N. 197 ORDINANZA (Atto di promovimento) 5 novembre 2020
Ordinanza del 5 novembre 2020 del Magistrato di sorveglianza di Spoleto nel procedimento di sorveglianza nei confronti di M. G.. Ordinamento penitenziario - Misure alternative alla detenzione - Divieto di concessione di benefici - Divieto di concessione, per la durata di tre anni, della misura dell'affidamento in prova al servizio sociale di cui all'art. 47 della legge n. 354 del 1975, al condannato nei cui confronti sia stata disposta la revoca di una misura alternativa, ai sensi degli articoli 47, comma 11, 47-ter, comma 6, o 51, primo comma, della medesima legge. - Legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della liberta'), art. 58-quater, commi 1, 2 e 3, in combinato disposto.(GU n.3 del 20-1-2021 )
UFFICIO DI SORVEGLIANZA DI SPOLETO Il Magistrato di sorveglianza Letta l'istanza pervenuta il 3 ottobre 2020 in favore di M. G. , nato in il , attualmente detenuto presso la Casa Circondariale di , in esecuzione della pena di cui al provvedimento di cumulo emesso dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Ancona in data 31 agosto 2020, per la pena residua di anni due, mesi sei e giorni diciannove di reclusione; Decorrenza pena: 16 ottobre 2019 e fine pena, tenuto conto della liberazione anticipata concessagli, al 19 marzo 2022; Rilevato che nell'istanza si chiede a questo magistrato di sorveglianza la misura dell'affidamento in prova al servizio sociale in via provvisoria ex art. 47, comma 4, ord. penit., in attesa della decisione definitiva da parte del competente Tribunale di sorveglianza; Osserva Il M. e' detenuto presso l'istituto penitenziario di dal 16 ottobre 2019. In precedenza, in relazione al provvedimento di cumulo emesso dalla Procura della Repubblica di Macerata in data 8 febbraio 2017, l'interessato aveva ottenuto dal Tribunale dl sorveglianza di Perugia di eseguire la pena della reclusione per anni tre per delitti di furto aggravato tentato, furto aggravato ex art. 624-bis del codice penale e resistenza a p.u. e danneggiamento, fatti degli anni 2010-2011, mediante l'affidamento in prova al servizio sociale. La misura aveva avuto regolare inizio e si era svolta, per oltre due anni e mezzo, mediante impegnata attivita' lavorativa, positivi rapporti con i servizi e supporto del nucleo familiare, costituito dalla compagna e dalla figlia, nata a dicembre del 2018. Ad agosto 2019, a diciannove giorni dal fine pena, il M. si allontanava dal domicilio indicato nella misura e, per quanto poi si e' potuto verificare, dal territorio nazionale. Ne seguiva la sospensione urgente della misura da parte del magistrato di sorveglianza di Perugia e la revoca della stessa, a fronte della «inequivocabile interruzione volontaria della misura concessa, per ragioni per altro del tutto sconosciute e neppure ipotizzabili in via congetturale», con ordinanza del Tribunale di sorveglianza di Perugia in data , pur dandosi atto di un pregresso andamento positivo che motivava l'a.g. a considerare comunque validamente espiata la pena sino al 4 agosto 2019, data precedente al riscontrato allontanamento non giustificato. La carcerazione riprendeva il 16 ottobre 2019 con riferimento ad un sopravvenuto provvedimento di cumulo, poi ulteriormente aggiornato da quello meglio citato in rubrica, in cui sono confluite condanne per un episodio di furto ex art. 624-bis del codice penale e per uno di ricettazione, fatti degli anni 2012-2013, nonche' una quota di pena per il brevissimo residuo relativo alla precedente esecuzione. La difesa dell'interessato ha fatto pervenire l'odierna istanza di affidamento in prova al servizio sociale in via provvisoria, ravvisando l'urgenza di un rientro in societa' del condannato, sia per poter attendere ai propri compiti in ambito familiare, sia soprattutto per darsi a lecita attivita' lavorativa, disponibile in suo favore e, stando alle indicazioni del datore di lavoro (una autofficina di ), con la necessita' di iniziare subito, per non costringere la ditta a cercare un altro operaio per sostituirlo. Nell'istanza vengono esaminati i profili di inammissibilita' connessi al disposto dell'art. 58-quater, comma 1, 2 e 3, ord. penit., in questa sede rilevanti. Occorre infatti ricordare che, a mente della norma citata, l'assegnazione al lavoro all'esterno, i permessi premio, l'affidamento in prova al servizio sociale nei casi previsti dall'art. 47, la detenzione domiciliare e la semiliberta', non possono essere concessi al condannato nei cui confronti e' stata disposta la revoca di una misura alternativa ai sensi dell'art. 47, comma 11, dell'art. 47-ter, comma 6, o dell'art. 51, comma 1 della legge penitenziaria. L'art. 58-quater, comma 3, precisa poi, per quanto concerne la fattispecie qui esaminata, che il divieto di concessione dei benefici opera per un periodo di tre anni dal momento in cui e' stato emesso il provvedimento di revoca. Nell'istanza, dunque, si palesa come, pur non rilevando i motivi che indussero il M. all'allontanamento, lo stesso ha sempre affermato di essere incorso in errore rispetto al termine della misura. Dalla revoca l'ordinamento penitenziario fa discendere oggi, secondo la difesa dell'istante, «l'operativita' di odiosi meccanismi automaticamente preclusivi di qualsivoglia indagine avente ad oggetto la meritevolezza di una misura alternativa alla detenzione, in palese violazione dell'art. 27 della Costituzione», ponendosi il divieto che segue la revoca in contrasto con la norma di rango costituzionale e dunque con l'ormai lungo e consolidato indirizzo giurisprudenziale volto ad erodere progressivamente tali automatismi. Si aggiunge poi che, nel caso di specie, la revoca intervenne in relazione ad altro titolo esecutivo, cui e' seguita in un secondo momento l'emissione di un nuovo provvedimento di cumulo. In tal senso si richiede all'a.g. di non abbracciare l'indirizzo giurisprudenziale di legittimita' a lume del quale il divieto dura un triennio a prescindere dal titolo cui faccia riferimento, derivandone altrimenti l'imprevedibilita' assoluta delle conseguenze delle proprie condotte al momento in cui le si pone in essere e comunque determinandosi una sorta di status soggettivo di pericolosita', contrastante con i principi propri dell'esecuzione penale. L'istanza, dunque, pur non chiedendo espressamente al magistrato di sorveglianza di sollevare una questione di legittimita' costituzionale sui punti indicati, certamente evidenzia le criticita' che sotto questo profilo emergono e gli rimette ogni valutazione, nel richiedergli una decisione nel merito favorevole al condannato. L'interessato, inoltre, ha voluto rendere dichiarazioni al magistrato di sorveglianza, nel corso di un colloquio intervenuto presso l'istituto penitenziario di in data 14 ottobre 2020, la cui verbalizzazione e' in atti, con le quali ha affermato di essersi allontanato ad agosto 2019 per tornare nel suo paese di origine, la , dopo quasi tre anni di misura alternativa in cui, ovviamente, non aveva potuto farvi rientro, soltanto perche' convinto di aver terminato l'espiazione della pena, secondo i suoi calcoli, e con la volonta' di passarvi soltanto alcuni giorni. Qualunque fosse la sua motivazione all'epoca, comunque, ha ribadito di essere poi rientrato in Italia appena saputo dell'intervenuta revoca per terminare di espiare la propria pena, venendo cosi' a conoscenza del nuovo cumulo. L'istante ricorda infine che e' in questo paese che si raccolgono il centro dei suoi interessi affettivi ed anche delle sue prospettive di reinserimento, in particolare mediante la ripresa del lavoro presso l'officina meccanica, che gia' svolgeva durante la misura alternativa precedente. Dato atto della documentazione al fascicolo, il magistrato di sorveglianza ritiene di dover sollevare questione di legittimita' costituzionale, in riferimento agli articoli 3, comma 1 e 27, comma 3 della Costituzione, dell'art. 58-quater, comma 1, 2 e 3, ord. penit., nella parte in cui detti commi, nel loro combinato disposto, prevedono che non possa essere concessa, per la durata di tre anni, la misura alternativa dell'affidamento in prova al servizio sociale di cui all'art. 47, ord. penit., al condannato nei cui confronti e' stata disposta la revoca di una misura alternativa, ai sensi dell'art. 47, comma 11, dell'art. 47-ter, comma 6, o dell'art. 51, comma 1 della medesima legge. La questione appare rilevante, poiche' il magistrato di sorveglianza chiamato a pronunciarsi in via urgente, per come previsto dall'art. 47, comma 4, ord. penit., deve necessariamente arrestare il proprio esame della domanda dell'interessato alla verifica del mancato decorso, allo stato, del termine triennale decorrente dalla revoca dell'affidamento in prova, intervenuto, a soli diciannove giorni dall'allora fine pena, ad agosto 2019. La conseguenza di tale condizione e' l'inammissibilita' dell'istanza proposta. Viceversa, ove la questione fosse accolta, potrebbe valutarsi nel merito la sussistenza delle condizioni richieste dall'ordinamento penitenziario per l'accesso alla chiesta misura alternativa dell'affidamento in prova al servizio sociale in via provvisoria. La lettura inequivoca della disposizione normativa, per quanto concerne il divieto di concessione dell'affidamento in prova al servizio sociale, appare precludere differenti interpretazioni piu' favorevoli all'interessato e cio' sembra confermato da una costante giurisprudenza della S.C., che non offre sul punto spazi di diversa lettura della posizione dell'odierno interessato. Basta a questo riguardo fare riferimento al rigore con il quale il divieto previsto dall'art. 58-quater, comma 2, ord. pen., di concessione di misure alternative alla detenzione nei tre anni successivi al provvedimento di revoca dell'affidamento in prova, della semiliberta' o della detenzione domiciliare, viene considerato non circoscritto al procedimento esecutivo nel cui ambito e' intervenuta la revoca, ma caratterizzato da una portata generale e da validita' estesa anche ad altri e diversi procedimenti esecutivi (cfr. Cassazione 7 novembre 2000 n. 3802, 19 dicembre 2002 n. 2327, 20 dicembre 2002 n. 6995, sino alla piu' recente, 19 febbraio 2020 n. 14860). Afferma la Cassazione, con impostazione che qui si condivide, che «la norma e' formulata con riferimento soggettivo al condannato e non con riguardo oggettivo a ciascun singolo procedimento in cui intervenga la revoca; diversamente interpretando si tradurrebbe in un inammissibile vantaggio per chi sia interessato da plurime condanne, ne' avrebbe ragionevole giustificazione a fronte di benefici che presuppongono pene o residui di pena non eccedenti i tre anni, risolvendosi in simili casi solo in un diniego definitivo di accesso alla misura». Cio' basta a rendere non percorribile neppure la strada interpretativa, pure proposta dalla difesa, di considerare non operativo il divieto triennale nel caso sottoposto all'odierno esame, perche' differente da quello sul quale la pena era intervenuta, trattandosi di un provvedimento di cumulo sopravvenuto al momento della revoca (sebbene, per altro, comprendente anche il titolo precedente, per il quale residuavano soli diciannove giorni di reclusione). La questione di legittimita' costituzionale e', ad avviso del magistrato di sorveglianza rimettente, non manifestamente infondata, per le ragioni che si chiariranno di seguito. Com'e' noto, l'art. 58-quater, ord. penit., fu inizialmente introdotto nell'ordinamento penitenziario con decreto-legge n. 152/1991 e, nella parte qui rilevante, successivamente modificato con legge n. 251/2005. La ratio della norma, secondo le espressioni adoperate dalla S.C. nel sollevare recente questione di costituzionalita', poi accolta, di cui si trattera', con ordinanza 13 luglio 2018, «esprime una precisa linea di politica criminale, volta a sanzionare la scarsa "affidabilita'" di un condannato responsabile di condotte negativamente sintomatiche, quali l'evasione, ovvero le trasgressioni alle prescrizioni di una pregressa misura alternativa, tali da averne determinato la revoca. Rispetto a tale condannato si istituisce una presunzione assoluta di temporanea inidoneita' rispetto a forme di espiazione della pena detentiva, che si attuino anche parzialmente al di fuori dell'istituzione carceraria.». Si tratta dunque di una preclusione che, pur delimitata nel tempo, appare assoluta ed invincibile, pur a fronte di qualsiasi progresso in concreto compiuto dal condannato nel corso di quel periodo di successiva detenzione. La questione oggi esaminata e' stata, in effetti, gia' proposta, seppur in termini significativamente diversi, con ordinanza Tribunale di sorveglianza Torino in data 28 maggio 2002, ma la Corte costituzionale la dichiaro' inammissibile con ordinanza 87/2004. In quel caso in particolare il rimettente proponeva un parallelismo, dal quale deduceva la necessita' di un intervento del giudice delle leggi, tra la dichiarata incostituzionalita' (sentenza 343/1987) dell'art. 47, comma 10, ord. penit., nella parte in cui non consentiva che in caso di revoca il Tribunale di sorveglianza potesse determinare la residua pena espianda e quella invece da considerarsi validamente eseguita, e la preclusione triennale dalla revoca, insuscettibile di valutazione flessibile e individualizzata, quando invece possono sussistere anche molteplici ragioni scriminanti, o comunque tali da ridimensionare la portata negativa della condotta, che meriterebbero una «sanzione» differenziata. Ad avviso della Corte costituzionale tale parallelismo non sussiste, perche' nel primo caso, poi censurato, si negava all'a.g. un vaglio discrezionale, mentre la revoca non e' automatica, ma «basata su di una valutazione in concreto e caso per caso delle situazioni in cui il comportamento del condannato, contrario alla legge o alle prescrizioni, risulti incompatibile con la prosecuzione dell'affidamento in prova (...)» ed e' dunque in quel contesto che eventuali scriminanti o circostanze ridimensionanti possono essere adeguatamente valutate. Per come si dira', tuttavia, appare al magistrato di sorveglianza scrivente che la questione non riguardi, nel caso che ci occupa, la sussistenza dei presupposti legittimanti la revoca, poiche' della gravita' e della portata eventualmente esiziale dei comportamenti posti in essere dall'affidato rispetto alla prosecuzione dell'esecuzione penale in particolare con la misura alternativa concessagli, e' giudice il Tribunale di sorveglianza in quella sede, ma concerna invece la fissita' degli effetti di tale revoca, a prescindere da ogni considerazione sulla situazione concreta della persona, sui suoi progressi trattamentali seguiti a quel momento negativo, sulle sue prospettive di reinserimento e sulla durata della pena ancora espianda, dalla quale potrebbe scomparire completamente (ove il residuo fosse inferiore ai tre anni) la prospettiva di un trattamento rieducativo improntato alla costruzione di un percorso esterno al carcere. Sin dagli anni '90 l'art. 58-quater, ord. penit., e' stato attinto da questioni di legittimita' costituzionale che ne hanno di fatto circoscritto progressivamente l'applicazione. Per quanto riguarda l'oggetto dell'odierno procedimento, la Corte costituzionale e' intervenuta, con sentenza 436/1999, a dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'art. 58-quater, comma 2, ord. penit. nella parte in cui si riferisce ai minorenni. In quella lungimirante pronuncia che, nel contesto minorile, enuncia principi che appaiono oggi largamente mutuabili per gli adulti (all'esito di un percorso giurisprudenziale inequivoco da parte dei giudici della Consulta, cui si tornera' in seguito), si afferma come debba considerarsi incompatibile con la Costituzione una preclusione, ove relativa ai minorenni autori di reato, che impedisca di fondare le decisioni dell'a.g. su «valutazioni flessibili ed individualizzate circa la idoneita' e la opportunita' delle diverse misure per perseguire i fini di risocializzazione del condannato minore, nel rispetto delle specifiche caratteristiche della sua personalita' (...)» e impone invece che sia sempre possibile «una valutazione individualizzata e caso per caso, in presenza delle condizioni generali costituenti i presupposti per l'applicazione della misura, della idoneita' di questa a conseguire le preminenti finalita' di risocializzazione che debbono presiedere all'esecuzione penale minorile.». Con sentenza 189/2010 la Corte costituzionale e' stata nuovamente chiamata ad intervenire sul disposto dell'art. 58-quater, ord. penit., ma relativamente al divieto triennale di concessione di misure alternative al condannato riconosciuto colpevole di una condotta punibile a norma dell'art. 385 del codice penale. I giudici della Consulta pervennero, in quell'occasione, ad una pronuncia di inammissibilita', nella forma della sentenza, per come detto, sostenendo che, pur a fronte di una interpretazione letterale che, anche per quella fattispecie, generava dubbi di legittimita' costituzionale, e' tuttavia possibile una lettura costituzionalmente orientata, che poggi sulla ineliminabilita' dall'orizzonte dell'esecuzione penale della finalita' rieducativa della pena. Ad avviso della Corte deve escludersi «l'ammissibilita', nel nostro ordinamento penitenziario, della prevalenza assoluta delle esigenze di prevenzione sociale su quelle di recupero dei condannati» (cfr. sentenza 436/1999), l'opzione repressiva non puo' «relegare nell'ombra» il profilo rieducativo (sentenza 257/2006) e si impone al giudice la necessita' di «valutare, caso per caso, con motivazione approfondita e rigorosa, la personalita' e le condotte concrete del condannato responsabile del reato di cui all'art. 385 del codice penale», in tal modo evitando che si determini «la lesione di diritti inviolabili della persona, il trattamento uguale di situazioni diverse, la vanificazione della funzione rieducativa della pena e la compromissione degli interessi della famiglia e dei figli minorenni, costituzionalmente protetti» (sentenza 189/2010). I contenuti della pronuncia, densi di rilievi significativi anche nel caso che ci occupa, erano stati di fatto anticipati da una giurisprudenza di legittimita' che, nelle more della decisione della Corte costituzionale, aveva superato la lettera, per la verita' non equivoca in senso difforme, dell'art. 58-quater, ord. penit., ritenendo necessario che la magistratura di sorveglianza effettuasse «un'analisi particolarmente approfondita del condannato, sulla sua effettiva, perdurante pericolosita' sociale alla luce delle condotte rilevanti ai sensi dell'art. 385 del codice penale oggetto di accertamento definitivo, sui progressi trattamenti compiuti e il grado di rieducazione» (cfr., tra le altre, sentenza 22368/2009), e non si limitasse ad una decisione di inammissibilita'. La sentenza 189/2010 della Corte costituzionale, in probabile correlazione con il dispositivo di inammissibilita' utilizzato, non ha pero' di fatto trovato una successiva piena adesione nella giurisprudenza, persino di legittimita', che e' tornata nel tempo ad occuparsi del divieto triennale di concessione di benefici penitenziari nei confronti del condannato per evasione, senza tuttavia affrontare la tematica del vaglio sostanzialmente di merito richiesto dal giudice delle leggi perche' possa operare il divieto (cfr., da ultimo, ad esempio, sentenza 27 febbraio 2018 n. 30140). A piu' forte ragione, tale decisione non ha inciso sulla incontroversa operativita' dell'automatismo preclusivo, seppur temporalmente limitato ad anni tre, nell'ipotesi dell'intervenuta revoca di una delle misure alternative espressamente indicate nell'art. 58-quater, comma 1, ord. penit. Di cio' e' prova, da ultimo, l'importante esito della questione di legittimita' costituzionale proposta dalla S.C. con ordinanza in data 13 luglio 2019, che ha condotto alla declaratoria di incostituzionalita' di cui alla sentenza 187/2019, in relazione all'art. 58-quater, comma 1, 2 e 3, ord. penit., nella parte in cui i detti commi, nel loro combinato disposto, prevedono che non possa essere concessa, per la durata di tre anni, la detenzione domiciliare speciale, prevista dall'art. 47-quinquies della legge penitenziaria (e in via conseguenziale quella di cui all'art. 47-ter, comma 1 e 2, ord. penit.), al condannato nei cui confronti e' stata disposta la revoca di una delle misure indicate nel comma 2 dello stesso articolo 58-quater. La decisione di accoglimento si richiama qui innanzitutto perche' ha all'evidenza ritenuto che l'opzione interpretativa seguita dal rimettente, a mente della quale la lettera della disposizione normativa avrebbe comportato l'inammissibilita' dell'istanza di detenzione domiciliare speciale in quella sede richiesta, ben potesse sostenere la questione di costituzionalita' sollevata, e perche' ribadisce la portata ostativa derivante dal disposto dei primi tre commi dell'art. 58-quater, ord. penit. (cfr. p. 2.3 della motivazione). Nel merito poi le questioni sono ritenute fondate, in particolare evidenziando la speciale rilevanza dell'interesse del figlio minore a mantenere un rapporto continuativo con ciascuno dei genitori, dai quali ha diritto di ricevere cura, educazione ed istruzione, come riconosciuto e tutelato sia nella Carta costituzionale (art. 31, comma 2 della Costituzione), sia nell'ordinamento internazionale. La eventuale concessione della misura della detenzione domiciliare speciale, volta particolarmente alla cura del figlio minore ed a consentirgli di vivere un rapporto quotidiano almeno con uno dei genitori, non puo' percio' risultare vincolata da presunzioni di pericolosita' sociale, ma un rigetto deve necessariamente derivare da una valutazione in concreto di bilanciamento tra tale rilevantissimo interesse e la pericolosita' sociale del condannato (cfr. sentenza 239/2014). Da queste premesse deriva, secondo la Corte, che anche l'automatismo preclusivo di cui all'art. 58-quater, comma 1, 2 e 3, ord. penit., per la persona condannata, madre o padre, di accedere alla misura della detenzione domiciliare speciale per tre anni dopo la revoca di una misura alternativa in precedenza concessale, «sacrifica (...) a priori - e per l'arco temporale di un intero triennio, che come osserva giustamente il rimettente e' un periodo di tempo lunghissimo nella vita di un bambino - l'interesse di quest'ultimo a vivere un rapporto quotidiano con almeno uno dei genitori, precludendo al giudice ogni bilanciamento tra tale basilare interesse e le esigenze di tutela della societa' rispetto alla concreta pericolosita' del condannato» (sentenza 187/2019, p. 4.4). Da cio' l'accoglimento della questione, con la precisazione che le esigenze di tutela della societa' potranno e dovranno trovare una adeguata considerazione in sede di valutazione di merito del Tribunale di sorveglianza circa la sussistenza dei presupposti di concessione della misura ed in quel contesto potra' essere adeguatamente valutata anche la tipologia e «la concreta gravita' della condotta» che ha determinato la revoca della precedente misura. La questione di legittimita' costituzionale che oggi si propone poggia dunque sul progressivo percorso di lettura che la Corte costituzionale e la S.C. offrono all'interprete circa l'istituto in oggetto. Non puo' pero' che essere nutrita, e trovare in questo piu' forti ragioni per una rilettura adeguata al cammino costituzionale sino ad oggi percorso di quanto si legge in alcuni passaggi dell'ordinanza della Corte costituzionale 87/2004 gia' citata, dalla giurisprudenza costituzionale che ha progressivamente eroso, nella materia dei benefici penitenziari, i rigidi automatismi che vi si leggevano, richiedendo che vi sia sempre una valutazione in concreto, che ricolleghi la concessione di una misura alternativa, o di un permesso premio, ad una prognosi individualizzata, come richiesta dall'art. 1, ord. penit., in materia di trattamento rieducativo, e ancor prima e piu' ampiamente dall'art. 27, comma 3 della Costituzione, circa l'utilita' del beneficio a far progredire il condannato sulla via del reinserimento sociale (vd., per tutte, tra le ultime, la sentenza 149/2018, incidente ancora una volta su una preclusione contenuta nell'art. 58-quater, ord. penit. e 253/2019, in materia di delitti compresi nel disposto dell'art. 4-bis, comma 1, ord. penit.). In questo quadro le presunzioni di pericolosita' restano eccezionalmente ammissibili, purche' non arbitrarie ne' irrazionali, se rispondono a dati esperienziali generalizzati, e non risultino comunque lesive di valori costituzionali. D'altra parte neppure l'esigenza di «lanciare, un robusto segnale di deterrenza nei confronti della generalita' dei consociati» puo', nella fase di esecuzione della pena «operare in chiave distonica rispetto all'imperativo costituzionale della funzione rieducativa della pena medesima, da intendersi come fondamentale orientamento di essa all'obbiettivo ultimo del reinserimento del condannato nella societa' (...) e da declinarsi nella fase esecutiva come necessita' di costante valorizzazione, da parte del legislatore prima e del giudice poi, dei progressi compiuti dal singolo condannato durante l'intero arco dell'espiazione della pena» (cfr. sentenza Corte costituzionale 149/2018). Nel caso che ci occupa, invece, il divieto triennale di concessione di benefici penitenziari a seguito della revoca di una delle misure alternative individuate nell'art. 58-quater, comma 2, ord. penit. si appalesa, ad avviso del magistrato remittente, privo delle caratteristiche di ragionevolezza sopra descritte e percio' tale da contrastare con gli articoli 3 e 27 della Costituzione, e comunque idoneo a determinare una irrimediabile compromissione della finalita' rieducativa della pena, per come descritta dall'art. 27, comma 3 della Costituzione. Non puo' non rilevarsi innanzitutto come la fissita' dell'effetto preclusivo che deriva dalla revoca non consente in alcun modo di graduare ragionevolmente le conseguenze del comportamento che ha condotto al provvedimento con il quale si e' posta fine alla misura alternativa concessa. La revoca, com'e' noto, consegue ad un comportamento dell'affidato in prova (o della persona in esecuzione di altra misura alternativa), che si sia rivelato contrario alla legge o alle prescrizioni dettate e che appaia incompatibile con la prosecuzione della misura. In presenza di tali elementi il Tribunale di sorveglianza deve provvedere alla revoca e con cio' resta definito l'effetto impeditivo triennale all'ottenimento di altro beneficio, senza che in sede di successiva istanza possa operarsi alcun ragionamento sulla tipologia di condotta e sulla concreta gravita' della stessa ai fini di pronosticarne il rischio che si ripeta, ove l'interessato sia nuovamente ammesso ad una misura in condizioni mutate e, soprattutto, all'esito di una ulteriore osservazione intramuraria che, intanto, medio tempore, potrebbe aver rimosso le ragioni personali o aver constatato il superamento delle motivazioni di contesto socio-familiare eventualmente a base della condotta violativa. Non collegata ad alcuna particolare ragione giustificativa appare inoltre oggi la delimitazione triennale del tempo in cui la preclusione opera e che, arbitrariamente, fissa un lungo spazio temporale in cui la persona si presume socialmente pericolosa, determinando l'effetto, ad esempio proprio nel caso che origina la questione di costituzionalita', di inibire la concessione dei benefici penitenziari per tutta la durata della pena residua. Cio' comporta, di fatto, una fortissima compressione della funzione rieducativa della pena, confinata alla sola possibile concessione di liberazione anticipata, che frustra l'osservazione intramuraria privandola di ogni concreta utilita' alla costruzione di percorsi risocializzanti. Per altro la scelta, sia detto in questa sede per inciso, visto che il procedimento da cui origina la questione concerne una richiesta di misura alternativa in via provvisoria, pecca ulteriormente di irragionevolezza, nella misura in cui l'inibizione triennale riguarda allo stesso modo benefici tanto diversi quanto il permesso premio, il lavoro all'esterno e le misure alternative, compromettendo (come gia' evidenzio', per una situazione in tal senso analoga, la sentenza 149/2018) la possibilita' di una necessaria progressione trattamentale in grado di accompagnare piu' adeguatamente un nuovo percorso verso l'esterno, ove le circostanze concrete lo suggeriscano, e che potrebbe giovarsi, ad esempio, in una prima fase, della nuova concessione di benefici premiali, o di misure alternative con meno ampi spazi di autonomia di un affidamento in prova, ma ugualmente utili a consentire al condannato di lavorare, e con cio' di partecipare al mantenimento del proprio nucleo familiare, come la semiliberta', soprattutto laddove, a differenza del caso di specie, non sussistesse un'adeguata disponibilita' domiciliare all'esterno. Irragionevole appare, ancora, che il divieto triennale colpisca il condannato che ha meritato la revoca della misura come uno status, per quanto a suo modo temporaneo (ma potenzialmente in via definitiva rispetto all'esecuzione penale che in concreto lo riguarda), e dunque anche ove sopravvengano, in modo del tutto casuale, ulteriori titoli esecutivi che debbono essere eseguiti e che, soltanto sulla base dei tempi del processo, della definitivita' intervenuta o della emissione piu' o meno tempestiva di un provvedimento di cumulo, lo colpiscono nel triennio in cui nulla puo' essergli concesso, invece che in un momento successivo, incidendo in modo grave sulle aspettative del condannato di poter accedere ad un percorso esterno al carcere, senza che per altro questi potesse prevederlo correttamente nel momento in cui pose in essere la condotta poi determinante la revoca. Dal divieto triennale deriva, ancora, ad avviso del magistrato di sorveglianza rimettente, un vulnus all'art. 27, comma 3 della Costituzione. Il giudice della rieducazione e' infatti ordinariamente chiamato a verificare l'evoluzione della personalita' del condannato a partire dalle sue condotte di reato e poi sulla base dei suoi comportamenti nel corso dell'esecuzione penale, per leggerne e stimolarne i progressi verso il reinserimento sociale. Si ricordi a tale proposito il fondamentale rilievo della Corte costituzionale nella sentenza 253/2019, per il quale «(n)ella fase di esecuzione della pena, assume invece ruolo centrale il trascorrere del tempo, che puo' comportare trasformazioni rilevanti, sia della personalita' del detenuto, sia del contesto esterno al carcere.». La disposizione della quale qui si dubita, al contrario, inibisce al magistrato di sorveglianza la possibilita' di esaminare in concreto i risultati che la revoca ha prodotto, riconducendo il condannato all'osservazione intramuraria. Il meccanismo inibitorio dell'art. 58-quater, comma 1, 2 e 3, deriva dalla revoca subita, per un comportamento ritenuto tale da giustificarla, una presunzione di incapacita' per un tempo dato, di condursi adeguatamente nell'esecuzione di qualsiasi beneficio penitenziario compreso nel disposto dell'art. 58-quater, ord. penit., quando invece l'esperienza concreta puo' consentire di formulare pronostici anche differenti, valorizzando l'effetto dissuasivo, ed in tal senso anche interruttivo di dinamiche rivelatesi disfunzionali, che ben puo' derivare dalla revoca della misura alternativa. L'insegnamento della Corte costituzionale, sin qui richiamato, e' tutto teso alla progressiva eliminazione delle preclusioni, anche quando giustificate dall'obbiettivo di mandare robusti «segnali di deterrenza», che impediscono valutazioni di pericolosita' in concreto, le uniche che possano giustificare degli arresti motivati, e sempre rivedibili, rispetto ai percorsi di reinserimento sociale che sostanziano la prospettiva costituzionale delle pene. Anche nel caso che ci occupa, dunque, sembra necessario che sia consentito al magistrato di sorveglianza di esaminare la concreta situazione del condannato, bilanciando adeguatamente le esigenze di tutela della societa' con la concreta pericolosita' di cui il condannato si dimostri ancora portatore, tenendo conto della ricchezza particolare delle misure alternative alla detenzione, in grado certamente di far progredire l'autore del reato nella sua risocializzazione, ma insieme di tutelare anche i diritti di soggetti terzi, che dalla preclusione finiscono altrimenti per essere pregiudicati. Si' pensi in particolare al nucleo familiare della persona condannata, specialmente ove, come nel caso di specie, siano presenti minori in tenera eta', per i quali i rilievi della giurisprudenza costituzionale, fondati sull'art. 31 della Costituzione, e sulle disposizioni sovranazionali, che individuano come specialmente rilevante l'interesse del figlio minore a mantenere un rapporto continuativo con ciascuno dei genitori (non infatti soltanto, come nell'ipotesi della detenzione domiciliare speciale, quando il minore possa contare solo sul genitore detenuto, ma come tutela dell'unita' del nucleo familiare), puo' certo divenire subvalente, senza frizioni costituzionali, a fronte di una prognosi di pericolosita' sociale ancora attuale, ma soltanto ove la stessa sia operata in concreto e non rimessa ad una presunzione di immeritevolezza, per quanto temporanea, e comunque per un triennio e cioe' «un periodo di tempo lunghissimo nella vita di un bambino» (cfr. sentenza 187/2019, p. 4.3, con argomenti che, appunto, assumono ad avviso del rimettente pregio piu' ampiamente che nella sola ipotesi del beneficio di cui all'art. 47-quinquies, ord. penit.). Non e' d'altra parte privo di significato (per come la stessa Corte costituzionale ha gia' ritenuto, in occasioni sotto questo profilo analoghe, con le sentenze 99/2019 e 263/2019) che, nel quadro di un piu' ampio intervento di riforma dell'ordinamento penitenziario, il legislatore con la legge delega n. 103/2017 prevedesse espressamente, tra i criteri di delega in materia, anche l'eliminazione di automatismi e di preclusioni che impediscono ovvero ritardano l'individualizzazione del trattamento rieducativo e, in quel contesto, fosse stata proposta dalla Commissione di studi nominata dal Ministro della giustizia, e fatta propria nello schema di decreto legislativo 15 gennaio 2018, pur non poi coltivato sotto questo profilo nei decreti legislativi 123 e 124 del 2 ottobre 2018, la soppressione dei primi tre commi dell'art. 58-quater, ord. penit., proprio per la natura di preclusione, seppur temporanea, automatica, con il dichiarato obbiettivo di un complessivo riordino della legge penitenziaria volto a riguadagnarle una piu' piena coerenza con la finalita' rieducativa della pena. Per le sopra enunciate ragioni, ad avviso del magistrato di sorveglianza scrivente, sussiste dunque contrasto tra l'art. 58-quater, comma 1, 2 e 3, ord. penit., nella parte in cui prevedono il divieto di concessione dell'affidamento in prova al servizio sociale per un triennio dall'intervenuta revoca di una delle misure alternative ivi elencate, e gli articoli 3 e 27 della Costituzione, e pertanto, presuppostane la rilevanza per l'odierno procedimento, deve sollevarsi questione di legittimita' costituzionale che si ritiene non manifestamente infondata.
P. Q. M. Visti gli articoli 134 della Costituzione, 23 e ss. legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 58-quater, comma 1, 2 e 3, ord. penit., nella parte in cui essi, nel loro combinato disposto, prevedono che non possa essere concesso, per la durata di tre anni, l'affidamento in prova al servizio sociale previsto dall'art. 47, ord. penit., al condannato nei cui confronti e' stata disposta la revoca di una misura alternativa, ai sensi dell'art. 47, comma 11, dell'art. 47-ter, comma 6, o dell'art. 51, comma 1 della medesima legge, per violazione degli articoli 3 e 27 della Costituzione; Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Sospende il procedimento in corso sino all'esito del giudizio incidentale di legittimita' costituzionale; Ordina che a cura della cancelleria la presente ordinanza di trasmissione degli atti sia notificata alle parti in causa ed al pubblico ministero nonche' al Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata ai presidenti delle due Camere del Parlamento. Spoleto, 5 novembre 2020 Il Magistrato di sorveglianza: Gianfilippi