N. 14 ORDINANZA (Atto di promovimento) 6 novembre 2020
Ordinanza del 6 novembre 2020 della Corte d'appello di Lecce nel procedimento penale a carico di N. P. P. . Processo penale - Decisione sugli effetti civili nel caso di estinzione del reato per prescrizione - Previsione che, quando nei confronti dell'imputato e' stata pronunciata condanna anche generica alle restituzioni o al risarcimento dei danni cagionati dal reato, a favore della parte civile, il giudice di appello, nel dichiarare estinto il reato per prescrizione, decide sull'impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli effetti civili. - Codice di procedura penale, art. 578.(GU n.7 del 17-2-2021 )
LA CORTE DI APPELLO DI LECCE Sezione unica penale Composta dai sigg.: dott. Vincenzo Scardia Presidente; dott. Domenico Cucchiara Consigliere; dott. Giuseppe Biondi Consigliere rel. Letti gli atti del procedimento penale in epigrafe indicato a carico di: N P P , nato a ... il ..., difeso di fiducia dall'avv. Antonio Bolognese del Foro di Lecce Imputato del reato p. e p. dall'art 368 codice penale per avere, con querela sporta ai Carabinieri di San Pietro in Lama, falsamente accusato, pur sapendolo innocente, il suo dipendente D N A del reato di appropriazione indebita di n. 20 assi di legno, accusa che poi si rivelava infondata. In San Pietro in Lama il 18 dicembre 2010. Parte civile costituita: D N A, nato a ... il ..., rappresentato e difeso dall'avv. Gianfranco Gemma del Foro di Lecce Osserva: 1. Premessa e svolgimento del processo. Con sentenza del Tribunale di Lecce dell'8 febbraio 2017, N P P veniva ritenuto responsabile del reato ascrittogli e veniva condannato alla pena di anni due di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali. Pena sospesa, subordinata al pagamento della somma liquidata a titolo di risarcimento del danno entro giorni novanta dal passaggio in giudicato della sentenza, e non menzione. Il N veniva altresi' condannato a risarcire il danno alla costituita parte civile, D N A , che veniva liquidato in euro 10.000,00, oltre interessi fino alla data del pagamento e spese di costituzione. Avverso la citata sentenza proponeva tempestivo appello il difensore dell'imputato, censurando la pronuncia sulla base dei seguenti motivi: 1. Con il primo motivo di appello si censura la sentenza impugnata, avendo basato il proprio convincimento il giudice di prime cure sulla base delle sole dichiarazioni della persona offesa, costituitasi parte civile, senza alcun riscontro probatorio. In fatto sarebbe emerso che la persona offesa avrebbe ottenuto dalla Sezione Lavoro del Tribunale di Lecce una sentenza di condanna nei confronti della societa' amministrata dall'appellante non ancora ottemperata, cio' che avrebbe generato un sentimento che certamente non potrebbe essere ritenuto «neutro». Quindi, sebbene la giurisprudenza ammetta la possibilita' di fondare una sentenza di condanna sulla base delle sole dichiarazioni della persona offesa, tuttavia questa possibilita' si restringerebbe laddove le dichiarazioni fossero provenienti da una persona offesa animata da «sentimenti di rivalsa». Nel caso di specie, le dichiarazioni della parte lesa avrebbero dovuto essere vagliate molto piu' attentamente dal giudice di primo grado, tenuto conto dei sentimenti di inimicizia esistenti tra il dichiarante e l'imputato e dell'esistenza di una controversia di lavoro tra le medesime parti. 2. Con il secondo motivo di impugnazione si censura la sentenza di primo grado laddove ha ritenuto sussistenti tutti gli elementi costitutivi del reato. In particolare, sarebbe carente la prova circa la sussistenza dell'elemento soggettivo del reato. L'imputato avrebbe mosso le accuse in virtu' di quanto gli era stato riferito da un dipendente della sua societa', che, una volta ascoltato, era apparso sul punto reticente. Da questo sarebbe scaturito l'erroneo convincimento circa la colpevolezza dell'accusato, avvalorato dal fatto che lo stesso era in possesso delle chiavi del deposito presso il quale si trovavano le assi di legno rivendicate. Si conclude chiedendo l'assoluzione dell'imputato con la formula piu' ampia. L'udienza in appello del 25 ottobre 2019, assente l'imputato, veniva rinviata per l'adesione del difensore all'astensione dalle udienze proclamata dal competete organismo forense. All'odierna udienza del 6 novembre 2020, all'esito della discussione e della Camera di consiglio, e' stata emessa la seguente ordinanza, di cui si e' data lettura alle parti presenti o da ritenersi legalmente tali. 2. In punto di rilevanza della questione. Va osservato che il reato ascritto al N e' estinto per prescrizione a fare data dal 20 aprile 2019, e cioe' in data antecedente alla prima udienza tenutasi in appello in data 25 ottobre 2019 (cio' rende ininfluente la sospensione del termine prescrizionale disposta in conseguenza del rinvio di questa udienza per l'adesione del difensore all'astensione proclamata dal competente organismo forense). Invero, il termine massimo prescrizionale sarebbe maturato in data 18 giugno 2018 (anni sette e mesi sei dalla data di commissione del reato, ai sensi del combinato disposto degli articoli 157 e 161, comma 2, c.p.). Va aggiunto, pero', il periodo di sospensione del termine di prescrizione conseguente al rinvio dell'udienza di primo grado del 2 aprile 2014 all'udienza del 4 febbraio 2015 per l'adesione del difensore all'astensione dalle udienze proclamata dal competente organismo forense, pari a complessi mesi dieci e giorni due, cio' che, come detto, sposta la scadenza del termine di prescrizione al 20 aprile 2019. Cio' posto, e' noto che, all'esito del giudizio, il proscioglimento nel merito, in caso di contraddittorieta' o insufficienza della prova, non prevale rispetto alla dichiarazione immediata di una causa di non punibilita', salvo che, in sede di appello, sopravvenuta una causa estintiva del reato, il giudice sia chiamato a valutare, per la presenza della parte civile, il compendio probatorio ai fini delle statuizioni civili, oppure ritenga infondata nel merito l'impugnazione del pubblico ministero proposta avverso una sentenza di assoluzione in primo grado ai sensi dell'art. 530, comma secondo, codice di procedura penale (Cass. pen. sez. un. 28 maggio 2009, n. 35490). Invero, la previsione di cui all'art. 578 codice di procedura penale - per la quale il giudice di appello o quello di legittimita', che dichiarino l'estinzione per amnistia o prescrizione del reato per cui sia intervenuta in primo grado condanna, sono tenuti a decidere sull'impugnazione agli effetti delle disposizioni dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili - comporta che i motivi di impugnazione dell'imputato devono essere esaminati compiutamente, non potendosi dare conferma alla condanna al risarcimento del danno in ragione della mancanza di prova dell'innocenza dell'imputato, secondo quanto previsto dall'art. 129, comma secondo, codice di procedura penale; pertanto, la sentenza di appello che non compia un esaustivo apprezzamento sulla responsabilita' dell'imputato deve essere annullata con rinvio, limitatamente alla conferma delle statuizioni civili (Cass. pen. sez. VI, 20 marzo 2013, n. 16155; in senso conforme Cassazione pen. sez. un. 18 luglio 2013, n. 40109; Cassazione pen. sez. V, 7 ottobre 2014, n. 3869/15). All'esito del giudizio, il proscioglimento nel merito, in caso di contraddittorieta' o insufficienza della prova, non prevale rispetto alla dichiarazione immediata di una causa di non punibilita', salvo che, in sede di appello, sopravvenuta una causa estintiva del reato, il giudice sia chiamato a valutare, per la presenza della parte civile e in seguito ad un'espressa domanda in tal senso, il compendio probatorio ai fini delle statuizioni civili, previa incidentale valutazione della responsabilita' penale (Cass. pen. sez. II, 18 luglio 2014, n. 38049). Come ha chiarito di recente la Corte costituzionale (sentenza n. 176 del 2019), nel processo penale l'azione civile «assume carattere accessorio e subordinato rispetto all'azione penale, sicche' e' destinata a subire tutte le conseguenze e gli adattamenti derivanti dalla funzione e dalla struttura del processo penale, cioe' dalle esigenze, di interesse pubblico, connesse all'accertamento dei reati e alla rapida definizione dei processi» (ex plurimis, sentenza Corte costituzionale n. 12 del 2016); l'assetto generale del nuovo processo penale e' ispirato all'idea della separazione dei giudizi, penale e civile, essendo prevalente, nel disegno del codice, l'esigenza di speditezza e di sollecita definizione del processo penale, rispetto all'interesse del soggetto danneggiato di esperire la propria azione nel processo medesimo. Sicche' «l'idea di fondo sottesa alla nuova codificazione [...] e' che la costituzione di parte civile non dovesse essere comunque "incoraggiata"» (sentenza n. 12 del 2016). Il fulcro di questo sistema e' imperniato sull'art. 538 codice di procedura penale: il giudice penale decide sulla domanda per le restituzioni e il risarcimento del danno se - e solo se - pronuncia sentenza di condanna dell'imputato, soggetto debitore quanto alle obbligazioni civili. Il giudice penale, neppure quando emette sentenza di assoluzione dell'imputato in quanto non imputabile per vizio totale di mente, puo' pronunciarsi distintamente sulle pretese restitutorie o risarcitorie della costituita parte civile. E' sufficiente ricordare in proposito il principio, affermato dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione, secondo cui il giudice dinanzi al quale sia stata impugnata una sentenza di condanna relativa a reato successivamente abrogato, nel dichiarare che il fatto non e' piu' previsto dalla legge come reato, deve revocare anche i capi della sentenza che concernono gli interessi civili proprio perche' questi non possono non accompagnarsi a una pronuncia di condanna dell'imputato (Corte di cassazione, sezioni unite penali, sentenza 29 settembre - 7 novembre 2016, n. 46688). Cio' conferma il carattere accessorio di tali pretese civilistiche, quando fatte valere nella sede penale. Alla regola generale dell'art. 538 codice di procedura penale, pero', l'art. 578 codice di procedura penale introduce una deroga. Se il giudice (penale) dell'impugnazione perviene a una pronuncia dichiarativa dell'estinzione del reato per amnistia o per prescrizione, non di meno decide sull'impugnazione, ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili, quando nei confronti dell'imputato e' stata pronunciata - con la sentenza impugnata - la condanna, anche generica, alle restituzioni o al risarcimento dei danni cagionati dal reato a favore della parte civile. Inoltre, in sede di giudizio di cassazione, quando, infine, i gradi di merito sono esauriti, la cognizione delle pretese restitutorie o risarcitorie della parte civile puo' essere, a quel punto, devoluta al giudice civile. Infatti, l'art. 622 codice di procedura penale prescrive che la Corte di cassazione, se annulla solamente le disposizioni o i capi che riguardano l'azione civile ovvero se accoglie il ricorso della parte civile contro la sentenza di proscioglimento dell'imputato, rinvia, quando occorre, al giudice civile competente per valore in grado di appello, anche se l'annullamento ha per oggetto una sentenza inappellabile. Questo sistema complessivo, dunque, e' retto da una regola (art. 538 c.p.p.) declinata con eccezioni (articoli 578 e 622 c.p.p.). Orbene, a differenza della mera sentenza dichiarativa della prescrizione del reato in primo grado, che non puo' mai essere ritenuta sentenza di «condanna», non comportando l'attribuzione dello status di condannato nei riguardi dell'imputato, la sentenza di appello che, dichiarando l'estinzione del reato per prescrizione, confermi le statuizioni civili, viene ad essere equiparata, nella sostanza, ad una sentenza di «condanna», e cio' si ricava espressamente anche dalla giurisprudenza di legittimita', e segnatamente dalla recente sentenza delle Sezioni Unite, che ha affermato l'ammissibilita', sia agli effetti penali che civili, della revisione richiesta ai sensi dell'art. 630, comma 1, lettera e), codice di procedura penale, della sentenza del giudice di appello che, prosciogliendo l'imputato per l'estinzione del reato dovuta a prescrizione o amnistia, e decidendo sull'impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi concernenti gli interessi civili, abbia confermato la condanna al risarcimento dei danni nei confronti della parte civile (Cass. pen. sez. un. 25 ottobre 2018, n. 6141/19,). Invero, si legge nella sentenza, nel caso previsto dall'art. 578 codice di procedura penale, come nell'analogo caso di cui all'art. 578-bis codice di procedura penale, l'imputato va ritenuto «condannato» sebbene ai soli fini delle statuizioni civili o di confisca, e, dunque, la relativa sentenza potra' essere oggetto di revisione; ma questi casi sono radicalmente diversi da quelli in cui alla sentenza di prescrizione non si accompagna la statuizione civile o quella di confisca, perche' in questi casi l'imputato non potra' essere ritenuto un «condannato». Cosi' ricostruito il sistema, deve osservari che, benche' estinto il reato contestato al N per prescrizione, la presenza della parte civile, in uno con i motivi di appello, tutti incentrati sull'assenza di penale responsabilita' in capo all'appellante, obbligherebbero questa Corte ad una rivalutazione piena della responsabilita' «penale» del N in ordine allo stesso fatto-reato contestatogli, peraltro, sulla base del medesimo materiale probatorio avuto a disposizione dal giudice di prime cure, sia pure ai fini di confermare o meno le statuizioni civili disposte dal primo giudice. E' rilevante, pertanto, la questione della conformita' di tale sistema e, in particolare, dell'art. 578 codice di procedura penale, che di esso e' la trasfusione normativa, relativamente al diritto fondamentale al rispetto della presunzione di innocenza di cui all'art. 6, comma 2, Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, cosi' come declinato dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, da intendersi come parametro interposto dell'art. 117 Cost. Peraltro, la questione assume rilevanza anche in ordine alla conformita' del sistema sopra delineato e, quindi, dell'art. 578 codice di procedura penale, rispetto al diritto dell'Unione europea, e, in specie, in relazione agli articoli 3 e 4 della direttiva 2016/UE/343 e art. 48 CDFUE, anche in questo caso letti come parametri interposti degli articoli 11 e 117 Cost. 3. In punto di non manifesta infondatezza della questione. 3.1. Rispetto alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali. Come e' noto, l'art. 6, comma 2, Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali tutela il «diritto alla presunzione di innocenza fino a prova contraria». Considerata come una garanzia procedurale nel contesto di un processo penale, la presunzione di innocenza impone requisiti relativi, tra l'altro, all'onere della prova, alle presunzioni legali di fatto e di diritto, al privilegio contro l'autoincriminazione, alla pubblicita' preprocessuale e alle espressioni premature, da parte della Corte processuale o di altri funzionari pubblici, della colpevolezza di un imputato (Corte EDU, grande camera, 12 luglio 2013, Allen e. Regno Unito, § 93). Tuttavia, in linea con la necessita' di assicurare che il diritto garantito dall'art. 6, comma 2, Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali sia pratico e effettivo, la presunzione di innocenza ha anche un altro aspetto. II suo scopo generale, in questo secondo aspetto, e' quello di proteggere le persone che sono state assolte da un'accusa penale, o nei confronti delle quali e' stato interrotto un procedimento penale, dall'essere trattate dai pubblici ufficiali e dalle autorita' come se fossero di fatto colpevoli del reato contestato (cfr. Corte europea dei diritti dell'uomo, grande camera, 12 luglio 2013, Allen c. Regno Unito, § 94; Corte europea dei diritti dell'uomo, 28 giugno 2018, G.I.E.M. s.r.l. c. Italia, § 314). Come espressamente indicato nell'articolo stesso, l'art. 6, comma 2, Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali si applica quando una persona e' accusata di un reato. La Corte europea dei diritti umani ha ripetutamente sottolineato che si tratta di un concetto autonomo, che deve essere interpretato secondo i tre criteri stabiliti dalla sua giurisprudenza, i noti Engel criteria (Corte EDU, 8 giugno 1976, Engel e altri c. Paesi Bassi). Per valutare qualsiasi denuncia ai sensi dell'art. 6, comma 2, Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, che insorga nell'ambito di un procedimento giudiziario, e' innanzitutto necessario accertare se il procedimento contestato comporti la determinazione di un'accusa penale, ai sensi della giurisprudenza della Corte (Corte EDU, grande camera, 12 luglio 2013, Allen c. Regno Unito, § 95). Tuttavia, nei casi che riguardano il secondo aspetto della protezione offerta dall'art. 6, comma 2, Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, che si verifica quando il procedimento penale e' terminato, e' chiaro che l'applicazione di tale criterio e' inappropriata. In questi casi, il procedimento penale si e' necessariamente concluso e, a meno che il successivo procedimento giudiziario non dia luogo a una nuova imputazione penale ai sensi della Convenzione, se l'art. 6, comma 2, Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali e' impiegato, deve esserlo per motivi diversi (Corte EDU, grande camera, 12 luglio 2013, Allen c. Regno Unito, § 96). Sotto questo profilo, la Corte europea dei diritti dell'uomo e' stata chiamata a considerare l'applicazione dell'art. 6, comma 2, Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali alle decisioni giudiziarie prese a seguito della conclusione del procedimento penale, a titolo di interruzione o dopo un'assoluzione, in procedimenti riguardanti, tra l'altro, l'imposizione di una responsabilita' civile per il pagamento di un risarcimento alla vittima (vedi Corte. EDU 11 febbraio 2003, Ringvold c. Norvegia; Corte europea dei diritti dell'uomo 15 maggio 2008, Orr c. Norvegia; Corte europea dei diritti dell'uomo 19 aprile 2011, Erkol c. Turchia; Corte europea dei diritti dell'uomo 12 aprile 2012, Lagardere c. Francia). Nella gia' citata causa Allen c. Regno Unito, la Corte europea dei diritti dell'uomo ha formulato il principio della presunzione di innocenza nel contesto del secondo aspetto dell'art. 6, comma 2, Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali sostanzialmente affermando che la presunzione di innocenza significa che, in presenza di un'accusa penale e di un procedimento penale conclusosi con un'assoluzione, la persona che e' stata oggetto del procedimento penale e' innocente agli occhi della legge e deve essere trattata in modo coerente con tale innocenza. In tale senso, pertanto, la presunzione di innocenza permarra' anche dopo la conclusione del procedimento penale, al fine di garantire che, per quanto riguarda qualsiasi accusa non provata, l'innocenza della persona in questione sia rispettata. Questa preoccupazione prioritaria e' alla base dell'approccio della Corte in merito all'applicabilita' dell'art. 6, comma 2, Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali in questi casi. Ogniqualvolta la questione dell'applicabilita' dell'art. 6, comma 2, Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali si pone nel contesto di un procedimento successivo, il richiedente deve dimostrare l'esistenza di un legame, come sopra indicato, tra il procedimento penale concluso e il procedimento successivo. Tale legame e' probabile che sussista, ad esempio, quando il procedimento successivo richiede l'esame dell'esito del procedimento penale precedente e, in particolare, quando obbliga il giudice ad analizzare la sentenza penale; a procedere a un esame o a una valutazione delle prove contenute nel fascicolo penale; a valutare la partecipazione del ricorrente ad alcuni o a tutti gli eventi che hanno portato all'accusa penale; a commentare le indicazioni esistenti sulla possibile colpevolezza del richiedente. Cio' posto, recentemente la Corte europea dei diritti umani e' stata chiamata ad occuparsi di un caso (Pasquini c. San Marino, n. 23349/17, sentenza della III Sezione della Corte europea dei diritti dell'uomo del 20 ottobre 2020) del tutto sovrapponibile a quello in esame in questo procedimento. Si trattava di un caso in cui il ricorrente, condannato in primo grado, non solo penalmente ma anche a risarcire il danno nei confronti della costituita parte civile, in sede di appello si vedeva dichiarare estinto il reato per prescrizione, con conferma delle statuizioni civili, sulla base dell'art. 196-bis del codice di procedura penale sanmarinese, che cosi' recita: "quando 'imputato e' stato condannato a reintegrare le cose o a risarcire alla parte civile i danni causati da un reato - anche se il danno e' ancora da quantificare - il giudice di appello, che dichiara il reato prescritto, decide sulle eccezioni relative agli obblighi derivanti dal reato, ai sensi dell'art. 140 del codice penale". Il ricorrente adiva la Corte dei diritti umani lamentando la violazione dell'art. 6, comma 2, Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali. Ebbene la Corte europea, ribadendo i consolidatti principi sopra riportati, riteneva innanzitutto applicabile nel caso di specie il disposto dell'art. 6, comma 2, Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali. Invero, il procedimento penale si era concluso in appello con l'interruzione del procedimento per prescrizione. In conseguenza dell'art. 196-bis del codice di procedura penale sanmarinese, lo stesso giudice dell'appello penale che si pronunciava sull'imputazione penale era anche competente a decidere il risarcimento dovuto alla vittima. Tuttavia, la determinazione del risarcimento alla vittima era una fase successiva all'interruzione del procedimento penale. In quella fase, il giudice dell'appello penale era tenuto ad analizzare i precedenti accertamenti penali e ad avviare una revisione o una valutazione delle prove contenute nel fascicolo penale. Egli doveva anche valutare la partecipazione del ricorrente ad alcuni o a tutti gli eventi che avevano portato all'accusa penale e commentare le indicazioni esistenti sulla possibile colpevolezza del richiedente. Dunque, esisteva un nesso tra le due determinazioni (vedi § 38 della sentenza Corte europea dei diritti dell'uomo 20.10.2020, Pasquini c. San Marino). I giudici di Strasburgo ribadivano che il secondo aspetto della tutela della presunzione di innocenza entra in gioco quando il procedimento penale si conclude con un risultato diverso da una condanna, sicche' senza una tutela che garantisca il rispetto dell'assoluzione o della decisione di interruzione in qualsiasi altro procedimento, le garanzie del processo equo di cui all'art. 6, comma 2, Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali rischiano di diventare teoriche o illusorie. Cio' che e' in gioco, una volta terminato il procedimento penale, e' anche la reputazione della persona e il modo in cui essa viene percepita dal pubblico. In una certa misura, la protezione offerta dall'art. 6, comma 2, Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali a questo riguardo puo' sovrapporsi alla protezione offerta dall'art. 8 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (vedi ancora Corte europea dei diritti dell'uomo, grande camera, 28 giugno 2018, G.I.E.M. s.r.l. e altri c. Italia, § 314). Con riguardo a dichiarazioni successive alla cessazione del procedimento penale non con sentenza di assoluzione, ma comunque senza che l'imputato sia stato precedentemente dimostrato colpevole secondo la legge, risulta violata la presunzione di innocenza se una decisione giudiziaria che lo riguarda riflette un'opinione di colpevolezza. In questi casi, il linguaggio utilizzato dal giudice sara' di fondamentale importanza per valutare la compatibilita' della decisione e la sua motivazione all'art. 6, comma 2, Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali. Nei casi di richieste di risarcimento civile presentate dalle vittime, indipendentemente dal fatto che il procedimento si sia concluso con l'interruzione o con l'assoluzione, la Corte sottolineava che, sebbene l'esonero dalla responsabilita' penale debba essere rispettato nel procedimento di risarcimento civile, non dovrebbe precludere l'accertamento della responsabilita' civile per il pagamento del risarcimento derivante dagli stessi fatti sulla base di un onere probatorio meno rigoroso. Tuttavia, se la decisione nazionale sul risarcimento dovesse contenere una dichiarazione di responsablita' penale della parte convenuta, cio' solleverebbe una questione rientrante nell'ambito dell'art. 6, comma 2, Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali. In particolare, la Corte riteneva che la presunzione di innocenza fosse violata in situazione in cui i Tribunali avevano ritenuto «chiaramente probabile» che il ricorrente avesse commesso un reato o avevano espressamente indicato che le prove disponibili erano sufficienti per stabilire che era stato commesso un reato (vedi paragrafi da 49 a 53 della citata sentenza Pasquini c. San Marino). Facendo applicazione dei su riportati principi, la Corte esaminava il caso, notando che: 1) la causa civile era stata trattata nell'ambito del procedimento penale; 2) la determinazione del giudice dell'appello penale che riguardava proprio gli stessi fatti imputati al ricorrente nel corso del procedimento penale era stata effettuata senza alcuna distinzione circa la qualificazione giuridica; 3) il giudice dell'appello penale si era dovuto basare sulle stesse prove esistenti nel fascicolo penale e non erano state presentate nuove prove; 4) il giudice dell'appello penale, pur facendo una propria valutazione di tali fatti, aveva confermato la constatazione di fatto del giudice penale di prima istanza e aveva proceduto a confermare l'ordine di risarcimento del danno senza intraprendere alcuna considerazione rilevante per quanto riguarda l'ammontare di tale danno, basandosi pertanto interamente sulla sentenza di primo grado; 5) il giudice dell'appello penale aveva basato la sua decisione sulla constatazione che la parte civile aveva subito un danno dagli atti posti in essere dal ricorrente, che corrispondevano al reato imputatogli e, quindi, il giudice dell'appello penale aveva stabilito in modo inequivocabile che le azioni del ricorrente corrispondevano agli atti criminali di cui era stato accusato, andando ancora oltre, dichiarando esplicitamente che il ricorrente aveva commesso tali atti con dolo (cfr. paragrafi da 59 a 62). E' vero che il ricorrente era gia' stato dichiarato colpevole in prima istanza. Tuttavia, aggiungevano i giudici di Strasburgo, la giurisprudenza della Corte non distingueva tra i casi in cui le accuse venivano sospese perche' cadute in prescrizione prima di qualsiasi accertamento penale e quelli che venivano sospese per lo stesso motivo dopo una prima constatazione di colpevolezza. Pertanto, affermava la Corte, le constatazioni di prima istanza, che non sono definitive, non possono condizionare le determinazioni successive e la Corte ribadiva che si dovrebbe esercitare una maggiore cautela nel formulare il ragionamento in una sentenza civile dopo l'interruzione del procedimento penale (§ 63). In conclusione, siccome le parole usate dal giudice dell'appello penale nel decidere in materia di risarcimento erano tali che rappresentavano il comportamento del ricorrente come riconducibile agli atti criminali che gli erano stati imputati, rispetto ai quali non vi era alcun dubbio sull'esistenza del dolo, queste parole equivalevano ad una dichiarazione inequivocabile che il ricorrente avesse commesso un reato, e cio' non era coerente con la cessazione delle relative imputazioni a causa della scadenza del termine di prescrizione. Conseguenzialmente la Corte riscontrava la violazione dell'art. 6, comma 2, Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (§ 64). I principi espressi nella sentenza Corte europea dei diritti dell'uomo, 20 ottobre 2020, Pasquini c. San Marino, costituiscono «diritto consolidato» (secondo quanto ritenuto da Corte costituzionale n. 49/2015; d'altra parte, come sottolinea la Corte europea dei diritti umani, «le sue sentenze hanno tutte lo stesso valore giuridico. Il loro carattere vicolante e la loro autorita' interpretativa non possono pertanto dipendere dal collegio giudicante che le ha pronunciate»: vedi Corte europea dei diritti dell'uomo, grande camera, 28 giugno 2018, G.I.E.. s.r.l. c. Italia, § 252), ricollegandosi invero ad una consolidata e datata giurisprudenza europea (oltre alle sentenze sopra citate si veda anche Corte europea dei diritti dell'uomo, 4 giugno 2013, Teodor c. Romania, e, piu' di recente, con riguardo alla natura pregiudizievole per il diritto alla presunzione di innocenza di un decreto di archiviazione per prescrizione del reato, che presentava l'indagato come colpevole, si veda Corte europea dei diritti dell'uomo, 29 gennaio 2019, Stirmanov c. Russia, e ancora Corte europea dei diritti dell'uomo, 3 ottobre 2019, Fleischner c. Germania). La fattispecie appena descritta, oggetto della sentenza Pasquini c. San Marino, peraltro, si attaglia perfettamente al caso in esame, poiche' l'art. 578 codice di procedura penale risulta formulato in termini del tutto simmetrici all'art. 196-bis del codice di procedura penale di San Marino. Secondo La Cassazione, infatti, dopo la sentenza di condanna dell'imputato in primo grado, non solo alla sanzione penale, ma anche al risarcimento del danno, il giudice dell'appello penale, che riscontra l'estinzione del reato per prescrizione, deve statuire anche in ordine alle questioni civili, e, a tale fine, non puo' limitarsi a richiamare l'art. 129, comma 2, codice di procedura penale, ma deve prendere espressamente posizione sui motivi di appello sollevati dall'imputato, anche in punto di responsabilita' penale, sicche' se giunge a confermare le statuzioni civili, cio' puo' fare soltanto implicitamente riconoscendo la colpevolezza dell'imputato. Se cio' non emerge dall'ordito motivazionale della decisione, se con la sentenza il giudice di appello non compie un esaustivo apprezzamento sulla responsabilita' dell'imputato, la pronuncia deve essere annullata con rinvio, limitatamente alla conferma delle statuizioni civili (vedi la gia' citata Cassazione pen. sez. VI, 20 marzo 2013, n. 16155). Non e' possibile, pertanto, procedere ad un'interpretazione convenzionalmente conforme dell'art. 578 codice di procedura penale, ammettendo che il giudice di appello, che dichiara l'estinzione del reato per prescrizione, possa confermare le statuizioni civili semplicemente richiamando l'art. 129, comma 2, codice di procedura penale, ovvero limitandosi a descrivere uno stato di sospetto, che non violerebbe di per se' l'art. 6, comma 2, Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (vedi Corte europea dei diritti dell'uomo 26 marzo 1996, Leutscher c. Paesi Bassi). Secondo l'interpretazione della Cassazione, e cioe' del diritto vivente, il giudice di appello deve compiere un esaustivo apprezzamento della responsabilita' dell'imputato, deve affermarne, cioe', implicitamente la colpevolezza, poiche' nella sostanza la sentenza emessa ai sensi dell'art. 578 codice di procedura penale e' una sentenza di condanna suscettibile anche di revisione. Non essendo possibile interpretare in maniera convenzionlmente conforme l'art. 578 codice di procedura penale, secondo quanto stabilito a partire dalle c.d. sentenze gemelle nn. 348 e 349 del 2007 della Corte costituzionale, e' necessario sollevare incidente di costituzionalita' della predetta norma per contrasto con gli articoli 6, comma 2, Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali e 117, comma 1, Cost. nella parte in cui stabilisce che il giudice dell'appello penale, che dichiara estinto per prescrizione il reato per cui e' intervenuta in primo grado condanna, e' tenuto a decidere sull'impugnazione agli effetti delle disposizioni dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili. Spetta, infatti, alla Corte costituzionale intervenire, nell'impossibilita' di un'interpretazione convenzionalmente conforme della norma di diritto interno in contrasto con la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, che procedera' al necessario bilanciamento degli interessi e dei diritti fondamentali in gioco. A quest'ultimo riguardo, vale la pena soffermarsi sulla circostanza che, come la stessa Corte costituzionale ha ricordato, la norma di cui all'art. 578 codice di procedura penale rappresenta un'eccezione nel rapporto che regola l'esercizio dell'azione civile nel processo penale (vedi la gia' citata Corte cost. n. 176/2019), che non viene pregiudicato nell'ipotesi in cui alla pronuncia di non doversi procedere per estinzione del reato da parte del giudice di appello non dovesse fare seguito la conferma delle statuizioni civili, per effetto dell'eventuale accoglimento dell'incidente di costituzionalita' proposto. Invero, la costituzione di parte civile nel processo penale interrompe il decorso della prescrizione del diritto al risarcimento del danno con effetti permanenti fino al passaggio in giudicato della sentenza che dichiara l'estinzione del reato per prescrizione, cominciando a decorrere nuovamente da tale data (Cass. civ. sez. III, 20 giugno 1978, n. 3036). Peraltro, la sentenza dichiarativa dell'estinzione del reato non avrebbe alcun effetto nell'eventuale giudizio civile di risarcimento del danno. Quanto al diritto della parte civile di ottenere in tempi ragionevoli il risarcimento del danno patito per effetto del reato, diritto certamente costituzionalmente tutelato ai sensi dell'art. 111, comma 2, Cost. deve osservarsi che lo stesso e' certamente assicurato dal riconoscere alla vittima o danneggiato dal reato la possibilita' di citare autonomamente davanti al giudice civile l'autore del reato per ottenere il ristoro, e, in ogni caso, dovrebbe cedere il passo di fronte ad altri diritti costituzionalmente e convenzionalmente tutelati, quali il diritto di difesa dell'imputato e, come nel caso di specie, il suo diritto a vedersi presumere innocente fino all'accertamento definitivo della sua colpevolezza. Sul punto, si richiamano le argomentazioni con le quali la Corte costituzionale, nella sentenza n. 12 del 2016, relativamente alle questioni sollevate in ordine alla legittimita' costituzionale dell'art. 538 codice di procedura penale nella parte in cui non consente al giudice penale di condannare l'imputato al risarcimento del danno in favore della parte civile in caso di proscioglimento per qualsiasi causa, compreso il vizio totale di mente, ha superato i profili riguardanti l'asserita violazione del principio di ragionevole durata del processo (art. 111, secondo comma, secondo periodo, Cost.), ovvero il richiamo all'art. 6 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali nella parte in cui tutela anche i diritti civili. Invero, si legge testualmente nella sentenza: «con riguardo, infine, all'asserita violazione del principio di ragionevole durata del processo (art. 111, secondo comma, secondo periodo, Cost.), questa Corte ha ripetutamente affermato che - alla luce dello stesso richiamo al connotato di «ragionevolezza», che compare nella formula costituzionale -possono arrecare un vulnus a quel principio solamente le norme «che comportino una dilatazione dei tempi del processo non sorrette da alcuna logica esigenza» (ex plurimis, sentenze n. 23 del 2015 n. 63 e n. 56 del 2009, n. 148 del 2005). Tale ipotesi non e' ravvisabile nel caso considerato. La preclusione della decisione sulle questioni civili, nel caso di proscioglimento dell'imputato per qualsiasi causa - compreso il vizio totale di mente - se pure procrastina la pronuncia definitiva sulla domanda risarcitoria del danneggiato, costringendolo ad instaurare un autonomo giudizio civile, trova pero' giustificazione, come gia' rimarcato, nel carattere accessorio e subordinato dell'azione civile proposta nell'ambito del processo penale rispetto alle finalita' di quest'ultimo, e segnatamente nel preminente interesse pubblico (e dello stesso imputato) alla sollecita definizione del processo penale che non si concluda con un accertamento di responsabilita', riportando nella sede naturale le istanze di natura civile fatte valere nei suoi confronti. Cio', in linea, una volta ancora, con il favore per la separazione dei giudizi cui e' ispirato il vigente sistema processuale. [...] Parimenti non probanti appaiono, da ultimo, i riferimenti alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo operati dalla parte privata: anche in questo caso, con semplice funzione rafforzativa delle denunciate violazioni degli articoli 24 e 111 Cost., non figurando tra i parametri dell'odierno scrutinio quello piu' direttamente conferente (l'art. 117, primo comma, Cost.). La Corte europea dei diritti dell'uomo e', in effetti, costante nel riconoscere che, nella misura in cui la legislazione nazionale accordi alla vittima del reato la possibilita' di intervenire nel processo penale per difendere i propri interessi tramite la costituzione di parte civile, tale diritto va considerato un «diritto civile» agli effetti dell'art. 6, § 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, con conseguente spettanza, alla vittima stessa, delle garanzie in tema di equo processo ivi stabilite, compresa quella relativa alla ragionevole durata (Grande Camera, sentenza 12 febbraio 2004, Perez contro Francia; in senso conforme, tra le altre, sezione terza, sentenza 25 giugno 2013, Associazione delle persone vittime del sistema s. c. Rompetrol s. a. e s. c. Geomin s. a. e altri contro Romania; Grande Camera, sentenza 20 marzo 2009, Gorou contro Grecia). In questa logica, la Corte europea si e', peraltro, specificamente occupata, in piu' occasioni, dell'ipotesi del mancato esame della domanda della parte civile per essersi il procedimento penale chiuso con provvedimento diverso dalla condanna dell'imputato, in applicazione di una regola condivisa - sia pure con diverse varianti e gradazioni - da plurimi ordinamenti nazionali. Tale regime non e' stato affatto ritenuto, in se' e per se', contrastante con le garanzie convenzionali. La violazione dell'art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, in particolare sotto il profilo del diritto di accesso ad un tribunale, e' stata ravvisata dai giudici di Strasburgo solo in due ipotesi. In primo luogo, quando la vittima del reato non fruisca di altri rimedi accessibili ed efficaci per far valere le sue pretese (sezione terza, sentenza 25 giugno 2013, Associazione delle persone vittime del sistema s. c. Rompetrol s.a. e s. c. Geomin s.a. e altri contro Romania; sezione prima, sentenza 4 ottobre 2007, Forum Maritime s.a. contro Romania): rimedi che, nell'ordinamento italiano, sono invece offerti dalla possibilita' di rivolgersi al giudice civile. In secondo luogo, la violazione e' stata riscontrata allorche' il concreto funzionamento del meccanismo frustri indebitamente le legittime aspettative del danneggiato, come nel caso in cui la prescrizione della responsabilita' penale dell'autore del reato, impeditiva dell'esame della domanda civile, sia imputabile a ingiustificati ritardi delle autorita' giudiziarie nella conduzione del procedimento penale (Grande Camera, sentenza 2 ottobre 2008, Atanasova contro Bulgaria; sezione prima, sentenza 3 aprile 2003, Anagnostopoulos contro Grecia): malfunzionamento che non dipende, peraltro, dalla norma e che comunque non viene in considerazione nell'ipotesi qui in esame.» (Corte cost. n. 12/2016). 3.2. Rispetto al diritto dell'Unione europea. Infine, volendo esaminare la questione anche sul piano del diritto dell'U.E., deve osservarsi che l'Unione europea ha emanato da tempo, ai sensi dell'art. 82 § 2 lettera b) Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, una specifica direttiva sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza (la direttiva del Parlamento e del Consiglio 2016/UE/343 del 9 marzo 2016, entrata in vigore il 1° aprile 2016, con obbligo di recepimento fino al 1° aprile 2018). In particolare, l'art. 3, rubricato «Presunzione di innocenza», stabilisce che gli Stati membri assicurano che agli indagati e imputati sia riconosciuta la presunzione di innocenza fino a quando non ne sia stata legalmente provata la colpevolezza. All'art. 4, rubricato «Riferimenti in pubblico alla colpevolezza», si afferma che gli Stati membri adottano le misure necessarie per garantire che, fino a quando la colpevolezza di un indagato o imputato non sia stata legalmente provata, le dichiarazioni pubbliche rilasciate da autorita' pubbliche e le decisioni giudiziarie diverse da quelle sulla colpevolezza non presentino la persona come colpevole. Cio' lascia impregiudicati gli atti della pubblica accusa volti a dimostrare la colpevolezza dell'indagato o imputato e le decisioni preliminari di natura procedurale adottate da autorita' giudiziarie o da altre autorita' competenti e fondate sul sospetto o su indizi di reita'. Il Considerando 11 chiarisce che la direttiva si applica ai procedimenti penali nell'accezione data dall'interpretazione della Corte di giustizia UE, fatta salva la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo. Il Considerando 16 della direttiva chiarisce che la presunzione di innocenza sarebbe violata se dichiarazioni pubbliche rilasciate da autorita' pubbliche o decisioni giudiziarie diverse da quelle sulla colpevolezza presentassero l'indagato o imputato come colpevole fino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente provata. Tali dichiarazioni o decisioni giudiziarie non dovrebbero rispecchiare l'idea che una persona sia colpevole. Cio' dovrebbe lasciare impregiudicati gli atti della pubblica accusa che mirano a dimostrare la colpevolezza dell'indagato o imputato, come l'imputazione, nonche' le decisioni giudiziarie in conseguenza delle quali decorrono effetti di una pena sospesa, purche' siano rispettati i diritti della difesa. Dovrebbero, altresi', restare impregiudicate le decisioni preliminari di natura procedurale, adottate da autorita' giudiziarie o da altre autorita' competenti e fondate sul sospetto o su indizi di reita', quali le decisioni riguardanti la custodia cautelare, purche' non presentino l'indagato o imputato come colpevole. Prima di prendere una decisione preliminare di natura procedurale, l'autorita' competente potrebbe prima dover verificare che vi siano sufficienti prove a carico dell'indagato o imputato tali da giustificare la decisione e la decisione potrebbe contenere un riferimento a tali elementi. Il Considerando 17 della direttiva precisa che per «dichiarazioni pubbliche rilasciate da autorita' pubbliche» dovrebbe intendersi qualsiasi dichiarazione riconducibile a un reato proveniente da un'autorita' coinvolta nel procedimento penale che ha ad oggetto tale reato, quali le autorita' giudiziarie, di polizia e altre autorita' preposte all'applicazione della legge, o da un'altra autorita' pubblica, quali ministri e altri funzionari pubblici, fermo restando che cio' lascia impregiudicato il diritto nazionale in materia di immunita'. Ai sensi dell'art. 13 della direttiva nessuna disposizione della stessa puo' essere interpretata in modo da limitare o derogare ai diritti e alle garanzie procedurali garantiti dalla carta dei diritti fondamentali UE, dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, da altre pertinenti disposizioni di diritto internazionale o dal diritto di qualsiasi Stato membro che assicurino un livello di protezione piu' elevato. Come ha definitivamente chiarito di recente la Corte di giustizia UE (vedi Corte di giustizia UE, I Sez., 13 giugno 2019, causa C-646/17, Moro, punti da 29 a 37), le direttive emanate ai sensi dell'art. 82, § 2, comma 1, Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, si applicano a qualunque procedimento penale, indipendentemente dal fatto che abbia o meno una dimensione transnazionale, nel senso di avere ad oggetto materie penali aventi dimensione transnazionale. Di conseguenza, devono essere tenute presenti in qualsiasi procedimento penale. Cio' comporta, come logico corollario, l'applicazione della Carta dei diritti fondamentali UE, ai sensi dell'art. 51, § 1, della medesima, che stabilisce che le disposizioni della Carta si applicano agli Stati membri esclusivamente nell'attuazione del diritto dell'U.E. (Corte di giustizia UE, 26 febbraio 2013, causa C-617/10, Akerberg Fransson, punto 17). Pertanto, nell'attuazione del diritto dell'U.E. non si puo' prescindere dall'art. 48 della CDFUE, e, siccome la Carta e' equiparata ai Trattati (art. 6, § 1, TUE) e ne ha lo stesso valore giuridico, ne consegue che trattasi di diritto primario dell'UE. Dunque, tutti i principi espressi dalla Corte europea dei diritti dell'uomo con riguardo alla presunzione di innocenza sancita dall'art. 6, comma 2, Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, possono ritenersi pienamente viventi ed operanti anche in ambito UE attraverso la citata direttiva e l'art. 48 della CDFUE (tenuto conto che il diritto alla presunzione di innocenza in esso sancito, conformemente all'art. 52, § 3, della CDFUE, ha significato e portata identici allo. stesso diritto garantito dalla CEDU), con la conseguente possibilita' di disapplicare le norme interne che dovessero porsi in contrasto con le norme UE aventi efficacia diretta. Peraltro, trattandosi di questione che coinvolge diritti fondamentali che godono tutela sia in ambito UE che interno (vedi art. 27 Cost.), la relativa questione puo' essere sottoposta all'attenzione anche della Corte costituzionale, ai sensi degli articoli 11 e 117, comma 1, Cost., come chiarito da Corte costituzionale n. 269/2917, n. 20/2019 e n. 63/2019. Secondo la Corte di giustizia UE (vedi Corte di giustizia UE, II Sez., 5 settembre 2019, causa C-377/18, Ah e altri), ai sensi del'art. 4, § 1, prima frase, della direttiva 2016/UE/343, gli Stati membri sono tenuti ad adottare le misure necessarie per garantire che, segnatamente, le decisioni giudiziarie diverse da quelle sulla colpevolezza non presentino un indagato o un imputato come colpevole fino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente provata. Secondo il Considerando 16 tali dichiarazioni o decisioni giudiziarie non dovrebbero rispecchiare l'idea che una persona sia colpevole. Nonostante l'art. 4, § 1, della citata direttiva lasci agli Stati membri un margine di discrezionalita' per l'adozione delle misure necessarie ai sensi di detta disposizione, resta il fatto che, come si evince dal Considerando 48 di tale direttiva, il livello di tutela previsto dagli Stati membri- non dovrebbe mai essere inferiore alle norme della Carta o della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, segnatamente quelle sulla presunzione di innocenza. A tale riguardo, sottolinea la Corte del Lussemburgo (vedi punto 41), occorre rilevare che la presunzione di innocenza e' sancita dall'art. 48 dela CDFUE, il quale, come risulta dalle spiegazioni relative a quest'ultima, corrisponde all'art. 6, commi 2 e 3, Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali. Ne consegue che, conformemente all'art. 52, § 3, della Carta, ai fini dell'interpretazione dell'art. 48 di quest'ultima occorre prendere in considerazione l'art. 6, commi 2 e 3, Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, quale soglia di protezione minima. Sicche', in assenza di indicazioni precise nella direttiva 2016/UE/343 e nella giurisprudenza relativa all'art. 48 della CDFUE su come debba stabilirsi se una persona sia presentata o meno come colpevole in una decisione giudiziaria, ai fini dell'interpretazione dell'art. 4, § 1, della direttiva 2016/UE/343 occorre ispirarsi alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo relativa all'art. 6, comma 2, Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (punto 42: nel caso di specie la Corte di giustizia UE, proprio rifacendosi ad un precedente della Corte europea dei diritti dell'uomo, riteneva che l'art. 4 della direttiva dovesse essere interpretato nel senso che non ostasse a che un accordo nel quale l'imputato riconosce la propria colpevolezza in cambio di una riduzione di pena, e che deve essere approvato da un giudice nazionale, menzioni espressamente quali coautori del reato non soltanto tale imputato ma anche altre persone imputate in un procedimento separato, che procede ordinariamente, a condizione, da un lato, che tale menzione sia necessaria per la qualificazione della responsabilita' giuridica dell'imputato che ha concluso l'accordo, dall'altro, che il medesimo accordo indichi chiaramente che tali altre persone sono imputate in un procedimento penale distinto e che la loro colpevolezza non e' stata legalmente accertata; in altra sentenza - Corte di giustizia UE, I Sez., 19 settembre 2018, causa C-310/18 PRI; Milev -, la Corte ha affermato che l'art. 4, § I, della direttiva 2016/UE/343 deve essere letto alla luce del Considerando 16, secondo il quale il rispetto della presunzione di innocenza non pregiudica le decisioni riguardanti, ad esempio, la custodia cautelare, purche' non presentino l'indagato o imputato come colpevole. Ai sensi dello stesso Considerando, prima di prendere una decisione preliminare di natura procedurale, l'autorita' competente potrebbe anzitutto dovere verificare che vi siano sufficienti prove a carico dell'indagato o imputato tali da giustificare la decisione e quest'ultima potrebbe contenere un riferimento a tali elementi. Da quanto precede risulta che, nell'ambito dei procedimenti penali, la direttiva in questione e, in particolare, i suoi articoli 3 e 4, § 1, non ostano all'adozione di decisioni preliminari di natura procedurale, come una decisione di mantenere una misura di custodia cautelare adottata da un'autorita' giudiziaria, fondate sul sospetto o su indizi di reita', purche' tali decisioni non presentino la persona detenuta come colpevole). Alla luce di cio', si dubita che sia conforme al . diritto UE una decisione giudiziaria, emessa in grado di appello, costituita da una sentenza di non doversi procedere per estinzione del reato per prescrizione con conferma delle statuizioni civili, previo accertamento della responsabilita' dell'imputato in ordine al reato ascrittogli, nell'ambito della quale, dunque, l'imputato, senza essere stato legalmente dichiarato colpevole, e' presentato non come sospettato o meramente indiziato di avere commesso il reato, bensi' come colpevole, sebbene ai fini della conferma del riconoscimento del risarcimento del danno, gia' disposto dal giudice di primo grado, in favore della costituita parte civile. Anche in questo caso, eventuali bilanciamenti con altri interessi o diritti tutelati dall'ordinamento U.E. (con riguardo, ad esempio, alla parte civile «vittima» del reato, come si evince dall'art. 16 della direttiva 2012/UE/29), spettano alla Corte costituzionale. Al riguardo, vanno ancora una volta richiamate le argomentazioni con le quali la Corte costituzionale, nella sentenza n. 12 del 2016, relativamente alle questioni sollevate in ordine alla legittimita' costituzionale dell'art. 538 codice di procedura penale nella parte in cui non consente al giudice penale di condannare l'imputato al risarcimento del danno in favore della parte civile in caso di proscioglimento per qualsiasi causa, compreso il vizio totale di mente, ha superato i profili riguardanti l'asserita violazione anche del diritti) dell'U.E. Invero, si legge testualmente nella sentenza: "non giova, altresi', alle tesi del giudice a quo il richiamo alla direttiva 25 ottobre 2012, n. 2012/29/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato: richiamo destinato, peraltro, a fungere da mero argomento di supporto delle altre doglianze, non avendo il rimettente evocato i parametri costituzionali che inporrebbero - in ipotesi - l'adeguamento dell'ordinamento italiano alle istanze sovranazionali richiamate (ossia gli articoli 11 e 117, primo comma, Cost). Al riguardo, e' sufficiente osservare che l'obbligo degli Stati membri - sancito dall'art. 16, § 1, della citata direttiva - di garantire alla vittima «il diritto di ottenere una decisione in merito al risarcimento da parte dell'autore del reato nell'ambito del procedimento penale entro un ragionevole lasso di tempo», risulta espressamente subordinato alla condizione che «il diritto nazionale [non] preveda che tale decisione sia adottata nell'ambito di un altro procedimento giudiziario». Il che e' proprio quanto si verifica, secondo l'ordinamento italiano, nell'ipotesi in esame».
P. Q. M. Visto l'art. 23 della legge n. 87/1953; Solleva, di ufficio, questione di legittimita' costituzionale, in relazione all'art. 6, comma 2, CEDO, quale parametro interposto dell'art. 117, comma 1, Cost., e in relazione agli articoli 3 e 4 della direttiva 2016/UE/343 e art. 48 della Carta dei diritti fondamentali dell'U.E., quali parametri interposti degli articoli 11 e 117, comma 1, Cost., con riferimento all'art. 578 del codice di procedura penale, nella parte in cui stabilisce che, quando nei confronti dell'imputato e' stata pronunciata condanna, anche generica, alle restituzioni o al risarcimento dei danni cagionati dal reato, a favore della parte civile, il giudice di appello, nel dichiarare estinto il reato per prescrizione, decide sull'impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli effetti civili. Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e la sospensione del presente giudizio. Dispone che la presente ordinanza sia notificata al sig. Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' comunicata al sig. Presidente della Camera dei deputati ed al sig. Presidente del Senato. Manda alla cancelleria per gli adempimenti. Cosi' deciso in Lecce all'esito della Camera di consiglio del 6 novembre 2020. Il presidente: Scandia Il consigliere est.: Biondi