N. 3 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 20 gennaio 2021

Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in
cancelleria il 20 gennaio 2021  (del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri). 
 
Ambiente - Norme della Regione Molise - Disposizioni  in  materia  di
  valorizzazione e utilizzazione commerciale e turistica del trabucco
  molisano - Definizione, obiettivi e finalita' -  Previsione  che  i
  trabucchi e l'area circostante fino ad una fascia di 50  metri  dal
  sedime sono considerati beni culturali sottoposti  alla  disciplina
  di cui al decreto legislativo n. 42 del 2004. 
Ambiente - Norme della Regione Molise - Disposizioni  in  materia  di
  valorizzazione e utilizzazione commerciale e turistica del trabucco
  molisano - Piani di recupero  -  Previsione  che  i  Comuni  devono
  redigere piani per il recupero, il ripristino, la  conservazione  e
  la costruzione dei trabucchi. 
Ambiente - Norme della Regione Molise - Disposizioni  in  materia  di
  valorizzazione e utilizzazione commerciale e turistica del trabucco
  molisano - Disposizioni tecniche - Parametri dimensionali dei nuovi
  trabucchi - Applicabilita' anche  in  caso  di  ristrutturazione  e
  ampliamento dei trabucchi esistenti. 
- Legge della Regione Molise 11 novembre 2020, n. 12 (Disposizioni in
  materia di valorizzazione e utilizzazione commerciale  e  turistica
  del trabucco molisano), artt. 1, 2 e 5. 
(GU n.6 del 10-2-2021 )
    Ricorso  per  il   Presidente   del   Consiglio   dei   ministri,
rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura generale dello  Stato,
presso i cui uffici domicilia in Roma, via dei Portoghesi n. 12; 
    Contro la Regione Molise, in persona del Presidente della  giunta
regionale pro tempore, per  la  declaratoria  di  incostituzionalita'
della legge regionale n.  12  del  2020,  pubblicata  nel  Bollettino
ufficiale regionale n. 76 del 16 novembre  2020,  avente  ad  oggetto
«Disposizioni  in   materia   di   valorizzazione   e   utilizzazione
commerciale e turistica del trabucco molisano», giusta  delibera  del
Consiglio dei ministri in data 30 dicembre 2020. 
    Con la legge impugnata, la Regione Molise introduce  disposizioni
in materia di valorizzazione e utilizzazione commerciale e  turistica
del trabucco molisano. 
    La legge presenta aspetti di  illegittimita'  costituzionale  con
riferimento alle disposizioni contenute negli articoli 1, 2 e 5,  che
si pongono in contrasto con numerose disposizioni del Codice dei beni
e delle attivita' culturali - decreto legislativo n. 42 del 2004 - le
quali, per i motivi che di seguito si illustrano, costituiscono norme
interposte nella violazione della competenza statale  in  materia  di
paesaggio e beni culturali di cui agli  articoli  9  e  117,  secondo
comma, lettera s) della Costituzione. 
a) Il bene tutelato: il trabucco 
    Si premette che, come noto, il «trabucco» (o «trabocco»)  e'  una
macchina da pesca completamente realizzata in legno, la cui  presenza
e' attestata storicamente lungo  la  costa  dell'Abruzzo  meridionale
(area teatina), nel Molise ed in Puglia (Gargano).  Consiste  in  una
piattaforma impostata su pali infissi nel fondo marino, collegata per
mezzo di una passerella con la riva, in genere in  corrispondenza  di
uno sperone roccioso o di un manufatto in elevato.  Quasi  sempre  e'
presente sulla piattaforma  un  piccolo  locale,  un  «capanno»,  con
funzioni di deposito di attrezzature per la pesca. Sulla  piattaforma
sono inoltre  ancorati  i  supporti  per  le  canne  da  pesca  e  le
attrezzature per manovrare una grande rete di  forma  rettangolare  a
«bilancia». Si tratta di una architettura «povera», non normata nella
sua  tecnologia  costruttiva,  ma  caratterizzata  da  una   sapienza
realizzativa tradizionale alquanto sofisticata. 
    Nel breve tratto di costa adriatica molisana  ne  e'  documentata
l'esistenza a Termoli gia'  a  partire  dalla  prima  meta'  del  XIX
secolo. Non ci sono, al contrario, notizie sulla presenza  in  antico
ed ai giorni nostri di trabucchi negli altri comuni  litoranei  della
regione (Montenero di Bisaccia, Petacciato, Campomarino). 
    Tali manufatti rivestono interesse sia sotto il profilo culturale
che paesaggistico. 
    I  trabucchi  possono  infatti  essere  dichiarati  di  interesse
culturale  dal  Ministero  per  i  beni  e  le  attivita'  culturali,
risultando cosi' sottoposti alle  disposizioni  di  tutela  contenute
nella Parte II del Codice dei beni culturali e del paesaggio, di  cui
al decreto legislativo n. 42 del 2004, che subordina ogni  intervento
di trasformazione del bene  all'autorizzazione  della  Soprintendenza
(cfr. art. 21). 
    Sono soggetti anche a tutela paesaggistica, ai sensi della  Parte
III del citato Codice,  in  quanto  ricadono  nella  fascia  costiera
vincolata ope legis ai sensi del comma 1, lettera a),  dell'art.  142
del medesimo Codice. 
    Inoltre, sempre sotto il profilo dell'interesse paesaggistico,  i
trabucchi molisani ricadono in  ambiti  territoriali  (il  comune  di
Termoli e gli altri gia' citati comuni) sottoposti alle  disposizioni
del Piano territoriale paesistico di area vasta (PTPAAV) n. 1  Fascia
costiera, la cui approvazione equivale a  dichiarazione  di  notevole
interesse pubblico ai sensi della legge n. 1497 del 1939 (e ora della
Parte III del Codice  dei  beni  culturali  e  del  paesaggio),  come
stabilito dalla legge regionale n. 24 del 16 dicembre 1989 (cfr. art.
8,  comma  1:  «I  contenuti  dei  Piani  territoriali  paesistico  -
ambientali di area vasta ... equivalgono a dichiarazione di  notevole
interesse pubblico ai sensi della legge n. 1497 del 1939»). 
    L'intero ambito e' denominato  dal  predetto  PTPAAV  n.  1  come
«A2N1» e per esso e'  prevista  una  specifica  normativa  degli  usi
compatibili,  in  forza  della  quale  «per  le  strutture   edilizie
esistenti sono ammessi solo interventi di manutenzione e restauro con
esclusione  di  qualsiasi  opera  che  comporti   alterazione   delle
caratteristiche visive e paesaggistiche d'ambito». 
    L'area e'  classificata  dal  Piano  tra  le  «aree  del  sistema
insediativo   con   valore   percettivo   alte»,   nelle   quali   la
trasformazione e' condizionata a requisiti progettuali da verificarsi
da parte della Soprintendenza  in  sede  di  espressione  del  parere
previsto  dall'art.  146  del  Codice  di  settore  nell'ambito   del
procedimento di rilascio dell'autorizzazione paesaggistica. 
b) La legge Molise n. 44 del 1999 
    La Regione Molise ha gia' disciplinato  gli  «Interventi  per  il
recupero della tradizione dei trabucchi della costa molisana» con  la
legge regionale n. 44 del 1999, con la quale si dispone, all'art.  1,
che «La  Regione  Molise,  mediante  gli  interventi  previsti  dalla
presente   legge,   promuove   la    valorizzazione,    quale    bene
storico-culturale  e  paesistico-ambientale,  della  tradizione   dei
trabucchi della  costa  molisana  favorendo  il  recupero  di  quelli
esistenti e la realizzazione di  nuovi  trabucchi  anche  fluviali  e
lacuali con tipologia in legno e nel  rispetto  della  loro  funzione
tipica, in armonia con il paesaggio e l'ambiente». 
    All'art. 2 della medesima legge si prevede  che  l'individuazione
dei beni e dei criteri per il recupero sia avviata dalla  regione  in
collaborazione con il Ministero per i beni e le attivita'  culturali,
censendo in apposito elenco i trabucchi e i loro rispettivi siti. 
    La predetta normativa  regionale  appare  rispettosa  dei  limiti
della potesta' normativa riconosciuta alle regioni,  in  quanto  mira
all'incremento della tutela (sempre consentito alle regioni,  secondo
i principi, anche  in  presenza  di  una  riserva  allo  Stato  della
potesta' legislativa  in  tale  ambito)  e  alla  valorizzazione  del
patrimonio  culturale  nel  quadro  dei  principi  ricavabili   dalla
disciplina statale. La citata normativa regionale assicura infatti il
rispetto della funzione tipica dei trabucchi  (la  pesca)  e  prevede
modalita' operative di valorizzazione dei manufatti in collaborazione
tra il Ministero e la regione. 
c) La legge regionale n. 12/2020 
    Con la nuova legge regionale, la  regione  ha  invece  introdotto
ulteriori disposizioni che appaiono del  tutto  esorbitanti  rispetto
alle  attribuzioni  legislative  dell'ente,  oltre   che   distoniche
rispetto alla normativa precedente, e cio' senza chiarire il rapporto
della nuova normativa con la precedente legge n. 44 del 1999, il  cui
rispetto e'  pure  richiamato  dall'art.  2,  comma  2,  della  legge
regionale n. 12 del 2020. 
d) La sentenza della Corte costituzionale n. 138 del 2020 
    Questa difesa e' a conoscenza del fatto che codesta Ecc.ma  Corte
costituzionale,  con  la  recente  sentenza  n.  138  del  2020,   ha
riconosciuto la legittimita' delle disposizioni della legge regionale
Abruzzo n. 7 del 2019, che regolamenta l'utilizzazione dei  trabocchi
mediante  la  fissazione  di  appositi  criteri   di   parametri   di
superficie, ritenendole  comprese  nella  materia  concorrente  della
«valorizzazione» del patrimonio culturale. 
    Si reputa, tuttavia, che i principi valorizzati da codesta Ecc.ma
Corte nella decisione richiamata, non si attaglino alla normativa  di
specie, in ragione della diversita' delle statuizioni contenute nella
legge molisana, che, in apparenza  regolando  la  valorizzazione  dei
medesimi beni culturali,  in  realta'  vanno  a  confliggere  con  le
potesta' normative statali. 
    E questo, per i seguenti motivi. 
I)  Illegittimita'  dell'art.  1  legge  regionale  n.  12/2020,  per
violazione della potesta' esclusiva dello Stato in materia di  tutela
del patrimonio culturale, ai  sensi  dell'art.  117,  secondo  comma,
lettera s), della Costituzione stante la violazione  del  Codice  dei
beni culturali e del paesaggio, costituente normativa  interposta,  e
in particolare delle  norme  che  attribuiscono  esclusivamente  allo
Stato le funzioni di tutela (art. 4) e disciplinano le  modalita'  di
individuazione dei beni di interesse culturale (articoli 10, 13 e  14
del Codice). 
    L'art. 1, comma 2 della legge impugnata, statuisce: «I  trabucchi
e l'area circostante fino ad una fascia di cinquanta metri dal sedime
sono considerati beni culturali sottoposti alla disciplina di cui  al
decreto legislativo n. 42/2004». 
    Tale disposizione invade manifestamente l'ambito  riservato  alla
potesta' legislativa esclusiva dello Stato in materia di  tutela  del
patrimonio culturale, ai sensi dell'art. 117, secondo comma,  lettera
s), della Costituzione. 
    Codesta  Ecc.ma  Corte  in  piu'  occasioni  ha  avuto  modo   di
delimitare i confini, in materia  di  beni  culturali,  tra  l'azione
dello Stato e quella delle regioni, come con chiarezza espresso nella
sentenza del 9 luglio 2015, n. 140: 
    «Cio' premesso, va (sotto  altro  profilo)  riaffermato  come  la
tutela dei beni culturali, inclusa nel secondo  comma  dell'art.  117
della Costituzione, sotto la lettera s),  tra  quelle  di  competenza
legislativa esclusiva dello Stato, sia materia dotata di  un  proprio
ambito, ma nel contempo contenente l'indicazione di una finalita'  da
perseguire in ogni campo  in  cui  possano  venire  in  rilievo  beni
culturali. Essa costituisce quindi una materia-attivita' (sentenza n.
26 del 2004), in cui assume pregnante rilievo il profilo  teleologico
della disciplina (sentenza n. 232 del 2005). 
    D'altro canto, e' pero' significativo come lo stesso art.  1  del
codice dei beni culturali, nel  dettare  i  principi  della  relativa
disciplina, sancisca (al comma 2) che «la tutela e la  valorizzazione
del patrimonio culturale concorrono a  preservare  la  memoria  della
comunita' nazionale e del suo territorio e a promuovere  lo  sviluppo
della cultura». 
    Cio' implica, per un verso,  il  riferimento  a  un  «patrimonio»
intrinsecamente   comune,   non   suscettibile   di   arbitrarie    o
improponibili frantumazioni  ma,  nello  stesso  tempo,  naturalmente
esposto  alla  molteplicita'  e  al  mutamento  e,  percio'   stesso,
affidato, senza specificazioni, alle  cure  della  «Repubblica»;  per
altro verso, una sorta di ideale contiguita', nei limiti  consentiti,
fra le distinte funzioni di «tutela» e di «valorizzazione» di  questo
«patrimonio»  medesimo,  ciascuna  identificata  nel  proprio  ambito
competenziale fissato dall'art. 117, secondo  comma,  lettera  s),  e
terzo comma, della Costituzione (sentenza n. 194 del 2013). 
    All'interno di questo sistema, appare  indubbio  che  «tutela»  e
«valorizzazione» esprimano - per esplicito dettato  costituzionale  e
per disposizione del codice dei  beni  culturali  (articoli  3  e  6,
secondo anche quanto riconosciuto sin dalle sentenze n. 26 e n. 9 del
2004) - aree di intervento diversificate. 
    E  che,   rispetto   ad   esse,   e'   necessario   che   restino
inequivocabilmente attribuiti allo Stato, ai fini  della  tutela,  la
disciplina e  l'esercizio  unitario  delle  funzioni  destinate  alla
individuazione dei beni costituenti il patrimonio  culturale  nonche'
alla loro protezione e conservazione; mentre alle  regioni,  ai  fini
della valorizzazione, spettino  la  disciplina  e  l'esercizio  delle
funzioni dirette alla migliore conoscenza, utilizzazione e  fruizione
di quel patrimonio (sentenza n. 194 del 2013). 
    Tuttavia,  nonostante  tale  diversificazione,   l'ontologica   e
teleologica contiguita' delle suddette aree determina, nella naturale
dinamica della produzione legislativa, la  possibilita'  (come  nella
specie) che alla predisposizione di strumenti concreti di tutela  del
patrimonio culturale si accompagnino contestualmente, quali  naturali
appendici, anche interventi diretti alla valorizzazione dello stesso;
cio' comportando una situazione di concreto concorso della competenza
esclusiva dello Stato con quella  concorrente  dello  Stato  e  delle
Regioni». 
    Alla luce del dettato costituzionale cosi' come  interpretato  da
codesta Ecc.ma Corte, si rende evidente che non spetta  alla  regione
definire quali beni siano sottoposti alla normativa di tutela, atteso
che l'individuazione  compete  unicamente  allo  Stato,  a  cui  sono
attribuite anche  le  funzioni  amministrative  di  tutela  dei  beni
culturali. 
    Come e' noto, il Codice dei beni culturali e  del  paesaggio,  in
attuazione dei principi costituzionali espressi dagli  articoli  9  e
117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, rispetto ai quali
costituisce   normativa   interposta   (cfr.,   ex   multis,    Corte
costituzionale n. 194 del 2013), riserva al Ministero per i beni e le
attivita'  culturali  le  funzioni  di  tutela,  volte  primariamente
all'individuazione dei beni costituenti il  patrimonio  culturale,  e
secondariamente a garantirne la protezione e la conservazione a  fini
di fruizione, riconoscendo  agli  altri  enti  pubblici  territoriali
funzioni  di  cooperazione  nell'esercizio  di  tali  funzioni  (cfr.
articoli 4 e 5  del  Codice).  La  scelta  del  legislatore  risponde
all'esigenza di garantire l'esercizio unitario della tutela. 
    Anche il Giudice amministrativo ha da sempre riconosciuto che «e'
patrimonio acquisito quello per cui (ex  aliis  Consiglio  di  Stato,
sezione VI, 13 settembre 2012, n.  4872)  le  valutazioni  in  ordine
all'esistenza  di  un  interesse  particolarmente  importante  di  un
immobile, tali da giustificare l'apposizione del relativo  vincolo  e
del conseguente regime, costituiscono espressione  di  un  potere  di
apprezzamento  essenzialmente  tecnico,  con  cui  si  manifesta  una
prerogativa   propria   dell'Amministrazione   dei   beni   culturali
nell'esercizio  della  sua  funzione  di   tutela   del   patrimonio»
(Consiglio di Stato, sezione IV, 9 febbraio 2016, n. 514, n. 517,  n.
519; Id. 29 febbraio 2016, n. 846). 
    Soltanto  lo  Stato  puo'  quindi  stabilire  quali  beni   siano
assoggettati alla disciplina di tutela culturale di  cui  al  decreto
legislativo n. 42 del 2004, mentre e' radicalmente  escluso  che  una
tale scelta possa essere operata da una regione. 
    Come sopra evidenziato, cio' non significa che alle  regioni  sia
assolutamente inibito intervenire in materia di tutela,  ma  un  tale
intervento e' consentito esclusivamente al di fuori del perimetro  di
esclusiva competenza statale della disciplina di tutela. 
    Codesta Ecc.ma Corte costituzionale ha avuto modo  di  precisare,
al riguardo, il contesto e i limiti entro i quali, al di fuori  dello
schema   classico   «tutela/valorizzazione»,   puo'    legittimamente
esercitarsi la potesta' legislativa  delle  regioni,  precisando  che
essa deve svolgersi «non gia'  in  posizione  antagonistica  rispetto
allo Stato, ma in funzione di una salvaguardia diversa ed aggiuntiva:
volta a far si' che, nella predisposizione degli strumenti normativi,
ci  si  possa  rivolgere  -  come  questa  Corte  ha  avuto  modo  di
sottolineare (sentenza  n.  232  del  2005)  -  oltre  che  ai  "beni
culturali" identificati secondo la disciplina  statale,  e  rilevanti
sul   piano   della   memoria   dell'intera   comunita'    nazionale,
eventualmente (e residualmentea) nche ad  altre  espressioni  di  una
memoria "particolare", coltivata in quelle terre da parte  di  quelle
persone, con le proprie peculiarita'  e  le  proprie  storie»  (Corte
costituzionale, sentenza n. 194 del 2013). 
    In sintesi, alle regioni  e'  consentita  unicamente  una  tutela
aggiuntiva, la quale puo' legittimamente  estrinsecarsi  negli  spazi
non coperti dalla disciplina statale, in senso per cosi' dire praeter
legem e non contra legem. 
    La Consulta ha tuttavia specificato che una eventuale  disciplina
regionale in tale ambito deve evitare di sovrapporsi alla  disciplina
dello Stato, prendendo in considerazione soltanto beni  per  i  quali
sia stato espressamente escluso un interesse culturale ai  sensi  del
Codice. 
    Nella pronuncia gia' richiamata si evidenzia,  infatti,  che  per
evitare  tale  (non  consentita)  sovrapposizione  non   e'   neppure
sufficiente che la regione dichiari di riferirsi a  beni  diversi  da
quelli di cui all'art.  10  del  Codice  dei  beni  culturali  e  del
paesaggio,  ma  e'  necessario  che  la   legge   regionale   preveda
espressamente «di rivolgersi soltanto a quelle cose  che,  in  quanto
non riconosciute o non dichiarate di "interesse culturale", all'esito
dei  previsti  procedimenti,  risultassero,  percio',  escluse,  come
previsto, dall'applicazione delle disposizioni del codice  (art.  12,
comma 4, e articoli 13 e seguenti del Codice dei beni culturali),  in
quanto non ricomprendibili nel novero dei beni culturali  di  cui  al
predetto art. 10» (Corte costituzionale n. 194 del 2013). 
    Con ogni evidenza, la disposizione  regionale  qui  censurata  si
pone  del  tutto  al  di  fuori  dei  canoni  indicati  dalla   Corte
costituzionale, atteso che non solo la  regione  e'  intervenuta  con
riferimento a beni (i trabucchi) vincolati o suscettibili di  vincolo
ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio ma ha,  anche,
inteso  stabilire  per  tali  beni  proprio  l'assoggettamento   allo
specifico regime  di  tutela  della  Parte  II  del  Codice,  che  e'
esercitato esclusivamente dallo Stato. 
    Oltre  all'invasione  della  potesta'  statale,   la   previsione
regionale e' anche in contrasto con  la  disciplina  sostanziale  del
Codice, in quanto pretende di sottoporre a tutela culturale  tutti  i
trabucchi,  indipendentemente  dall'epoca   di   realizzazione,   che
potrebbe anche essere recente, atteso che la stessa  legge  incentiva
la realizzazione di nuovi trabucchi, come si dira'. 
    Sotto questo profilo, e' evidente la distonia della  disposizione
censurata rispetto alla disciplina del Codice, la quale  prevede  che
non possano essere assoggettate a tutela culturale le cose che  siano
opera di autore vivente o la cui  esecuzione  non  risalga  ad  oltre
settanta anni (art. 10, comma 5) 
    Conclusivamente, la norma risulta illegittima per invasione della
potesta' esclusiva statale in materia di tutela dei beni culturali di
cui all'art. 117, secondo  comma,  lettera  s),  della  Costituzione,
stante la violazione del Codice dei beni culturali e  del  paesaggio,
costituente normativa interposta, e in particolare  delle  norme  che
attribuiscono esclusivamente allo Stato le funzioni di  tutela  (art.
4)  e  disciplinano  le  modalita'  di  individuazione  dei  beni  di
interesse culturale (articoli 10, 13 e 14 del Codice). 
II) Illegittimita' dell'art. 2 della legge regionale n. 12/2020,  per
violazione  della  potesta'  legislativa  esclusiva  dello  Stato  in
materia di tutela del paesaggio, di cui all'art. 117, secondo  comma,
lettera s), della  Costituzione,  disposizione  rispetto  alla  quale
costituiscono norme interposte le  previsioni  del  Codice  dei  beni
culturali  e  del  paesaggio  che  specificamente   disciplinano   la
pianificazione paesaggistica, e in particolare gli articoli 135,  143
e 145. Violazione  dell'art.  9  della  Costituzione,  in  quanto  la
disciplina regionale determina  un  abbassamento  del  livello  della
tutela del paesaggio, costituente valore primario e assoluto. 
    L'art. 2 della legge impugnata dispone  che  «I  comuni,  per  le
finalita' di cui all'art. 1, devono redigere piani per  il  recupero,
il ripristino, la  conservazione  e  la  costruzione  dei  trabucchi,
disponendo gli ambiti localizzativi per le  nuove  costruzioni  e  le
norme tecniche attuative, nel rispetto delle  prescrizioni  contenute
nel Piano degli Arenili Comunale (PSC), nonche'  di  quanto  previsto
dalla legge regionale 22 dicembre 1999,  n.  44  (Interventi  per  il
recupero della tradizione dei trabucchi della costa molisana)» (comma
1) e che «I Piani di cui al comma 1 devono essere recepiti nel "Piano
paesaggistico regionale"» (comma 2). 
    La disciplina regionale rimette dunque esclusivamente  ai  Comuni
la disciplina pianificatoria inerente  ai  trabucchi  e  agli  ambiti
paesaggistici interessati dai  manufatti,  con  cio'  sovvertendo  il
sistema di competenze  nonche'  il  rapporto  di  gerarchia  tra  gli
strumenti di pianificazione stabilito  dal  Codice  di  settore,  che
attribuisce  al   piano   paesaggistico   regionale   la   disciplina
pianificatoria dei  contesti  tutelati,  conferendogli  altresi'  una
posizione di primazia rispetto a tutti gli altri piani. 
    Il   legislatore   nazionale,   nell'esercizio   della   potesta'
legislativa  esclusiva  in  materia  di  tutela  del  paesaggio,   ha
assegnato infatti al piano paesaggistico regionale una  posizione  di
assoluta preminenza nel contesto della pianificazione territoriale. 
    L'art. 135,  comma  1,  del  Codice  dei  beni  culturali  e  del
paesaggio dispone,  in  particolare,  che  «Lo  Stato  e  le  regioni
assicurano che tutto  il  territorio  sia  adeguatamente  conosciuto,
salvaguardato, pianificato e gestito in ragione dei differenti valori
espressi dai diversi contesti che lo costituiscono. A  tale  fine  le
regioni  sottopongono  a  specifica  normativa  d'uso  il  territorio
mediante piani paesaggistici, ovvero  piani  urbanistico-territoriali
con specifica considerazione dei valori  paesaggistici,  entrambi  di
seguito denominati: "piani paesaggistici". L'elaborazione  dei  piani
paesaggistici  avviene  congiuntamente  tra  Ministero   e   regioni,
limitatamente ai beni paesaggistici di cui  all'art.  143,  comma  1,
lettere b), c) e d), nelle forme previste dal medesimo art. 143.». 
    I successivi articoli 143, comma 9, e 145, comma 3, del Codice di
settore  sanciscono,  poi,  l'inderogabilita'  delle  previsioni  del
predetto strumento da parte di piani, programmi e progetti  nazionali
o regionali di sviluppo economico e la  loro  cogenza  rispetto  agli
strumenti  urbanistici,  nonche'  l'immediata  prevalenza  del  piano
paesaggistico su ogni altro atto della pianificazione territoriale  e
urbanistica (cfr. Corte costituzionale n. 180 del 2008). 
    Mediante la prefata disciplina statale, e' stata  effettuata  una
scelta di principio la cui  validita'  e  importanza  e'  gia'  stata
evidenziata piu'  volte  dalla  Corte  costituzionale,  in  occasione
dell'impugnazione di leggi regionali che  intendevano  mantenere  uno
spazio decisionale autonomo  agli  strumenti  di  pianificazione  dei
comuni e delle regioni, eludendo  la  necessaria  condivisione  delle
scelte attraverso  uno  strumento  di  pianificazione  sovracomunale,
definito d'intesa tra lo Stato e la regione. 
    La Corte ha, infatti, affermato l'esistenza di un vero e  proprio
obbligo, costituente un  principio  inderogabile  della  legislazione
statale, di  elaborazione  congiunta  del  piano  paesaggistico,  con
riferimento ai beni vincolati (Corte costituzionale n. 86 del 2019) e
ha   rimarcato   che   l'impronta   unitaria   della   pianificazione
paesaggistica «e' assunta a valore  imprescindibile,  non  derogabile
dal legislatore regionale in quanto espressione di un intervento teso
a stabilire una metodologia uniforme nel rispetto della  legislazione
di tutela dei beni culturali e paesaggistici  sull'intero  territorio
nazionale» (Corte Costituzionale n.  182  del  2006;  cfr.  anche  la
sentenza n. 272 del 2009). 
    In contrasto con  i  suddetti  principi,  l'art.  2  della  legge
regionale censurata rimette esclusivamente ai  comuni  la  disciplina
d'uso  degli  ambiti  tutelati,  finalizzata  al  recupero   e   alla
realizzazione di trabucchi, che dovrebbe essere  invece  dettata  dal
Piano paesaggistico da approvarsi previa intesa con lo Stato; per  di
piu', la previsione regionale stabilisce che tale disciplina comunale
debba essere recepita dal piano paesaggistico, con  cio'  sovvertendo
il rapporto di  gerarchia  tra  i  piani  stabilito  dal  legislatore
statale. 
    L'art. 143, comma 9, del Codice stabilisce infatti che a far data
dall'approvazione del piano paesaggistico «le relative  previsioni  e
prescrizioni  sono  immediatamente   cogenti   e   prevalenti   sulle
previsioni  dei  piani  territoriali  ed  urbanistici»,   mentre   il
successivo art. 145, comma 3, dispone che «Le  previsioni  dei  piani
paesaggistici di cui agli articoli 143 e 156 non sono  derogabili  da
parte di  piani,  programmi  e  progetti  nazionali  o  regionali  di
sviluppo economico, sono cogenti per gli  strumenti  urbanistici  dei
comuni,  delle  citta'   metropolitane   e   delle   province,   sono
immediatamente prevalenti sulle disposizioni  difformi  eventualmente
contenute  negli  strumenti  urbanistici,   stabiliscono   norme   di
salvaguardia applicabili in attesa dell'adeguamento  degli  strumenti
urbanistici e sono altresi' vincolanti per gli interventi settoriali.
Per quanto attiene alla tutela del  paesaggio,  le  disposizioni  dei
piani  paesaggistici  sono  comunque  prevalenti  sulle  disposizioni
contenute negli atti  di  pianificazione  ad  incidenza  territoriale
previsti dalle normative di settore, ivi compresi quelli  degli  enti
gestori delle aree naturali protette». 
    Conseguentemente, il comma 4 del medesimo art. 145 prevede che «I
comuni, le citta' metropolitane, le province e gli enti gestori delle
aree  naturali  protette  conformano  o  adeguano  gli  strumenti  di
pianificazione urbanistica e territoriale alle previsioni  dei  piani
paesaggistici, secondo le procedure previste dalla  legge  regionale,
entro i termini stabiliti dai piani medesimi e comunque non oltre due
anni dalla loro approvazione. I limiti alla proprieta'  derivanti  da
tali previsioni non sono oggetto di indennizzo». 
    Emerge da quanto illustrato la violazione, da parte  dell'art.  2
della legge del Molise, della potesta'  legislativa  esclusiva  dello
Stato in materia di  tutela  del  paesaggio,  di  cui  all'art.  117,
secondo comma, lettera s), della Costituzione, disposizione  rispetto
alla quale costituiscono norme interposte le  previsioni  del  Codice
dei beni culturali e del paesaggio che specificamente disciplinano la
pianificazione paesaggistica, e in particolare gli articoli 135,  143
e 145. 
    E', inoltre, violato anche l'art. 9 della Costituzione, in quanto
la disciplina regionale determina un abbassamento del  livello  della
tutela del paesaggio, costituente valore primario e  assoluto  (Corte
costituzionale n. 367 del 2007). 
III) Illegittimita' dell'art. 5 della legge regionale  n.  12/2020  -
laddove, con i commi 1 e 2, detta i parametri dimensionali dei  nuovi
trabucchi, applicabili anche ai trabucchi esistenti, siti in contesti
paesaggisticamente vincolati ope legis, contrastando con il principio
di  co-pianificazione  obbligatoria  previsto  dal  Codice  dei  beni
culturali e del paesaggio (art. 135, 143 e 145) -, sotto  il  profilo
paesaggistico,  perche'  invade  la  sfera  di  competenza  esclusiva
riservata allo Stato, ai sensi dell'art. 117, secondo comma,  lettera
s), della Costituzione, e pregiudica l'interesse costituzionale  alla
tutela del paesaggio, di cui all'art. 9 della Costituzione. 
    L'art. 5 della legge regionale, recante «Disposizioni  tecniche»,
prevede i limiti dimensionali che devono essere osservati dai comuni,
in sede di redazione dei Piani comunali di recupero di  cui  all'art.
2, per la realizzazione di nuovi trabucchi. 
    In particolare, il comma 1  prevede:  «Per  la  realizzazione  di
nuovi trabucchi, in sede di  redazione  dei  Piani  comunali  di  cui
all'art. 2, i comuni, osservano i seguenti limiti dimensionali: 
        a)  la  struttura  destinata  alla  ristorazione  aperta   al
pubblico, esclusa l'area occupata dalla rete e dalle passerelle,  non
puo' eccedere la superficie di 180 metri quadrati  calpestagli  e  la
parte di struttura  destinata  ai  servizi  accessori  connessi  alla
ristorazione, quali cucina e servizi, e ai servizi igienici non  puo'
eccedere la superficie di 60 metri quadrati calpestagli; 
        b) la passerella di accesso, la cui superficie e' esclusa dal
computo dei parametri massimi  individuati  dalla  lettera  a),  deve
avere una larghezza compresa tra  metri  2  e  metri  2,30,  per  una
lunghezza massima di metri 50. Le passerelle laterali, ove  previste,
devono avere una larghezza compresa tra metri 2 e metri  2,30  e  una
lunghezza compatibile con le necessita' funzionali; 
        c) la rete da pesca deve rispettare le dimensioni  normative.
Il trabucco puo' essere dotato di  una  rete  di  arredo,  simbolica,
fissa e non fruibile per la pesca,  di  dimensioni  non  superiori  a
metri quadrati 300; 
        d)  altezza  massima  della  piattaforma  dal  livello   mare
compresa tra metri 5,20 e metri 6; 
        e)  utilizzo  di   materiali   naturali   (legno   massello),
opportunamente verniciati con strato protettivo, con esclusione delle
parti di fondazione e quelle a contatto con il mare e con gli scogli,
che possono essere realizzate in metallo idoneo. E' data facolta'  di
utilizzare una tipologia costruttiva in cemento armato  solo  per  la
parte delle fondazioni profonde totalmente al di  sotto  del  fondale
come pali o plinti a bicchiere a cui  possono  essere  appoggiate  le
parti strutturali in legno o metallo idoneo. E' escluso l'utilizzo di
materiali plastici e legno lamellare; 
        f)  i  collegamenti  tra  le  travi  portanti  devono  essere
realizzati esclusivamente con bullonatura in  acciaio,  adeguatamente
dimensionata; 
        g) tutti  gli  impianti  a  servizio  del  trabucco  (idrico,
elettrico)  devono  essere  resi  non  visibili   mediante   condotti
scatolari in legno di idonea dimensione e sezione; 
        h) le porte e gli infissi devono  essere  in  legno  massello
opportunamente verniciato con protettivo; 
        i) non e' consentito pavimentare il tavolato e le passerelle; 
        j) le coperture delle superfici possono essere  protette  con
impermeabilizzante non visibile esternamente; 
        k) i tiranti devono  essere  realizzati  con  filo  metallico
zincato di idonea sezione; 
        l)  deve  essere  garantito  il  carattere  provvisorio   dei
manufatti». 
    Il comma 2 precisa che i predetti limiti dimensionali, riferiti a
un eventuale utilizzo del  trabucco  per  attivita'  di  ristorazione
(cfr.  comma  1,  lettera  a),  si  applicano  anche   in   caso   di
ristrutturazione e ampliamento dei trabucchi esistenti,  se  pur  nel
rispetto della normativa regionale e statale vigente in materia. 
    Tali disposizioni contrastano  irragionevolmente  con  la  stessa
normativa regionale,  laddove,  all'art.  3,  dispone:  «I  trabucchi
devono conservare la finalita'  di  pesca  per  diletto  e  luogo  di
incontro» (comma 1). 
    Il comma  3  dell'art.  3  prevede  inoltre:  «E'  fatto  divieto
assoluto di utilizzare  i  trabucchi  per  scopi  diversi  da  quelli
previsti dalla presente legge e dalle leggi regionali  e  statali  in
materia, nonche' di realizzare qualunque intervento di trasformazione
edilizia, ad  eccezione  di  quelli  strettamente  necessari  per  la
conservazione, l'ottimizzazione della funzionalita' e il  superamento
delle barriere architettoniche». 
    Con le previsioni dell'art. 5, invece, il legislatore  regionale,
contraddicendo apertamente le piu' stringenti previsioni dell'art.  3
della  medesima  legge  sopra  richiamate,  prevede  l'utilizzo   dei
trabucchi   anche   per   finalita'   di    ristorazione,    fissando
conseguentemente parametri dimensionali del  tutto  sproporzionati  e
tali da snaturare le caratteristiche tipiche  di  tali  manufatti,  i
quali - giova ricordarlo - dovrebbero  essere  realizzati  in  ambiti
costieri, come tali soggetti a vincolo paesaggistico, al di fuori del
quadro necessario della  pianificazione  paesaggistica  (cfr.  quanto
sopra detto con riferimento all'art. 2). 
    Per di piu', come gia' rilevato,  tale  disciplina  viene  estesa
anche  ai  trabucchi  esistenti,   tra   i   quali   sono   compresi,
potenzialmente, anche quelli dichiarati (pure) di interesse culturale
(oltre che paesaggistico). 
    Sotto altro profilo, le disposizioni censurate,  nell'intervenire
sui parametri di superficie, incidono,  di  fatto,  sui  Piani  degli
arenili,  i  quali  contengono  prescrizioni  specifiche  molto  piu'
restrittive di quelle previste dalla legge regionale. 
    Si riporta, come esempio, un estratto delle norme tecniche  degli
arenili del Comune di Termoli che all'art. 6.3 individua le norme per
la  realizzazione  dei  nuovi  trabucchi,  in  conformita'  a  quanto
previsto all'art. 9, punto 9, del Piano  regionale  di  utilizzazione
delle aree del demanio  marittimo  a  finalita'  turistico-ricreative
(PRUA). 
    «6.3 Trabucchi 
    6.3.1 I trabucchi, come noto, sono delle strutture  da  pesca  da
terra di antica tradizione. Sono ubicati come risulta dalla tavola di
zonizzazione  del  Comune  di  Termoli,  sulla  scogliera   nord   di
protezione del Borgo Vecchio e del Porto. Dovranno essere  realizzati
con strutture  rigorosamente  ed  esclusivamente  lignee  utilizzando
tecniche e  materiali  del  passato  e  conservando  anche  l'aspetto
estetico antico. 
    Le caratteristiche plano altimetriche: 
        L'altezza sul livello del mare dovra' essere  inferiore  a  5
mt; 
        La superficie scoperta dovra' essere non superiore a 50 mq; 
        La superficie coperta del capanno dovra' essere non superiore
a 20 mq». 
    All'interno  dell'ambito  di  applicazione  del  Piano   spiaggia
comunale ricadono aree soggette a vincoli paesaggistici  dettati  dal
Piano territoriale paesistico di area vasta. 
    Emerge chiaramente, da un confronto con i parametri  dimensionali
previsti dal Piano degli arenili con  quelli  contenuti  nella  legge
regionale de qua, che questi ultimi sono oltre tre volte  i  primi  e
che i «nuovi» trabucchi niente hanno a che  vedere  con  i  trabucchi
storici: si tratta invece di manufatti del tutto nuovi, con  i  quali
si vuole consentire la realizzazione di veri e propri «ristoranti sul
mare» assumendoli come beni meritevoli di tutela. 
    Anche la normativa della Regione Abruzzo  -  ritenuta  sul  punto
legittima con la  sentenza  n.  138  del  2020  -  prevede  comunque,
rispetto alla normativa in esame, parametri  dimensionali  inferiori,
nonche' ulteriori previsioni, volte  a  far  salvo  espressamente  il
rispetto della disciplina di tutela, in particolare  in  presenza  di
vincoli culturali e paesaggistici. 
    Le  disposizioni  regionali  contrastano  con   la   scelta   del
legislatore statale di rimettere alla pianificazione paesaggistica la
disciplina d'uso dei beni paesaggistici (c.d. vestizione dei vincoli)
ai fini dell'autorizzazione degli interventi, come esplicitata  negli
articoli 135,  143  e  145  del  Codice  dei  beni  culturale  e  del
paesaggio,  costituenti  norme  interposte  rispetto   al   parametro
costituzionale di cui agli articoli 9 e 117, secondo  comma,  lettera
s), della Costituzione. 
    Al riguardo, occorre tenere presente che la Parte III del  Codice
dei beni culturali e del paesaggio delinea  un  sistema  organico  di
tutela  paesaggistica,  inserendo  i   tradizionali   strumenti   del
provvedimento   impositivo   del   vincolo   e    dell'autorizzazione
paesaggistica  nel  quadro  della  pianificazione  paesaggistica  del
territorio, che  deve  essere  elaborata  concordemente  da  Stato  e
regione. 
    Tale  pianificazione  concordata  prevede,  per   ciascuna   area
tutelata, le c.d. prescrizioni d'uso (e cioe' i criteri  di  gestione
del vincolo, volti a orientare la fase autorizzatoria)  e  stabilisce
la tipologia delle trasformazioni compatibili e  di  quelle  vietate,
nonche' le condizioni delle eventuali trasformazioni. 
    Il   legislatore   nazionale,   nell'esercizio   della   potesta'
legislativa esclusiva  in  materia,  ha  assegnato  dunque  al  piano
paesaggistico una posizione di assoluta preminenza nel contesto della
pianificazione territoriale. 
    Gli articoli 143, comma 9, e 145, comma 3, del Codice di  settore
sanciscono infatti l'inderogabilita' delle  previsioni  del  predetto
strumento da  parte  di  piani,  programmi  e  progetti  nazionali  o
regionali di sviluppo economico  e  la  loro  cogenza  rispetto  agli
strumenti  urbanistici,  nonche'  l'immediata  prevalenza  del  piano
paesaggistico su ogni altro atto della pianificazione territoriale  e
urbanistica (cfr. Corte costituzionale n. 180 del 2008). 
    Questo profilo di illegittimita' non viene meno per il fatto  che
la disciplina regionale  richiami,  in  maniera  peraltro  del  tutto
generica, il necessario rispetto della disciplina statale, in  quanto
la normativa regionale comunque consente,  a  monte  e  in  astratto,
possibili ampie trasformazioni degli immobili e quindi  del  contesto
tutelato, a scapito della sua «conservazione» e «integrita'». 
    Viene pertanto compromessa la  possibilita'  di  una  valutazione
complessiva  della  trasformazione  del  contesto   tutelato,   quale
dovrebbe  avvenire  nell'ambito  del  Piano  paesaggistico,  adottato
previa intesa  con  lo  Stato,  rimettendo  alla  Soprintendenza  una
valutazione caso per caso degli interventi. 
IV) Illegittimita' dell'art. 5 della legge regionale n. 12/2020,  per
violazione  dell'art.  117,  secondo   comma,   lettera   s),   della
Costituzione, rispetto al quale costituiscono  norme  interposte  gli
articoli 20, 21, 135, 143 e 145 del Codice dei beni culturali  e  del
paesaggio, nonche' per violazione  dell'art.  9  della  Costituzione,
sotto il  profilo  culturale,  in  considerazione  del  significativo
abbassamento della tutela determinato dalle previsioni contestate. 
    Con riguardo ai profili di tutela culturale, il comma 2 dell'art.
5, potendo astrattamente  riguardare  trabucchi  gravati  da  vincolo
imposto ai sensi della Parte II del Codice dei beni culturali  e  del
paesaggio,  contrasta  anche  con  la  normativa  statale  di  tutela
riferita a tale ambito. 
    Deve infatti tenersi presente che, in base all'art. 20, comma  1,
del medesimo Codice, «I beni culturali non possono essere  distrutti,
deteriorati, danneggiati o adibiti ad usi non compatibili con il loro
carattere storico o artistico oppure tali da recare pregiudizio  alla
loro conservazione». 
    Il Codice, inoltre,  non  prevede  la  predeterminazione  di  una
disciplina  di  trasformazione  del  bene  tutelato,  rimettendo   la
valutazione caso per caso degli interventi  al  Soprintendente  (art.
21). 
    E' pertanto del tutto estranea  alle  attribuzioni  regionali  la
disciplina delle possibili  variazioni  delle  destinazioni  d'uso  e
modificazioni  della  consistenza   materiale   di   beni   culturali
sottoposti a tutela, essendo tale disciplina  rimessa  esclusivamente
allo Stato. 
    Sulla questione, si  richiamano  i  costanti  orientamenti  della
Corte  costituzionale,  la  quale  ha  posto  una  precisa  linea  di
distinzione  tra  le  competenze  legislative  statali  e  regionali,
riservando allo Stato la competenza tutte le  volte  in  cui  oggetto
della disciplina sia un  bene  tutelato,  anche  avendo  riguardo  al
«supporto materiale» inciso dalla normativa. 
    In particolare, gia' con la sentenza n. 9 del 2004  la  Corte  ha
evidenziato  come  rientri  tra  le  attivita'  costituenti   tutela,
riservata in via esclusiva allo Stato, quella diretta «a conservare i
beni culturali e ambientali», ossia volta «principalmente ad impedire
che il bene possa degradarsi nella sua struttura fisica e quindi  nel
suo contenuto culturale». 
    Non spetta, invece, alla regione dettare una disciplina  volta  a
individuare le modificazioni consentite  di  manufatti  sottoposti  a
tutela ai sensi della Parte II del Codice dei beni  culturali  e  del
paesaggio. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Tanto premesso e considerato, giusta delibera del  Consiglio  dei
ministri  in  data  30  dicembre  2020,  si  chiede  che   la   Corte
costituzionale    adita    voglia     dichiarare     l'illegittimita'
costituzionale legge regionale Molise n. 12 del 2020, pubblicata  nel
Bollettino ufficiale regionale n. 76 del 16 novembre 2020, avente  ad
oggetto «Disposizioni in materia di  valorizzazione  e  utilizzazione
commerciale e turistica del trabucco molisano» in  particolare  degli
art. 1, 2 e 5, per violazione della potesta' legislativa esclusiva in
materia di tutela del paesaggio, di cui all'art. 117, secondo  comma,
lettera s), della Costituzione,  rispetto  alla  quale  costituiscono
norme interposte gli articoli 10, 13, 14, 20, 21, 135, 143, 145 e 156
del Codice dei beni culturali e del paesaggio, nonche' per violazione
dell'art.  9  della   Costituzione   e   del   principio   di   leale
collaborazione; 
    Si produrra' copia della delibera del Consiglio dei ministri. 
        Roma, 12 gennaio 2021 
 
                   L'avvocato dello Stato: Zerman 
 
 
                  L'avvocato dello Stato: Albenzio