N. 17 ORDINANZA (Atto di promovimento) 26 novembre 2020
Ordinanza del 26 novembre 2020 del Giudice di pace di Lecce nel procedimento penale a carico di C. D.. Reati e pene - Esclusione della punibilita' per particolare tenuita' del fatto - Inapplicabilita' ai reati di competenza del giudice di pace. - Codice penale, art. 131-bis.(GU n.8 del 24-2-2021 )
IL GIUDICE DI PACE DI LECCE Il giudice di pace di Lecce avv. Rochira Cosimo, decidendo sul fascicolo penale intestato all'imputato C. D. nato a... il... ivi residente via... rappresentato e difeso dall'avv. F. Polo di fiducia, per i reati di cui agli articoli 81, 612 e 582 del codice penale; parte civile D. D. presente in udienza, rappresentato e difeso dall'avv. M. Sanasi, dichiarava che non intendeva conciliare e si opponeva ad una eventuale assoluzione ex art. 34, decreto legislativo 2000; il giudicante sentito il pubblico ministero, la parte civile ed il difensore dell'imputato, si ritirava in Camera di consiglio. Sussistenza dei presupposti di cui agli articoli 134 e ss. della Costituzione e 23 della legge n. 87 dell'11 marzo 1953. I° presupposto della rilevanza delle questioni sollevate Assodato che gli elementi di prova acquisiti consentono di ritenere astrattamente provata la responsabilita' dell'imputato in relazione ai reati di cui agli articoli 158 e 612 del codice penale a lui contestati, sussiste la rilevanza della questione costituzionale sollevata. L'avv. Sanasi, difensore della parte civile D. D., ed anche quest'ultimo presente all'udienza di discussione si sono opposti ad una eventuale applicazione dell'art. 34, decreto legislativo n. 274/2000 decreto legislativo n. 274 del 2000. L'imputato C. D., se la norma non fosse sospetta di incostituzionalita', dovrebbe essere dichiarato responsabile dei capi di imputazione e punito ai sensi degli articoli 582 e 612 del codice penale, al contrario se avesse violato l'art. 612 del codice penale, secondo comma o se avesse commesso anche un altro reato grave, per esempio anche il furto dell'orologio della parte civile (di competenza del tribunale) sarebbe potuto essere assolto ex art. 131-bis c.p. c.p. per particolare tenuita' del fatto. L'imputato, nella fattispecie peculiare potrebbe percepire la sanzione come vessatoria, pertanto una eventuale pronuncia della Corte potra' influire su presente giudizio, c.d. pregiudizialita' costituzionale (C. costituzionale nn. 129/2017). A tutt'oggi, la possibilita' di essere assolti per particolare tenuita' del fatto (ex art. 131-bis c.p. c.p.) e' inversamente proporzionale alla gravita' del reato commesso. La questione di legittimita' costituzionale risulta, al giudice de quo, pertanto pregiudiziale e rilevante ai fini della decisione. IIº presupposto la non manifesta infondatezza delle questioni sollevate Da un orientamento giurisprudenziale (ex plurimis Cassazione 9 giugno 2017), sia pure minoritario e da parte della dottrina si ravvisa una possibile pacifica convivenza tra l'art. 131-bis c.p. del codice penale e l'art. 34, decreto legislativo n. 274/2000, decreto-legge n. 274 del 2000. Sussiste, infatti, la non manifesta infondatezza di talune delle questioni sollevate dell'art. 131-bis c.p. c.p. in riferimento agli articoli 2, 3, 24, 25, 27, 97,111, 117 della Costituzione. Sussiste, inoltre, la violazione dei principi di ragionevolezza, proporzionalita' e sussidiarieta' della legge penale di cui agli articoli 3, 25, 27 della Costituzione. A) Violazione degli articoli 25 e 27 della Costituzione E' consolidato nella giurisprudenza di legittimita' e costituzionale il principio di proporzionalita' della sanzione penale, infatti la pena deve essere rieducativa, a norma dell'art. 27, comma 2 della Costituzione, non deve essere percepita come ingiusta o sproporzionata. Valori certamente prevalenti, nel bilanciamento costituzionale, rispetto al carattere di specialita' dell'art. 34, decreto legislativo n. 274/2000 decreto legislativo n. 274/2000, frutto di una mera scelta di opportunita' e di politica criminale che non puo' rivestire un rilievo costituzionale. Indubbia e' la diversita' dei due istituti la natura sostanziale del nuovo istituto gia' valorizzata in passato dal Supremo Consesso per estendere l'applicabilita' dell'art. 131-bis del codice penale ai procedimenti pendenti al momento di entrata in vigore del decreto-legge n. 28 del 2015 ai sensi degli articoli 7 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali e 2 del codice penale, che si riferisce alle sole norme processuali. La natura giuridica del congegno ex art. 131-bis c.p. c.p. e' una causa di non punibilita', mentre quello delineato dall'art. 34, decreto legislativo n. 274/2000 e' una causa di non procedibilita'; istituto sostanziale il primo, processuale il secondo, che non sono sovrapponibili. L'art. 34, decreto legislativo n. 274/2000 esige che il fatto e non solo l'offesa sia di particolare tenuita', art. 131-bis del codice penale non fa riferimento al grado della colpevolezza, anche se alludendo alla modalita' della condotta da valutare ai sensi dell'art. 133, comma 1 del codice penale, in qualche modo recupera il profilo dell'intensita' del dolo e del grado della colpa. La norma codicistica svincola completamente la causa di non punibilita' da valutazioni di tipo specialpreventivo concernenti gli effetti pregiudizievoli che possono derivare all'imputato dalla prosecuzione del processo. Il requisito, piu' stringente della occasionalita' del fatto contenuto nell'art. 34, decreto legislativo n. 274/2000 e sostituito nell'art. 131-bis del codice penale da quello piu' elastico, della non abitualita' del comportamento. La sola la norma codicistica delinea, poi, un ulteriore condizione negativa, sbarrando il ricorso all'istituto nel caso in cui si tratti di reati che abbiano condotte plurime abituali e reiterate. Effetti giuridici diversi dei due istituti. Visibili sono gli effetti giuridici, infatti, la pronuncia di improcedibilita' non e' ascrivibile nel casellario giudiziario, non e' idonea a formare alcun giudicato sull'illiceita' penale della condotta e non e' impugnabile dall'imputato, a differenza della sentenza che dichiara la non punibilita', che presuppone l'accertamento di responsabilita'. Entrambi gli istituti perseguono un intento deflativo e a dare piena attuazione ai principi costituzionali di extrema ratio e di proporzionalita' della pena. Finalita' eminentemente «Conciliativa» della giurisdizione di pace? La causa di improcedibilita' prevista dall'art. 34, decreto legislativo n. 274/2000 decreto legislativo trova invece fondamento giustificativo nella finalita' eminentemente «conciliativa» della giurisdizione di pace, cosi' interpretata dalla Corte di cassazione a sezioni unite e anche avallata dalla Consulta, ma in realta' l'art. 34, decreto legislativo n. 274/2000 cosi' come previsto e poco utilizzato e comunque la funzione conciliativa del giudice di pace porta a differenti conclusioni e cioe' A) ad una remissione della querela in caso di assenso da parte della parte offesa; o B) in caso di reiterata assenza della parte civile o della parte offesa nel processo, alla remissione tacita della querela, non certamente ad una applicazione dell'art. 34, decreto legislativo n. 274/2000. Detta finalita' «conciliativa» collide inoltre con la ventennale esperienza del giudice di pace che si e' occupato, sino a poco tempo fa del reato previsto dall'art. 590 del codice penale con lesioni gravissime (ex multis sentenza G.d.P Lecce n. 106/11 con una condanna ad una provvisionale di euro 300.000,000 decisione confermata in appello ed in Cassazione), di reati di immigrazione, che comportano limitazione della liberta' personale con ordinanze di rimessione alla Corte europea ecc. Inoltre la maggior parte dei procedimenti davanti al giudice di pace vedono come parti contrapposte ex coniugi, con vari procedimenti penali ed una causa civile di separazione o divorzio pendenti, la cui conciliazione sarebbe impossibile anche per il grande Salomone. La persona offesa, costretta a subire una conclusione sgradita del procedimento, perche' la sua manifestazione di interesse alla prosecuzione; o nella fase processuale la sua opposizione, impedisce al giudice di pace di applicare l'istituto previsto art. 34, decreto legislativo n. 274/2000, ma non paralizzerebbe l'operativita' dell'art. 131-bis del codice penale, che non resterebbe priva di tutela. Infatti nell'eventuale concorrente veste di persona danneggiata, sarebbe comunque legittimata ad esercitare l'azione civile a carattere restitutorio o risarcitorio, ai sensi dell'art. 651-bis del codice di procedura penale. Inoltre l'inclusione dei reati di competenza del giudice di pace nell'orbita applicativa dell'art. 131-bis del codice penale offuscherebbe solo il volto conciliativo del rito disciplinato dal decreto legislativo suddetto, quello deflativo ne risulterebbe persino esaltato, dilatandosi l'area dei fatti scarsamente offensivi che non giustificano un approfondimento processuale. Infine la strategia conciliativa (ammesso e non concesso) del meccanismo ex art. 34, decreto legislativo n. 274/2000 e' frutto di una scelta di opportunita' e di politica criminale che non riveste alcun rilievo costituzionale, a differenza dei principi di extrema ratio e proporzione della pena che stanno alla base dell'istituto del nuovo conio. C'e' quindi da chiedersi se la tutela di un obiettivo privo di carattere costituzionale, perseguito dal legislatore del 2000 che sarebbe affievolita dalla convivenza operativa della causa di non punibilita' codicistica e della condizione di improcedibilita' speciale, possa giustificare nella prospettiva dell'art. 3 della Costituzione, l'emarginazione dal procedimento dinanzi al giudice di pace del congegno previsto dall'art. 131-bis del codice penale, la cui ratio, ha invece un solido fondamento costituzionale. E comunque il valore conciliativo usato dalle sezioni unite puo' essere eventualmente messo in discussione ai sensi dell'art. 618, comma 1-bis del codice di procedura penale. Al contrario una pacifica convivenza dei due istituti nel micro sistema del giudice di pace fondandosi sulla cosiddetta clausola di salvaguardia della disciplina speciale, posto dall'art. 16 secondo periodo codice penale nel caso di specie sembra venire in rilievo la sola prima parte della norma punto enunciato dell'art. 16 del codice penale in due autonomi segmenti: il primo prende in esame la situazione di un certo caso e' disciplinato unicamente dal codice penale e non anche dalla legge speciale, stabilendo il solenne principio di unita' dogmatica dell'intero diritto penale; si applicano le disposizioni del codice penale alle materie regolate dalle altre leggi penali speciali; il secondo segmento contempla la situazione in cui la legislazione, speciale disciplina esplicitamente il medesimo caso regolato anche dal codice penale, posto che la legge speciale stabilisce altrimenti, trova applicazione la disciplina in essa contenuta. Il secondo enunciato dell'art. 16 del codice penale regola, dunque, il fenomeno del concorso di norme. A ben vedere si tratta di un concorso apparente poiche' imposta l'applicazione della sola norma speciale. L'art. 16 del codice penale nell'ultima parte, condivide con il precedente art. 15 del codice penale la funzione. Serve in pratica ad evitare il concorso di norme e ad imporre l'applicazione di una sola norma, la speciale, quando vi sono due norme poste tra loro in rapporto di genere a specie e che, dunque, regolano per forza lo stesso caso. In definitiva perche' si applichi la seconda parte dell'art. 16 del codice penale le due norme codicistica extra codicistica devono essere in rapporto di specialita' tra loro. Se non si configura siffatta relazione di genere e specie tra la norma codicistica e' quella della legislazione complementare non opera la seconda parte dell'art. 16 del codice penale bensi' la prima. Quindi si applica la norma codicistica non essendo quel caso effettivamente preso in considerazione anche dalla norma extracodicistica. Quando invece ciascuna norma presenta oltre a un nucleo di elementi comuni, requisiti eterogenei sul piano della struttura della fattispecie, esclusivamente e propri ed estranei all'altra, non e' configurabile una relazione di genere a specie, bensi' di interferenza. Un esempio di interferenza e' rintracciabile, nel rapporto tra l'art. 131-bis c.p. c.p. e l'art. 34, decreto legislativo n. 274/2000 decreto legislativo le cui discipline, hanno un nucleo in comune, cioe' l'esiguita' dell'offesa al bene oggetto di tutela penalistica ed elementi reciprocamente eterogenei. Il rapporto fra loro quindi sfugge all'incidenza applicativa del secondo segmento dell'art. 16 del codice penale quindi non vi sono barriere normative che possono impedire alla causa di non punibilita' codicistica di straripare gli argini del rito ordinario e raggiungere il microsistema del giudice di pace, ovviamente quando manchino le condizioni per applicare l'art. 34, decreto legislativo n. 274/2000, per legittimare il giudice di pace a dichiarare la tenuita' per fatto ai sensi dell'art. 131-bis del codice penale, naturalmente in presenza dei presupposti e nel rispetto dei limiti fissati dalla norma. B) Violazione del principio di sussidiarieta' dell'illecito penale Il ricorso alla sanzione penale nel nostro ordinamento deve ammettersi esclusivamente come extrema ratio, quando cioe' la tutela del bene giuridico non possa essere raggiunta adeguatamente attraverso altri strumenti dell'ordinamento giuridico. L'art. 34, decreto legislativo n. 274/2000 ha, quindi, un ambito di applicazione ben piu' ristretto rispetto alla norma sostanziale inserita all'interno del codice penale, che dunque si atteggia a norma di maggior favore per l'imputato. C) Violazione del principio 102 La funzione giurisdizionale e' esercitata da magistrati ordinari istituiti e regolati dalle norme sull'ordinamento giudiziario. Non posso essere istituiti giudici straordinari o giudici speciali. Possono soltanto essere istituiti presso gli organi giudiziari ordinari sezioni specializzate per determinate materie anche con la partecipazione di cittadini idonei estranei alla magistratura. La legge regola i casi e le forme della partecipazione diretta del popolo all'amministrazione della giustizia. L'art. 6 del codice di procedura penale suona. «Il Tribunale e' competente per i reati che non appartengono alla competenza della Corte di assise o del giudice di pace.» Il rito penale davanti al giudice di pace, non lo rende speciale (o diverso) per l'obiettivo di «conciliazione delle parti», d'altronde non lo e' neppure il giudice del lavoro ex art. 409 e ss. del codice di procedura civile da sempre, ne' il giudice del tribunale con l'introduzione dell'art. 185-bis del codice di procedura civile di nuova generazione. L'art. 7 del codice di procedura civile libro primo, titolo I Degli organi giudiziari Sezione II - Della competenza per materia e valore Il giudice di pace e' competente per le cause ... Rivisitando la sentenza delle S.U. penali del 22 giugno 2017 n. 53683, nella parte in cui ritiene il giudice di pace un soggetto volontario ed onorario, alla luce della sentenza della Corte europea (seconda sezione) Del 16 luglio 2020 si potrebbe valutare una possibile e necessaria convivenza nel procedimento dinanzi al giudice di pace dei due diversi modelli di «irrilevanza per particolare tenuita' del fatto» sbloccando finalmente le barriere artificiali che annullano le istanze di rilievo costituzionale quali quelle di economia processuale, di extrema ratio e di proporzionalita' e ragionevolezza della pena. La sentenza della Corte europea del 16 luglio 2020, infatti, nella causa C-658/18, avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell'art. 267 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, dal giudice di pace di Bologna (Italia), con ordinanza del 16 ottobre 2018, pervenuta in cancelleria il 22 ottobre 2018, nel procedimento UX contro Governo della Repubblica italiana, conclude: ...Per questi motivi, la Corte (Seconda sezione) dichiara: 1) l'art. 267 Trattato sul funzionamento dell'Unione europea deve essere interpretato nel senso che il giudice di pace (Italia) rientra nella nozione di «giurisdizione di uno degli stati membri», ai sensi di tale articolo; 2) l'art. 7, paragrafo 1, della direttiva 2003/88/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 novembre 2003, concernente taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro, e l'art. 31, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea devono essere interpretati nel senso che un giudice di pace che, nell'ambito delle sue funzioni, svolge prestazioni reali ed effettive, che non sono ne' puramente marginali ne' accessorie, e per le quali percepisce indennita' aventi carattere remunerativo, puo' rientrare nella nozione di «lavoratore», ai sensi di tali disposizioni, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare. La clausola 2, punto 1, dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso il 18 marzo 1999, che figura nell'allegato della direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all'accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, deve essere interpretata nel senso che la nozione di «lavoratore a tempo determinato», contenuta in tale disposizione, puo' includere un giudice di pace, nominato per un periodo limitato, il quale, nell'ambito delle sue funzioni, svolge prestazioni reali ed effettive, che non sono ne' puramente marginali ne' accessorie, e per le quali percepisce indennita' aventi carattere remunerativo, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare. La clausola 4, punto 1, dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso il 18 marzo 1999, che figura nell'allegato della direttiva 1999/70, deve essere interpretata nel senso che osta ad una normativa nazionale che non prevede il diritto per un giudice di pace di beneficiare di ferie annuali retribuite di trenta giorni, come quello previsto per i magistrati ordinari, nell'ipotesi in cui tale giudice di pace rientri nella nozione di «lavoratore a tempo determinato», ai sensi della clausola 2, punto 1, di tale accordo quadro, e in cui si trovi in una situazione comparabile a quella di un magistrato ordinario, a meno che tale differenza di trattamento sia giustificata dalle diverse qualifiche richieste e dalla natura delle mansioni di cui detti magistrati devono assumere la responsabilita', circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare. D) Violazione del principio dell'art. 111 della Costituzione Si evidenzia il difetto di ragionevolezza della dosimetria della pena prevista dal vigente art. 131-bis c.p. c.p., e l'art. 34, decreto legislativo n. 274/2000 decreto legislativo 2000, che emergerebbe nel raffronto con il trattamento sanzionatorio previsto per il fatto di lieve entita' l'assoluzione il primo, e con la condanna il secondo; nonostante la linea di demarcazione «naturalistica» tra le fattispecie «speciale» art. 615, primo comma e «ordinaria» art. 615, secondo comma, sia talvolta non netta, il «confine sanzionatorio» dell'una e dell'altra incriminazione e' invece troppo e, quindi, irragionevolmente. Pertanto, il trattamento sanzionatorio sensibilmente diverso tra le fattispecie che si pongono sul confine tra l'ipotesi lieve e l'ipotesi ordinaria determina un rapporto non ragionevole con il disvalore della condotta. E) Violazione dell'art. 3 della Costituzione Tale norma appare, anzitutto, in contrasto con l'art. 3 della Costituzione, sotto il profilo dell'irragionevolezza della scelta legislativa. Il giudice a quo ritiene che, nella fattispecie peculiare, la pronuncia delle sezioni unite penali n. 53683 del 22 giugno 2017, con la quale la Suprema Corte ha voluto escludere radicalmente l'applicabilita' dell'art. 131-bis del codice penale ai reati di competenza del giudice di pace, costituisca ostacolo insormontabile ad un'interpretazione costituzionalmente orientata del medesimo, tale da giustificarne la rimessione alla Corte; ritenendo la questione non manifestamente infondata e rilevante per la decisione del presente giudizio; solleva d'ufficio questione di legittimita' costituzionale dell'art. 131-bis del codice penale, nella misura in cui esso non e' applicabile ai reati rientranti nella competenza del giudice di pace, per violazione dell'art. 3 della Costituzione. Palese ed irragionevole disparita' di trattamento sotto il profilo sanzionatorio. La irragionevolezza della nuova fattispecie penale emerge anche sotto il profilo sanzionatorio. Tale regolamentazione, infatti, introduce una palese ed irragionevole disparita' di trattamento tra soggetti ugualmente destinatari della predetta sanzione. Citando P. Danelli: «Il giudice di pace, riscontrata la sussistenza di tutte le condizioni di procedibilita', deve applicare la sanzione soltanto quando abbia accertato il dovere di punire, la cui esistenza e' esclusa in mancanza del bisogno di pena e, dunque laddove possa essere applicato l'art. 131-bis del codice penale, ritenere che, per salvaguardare presunte finalita' conciliative, si debba punire nonostante la mancanza del bisogno di pena, significa attribuire agli illeciti di competenza del magistrato di pace, uno statuto eccezionale e di infrangere cosi l'unitarieta' della teoria del reato. La coerenza del sistema depone quindi in favore della applicabilita' dell'art. 131-bis del codice penale anche ai reati di competenza del giudice di pace. Irragionevole disparita' di trattamento sotto il profilo sanzionatorio dell'art. 34, decreto legislativo rispetto all'art. 131-bis del codice penale. Palese violazione dell'art. 3 della Costituzione in quanto la disposizione censurata delineerebbe un trattamento sanzionatorio irragionevole tenuto conto che, nonostante la linea di demarcazione «naturalistica» fra la fattispecie «ordinaria», di cui alla disposizione denunciata, e quella di «lieve entita'», di cui all'art. 131-bis del codice penale, non sia sempre netta, il «confine sanzionatorio» dell'una e dell'altra incriminazione e' invece eccessivamente e, quindi, irragionevolmente, distante. Detta irragionevolezza contrasterebbe con gli articoli 3 e 27 della Costituzione, poiche' la previsione di una pena ingiustificatamente aspra e sproporzionata rispetto alla gravita' del fatto ne pregiudicherebbe la funzione rieducativa. L'art. 3 della Costituzione appare violato sotto un altro specifico profilo, concernente la irragionevole disparita' di trattamento tra la nuova fattispecie e quella di cui all'art. 34, decreto legislativo n. 274/2000. F) Violazione dell'art. 25 e 111 della Costituzione Con la sentenza n. 233 del 2018, la Corte, dopo aver ribadito che le valutazioni discrezionali di dosimetria della pena spettano anzitutto al legislatore, ha precisato che non sussistono ostacoli al suo intervento quando le scelte sanzionatone adottate dal legislatore si siano rivelate manifestamente arbitrarie o irragionevoli e il sistema legislativo consenta l'individuazione di soluzioni, anche alternative tra loro, che siano tali da «ricondurre a coerenza le scelte gia' delineate a tutela di un determinato bene giuridico, procedendo puntualmente, ove possibile, all'eliminazione di ingiustificabili incongruenze». Similmente, la sentenza n. 222 del 2018 di poco precedente aveva gia' ritenuto che al fine di consentire l'intervento correttivo di questa Corte non e' necessario che esista, nel sistema, un'unica soluzione costituzionalmente vincolata in grado di sostituirsi a quella dichiarata illegittima, come quella prevista per una norma avente identica struttura e ratio, idonea a essere assunta come tertium comparazioni, essendo sufficiente che il «sistema nel suo complesso offra alla Corte «precisi punti di riferimento» e soluzioni «gia' esistenti», ancorche' non «costituzionalmente obbligate», «che possano sostituirsi alla previsione sanzionatoria dichiarata illegittima». In definitiva, fermo restando che non spetta alla Corte determinare autonomamente la misura della pena, l'ammissibilita' delle questioni di legittimita' costituzionale che riguardano l'entita' della punizione risulta condizionata non tanto dalla presenza di un'unica soluzione costituzionalmente obbligata, quanto dalla presenza nel sistema di previsioni sanzionatore che, trasposte all'interno della norma censurata, garantiscano coerenza alla logica perseguita dal legislatore. Nel rispetto delle scelte di politica sanzionatoria delineate dal legislatore e ad esso riservate, occorre, infatti, evitare che l'ordinamento presenti zone franche immuni dal sindacato di legittimita' costituzionale proprio in ambiti in cui e' maggiormente impellente l'esigenza di assicurare una tutela effettiva dei diritti fondamentali, incisi dalle scelte sanzionatorie del legislatore. G) Violazione dell'art. 2 della Costituzione Il contrasto del trattamento sanzionatorio attualmente previsto dall'art. 131-bis c.p. c.p., e l'art. 34, decreto legislativo n. 274/2000 decreto legislativo 2000 «con il principio di proporzionalita' e il principio di colpevolezza e di necessaria finalizzazione rieducativa della pena, riconducibile al disposto degli articoli 3 e 27 della Costituzione». La nuova fattispecie appare, infine, in contrasto con l'art. 2 della Costituzione, che riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo. Invero, la giurisprudenza costituzionale, ribadita anche recentemente, ammette in particolari situazioni interventi con possibili effetti in malam partem in materia penale, restando semmai da verificare l'ampiezza e i limiti dell'ammissibilita' di tali interventi nei singoli casi. Certamente il principio della riserva di legge di cui all'art. 25 della Costituzione rimette al legislatore «la scelta dei fatti da sottoporre a pena e delle sanzioni da applicare», ma non esclude che la Corte possa assumere decisioni il cui effetto in malam partem non discende dall'introduzione di nuove norme o dalla manipolazione di norme esistenti, ma dalla semplice rimozione di disposizioni costituzionalmente illegittime. In tal caso, l'effetto in malam partem e' ammissibile in quanto esso e' una mera conseguenza indiretta della reductio ad legitimitatem di una norma costituzionalmente illegittima, la cui caducazione determina l'automatica espansione di altra norma dettata dallo stesso legislatore. In definitiva, fermo restando che non spetta alla Corte determinare autonomamente la misura della pena, l'ammissibilita' delle questioni di legittimita' costituzionale che riguardano l'entita' della punizione risulta condizionata non tanto dalla presenza di un'unica soluzione costituzionalmente obbligata, quanto dalla presenza nel sistema di previsioni sanzionatorie che, trasposte all'interno della norma censurata, garantiscano coerenza alla logica perseguita dal legislatore. Nel rispetto delle scelte di politica sanzionatoria delineate dal legislatore e ad esso riservate, occorre, infatti, evitare che l'ordinamento presenti zone franche immuni dal sindacato di legittimita' costituzionale proprio in ambiti in cui e' maggiormente impellente l'esigenza di assicurare una tutela effettiva dei diritti fondamentali. L'impossibilita' di applicare l'art. 34, decreto legislativo n. 274/2000 decreto legislativo, nella fattispecie peculiare, per l'opposizione della parte civile, porterebbe a condannare l'imputato... al posto di una applicazione dell'art. 131-bis c.p. c.p. per il principio processuale della ragione piu' liquida, desumibile dagli articoli 24, e 111 della Costituzione italiana (Cassazione n. 30745 del 2019) con conclusioni paradossali, per cui: la possibilita' di essere assolti per particolare tenuita' del fatto e' inversamente proporzionale alla gravita' del reato commesso.
P.Q.M. Il giudice di pace di Lecce avv. Cosimo Rochira, visti gli articoli 134 e ss. della Costituzione e 23 della legge n. 87 dell'11 marzo 1953. Ritenuta la rilevanza ai fini del giudizio e la non manifesta infondatezza solleva la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 131-bis del codice penale nella parte in cui non lo rende applicabile anche nel procedimento dinanzi al giudice di pace, per contrasto con gli articoli 2, 3, 24, 25, 27, 102, 111 della Costituzione della Repubblica italiana. Sospende il presente processo e ordina la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Manda alla cancelleria per la notifica della presente ordinanza al Presidente del Consiglio dei ministri, al Presidente del Senato della Repubblica ed al Presidente della Camera dei deputati. Cosi' deciso in Lecce il 26 novembre 2020 Il giudice di pace: Rochira