto del Ministro dell'economia  e  delle
finanze, previa intesa in  sede  di  Conferenza  unificata  ai  sensi
dell'art. 9 del decreto  legislativo  28  agosto  1997,  n.  281.  Il
decreto di cui al periodo precedente individua altre i criteri  e  le
modalita' per la concessione da parte  dei  comuni  di  dilazioni  di
pagamento  del  corrispettivo  di  affrancazione  dal   vincolo.   Le
disposizioni di cui al presente comma non si applicano agli  immobili
in regime di locazione ai sensi degli articoli da 8 a 10 della  legge
17 febbraio 1992, n. 179, ricadenti nei piani di zona convenzionati»; 
        dopo il comma 49-ter e' inserito il seguente: 
          «49-quater. In pendenza della rimozione del vincoli di  cui
ai commi 49-bis e 49-ter, il contratto di trasferimento dell'immobile
non produce effetti  limitatamente  alla  differenza  tra  il  prezzo
convenuto e il prezzo  vincolato.  L'eventuale  pretesa  di  rimborso
della predetta differenza, a qualunque titolo richiesto, si  estingue
con la rimozione dei vincoli secondo le modalita' di'  cui  ai  commi
49-bis e 49-ter. La rimozione  del  vincolo  del  prezzo  massimo  di
cessione comporta altresi'  la  rimozione  di  qualsiasi  vincolo  di
natura soggettiva». 
    2. Le disposizioni di cui al comma  1  si  applicano  anche  agli
immobili oggetto dei contratti stipulati prima della data di  entrata
in vigore della legge di conversione del presente decreto. ...». 
    Proseguiva, quindi, il sig. Villani, nei suoi scritti,  deducendo
testualmente che: «... La nuova  normativa  ha  dunque  stabilito  la
possibilita'  di  effettuare  la   rimozione   dei   vincoli   legati
all'edilizia convenzionale anche da  persone  non  piu'  titolari  di
diritti reali sull'immobile, come l'odierna resistente,  versando  il
relativo dovuto, anche attraverso una dilazione  del  pagamento,  che
deve  essere  appositamente  determinata  da  ogni  comune   mediante
decreto. 
    Le suddette disposizioni,  come  esplicitamente  riportato  nella
richiamata novella normativa, si applicano retroattivamente. 
    A parere della  scrivente  difesa,  la  fattispecie  oggetto  del
presente giudizio ricade totalmente all'interno della nuova normativa
emanata. 
    Per quanto innanzi e tenuto conto del fatto che il sig.  Villani,
come anticipato, ha depositato presso il  comune  di  Roma  Capitale,
come prescritto dal novellato art. 31, commi  49-bis,  ter  e  quater
della legge 448/1998,  per  l'alloggio  in  questione,  l'istanza  di
affrancazione dal vincolo del prezzo massimo  di  cessione,  il  Sig.
Lauretti avrebbe dovuto desistere dalla sua azione giudiziaria. 
    Tuttavia, come sopra gia' riferito, il sig. Lauretti ha preferito
aggravare la posizione del sig. Villani, in violazione del  principio
di buona fede ed abusando del proprio diritto, al fine di ottenere un
ingiusto profitto, stante l'acquisto di un appartamento  divenuto  di
pregio grazie agli interventi realizzati  dal  Villani  e  da  questo
ammobiliato secondo alti standard di qualita'. 
    Tanto  premesso,  iI   Sig.   Cristiano   Villani,   come   sopra
rappresentato, difeso e domiciliato,  chiede  l  'accoglimento  delle
seguenti, 
 
                             Conclusioni 
 
    Voglia il sig. arbitro adito, respinta  ogni  contraria  istanza,
per le suesposte ragioni: 
        Preliminarmente:   accertare   e   dichiarare   l'intervenuta
improcedibilita'  della  presente  procedura  o,  in   via   gradata,
l'inammissibilita'  delle   domande   del   sig.   Lauretti,   stante
l'intervenuta presentazione, al comune di Roma Capitale, da parte del
sig.  Villani  e  relativamente  all'alloggio  per   cui   e'   lite,
dell'istanza di affrancazione dai vincoli convenzionali: 
       Preliminarmente,  in  via  gradata:  sospendere  il   presente
arbitrato  in   attesa   dell'esito   della   suddetta   istanza   di
«affrancazione» ed all'esito  positivo  di  quest'ultima,  dichiarare
improcedibile la presente procedura o, in via gradata, inammissibili,
le domande del sig. Lauretti. 
    In via ulteriormente gradata,  nel  merito,  in  via  principale:
accertata la sussistenza  dei  motivi  di  contestazione  suindicati,
rigettare in toto la domanda del  sig.  Lauretti  Andrea,  in  quanta
infondata sia in fatto che in diritto. 
      Nel merito, in via subordinata: nel caso della denegata ipotesi
di accoglimento ancorche' parziale della domanda  del  sig.  Lauretti
Andrea, disporre la liberazione dei vincoli gravanti per cui e' lite,
mediante pagamento, da parte del sig.  Villani,  dei  soli  oneri  di
«affrancazione» dal vincolo del prezzo massimo di cessione. 
    Con vittoria di spese e competenze della  presente  procedura  di
arbitrato.». 
    Seguivano le relative istanze istruttorie e deposito documentale. 
     In data 2 luglio 2020 il sig. Lauretti, per il tramite dell'avv.
Antonio  Corvasce,  depositava  controdeduzioni   autorizzate,   alle
memorie del  sig.  Villani,  con  le  quali  formulava  eccezione  di
legittimita' costituzionale sull'art. 31, comma  49-bis  della  legge
448/1998, cosi' come  novellato  dall'art.  25-undecles  della  legge
136/2015, in particolare, eccependo: «... 1.1. - Violazione dell'art.
77 comma 2 della Costituzione  in  quanto  la  disposizione  aggiunta
all'art. 31 della legge 448/1998, dall'art. 25-undecies  della  legge
136/2018, e' eterogenea ed estranea rispetto  alla  materia  ed  alle
finalita' dalle altre disposizioni del decreto-legge in cui e'  stata
inserita in sede di conversione (V. Corte Costituzionale  247/2019  -
All. 1). 
1.2. - Violazione dell'art. 3  della  Costituzione  in  relazione  al
principio di uguaglianza nella parte in cui il comma 49-bis dell'art.
31 della legge 448/1998 non consente a tutti i cittadini di  accedere
alla proprieta' della propria abitazione  alle  condizioni  agevolate
previste nelle convenzioni ex art. 35 della legge 865 del 22  ottobre
1971. 
Violazione degli articoli 10 e 42 della Costituzione. 
2. - Violazione degli articoli 3 primo e secondo comma, 24, 101, 102,
104, 111, 117, primo comma, della Costituzione e 6 della  convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'
fondamentali firmara a Roma il 4 novembre  1950,  ratificata  e  resa
esecutiva con legge 4 agosto 1955, n.  848  (ratifica  ed  esecuzione
della convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e
delle liberta' fondamentali, firmara a Roma il 4 novembre 1950, e del
protocollo addizionale alla convenzione stessa, firmato a  Parigi  il
20 marzo 1952), in seguito indicata  come  CEDU  per  violazione  del
diritto ad un giusto processo,  all'effettiva  tutela  giudiziaria  e
alla invulnerabilita' delle funzioni costituzionalmente riservate  al
potere giudiziario; 
3. Violazione dell'art. 3 della Costituzione per  irragionevolezza  e
discriminazione tra  cittadini,  nella  parte  in  cui  il  comma  il
49-quater dell'art. 31 della legge 448/1998, introduce una deroga  al
generale principio della ripetizione di indebito ex art. 2033  codice
di procedura civile e determina, di fatto, l'estinzione della pretesa
restitutoria da parte dell'acquirente (solvens). 
Violazione degli articoli 42 e 97 della Costituzione. 
4.  Violazione  dell'art.  3  della  Costituzione  sotto  il  profilo
dell'affidamento per intromissione del  legislatore  nella  autonomia
contrattuale delle parti con effetto retroattivo. 
Violazione dell'art. 42 della Costituzione... .». 
    In data 3 luglio 2020 si teneva l'udienza di  discussione,  nella
quale i procuratori delle  parti'  hanno  insistono  nelle  richieste
formulate nei rispettivi atti. 
    In particolare, l'avv. Corvasce nella  denegata  ipotesi  in  cui
l'arbitro nominato avesse ritenuto  applicabile  al  caso  di  specie
l'art. 31 della legge 448/1998, commi  49-bis,  ter  e  quater,  come
novellato dall'art. 25-undecies della legge  136/2018,  ha  insistito
sulle eccezioni di legittimita' costituzionale di  dette  norme  cosi
come esposto nei propri atti. 
    L'avv.  De  Luca,  ha  insistito  sulla  piena  legittimita'  del
contratto di vendita e, riportandosi alle proprie memorie, ha chiesto
il rigetto delle  domande  proposte  dal  sig.  Lauretti,  in  quanto
infondate in fatto  e  in  diritto,  anche  alla  luce  del  disposto
dell'art. 25-undecies della legge n.  136/2018  e  della  circostanza
che, in applicazione  della  suddetta  norma,  il  dott.  Villani  ha
proceduto a presentare domanda di affrancazione dell'alloggio per cui
e' causa, dal vincolo del prezzo massimo di cessione. 
    A fronte di specifica richiesta di parte,  avanzata  nell'udienza
di  cui  sopra,  l'arbitro  non  puo'  esimersi   dal   valutare   la
possibilita' di sollevare questione  di  legittimita'  costituzionale
innanzi alla Consulta, sulla disciplina  normativa  che,  sulla  base
delle prescrizioni di cui all'art. 31, commi  49-bis,  ter  e  quater
della legge 448/1998, cosi come novellata dall'art. 25-undecies della
legge 136/2018, dichiaratamente retroattiva, impedisce allo stesso di
pronunciarsi sulla domanda di ripetizione dell'indebito,  conseguente
alla domanda di accertamento della nullita' parziale del contratto di
vendita in esame,  cosi  come  proposte  dal  sig.  Andrea  Lauretti,
dovendo valutare la rilevanza e la non manifesta  infondatezza  delle
questioni di costituzionalita' sollevate da quest'ultimo. 
    I  motivi  di   incostituzionalita'   illustrati   dalla   difesa
dell'acquirente   non   appaiono,    all'arbitro,    manifestatamente
infondati. 
Sulla Rilevanza: 
    In base a quanto stabilito nella sentenza n. 174/2016 della Corte
costituzionale (red. Sciarra), l'applicabilita' della disposizione al
giudizio principale e' sufficiente  a  radicare  la  rilevanza  della
questione, che non postula un sindacato piu'  incisivo  sul  concreto
pregiudizio ai principi costituzionali coinvolti. 
    Sotto una  prospettiva  piu'  stringente  (Corte  costituzionale,
sentenza n. 91/2013 - red. Cartabia), il  nesso  di  pregiudizialita'
tra il giudizio principale e il giudizio costituzionale  implica  che
la norma censurata debba necessariamente essere applicata nel primo e
che l'eventuale illegittimita' della stessa incida  sul  procedimento
principale. 
    In  linea  con  quanto  sopra,  la  sentenza  n.  184/2006  (red.
Silvestri)  stabilisce  che:  «il  vigente   sistema   di   giustizia
costituzionale impone, ai fini di ammissibilita'  di  una  questione,
che un'eventuale pronuncia di accoglimento sia in  gado  di  incidere
sul processo principale.  Pertanto,  difetterebbe  di  rilevanza  una
questione laddove il rimettente non potesse avvalersi nel processo  a
quo del pronunciamento della  Corte  a  causa  del  prodursi  di  una
situazione di fatto irreversibile su cui non avrebbe alcun effetto». 
    Nel caso di specie, a parere  del  rimettente,  sono  soddisfatti
tutti i requisiti per l'ammissibilita' del giudizio  di  legittimita'
poiche': 
        1) e' indubbia l'applicabilita' delle disposizioni  inquisite
alla causa principale (arbitrato); 
        2) e' altrettanto indubbio che il rimettente potra' giovarsi,
nell'arbitrato a quo, dell'eventuale pronunciamento di illegittimita'
costituzionale  della  norma  di  che  trattasi  per   accogliere   o
respingere la domanda di ripetizione di indebito e che,  quindi,  «un
'eventuale pronuncia di accoglimento sia in  grado  di  incidere  sul
processo principale». 
    Come eccepito dal sig. Cristiano Villani, l'art. 31  della  legge
448/1998, comma 49-bis, consente  la  rimozione  dei  «  ...  vincoli
relativi alla determinazione del prezzo massimo di cessione», per  la
tipologia di alloggi per cui e' causa, non appena decorsi cinque anni
dalla  data  del  primo  trasferimento  «....  con  atto  pubblico  o
scrittura privata autenticata, stipulati a  richiesta  delle  Persone
fisiche che vi abbiano interesse,  anche  se  non  piu'  titolari  di
diritti reali sul bene immobile», stipulando una  nuova  convenzione,
con il comune di riferimento, «... soggetta a trascrizione presso  la
conservatoria dei  registri  immobiliari»  e,  tra  L'altro,  per  un
corrispettivo che non prevede la necessaria restituzione,  in  favore
degli enti pubblici eroganti, dei contributi pubblici  percepiti  per
la realizzazione dei medesimi alloggi, cosi' lasciando tale onere  in
capo all'acquirente, attuale proprietario che,  come  visto  potrebbe
«subire» la rimozione del vincolo suddetto,  da  «chiunque  vi  abbia
interesse», senza nulla poter eccepire. 
    In particolare, il  comma  49-quater  recita  espressamente:  «In
pendenza della rimozione dei vincoli di cui ai commi 49-bis e 49-ter,
il contratto  di  trasferimento  dell'immobile  non  produce  effetti
limitatamente alla differenza tra il prezzo  convenuto  e  il  prezzo
vincolato. L'eventuale pretesa di rimborso della predetta differenza,
a qualunque titolo  richiesto,  si  estingue  con  la  rimozione  dei
vincoli secondo le modalita' di cui ai  commi  49-bis  e  49-ter.  La
rimozione  del  vincolo  del  prezzo  massimo  di  cessione  comporta
altresi' la rimozione di qualsiasi vincolo di natura soggettiva». 
    Queste  ultime   norme,   poi,   come   visto,   secondo   quanto
esplicitamente prescritto nelle qui scrutinata novella normativa,  si
applicano, retroattivamente, «... anche  agli  immobili  oggetto  dei
contratti stipulati prima della data di entrata in vigore della Iegge
di conversione del presente decreto» e, quindi,  anche  al  contratto
oggetto del presente arbitrato. 
    Pertanto,  pur  considerando  che  il  diritto  alla  ripetizione
dell'indebito,   da   parte   dell'acquirente,   si    estinguerebbe,
definitivamente,  solo  al  momento  della   stipulazione   dell'atto
pubblico o scrittura privata autenticata con cui  verrebbe  stipulata
la nuova convenzione (tra il comune e «chiunque via abbia interesse»,
ndr.), nel nostro caso,  il  primo  paragrafo  del  comma  49-quater,
applicato retroattivamente, impedisce all'arbitro di  poter  decidere
sulla domanda di ripetizione dell'indebito proposta dal  sig.  Andrea
Lauretti, in quanto, come visto, quest'ultima norma dispone  che  «In
pendenza della rimozione dei vincoli di cui ai commi 49-bis e 49-ter,
il contratto  di  trasferimento  dell'immobile  non  produce  effetti
limitatamente alla differenza tra il prezzo  convenuto  e  il  prezzo
vincolato; proprio sulla base di tale  disposto  normativo,  il  sig.
Cristiano Villani, avendo, prima di avviare il presente  procedimento
di arbitrato, depositato, presso il comune di Roma Capitale, apposita
istanza per  la  rimozione  del  ridetto  vincolo  convenzionale,  ha
domandato all'arbitro di dichiarare improcedibile o improseguibile la
causa, in linea con copiosa, recente giurisprudenza del Tribunale  di
Roma sulla materia (All.: ordinanze del 1 giugno 2020-RG  63236/2018;
8 ottobre 2020-  RG29212/2018;  4  novembre  2019-RG  36079/2018;  12
febbraio 2020-RG  72548/2018;  19  febbraio  2020-RG  80307/2018;  19
aprile 2019 RG 64651/2018; 26 giugno 2019-RG 74763/2018;  5  novembre
2019-RG  31420/2018;  17  giugno  2019-Santonico/Balbis+1;  29  marzo
2019-RG 47641/2018; Sentenze n. 1948/2019; 2738/2020;  4816/2020)  o,
comunque,   inammissibile   la   ridetta   domanda   di   ripetizione
dell'indebito. 
Circa  l'impossibilita'  di   un'interpretazione   costituzionalmente
orientata: 
    La posizione del creditore (acquirente) in relazione  all'istanza
di «affrancazione» proposta dal sig.  Villani,  idealmente,  viene  a
scindersi in tre diversi momenti: 
        1) situazione antecedente il deposito deiristanza, durante il
quale  gli   viene   riconosciuto   il   diritto   alla   ripetizione
dell'indebito: 
        2)  situazione  nascente  dal   deposito   dell'istanza   che
determinerebbe 1'improcedibilita' o  l'improseguibilita'  (in  quanta
sopraggiunta in corso di causa) della sua domanda di  ripetizione  di
indebito (Vd. giurisprudenza sopra citata); 
        3)  situazione  nascente  dalla  stipulazione  (da  parte  di
chiunque vi abbia interesse, ndr.) della convenzione integrativa, per
atto pubblico o della scrittura privata autenticata, da trascriversi,
(di cui al piu' volte citato comma 49-bis)  che,  in  base  a  quanto
disposto dal secondo paragrafo del comma 49-quater, determinerebbe la
definitiva estinzione  del  diritto  alla  ripetizione  dell'indebito
vantato dall'acquirente. 
    In sintesi, nel caso che ci  occupa,  secondo  il  sopra  esposto
dettato  normativa  scrutinato  di  legittimita'  costituzionale,  la
domanda del sig.  Lauretti  (solvens)  di  ripetizione  dell'indebito
dovrebbe   immediatamente   essere   dichiarata    improcedibile    o
«improseguibile». 
    Codesto arbitro intende discostarsi  da  quest'ultima  soluzione,
per i seguenti motivi. 
    Sulla non manifesta infondatezza della questione di  legittimita'
costituzionale 
    L'arbitro ritiene che  fondati  siano  i  dubbi  di  legittimita'
costituzionale sulla normativa che, sulla base delle prescrizioni  di
cui all'art. 31 della legge 448/1998, commi 49-bis, ter e quater, gli
impedisce di poter decidere sulla' domanda di ripetizione  d'indebito
avanzata dal sig.  Andrea  Lauretti,  procedendo  ad  esplicitame  le
ragioni. 
    Si ritiene, in particolare, che il combinato disposto dei cornuti
49-bis, ter e quater dell'art. 31 della legge 448/1998, invocato  dal
Villani, non sembra  permettere  l'emissione  di  un  lodo  arbitrale
costituzionalmente orientato, per violazione degli  articoli  3,  10,
24, 42, 47, 77, 101, 102, 104, 111, 117 della  Costituzione,  nonche'
dell'art. 6 della convenzione europea per la Salvaguardia dei diritti
dell'uomo e delle Liberta' fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre
1950, per i motivi che di seguito, analiticamente si espongono. 
    1. - Violazione  dell'art.  77  comma  2  della  Costituzione  in
quanto, l'art. 25-undecies della legge 136/2018, e' norma  eterogenea
ed estranea rispetto alla  materia  ed  alle  finalita'  dalle  altre
disposizioni del decreto-legge n. 119/2018, in cui e' stata  inserita
in sede di conversione. 
    Appare all'arbitro, violato, in primis„ l'art. 77 comma  2  della
Costituzione, in quanto l'art. 25-undecies, aggiunta al decreto-legge
n. 119 dei 2018, poi convertito con la legge 136/2018, e'  eterogenea
ed estranea rispetto alla  materia  ed  alle  finalita'  delle  altre
disposizioni del medesimo decreto, in cui e' stata inserita  in  sede
di conversione. 
    Quanto ai contenuti basta esaminare i titoli di cui si  componeva
il testo del decreto presentato per la conversione al Senato. 
    Quanto alle finalita', si rileva che le ragioni di  straordinaria
necessita' ed  urgenza  sono  state  ricondotte  alla  previsione  di
«misure per esigenze fiscali e finanziarie  indifferibili»;  sicche',
arduo affermare che  la  normativa  censurata  risponda  ad  esigenze
«fiscali» o «finanziarie», per di piu' indifferibili. 
    Al riguardo si  evidenzia  che  l'art.  25-undecies  della  legge
136/2018 ha novellato l'art. 31 della legge 448/1998 (disposizioni in
materia di determinazione del prezzo massimo di cessione), introdotto
dall'art. 5, comma 3-bis, del decreto-legge 13 maggio  2011,  n.  70,
inserito dalla legge di conversione 12 luglio 2011, n.  106,  che  ha
inserito i commi 49-bis e 49-ter, al dichiarato fine di «agevolare il
trasferimento  dei  diritti  immobiliari»  nell'ambito  dell'edilizia
convenzionata. 
    La  norma  in  esame,  di  cui   si   sospetta   l'illegittimita'
costituzionale, inserita in sede di conversione, si presenta pertanto
del  tutto  estranea  rispetto  alla   materia   disciplinata   dalle
disposizioni originarie del decreto stesso. 
    Sull'argomento, la Corte costituzionale con sentenza n. 247/2019,
chiamata ad esprimersi sulla legittimita' dell'art. 25-septies  della
stessa legge 136/2018,  ha  ricordato  che  «l'inserimento  di  norme
eterogenee rispetto all'oggetto o alla  finalita'  del  decreto-legge
determina  la  violazione  dell'art.   77,   secondo   comma,   della
Costituzione. Tale violazione, per queste ultime  norme,  non  deriva
dalla mancanza dei presupposti  di  necessita'  e  urgenza,  giacche'
esse, proprio per essere estranee  e  inserite  successivamente,  non
possono collegarsi a tali condizioni preliminari (sentenza n. 355 del
2010), ma scaturisce dall'uso improprio, da parte del Parlamento,  di
un potere che la  Costituzione  attribuisce  ad  esso,  con  speciali
modalita' di procedura, allo scopo tipico di convertire,  o  non,  in
legge un decreto-legge» (sentenza n. 22 del 2012). 
    Ricorda ancora la Consulta che «La legge di conversione e'  fonte
funzionalizzata alla stabilizzazione di un provvedimento avente forza
di legge ed e' caratterizzata  da  un  procedimento  di  approvazione
peculiare e semplificato rispetto a quello ordinario. Essa  non  puo'
quindi aprirsi a qualsiasi contenuto, come del  resto  prescrive,  in
particolare, l'art. 96-bis del regolamento della Camera dei deputati.
A  pena  di  essere  utilizzate  per  scopi  estranei  a  quelli  che
giustificano l'atto con forza di legge, le disposizioni introdotte in
sede di  conversione  devono  potersi  collegare  al  contenuto  gia'
disciplinato dal decreto-legge,  ovvero,  in  caso  di  provvedimenti
governativi  a  contenuto  plurimo,   «alla   ratio   dominante   del
provvedimento originario considerato nel suo complesso» (sentenza  n.
32 del 2014)». 
    «E' vero» - ribadisce la Corte - che  «la  legge  di  conversione
[...] rappresenta una legge «funzionalizzata e specializzata» che non
puo' aprirsi a qualsiasi  contenuto  ulteriore,  anche  nel  caso  di
provvedimenti governativi ab origine eterogenei (ordinanza n. 34  del
2013), ma ammette soltanto disposizioni che siano coerenti con quelle
originarie o dal punto di vista oggettivo e materiale, o dal punto di
vista funzionale e finalistica» (sentenza n. 32 del 2014).». 
    La Corte ha precisato che la  violazione  dell'art.  77,  secondo
comma, della Costituzione per difetto  di  omogeneita'  si  determina
quando  le  disposizioni  aggiunte  siano  totalmente  «estranee»   o
addirittura «intruse», cioe' tali da interrompere  ogni  correlazione
tra il decreto-legge e la legge di conversione (sentenza n.  251  del
2014), per cui «Solo la  palese  estraneita'  delle  norme  impugnate
rispetto all'oggetto e alle finalita' del decreto-legge» (sentenza n.
22 del 2012) o la «evidente o manifesta mancanza  di  ogni  nesso  di
interrelazione  tra  le  disposizioni  incorporate  nella  legge   di
conversione e quelle dell'originario decreto-legge» (sentenza n.  154
del 2015) possono inficiare di per se' la legittimita' costituzionale
della norma introdotta con la legge di conversione» (sentenza n.  181
del 2019, nonche', da ultimo, nello stesso senso, sentenza n. 226 del
2019). 
    Alla stregua dei  principi  richiamati  dalla  Consulta,  appare,
nella specie,  che  tra  le  norme  che  hanno  formato  oggetto  del
decreto-legge n. 119  del  2018  e  l'art.  25-undecies  della  legge
136/2018, inserito ad opera  della  legge  di  conversione,  non  sia
intravedibile alcun tipo di nesso che le correli fra  loro,  ne'  sul
versante dell'oggetto della disciplina o della ratio complessiva  del
provvedimento di urgenza, ne' sotto l'aspetto dello sviluppo logico o
di  integrazione,  ovvero  di  coordinamento  rispetto  alle  materie
«occupate» dall'atto di decretazione. 
    L'originario decreto,  infatti,  enunciava  i  presupposti  della
straordinaria necessita' e urgenza  come  raccordati  a  «misure  per
esigenze fiscali e finanziarie indifferibili». Il  provvedimento,  in
particolare,  era  strutturato  in  due  titoli:  il  primo,  recante
«Disposizioni  in  materia  fiscale»,  ed  il  secondo  «Disposizioni
finanziarie urgenti». Il primo titolo era a sua  volta  suddiviso  in
tre capi: il primo recante «Disposizioni in materia di  pacificazione
fiscale», composto da nove articoli; il capo II recante «Disposizioni
in materia di semplificazione fiscale e di innovazione  del  processo
tributario», composto di sette articoli; il capo III  recante  «Altre
disposizioni fiscali», composto da quattro articoli. Il Titolo II era
composto da sette articoli. 
    L'arbitro ritiene sia da  escludere  qualsiasi  pertinenza  delle
disposizioni di carattere fiscale contenute nel titolo I del  decreto
e, comunque tipiche di una legge finanziaria, rispetto al tema  della
determinazione del prezzo massimo di cessione di alloggi di  edilizia
economica e popolare o dell'agevolazione delle  vendite  immobiliari,
sostanziandosi, questi ultimi in temi di natura urbanistica. 
    In conclusione, non sembra dubbio in verita'  che,  nel  caso  di
specie, si possa  ravvisare  un  contenuto  della  legge  di  cui  si
sospetta l'illegittimita' costituzionale, del tutto in contraddizione
con il disposto dell'art. 77 della Costituzione. 
    2. - Violazione della tutela del legittimo  affidamento  e  della
certezza dei rapporti preteriti. 
    2.1. - La norma censurata, incidendo retroattivamente su  diritti
gia' maturati (in base all'ordinamento  preesistente),  interferisce,
determinando un vantaggio  per  una  delle  parti  del  giudizio,  su
singole  cause  o  su  determinate  tipologie  di  controversie  gia'
pendenti, in assenza  di  ragioni  imperative  d'interesse  generale,
cosi' concretandosi un'indebita ingerenza nell'amministrazione  della
giustizia da  parte  del  legislatore,  in  presenza  di  un  corposo
contenzioso  e  di  un  orientamento  della   Corte   di   cassazione
sfavorevole a una parte, peraltro, ribadisce, assegnando  alla  norma
una portata vantaggiosa per una parte del  processo,  in  assenza  di
«motivi imperativi  di  interesse  generale»,  come  enucleati  dalla
giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo. 
    Al  riguardo,  come  anticipato,  si   e'   espressa   la   Corte
costituzionale che, nella sentenza n. 12  del  30  gennaio  2018,  ha
stabilito che e' vietato qualunque intervento legislativo  diretto  a
determinare  l'esito  di  una  controversia.  Piu'  precisamente,  in
quest'ultima sentenza si stabilisce che, in ossequio all'art. 6 della
convenzione  per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e  delle
liberta' fondamentali (CEDU), firmata a  Roma  il  4  novembre  1950,
ratificata e resa esecutiva con legge  4  agosto  1955,  n.  848,  il
potere    legislativo    non    puo'    interferire    in    funzioni
costituzionalmente  riservate  al  potere  giudiziario  e  vieta   al
legislatore di ingerirsi nell'amministrazione della giustizia al fine
precipuo di influenzare l'esito di una particolare controversia. 
    Sembra, inoltre, concretizzarsi, nella fattispecie, in esame,  la
violazione  del  principio  della  «parita'  delle  armi»   stabilito
nell'art. 6 del CEDU laddove si concede uno strumento,  al  venditore
(accipiens), atto a sottrarsi in qualsiasi momento  alla  pretesa  di
ripetizione dell'indebito dell'acquirente (solvens), che  pur  avendo
un diritto, si trova nell'impossibilita' di dare seguito alle proprie
legittime pretese restitutorie. 
    La Corte di Strasburgo ha giudicato piu' volte  illegittimo  tale
intervento. 
    Nel caso Vezon c. Francia, per esempio,  il  ricorso  aveva  alla
base l'asserita violazione dell'art. 6 della convenzione  in  ragione
di un intervento legislativo retroattivo in materia  finanziaria.  In
particolare, l'oggetto della questione  riguardava  le  modalita'  di
restituzione di un prestito che i ricorrenti avevano ricevuto  da  un
istituto  di  credito.  L'intervento  legislativo  retroattivo  aveva
modificato i termini dell'offerta di prestito imponendo ai ricorrenti
la restituzione di quanto  ricevuto  dalla  banca,  pagamento  che  i
ricorrenti non erano in grado di sostenere. 
    La Corte di Strasburgo ha giudicato illegittimo  tale  intervento
affermando che «non si puo' parlare di parita'  delle  armi  tra  due
soggetti privati, avendo lo  Stato  dato  ragione  ad  uno  di  loro,
adottando la legge impugnata». 
    Tale tesi, che fa riferimento  al  ruolo  del  legislatore  quale
garante del principio di legalita' e di  organo  posto  in  posizione
terza rispetto ai privati, e'  stata  ribadita  nel  successivo  caso
Ducret c. Francia, che riguardava un prestito che il ricorrente aveva
richiesto a una societa' al fine di poter acquistare un immobile.  La
societa' gli aveva sottoposto un'offerta preliminare di prestito  che
egli aveva accettato e, in ragione della quale, era  stato  stipulato
il contratto stimando il rimborso in centottanta rate. A  seguito  di
alcune difficolta' finanziarie, il ricorrente non fu piu' in grado di
adempiere al pagamento concordato per il rimborso  del  prestito.  Il
ricorrente aveva citato la societa' in giudizio  sostenendo  che  non
aveva tenuto fede al piano di restituzione del prestito che gli aveva
presentato nell'offerta preliminare. Mentre il ricorso era  (Sentenza
Corte EDU, Vezon c. Francia, ric. n. 66018/01 del 18 aprile  2006,  §
34)  sottoposto  all'attenzione  della  Corte   di   cassazione,   il
legislatore aveva  emanato  una  legge  in  materia  finanziaria  con
portata retroattiva  che  sostanzialmente  affermava  la  regolarita'
dell'offerta di prestito e il dovere del ricorrente di rimborsare  la
societa'. 
    L'effetto  retroattivo  della  norma  in  questione,  quindi,  si
rileverebbe quale elemento di violazione del parametro costituzionale
del legittimo affidamento, da ricondurre anch'esso  al  principio  di
ragionevolezza  ed  all'art.   3   della   Costituzione.   La   Corte
costituzionale   ha   infatti   affermato   che    l'irretroattivita'
costituisce un principio generale del  nostro  ordinamento  (art.  11
preleggi) e, se pur  non  elevato,  fuori  della  materia  penale,  a
dignita' costituzionale (art. 25, secondo comma, della Costituzione),
rappresenta pur sempre una regola essenziale del sistema a cui, salva
un'effettiva causa giustificatrice (che nella fattispecie manca),  il
legislatore deve ragionevolmente attenersi, in  quanto  «la  certezza
dei rapporti preteriti costituisce un indubbio cardine  della  civile
convivenza e della tranquillita' dei cittadini» (Corte costituzionale
n. 155/1990, n.. 424/1993 e nn. 93 e 41 del 2011). 
    Nel caso di specie, in caso  di  applicazione  retroattiva  della
norma in esame, proprio la tutela dell'affidamento e la certezza  dei
rapporti verrebbe meno, in  quanto  vi  sarebbero  dei  soggetti  che
potrebbero unilateralmente e  potestativamente  incidere  sul  regime
giuridico di un bene altrui con effetti retroattivi,  senza  che  sia
individuabile una ragionevole causa giustificatrice. 
    Ne' tale causa potrebbe essere individuata  nell'allarme  sociale
determinato  dalle  sentenza  di  condarma  che  avrebbero  messo  in
difficolta' economica una delle parti in  causa,  che  nemmeno  tanto
implicitamente  sembra  essere  l'argomento  alla  base   dell'ultimo
intervento  del  legislatore,  atteso   che   occorrerebbe   comunque
giustificare   la   circostanza   che   tale   «sanatoria»   verrebbe
inevitabilmente estesa anche a coloro che  hanno  illegittimamente  e
consapevolmente speculato sulla rivendita di beni immobili realizzati
beneficiando di contributi  a  fondo  perduto  ed  altre  provvidenze
pubbliche, delle quali la norma in esame non si  premura  nemmeno  di
prevedere la  restituzione,  cosi'  generandosi  anche  un  sicuro  e
gravissimo danno erariale. 
    D'altronde, le somme eventualmente dovute in caso di  soccombenza
non andrebbero di certo ad incidere  sul  patrimonio  del  venditore,
atteso che, come visto sopra, le somme eccedenti il prezzo massimo di
cessione non potrebbero essere considerate legittimamente entrate nel
patrimonio di quest'ultimo accipiens in  quanto  frutto  di  illecita
violazione di norme imperative. 
    L'applicazione retroattiva  della  novella  normativa  in  esame,
violerebbe, quindi, l'art. 3 della Costituzione e l'art.  117,  primo
comma, della Costituzione in relazione all'art. 6 della CEDU. 
    Si ribadisce, infatti, che in forza dei principi stabiliti  dalla
Corte costituzionale (sentenza n. 78 del 2012 e n. 170 del 2013),  la
retroattivita' della legge, per essere  legittima,  deve  trovare  la
propria giustificazione in difficolta' interpretative del testo o  in
motivi di interesse generale preminente: cio' anche  in  applicazione
del piu' volte richiamato art. 6 della CEDU, come interpretata  dalla
Corte europea dei diritti dell'uomo. 
    Nel caso di specie, invece, lo si  ribadisce,  la  retroattivita'
sarebbe giustificata esclusivamente dall'interesse economico  di  uno
dei contraenti che avendo venduto ad un  prezzo  superiore  a  quello
consentito l'immobile acquistato a prezzo calmierato  e  beneficiando
altresi' delle agevolazioni pubbliche, e' obbligato a  restituire  al
suo avente causa,  ex  art.  2033  codice  di  procedura  civile,  la
differenza tra il prezzo convenuto e il prezzo vincolato. 
    Non  sussistono,  quindi,  i   presupposti   per   ritenere   non
illegittima l'applicazione retroattiva della disposizione in esame. 
    2.2. - Tali  essendo  gli  effetti  della  disciplina  impugnata,
occorre esaminare la questione di legittimita'  costituzionale  anche
alla  luce  della  giurisprudenza  costituzionale  e   sovranazionale
sviluppatasi in materia  di  leggi  retroattive,  rispettivamente  in
riferimento all'art. 3 della Costituzione e all'art.  6  della  CEDU,
come richiarnato dall'art. 117, primo comma, della Costituzione. 
    I profili di illegittimita' costituzionale  qui  eccepiti  devono
essere esaminati  congiuntamente,  in  modo  che  l'art.  CEDU,  come
applicato dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo,  sia  letto
in rapporto alle altre disposizioni costituzionali e,  nella  specie,
all'art. 3 della Costituzione, secondo gli orientamenti seguiti dalla
giurisprudenza costituzionale in tema di efficacia delle norme  della
CEDU, sin dalle sentenze n. 348 e n. 349 del 2007. 
    La Corte costituzionale ha afferrnato che  «la  norma  CEDU,  nel
momento in cui va ad integrare il primo  comma  dell'art.  117  della
Costituzione,   come   norma   interposta,   diviene    oggetto    di
bilanciamento, secondo  le  ordinarie  operazioni  cui  questa  Corte
chiamata in tutti i giudizi di sua competenza», affinche' si realizzi
la necessaria «integrazione delle tutele» (sentenza n. 264 del 2012),
che spetta  alla  Corte  assicurare  nello  svolgimento  del  proprio
infungibile ruolo. 
    Pertanto, quando, come nel caso di specie, vengono in rilievo, ai
sensi dell'art. 117, primo  comma  della  Costitnzione,  norme  della
CEDU, la valutazione  di  legittimita'  costituzionale  «deve  essere
operata  con  riferimento  al  sistema  e  non   a   singole   norme,
isolatamente considerate» e tale e' l'operazione  interpretativa  che
codesto giudice e' chiamato ad effettuare  nel  caso  di  specie,  in
quanto «un'interpretazione frammentaria delle disposizioni  normative
[...] rischia di condurre, in molti casi, ad esiti  paradossali,  che
finirebbero per contraddire  le  stesse  loro  finalita'  di  tutela»
(Corte costituzionale. sentenza n. l del 2013). 
    Altrimenti detto, la Corte opera una valutazione «sistemica e non
frazionata» dei diritti coinvolti  dalla  norma  di  volta  in  volta
scrutinata,  effettuando  il  necessario  bilanciamento  in  modo  da
assicurare la «massima espansione delle garanzie» di tutti i  diritti
e   i   principi   rilevanti,   costituzionali   e    sovranazionali,
complessivamente considerati, che sempre si trovano  in  rapporto  di
integrazione reciproca (sentenze n. 85 del 2013 e n. 264 del 2012). 
    Conseguentemente, il giudice delle leggi ha individuato una serie
di limiti generali all'efficacia retroattiva  delle  leggi  attinenti
alla salvaguardia di principi costituzionali e  di  altri  valori  di
civilta' giuridica, tra i quali  sono  ricompresi  «il  rispetto  del
principio generale di ragionevolezza, che si riflette nel divieto  di
introdurre  ingiustificate  disparita'  di  trattamento;  la   tutela
dell'affidamento legittimamente sorto nei  soggetti  quale  principio
connaturato  allo  Stato  di  diritto;  la  coerenza  e  la  certezza
dell'ordinamento    giuridico;    il    rispetto    delle    funzioni
costituzionalmente riservate al potere giudiziario» ex multis,  Corte
costituzionale, sentenze n. 78 del 2012 e n. 209 del 2010). 
    In particolare, in situazioni paragonabili al caso in  esame,  la
Corte ha gia' avuto modo di precisare che la  norma  retroattiva  non
puo' tradire l'affidamento del privato (come  invece  avverrebbe  nel
caso di  specie,  in  danno  degli  odierni  appellanti),  specie  se
maturato   con   il   consolidamento   di   situazioni   sostanziali,
addirittura, pur se la disposizione  retroattiva  sia  dettata  dalla
necessita' di  contenere  la  spesa  pubblica  o  di  far  fronte  ad
evenienze eccezionali ex plurimis, sentenze n. 24 del  2009,  n.  374
del 2002 e n. 419 del 2000). 
    La Corte di Strasburgo,  poi,  ha  ripetutamente  affermato,  con
specifico riguardo a leggi retroattive  del  nostro  ordinamento,  il
principio della preminenza del diritto e la nozione di processo  equo
sanciti dall'art. 6 della CEDU, i quali ostano, salvo che per  motivi
imperativi  di   interesse   generale,   all'ingerenza   del   potere
legislativo  nell'amministrazione  della   giustizia   al   fine   di
influenzare l'esito giudiziario di una controversia (V.  pronunce  11
dicembre 2012, De Rosa contro Italia; 14 febbraio 2012, Arras  contro
Italia; 7 giugno 2011, Agrati contro Italia; 31 maggio  2011,  Maggio
contro Italia; 10 giugno 2008, Bortesi contro Italia; Grande  Camera,
29 marzo 2006, Scordinocontro Italia).  La  Corte  di  Strasburgo  ha
altresi' rimarcato che le circostanze addotte per giustificare misure
retroattive devono essere intese in senso restrittivo  (pronuncia  14
febbraio  2012,  Arras  contro  Italia)  e  che  il  solo   interesse
finanziario dello Stato non  consente  di  giustificare  l'intervento
retroattiva (pronunce 25 novembre 2010, Lilly France contro  Francia;
21 giugno 2007,  Scanner  de  l'Ouest  Lyonnais  contro  Francia;  16
gennaio 2007, Chiesi S.A. contro Francia;  9  gennaio  2007,  Arnolin
contro Francia; 11 aprile 2006, Cabourdin contro Francia). 
    Viceversa, lo stato del giudizio e  il  grado  di  consolidamento
dell'accertamento,  l'imprevedibilita'  dell'intervento  legislativo,
sono tutti elementi considerati dalla Corte europea per verificare se
una legge retroattiva determini  una  violazione  dell'art.  6  della
CEDU:  sentenze  27  maggio  2004,  Ogis  Institut  Stanislas  contro
Francia; 26 ottobre 1997,  Papageorgiou  contro  Grecia;  23  ottobre
1997, National & Provincia] Building Society contro Regno  Unito.  Le
sentenze da ultimo  citate,  pur  non  essendo  direttamente  rivolte
all'Italia, contengono affermazioni generali,  che  la  stessa  Corte
europea ritiene applicabili oltre il  caso  specifico  e  che  questa
Corte considera vincolanti anche per l'ordinamento italiano. 
    Sotto altro profilo, si rimarca che  in  ragione  delle  pronunce
giurisdizionali rese  dalla  Suprema  Corte  (Cass.  Civ.,  sez.  II,
21/12/1994, n. 11032; Cass. Civ.,  sez.  II,  02/10/2000,  n.  13006;
Cass. Civ., sez. II, 10/02/2010,  n.  3018;  Cass.  Civ.,  Sez.  Un.,
12/01/2011, n. 506; Cass. Civ., Sez. Un., 16/09/2015, n. 18135; Cass.
Civ., sez. II, 03/01/2017, n. 21; Cass. Civ., sez. II, 04/12/2017, n.
28949, Cass. Civ., sez. Il, 28/05/2018, n. 13345)  gli  aventi  causa
hanno  legittimamente  incardinato  il  giudizio  per   ottenere   la
ripetizione di quanto corrisposto indebitamente.  Domande  giudiziali
avviate in ragione della  solidita'  giuridica  delle  argomentazioni
sviluppate dal massimo organo giurisdizionale che, per ben due  volte
anche a sezioni unite,  ha  confermato  la  nullita'  della  clausola
contrattuale  determinativa  del  prezzo  in  violazione  del  prezzo
imposto dalla legge. 
    Deve riconoscersi quindi, anche nel caso di diritti  sorgenti  da
pronunce  giurisdizionali  univoche,  l'intangibilita'  dei   diritti
quesiti qual e', appunto, il diritto alla  restituzione  della  parte
del prezzo pagata in eccesso. 
    In sintesi, in base ai principi giurisprudenziali sopra  esposti,
sviluppati tanto dalla Corte costituzionale quanto dalla Cassazione e
dalla   Corte   europea,   la   norma    qui    scrutinata,    appare
costituzionalmente  illegittima  laddove  si   attribuisca   doveroso
rilievo  alle   seguenti   circostanze:   il   consolidamento   delle
aspettative dei creditori,  incise  dalla  disposizione  retroattiva;
l'imprevedibilita'   dell'innovazione   legislativa;   l'assenza   di
adeguati motivi che giustifichino la retroattivita' della legge. 
    In ordine a quest'ultimo aspetto, e' opportuno  ribadire  che,  a
differenza di altre discipline  retroattive  scrutinate  dalla  Corte
costituzionale (sentenza n. 264 del 2012), la disposizione  censurata
non pare volta a perseguire interessi di  rango  costituzionale,  che
possano giustificarne la retroattivita'. 
    L'unico interesse appare, lo si  ripete,  quello  economico,  del
venditore, odierno  appellato,  a  trattenere  per  se'  delle  somme
illecitamente percepite. 
    Tuttavia, un simile interesse sembra inidoneo, di  per  se',  nel
caso di specie, a legittimare un intervento normativo come quello  in
esame, che finisce per determinare una disparita' di  trattamento,  a
scapito degli acquirenti che vedrebbero  ingiustamente  frustrate  le
loro legittime aspettative di  ripetizione  di  quanto  indebitamente
corrisposto,  al  momento  della  stipulazione   del   contratto   di
trasferimento che ci occupa, e questo non puo' essere dato. 
    In  conclusione,  lo  si  ribadisce,  in  caso  di   applicazione
retroattiva  della  novella  legislativa   in   parola,   la   stessa
paleserebbe la sua illegittimita', sia per violazione dei principi di
uguaglianza e di ragionevolezza di cui all'art. 3 della Costituzione,
sia per violazione dell'art. 117, primo comma, della Costituzione, in
relazione dell'art. 6 della CEDU, in considerazione  del  pregiudizio
che essa arrecherebbe alla tutela dell'affidamento legittimo e  della
certezza delle situazioni giuridiche, in assenza di motivi imperativi
di interesse generale costituzionalmente rilevanti. 
    3. Contrasto con l'art. 3 della Costituzione. 
    3.1. - Il disposto di  cui  all'art.  31,  commi  49-bis,  ter  e
quater, si mostra in  contrasto  con  l'invocato  parametro  per  una
pluralita' di profili. 
    Risulterebbe, in primis, violato l'art. 3 della Costituzione, dal
qualedesumibile, altresi' il parametro di uguaglianza. 
    E' evidente che la norma qui  scrutinata,  di  costituzionalita',
intervenendo dopo otto anni dalla norma di riferimento (decreto legge
n.  70/2011  (decreto  sviluppo),  convertito  con  legge  106/2011),
modifica i parametri di riferimento di una  pretesa  giuridica,  come
compiutamente definita dalla legge e come emerge con chiarezza  anche
dalle pronunce della Corte di cassazione in materia. 
    Si creerebbe, cosi, una situazione di disparita' fra soggetti che
potrebbero legittimamente invocare l'applicazione dell'art. 2033  del
codice di procedura civile. 
    Tale disparita' non trova alcuna ragione giustificatrice. 
    Al contrario, la ratio della legge 106 del 2011  era  sicuramente
individuabile nella possibilita' offerta a chi  era  titolare  di  un
diritto  di  proprieta'   di   un   bene   realizzato   in   edilizia
convenzionate,  di  rimuovere  i   vincoli   convenzionali   gravanti
sull'immobile per agevolarne la successiva  rivendita  a  prezzi  non
calmierati. La facolta', concessa ai proprietari,  rispondeva  quindi
ad una logica di apparente  coerenza  con  il  sistema  giuridico  di
circolazione dei  beni  immobili  e  di  rispetto  del  principio  di
successione  delle  leggi  nel  tempo  rispettoso   dell'orientamento
costante della Corte costituzionale, secondo il quale «non  contrasta
di  per  se'  con  il  principio  di  eguaglianza  un   differenziato
trattamento applicato  alla  stessa  categoria  di  soggetti,  ma  in
momenti diversi nel  tempo,  poiche'  proprio  il  fluire  del  tempo
costituisce un elemento diversificatore delle situazitni  giuridiche»
(ordinanze n. 216 del 2005 e n. 121 del 2003). «Spetta  difatti  alla
discrezionalita'  del  legislatore,  nel  rispetto  del   canone   di
ragionevolezza, delimitare la sfera temporale di  applicazione  delle
norme  e,  da  questa  angolazione,  il   fluire   del   tempo   puo'
rappresentare un apprezzabile criterio  distintivo  nella  disciplina
delle situazioni giuridiche (sentenze n. 273 del 2011, punto 4.2. del
Considerato in diritto, e n. 94 del 2009, punto 7.2. del  Considerato
in diritto)». 
    Secondo la Corte costituzionale non  era  pertanto  irragionevole
che la facolta' di procedere alla liberazione dal vincolo del  prezzo
potesse essere riconosciuta solo  a  coloro  che  risultavano  essere
proprietari degli immobili dopo l'entrata in vigore della legge. 
    Giova rilevare, peraltro, che persino  quando  la  giurisprudenza
costituzionale riconosce la  possibilita'  di  modificare  situazioni
giuridiche consolidate, purche' in modo non irrazionale o arbitrario,
e' sempre stato in ragione di un interesse collettivo superiore o per
ragioni di interesse generale (ragioni di bilancio dello Stato),  mai
per favorire una parte privata o  per  influire  su  un  giudizio  in
corso. 
    Nel caso de quo, invece, come  emerge  gia'  dalla  relazione  di
accompagnamento e dall'intervento del  relatore  proponente  on.  Ugo
Grassi,   la   finalita'    della    novella    normativa    sarebbe,
dichiaratamente,    quella    di    contrastare     l'interpretazione
giurisprudenziale consolidata per agevolare una delle parti in causa,
senza che  ricorressero  evidenti  e  comprovate  ragioni  di  ordine
superiore. Il relatore ha affermato, in  particolare:  «Come  sapete,
stiamo per approvare un emendamento il cui fine e' porre rimedio a un
problema gravissimo che e' stato determinato all'esito della sentenza
della Corte di cassazione n. 18135 del 2015. In estrema  sintesi,  la
sentenza ha stabilito che la vendita di  taluni  beni  in  regime  di
edilizia convenzionata, in violazione dei limiti di prezzo, determina
la nullita' parziale del contratto per la quota  esuberante  rispetto
al prezzo cosiddetto calmierato. Segnalo che la Corte  di  cassazione
ha ritenuto di concludere tout court per la nullita', senza  svolgere
un'indagine sull'interesse protetto dalla norma. 
    E' noto che la nullita' assoluta del nostro ordinamento entra  in
gioco nel caso in cui l'interesse  protetto  sia  sovraindividuale  e
indisponibile.  Che  l'interesse  in  questione  sia  disponibile  e'
confermato dal  fatto  che  la  norma  gia'  in  vigore  consente  di
eliminare tali vincoli tramite l'affrancazione, quindi  trattasi  non
di un interesse indisponibile, ma  di  un  interesse  assegnato  alla
disponibilita' dei privati, ancorche' di rango pubblicistico. Dunque,
la sanzione della nullita' appare ultronea rispetto alla ratio  della
norma. 
    Sul   punto   dunque   interviene   quella   che   si   definisce
un'interpretazione autentica del legislatore. Ricordiamo che la norma
originale non indica espressamente la nullita', che e' frutto  di  un
combinato disposto. Qui l'interpretazione autentica  del  legislatore
indica nella parziale inefficacia del contratto,  limitatamente  alla
quota esuberante di prezzo, la  conseguenza  della  violazione  della
norma stessa, con delle conseguenze importanti  dal  punto  di  vista
sistematico,  giacche'  evidentemente  la  patologia  dell'atto  puo'
essere sanata dal venditore  nel  caso  in  cui  questi  provveda  ad
attivare il procedimento, ancorche' ex post, per  l'eliminazione  dei
vincoli.» (cfr. resoconto stenografico del Senato, pag. 91,  allegato
...). E la medesima inammissibile giustificazione  si  riscontra  nel
dossier della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica del 3
dicembre 2018, «Disposizioni urgenti in materia fiscale e finanziaria
(decreto legge 119/2018 - A.C. n. 1408)»  (pag.  194-  195;  allegato
...): «La ratio della disposizione in commento sembra, dunque, essere
quella di estendere le fattispecie di applicazione della procedura di
rimozione del vincolo del prezzo massimo di cessione, consentendo che
di  tale  facolta'  possano  avvalersi,   oltre   che   gli   attuali
proprietari, anche i venditori non piu' titolari di diritti reali sul
bene  immobile  in  questione,  configurando  l'eventuale   pagamento
dell'onere dell'affrancazione da parte del venditore  non  piu'  come
oggetto di una transazione contrattuale  tra  le  parti  bensi'  come
l'esecuzione  di  un  adempimento  legale.   Per   i   contratti   di
compravendita stipulati prima dell'entrata in vigore  della  presente
disposizione (alla sanatoria  dei  cui  effetti  la  disposizione  in
commento appare preordinata), il  richiamato  adempimento  (cioe'  il
versamento del corrispettivo per l'affrancazione) per i venditori non
e', peraltro, configurato dalla disposizione in esame in  termini  di
obbligo, bensi' quale facolta' di richiesta, con la conseguenza  che,
ove il venditore non piu' titolare di diritti reali sul bene immobile
non  dovesse  spontaneamente  provvedere  ad  avanzare  richiesta  di
rimozione del vincolo relativo all'immobile da lui gia'  alienato,  a
tale adempimento, e al connesso onere di  versamento  al  comune  del
corrispettivo  dell'affrancazione,  dovrebbe  provvedere   la   parte
acquirente convenzionata.» 
    Appare evidente che non si puo' rinvenire altra ratio ispiratrice
della novella normativa in questione, diversa da quella espressamente
indicata   nei   lavori   preparatori   della   disciplina    oggetto
d'impugnazione: l'intento d'intervenire sul contenzioso  pendente  al
solo fine di orientare in un determinato senso l'esito dei giudizi. 
    In  merito  alla  legge  d'interpretazione   autentica,   codesta
Eccellentissima  Corte  ha  chiarito  che   essa   non   puo'   dirsi
costituzionalmente  illegittima  soltanto  qualora   si   limiti   ad
assegnare alla disposizione interpretata un significato gia' in  essa
contenuto, riconoscibile come una delle possibili letture  del  testo
originario (tra le tante, cfr. sentenze n. 271 e n. 257 del 2011,  n.
209 del 2010 e n. 24 del  2009).  In  tal  caso,  infatti,  la  legge
interpretativa ha lo  scopo  di  chiarire  «situazioni  di  oggettiva
incertezza  del  dato  normativo»,  in  ragione  di   «un   dibattito
giurisprudenziale  irrisolto»  (sentenza  n.  311  del  2009),  o  di
«ristabilire  un'interpretazione  piu'   aderente   alla   originaria
volonta' dei legislatore» (ancora sentenza n. 311 del 2009), a tutela
della certezza del diritto e dell'eguaglianza dei cittadini, cioe' di
principi di  preminente  interesse  costituzionale.  Accanto  a  tale
caratteristica, si  e'  individuata  una  serie  di  limiti  generali
all'efficacia retroattiva delle leggi, attinenti  alla  salvaguardia,
oltre che dei principi costituzionali, di altri  fondamentali  valori
di civilta' giuridica, posti a tutela dei destinatari della  norma  e
dello stesso ordinamento, tra i quali vanno ricompresi'  il  rispetto
del principio generale di ragionevolezza, che si riflette nel divieto
di introdurre ingiustificate disparita'  di  trattamento;  la  tutela
dell'affidamento legittimamente sorto nei  soggetti  quale  principio
connaturato  allo  Stato  di  diritto;  la  coerenza  e  la  certezza
dell'ordinamento    giuridico;    il    rispetto    delle    funzioni
costituzionalmente riservate al potere giudiziario (sentenza  n.  209
del 2010). 
    In relazione ai criteri evocati dalla giurisprudenza  di  codesta
Eccellentissima  Corte,  appare   evidente   l'illegittimita'   della
normativa impugnata, che non esplicita affatto  un  significato  gia'
contenuto nella disciplina previgente e che integra  palesemente  gli
estremi di una lesione  delle  prerogative  del  potere  giudiziario,
mirando a intervenire sul contenzioso pendente, al fine di orientarne
gli esiti. 
    Risultano,  dunque,  violati,  anche  sotto  tali  profili,   gli
articoli 3, 24, 101, 111  e  102  della  Costituzione:  da  un  lato,
infatti, appare irrimediabilmente compromesso il fondamentale diritto
di difesa della parte  illegittimamente  penalizzata  dall'intervento
normativo (con lesione degli articoli 24 e 111  della  Costituzione);
dall'altro lato, si riscontra una violazione  delle  prerogative  del
potere giudiziario (cosi' come definite  dagli  articoli  101  e  102
della Costituzione), in relazione alle quali l'intervento legislativo
mascherato  da  disciplina  interpretativa  produce  un'intollerabile
lesione. 
    3.2. - Violazione dell'art. 3 della Costituzione nella  parte  in
cui il comma il 49-Quater dispone che «In  pendenza  della  rimozione
dei vincoli di  cui  ai  commi  49-bis  e  49-ter,  il  contratto  di
trasferimento dell'immobile non produce  effetti  limitatamente  alla
differenza tra il prezzo convenuto e il prezzo vincolato. L'eventuale
pretesa di rimborso della predetta  differenza,  a  qualunque  titolo
richiesto, si estingue  con  la  rimozione  dei  vincoli  secondo  le
modalita'  di  cui  ai  commi  49-bis  e  49-ter»,  cosi'  impedendo,
all'acquirente (solvens, nel caso di specie il sig.  Lauretti,  ndr.)
di poter azionare  la  propria  pretesa  restitutoria  per  le  somme
indebitamente pagate, al momento dell'acquisto del proprio  immobile,
al venditore (accipiens, nel caso di specie il sig.  Villani,  ndr.),
in quanto somme di denaro  eccedenti  il  prezzo  massimo  consentito
dalle convenzioni ex art.  35  della  legge  865/1971  e  questo  sol
perche' quest'ultimo venditore ha avviato, presso il comune  di  Roma
Capitale,  la  procedura  amministrativa  di  rimozione  del  ridetto
vincolo convenzionale. 
    A mente dell'art. 2033 del codice di procedura  civile,  l'azione
di  ripetizione  di  indebito  (tutela  restitutoria)  ha  come   suo
fondamento l'inesistenza della obbligazione adempiuta da una parte  o
perche' il vincolo obbligatorio non e' mai sorto o perche' e'  venuto
meno successivamente, ad esempio a seguito di annullamento. In  altre
parole, il cuore della tutela restitutoria sta nell'alterazione delle
situazioni di fatto e di diritto che si sono verificate  sine  causa,
in cui vi e' uno  spostamento  di  natura  patrimoniale  dalla  sfera
giuridica di un soggetto ad un altro che non  ha  giustificazione,  e
cio' a prescindere che vi sia stato un comportamento illecito. 
    Nella  fattispecie  giuridica  di  cui  trattasi,   l'azione   di
ripetizione di indebito ha come suo fondamento la  nullita'  parziale
della clausola del prezzo stabilito nei contratti di compravendita  e
sostituzione con quello determinato ex  lege  in  base  ai  parametri
previsti nella convenzione ex  art.  35  della  legge  865/1971.  Sul
punto, lo si' ribadisce, la Corte di cassazione, a sezioni unite,  ha
piu' volte statuito che ai sensi della legge 22 ottobre 1971, n. 865.
art. 35, che delega al consiglio comunale la fissazione  dei  criteri
per la determinazione dei prezzi di cessione degli alloggi in materia
di edilizia convenzionata, gli  atti  amministrativi  relativi,  cosi
come le convenzioni, in quanto promananti  in  forza  della  predetta
delega  legislativa,  traggono  da  quest'ultima,  direttamente,   il
carattere di imperativita'  e  pertanto  debbono  ritenersi  compresi
nella previsione dell'art. 1339 codice di procedura  civile;  cui  si
ricollega quella dell'art. 1419. comma 2, codice di procedura  civile
posto che la conseguenza tipica della  difformita'  di  una  clausola
negoziale da una norma imperativa a' la sanzione della nullita' della
clausola stessa; senza riflessi  invalidanti,  peraltro,  sull'intero
contratto in ipotesi di sostituzione di  diritto  (Cassazione  civile
SS.UU. nn. 18135/2015 e  506/2011;  Cassazione  civile,  sez.  2,  10
febbraio 2010 n. 3018; Cass., sez.2, 21 dicembre 1994 n. 11032; Cass.
n. 5369 del 12 aprile 2002). 
    La tutela  restitutoria  di  cui  all'art.  2033  del  codice  di
procedura  civile  ha  per  obiettivo  quella  di   ripristinare   la
situazione di fatto e di diritto in cui il patrimonio del soggetto si
trovava  prima  di  un  certo  avvenimento  e  si   differenzia   dal
risarcimento del  danno  perche'  quest'ultimo  tipo  di  tutela  non
consiste nel ripristinare  una  situazione  per  com'era,  ma  tenere
indenne il soggetto dal peso del danno  che  ha  subito.  Quindi  dal
punto  di  vista  strutturale,  ma  anche  funzionale,   sono   delle
situazioni completamente diverse  (Di  Majo,  La  tutela  civile  dei
diritti,  2003).  Tant'e'  che  la   Corte   di   cassazione,   nella
recentissima  sentenza  n.  28949/2017,  ha  statuito  che   non   e'
ravvisabile alcun abuso di  diritto  nel  fatto  che  gli  acquirenti
abbiano agito nei confronti del venditore per ripetere l'eccedenza di
prezzo e separatamente  pagato  il  corrispettivo  per  rimuovere  il
vincolo del prezzo massimo e rivendere l'immobile a prezzo di mercato
in quanto «tale condotta ha perseguito un risultato lecito attraverso
mezzi  legittimi,  e  non   ha   causato   nessuna   sproporzione   o
ingiustificato sacrificio alla controparte contrattuale». 
    Inoltre, la Cassazione, nella nota sentenza. n. 4323 de1 2017  ha
statuito che l'art. 2033 codice di procedura civile, prevede che «...
chi ha eseguito un pagamento non dovuto ha diritto di  ripetere  cio'
che ha pagato. Ha inoltre diritto ai  frutti  e  agli  interessi  dal
giorno del pagamento, se chi lo ha ricevuto era in mala fede, oppure,
se questi era in buona fede, dal giorno della domanda». 
    Infine, la Corte costituzionale, con la sentenza  del  24  maggio
1996, n. 166, ha evidenziato che «l'art.  2033  codice  di  procedura
civile per se' stesso non  e'  censurabile  in  riferimento  ad  akun
parametro  costituzionale,  essendo  improntato   al   principio   di
giustizia che vieta l'arricchimento senza causa a detrimento altrui». 
    In conclusione, la disciplina normativa in esame, impedendo  agli
acquirenti di alloggi di edilizia economica e popolare (solvens),  di
poter  ripetere  le   somme   indebitamente   pagate   ai   venditori
(accipiens), in  violazione  del  vincolo  convenzionale  del  prezzo
massimo di cessione, relativizza e pone  arbitrariamente  nel  nulla,
solo per i primi,  un  principio  che  ci  proviene  addirittura  dal
diritto romano,  posizionando,  irragionevolmente,  su  un  superiore
piano di legittimita' l'interesse (privato) dei venditori di  alloggi
edificati sui piani di zona a trattenere  delle  somme  illecitamente
percepite da tale vendita, rispetto al diritto dei loro acquirenti  a
poter agire, ai sensi dell'art. 2033 codice di procedura penale,  per
la ripetizione dell'indebito, cosi' apparendo evidente la  disparita'
di trattamento davanti alla legge, che non e' consentita dall'art.  3
della Costituzione Italiana, tra questi ultimi rispetto a  tutti  gli
altri creditori che, in tutti gli altri casi, sono invece legittimati
ad agire per la ripetizione dell'indebito. 
    4. - Sotto altro profilo, sembra palesarsi, poi, l'illegittimita'
costituzionale della norma in parola, per  irragionevolezza,  nonche'
per la violazione  del  legittimo  affidamento  e  del  principio  di
stabilita' e coerenza nella disciplina generale del contratto. 
    La  novella  legislativa,  infatti,  altera  i  rapporti  tra   i
contraenti, in alcuni casi'  gia'  accertati  con  provvedimento  del
giudice ormai consolidato dall'intervenuto  passaggio  in  giudicato,
favorendo  la  posizione  sostanziale  e  processuale  di   uno   dei
contendenti a detrimento delle concorrenti aspettative dell'altro. 
    Si  rileva  infatti  che,  a  seguito  delle   citate   modifiche
normative,  il  potere  di  rimuovere  i  vincoli   contenuti   nelle
convenzioni di cui all'art. 35 della legge 22 ottobre 1971, n. 865, e
successive modificazioni,  che  prima  era  riconosciuto  ai  singoli
proprietari  degli  alloggi,  costruiti   in   regime   di   edilizia
convenzionata, ora viene esteso «alle persone fisiche che vi  abbiano
interesse, anche se non piu'  titolari  di  diritti  reali  sul  bene
immobile». 
    Inoltre, come visto, con il comma  49-quater,  aggiunto  dopo  il
comma 49-ter,  e'  stato  introdotto  il  principio  secondo  cui  in
pendenza della rimozione dei vincoli, il contratto  di  trasferimento
dell'immobile non produce effetto limitatamente alla  differenza  tra
il prezzo convenuto e il prezzo vincolato e che  l'eventuale  pretesa
di rimborso  della  differenza  si  estingue  con  la  rimozione  dei
vincoli. 
    Infine, la  novella  normativa  qui  scrutinata  di  legittimita'
costituzionale, prevede che il diritto alla rimozione dei vincoli  si
applica anche agli immobili oggetto  dei  contratti  stipulati  prima
dell'entrata in vigore della stessa quindi, senza limiti temporali  e
con applicazione retroattiva. 
    In sintesi, con l'applicazione della novella normativa in parola,
verrebbe estesa la  possibilita'  di  operare,  unilateralmente,  una
modifica del regime giuridico di un bene immobile, anche a chi non ha
piu' alcun diritto reale sullo stesso  e  questo  appare  in  patente
violazione dei principi costituzionali di' intangibilita' della sfera
giuridica altrui e del diritto di proprieta'. 
    La disciplina censurata, infatti, consente a «chiunque  vi  abbia
interesse», anche se non piu' titolare  di  diritti  reali  sul  bene
immobile,  in  relazione  a  negozi  giuridici   perfezionati   prima
dell'entrata in vigore della novella, di  ottenere  la  modificazione
rectius, risoluzione parziale, ndr.) della convenzione urbanistica di
riferimento, ai  fine  della  rimozione  dei  vincoli  relativi  alla
determinazione del prezzo massimo di cessione  delle  singole  unita'
abitative e loro  pertinenze,  contenuti  nelle  convenzioni  di  cui
all'art. 35 della  legge  22  ottobre  1971.  n.  865,  e  successive
modificazioni. 
    Viene  cosi'  normativamente  concesso,  nel  nostro   caso,   al
venditore che ha percepito somme  indebite,  di  poterle  trattenere,
prima  paralizzando  l'azione  di  indebito  dell'acquirente  e   poi
modificando, di propria iniziativa ed  unilateralmente  il  contenuto
della  convenzione  urbanistica  relativa  all'alloggio  di  edilizia
economica e popolare in questione, risolvendola parzialmente  e  cosi
rimuovendo i vincoli gravanti sull'immobile ceduto prima dell'entrata
in vigore della legge. 
    5. - Ed ancora,  come  confermato  dalla  piu'  volte  richiamata
sentenza della Cassazione a SS.UU.  n.  18135/2015,  il  vincolo  del
prezzo massimo di cessione di che trattasi,  consiste  in  un  «onere
reale» gravante sull'alloggio in parola, che deriva da un vincolo  di
natura  contrattuale,  contenuto  nell'art.  14   della   convenzione
urbanistica, avente peraltro valore di legge, in virtu' della  delega
governativa di cui all'art. 35 della  legge  865/1971.  Tale  vincolo
contrattuale, a parere  dell'arbitro,  non  puo'  essere  modificato,
tanto meno unilateralmente, da un soggetto terzo rispetto al rapporto
giuridico in essere tra il comune di  Roma  Capitale  e  gli  odierni
appellanti,  attuali  concessionari  del  diritto  di  superficie  ex
plurimis, Consiglio di giustizia amministrativa, sentenza 1° febbraio
2001, n.  20),  pena  l'evidente  violazione,  tra  gli  altri  degli
articoli 42 e 47  della  Costituzione  e  dell'invocato  art.  1  del
protocollo n. 1 - protezione della proprieta' (art. 1,  comma  1  del
protocollo n. 1 - rispetto dei beni), sempre della CEDU. 
    6. - Violazione degli articoli 3 e 47  della  Costituzione  nella
parte in cui il cornma 49-bis dell'art. 31 della legge 448/1998 cosi'
come modificato non consente a tutti i cittadini aventi  diritto  (in
regola con i requisiti soggettivi) di accedere alla proprieta'  della
propria  abitazione  alle   condizioni   agevolate   previste   nelle
convenzioni ex art. 35 della legge 865/1971. 
    L'edilizia residenziale pubblica mira a canalizzare  l'intervento
pubblico  -  diretto  o  indiretto   (ossia   realizzato   attraverso
agevolazioni economiche) - per  il  soddisfacimento  della  richiesta
abitativa delle categorie sociali meno abbienti ed esposte al rischio
di carenza abitativa. Vengono cosi realizzate prestazioni che possono
asciiversi alla categoria concettuale del servizio pubblico, data  la
loro destinazione alla  soddisfazione  di  un  bisogno  collettivo  o
generale della comunita'. Molti  Stati  membri  delle  Nazioni  unite
hanno affermato che l'abitazione e'  una  componente  essenziale  dei
diritti fondamentali riconosciuti ad ogni individuo  per  partecipare
pienamente alla societa'. Senza di esso gli individui  non  sarebbero
in grado di godere di molti  dei  diritti  umani  riconosciuti  dalla
comunita' internazionale. A ben riflettere, infatti, il diritto  alla
privacy, il diritto ad essere liberi dalla  discriminazione,  diritto
allo sviluppo, il diritto  all'igiene  ambientale  ed  il  diritto  a
conseguire il piu' alto livello possibile di salute mentale e fisica,
tra  gli  altri,  dipendono  dalla  disponibilita'  di  un   alloggio
adeguato.  In  altri  termini,  il  diritto  all'abitazione  e'   una
pre-condizione per la fruizione di molti altri  diritti  fondamentali
dell'individuo, al pari della liberta' di espressione del pensiero  o
del diritto alla salute. 
    L'art. 47 della  Costituzione  italiana  recita:  «La  Repubblica
incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue  forme;  disciplina,
coordina e controlla l'esercizio del credito. Favorisce l'accesso del
risparmio popolare alla proprieta' dell'abitazione,  alla  proprieta'
diretta coltivatrice e al diretto e indiretto investimento  azionario
nei grandi complessi produttivi del paese». 
    Pertanto, se la proprieta' dell'abitazione serve a soddisfare  un
bisogno essenziale dell'uomo, il  titolare  del  diritto  non  potra'
trarne un profitto speculativo, a  maggior  ragione  se  trattasi  di
«edilizia agevolata» ovvero fruente, all'origine, di un finanziamento
pubblico ed hanno realizzato su suoli espropriati, come nel  caso  di
specie. 
    Per lo stesso ordine di motivi,  il  favor  costituzionale  viene
meno nel momento stesso in cui la sua pretesa  ecceda  la  necessita'
abitativa, mirando non tanto a soddisfare un bisogno essenziale della
persona, ma un interesse diverso ed  ulteriore  del  venditore,  come
parrebbe nel caso di specie. 
    In questa  prospettiva,  come  e'  stato  attentamente  rilevato,
l'art. 47 della Costituzione disegna un «tipo» di proprieta' che,  da
un punto di vista giuridico, puo' essere distinta  e  separata  dalla
proprieta' di cui all'art. 832 del codice di procedura civile. 
    Ribaltando  la   prospettiva   e   utilizzando   una   sorta   di
argomentazione negativa, puo' osservarsi  come  la  mancanza  di  uno
spazio abitativo, vitale per il pieno sviluppo dell'individuo e della
famiglia, costituisca una  pericolosa  limitazione  al  principio  di
uguaglianza  formale  e  sostanziale  sancito  dalla   nostra   Carta
costituzionale. 
    E' infatti evidente che la mancanza o la perdita  dell'abitazione
rende impossibile  l'uguaglianza  e  la  pari  dignita'  sociale  dei
cittadini di fronte alla legge, garantita dalla nostra Costituzione a
prescindere dalle condizioni personali e sociali (art. 3,  comma  1);
allo stesso tempo, la mancanza di  un  tetto  rappresenta  uno  degli
«ostacoli di ordine economico e sociale, che limitando  di  fatto  la
liberta' e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo
della  persona  umana  e  l'effettiva  partecipazione  di   tutti   i
lavoratori  all'organizzazione  politica,  economica  e  sociale  del
paese» e che e' dovere della Repubblica rimuovere (art. 3, comma 2). 
    In linea con quanto avviene nella generalita'  degli  ordinamenti
contemporanei,  anche   l'ordinamento   italiano   mostra   un   vivo
interessamento per la soddisfazione del bisogno dell'alloggio tra  le
fasce di cittadini meno provviste di mezzi. 
    Tale interessamento si manifesta concretamente  nella  previsione
di una serie di attivita' volte a soddisfare  il  bisogno  abitativo,
nonche' attraverso la  creazione  di  soggetti  istituzionali  aventi
compiti di stimolo, direzione e vigilanza di queste attivita'. 
    in particolare, l'estrinsecazione piu' evidente  e  concreta  del
diritto all'abitazione e' rappresentata dagli interventi di  edilizia
residenziale pubblica. 
    In questo contesto, la funzione sociale di un alloggio  costruito
su aree espropriate per pubblica utilita' non dovrebbe  esaurirsi  al
momento della prima assegnazione (ex multis Cassazione civile  SS.UU.
n. 506/2011 e 18135/2015). 
    Altrimenti verrebbe violato  anche  il  disposto  art.  42  della
Costituzione Italiana. 
    In altre parole, concedere una sorta di  patente  speculativa  in
capo al primo assegnatario di un alloggio  di  edilizia  residenziale
pubblica, costruito su aree espropriate, non puo' essere  considerato
un interesse pubblico e potrebbe, peraltro, anche esporre la pubblica
amministrazione  ad  un  pericoloso  contenzioso  con  i  proprietari
espropriati, in base al disposto dell'art. 834  codice  di  procedura
civile. E' il caso della modalita' di acquisizione dei suoli prevista
dalla legge 865/1971 per  consentire  l'edificazione  di  alloggi  di
edilizia economica e popolare (PEEP). L'espropriazione e'  dunque  il
piu'  forte  limite  alla  proprieta',  dato  che  il   diritto   del
proprietario viene sacrificato a vantaggio dell'interesse collettivo.
Nel contrasto tra interesse privato ed interesse pubblico e',  dunque
quest'ultimo che deve prevalere. 
    E' in questo contesto normativo che si inseriscono le limitazioni
e  regolamentazioni  del   prezzo   d'acquisto   degli   alloggi   in
convenzione. A cui si  aggiungono  numerosi  altri  benefit  pubblici
(riduzione degli oneri di urbanizzazione, esenzione dal pagamento del
contributo del costo di costruzione, come previsti dall'art.  17  del
decreto  del  Presidente  della  Repubblica  380/2001,  finanziamenti
pubblici in conto capitale e/o interessi agevolati) ed e' per  questi
motivi che i vincoli imposti dalle convenzioni  di  cui  all'art.  35
della legge 865/1971, come piu' volte chiarito dalla  sezione  civile
di Cassazione, perdurano per l'intera durata della convenzione  e  si
trasmettono insieme al trasferimento del diritto di superficie. 
    Se  cio'  non  fosse,  data  la   funzione   sociale   attribuita
all'edilizia residenziale pubblica, verrebbe violato anche  l'art.  3
della Costituzione Italiana, in quanto si creerebbe una irragionevole
disparita' di trattamento per l'accesso della totalita' dei cittadini
a quel determinato servizio pubblico. 
    E' pacifico, infatti, il diritto riconosciuto in  capo  al  primo
assegnatario  di  ottenere  l'alloggio  al  prezzo  di   convenzione.
Addirittura, in base a quanto stabilito nella sentenza n.  15690  del
25 marzo - 14 aprile 2009  della  suprema  Corte  di  cassazione,  VI
sezione  penale,  quando  questo  principio  viene  violato  si  puo'
incorrere nel reato di concussione. 
    Cio' posto, sarebbe ravvisabile una «ingiustizia» laddove  «fosse
consentito, a chi  ha  beneficiato  del  vantaggio  dell'acquisizione
dell'immobile per un corrispettivo agevolato, di rivendere il bene al
prezzo di mercato, speculare sulla differenza.» ex multis, Cassazione
civile SS.UU. n. 18135/2015  e  506/2011)  e  questa  ingiustizia  e'
viepiu' grave, laddove si  consideri  che,  come  visto,  la  novella
normativa  in  contestazione  impedisce  alle   vittime   di   quella
speculazione,  di  poter  ottenere   la   ripetizione   delle   somme
indebitamente pagate. 
    Diversamente argomentando, si cadrebbe  in  contraddizione  anche
con la normativa comunitaria relativa al divieto di «aiuti di  Stato»
ed in particolare della materia  relativa  ai  Servizi  di  interesse
economico  generale  (SIEG).  Significativamente,  il   decreto   del
Ministro delle infrastrutture e  trasporti  del  22  aprile  2008  si
intitola: «Definizione di alloggio  sociale  ai  fini  dell'esenzione
dall'obbligo di  notifica  degli  aiuti  di  Stato,  ai  sensi  degli
articoli 87 e 88 del  Trattato  esecutivo  della  Comunita'  europea»
(oggi art. 106, per. 2 del Trattato di funzionamento  U.E.)  e  della
correlata decisione 2012/21/UE della Commissione europea  in  materia
di «aiuti di Stato». 
    In conclusione, l'art. 31, comma  49-bis  della  legge  448/1998,
permettendo la soppressione, ad opera del primo acquirente (ed  unico
beneficiario dei finanziamenti pubblici, ndr.) del vincolo del prezzo
massimo di cessione e di locazione, dopo soli cinque anni dalla  data
di prima assegnazione, senza prevedere neppure nessun  rimborso  allo
Stato, per le agevolazioni  erogate  relativamente  agli  alloggi  in
parola ed ai proprietari dei suoli espropriati, concede  una  patente
speculativa ai primi assegnatari  di  tale  tipologia  di  alloggi  e
viola, oltre che le sopra richiamate norme costituzionali,  anche  le
norme comunitarie circa i divieti di aiuti di Stato. 
    Il tutto, lo si ribadisce, a totale svantaggio, da ultimo,  degli
acquirenti di alloggi di edilizia economica e popolare,  che  abbiano
acquistato, a prezzo di mercato, un  alloggio  ancora  sottoposto  ai
vincoli delle convenzioni ex art. 35 della legge 865/1971  (solvens),
i quali,  a  seguito  della  semplice  presentazione,  da  parte  dei
venditori (accipiens) o di «chiunque vi abbia interesse»,  al  comune
di riferimento, della domanda di rimozione del vincolo  convenzionale
del prezzo massimo di cessione, si  vedranno  «paralizzare»  la  loro
domanda di ripetizione delle somme indebitamente  pagate  e  dovranno
anche subire l'eventuale, futura rivalsa  degli  enti  erogatori  dei
finanziamenti e delle agevolazioni pubbliche  in  generale,  concesse
per edificare gli alloggi  in  questione,  cosi  impedendo  a  questi
ultimi acquirenti ed a tutti gli altri cittadini che, pur  possedendo
i requisiti soggettivi per accedere a tale tipologia di alloggi,  non
potranno mai godere dei medesimi benefici concessi ai suddetti  primi
assegnatari. 
    Sarebbero, inoltre, gravemente penalizzati anche i  soggetti  che
sono stati espropriati dei loro suoli dallo Stato, per consentire  la
realizzazione,  nei  piani  di  zona  ex  lege  167/1962,  a   prezzi
«calmierati», degli alloggi come quello per cui e' causa. 
 
                              P. Q. M. 
 
    1) Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione
di legittimita' costituzionale,  sollevata  nei  confronti  dell'art.
25-undecies della legge 136/2018 e dell'art. 31. commi 49-bis, ter  e
quater della legge 448/1998, per violazione degli articoli 3, 24, 42,
47, 77, 101, 102, 104, 111, 117  della  Costituzione  e  dell'art.  6
della convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e
delle liberta' fondamentali, firmata  a  Roma  il  4  novembre  1950,
ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848 (Ratifica
ed esecuzione della  convenzione  europea  per  la  salvaguardia  dei
diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, firmata a Roma il  4
novembre 1950, e del protocollo addizionale alla convenzione  stessa,
firmato a Parigi il 20 marzo 1952). 
    2) Sospende il giudizio. 
    3) Dispone la notificazione della presente ordinanza alle  parti,
al Presidente del  Consiglio  dei  ministri  e  la  comunicazione  al
Presidente del Senato della Repubblica e al Presidente  della  Camera
dei deputati. 
    4) Dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. 
        Cosi' deciso, in Roma 1'11 settembre 2020 
 
                      L'arbitro unico: Ciraolo