N. 3 ORDINANZA (Atto di promovimento) 24 agosto 2020

Ordinanza del 24 agosto 2020 del  Giudice  di  pace  di  Taranto  sul
ricorso proposto da  Mamestarahvili  Neli  contro  la  Prefettura  di
Taranto. 
 
Straniero - Misure urgenti connesse all'emergenza  epidemiologica  da
  COVID-19 - Misure in materia di lavoro e  di  politiche  sociali  -
  Emersione di rapporti di lavoro - Procedura per la regolarizzazione
  di rapporti di lavoro con cittadini stranieri - Casi di  esclusione
  dalla procedura. 
Parlamento - Legge - Procedimento legislativo  -  Misure  urgenti  in
  materia di salute, sostegno al lavoro e  all'economia,  nonche'  di
  politiche sociali connesse all'emergenza epidemiologica da COVID-19
  - Emanazione del decreto-legge n. 34 del 2020 e promulgazione della
  legge n. 77 del 2020 da parte del Presidente della Repubblica. 
- Decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34 (Misure urgenti in  materia  di
  salute, sostegno al lavoro e  all'economia,  nonche'  di  politiche
  sociali  connesse  all'emergenza   epidemiologica   da   COVID-19),
  convertito, con modificazioni, nella legge 17 luglio 2020,  n.  77,
  art. 103 e intero testo. 
(GU n.5 del 3-2-2021 )
 
                     GIUDICE DI PACE DI TARANTO 
 
    Il giudice di pace per  l'immigrazione  sciogliendo  la  riserva;
letto il ricorso, con gli atti allegati, di Mamestarahvili,  nata  in
Georgia il 7 agosto  1953,  passaporto  n.  18AD22306,  elettivamente
domiciliata presso  la  studio  dell'avv.  Vincenzo  Monteforte,  via
Campania n. 203 - Taranto, dal quale e' rappresentata e  difesa  come
in atti; 
    esaminati gli atti prodotti dalle parti; 
    rilevato che nel ricorso de quo, previa richiesta di  sospensiva,
si impugna sostanzialmente il decreto di espulsione del  Prefetto  di
Taranto  dell'8  maggio  2020  -  Cat  A.  11/EA/ESP   e   gli   atti
conseguenziali,  perche'  illegalmente  trattenutasi  nel  territorio
italiano in violazione dell'art. 1, comma 3, della legge  n.  68/2007
(art.  13,  comma  2,  1  b  del  testo  unico  sull'immigrazione,  e
successive modificazioni; 
    che nel ricorso viene evidenziato che, in data 8 maggio 2020, ore
15,45, alla ricorrente veniva comminata una  sanzione  amministrativa
di euro 400,00, in quanto  «si  tratteneva  con  altre  due  persone,
stessa connazionalita', in piazza Ramellini  sedute  sulla  panchina,
inosservando quindi al divieto di assembramento in luoghi  pubblici»,
e' che, da un controllo successivo da parte degli stessi Agenti della
Questura di Taranto, la stessa ricorrente risultava priva di permesso
di soggiorno, con conseguente  notifica  del  decreto  di  espulsione
dallo Stato italiano ai sensi dell'art. 13, comma 2°-  lett.  a)  del
T.U.I., e con conseguente consegna del  passaporto  giusto  art.  13,
comma  4-bis  del  T.U.I.,  dato  che  non  e'   possibile   eseguire
nell'immediatezza il decreto di espulsione; 
    che  la  ricorrente  sostiene  sostanzialmente  che,   ai   sensi
dell'art.   103   del   decreto   cosiddetto   «Rilancio»   (rectius:
decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito con legge  17  luglio
2020, n. 77 (Misure urgenti in materia di salute, sostegno al  lavoro
e all'economia, nonche' di politiche sociali  connesse  all'emergenza
epidemiologica   da COVID-19),   non   puo'   beneficiare   di   tale
disposizione in quanto destinataria del decreto di espulsione di  cui
trattasi, pur svolgendo l'attivita' di badante  e  pur  costretta  ad
attendere i cd «decreti flussi» per poter avere  la  possibilita'  di
regolarizzare il proprio contratto di lavoro, a differenza dei lavori
comunitari; 
    che, pertanto, conclude il difensore della ricorrente, gli stessi
diritti per la regolarizzazione dell'attuale posizione spettano anche
all'odierna ricorrente, pur avendo lavorato nell'ombra; 
    che, con comparsa, si costituiva la Prefettura di Taranto tramite
la  questura,  facendo  rilevare  praticamente  la  regolarita'   del
provvedimento di espulsione; 
    che, esaminando tale situazione,  ritiene  l'odierno  giudicante,
riprendendo la  parziale  attivita'  giudiziaria  per  effetto  delle
disposizioni Covid-19, prima  di  addivenire  ad  una  decisione  nel
merito, sospendendo il provvedimento impugnato sino al pronunciamento
della Corte costituzionale, di  dover  dichiarare  la  non  manifesta
infondatezza dell'incostituzionalita'  del  decreto-legge  19  maggio
2020, n. 34, convertito con legge  17  luglio  2020,  n.  77  (Misure
urgenti in materia di salute,  sostegno  al  lavoro  e  all'economia;
nonche' di politiche sociali connesse all'emergenza epidemiologica da
COVID-19), in quanto afferente a situazioni differibili  e  differite
nel  tempo,  in  evidente   antinomia   con   la   normale   funzione
costituzionale del Parlamento, non sussistendo, quindi,  i  requisiti
dell'urgenza e necessita', se e' vero come e' vero  che,  cosi'  come
statuito  dalla  Corte  costituzionale  con  sentenza  n.   128/2008,
«affermare che tale legge di conversione sana in ogni caso i vizi del
decreto,  significherebbe  attribuire  in  concreto  al   legislatore
ordinario il potere  di  alterare  il  riparto  costituzionale  delle
competenze del Parlamento e del Governo quanto alla produzione  delle
fonti primarie», a fronte del fatto  che,  la  legge  di  conversione
valuterebbe erroneamente l'esistenza di presupposti di  validita'  in
realta' insussistenti, e,quindi, convertendo un atto che  non  poteva
essere legittimo oggetto di conversione (cosi' Corte  costituzionale,
sentenza n. 29/1995; sentt. nn. 341 del 2003; 6, 178, 196,  285,  299
del 2004; sentenza 2, 62 e 272 del 2005); 
    che palese e' la violazione dell'art. 72 comma 4 e degli articoli
35  e  78  del  Regolamento   del   Senato;   laddove   una   diversa
interpretazione  legittimerebbe  la  sovrapposizione  di  ruoli   tra
elegante e delegato; 
    che, inoltre, la tecnica  legislativa  usata  nel  caso  concreto
comporta anche una palese violazione «sostanziale» dell'art. 15 della
legge n. 400  del  1988  (recante  la  disciplina  dell'attivita'  di
Governo e ordinamento della Presidenza del  Consiglio  dei  ministri)
che  prevede  che  i  decreti  devono  contenere  norme   d'immediata
applicazione e il loro contenuto deve essere  specifico,  omogeneo  e
corrispondente al titolo; inoltre, l'art.  15  della  predetta  legge
vieta espressamente al Governo l'uso del decreto-legge per  conferire
deleghe legislative a se medesimo; 
    che la disciplina dettata dalla legge n.  400  del  1988  ha  nel
nostro ordinamento  valore  «rafforzato»  (o  almeno  peculiare),  in
quanto i regolamenti  interni,  sia  della  Camera  che  del  Senato,
invitano  le  Camere  a  verificare  il  rispetto,   da   parte   dei
decreti-legge, dei requisiti stabiliti dalla legislazione vigente  (e
percio' dalla legge n. 400/1988) ed il Capo dello Stato, gia'  in  un
suo  messaggio  alle  Camere  del  2002,  aveva  esaltato  il  valore
regolamentare della legge in questione e ne ha  chiesto  il  rigoroso
rispetto; 
    che tale decreto-legge n. 34/2020 e la legge  di  conversione  n.
77/2020, rispettivamente emanato e promulgato  dal  Presidente  della
Repubblica,  appaiono  altrettanto  manifestamente  incostituzionali,
dato  che  e'  fatto  notorio  che  l'esimio  sig.  Presidente  della
Repubblica dott. Sergio Mattarella, suo malgrado, ed in  danno  dello
stesso sig. Presidente, e' stato eletto illegittimamente nel  gennaio
2015 da deputati e senatori  della  XVII  legislatura,  i  quali  non
avrebbero  dovuto  far  parte   del   Parlamento   italiano,   attesa
l'emanazione della sentenza della Corte costituzionale n. 1/2014, che
ha  praticamente  dichiarato  incostituzionale  la  legge  elettorale
cosiddetta «porcellum», per la quale gli aspiranti erano stati in  un
primo momento eletti, con conseguente proclamazione illegittima, dato
che  con  la  pubblicazione  della  citata   sentenza   della   Corte
costituzionale n. 1/2014;  avvenuta  nel  gennaio  2014,  i  rapporti
riguardanti l'attivita' di detti parlamentari  (ivi  compresi  quelli
insediatisi  con  il  previsto  premio  di  maggioranza)  non   erano
esauriti, ma pendenti, dato che ancora la Camera dei  deputati  e  il
Senato della Repubblica non avevano provveduto, ai sensi dell'art. 66
della Costituzione, a rimettere il definitivo accertamento dei titoli
di  ammissione  dei  propri  membri,  sia  per  quanto  riguarda   la
sussistenza dei requisiti della capacita' elettorale passiva, sia per
l'insussistenza di cause di ineleggibilita' o  incompatibilita',  sia
per la regolarita' delle operazioni elettorali  e,  quindi,  verifica
dei poteri, attraverso l'istituto della «convalida», che non e' altro
che   l'elemento    confermativo    dell'efficacia    dell'atto    di
proclamazione; 
    che, invero, al momento della pubblicazione della sentenza  della
Corte costituzionale,  avvenuta  il  15  gennaio  2014,  erano  stati
convalidati solo i risultati di una Regione ovvero della Val d'Aosta;
mentre, rispettivamente, solo in data 11 giugno 2015 e 11 marzo 2014,
era  stata  effettuata  dal  Comitato  permanente  della  Camera  dei
deputati e del Senato (per  le  incompatibilita',  ineleggibilita'  e
decadenze) la verifica dei poteri  nella  Circoscrizione  esteri;  in
data 25 giugno 2015, alla Camera, la verifica dei poteri , in  ordine
al calcolo e assegnazioni dei seggi su base  nazionale;  in  data  17
luglio 2014, la verifica dei poteri nella 3° Circoscrizione Lombardia
1,  Campania  2  ;  ecc.  (come  e'  evidente,  il  Presidente  della
Repubblica e' stato votato, al 4°  scrutinio,  nel  mese  di  gennaio
2015, addirittura da Parlamentari che  ancora  dovevano  ottenere  la
convalida della loro elezione); 
    che, stabilire se in relazione a fattispecie regolate dalla norma
dichiarata incostituzionale sussista o meno una preclusione che renda
nella circostanza i rapporti interni al Parlamento esauriti  o  meno,
non rientra fra i poteri della Corte costituzionale (cosi' la  stessa
Corte costituzionale con sentenza n. 10/2015), ma al giudice  ovvero,
nel caso di specie, al sottoscritto giudice di  pace  per  quanto  di
competenza in materia di immigrazione (il  giudice  ha  pieni  poteri
nell'accertare le fonti del proprio  convincimento,  giusta  sentenza
della Corte di cassazione civ. n. 16499 del  15  luglio  2009;  cosi'
anche Cass. civ.  sentenza  n.  13485/2014,  ecc.),  a  fronte  delle
odierne preclusioni costituzionali e  la  lesione  del  principio  di
legalita', atteso che non spetta neanche  alla  Corte  di  cassazione
accertare (che ha emanato, statuendo principi generici,  la  sentenza
n. 8878/2014 nel gennaio 2014), in quanto giudice di legittimita', la
questione di merito tra l'esistenza di rapporto pendenti  o  esauriti
nell'attivita'  del  Parlamento  della  VII   Legislatura,   e   cio'
successivamente all'emanazione della citata sentenza n. 8878/2014; 
    che l'art. 136 della Costituzione dispone che  «quando  la  Corte
dichiara la illegittimita' costituzionale di una norma di legge o  di
un atto avente forza di legge, la norma cessa di avere efficacia  dal
giorno successivo alla pubblicazione (ns. rif.:  in  questo  caso  in
data 14 gennaio 2014) della decisione» e l'art.  30  della  legge  n.
87/1953 statuisce  che  «le  norme  dichiarate  incostituzionali  non
possono avere applicazione dal giorno successivo  alla  pubblicazione
della decisione»: norme dalle quali deriva un orientamento ampiamente
consolidato  la  cosiddetta  retroattivita'   degli   effetti   della
declaratoria d'incostituzionalita'; 
    che, pertanto, esistendo al  momento  della  pubblicazione  della
sentenza  della  Corte  costituzionale  n.  1/2014  rapporti   ancora
pendenti,  cosi'  come  sopra,  evidenziato,  presso  la  Camera  dei
deputati  e  il  Senato,  l'incostituzionalita'   delle   norme   per
l'elezione  della  Camera  dei  deputati  e   del   Senato   non   e'
convalidabile  per  nessun  dei  membri  del  Parlamento  della  XVII
Legislatura, ed ha  effetto  ex  tunc,  non  essendo  ammissibile  un
meccanismo elettorale totalmente illegittimo, essendo  l'elezione  di
ogni singolo deputato e senatore avvenuta proprio in contrasto con la
Costituzione, cori conseguente e immediato scioglimento della  Camere
(in questo caso spetterebbe al sig.  Presidente  del  Senato),  fermo
restando  che  la  «continuita'  dello  Stato»  non  puo'  certamente
scontrarsi con una  situazione  d'incostituzionalita'  che  coinvolge
Organi dello Stato, come il Parlamento, e  non  puo'  riferirsi  alla
continuita' del Parlamento nel suo complesso, ma determinata in  modo
giusto alle vicende dei singoli parlamentari, dato che i  profili  di
illegittimita' relativi al voto di preferenza e alle liste  bloccate,
cosi' come evidenziati dalla Corte costituzionale con la sentenza  n.
1/2014, ha finito col  travolgere  l'intero  sistema  di  scelta  dei
rappresentati, di cui alla legge elettorale n.  270/2005,  ovvero  ha
privato l'elettore a livello nazionale di ogni margine di scelta  dei
propri  rappresentanti,  risultando  in  tal  modo  la  citata  legge
elettorale de qui altamente  alterata,  per  l'intero  complesso  dei
parlamentari, proprio: nel rapporto di rappresentanza fra elettori ed
eletti; 
    che, invero, la grave discrepanza dell'esito  elettorale  fra  le
Camere va  rammentata  nel  fatto  che  proprio  nelle  elezioni  del
Parlamento della XVII Legislatura, senza il  premio  di  maggioranza,
dichiarato  costituzionalmente   illegittimo   dalla   citata   Corte
costituzionale, e scattato per una differenza di poco piu' di 125.000
voti, alla coalizione che aveva riportato il 29,55 dei voti validi  -
e cioe' meno di un terzo di essi - senza il premio sarebbero spettati
192 seggi. Ne sono stati, invece, ad essa attribuiti, con  un  premio
di 148 seggi, 340 (cioe' piu' della maggioranza assoluta dei  seggi),
a fronte di 124 seggi assegnati alla coalizione che aveva avuto circa
125.000 voti in meno di essa; 
    che, pertanto, non risulta difficile  sostenere  che  (per  dette
elezioni politiche del 2013) non si sia determinata una  oggettiva  e
grave   alterazione   della   rappresentanza   democratica,   nonche'
l'evidente divaricazione tra la composizione dell'Organo parlamentare
e la volonta' dei cittadini espressa  col  voto,  avendo  all'incirca
125.000 voti di differenza determinato l'attribuzione di 148 seggi  e
della maggioranza assoluta della Camera ad una coalizione  che  aveva
riportato meno del 30% dei voti. La coalizione vincente  alla  Camera
ha riportato al Senato  il  31,63%  dei  voti,  ottenendo  stante  il
computo dei premio  di  maggioranza  al  Senato  su  base  regionale,
previsto dalla relativa legge elettorale, in numero  di  seggi  molto
inferiore alla maggioranza, tanto da verificarsi  quella  discrepanza
di esito elettorale fra le Camere; 
    che, quindi, la  «continuita'  dello  Stato»,  per  quanto  sopra
considerato, viene ad urtare con i principi di cui all'art. 67  della
Costituzione, nell'aver concesso una posizione di illecito  vantaggio
ai singoli individui che compongono  accidentalmente  la  Camera  dei
deputati o il Senato, non rappresentando in questo modo  la  Nazione,
tenendo conto che l'Istituto della «prorogatio»,  prevista  dall'art.
61 della Costituzione, presuppone l'esistenza  di  una  valida  legge
elettorale redatta ed attuata da Organi validi; 
    che, in definitiva, stando a quanto stabilito in parte qua  dalla
sentenza della Corte di  cassazione  con  sentenza  n.  8878/2014,  i
cittadini, per la elezione della Camera dei  deputati  e  del  Senato
della Repubblica  del  2013,  svoltasi  con  la  legge  n.  270/2005,
dichiarata   incostituzionale   con   la   sentenza    della    Corte
costituzionale n. 1/2014, non hanno potuto esercitare il  diritto  di
voto, secondo le modalita', previste  dalla  Costituzione,  del  voto
personale,  eguale,  libero  e  diretto,  con  conseguente   elezione
illegittima di tutti i  deputati  e  senatori,  che,  esautorati,  in
quanto soggetti non in possesso della peculiare capacita giuridica in
seguito    alla    retroattivita'    ex    tunc    delle    accertata
incostituzionalita' della legge elettorale, per i motivi  cosi'  come
sopra evidenziati (contrariamente a  quanto  statuito  per  un  verso
dalla citata Cassazione con la  predetta  sentenza),  a  loro  volta,
nella XVII Legislatura, hanno illegittimamente eletto  il  Presidente
della Repubblica nella persona del prof. dott. Sergio Mattarella, che
non poteva emanare e promulgare e rendere operativo il  decreto-legge
n. 34/2020, cosi' come altrettanto illegittimamente convertito con la
legge n. 77/2020, tanto da considerarli oggi illegittimi, inesistenti
ed incostituzionali; 
    che  va  evidenziata,  quindi;  la  violazione  dell'art.  3  del
Protocollo addizionale della  Convenzione  per  la  salvaguardia  dei
diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, in  cui  si  afferma
che  «Le  Alte  Parti  contraenti  si  impegnano  ad  organizzare,  a
intervalli  ragionevoli,  libere  elezioni  a  scrutino  segreto,  in
condizioni tali da assicurare la libera espressione dell'opinione del
popolo sulla scelta del corpo legislativo»; 
    che l'art. 6  del  Trattato  sull'Unione  europea  statuisce  che
«L'Unione riconosce i diritti, le liberta' e i principi sanciti nella
Carta dei diritti fondamentali dell'Unione  europea  del  7  dicembre
2000, adottata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo,  che  ha  lo  stesso
valore  giuridico  dei  Trattati»,  fermo   restando   il   carattere
vincolante  degli  accordi  internazionali  da  parte   dello   Stato
italiano, giusto art. 216 del Trattato sul funzionamento  dell'Unione
europea e art. 300 del Trattato di Lisbona; 
    che, pertanto, non resta in questa sede  all'odierno  giudice  di
pace di discostarsi - in parte qua - dal  giudicato  della  Corte  di
cassazione di cui alla sentenza  n.  8878/2014  (anche  per  i  fatti
successivi  all'emanazione  di  detta  sentenza,  che,   come   sopra
evidenziato,  non   possono   riguardare   ancora   il   giudice   di
legittimita'), esclusivamente nella parte in cui si afferma  che  «la
decisione di annullamento delle norme censurate non  tocca  in  alcun
modo gli atti posti in essere  in  conseguenza  di  quanto  stabilito
durante il vigore delle norme annullate, compresi  gli  esisti  delle
elezioni svoltesi e gli atti adottati dal Parlamento eletto», con  la
conseguenza che «le elezioni che si sono svolte in applicazione anche
delle  norme  elettorali  dichiarate  costituzionalmente  illegittime
costituiscono,  in  definitiva,  e  con  ogni  evidenza,   un   fatto
concluso»; 
    che, parimenti, non puo' condividersi l'errata giustificazione ed
interpretazione sulla  «continuita'  dello  Stato»,  dato  che  dette
statuizioni confliggono prima di tutto con il citato art.  136  della
Costituzione e l'art. 30 della legge n. 87/1953,in quanto, di  fronte
a rapporti pendendi (e  non  esauriti)  esistenti  in  Parlamento  al
momento  delle  pubblicazione  sentenzi  della  Corte  costituzionale
1/2014 (cosi' come anche quelli successivi), come sopra motivato,  la
sentenza della Corte  costituzionale  ha  efficacia  ex  tunc  ovvero
annulla completamente le elezioni politiche effettuate nel  2013  sin
dall'origine, saturando  completamente  l'elezione  dei  Parlamentari
eletti nella XVII Legislatura  ovvero  la  loro  capacita'  giuridica
nell'ambito di tali funzioni, ivi compresa l'elezione del  Presidente
della Repubblica avvenuta nel gennaio 2015, con evidente lesione  del
diritto di voto del cittadino ovvero lesione dei principi sanciti dal
citato art. 3 del Protocollo addizionale  della  Convenzione  per  la
salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali,
potendo  lo  stesso  odierno  giudice  di  pace   svincolarsi   dalle
valutazioni svolte in parte qua dalla Corte di cassazione nel caso di
specie, in quanto non conformi al diritto dell'Unione europea,  cosi'
come teste' rappresentate (Corte  di  giustizia  europea-sentenza  20
ottobre 2011- Causa C396/2009); 
    che la suddetta tesi e'  confermata  dal  Saggio  del  Presidente
Emerito della Corte costituzionale dott.  prof.  Gustavo  Zagrebclski
«Un  anno   di   Parlamento   abusivo»,   riportato   sulla   Rivista
«Giurisprudenza costituzionale» n. 3/2014 (Vedi Allegato n. 9). Cosi'
anche:  Francesco  Felicetti  (Presidente   di   Sezione   Corte   di
cassazione), nel Saggio «Democrazia rappresentativa e  illegittimita'
costituzionale delle leggi  elettorali»  Osservatorio  costituzionale
Fasc. 1/26 del 26 aprile 2016. 
    Cosi' anche le dichiarazioni  di  altro  Presidente  della  Corte
costituzionale ovvero di Pietro Alberto  Capotosti  (estrapolate  da:
«Orizzonte 48-Gli  effetti  della  sentenza  sul  «porcellum»):  «Dal
giorno dopo la pubblicazione  della  sentenza  questo  Parlamento  e'
esautorato  perche'  eletto  in  base   ad   una   legge   dichiarata
incostituzionale. Quindi non potra' piu' fare  niente,  e  questo  e'
drammatico». 
    Tesi, quindi,confermate dalle sentenze della Corte costituzionale
n. 139/1984, n. 50/1989, n. 266/1988, ecc.), in ordine  all'efficacia
ex tunc ed ex nunc  della  sentenza  della  Corte  costituzionale  n.
1/2014. 
    che anche la Corte di cassazione, con varie sentenze dello stesso
tenore giuridico (ad es. n. 1384/1975, n. 585/1976) ha statuito  che:
«La dichiarazione di illegittimita' costituzionale; di una  norma  di
legge  comporta  non  gia'  l'abrogazione,  o  la   declaratoria   di
inesistenza o di nullita', o l'annullamento  della  norma  dichiarata
incostituzionale, bensi' la disapplicazione della stessa, dando luogo
a un fenomeno che si colloca, sul piano effettuale, in una  posizione
intermedia tra l'abrogazione, avente di regola efficacia ex  nunc,  e
l'annullamento che, normalmente, produce effetti ex  tunc.  Pertanto,
la  norma  dichiarata  costituzionalmente  illegittima  deve   essere
disapplicata con effetti ex nunc o con efficacia ex tunc,  a  seconda
che  tale  diversa  efficacia  nel  tempo  della   dichiarazione   di
incostituzionalita' discenda dalla natura o dal contenuto della norma
illegittima, oppure dalla portata del precetto costituzionale violato
o dal diverso grado del contrasto tra  quest'ultimo  e  la  norma  di
legge, ovvero, infine, dalla natura del  rapporto  sorto  nel  vigore
della norma successivamente dichiarata incostituzionale. Fuori  delle
ipotesi, aventi caratteri di eccezionalita',  in  cui  essa  travolge
tutti gli effetti degli Atti compiuti in base alla norma illegittima,
la dichiarazione di incostituzionalita' (avuto riguardo  al  precetto
costituzionale  violato,  alla   disciplina   dettata   dalla   norma
riconosciuta  costituzionalmente  illegittima  e  alla   natura   del
rapporto disciplinato da quest'ultima) comporta  la  caducazione  dei
soli effetti non definitivi  e,  nei  rapporti  ancora  in  corso  di
svolgimento, anche degli effetti successivi alla pubblicazione  della
sentenza della Corte costituzionale,  restando  quindi  fermi  quelli
effetti anteriori che, pur essendo riconducibili allo stesso rapporto
non ancora esaurito, abbiano definitivamente conseguito, in  tutto  o
in parte, la loro funzione  costitutiva,  estintiva,  modificativa  o
traslativa di situazioni giuridicamente rilevanti; 
    che la norma residua della legge  elettorale  de  qua,  derivante
dalla sentenza della Corte costituzionale  n.  1/2014,  cioe'  quella
risultante dalla abrogazione o  annullamento  costituzionale,  doveva
ritenersi,  in  ogni  caso,  immediatamente  applicabile,  tanto   da
consentire   la   rinnovazione   delle   elezioni   delle   assemblee
parlamentari, e non determinare illegittimamente (diciamo  cosi')  la
continuazione  dell'attivita'  parlamentare  della  XVII  Legislatura
(vedi Corte costituzionale sentenza n. 13/1999, n. 26/1997, ecc.). 
 
                              P. Q. M. 
 
    Sospeso  il  presente   procedimento,   con   concessione   della
sospensione del decreto prefettizio impugnato: 
        1)  dichiara  rilevante  e   non   manifestamente   infondata
l'eccezione di incostituzionalita' del decreto-legge 19 maggio  2020,
n. 34 e della legge di conversione 17  luglio  2020,  n.  77  (Misure
urgenti in materia di salute,  sostegno  al  lavoro  e  all'economia,
nonche' di politiche sociali connesse all'emergenza epidemiologica da
COVID-19), in relazione all'art. 103 di detto  decreto-legge,  e  in.
violazione  dell'art.  70,  72  (in  ordine  anche  ai   procedimenti
abbreviati, data l'urgenza dovuta al caso COVID-19), 73, 77, 97 della
Costituzione, nonche' in violazione  dell'art.  41  della  Carta  dei
diritti fondamentali dell'uomo; 
        2)  dichiara  rilevante  e   non   manifestamente   infondata
l'eccezione di incostituzionalita' del decreto-legge 19 maggio  2020,
n. 34 e della legge di conversione 17  luglio  2020,  n.  77  (Misure
urgenti in materia di salute,  sostegno  al  lavoro  e  all'economia,
nonche' di politiche sociali connesse all'emergenza epidemiologica da
COVID-19),  in  violazione  dell'art.  60,  65,  66,  67,  136  della
Costituzione, nonche' in violazione del citato art. 3 del  Protocollo
addizionale  della  Convenzione  per  la  salvaguardia  dei   diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali e in violazione dell'art.  41
della Carta dei diritti fondamentali dell'uomo. 
    Dispone  l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
costituzionale, ordinando, a cura del cancelliere, le notificazioni e
le comunicazioni previste dalla legge. 
    Si allega il fascicolo d'ufficio. 
      Taranto, 22 agosto 2020 
 
                          Il giudice: Russo