N. 5 SENTENZA 2 dicembre 2020- 18 gennaio 2021

Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale. 
 
Sanzioni amministrative - Norme della Regione Veneto -  Sanzioni  per
  violazione di  disposizioni  normative  in  materie  di  competenza
  esclusiva regionale - Possibile regolarizzazione degli  adempimenti
  o rimozione degli effetti  della  violazione  -  Attribuzione  alla
  Giunta regionale della competenza a individuare la tipologia  delle
  violazioni  che  consentono   la   regolarizzazione,   nonche'   la
  definizione dei relativi adempimenti o la rimozione  degli  effetti
  della  violazione  -  Abrogazione   dell'istituto   della   diffida
  amministrativa  -  Violazione  del  principio  di  legalita'  delle
  sanzioni amministrative - Illegittimita' costituzionale. 
Sanzioni amministrative - Norme della Regione Veneto - Istituto della
  regolarizzazione degli adempimenti o rimozione degli effetti  della
  violazione - Norme inscindibilmente dipendenti da quelle dichiarate
  costituzionalmente  illegittime  -  Illegittimita'   costituzionale
  consequenziale. 
Sanzioni amministrative - Norme della Regione Veneto -  Sanzioni  per
  violazione di  disposizioni  normative  in  materie  di  competenza
  esclusiva regionale - Possibile regolarizzazione degli  adempimenti
  o rimozione degli effetti  della  violazione  -  Attribuzione  alla
  Giunta regionale della competenza a individuare la tipologia  delle
  violazioni  che  consentono   la   regolarizzazione,   nonche'   la
  definizione dei relativi adempimenti o la rimozione  degli  effetti
  della  violazione  -  Abrogazione   dell'istituto   della   diffida
  amministrativa  -  Denunciata  irragionevolezza  e  violazione  del
  principio di buon andamento della pubblica  amministrazione  -  Non
  fondatezza della questione. 
- Legge della Regione Veneto 16 luglio 2019, n. 25, artt. 1, commi 1,
  2, 3, 4, 5 e 6, 2, 3, 4, 5 e 6. 
- Costituzione, artt. 3, 23 e 97, secondo comma. 
(GU n.3 del 20-1-2021 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Giancarlo CORAGGIO; 
Giudici :Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria  de  PRETIS,  Nicolo'
  ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI,
  Giovanni  AMOROSO,  Francesco  VIGANO',  Luca   ANTONINI,   Stefano
  PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 1,  commi
1 e 2, e 4 della legge della Regione Veneto 16  luglio  2019,  n.  25
(Norme  per  introdurre  l'istituto  della   regolarizzazione   degli
adempimenti o rimozione degli effetti nell'ambito dei procedimenti di
accertamento di violazioni di  disposizioni  che  prevedono  sanzioni
amministrative), promosso dal Presidente del Consiglio  dei  ministri
con  ricorso  notificato  il  23-27  settembre  2019,  depositato  in
cancelleria il 30 settembre 2019, iscritto al  n.  101  del  registro
ricorsi 2019 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale  della  Repubblica
n. 44, prima serie speciale, dell'anno 2019. 
    Visto l'atto di costituzione della Regione Veneto; 
    udito nell'udienza  pubblica  del  2  dicembre  2020  il  Giudice
relatore Francesco Vigano'; 
    uditi l'avvocato dello Stato Gianni De Bellis per  il  Presidente
del Consiglio dei ministri e  gli  avvocati  Andrea  Manzi  e  Franco
Botteon per la Regione Veneto, in collegamento da  remoto,  ai  sensi
del punto 1) del decreto del Presidente della Corte  del  30  ottobre
2020; 
    deliberato nella camera di consiglio del 2 dicembre 2020. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ricorso notificato il 23-27 settembre 2019  e  depositato
il 30 settembre 2019,  il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
rappresentato e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  ha
impugnato gli artt. 1, commi 1 e 2, e 4  della  legge  della  Regione
Veneto 16 luglio 2019, n. 25 (Norme per introdurre  l'istituto  della
regolarizzazione  degli  adempimenti  o   rimozione   degli   effetti
nell'ambito  dei  procedimenti  di  accertamento  di  violazioni   di
disposizioni che prevedono sanzioni amministrative),  per  violazione
complessivamente degli artt. 3, 25 e 97 della  Costituzione,  nonche'
per contrasto «con la legge  n.  689/1981  che  detta  la  disciplina
generale in tema di sanzioni amministrative». 
    1.1.- Secondo il  ricorrente,  l'art.  1  della  legge  regionale
impugnata - che vieta l'irrogazione  di  sanzioni  amministrative  in
materie  di  competenza  esclusiva  della  Regione  laddove  non  sia
consentita  la  previa  «regolarizzazione  degli  adempimenti  o   la
rimozione degli  effetti  della  violazione  da  parte  del  soggetto
interessato» - comporterebbe in sostanza l'introduzione di una  causa
di non punibilita' subordinata alla regolarizzazione della condotta o
alla  rimozione  degli  effetti  della  violazione   da   parte   del
trasgressore nel termine che gli venga assegnato; cio' che  finirebbe
per far venire totalmente meno l'efficacia deterrente della sanzione,
con  conseguente  irragionevolezza  della   disposizione   ai   sensi
dell'art. 3 Cost., nonche' contrasto della stessa  con  il  principio
del buon andamento della pubblica amministrazione di cui all'art.  97
Cost. 
    1.2.- Il medesimo art. 1, d'altra parte - rinviando a  successivi
provvedimenti della  Giunta  regionale,  da  assumere  entro  novanta
giorni  dall'entrata  in  vigore  della  medesima   legge   regionale
impugnata, la definizione della «tipologia della violazione» e  degli
«adempimenti che la regolarizzazione o  la  rimozione  degli  effetti
della  violazione   comportano»,   nonche'   l'individuazione   delle
«fattispecie  per  le  quali  non   e'   possibile   ricorrere   alla
regolarizzazione degli adempimenti o rimozione degli effetti,  attesa
la non sanabilita' ad opera dell'autore o  dell'obbligato  in  solido
degli effetti dell'azione  od  omissione  costituente  la  violazione
sanzionata in via amministrativa» - risulterebbe incompatibile con il
principio  di  legalita'  di  cui  all'art.  25  Cost.,  cosi'   come
interpretato dalla giurisprudenza  di  questa  Corte  (e'  citata  la
sentenza n. 134 del 2019). Alla luce di tale giurisprudenza,  secondo
il ricorrente il legislatore regionale non avrebbe potuto  «concedere
alla Giunta una cosi'  ampia  discrezionalita'  nel  disciplinare  il
procedimento irrogativo delle sanzioni amministrative  e  addirittura
nell'individuare i casi in cui puo'  essere  esclusa  -  mediante  il
meccanismo della diffida al ripristino - la irrogazione stessa  della
sanzione». 
    1.3.- Impugnato e' infine - per violazione degli artt. 3, 25 e 97
Cost. - anche l'art. 4 della legge reg. Veneto n. 25 del 2019, che ha
abrogato l'art. 2-bis della legge della  Regione  Veneto  28  gennaio
1977,  n.  10  (Disciplina   e   delega   delle   funzioni   inerenti
all'applicazione  delle   sanzioni   amministrative   di   competenza
regionale),   il   quale   prevedeva   l'istituto    della    diffida
amministrativa, con la  quale  la  normativa  regionale  veneta  gia'
prevedeva la possibilita' che, prima del  suo  accertamento  formale,
venisse formulato un invito a sanare la violazione entro  un  termine
non superiore a dieci giorni, in presenza di una serie di  condizioni
positive e negative non piu' riprodotte dalla nuova disciplina. 
    2.- Si e' costituita in giudizio la Regione Veneto, la  quale  ha
anzitutto eccepito l'inammissibilita' della censura relativa all'art.
4 della legge regionale impugnata, abrogativa del previgente istituto
della diffida amministrativa, rilevando  come  tale  abrogazione  non
leda alcuna competenza  statale,  ne'  possa  essere  qualificata  in
termini di irragionevolezza; e cio' «[a] meno  di  voler  considerare
l'istituto della diffida amministrativa alla stregua di un  principio
inderogabile, immanente all'ordinamento, e, in quanto  tale,  oggetto
di una previsione necessaria da  parte  del  legislatore,  statale  o
regionale, titolare della competenza  amministrativa  cui  accede  la
potesta' sanzionatoria». Il che non troverebbe pero' alcun  riscontro
ne' a  livello  costituzionale,  ne'  sul  piano  della  legislazione
ordinaria. 
    Quanto al merito delle censure relative all'art.  1  della  legge
reg. Veneto n. 25 del 2019, esse sarebbero infondate. 
    2.1.-  Sarebbe  in  particolare  da  escludere  la   censura   di
irragionevolezza della disposizione impugnata, dal momento  che  essa
si limiterebbe a introdurre «una fase  subprocedimentale  prodromica»
all'accertamento dell'illecito, «diretta a  verificare  il  possibile
concreto soddisfacimento  degli  interessi  sottesi  alla  disciplina
tutelata dalla previsione  sanzionatoria  [...]  in  uno  spirito  di
collaborazione con i cittadini, senza in  tal  modo  rinunciare  alla
potesta'  punitiva,  ove  la  stessa  sia   necessaria   a   presidio
dell'interesse generale». 
    Cio',  peraltro,  soltanto  con  riferimento  alle   materie   di
competenza esclusiva della Regione: materie nelle quali, in  base  al
principio  della  relazione  biunivoca   esistente   tra   competenza
amministrativa e competenza sanzionatoria (sono citate le sentenze di
questa Corte n. 90 del 2013, n. 240 del 2007, n. 384 del 2005 e n. 12
del 2004),  «appare  del  tutto  naturale  che  siano  le  Regioni  a
decidere, secondo scelta insindacabile di discrezionalita' politica e
legislativa,   se   prevedere   l'irrogazione   di    una    sanzione
amministrativa al  compimento  di  una  determinata  condotta  o  se,
invece,  introdurre  delle  forme  di  'sanatoria',   che   precedano
l'accertamento e l'irrogazione della sanzione». 
    La difesa regionale prosegue evocando vari esempi,  nella  stessa
legislazione statale,  di  regolarizzazioni  analoghe  a  quelle  ora
previste dal legislatore regionale, e in particolare l'art. 1,  comma
6, della legge 10 dicembre  2014,  n.  183  (Deleghe  al  Governo  in
materia di riforma degli ammortizzatori sociali, dei servizi  per  il
lavoro e delle politiche attive, nonche' in materia di riordino della
disciplina dei rapporti di lavoro e  dell'attivita'  ispettiva  e  di
tutela e conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di  lavoro),
nonche' l'art. 36 del d.P.R. 6 giugno 2001, n.  380,  recante  «Testo
unico delle  disposizioni  legislative  e  regolamentari  in  materia
edilizia (Testo A)». 
    La previsione della «regolarizzazione» o della  «rimozione  degli
effetti della violazione» da parte dell'art. 1, comma 1, della  legge
regionale  impugnata  dovrebbe  dunque  intendersi  come  preliminare
rispetto al perfezionamento dell'accertamento, si' che il verbale  di
accertamento divenga poi la semplice «ricognizione di un  accadimento
storico non piu' afflittivo del bene giuridico protetto  dalla  norma
sanzionatoria». 
    La finalita' della legge sarebbe, d'altra  parte,  «quella  della
promozione  della  massima  consapevolezza  della  sussistenza  della
previsione sanzionatoria in capo al soggetto sottoposto alla  norma»,
attraverso una  «opportuna  interlocuzione  preventiva  tra  pubblica
amministrazione» e destinatario del precetto;  finalita'  tanto  piu'
rilevante a fronte della crescente complessita' normativa  che  rende
piu' difficoltoso, per il cittadino, comprendere il significato delle
previsioni legislative e ad esse adeguarsi. 
    2.2.- Quanto poi al comma 2  dell'art.  1  impugnato,  la  difesa
regionale   obietta   che   alla   Giunta   regionale    competerebbe
esclusivamente «la determinazione  delle  modalita'  di  applicazione
dell'istituto introdotto dal legislatore regionale»,  onde  chiarirne
la portata ed «enucleare termini  e  modalita'  del  procedimento  di
regolarizzazione»:  un  compito   che   sarebbe   dunque   «meramente
compilatorio», e  che  non  attribuirebbe  all'organo  amministrativo
«alcun ruolo "creativo" o definitorio dei confini  tra  il  lecito  e
l'illecito», conformemente  ai  principi  che  questa  Corte  avrebbe
affermato nella sentenza n. 134 del 2019, pure invocata  nel  ricorso
statale. 
    2.3.- Anche la censura di violazione dell'art. 97 Cost.  sarebbe,
infine, infondata, giacche' la  norma  regionale  non  determinerebbe
alcuna rinuncia alla potesta' punitiva affidata alle cure  regionali,
avendo all'opposto  «lo  scopo  di  garantire,  mediante  un  dialogo
collaborativo con il cittadino, il  soddisfacimento  degli  interessi
generali sottesi alla disciplina amministrativa. In  una  visione  in
cui le istituzioni  non  si  contrappongo[no]  al  cittadino,  ma  si
pongono  invece  in  ascolto  dello  stesso  al  fine  di  realizzare
l'interesse pubblico con comunione di intenti e di azione». 
    3.- In prossimita' dell'udienza, la Regione Veneto ha  depositato
memoria in cui ha eccepito  altresi'  la  manifesta  inammissibilita'
delle censure  statali,  in  ragione  della  «assenza  di  specifiche
argomentazioni a sostengo delle doglianze», ribadendo poi le  proprie
argomentazioni a sostegno della non fondatezza del ricorso statale. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con il  ricorso  indicato  in  epigrafe,  il  Presidente  del
Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso   dall'Avvocatura
generale dello Stato, ha impugnato gli artt. 1, commi  1  e  2,  e  4
della legge della Regione Veneto 16 luglio 2019,  n.  25  (Norme  per
introdurre l'istituto  della  regolarizzazione  degli  adempimenti  o
rimozione degli effetti nell'ambito dei procedimenti di  accertamento
di violazioni di disposizioni che prevedono sanzioni amministrative),
per  violazione  complessivamente  degli  artt.  3,  25  e  97  della
Costituzione, nonche' per contrasto «con la  legge  n.  689/1981  che
detta la disciplina generale in tema di sanzioni amministrative». 
    L'art.  1,  comma  1,  impugnato  recita:  «Nei  procedimenti  di
accertamento per violazione di disposizioni normative, sanzionate  in
via amministrativa, in materie di competenza esclusiva della Regione,
nessun provvedimento sanzionatorio puo' essere irrogato se prima  non
sia consentita la regolarizzazione degli adempimenti o  la  rimozione
degli effetti della violazione da parte del soggetto interessato». 
    Prosegue il comma 2: «Ai fini di cui  al  comma  1  si  provvede,
secondo le modalita' e nei termini definiti  dalla  Giunta  regionale
con  propri  provvedimenti  da  assumere,   sentita   la   competente
commissione consiliare,  entro  e  non  oltre  novanta  giorni  dalla
entrata in vigore della presente legge, in relazione  alla  tipologia
della violazione e agli adempimenti  che  la  regolarizzazione  o  la
rimozione degli effetti  della  violazione  comportano;  alla  Giunta
regionale compete altresi', e con le stesse modalita', individuare le
fattispecie  per  le  quali   non   e'   possibile   ricorrere   alla
regolarizzazione degli adempimenti o rimozione degli effetti,  attesa
la non sanabilita' ad opera dell'autore o  dell'obbligato  in  solido
degli effetti della azione od  omissione  costituente  la  violazione
sanzionata in via amministrativa». 
    L'art.  4,  infine,  dispone  l'abrogazione  dell'istituto  della
diffida amministrativa, cosi' come  previsto  dall'art.  2-bis  della
legge della Regione Veneto 28  gennaio  1977,  n.  10  (Disciplina  e
delega  delle  funzioni  inerenti  all'applicazione  delle   sanzioni
amministrative di competenza regionale). 
    2.-  Va  anzitutto  dichiarata  manifestamente  inammissibile  la
censura - peraltro solo accennata nel ricorso statale -  fondata  sul
preteso contrasto tra  le  disposizioni  impugnate  e  la  disciplina
generale  delle  sanzioni  amministrative  dettata  dalla  legge   24
novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), che non ha rango
costituzionale  e  non  e'  qui  evocata  come  parametro  interposto
rispetto ad alcun parametro attinente al riparto  di  competenze  tra
Stato e Regioni (sentenza n. 134 del 2019). 
    3.-   Devono   invece   essere   disattese   le   eccezioni    di
inammissibilita'  formulate  dalla  difesa  regionale:   sia   quelle
(formulate  soltanto  con  la  memoria  illustrativa  depositata   in
prossimita'  dell'udienza)  relative  al  complesso  delle   restanti
censure statali, che la difesa regionale  ritiene  essere  del  tutto
sprovviste di motivazione, e  che  appaiono  invece  a  questa  Corte
supportate  da  sintetica  ma  chiara  argomentazione;   sia   quella
concernente l'impugnato art. 4 della legge  reg.  Veneto  n.  25  del
2019, dal momento che l'abrogazione  da  esso  operata  dell'indicato
istituto della diffida amministrativa appare -  nella  stessa  logica
della legge oggetto della presente  impugnazione  -  inscindibilmente
connessa alla introduzione, da parte dell'impugnato art. 1, comma  1,
in  luogo  della  precedente  diffida,  di  un  nuova  causa  di  non
punibilita'  dell'illecito  amministrativo,  concepita   quale   piu'
favorevole per il destinatario della norma. 
    4.-  Nel  merito,  possono  essere  esaminate  congiuntamente  le
questioni promosse in riferimento agli artt. 3 e  97  Cost.,  che  si
basano entrambe sull'argomento  secondo  cui  la  previsione  di  una
possibilita' di «regolarizzazione degli adempimenti» o di  «rimozione
degli effetti della violazione» da parte  del  soggetto  interessato,
nella fase prodromica al suo accertamento,  vanificherebbe  di  fatto
l'efficacia    deterrente    della    sanzione;    con    conseguente
irragionevolezza intrinseca della disciplina e  connesso  pregiudizio
al buon andamento della pubblica amministrazione. 
    Questa Corte ritiene che tali censure non siano fondate. 
    4.1.-  Il  ricorrente  assume  il  contrasto  delle  disposizioni
impugnate con principi - discendenti dagli artt. 3 e 97 Cost.  -  che
vincolano,  allo  stesso  modo,  il  legislatore  statale  e   quello
regionale. 
    La difesa regionale ribatte  anzitutto  che,  nell'ambito  stesso
della  legislazione  statale,  sarebbero  rinvenibili  vari  istituti
strutturati attorno a una logica analoga a  quella  della  disciplina
impugnata. 
    Peraltro,  gli  esempi  formulati  dalla  difesa  regionale   non
appaiono  particolarmente  calzanti:  il  primo  -  quello   previsto
dall'art. 1, comma 6, della legge 10 dicembre 2014, n.  183  (Deleghe
al Governo in materia di riforma degli  ammortizzatori  sociali,  dei
servizi per il lavoro e delle politiche attive, nonche' in materia di
riordino della disciplina dei rapporti  di  lavoro  e  dell'attivita'
ispettiva e di tutela e conciliazione delle esigenze di cura, di vita
e di lavoro) - perche' contenuto in una legge delega mai attuata  sul
punto specifico; il secondo - l'accertamento di  conformita'  di  cui
all'art. 36 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380,  recante  «Testo  unico
delle disposizioni legislative e regolamentari  in  materia  edilizia
(Testo A)» - giacche'  riferita  a  un  istituto  che,  da  un  lato,
presuppone l'originaria  conformita'  dell'intervento  edilizio  alla
disciplina urbanistica  ed  edilizia,  e  che,  dall'altro  lato,  e'
subordinato al pagamento, a titolo di oblazione,  del  contributo  di
costruzione maggiorato, in  chiave  evidentemente  sanzionatoria  per
l'illecito realizzato in assenza di permesso  di  costruire  o  delle
condizioni equiparate. 
    Anche altri istituti  di  carattere  riparatorio  previsti  dalla
legislazione statale tengono ferme talune conseguenze sanzionatorie -
sia pure significativamente attenuate - a carico del trasgressore che
abbia rimosso le conseguenze dell'illecito, conformandosi al precetto
precedentemente  violato,  entro  un  termine  concessogli   all'uopo
dall'autorita' che ha accertato l'illecito (si  vedano,  ad  esempio,
l'art. 13 del decreto legislativo 23 aprile  2004,  n.  124,  recante
«Razionalizzazione delle funzioni ispettive in materia di  previdenza
sociale e di lavoro, a norma dell'articolo 8  della  L.  14  febbraio
2003, n. 30»; gli artt. 20 e 21 del decreto legislativo  19  dicembre
1994, n. 758, recante «Modificazioni alla disciplina sanzionatoria in
materia di lavoro»; l'art. 301 del decreto legislativo 9 aprile 2008,
n. 81, recante «Attuazione dell'articolo 1 della legge 3 agosto 2007,
n. 123, in materia di tutela  della  salute  e  della  sicurezza  nei
luoghi di lavoro»; gli artt. da 318-bis  a  318-septies  del  decreto
legislativo  3  aprile  2006,  n.  152,  recante  «Norme  in  materia
ambientale»). 
    Nell'ambito del diritto penale tributario, poi, l'art. 13,  comma
1, del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 (Nuova disciplina dei
reati in materia di imposte sui redditi  e  sul  valore  aggiunto,  a
norma dell'articolo 9 della legge  25  giugno  1999,  n.  205),  come
sostituito  dall'art.  11,  comma  1,  del  decreto  legislativo   24
settembre 2015, n.  158  (Revisione  del  sistema  sanzionatorio,  in
attuazione dell'articolo 8, comma 1, della legge 11  marzo  2014,  n.
23), prevede la non punibilita' di taluni reati tributari  se,  prima
della dichiarazione di apertura del dibattimento di  primo  grado,  i
debiti tributari - comprensivi pero' degli interessi e delle sanzioni
irrogate dall'amministrazione - siano stati integralmente estinti. 
    Nel meccanismo disegnato dalla  legge  regionale  qui  impugnata,
invece, la «regolarizzazione degli adempimenti» o la «rimozione degli
effetti» dell'illecito avviene senza alcuna conseguenza sanzionatoria
per il suo autore, una volta che l'illecito sia stato scoperto  dagli
organi preposti, ma ancora non formalmente accertato. 
    Dal che la preoccupazione, sottesa al  ricorso  statale,  che  la
disciplina qui  censurata  possa  indebolire  l'efficacia  deterrente
delle sanzioni comminate dal legislatore regionale,  incentivando  in
sostanza il  destinatario  della  norma  a  tenere  il  comportamento
vietato o a non adempiere l'obbligo imposto dalla norma  sino  a  che
l'inosservanza non venga  scoperta  dagli  organi  a  cio'  preposti,
confidando nella possibilita' di un adempimento successivo, in  grado
di impedire l'irrogazione di ogni sanzione a suo carico. 
    4.2.- Tuttavia,  nel  sostenere  la  legittimita'  costituzionale
della  disposizione  impugnata  la  difesa  regionale  pone  altresi'
l'accento - da un lato -  sull'elevato  livello  di  complessita'  di
molte  prescrizioni  sanzionate  a  livello   amministrativo,   e   -
dall'altro  -  sulla  prospettiva  di  un   rapporto   tra   pubblica
amministrazione   e   consociati    imperniato    su    uno    schema
dialogico-collaborativo  anziche'  oppositivo,  che  si  traduce  qui
nell'imposizione di un obbligo di "avvertire"  il  privato  circa  la
necessita' di conformarsi  al  precetto,  opportunamente  chiaritogli
nella sua portata  dall'organo  preposto  all'accertamento,  e  nella
conseguente concessione in suo favore di un termine per  consentirgli
l'adeguamento al precetto stesso, prima che possa essere  dato  avvio
al vero e proprio procedimento sanzionatorio. Un meccanismo,  questo,
che - osserva la difesa regionale -  potrebbe  anche  risultare  piu'
efficace in termini di tutela degli  interessi  sostanziali  tutelati
dalla norma sanzionatoria, preoccupandosi di  ottenere  l'adempimento
(ancorche'  tardivo)  del  precetto,  piuttosto  che  di   assicurare
l'indefettibilita' della sanzione. 
    4.3.- A fronte di  tali  opposte  prospettazioni,  nessuna  delle
quali sfornita di plausibilita', il sindacato di questa  Corte  -  al
metro degli evocati artt. 3 e 97 Cost. - non puo' che cedere il passo
alla discrezionalita' del  legislatore,  in  questo  caso  regionale,
nell'individuazione   dei   meccanismi   sanzionatori   che    meglio
garantiscano,  secondo  le  (non   irragionevoli)   valutazioni   del
legislatore medesimo, la  tutela  degli  interessi  sottostanti  alle
norme amministrativamente sanzionate. 
    Non sfugge, tra  l'altro,  a  questa  Corte  che  in  riferimento
all'ambito contiguo del diritto penale la possibilita'  di  riservare
maggiore spazio a meccanismi di riduzione o addirittura di esclusione
della pena, a fronte di condotte riparatorie  delle  conseguenze  del
reato da parte del suo autore, e' stata esplorata recentemente  anche
dal legislatore statale con l'introduzione del nuovo art. 162-ter del
codice penale ad opera della legge 23 giugno 2017, n. 103  (Modifiche
al codice penale, al codice di  procedura  penale  e  all'ordinamento
penitenziario), che prevede per l'appunto  l'estinzione  dei  delitti
procedibili a querela soggetta a remissione -  senza  alcuna  residua
sanzione per il trasgressore - quando, anche in assenza di remissione
della querela da parte della persona offesa,  questi  abbia  riparato
interamente il danno cagionato dal reato ed eliminato, ove possibile,
le conseguenze dannose o pericolose  di  esso  entro  l'apertura  del
dibattimento di primo grado. 
    Scelte legislative siffatte corrispondono a legittime opzioni  di
politica criminale o di politica sanzionatoria, che questa  Corte  ha
il dovere di rispettare, nella misura in  cui  non  trasmodino  nella
manifesta irragionevolezza o non si traducano - nella  materia  delle
sanzioni amministrative - in un evidente pregiudizio al principio del
buon andamento dell'amministrazione; cio'  che  appare  da  escludere
rispetto a una disciplina come quella in questa sede all'esame. 
    5.- Sono, invece, fondate le questioni promosse in riferimento al
principio di legalita' delle sanzioni amministrative,  da  intendersi
come  implicitamente  riferite  all'art.  23  Cost.  anziche',   come
erroneamente indicato dal ricorrente,  all'art.  25,  secondo  comma,
Cost., come si evince dal tenore complessivo  della  motivazione  del
ricorso. 
    5.1.- Va preliminarmente rammentato che, secondo l'ormai costante
giurisprudenza di questa Corte, le garanzie discendenti dall'art. 25,
secondo comma, Cost. si applicano anche agli illeciti e alle sanzioni
amministrative di carattere sostanzialmente punitivo (sentenze n. 134
del 2019, n. 223 del 2018, n. 121 del 2018, n. 68 del  2017,  n.  276
del 2016 e n. 104 del 2014),  con  l'eccezione  pero'  della  riserva
assoluta di legge statale,  che  vige  per  il  solo  diritto  penale
stricto sensu, come da ultimo precisato dalla  sentenza  n.  134  del
2019. Tale pronuncia ha altresi' ribadito che il potere sanzionatorio
amministrativo - che il legislatore regionale  ben  puo'  esercitare,
nelle materie di propria competenza - resta  comunque  soggetto  alla
riserva di legge relativa all'art. 23 Cost., intesa qui  anche  quale
legge regionale. 
    Anche rispetto al diritto sanzionatorio amministrativo - di fonte
statale o regionale che sia - si pone,  in  effetti,  un'esigenza  di
predeterminazione  legislativa  dei  presupposti  dell'esercizio  del
potere sanzionatorio, con riferimento sia alla  configurazione  della
norma di condotta la cui inosservanza e'  soggetta  a  sanzione,  sia
alla tipologia e al quantum della sanzione stessa,  sia  -  ancora  -
alla struttura di  eventuali  cause  esimenti.  E  cio'  per  ragioni
analoghe a quelle sottese al principio di legalita' che vige  per  il
diritto penale in senso stretto, trattandosi, pure in questo caso, di
assicurare al consociato tutela contro possibili abusi da parte della
pubblica autorita'  (sentenza  n.  32  del  2020,  punto  4.3.1.  del
Considerato  in  diritto):  abusi   che   possono   radicarsi   tanto
nell'arbitrario esercizio del potere sanzionatorio,  quanto  nel  suo
arbitrario non esercizio. 
    Questa esigenza e' stata, del resto, gia' posta  in  evidenza  da
una risalente pronuncia di questa Corte, che ha altresi'  ricollegato
espressamente la ratio  della  necessaria  «prefissione  ex  lege  di
rigorosi criteri di esercizio del potere relativo all'applicazione (o
alla non applicazione)» delle sanzioni amministrative al principio di
imparzialita' dell'amministrazione di cui all'art.  97  Cost.,  oltre
che alla riserva di legge di cui all'art. 23 Cost. (sentenza  n.  447
del 1988). 
    Tutto  cio'   impone   che   a   predeterminare   i   presupposti
dell'esercizio del  potere  sanzionatorio  sia  l'organo  legislativo
(statale o regionale), il quale rappresenta l'intero  corpo  sociale,
consentendo anche alle  minoranze,  nell'ambito  di  un  procedimento
pubblico e trasparente, la piu' ampia partecipazione al  processo  di
formazione della legge  (sentenza  n.  230  del  2012);  mentre  tale
esigenza non puo' ritenersi soddisfatta  laddove  questi  presupposti
siano nella loro sostanza fissati da un atto amministrativo, sia pure
ancora di carattere generale. 
    E' bensi' vero che la riserva  di  legge  espressa  dall'art.  23
Cost. e'  intesa  quale  riserva  relativa,  che  tollera  come  tale
maggiori margini di integrazione da parte di fonti secondarie  (cosi'
anche la gia' citata sentenza n. 134 del 2019); ma  questa  Corte  ha
gia' avuto modo di precisare che  tale  carattere  della  riserva  in
questione  «non  relega  [...]  la  legge  sullo  sfondo,  ne'   puo'
costituire giustificazione sufficiente per un rapporto con  gli  atti
amministrativi concreti ridotto  al  mero  richiamo  formale  ad  una
prescrizione normativa "in bianco"  [...],  senza  una  precisazione,
anche   non   dettagliata,   dei   contenuti   e   modi   dell'azione
amministrativa  limitativa  della  sfera  generale  di  liberta'  dei
cittadini»; dovendosi anzi riconoscere rango  di  «principio  supremo
dello Stato di diritto» all'idea secondo cui i consociati sono tenuti
«a sottostare soltanto agli obblighi di fare, di non fare o  di  dare
previsti in via generale dalla legge» (sentenza n. 115  del  2011,  e
numerosi precedenti ivi richiamati). 
    Tale principio implica dunque che - laddove la legge rinvii a  un
successivo provvedimento amministrativo generale o ad un  regolamento
- sia comunque  la  legge  stessa  a  definire  i  criteri  direttivi
destinati  a  orientare  la   discrezionalita'   dell'amministrazione
(sentenza n. 174 del 2017; in senso analogo, sentenze n. 83 del  2015
e n. 435 del 2001). Cio' che non puo'  non  valere  anche  quando  la
prestazione  imposta  abbia  natura  sanzionatoria  di  una  condotta
illecita. 
    5.2.- Una simile esigenza di predeterminazione,  da  parte  della
fonte   primaria,   dei   presupposti   dell'applicazione   (o    non
applicazione) della sanzione amministrativa non  puo',  all'evidenza,
ritenersi soddisfatta da una disciplina come  quella  all'esame,  che
affida quasi interamente a un atto della Giunta la disciplina  di  un
istituto  che,  secondo  le  dichiarate  intenzioni  del  legislatore
regionale, ha lo scopo di evitare di sanzionare chi  pure  sia  stato
sorpreso a violare la legge. 
    Tale disciplina - lungi dal limitarsi ad  affidare  all'autorita'
amministrativa un  ruolo  «meramente  compilatorio»,  come  sostenuto
dalla difesa regionale, e lungi dal riservare  alla  stessa  semplici
specificazioni di carattere  tecnico  del  precetto,  come  nel  caso
deciso da questa Corte con la sentenza  n.  134  del  2019  -  omette
infatti radicalmente di definire il preciso  ambito  di  applicazione
dell'istituto, ivi compresi  i  casi  in  cui  la  sanabilita'  della
violazione e' da escludere; ne' indica il termine entro il  quale  il
trasgressore  e'  ammesso  a  «regolarizzare  gli  adempimenti»  o  a
«rimuovere gli effetti» della violazione, nonche' - non da  ultimo  -
le conseguenze delle medesime condotte,  dal  momento  che  la  legge
regionale  non  precisa  in  alcun  luogo  se  la  conseguenza  della
regolarizzazione o rimozione  degli  effetti  sia  effettivamente  il
venir meno di qualsiasi sanzione, ovvero una mera riduzione di quella
originariamente prevista. 
    Tutti questi profili sono affidati  pressoche'  interamente  alle
determinazioni  di  un  atto  della  Giunta  regionale,  da  assumere
semplicemente  «sentita  la   competente   commissione   consiliare»,
anziche' essere predeterminati dalla legge regionale stessa. 
    Dal che il contrasto della disciplina medesima con  il  principio
di legalita' delle sanzioni amministrative di cui all'art. 23 Cost. 
    6.- La radicale lacuna nella predeterminazione legislativa  della
disciplina della  «regolarizzazione  degli  adempimenti  o  rimozione
degli  effetti  nell'ambito  dei  procedimenti  di  accertamento   di
violazioni di disposizioni  che  prevedono  sanzioni  amministrative»
introdotta con  la  legge  reg.  Veneto  n.  25  del  2019  determina
l'illegittimita' costituzionale tanto dell'art. 1, commi 1 e  2,  che
prevedono - senza compiutamente disciplinarlo  -  l'istituto;  quanto
dell'art. 4, che abroga il previgente istituto della diffida previsto
dall'art. 2-bis della legge reg. Veneto n. 10 del 1977, sull'evidente
presupposto della sua sostituzione con la  normativa  ora  dichiarata
costituzionalmente illegittima. 
    Visto l'art. 27 della legge 11 marzo 1953,  n.  87  (Norme  sulla
costituzione e sul  funzionamento  della  Corte  costituzionale),  la
dichiarazione di illegittimita'  costituzionale  va  peraltro  estesa
anche alle restanti disposizioni della legge reg. Veneto  n.  25  del
2019,  che   appaiono   tutte   inscindibilmente   dipendenti   dalla
regolamentazione del nuovo istituto contenuta  nei  primi  due  commi
dell'art. 1. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    1) dichiara l'illegittimita' costituzionale degli artt. 1,  commi
1 e 2, e 4 della legge della Regione Veneto 16  luglio  2019,  n.  25
(Norme  per  introdurre  l'istituto  della   regolarizzazione   degli
adempimenti o rimozione degli effetti nell'ambito dei procedimenti di
accertamento di violazioni di  disposizioni  che  prevedono  sanzioni
amministrative); 
    2) dichiara, in via consequenziale, ai sensi dell'art.  27  della
legge  11  marzo  1953,  n.  87  (Norme  sulla  costituzione  e   sul
funzionamento   della   Corte    costituzionale),    l'illegittimita'
costituzionale degli artt. 1, commi 3, 4, 5 e 6, 2, 3, 5  e  6  della
legge reg. Veneto n. 25 del 2019; 
    3)  dichiara  manifestamente  inammissibili   le   questioni   di
legittimita' costituzionale degli artt. 1, commi 1 e  2,  e  4  della
legge reg. Veneto n. 25 del 2019, promosse,  per  contrasto  «con  la
legge n. 689/1981  che  detta  la  disciplina  generale  in  tema  di
sanzioni amministrative», dal Presidente del Consiglio  dei  ministri
con il ricorso indicato in epigrafe; 
    4)  dichiara   non   fondate   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale degli artt. 1, commi 1 e  2,  e  4  della  legge  reg.
Veneto n. 25 del 2019, promosse, in riferimento complessivamente agli
artt. 3 e 97 della Costituzione, dal  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri con il ricorso indicato in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 2 dicembre 2020. 
 
                                F.to: 
                   Giancarlo CORAGGIO, Presidente 
                    Francesco VIGANO', Redattore 
                    Filomena PERRONE, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 18 gennaio 2021. 
 
                           Il Cancelliere 
                       F.to: Filomena PERRONE