N. 17 ORDINANZA (Atto di promovimento) 26 novembre 2020

Ordinanza del 26 novembre 2020 del  Giudice  di  pace  di  Lecce  nel
procedimento penale a carico di C. D.. 
 
Reati e pene - Esclusione della punibilita' per particolare  tenuita'
  del fatto - Inapplicabilita' ai reati di competenza del giudice  di
  pace. 
- Codice penale, art. 131-bis. 
(GU n.8 del 24-2-2021 )
 
                     IL GIUDICE DI PACE DI LECCE 
 
    Il giudice di pace di Lecce avv. Rochira  Cosimo,  decidendo  sul
fascicolo penale intestato all'imputato C. D.  nato  a...  il...  ivi
residente via... rappresentato e difeso dall'avv. F. Polo di fiducia,
per i reati di cui agli articoli 81, 612 e  582  del  codice  penale;
parte civile D.  D.  presente  in  udienza,  rappresentato  e  difeso
dall'avv. M. Sanasi, dichiarava che non  intendeva  conciliare  e  si
opponeva ad una eventuale assoluzione ex art. 34, decreto legislativo
2000; il giudicante sentito il pubblico ministero, la parte civile ed
il difensore dell'imputato, si ritirava in Camera di consiglio. 
    Sussistenza dei presupposti di cui agli articoli 134 e ss.  della
Costituzione e 23 della legge n. 87 dell'11 marzo 1953. 
I° presupposto della rilevanza delle questioni sollevate 
    Assodato che  gli  elementi  di  prova  acquisiti  consentono  di
ritenere astrattamente provata la  responsabilita'  dell'imputato  in
relazione ai reati di cui agli articoli 158 e 612 del codice penale a
lui contestati, sussiste la rilevanza della questione  costituzionale
sollevata. 
    L'avv. Sanasi, difensore della  parte  civile  D.  D.,  ed  anche
quest'ultimo presente all'udienza di discussione si sono  opposti  ad
una eventuale  applicazione  dell'art.  34,  decreto  legislativo  n.
274/2000 decreto legislativo n. 274 del 2000. 
    L'imputato  C.  D.,  se  la   norma   non   fosse   sospetta   di
incostituzionalita', dovrebbe essere dichiarato responsabile dei capi
di imputazione e punito ai sensi degli articoli 582 e 612 del  codice
penale, al contrario se avesse violato l'art. 612 del codice  penale,
secondo comma o se avesse commesso anche un altro  reato  grave,  per
esempio  anche  il  furto  dell'orologio  della  parte   civile   (di
competenza del tribunale)  sarebbe  potuto  essere  assolto  ex  art.
131-bis c.p. c.p. per particolare tenuita' del fatto. 
    L'imputato, nella fattispecie  peculiare  potrebbe  percepire  la
sanzione come vessatoria,  pertanto  una  eventuale  pronuncia  della
Corte potra' influire su  presente  giudizio,  c.d.  pregiudizialita'
costituzionale (C. costituzionale nn. 129/2017). 
    A tutt'oggi, la possibilita' di essere  assolti  per  particolare
tenuita' del fatto  (ex  art.  131-bis  c.p.  c.p.)  e'  inversamente
proporzionale alla gravita'  del  reato  commesso.  La  questione  di
legittimita' costituzionale risulta,  al  giudice  de  quo,  pertanto
pregiudiziale e rilevante ai fini della decisione. 
IIº  presupposto  la  non  manifesta  infondatezza  delle   questioni
sollevate 
    Da un orientamento giurisprudenziale (ex  plurimis  Cassazione  9
giugno 2017), sia pure minoritario  e  da  parte  della  dottrina  si
ravvisa una possibile pacifica convivenza tra l'art. 131-bis c.p. del
codice  penale e  l'art.  34,  decreto   legislativo   n.   274/2000,
decreto-legge n. 274 del 2000. 
    Sussiste, infatti, la non manifesta infondatezza di talune  delle
questioni sollevate dell'art. 131-bis c.p. c.p. in  riferimento  agli
articoli 2, 3, 24, 25, 27, 97,111, 117 della Costituzione. 
    Sussiste, inoltre, la violazione dei principi di  ragionevolezza,
proporzionalita' e sussidiarieta' della  legge  penale  di  cui  agli
articoli 3, 25, 27 della Costituzione. 
A) Violazione degli articoli 25 e 27 della Costituzione 
    E'   consolidato   nella   giurisprudenza   di   legittimita'   e
costituzionale  il  principio  di  proporzionalita'  della   sanzione
penale, infatti la pena deve essere rieducativa,  a  norma  dell'art.
27, comma 2  della  Costituzione,  non  deve  essere  percepita  come
ingiusta  o  sproporzionata.  Valori   certamente   prevalenti,   nel
bilanciamento costituzionale, rispetto al  carattere  di  specialita'
dell'art. 34, decreto legislativo n. 274/2000 decreto legislativo  n.
274/2000, frutto di una mera scelta di  opportunita'  e  di  politica
criminale che non puo' rivestire un rilievo costituzionale. 
    Indubbia e' la diversita' dei due istituti la natura  sostanziale
del nuovo istituto gia' valorizzata in passato dal  Supremo  Consesso
per estendere l'applicabilita' dell'art. 131-bis del codice penale ai
procedimenti  pendenti  al  momento  di   entrata   in   vigore   del
decreto-legge n. 28 del 2015 ai sensi degli  articoli  7  Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'
fondamentali e 2 del codice penale, che si riferisce alle sole  norme
processuali. 
    La natura giuridica del congegno ex art. 131-bis c.p. c.p. e' una
causa di non  punibilita',  mentre  quello  delineato  dall'art.  34,
decreto legislativo n. 274/2000 e' una causa di  non  procedibilita';
istituto sostanziale il primo, processuale il secondo, che  non  sono
sovrapponibili. L'art. 34, decreto legislativo n. 274/2000 esige  che
il fatto e non  solo  l'offesa  sia  di  particolare  tenuita',  art.
131-bis  del  codice  penale  non  fa  riferimento  al  grado   della
colpevolezza, anche se alludendo alla  modalita'  della  condotta  da
valutare ai sensi dell'art.  133,  comma  1  del  codice  penale,  in
qualche modo recupera il profilo dell'intensita' del dolo e del grado
della colpa. La norma codicistica svincola completamente la causa  di
non punibilita' da valutazioni di tipo specialpreventivo  concernenti
gli effetti pregiudizievoli che possono derivare  all'imputato  dalla
prosecuzione del processo. 
    Il requisito, piu'  stringente  della  occasionalita'  del  fatto
contenuto nell'art. 34, decreto legislativo n. 274/2000 e  sostituito
nell'art. 131-bis del codice penale da quello  piu'  elastico,  della
non abitualita' del comportamento. 
    La  sola  la  norma  codicistica  delinea,  poi,   un   ulteriore
condizione negativa, sbarrando il ricorso all'istituto  nel  caso  in
cui si tratti di  reati  che  abbiano  condotte  plurime  abituali  e
reiterate. 
    Effetti giuridici diversi dei due istituti. 
    Visibili sono gli effetti giuridici,  infatti,  la  pronuncia  di
improcedibilita' non e' ascrivibile nel casellario  giudiziario,  non
e' idonea a formare  alcun  giudicato  sull'illiceita'  penale  della
condotta e non  e'  impugnabile  dall'imputato,  a  differenza  della
sentenza  che   dichiara   la   non   punibilita',   che   presuppone
l'accertamento di responsabilita'. 
    Entrambi gli istituti perseguono un intento deflativo  e  a  dare
piena attuazione ai principi costituzionali di  extrema  ratio  e  di
proporzionalita' della pena. 
    Finalita' eminentemente  «Conciliativa»  della  giurisdizione  di
pace? 
    La causa  di  improcedibilita'  prevista  dall'art.  34,  decreto
legislativo n. 274/2000 decreto legislativo trova  invece  fondamento
giustificativo nella  finalita'  eminentemente  «conciliativa»  della
giurisdizione di pace, cosi' interpretata dalla Corte di cassazione a
sezioni unite e anche avallata dalla Consulta, ma in  realta'  l'art.
34, decreto legislativo  n.  274/2000  cosi'  come  previsto  e  poco
utilizzato e comunque la funzione conciliativa del  giudice  di  pace
porta a differenti conclusioni e cioe' A)  ad  una  remissione  della
querela in caso di assenso da parte della parte offesa; o B) in  caso
di reiterata assenza della parte civile  o  della  parte  offesa  nel
processo, alla remissione tacita della querela, non certamente ad una
applicazione dell'art. 34, decreto legislativo n. 274/2000. 
    Detta finalita' «conciliativa» collide inoltre con la  ventennale
esperienza del giudice di pace che si e' occupato, sino a poco  tempo
fa del reato previsto dall'art. 590 del  codice  penale  con  lesioni
gravissime (ex multis sentenza G.d.P Lecce n. 106/11 con una condanna
ad una provvisionale di  euro  300.000,000  decisione  confermata  in
appello ed in Cassazione), di reati di immigrazione,  che  comportano
limitazione della liberta' personale con ordinanze di rimessione alla
Corte europea ecc. 
    Inoltre la maggior parte dei procedimenti davanti al  giudice  di
pace vedono come parti contrapposte ex coniugi, con vari procedimenti
penali ed una causa civile di separazione o divorzio pendenti, la cui
conciliazione sarebbe impossibile anche per il grande Salomone. 
    La persona offesa, costretta a subire  una  conclusione  sgradita
del procedimento, perche' la sua  manifestazione  di  interesse  alla
prosecuzione; o nella fase processuale la sua opposizione,  impedisce
al giudice di pace di applicare l'istituto previsto art. 34,  decreto
legislativo  n.  274/2000,  ma  non   paralizzerebbe   l'operativita'
dell'art. 131-bis del codice penale,  che  non  resterebbe  priva  di
tutela.  Infatti  nell'eventuale   concorrente   veste   di   persona
danneggiata, sarebbe  comunque  legittimata  ad  esercitare  l'azione
civile a carattere restitutorio o risarcitorio,  ai  sensi  dell'art.
651-bis del codice di procedura penale. 
    Inoltre l'inclusione dei reati di competenza del giudice di  pace
nell'orbita  applicativa  dell'art.   131-bis   del   codice   penale
offuscherebbe solo il volto conciliativo del  rito  disciplinato  dal
decreto  legislativo  suddetto,  quello  deflativo  ne   risulterebbe
persino esaltato, dilatandosi l'area dei fatti scarsamente  offensivi
che non giustificano un approfondimento processuale. 
    Infine la strategia conciliativa (ammesso  e  non  concesso)  del
meccanismo ex art. 34, decreto legislativo n. 274/2000 e'  frutto  di
una scelta di opportunita' e di politica criminale  che  non  riveste
alcun rilievo costituzionale, a differenza dei  principi  di  extrema
ratio e proporzione della pena che stanno alla base dell'istituto del
nuovo conio. C'e' quindi da chiedersi se la tutela  di  un  obiettivo
privo di carattere costituzionale,  perseguito  dal  legislatore  del
2000 che sarebbe affievolita dalla convivenza operativa  della  causa
di non punibilita' codicistica e della condizione di improcedibilita'
speciale, possa giustificare  nella  prospettiva  dell'art.  3  della
Costituzione, l'emarginazione dal procedimento dinanzi al giudice  di
pace del congegno previsto dall'art. 131-bis del  codice  penale,  la
cui ratio, ha invece un solido fondamento costituzionale. 
    E comunque il valore conciliativo usato dalle sezioni unite  puo'
essere eventualmente messo in discussione  ai  sensi  dell'art.  618,
comma 1-bis del codice di procedura penale. 
    Al contrario una pacifica convivenza dei due istituti  nel  micro
sistema del giudice di pace fondandosi sulla cosiddetta  clausola  di
salvaguardia della disciplina speciale, posto  dall'art.  16  secondo
periodo codice penale nel caso di specie sembra venire in rilievo  la
sola prima parte della norma punto enunciato dell'art. 16 del  codice
penale in  due  autonomi  segmenti:  il  primo  prende  in  esame  la
situazione di un certo caso e'  disciplinato  unicamente  dal  codice
penale e non  anche  dalla  legge  speciale,  stabilendo  il  solenne
principio  di  unita'  dogmatica  dell'intero  diritto   penale;   si
applicano le disposizioni del codice  penale  alle  materie  regolate
dalle altre leggi penali speciali; il secondo segmento  contempla  la
situazione in cui la legislazione, speciale disciplina esplicitamente
il medesimo caso regolato anche dal codice penale, posto che la legge
speciale stabilisce altrimenti, trova applicazione la  disciplina  in
essa contenuta. Il secondo enunciato dell'art. 16 del  codice  penale
regola, dunque, il fenomeno del concorso di norme. A  ben  vedere  si
tratta di un concorso apparente poiche' imposta l'applicazione  della
sola norma speciale. L'art. 16 del codice penale  nell'ultima  parte,
condivide con il precedente art. 15 del codice  penale  la  funzione.
Serve in pratica ad  evitare  il  concorso  di  norme  e  ad  imporre
l'applicazione di una sola norma, la speciale,  quando  vi  sono  due
norme poste tra loro in rapporto di genere a specie  e  che,  dunque,
regolano per forza lo stesso caso. In definitiva perche' si  applichi
la seconda  parte  dell'art.  16  del  codice  penale  le  due  norme
codicistica  extra  codicistica  devono   essere   in   rapporto   di
specialita' tra loro. Se  non  si  configura  siffatta  relazione  di
genere e specie tra la norma codicistica e' quella della legislazione
complementare non opera la seconda  parte  dell'art.  16  del  codice
penale bensi' la prima. Quindi si applica la  norma  codicistica  non
essendo quel caso effettivamente preso in considerazione anche  dalla
norma extracodicistica. 
    Quando invece ciascuna  norma  presenta  oltre  a  un  nucleo  di
elementi comuni, requisiti eterogenei sul piano della struttura della
fattispecie, esclusivamente e propri ed estranei  all'altra,  non  e'
configurabile  una  relazione  di  genere   a   specie,   bensi'   di
interferenza. 
    Un esempio di interferenza e' rintracciabile,  nel  rapporto  tra
l'art. 131-bis c.p. c.p. e l'art. 34, decreto legislativo n. 274/2000
decreto legislativo le cui discipline, hanno  un  nucleo  in  comune,
cioe' l'esiguita' dell'offesa al bene oggetto di  tutela  penalistica
ed elementi reciprocamente eterogenei. 
    Il rapporto fra loro quindi sfugge all'incidenza applicativa  del
secondo segmento dell'art. 16 del codice penale quindi  non  vi  sono
barriere normative che possono impedire alla causa di non punibilita'
codicistica di straripare gli argini del rito ordinario e raggiungere
il microsistema del giudice di pace, ovviamente  quando  manchino  le
condizioni per applicare l'art. 34, decreto legislativo n.  274/2000,
per legittimare il giudice di pace a dichiarare la tenuita' per fatto
ai  sensi  dell'art.  131-bis  del  codice  penale,  naturalmente  in
presenza dei presupposti e nel  rispetto  dei  limiti  fissati  dalla
norma. 
B) Violazione del principio di sussidiarieta' dell'illecito penale 
    Il ricorso alla  sanzione  penale  nel  nostro  ordinamento  deve
ammettersi esclusivamente come extrema ratio, quando cioe' la  tutela
del  bene  giuridico  non  possa   essere   raggiunta   adeguatamente
attraverso altri strumenti dell'ordinamento giuridico. 
    L'art. 34, decreto legislativo n. 274/2000 ha, quindi, un  ambito
di applicazione ben piu' ristretto rispetto  alla  norma  sostanziale
inserita all'interno del codice penale,  che  dunque  si  atteggia  a
norma di maggior favore per l'imputato. 
C) Violazione del principio 102 
    La funzione giurisdizionale e' esercitata da magistrati  ordinari
istituiti e regolati dalle norme sull'ordinamento giudiziario. 
    Non  posso  essere  istituiti  giudici  straordinari  o   giudici
speciali.  Possono  soltanto  essere  istituiti  presso  gli   organi
giudiziari ordinari sezioni  specializzate  per  determinate  materie
anche  con  la  partecipazione  di  cittadini  idonei  estranei  alla
magistratura. 
    La legge regola i casi e le forme  della  partecipazione  diretta
del popolo all'amministrazione della giustizia. 
    L'art. 6 del codice di procedura penale suona. «Il  Tribunale  e'
competente per i reati che non  appartengono  alla  competenza  della
Corte di assise o del giudice di pace.» 
    Il rito penale davanti al giudice di pace, non lo rende  speciale
(o  diverso)  per  l'obiettivo  di   «conciliazione   delle   parti»,
d'altronde non lo e' neppure il giudice del lavoro ex art. 409 e  ss.
del codice  di  procedura  civile  da  sempre,  ne'  il  giudice  del
tribunale  con  l'introduzione  dell'art.  185-bis  del   codice   di
procedura civile di nuova generazione. 
    L'art. 7 del codice di procedura civile  libro  primo,  titolo  I
Degli organi giudiziari 
    Sezione II - Della competenza per materia e valore 
    Il giudice di pace e' competente per le cause ... 
    Rivisitando la sentenza delle S.U. penali del 22 giugno  2017  n.
53683, nella parte in cui ritiene il  giudice  di  pace  un  soggetto
volontario ed onorario, alla luce della sentenza della Corte  europea
(seconda sezione)  Del  16  luglio  2020  si  potrebbe  valutare  una
possibile e necessaria convivenza nel procedimento dinanzi al giudice
di pace dei due  diversi  modelli  di  «irrilevanza  per  particolare
tenuita' del fatto» sbloccando finalmente le barriere artificiali che
annullano le  istanze  di  rilievo  costituzionale  quali  quelle  di
economia processuale,  di  extrema  ratio  e  di  proporzionalita'  e
ragionevolezza della pena. 
    La sentenza della Corte europea  del  16  luglio  2020,  infatti,
nella causa C-658/18, avente  ad  oggetto  la  domanda  di  pronuncia
pregiudiziale  proposta  alla  Corte,  ai  sensi  dell'art.  267  del
Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, dal giudice  di  pace
di Bologna (Italia), con ordinanza del 16 ottobre 2018, pervenuta  in
cancelleria il 22 ottobre 2018, nel procedimento  UX  contro  Governo
della Repubblica italiana, conclude: 
    ...Per questi motivi, la Corte (Seconda sezione) dichiara: 
        1) l'art. 267 Trattato sul funzionamento dell'Unione  europea
deve essere interpretato nel senso che il giudice  di  pace  (Italia)
rientra nella nozione di «giurisdizione di uno degli  stati  membri»,
ai sensi di tale articolo; 
        2) l'art. 7, paragrafo  1,  della  direttiva  2003/88/CE  del
Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 novembre 2003,  concernente
taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di  lavoro,  e  l'art.
31, paragrafo 2, della Carta  dei  diritti  fondamentali  dell'Unione
europea devono essere interpretati nel senso che un giudice  di  pace
che, nell'ambito delle sue  funzioni,  svolge  prestazioni  reali  ed
effettive, che non sono ne' puramente marginali ne' accessorie, e per
le quali percepisce indennita' aventi  carattere  remunerativo,  puo'
rientrare  nella  nozione  di  «lavoratore»,   ai   sensi   di   tali
disposizioni,  circostanza  che  spetta   al   giudice   del   rinvio
verificare. 
    La clausola 2, punto 1, dell'accordo quadro sul  lavoro  a  tempo
determinato concluso il 18 marzo 1999, che figura nell'allegato della
direttiva 1999/70/CE del Consiglio,  del  28  giugno  1999,  relativa
all'accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo  determinato,
deve essere interpretata nel senso che la nozione  di  «lavoratore  a
tempo determinato», contenuta in tale disposizione, puo' includere un
giudice  di  pace,  nominato  per  un  periodo  limitato,  il  quale,
nell'ambito  delle  sue  funzioni,  svolge   prestazioni   reali   ed
effettive, che non sono ne' puramente marginali ne' accessorie, e per
le  quali  percepisce  indennita'  aventi   carattere   remunerativo,
circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare. 
    La clausola 4, punto 1, dell'accordo quadro sul  lavoro  a  tempo
determinato concluso il 18 marzo 1999, che figura nell'allegato della
direttiva 1999/70, deve essere interpretata nel senso che osta ad una
normativa nazionale che non prevede il diritto per un giudice di pace
di beneficiare di ferie annuali retribuite  di  trenta  giorni,  come
quello previsto per i magistrati ordinari, nell'ipotesi in  cui  tale
giudice  di  pace  rientri  nella  nozione  di  «lavoratore  a  tempo
determinato», ai sensi della clausola 2, punto  1,  di  tale  accordo
quadro, e in cui si trovi in una situazione comparabile a  quella  di
un magistrato ordinario, a meno che tale  differenza  di  trattamento
sia giustificata dalle diverse qualifiche richieste  e  dalla  natura
delle  mansioni  di  cui  detti   magistrati   devono   assumere   la
responsabilita',  circostanza  che  spetta  al  giudice  del   rinvio
verificare. 
D) Violazione del principio dell'art. 111 della Costituzione 
    Si evidenzia il difetto di ragionevolezza della dosimetria  della
pena prevista dal vigente  art.  131-bis  c.p.  c.p.,  e  l'art.  34,
decreto  legislativo  n.  274/2000  decreto  legislativo  2000,   che
emergerebbe nel raffronto con il trattamento  sanzionatorio  previsto
per il fatto di lieve  entita'  l'assoluzione  il  primo,  e  con  la
condanna  il   secondo;   nonostante   la   linea   di   demarcazione
«naturalistica» tra le fattispecie «speciale» art. 615, primo comma e
«ordinaria» art. 615, secondo  comma,  sia  talvolta  non  netta,  il
«confine  sanzionatorio»  dell'una  e  dell'altra  incriminazione  e'
invece troppo e, quindi, irragionevolmente. Pertanto, il  trattamento
sanzionatorio sensibilmente diverso tra le fattispecie che si pongono
sul confine tra l'ipotesi lieve e l'ipotesi  ordinaria  determina  un
rapporto non ragionevole con il disvalore della condotta. 
E) Violazione dell'art. 3 della Costituzione 
    Tale norma appare, anzitutto, in contrasto  con  l'art.  3  della
Costituzione, sotto il  profilo  dell'irragionevolezza  della  scelta
legislativa. 
    Il giudice a quo ritiene che,  nella  fattispecie  peculiare,  la
pronuncia delle sezioni unite penali n. 53683 del 22 giugno 2017, con
la  quale  la  Suprema  Corte  ha   voluto   escludere   radicalmente
l'applicabilita' dell'art. 131-bis del  codice  penale  ai  reati  di
competenza del giudice di pace, costituisca  ostacolo  insormontabile
ad un'interpretazione costituzionalmente orientata del medesimo, tale
da giustificarne la rimessione alla Corte; ritenendo la questione non
manifestamente infondata e rilevante per la  decisione  del  presente
giudizio; solleva d'ufficio questione di legittimita'  costituzionale
dell'art. 131-bis del codice penale, nella misura in cui esso non  e'
applicabile ai reati rientranti nella competenza del giudice di pace,
per violazione dell'art. 3 della Costituzione. 
    Palese  ed  irragionevole  disparita'  di  trattamento  sotto  il
profilo sanzionatorio. 
    La irragionevolezza della nuova fattispecie penale  emerge  anche
sotto il profilo sanzionatorio. 
    Tale  regolamentazione,  infatti,   introduce   una   palese   ed
irragionevole  disparita'  di  trattamento  tra  soggetti  ugualmente
destinatari della predetta sanzione. 
    Citando  P.  Danelli:  «Il  giudice  di  pace,   riscontrata   la
sussistenza di tutte le condizioni di procedibilita', deve  applicare
la sanzione soltanto quando abbia accertato il dovere di  punire,  la
cui esistenza e' esclusa in mancanza del bisogno di  pena  e,  dunque
laddove possa essere applicato  l'art.  131-bis  del  codice  penale,
ritenere che, per salvaguardare presunte finalita'  conciliative,  si
debba punire nonostante la mancanza del bisogno  di  pena,  significa
attribuire agli illeciti di competenza del magistrato  di  pace,  uno
statuto eccezionale e di infrangere cosi l'unitarieta'  della  teoria
del reato. La coerenza del sistema  depone  quindi  in  favore  della
applicabilita' dell'art. 131-bis del codice penale anche ai reati  di
competenza del giudice di pace. 
    Irragionevole  disparita'  di  trattamento   sotto   il   profilo
sanzionatorio dell'art. 34,  decreto  legislativo  rispetto  all'art.
131-bis del codice penale. 
    Palese violazione dell'art. 3 della  Costituzione  in  quanto  la
disposizione  censurata  delineerebbe  un  trattamento  sanzionatorio
irragionevole tenuto conto che, nonostante la linea  di  demarcazione
«naturalistica»  fra  la  fattispecie  «ordinaria»,   di   cui   alla
disposizione denunciata, e quella di «lieve entita'», di cui all'art.
131-bis  del  codice  penale,  non  sia  sempre  netta,  il  «confine
sanzionatorio»  dell'una  e  dell'altra  incriminazione   e'   invece
eccessivamente e, quindi, irragionevolmente, distante. 
    Detta irragionevolezza contrasterebbe con gli  articoli  3  e  27
della   Costituzione,   poiche'   la   previsione   di    una    pena
ingiustificatamente aspra e sproporzionata rispetto alla gravita' del
fatto ne pregiudicherebbe la funzione rieducativa. 
    L'art.  3  della  Costituzione  appare  violato  sotto  un  altro
specifico  profilo,  concernente  la  irragionevole   disparita'   di
trattamento tra la nuova fattispecie e quella  di  cui  all'art.  34,
decreto legislativo n. 274/2000. 
F) Violazione dell'art. 25 e 111 della Costituzione 
    Con la sentenza n. 233 del 2018, la Corte, dopo aver ribadito che
le  valutazioni  discrezionali  di  dosimetria  della  pena  spettano
anzitutto al legislatore, ha precisato che non sussistono ostacoli al
suo intervento quando le scelte sanzionatone adottate dal legislatore
si siano rivelate manifestamente  arbitrarie  o  irragionevoli  e  il
sistema legislativo consenta  l'individuazione  di  soluzioni,  anche
alternative tra loro, che siano tali da  «ricondurre  a  coerenza  le
scelte gia' delineate a tutela  di  un  determinato  bene  giuridico,
procedendo   puntualmente,   ove   possibile,   all'eliminazione   di
ingiustificabili incongruenze». Similmente, la sentenza  n.  222  del
2018 di poco precedente aveva gia' ritenuto che al fine di consentire
l'intervento correttivo di questa Corte non e' necessario che esista,
nel sistema, un'unica soluzione costituzionalmente vincolata in grado
di sostituirsi a quella dichiarata illegittima, come quella  prevista
per una norma avente identica struttura  e  ratio,  idonea  a  essere
assunta  come  tertium  comparazioni,  essendo  sufficiente  che   il
«sistema nel  suo  complesso  offra  alla  Corte  «precisi  punti  di
riferimento»   e   soluzioni   «gia'   esistenti»,   ancorche'    non
«costituzionalmente  obbligate»,  «che   possano   sostituirsi   alla
previsione sanzionatoria dichiarata illegittima». 
    In  definitiva,  fermo  restando  che  non  spetta   alla   Corte
determinare autonomamente  la  misura  della  pena,  l'ammissibilita'
delle  questioni  di  legittimita'  costituzionale   che   riguardano
l'entita'  della  punizione  risulta  condizionata  non  tanto  dalla
presenza di un'unica soluzione costituzionalmente  obbligata,  quanto
dalla presenza nel sistema di previsioni sanzionatore che,  trasposte
all'interno della norma censurata, garantiscano coerenza alla  logica
perseguita dal legislatore. Nel rispetto  delle  scelte  di  politica
sanzionatoria delineate dal legislatore e ad esso riservate, occorre,
infatti, evitare che l'ordinamento presenti zone franche  immuni  dal
sindacato di legittimita' costituzionale proprio in ambiti in cui  e'
maggiormente impellente l'esigenza di assicurare una tutela effettiva
dei diritti  fondamentali,  incisi  dalle  scelte  sanzionatorie  del
legislatore. 
G) Violazione dell'art. 2 della Costituzione 
    Il contrasto del trattamento sanzionatorio  attualmente  previsto
dall'art. 131-bis c.p. c.p., e  l'art.  34,  decreto  legislativo  n.
274/2000   decreto   legislativo   2000   «con   il   principio    di
proporzionalita' e il  principio  di  colpevolezza  e  di  necessaria
finalizzazione rieducativa  della  pena,  riconducibile  al  disposto
degli articoli 3 e 27 della Costituzione». 
    La nuova fattispecie appare, infine, in contrasto  con  l'art.  2
della Costituzione, che riconosce e garantisce i diritti  inviolabili
dell'uomo. 
    Invero,  la   giurisprudenza   costituzionale,   ribadita   anche
recentemente,  ammette  in  particolari  situazioni  interventi   con
possibili effetti in malam partem in materia penale, restando  semmai
da verificare l'ampiezza  e  i  limiti  dell'ammissibilita'  di  tali
interventi nei singoli casi. Certamente il principio della riserva di
legge di cui all'art. 25 della Costituzione  rimette  al  legislatore
«la scelta dei fatti  da  sottoporre  a  pena  e  delle  sanzioni  da
applicare», ma non esclude che la Corte possa assumere  decisioni  il
cui effetto in malam partem non discende dall'introduzione  di  nuove
norme o dalla manipolazione di norme  esistenti,  ma  dalla  semplice
rimozione di  disposizioni  costituzionalmente  illegittime.  In  tal
caso, l'effetto in malam partem e' ammissibile in quanto esso e'  una
mera conseguenza indiretta della reductio  ad  legitimitatem  di  una
norma costituzionalmente illegittima, la  cui  caducazione  determina
l'automatica  espansione  di  altra  norma   dettata   dallo   stesso
legislatore. 
    In  definitiva,  fermo  restando  che  non  spetta   alla   Corte
determinare autonomamente  la  misura  della  pena,  l'ammissibilita'
delle  questioni  di  legittimita'  costituzionale   che   riguardano
l'entita'  della  punizione  risulta  condizionata  non  tanto  dalla
presenza di un'unica soluzione costituzionalmente  obbligata,  quanto
dalla presenza nel sistema di previsioni sanzionatorie che, trasposte
all'interno della norma censurata, garantiscano coerenza alla  logica
perseguita dal legislatore. Nel rispetto  delle  scelte  di  politica
sanzionatoria delineate dal legislatore e ad esso riservate, occorre,
infatti, evitare che l'ordinamento presenti zone franche  immuni  dal
sindacato di legittimita' costituzionale proprio in ambiti in cui  e'
maggiormente impellente l'esigenza di assicurare una tutela effettiva
dei diritti fondamentali. 
    L'impossibilita' di applicare l'art. 34, decreto  legislativo  n.
274/2000  decreto  legislativo,  nella  fattispecie  peculiare,   per
l'opposizione   della   parte   civile,   porterebbe   a   condannare
l'imputato... al posto di una  applicazione  dell'art.  131-bis  c.p.
c.p.  per  il  principio  processuale  della  ragione  piu'  liquida,
desumibile dagli articoli  24,  e  111  della  Costituzione  italiana
(Cassazione n. 30745 del 2019) con conclusioni paradossali, per  cui:
la possibilita' di essere assolti per particolare tenuita' del  fatto
e' inversamente proporzionale alla gravita' del reato commesso. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Il giudice di pace  di  Lecce  avv.  Cosimo  Rochira,  visti  gli
articoli 134 e ss. della Costituzione e 23 della legge n. 87  dell'11
marzo 1953. 
    Ritenuta la rilevanza ai fini del giudizio  e  la  non  manifesta
infondatezza solleva  la  questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 131-bis del codice penale nella parte in cui non  lo  rende
applicabile anche nel procedimento dinanzi al giudice  di  pace,  per
contrasto con  gli  articoli  2,  3,  24,  25,  27,  102,  111  della
Costituzione della Repubblica italiana. 
    Sospende il presente processo e ordina la trasmissione degli atti
alla Corte costituzionale. 
    Manda alla cancelleria per la notifica della  presente  ordinanza
al Presidente del Consiglio dei ministri, al  Presidente  del  Senato
della Repubblica ed al Presidente della Camera dei deputati. 
        Cosi' deciso in Lecce il 26 novembre 2020 
 
                    Il giudice di pace: Rochira