N. 205 ORDINANZA (Atto di promovimento) 24 settembre 2020
Ordinanza del 24 settembre 2020 del Tribunale di Genova nel procedimento civile promosso da G. G. contro Ministero dell'interno, Prefettura di Genova - Ufficio territoriale di governo. Elezioni - Testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilita' e di divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi - Cariche elettive presso gli enti locali - Sospensione di diritto dalla carica di sindaco per coloro che abbiano riportato una condanna non definitiva per taluni delitti - Mancata previsione della possibilita' di effettuare una valutazione di proporzionalita' tra la condanna riportata e il provvedimento di sospensione. - Decreto legislativo 31 dicembre 2012, n. 235 (Testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilita' e di divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi, a norma dell'articolo 1, comma 63, della legge 6 novembre 2012, n. 190), art. 11, commi 1, lettera a), e 4.(GU n.5 del 3-2-2021 )
IL TRIBUNALE ORDINARIO DI GENOVA Prima Sezione riunito in Camera di consiglio nelle persone dei magistrati: dott. Mario Tuttobene, Presidente; dott. Maria Cristina Scarzella, giudice; dott. Francesca Lippi, giudice relatore, a scioglimento della riserva decorrente dal 14 luglio 2020 e all'esito della camera di consiglio tenutasi in data 17 luglio 2020 ha pronunciato la seguente ordinanza di rimessione degli atti alla Corte costituzionale nel procedimento ex art. 22, decreto legislativo n. 150/2011 promosso da G. G. rappresentato e difeso dall'avv.to prof. Daniele Granara e dall'avv.to Chiara Fatta nei confronti di: Ministero dell'interno Ufficio territoriale di governo - Prefettura di Genova rappresentati e difesi all'Avvocatura distrettuale dello Stato. Sui fatti dedotti e sulle questioni di legittimita' costituzionale sollevate da G. G. G. G. in occasione delle elezioni amministrative svoltesi in data 26 maggio 2019 e' stato eletto sindaco del Comune di ... Con sentenza emessa in data 30 maggio 2019 il Tribunale di Genova lo ha condannato alla pena della reclusione anche per il reato continuato di peculato commesso tra il 2010 e il 2012, nel periodo in cui ricopriva la carica di consigliere regionale della Liguria (dal 2005 al 2015). Con provvedimento prot. n. 40239 del 31 maggio 2019 il Prefetto di Genova, avuta la comunicazione della sentenza non definitiva emessa dal Tribunale di Genova, ha sospeso di diritto G. G. ai sensi dell'art. 11, comma 1, lettera a) e comma 5, del decreto legislativo 31 dicembre 2012, n. 2351 dalla carica di sindaco del Comune di ... Nel presente giudizio G., sul presupposto che il provvedimento prefettizio sia ingiusto, errato e lesivo dei suoi diritti, ha chiesto al Tribunale di: 1. accertare e dichiarare la nullita' e/o illegittimita' del provvedimento prefettizio e conseguentemente la disapplicazione del medesimo; 2. accertare e dichiarare il diritto del sig. G. ad esercitare la carica e le funzioni di sindaco; 3. previa sospensione del giudizio e proposizione degli atti nanti la Corte costituzionale delle questioni di legittimita' costituzionale illustrate in narrativa; 4. previa sospensione del giudizio e proposizione nanti la Corte di giustizia dell'UE della questione pregiudiziale illustrata in narrativa. In primo luogo il ricorrente ha dedotto la nullita' e/o illegittimita' del provvedimento prefettizio per violazione e/o falsa applicazione dell'art. 11, comma 1, lettera A) e comma 5 del decreto legislativo n. 235/2012 e dell'art. 544, comma 3 del codice di procedura penale in quanto adottato anteriormente al deposito della motivazione della sentenza penale di condanna, che ne costituisce presupposto necessario ed indefettibile. Ha inoltre denunciato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 11, comma 1, lettera A) del decreto legislativo n. 235/2012 per violazione degli articoli 3, 24, 27 comma 2 della Costituzione, nonche' dell'art. 17, comma 1 Cost. in relazione alla violazione dell'art. 6 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, nonche' degli articoli 47 e 48 della Carta di Nizza e del principio di effettivita' della tutela giurisdizionale. Ha evidenziato, infatti, che l'art. 28 codice penale prevede la pena accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici e la conseguente perdita da parte del condannato dei diritti di elettorato attivo e passivo, dalla irrevocabilita' della sentenza, sottolineando la disparita' di trattamento con la fattispecie, in esame, posto che l'interdizione dai pubblici uffici e' comminata solo dopo il passaggio in giudicato della sentenza e per reati ben piu' gravi rispetto a quelli indicati nell'art. 11 del decreto legislativo n. 235/2012. Ha inoltre rilevato che l'art. 27 della Costituzione e l'art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali enunciano il c.d. principio della presunzione di non colpevolezza, che impone di non considerare colpevole l'imputato fino a che non sia intervenuta una sentenza definitiva. Ha richiamato l'art. 588 c.p.p. secondo cui «dal momento della pronuncia, durante i termini per impugnare e fino all'esito del giudizio di impugnazione, l'esecuzione del provvedimento impugnato e' sospesa, salvo che la legge disponga altrimenti.» In ogni caso G. ha sostenuto che, indipendentemente dalla natura sanzionatoria o cautelare del provvedimento prefettizio, l'art. 11 del decreto legislativo n. 235/2012 dovrebbe essere dichiarato incostituzionale nella parte in cui preclude al giudice civile, anche in via d'urgenza adito ex art. 700 codice di procedura civile, la possibilita' di riesaminare gli accertamenti del giudice penale. Ha osservato che, benche' la Corte costituzionale con la pronuncia n. 236/2015 abbia affermato che la sospensione dalla carica elettiva sia una misura cautelare, il fatto che essa operi di diritto - senza verifica del fumus bonis iuris e del periculum in mora - e che sia insindacabile smentisce intrinsecamente la natura stessa della cautela. Il ricorrente ha inoltre denunciato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 11, comma 1, lettera A) del decreto legislativo n. 235/2012 per violazione degli articoli 2, 3, 25 comma 2, 27 comma 2 e 51 Costituzione, nonche' per violazione dell'art. 117, comma 1 della Costituzione in relazione agli articoli 6 e 7 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali e degli articoli 48, comma 1 e 49, comma 1 della Carta di Nizza, evidenziando che il decreto legislativo e' entrato in vigore il 5 gennaio 2013, mentre i reati a lui ascritti risalgono agli anni compresi tra il 2010 ed il 2012. Il decreto legislativo n. 235/2012 sarebbe quindi costituzionalmente illegittimo nella parte in cui prevede la sospensione dalla carica elettiva per fatti commessi anteriormente alla sua entrata in vigore, per violazione del principio di irretroattivita' della legge penale. Infatti, secondo la prospettazione del ricorrente, la misura della sospensione avrebbe natura sanzionatoria in quanto: consegue ad una condanna non definitiva, costituisce una anticipazione della punizione, ha carattere essenzialmente afflittivo, per essere connessa ad un giudizio di indegnita' morale del soggetto che ne e' colpito, e si applica automaticamente senza possibilita' per il giudice di graduarne la durata., con conseguente applicabilita' degli articoli 6 e 7 della Convenzione che sanciscono il principio di irretroattivita' della sanzione penale. In via subordinata il ricorrente ha chiesto al Tribunale di sospendere il giudizio ai sensi dell'art. 295 del codice di procedura civile e di rimettere in via pregiudiziale gli atti alla Corte di giustizia dell'UE ai sensi dell'art. 267 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea con riferimento agli articoli 47, 48 e 49 della Carta di Nizza, assumendo che l'art. 11, comma 1, lettera a) del decreto legislativo n. 235/2012 si pone in contrasto con: art. 48 Carta di Nizza nella parte in cui prevede che la sospensione consegua ad una sentenza di condanna non definitiva; art. 49 Carta di Nizza nella parte in cui prevede l'applicazione retroattiva della sospensione con natura evidentemente sanzionatoria e affilittiva; art. 47 Carta di Nizza nella parte in cui non prevede la giustiziabilita' della sospensione, precludendo qualsivoglia rimedio giurisdizionale, in violazione del principio di effettivita' della tutela giurisdizionale. Secondo la Corte di giustizia dell'UE «le modalita' procedurali dei ricorsi intesi a garantire la tutela dei diritti spettanti ai singoli in forza del diritto comunitario non devono essere meno favorevoli di quelle che riguardano ricorsi analoghi di natura interna (principio di equivalenza) ne' devono rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l'esercizio dei diritti conferiti dall'ordinamento giuridico comunitario (principio di effettivita')» (ex multis Corte di giustizia C-432/05, C-13/01, C-87/90 e C-89/90). Infine il ricorrente ha denunciato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 11, comma 1, lettera A) del decreto legislativo n. 235/2012 per violazione degli articoli 76-77 Cost. in relazione al vizio di eccesso di delega. Il decreto legislativo n. 235/2012 e' stato infatti adottato dal legislatore delegato in forza dell'art. 1, commi 63 e 64 della legge delega del 6 novembre 2012, n. 190 ai sensi della quale veniva richiesto di «m) disciplinare le ipotesi di sospensione e decadenza di diritto dalle cariche di cui al comma 63 in casa di sentenza definitiva di condanna per delitti non colposi successiva alla candidatura o all'affidamento della carica.». L'art. 11, comma 1, lettera A) del decreto legislativo n. 235/2012 sarebbe illegittimo per eccesso di delega in quanto il legislatore delegato ha previsto la sospensione di diritto delle cariche elettive a seguito di una condanna non definitiva, senza specificare se che la stessa debba intervenire successivamente alla candidatura o all'assunzione della carica, il che lascia intendere che essa possa essere anche antecedente alla presentazione della candidatura o all'assunzione della carica. Il ricorrente - pur riconoscendo che tale censura di incostituzionalita' per eccesso di delega e' gia' stata delibata dalla Consulta nella sentenza n. 276/2016 e che e' stata esclusa la violazione dell'art. 76 Cost. in quanto l'art. 1 comma 64, lettera M) della legge n. 190/2012 e' da interpretare nel senso che il periodo che segue «decadenza di diritto» si riferisce solo alla decadenza e non alla sospensione - ha sostenuto che, pur aderendo all'interpretazione prospettata dalla Corte costituzionale, la locuzione «di diritto», per ragioni di coerenza e logica, dovrebbe essere riferita alla sola decadenza e non anche alla sospensione. L'istituto della sospensione non dovrebbe, quindi, operare di diritto, ma dovrebbe essere adottata con un provvedimento amministrativo discrezionale, nel rispetto delle prescrizioni imposte dalla legge 7 agosto 1990, n. 241, tra cui la comunicazione di avvio del procedimento, la partecipazione procedimentale del destinatario del provvedimento e l'articolata motivazione del provvedimento finale. Secondo le difese svolte nel presente giudizio dal Ministero dell'interno e dalla Prefettura, invece, tutte le doglianze espresse dall'attore non sono meritevoli di accoglimento in quanto presuppongono la natura sanzionatoria della misura di sospensione prevista dal richiamato art. 11, che invece deve essere esclusa sulla base del consolidato orientamento della Corte costituzionale di cui alle sentenze n. 236/2015 e n. 276/2016 e n. 36/2019. La Corte, infatti, investita in piu' occasioni della valutazione di eventuali profili di illegittimita' costituzionale della normativa in oggetto, ha affermato costantemente che la sospensione «costituisce una misura cautelare diretta ad evitare che coloro che sono stati condannati anche in via non definitiva per determinati reati gravi o comunque offensivi della PA rivestano cariche amministrative, mettendo cosi' in pericolo il buon andamento dell'amministrazione stessa e la sua onorabilita', e anche in questi casi il bilanciamento operato dal legislatore fra il menzionato interesse pubblico e gli altri interessi, pubblici e privati, in gioco, non appare irragionevole.». La Corte ha escluso che «le misure della incompatibilita', della decadenza e della sospensione abbiano carattere sanzionatorio» rappresentando solo «conseguenze del venir meno di un requisito soggettivo per l'accesso alle cariche amministrative e della PA» trattandosi la sospensione «di mera anticipazione dell'effetto interdittivo derivatone dal giudicato, anch'esso parimenti non diretto a finalita' punitive.». E ancora: «la sospensione della carica prevista nella disposizione all'esame di questa Corte e' limitata a diciotto mesi, decorsi i quali la sospensione viene meno» e pertanto «risulta assente quel connotato di speciale gravita' necessario perche' la misura che non presenta finalita' deterrente e punitiva possa essere assimilata, sul piano della sua afflittivita', a una sanzione penale o a una sanzione amministrativa.». La natura latu sensu cautelare dell'istituto era gia' stata riconosciuta dalla Consulta con riferimento alla disciplina contenuta nell'art. 15, comma 4-bis della legge 19 marzo 1990, n. 55. Secondo i convenuti non coglie nel segno la tesi secondo cui l'art. 11 del decreto legislativo n. 235 del 2012 costituirebbe un vulnus al diritto alla difesa in quanto non e' vero che contro la misura sospensiva non sia dato strumento giurisdizionale, tanto meno in sede di urgenza. La legge infatti non sottrae al vaglio giurisdizionale il provvedimento, ma semplicemente sottrae all'Amministrazione la scelta dell'applicazione della misura a carattere vincolato. Anche la doglianza relativa all'asserita violazione del principio di irretroattivita' della sanzione penale sarebbe infondata perche' si basa sull'assunto erroneo della natura sanzionatoria della misura. In ordine alla violazione dell'art. 7 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali la Corte asserisce che «dal quadro delle garanzie apprestate dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali come interpretate dalla Corte europea dei diritti dell'uomo non e' ricavabile un vincolo ad assoggettare una misura amministrativa cautelare, quale la sospensione dalle cariche elettive in conseguenza di una condanna penale non definitiva, al divieto convenzionale di retroattivita' della legge penale» (Corte cost. n. 276/2016). Neppure la ritenuta violazione degli articoli 76 e 77 della Costituzione per vizio di eccesso di delega avrebbe pregio in quanto tale aspetto e' stato gia' affrontato dal giudice delle leggi. La determinazione dei principi e criteri direttivi richiesta dall'art. 76 Cost. per una valida delegazione legislativa, non elimina ogni discrezionalita' nell'esercizio della delega «essendo vero, al contrario, che tale discrezionalita' sussiste in quell'ambito che principi e criteri, proprio perche' tali, circoscrivono, ma non eliminano» (ex multis Corte costituzionale n. 272/2012). Occorre considerare che la disciplina in questione muove da una rivisitazione della normativa previgente per realizzare un efficace mezzo di prevenzione delle forme di corruzione e di contrasto delle illegalita' contro la PA, in attuazione della legge n. 190/2012 diretta a sua volta all'attuazione dell'art, 6 della convenzione dell'ONU contro la corruzione ratificata ai sensi della legge 3 agosto 2009, n. 116, nonche' degli articoli 20 e 21 della convenzione penale sulla corruzione stipulata da Strasburgo e ratificata dalla legge 28 giugno 2012, n. 110. Le finalita' di implementazione della lotta alla corruzione mal si concilierebbero non solo con la sostanziale soppressione di fatto della figura in caso di sua correlazione alla definitivita' della condanna, ma anche con una estensione alla medesima dell'ulteriore limite della necessaria posteriorita' della condanna, in quanto la conseguente restrizione dell'ambito di operativita' dell'istituto si tradurrebbe in un ulteriore debilitazione dell'incisivita' del sistema delineato dal legislatore. Tali considerazioni sono state anche confermate dalla Corte costituzionale n. 276/2016 che ha ritenuto infondata la questione di eccesso di delega evidenziando che nella normativa precedente la sospensione operava senza una condanna definitiva e che quindi se il legislatore delegante avesse previsto diversamente sarebbe di fatto andato ad innovare la disciplina e modificare in modo significativo la situazione previgente. «L'intenzione di innovare cosi' radicalmente il regime della sospensione e della decadenza e, in definitiva, di ammorbidire gli strumenti di prevenzione dell'illegalita' nella pubblica amministrazione non trova tuttavia riscontro nella chiara lettera della legge delega. A differenza degli altri criteri direttivi, che esprimono univocamente una volonta' innovativa, non menziona affatto l'eliminazione della sospensione cautelare e della decadenza dalle cariche elettive.». A cio' la Corte aggiunge che «la formulazione del comma 64, lettera m), del resto, non e' tale da escludere un'interpretazione in continuita' con il regime precedente, secondo la quale la legge delega non intendeva affatto stravolgere l'assetto anteriore.». Sulla giurisdizione del giudice ordinario e sulla competenza per territorio del Tribunale di Genova. Le S.U. della Corte di cassazione hanno costantemente enunciato il principio di diritto secondo cui «in materia di contenzioso elettorale, amministrativo sono devolute al giudice ordinario le controversie concernenti l'ineleggibilita', la decadenza e l'incompatibilita', in quanto volte alla tutela del diritto soggettivo perfetto inerente all'elettorato passivo, ne' la giurisdizione del giudice ordinario incontra limitazioni o deroghe per il caso in cui la questione di eleggibilita' venga introdotta mediante impugnazione del provvedimento di decadenza, perche' anche in tale ipotesi la decisione verte non sull'annullamento dell'alto amministrativo, bensi' sul diritto soggettivo perfetto inerente l'elettorato attivo o passivo» (cfr Cassazione, S.U. n. 5574/2012, Cassazione, S.U. n. 11646/2003; Cassazione, S.U. n. 8469/2004). Inoltre con la sentenza n. 11131/15 resa a Sezioni unite la suprema Corte, risolvendo il conflitto con la giurisdizione amministrativa, adita in prima battuta, ha rilevato che «in tema di enti pubblici locali la sospensione dalla carica elettiva a norma dell'art. 11 del decreto legislativo 31 dicembre 2012, n. 235 consegue direttamente ed esclusivamente alla condanna penale dell'eletto in quanto il decreto prefettizio che accerta la sussistenza della causa di sospensione e' provvedimento non discrezionale ma vincolato. Ha ritenuto pertanto che l'impugnazione della sospensione rientri nella giurisdizione ordinaria a tutela del diritto soggettivo di elettorato passivo, che non si esaurisce con la partecipazione all'elezione, ma si estende allo svolgimento della funzione elettiva.». Quanto alla competenza del Tribunale di Genova essa e' radicata in virtu' dell'art. 25 del codice di procedura civile, essendo convenuta in giudizio una amministrazione dello Stato, oltre che per il fatto che la controversia ha ad oggetto il diritto di elettorato passivo di organi di amministrazione locale operanti nell'ambito del circondario del Tribunale di Genova (art. 82, primo comma, decreto del Presidente della Repubblica 16 maggio 1960, n. 570). Sull'interesse attuale e concreto del ricorrente. Il ricorrente e' portatore di un interesse attuale e concreto ex art. 100 del codice di procedura civile ad ottenere una sentenza che accerti il diritto di elettorato passivo, diritto soggettivo costituzionalmente garantito ex art. 51, primo comma, Cost., in quanto riveste tuttora la carica di sindaco, pur essendo stato temporaneamente sospeso per il periodo di diciotto mesi dalle funzioni per effetto del provvedimento prefettizio emesso ai sensi dell'art. 11, primo comma, lettera a, e comma 4, del decreto legislativo n. 235/2012 di cui chiede la disapplicazione e denuncia l'illegittimita' costituzionale. Sulla nullita' e/o illegittimita' del provvedimento prefettizio per violazione e/o falsa applicazione dell'art. 11, comma 1, lettera A) e comma 5 del decreto legislativo n. 235/2012 e dell'art. 544, comma 3, c.p.p in quanto adottato anteriormente al deposito della motivazione della sentenza penale di condanna. L'art. 545 del codice di procedura civile prevede che la sentenza e' pubblicata in udienza del presidente o da un giudice del collegio mediante la lettura del dispositivo. La pubblicazione e il deposito della sentenza hanno finalita' diverse. La prima conclude la fase della deliberazione in Camera di consiglio e consacra la decisione definitiva non piu' modificabile. Il secondo serve a mettere l'atto a disposizione della parti e segna i tempi per l'impugnazione (art. 585 c.p.p.). Per tale ragione non sono condivisibili le ragioni di nullita' ed illegittimita' del provvedimento prefettizio in quanto la sentenza di condanna nei confronti di G. G. (pubblicata in data 30 maggio 2019) e' intervenuta prima dell'emissione del provvedimento prefettizio (emesso in data 31 maggio 2019). Sulla rilevanza e sulla non manifesta infondatezza delle questioni di legittimita' costituzionale. L'art. l della legge costituzionale n. 1 del 1948, stabilisce che: «La questione di legittimita' costituzionale di una legge o di un atto avente forza di legge della Repubblica, rilevata d'ufficio o sollevata da una delle parti nel corso di un giudizio e ritenuta dal giudice non manifestamente infondata, e' rimessa alla Corte costituzionale per la sua decisione». Detta disposizione si salda con quella dell'art. 23 della legge n. 87 del 1953, la quale, con terminologia letteralmente piu' restrittiva, prevede che: «Nel corso di un giudizio dinanzi ad un'autorita' giurisdizionale una delle parti o il pubblico ministero possono sollevare questione di legittimita' costituzionale mediante apposita istanza». In base ad esse il giudice puo' sollevare questione relativamente a una disposizione di legge solo e nei limiti in cui essa deve essere applicata in una controversia concreta. La necessaria applicabilita' dell'atto sindacato costituisce una logica, diretta derivazione del carattere incidentale del controllo di costituzionalita'. Se non si richiedesse l'applicazione nel giudizio a quo della disposizione asseritamente illegittima, il giudice potrebbe formulare questioni di costituzionalita' del tutto sganciate dalle vicende applicative della legge e, dunque, astratte od ipotetiche; la rilevanza e' cio' che assicura la concretezza della questione e instaura un legame fra il giudizio costituzionale e il giudizio a quo. Gli interessi tutelati nei due distinti ed autonomi procedimenti (giudizio costituzionale e giudizio a quo) devono quindi essere diversi e non sovrapponibili. Nel giudizio a quo si fa valere l'interesse soggettivo e concreto delle parti a ottenere un bene della vita o a non subire una limitazione della propria liberta' per effetto di una legge incostituzionale; nel giudizio costituzionale si salvaguarda l'interesse obiettivo dell'ordinamento alla legalita' costituzionale. Il Giudice a quo deve quindi accertare ai sensi dell'art. 1 della legge costituzionale n. 1/1948 e dell'art. 23, comma 2 della legge n. 87/1953 la sussistenza dei due presupposti per la proponibilita' della questione: la rilevanza e la non manifesta infondatezza. Per il carattere incidentale del giudizio di legittimita' costituzionale la rilevanza della questione ricorre quando il giudizio a qua non puo' essere definito se prima non viene risolta il dubbio di legittimita' costituzionale che investe la disposizione di legge che deve essere applicata. Solo in seconda battuta il giudice a quo deve accertare che la questione non sia manifestamente infondata e deve quindi valutare la serieta' e la non pretestuosita' della proposta questione, escludendo anche che non sia esperibile nei confronti della disposizione contestata una interpretazione conforme a Costituzione. Nel caso in esame, sul profilo della rilevanza della questione di legittimita' costituzionale, si osserva che l'art. 11 del decreto legislativo n. 235/2012 prevede la sospensione di diritto dalla carica di sindaco, provvedimento in relazione al quale il Collegio ritiene che non si possa procedere alla disapplicazione dell'atto amministrativo per il fatto che sia stato emesso prima del deposito della motivazione della sentenza di condanna e che sia pertanto nullo, essendo pacifico che il ricorrente ha riportato una condanna per i reati indicati dall'art. 10 del decreto legislativo n. 235/2012 e si trova dunque nelle condizioni previste dall'art. 11 per la sospensione di diritto dalla carica di sindaco, che come tale prescinde dalla motivazione della sentenza. Inoltre, sempre sotto il profilo della rilevanza della questione di legittimita' costituzionale, il Collegio ritiene di non poter addivenire alla soluzione della controversia attraverso un'interpretazione adeguatrice o costituzionalmente orientata dell'art. 11 del decreto legislativo n. 235/2012, posto che i dubbi prospettati dalla difesa del ricorrente e rilevati dal Tribunale, anche alla luce delle pronunce gia' rese dalla Corte costituzionale, non possono essere superati sul piano ermeneutico. La disapplicazione del provvedimento prefettizio non puo' quindi prescindere dal giudizio di costituzionalita' sull'art. 11 del decreto legislativo n. 235/2012. Quanto al presupposto della non manifesta fondatezza della questione di legittimita' costituzionale si evidenzia, in primo luogo, che con l'ordinanza n. 64 del 27 dicembre 2019 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 25 del 17 giugno 2020 il Tribunale di Genova ha promosso incidente di costituzionalita' con riferimento all'art. 8 del decreto legislativo n. 235/2012 - che, analogamente all'art. 11, prevede la sospensione di diritto dalle cariche regionali - e che la citata ordinanza richiama alcuni dei parametri costituzionali che vengono in rilievo nel presente procedimento. Al riguardo osserva il Collegio che peraltro non sia possibile ricorrere allo strumento della «sospensione impropria» del presente procedimento in attesa dell'esito del giudizio di costituzionalita' sull'art. 8 della legge citata, in quanto l'eventuale declaratoria di illegittimita' di tale disposizione non potrebbe produrre effetti nel presente giudizio nel quale viene in rilievo l'art. 11. Tanto premesso, riguardo alle questioni di legittimita' prospettate per violazione degli articoli 27 comma 2, 3 comma 1, 25 comma 2 della Costituzione sul presupposto che la misura della sospensione dalla carica elettiva abbia natura sanzionatoria, ritiene il Collegio che i congrui precedenti della Consulta debbano portare a valutare come manifestamente infondati i dubbi di incostituzionalita' dedotti dalla parte ricorrente con riferimento ai predetti parametri costituzionali. In particolare si rileva che la giurisprudenza costituzionale, conformemente alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, ha chiarito che i provvedimenti di sospensione conseguenti alle condanne penali riportate per determinati reati non hanno natura sanzionatoria e svolgono una funzione meramente cautelare, operante ex lege, volta ad evitare la permanenza in cariche pubbliche di rilievo di soggetti fortemente indiziati di gravi condotte delittuose ovvero riconosciuti responsabili delle stesse. Le misure della incandidabilita', della decadenza e della sospensione dalla carica non costituirebbero sanzioni o effetti penali della condanna, ma «l'espressione del venir meno di un requisito soggettivo per l'accesso alle cariche elettive» che il legislatore puo' disciplinare discrezionalmente sulla base dell'art. 51 della Costituzione (cfr le pronunce della Corte costituzionale n. 236/2015 e n. 276/2016). Anche la questione di legittimita' costituzionale per violazione degli articoli 76 e 77 della Costituzione, per vizio di eccesso di delega, alla luce delle plurime ed esaustive argomentazioni svolte nella gia' citata pronuncia n. 276/2016, risulta manifestamente infondata. Al contrario, ritiene il Collegio che siano non manifestamente infondate, con riferimento all'art. 11 del decreto legislativo n. 235/2012, le questioni di illegittimita' costituzionale che sono gia' prospettate in parte da codesto Tribunale nell'ordinanza n. 64 del 27 dicembre 2019 per le ragioni che sono qui di seguito illustrate. Questione di legittimita' dell'art. 11 in relazione agli articoli 24 e 113 della Costituzione. Come gia' evidenziato l'art. 11 del decreto legislativo n. 235/2012 introduce l'automatica sospensione dalla carica di sindaco come conseguenza della condanna per determinati reati, elencati all'art. 10 del medesimo decreto legislativo, e quindi prescinde dalla valutazione della gravita' del fatto accertato in sede penale e dal criterio di proporzionalita' della misura applicata rispetto alla fattispecie concreta. La Corte costituzionale ha riconosciuto l'esistenza di ragioni pubbliche sufficienti a giustificare la disciplina introdotta con la legge Severino, nata come misura anti-corruzione e volta a tutelare la trasparenza e il buon andamento della pubblica amministrazione. Cionondimeno il rigido automatismo della struttura normativa introdotta con il decreto legislativo n. 235/2012 che considera esclusivamente il rapporto tra la permanenza in una carica elettiva e l'intervenuta condanna penale per determinati reati - senza possibilita' per il soggetto interessato di sindacare il provvedimento di sospensione e decadenza sotto il profilo della proporzionalita' - si pone in contrasto con l'art. 24 della Costituzione, in quanto e' fortemente limitativo del diritto di difesa. La normativa in questione considera infatti de iure «pericolosa» la permanenza in carica del condannato in ragione della valutazione fatta ex ante dal legislatore e considera il condannato «indegno» della carica elettiva, circostanze entrambe che contrastano con la ritenuta natura cautelare e non sanzionatoria della misura della sospensione. Si sottolinea a tal proposito che per i titoli di reato in relazione ai quali sono previste decadenza e correlata sospensione non e' consentito al giudice penale - di apprezzarne in concreto la gravita' dei fatti. Invero ad alcune fattispecie minori di peculato e di corruzione (si pensi, quanto al reato di peculato, all'utilizzo di alcuni fogli di carta dell'amministrazione per scrivere una lettera personale e, quanto al reato di corruzione impropria, al regalo di modesto valore economico da parte di un soggetto beneficiato da un determinato provvedimento) non e' applicabile la causa di non punibilita' prevista dall'art. 133-bis del codice penale (introdotto dal decreto legislativo n. 28 del 2015) in virtu' del quale la punibilita' puo' essere esclusa previo vaglio concreto del giudice delle ipotesi di lieve entita'. Tale disposizione infatti non e' applicabile a reati con pena edittale massima superiore ad anni cinque. Ne consegue che gli autori di condotte di peculato e corruzione lievi, de iure condito, sono soggetti alla decadenza e alla sospensione da cariche politiche ottenute anche con larghissimo consenso nella consapevolezza da parte dell'elettorato dell'esistenza di un procedimento penale e dei fatti in esso ascritti all'eletto. Il risultato e' che anche in questi casi, in forza della normativa che si intende sottoporre al vaglio di costituzionalita', viene modificata la volonta' dell'elettorato sulla base di una valutazione fatta in astratto ex lege, senza che sia esperibile alcun rimedio che consenta l'apprezzamento da parte dell'Autorita' giudiziaria del fatto accertato in sede penale. Al riguardo si osserva che la pericolosita' presunta ex lege e' ormai totalmente espulsa sia dal novero delle misure cautelari sia dallo stesso ambito delle misure di sicurezza personali, laddove e' stato ritenuto sulla base dei soli principi dell'ordinamento costituzionale italiano la necessita' assoluta dell'esame in concreto del caso. L'eccezione attinente alla mancata previsione da parte della legge Severino nel caso in esame da parte dell'art. 11 del decreto legislativo n. 235/2012, della possibilita' di effettuare una valutazione di proporzionalita' tra la condanna riportata e la sospensione da pronunciarsi non pare quindi manifestamente infondata in relazione al diritto di azione sancito dall'art. 24 della Costituzione e dall'art. 113 della Costituzione. L'art. 24 dispone che «tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi. La difesa e' un diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento», mentre l'art. 113 della Costituzione commi l e 2 prevede che «contro gli atti della pubblica amministrazione e' sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi. Tale tutela giurisdizionale non puo' essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione o per determinate categorie di atti.». Va precisato che la possibilita' ammessa dalla giurisprudenza di legittimita' di adire l'Autorita' giudiziaria ordinaria per impugnare il provvedimento sospensivo non consente un'interpretazione adeguatrice dell'art. 11 del decreto legislativo n. 235/2012, nell'ottica di sindacare il provvedimento sospensivo sotto il profilo della proporzionalita', essendo a tal scopo indispensabile l'intervento correttivo del giudice delle leggi o del legislatore. La mancanza di giustiziabilita' della sospensione, anche per l'impossibilita' di ottenere tutela giurisdizionale in via cautelare allo scopo di riesaminare gli accertamenti del giudice penale, appare dunque in contrasto con il principio di effettivita' della tutela giurisdizionale e si ritiene pertanto che il dubbio di costituzionalita' dell'art. 11 del decreto legislativo n. 235/2012 per violazione degli articoli 24 e 113 della Costituzione non sia manifestamente infondato e necessiti del vaglio della Corte.
P.Q.M. Il Tribunale di Genova dichiara rilevanti e non manifestamente infondate le questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 11, primo comma, lettera 'a' e comma 4, decreto legislativo n. 235/2012 per contrasto con gli articoli 24 e 113 della Costituzione. Sospende il giudizio in corso. Dispone, a cura della cancelleria, la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e la notificazione della presente ordinanza alle parti e al Procuratore generale nonche' al Presidente del Consiglio dei ministri e la comunicazione della stessa ai presidenti delle Camere del Parlamento. Cosi deciso nella Camera di consiglio del 17 luglio 2020. Il Presidente: Tuttobene Il Giudice estensore: Lippi