N. 9 ORDINANZA (Atto di promovimento) 16 dicembre 2019
Ordinanza del 16 dicembre 2019 della Corte d'appello di Bologna nel procedimento penale a carico di P. F.. Esecuzione penale - Sospensione della esecuzione delle pene detentive brevi - Esclusione per il reato di maltrattamenti in famiglia commesso in presenza di minori di cui all'art. 572, secondo comma, del codice penale - Norma introdotta con la legge n. 69 del 2019 - Mancata previsione di un regime transitorio. - Codice di procedura penale, art. 656, comma 9, lettera a), nella parte in cui richiama l'art. 572, secondo comma, del codice penale, come modificato dall'art. 9 della legge 19 luglio 2019, n. 69 (Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere).(GU n.6 del 10-2-2021 )
CORTE D'APPELLO DI BOLOGNA I Sezione penale La Corte d'appello di Bologna, composta dai magistrati: dr.ssa Margherita Chiappelli - presidente; dott. Domenico Stigliano - consigliere; dr.ssa Simona Siena - consigliere est.; Vista l'istanza avanzata nell'interesse di P.F., con cui si chiede la sospensione dell'ordine di carcerazione SIEP n. 556/2019 o, in subordine, di sollevare questione di legittimita' costituzionale; Sentito il parere del pubblico ministero; Sciogliendo la riserva assunta all'udienza del 26 novembre 2019; Osserva P.F. si trova in stato di esecuzione della pena (anni uno, mesi uno, giorni quindici di reclusione, gia' detratti i periodi di presofferto) inflitta con la sentenza emessa dalla Corte d'appello di Bologna l'11 aprile 2019, divenuta definitiva il 26 luglio 2019, giusto ordine di esecuzione per la carcerazione SIEP n. 556 emesso il 23 settembre 2019. Il P. e' stato condannato per un reato (art. 572, comma 2 e 61 n. 2-quinquies del codice penale, fatto commesso in presenza di minori, nel periodo «dal 2011 al mese di maggio 2017») che risulta essere ostativo alla contestuale sospensione dell'ordine di carcerazione, ai sensi dell'art. 656, comma 9, lettera a) del codice di procedura penale, solo a seguito della legge n. 69/2019, norma che, come si legge nell'ordine di carcerazione, e' stata ritenuta applicabile nel caso in ragione del principio tempus regit actum regolante la materia esecutiva. La difesa contesta questa ricostruzione, ritenendo che, venendo in rilievo una norma di carattere sostanziale e con contenuto afflittivo, il divieto di sospensione dell'ordine di carcerazione non passa trovare applicazione in forza del combinato disposto di cui agli articoli 2 del codice penale, 25 della Costituzione e 7 della CEDU, trattandosi peraltro di norma entrata in vigore successivamente al passaggio in giudicato della sentenza. Si fa poi un parallelismo con la legge n. 3/2019 (c.d. spazzacorrotti), che e' intervenuta sull'art. 4-bis O.P. introducendo, nel novero dei reati che impediscono la concessione delle misure alternative alla detenzione, anche le fattispecie delittuose contro la pubblica amministrazione. Si richiama in proposito un provvedimento del giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Como dell'8 marzo 2019 che ha ritenuto di non applicare la nuova disposizione nei confronti di persona condannata per il reato di cui all'art. 314 del codice penale per fatti antecedenti alla sua entrata in vigore, dichiarando l'inefficacia dell'ordine di esecuzione per la durata di trenta giorni. Si cita anche l'ordinanza della Corte d'appello di Lecce del 4 settembre 2019 che, sempre con riferimento alla modifica introdotta dalla legge n. 3/2019 nei confronti di un condannato per il delitto di peculato commesso anteriormente alla modifica, ha sollevato questione di legittimita' costituzionale per via dell'assenza di una norma transitoria che dichiari la riforma applicabile ai soli fatti commessi successivamente alla sua entrata in vigore. Situazione che la difesa assume essere assimilabile al caso in esame, mancando una norma transitoria di coordinamento tra l'art. 572 del codice penale e l'art. 656, comma 9, lettera a) del codice di procedura penale e venendo in rilievo una norma che comporta una sostanziale modificazione dello stato di liberta' personale e che ha stravolto in itinere la concreta applicazione della pretesa punitiva dello Stato. Ai sensi dell'art. 656, comma 9, lettera a) del codice di procedura penale la sospensione dell'esecuzione di cui al comma 5 del predetto articolo non puo' essere disposta, tra gli altri, nel caso di condannati per i delitti di cui agli articoli 572, comma 2 del codice penale. Tale esclusione e' stata introdotta con il decreto-legge n. 78/2013 convertito con legge n. 94/2013, a decorrere dal 3 luglio 2013. A quell'epoca, l'art. 572, comma 2 del codice penale recitava «la pena e' aumentata se il fatto e' commesso in danno di persona minore degli anni quattordici». L'art. 572 del codice penale e' stato interessato dalle seguenti riforme: art. 1, comma 1-bis del decreto-legge n. 93/2013, convertito nella legge n. 119/2013, che ha abrogato il comma 2 dell'art. 572 del codice penale, introducendo la specifica aggravante di cui all'art. 61, comma 1, n. 11-quinquies del codice penale ovvero «l'avere [...] nel delitto di cui all'art. 572 del codice penale, commesso il fatto in presenza o in danno di un minore di anni diciotto ovvero in danno di persona in stato di gravidanza»; art. 9 della legge n. 69/2019 (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 173 del 25 luglio 2019 ed entrata in vigore il 9 agosto 2019), che, da un lato, ha eliminato il riferimento all'art. 572 del codice penale prima contenuto nell'art. 61, comma 1, n. 11-quinquies del codice penale, dall'altro, ha introdotto la seguente aggravante all'art. 572, comma 2 del codice penale: «La pena e' aumentata fino alla meta' se il fatto e' commesso in presenza o in danno di persona minore, di donna in stato di gravidanza o di persona con disabilita' come definita ai sensi dell'art. 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero se il fatto e' commesso con armi». Cio' detto, si osserva innanzitutto che non vi e' continuita' normativa tra: il reato aggravato di cui all'art. 572, comma 2 del codice penale, che era relativo al fatto commesso in danno di persona minore di anni quattordici (fattispecie originariamente richiamata nell'art. 656, comma 9, lettera a) del codice di procedura penale); e il fatto di reato per il quale il P. ha riportato condanna, ovvero il reato di cui agli articoli 572 e 61, comma 1, n. 11-quinquies del codice penale per avere maltrattato la moglie, fatto aggravato dall'essere stato commesso in presenza di minori di anni diciotto (N. di anni [...] e L. di anni [...]). E' stato, infatti, affermato che «non costituisce titolo ostativo alla sospensione dell'ordine di esecuzione di pene detentive ai sensi dell'art. 656, comma 9, lettera a) del codice di procedura penale il delitto di maltrattamenti in famiglia aggravato ex art. 61, n. 11-quinquies del codice penale per essere stato il fatto commesso in presenza di un minore di anni quattordici, atteso che non sussiste continuita' normativa tra detto delitto e l'ipotesi aggravata di maltrattamenti in danno di un minore di anni quattordici, contemplata dal previgente art. 572, comma secondo del codice penale, al quale la suddetta lettera a) seguita a fare formale rinvio» (cfr. Cassazione - Sezione I - sentenza n. 12653 del 24 gennaio 2019 Cc., dep. 21 marzo 2019, Rv. 274989). La continuita' normativa tra l'originaria forma aggravata del reato di maltrattamenti ex art. 572, comma 2 del codice penale e quella introdotta con l'art. 61, n. 11-quinquies del codice penale «deve intendersi limitata alle condotte commesse in danno dei minori di anni quattordici, unico terreno comune ad entrambe le aggravanti. Invece, non rientrano nell'originaria previsione ne' possono ritenersi richiamate in forma "mobile" o formale, ai fini di cui all'art. 656, comma 9, lettera a) del codice di procedura penale, le ulteriori forme di aggravamento della condotta introdotte con l'art. 61, n. 11-quinquies del codice penale, trattandosi di nuove ipotesi di responsabilita' aggravata, quindi soggette ai principi di tassativita' di irretroattivita' della legge penale» (cfr. Cassazione cit.). Si innesta ora nella questione la recente modifica normativa introdotta con l'art. 9 della legge n. 69/2019, che, come detto, ha previsto una specifica aggravante all'art. 572, comma 2 del codice penale («La pena e' aumentata fino alla meta' se il fatto e' commesso in presenza o in danno di persona minore, di donna in stato di gravidanza o di persona con disabilita' come definita ai sensi dell'art. 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero se il fatto e' commesso con armi»). Certamente vi e' continuita' normativa tra la fattispecie contestata al P. e quella oggetto della nuova formulazione, riguardando entrambe il fatto commesso in presenza di persona di minore eta'. Si deve a questo punto valutare se il divieto di sospensione dell'ordine di esecuzione nei confronti di condannati per il reato di maltrattamenti in famiglia commesso alla presenza di minori trovi applicazione anche ai fatti commessi anteriormente alla legge n. 69/2019. La tesi della Procura generale e' in linea con l'approdo interpretativo stabilizzato nella giurisprudenza di legittimita', secondo cui le modifiche normative di norme processuali soggiacciono al principio tempus regit actum, costantemente ritenuto applicabile alla materia esecutiva (tra le altre, cfr. Sez. Unite, sentenza n. 24561 del 30 maggio 2006, Cc., dep. 17 luglio 2006, Rv. 233976, secondo cui «le disposizioni concernenti l'esecuzione delle pene detentive e le misure alternative alla detenzione, non riguardando l'accertamento del reato e l'irrogazione della pena, ma soltanto le modalita' esecutive della stessa, non hanno carattere di norme penali sostanziali e pertanto (in assenza di una specifica disciplina transitoria), soggiacciono al principio "tempus regit actum", e non alle regole dettate in materia di successione di norme penali nel tempo dall'art. 2 del codice penale, e dall'art. 25 della Costituzione» e, nello stesso senso, Cassazione - Sezione I - sentenza n. 11580 del 5 febbraio 2013 Cc., dep. 12 marzo 2013, Rv. 255310). La Corte ritiene che l'applicazione del «diritto vivente» al caso in esame renda rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 656, comma 9, lettera a) del codice di procedura penale nella parte in cui, richiamando l'art. 572, comma 2 del codice penale (come riformato dall'art. 9 della legge n. 69/2019), prevede che il reato di maltrattamenti in famiglia commesso in presenza di minori e' ostativo alla sospensione dell'ordine di esecuzione, senza prevedere un regime transitorio che dichiari applicabile tale norma solo ai fatti commessi successivamente all'entrata in vigore della legge n. 69/2019, e cio' per contrasto con gli articoli 3, 13, 25 comma 2, 117 della Costituzione in relazione all'art. 7 del C.E.D.U. L'applicazione del principio tempus regit actum nello specifico caso in esame innanzitutto si presenta idonea a determinare una violazione dell'art. 7 del C.E.D.U. (secondo cui «nessuno puo' essere condannato per una azione o una omissione che, nel momento in cui e' stata commessa, non costituiva reato secondo il diritto interno o internazionale. Parimenti, non puo' essere inflitta una pena piu' grave di quella applicabile al momento in cui il reato e' stato commesso»), per come interpretato dalla C.E.D.U. nella pronuncia emessa dalla Grande Camera nel procedimento Del Rio Prada contro Spagna nel 2013. In tale sentenza e' stato ritenuto violato l'art. 7 in un caso di modifiche introdotte alla disciplina della fase esecutiva (in particolare sul termini di una misura equiparabile alla nostra liberazione anticipata) che avevano comportato un allungamento della durata della pena da scontare. Premesso che per rendere effettiva la tutela offerta dall'art. 7 occorre determinare se una particolare misura costituisca in fin dei conti una «pena» valutando «la natura e lo scopo della misura in discussione, la sua qualificazione nel diritto interno, le procedure associate alla sua adozione e alla sua esecuzione, nonche' la sua gravita'», la C.E.D.U. ha ritenuto che la normativa in esame, pur rientrando nella materia esecutiva, avesse avuto un impatto decisivo sulla «portata della pena» irrogata alla ricorrente. Cio' detto, alla luce di tale principio, si ritiene che la modifica normativa in questione, pur incidendo su una norma processuale attinente alla fase esecutiva della pena, rappresenti una modifica della «portata della pena». L'esecuzione della pena mediante l'immediata carcerazione oppure con forme alternative al di fuori delle strutture penitenziarie non puo' essere considerata riduttivamente una mera modalita' esecutiva della medesima sanzione. L'imposizione dell'immediata carcerazione e l'accesso a misure alternative solo a valle dell'ingresso nell'Istituto di pena comporta un significativo inasprimento della risposta sanzionatoria, connotato da un elevato grado di afflittivita' e di limitazione alla liberta' personale, tutelato dall'art. 13 della Costituzione. La disposizione di cui all'art. 656, comma 9 del codice di procedura penale, dunque, pur essendo norma processuale, ha natura afflittiva o intrinsecamente punitiva ed ha rilevanza sostanziale perche' incide su un bene costituzionalmente tutelato, quale e' la liberta' personale. In applicazione dell'art. 25, comma 2 della Costituzione, la specifica materia esecutiva in esame dovrebbe allora godere delle medesime garanzie delle norme di natura sostanziale, ovvero sarebbe necessario che, gia' al momento della commissione del reato, fosse cristallizzato il quadro normativo da cui discendono le conseguenze sanzionatorie in senso lato. A quel momento, invero, sorge l'affidamento del cittadino sul rapporto intercorrente tra la sua condotta e le conseguenze a essa ricollegate, affidamento tutelato dal principio di irretroattivita' in materia penale e considerato «elemento fondamentale e indispensabile dello stato di diritto» (cfr. Corte costituzionale - sentenza n. 349 del 1985). A supporto della non manifesta infondatezza della questione sotto tale profilo, si richiama la recente sentenza della Corte di cassazione n. 12541 del 14 marzo 2019, la quale, nella parallela questione sorta a seguito dell'emanazione della legge n. 3/2019 che ha inserito i reati contro la pubblica amministrazione tra quelli «ostativi» alla concessione di alcuni benefici penitenziari senza prevedere un regime intertemporale, ha affermato che «non e' revocabile in dubbio che, nella piu' recente giurisprudenza della Corte europea per i diritti dell'uomo, ai fini del riconoscimento delle garanzie convenzionali, i concetti di illecito penale e di pena abbiano assunto una connotazione "antiformalista" e "sostanzialista", privilegiandosi alla qualificazione formale data dall'ordinamento (all'"etichetta" assegnata), la valutazione in ordine al tipo, alla durata, agli effetti nonche' alle modalita' di esecuzione della sanzione o della misura imposta». Significativa in tale senso e' la pronuncia resa nel caso Del Rio Prada contro Spagna (del 21 ottobre 2013), la' dove la Grande Camera della Corte europea dei diritti dell'uomo, nel ravvisare una violazione dell'art. 7 della convenzione, ha riconosciuto rilevanza anche al mutamento giurisprudenziale in tema di un istituto riportabile alla liberazione anticipata prevista dal nostro ordinamento in quanto suscettibile di comportare effetti peggiorativi, giungendo dunque ad affermare che, ai fini del rispetto del «principio dell'affidamento» del consociato circa la «prevedibilita' della sanzione penale», occorre avere riguardo non solo alla pena irrogata, ma anche alla sua esecuzione (sebbene - in quel caso - l'istituto avesse diretto riverbero sulla durata della pena da scontare). 6.3. Alla luce di tale approdo della giurisprudenza di Strasburgo, non parrebbe manifestamente infondata la prospettazione difensiva secondo la quale l'avere il legislatore cambiato in itinere le «carte in tavola» senza prevedere alcuna norma transitoria presenti tratti di dubbia conformita' con l'art. 7 della CEDU e, quindi, con l'art. 117 della Costituzione, la' dove si traduce, per il Ferraresi, nel passaggio - «a sorpresa» e dunque non prevedibile - da una sanzione patteggiata «senza assaggio di pena» ad una sanzione con necessaria incarcerazione, giusta il gia' rilevato operare del combinato disposto degli articoli 656, comma 9, lettera a) del codice di procedura penale e 4-bis ord. penit. D'altronde, in precedenza il legislatore aveva adottato disposizioni transitorie finalizzate a temperare il principio di immediata applicazione delle modifiche all'art. 4-bis ord. penit., quali quelle contenute nell'art. 4 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, e nell'art. 4, comma 1 della legge 23 dicembre 2002, n. 279 (che inseriva i reati di cui agli articoli 600, 601 e 602 del codice penale nell'art. 4-bis cit.), limitandone l'applicabilita' ai soli reati commessi successivamente all'entrata in vigore della legge. La norma censurata, peraltro, si ritiene violi il principio di uguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione dal momento che soggetti diversi, versanti in situazioni analoghe, potrebbero ricevere, per il solo fatto del diverso tempo di attivazione della procura degli adempimenti prettamente amministrativi (emissione dell'ordine di esecuzione/sospensione), un trattamento processuale significativamente differente determinato dall'avvenuto mutamento legislativo. Nello specifico caso in esame, la sentenza e' divenuta definitiva prima dell'entrata in vigore della legge n. 69/2019 e, qualora l'organo dell'esecuzione si fosse attivato nel periodo dal 26 luglio 2019 - data del passaggio in giudicato della sentenza - al 9 agosto 2019 - data di entrata in vigore della nuova legge -, sarebbe stato emesso l'ordine di sospensione dell'esecuzione, provvedimento che non sarebbe stato successivamente revocabile (cfr. Cassazione - Sezione I - sentenza n. 39609 del 19 luglio 2019 Cc., dep. 26 settembre 2019, Rv. 276946, secondo cui «in virtu' del principio "tempus regit actum", il provvedimento di sospensione dell'esecuzione della pena, legittimamente emesso ai sensi dell'art. 656 del codice di procedura penale, non puo' essere revocato per effetto del sopravvenire di una legge (nel caso di specie, la legge 9 gennaio 2019, n. 3) che ampli il catalogo dei reati ostativi alla sospensione di cui all'art. 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, anche se il condannato al momento dell'entrata in vigore della legge in questione non aveva ancora avanzato richiesta di misura alternativa»). E' ravvisabile pure una violazione del principio di ragionevolezza tutelato dall'art. 3 della Costituzione. Premesso che la ratio della norma di cui all'art. 656, comma 9 del codice di procedura penale e' quella di «determinare immediatamente l'attivazione di un circuito esecutivo differenziato in riferimento alla previa connotazione legislativa di un particolare livello di pericolosita' sociale del soggetto condannato, ritenuto "tendenzialmente insensibile" all'opera di rieducazione o comunque bisognoso di una particolare verifica di affidabilita' soggettiva» (cfr. Cassazione - I Sezione penale - ordinanza n. 31853 del 18 giugno 2019), il comune disvalore della condotta di maltrattamenti in famiglia in presenza di minori non pare idoneo a giustificare la scelta legislativa dell'automatica e generalizzata applicazione retroattiva della presunzione legale di accentuata pericolosita' del condannato per tale reato, tenuto anche conto della possibilita' concessa all'autore del medesimo reato (non rientrante nel catalogo di cui all'art. 4-bis O.P.) di ottenere misure alternative alla detenzione. Si rileva infine che la questione e' rilevante nel caso in esame perche' l'assenza di una disciplina transitoria ha comportato l'emissione dell'ordine di esecuzione per la carcerazione e, in caso di dichiarata incostituzionalita', il P. otterrebbe l'immediata sospensione dell'ordine di esecuzione, aprendosi per lui il termine per proporre richiesta, da libero, di misure alternative alla detenzione. L'esistenza di un diritto vivente cosi' granitico in tema di applicazione del principio tempus regit actum in materia esecutiva si ritiene incida sulla liberta' interpretativa di questa Corte, non consentendole di fornire alla disposizione censurata, cosi' come stabilmente interpretata, una lettura alternativa in grado di porla al riparo dalle censure sollevate.
P.Q.M. Visto l'art. 23 della legge n. 87/1953; Solleva, con riferimento agli articoli 3, 13, 25 comma 2, 117 della Costituzione in relazione all'art. 7 della C.E.D.U., questione di legittimita' costituzionale dell'art. 656, comma 9, lettera a) del codice di procedura penale nella parte in cui, richiamando l'art. 572, comma 2 del codice penale come riformato dall'art. 9 della legge n. 69/2019, prevede che il reato di maltrattamenti in famiglia commesso in presenza di minori e' ostativo alla sospensione dell'ordine di esecuzione, senza prevedere un regime transitorio che dichiari applicabile tale norma solo ai fatti commessi successivamente all'entrata in vigore della legge n. 69/2019; Dispone la sospensione del giudizio e l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Dispone che la presente ordinanza sia notificata alle parti e al Presidente del Consiglio dei Ministri, nonche' comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Bologna, 26 novembre 2019 Il Presidente: Chiappelli Il consigliere estensore: Siena