N. 30 ORDINANZA (Atto di promovimento) 27 maggio 2020
Ordinanza del 27 maggio 2020 della Corte d'appello di Catania sul ricorso proposto da D. F. M. contro Citta' Metropolitana di Catania. Comuni, Province e Citta' metropolitane - Norme della Regione Siciliana - Citta' metropolitane - Previsione che il sindaco metropolitano e' di diritto il sindaco del Comune capoluogo - Previsione che qualora il sindaco metropolitano cessi dalla carica di sindaco del Comune capoluogo della Citta' metropolitana, il vicesindaco rimane in carica fino all'insediamento del nuovo sindaco metropolitano. - Legge della Regione Siciliana 4 agosto 2015, n. 15 (Disposizioni in materia di liberi Consorzi comunali e Citta' metropolitane), artt. 13, comma 1, e 14, come sostituiti dall'art. 4 della legge regionale 29 novembre 2018, n. 23 (Norme in materia di Enti di area vasta). Comuni, Province e Citta' metropolitane - Legge n. 56 del 2014 - Citta' metropolitane - Previsione che il sindaco metropolitano e' di diritto il sindaco del Comune capoluogo. - Legge 7 aprile 2014, n. 56 (Disposizioni sulle citta' metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni), art. 1, comma 19.(GU n.11 del 17-3-2021 )
CORTE DI APPELLO DI CATANIA Prima sezione civile Nelle persone dei seguenti magistrati: dott. Giuseppe Ferreri, Presidente; dott. Marcella Murana, giudice; dott. Antonio Caruso, giudice rel./est. all'esito dell'udienza del 13 maggio 2020 celebrata con le modalita' c.d. «cartolari» previste dall'art. 83, comma 7, lettera h), decreto-legge n. 18/2020, nella causa iscritta al n. r.g. 183/2020 promossa da: D F M (C.F. ), con il patrocinio dell'avv. Agatino Cariola, elettivamente domiciliato nel suo studio in Via G. Carnazza n. 51 - Catania. Appellante contro Citta' metropolitana di Catania (C.F. 00397470873), con il patrocinio dell'avv. Bellomo Immacolata e dell'avv. , elettivamente domiciliato in via Umberto n. 265 - Catania, presso il difensore avv. Bellomo Immacolata, appellata; Ha emesso la seguente ordinanza. 1. Con ricorso ex art. 702-bis del codice di procedura civile in data 20 maggio 2019 D F M , quale cittadino italiano residente ed iscritto nelle liste elettorali del Comune di , citava in giudizio la Citta' metropolitana di Catania per sentire accertare il diritto di esso ricorrente: «a che l'amministrazione dell'ente locale di secondo livello (in Sicilia cd. citta' metropolitana) sia conformata anche a mezzo della sua scelta elettorale e sia responsabile nei confronti di tutti gli elettori. Infatti, in base all'attuale legislazione (art. 1, comma 19, legge 7 aprile 2014, n. 56, cd. Delrio; e in sua pedissequa imitazione art. 13, legge regionale Sicilia 4 agosto 2015, n. 15, come modificato dall'art. 4, legge regionale Sicilia 29 novembre 2018, n. 23), nelle cd. citta' metropolitane "il sindaco metropolitano e' di diritto il sindaco del comune capoluogo". Cio' produce un'inammissibile discriminazione tra i cittadini residenti nel comune capoluogo, i quali a mezzo della scelta elettorale effettuata in occasione delle elezioni comunali scelgono anche il cd. sindaco metropolitano; ed i cittadini residenti negli altri comuni, pur compresi nell'ambito cd. metropolitano, privi di ogni potere di intervento a tal riguardo e, quindi, lesi nell'esercizio dei loro diritti costituzionali - si direbbe mutuando un termine diffuso nel linguaggio politico: delle loro prerogative - di partecipazione alla vita politica (articoli 1, 2, 3 e 48) e di essere governati da soggetti rappresentativi e pertanto responsabili nei loro confronti (articoli 1, 5, 97, 114 e seguenti della Costituzione)». Dopo avere delineato la disciplina delle citta' metropolitane secondo quanto previsto dalla legge n. 56/2014 (c.d. Delrio) dando atto che con la sentenza n. 50/2015 la Corte costituzionale aveva rigettato le impugnative proposte da diverse regioni, in via principale, contro la stessa, e dopo avere riportato la disciplina degli enti di area vasta dettata nella Regione Sicilia dalla legge regionale n. 15/2015, nel testo attualmente vigente (e frutto della dichiarazione di incostituzionalita' pronunciata dalla Corte costituzionale con sentenza n. 168/2018 degli articoli da 1 a 6 e 7, lettere b), c) ed e), della legge della Regione siciliana 11 agosto 2017, n. 17 recante: Disposizioni in materia di elezione diretta del Presidente del libero Consorzio comunale e del Consiglio del libero Consorzio comunale nonche' del sindaco metropolitano e del Consiglio metropolitano), meramente ripetitiva di quella nazionale introdotta dalla legge n. 56/2014, il ricorrente denunciava la incostituzionalita' delle norme delle anzidette leggi che, a suo avviso, conculcavano il suo diritto, discriminandolo rispetto ai cittadini della citta' capoluogo i quali, tra tutti i soggetti amministrati dalla citta' metropolitana, erano gli unici che erano chiamati, con il loro voto, a scegliere il sindaco metropolitano. Chiedeva quindi al tribunale di sollevare questione di costituzionalita' con riferimento alle norme in questione nei termini che di seguito si riportano: «Illegittimita' costituzionale dell'art. 13 della legge regionale Sicilia 4 agosto 2015, come modificato dall'art. 4 della legge regionale Sicilia 29 novembre 2018, n. 23 ("Il sindaco metropolitano e' di diritto il sindaco del comune capoluogo. Trovano applicazione le disposizioni di cui al comma 22 dell'art. 1 della legge 7 aprile 2014, n. 56"); per contrasto con gli articoli 1, 2, 3 e 48; nonche' per il contrasto con gli articoli 1, 5, 97, 114 e seguenti della Costituzione. Illegittimita' costituzionale dell'art. 14 della legge regionale Sicilia 4 agosto 2015, n. 15, come modificato dall'art. 4 della legge regionale Sicilia 29 novembre 2018, n. 23, ("Qualora il sindaco metropolitano cessi dalla carica per cessazione dalla carica di sindaco del comune capoluogo della citta' metropolitana, il vicesindaco rimane in carica fino all'insediamento del nuovo sindaco metropolitano"), per contrasto con i medesimi parametri indicati. Illegittimita' costituzionale dell'art. 19, comma 1, della legge regionale Sicilia 4 agosto 2015, n. 15, come modificato dall'art. 7 della legge regionale Sicilia 29 novembre 2018, n. 23, ("Il Presidente del libero Consorzio comunale, il Consiglio del libero Consorzio comunale ed il Consiglio metropolitano durano in carica cinque anni. In caso di rinnovo del consiglio del comune capoluogo della citta' metropolitana, si procede a nuove elezioni del Consiglio metropolitano entro sessanta giorni dalla proclamazione del sindaco del comune capoluogo"), per contrasto con i medesimi parametri indicati. Illegittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 2, della legge regionale Sicilia 4 agosto 2015, n. 15 ("La Conferenza metropolitana, su proposta del Consiglio metropolitano, adotta o respinge lo statuto e le sue modifiche con i voti che rappresentino almeno la meta' dei comuni compresi nella citta' metropolitana e la meta' della popolazione complessivamente residente"), per contrasto con i parametri indicati in precedenza e per violazione dell'art. 67 della Costituzione. Illegittimita' costituzionale delle norme presupposto a fondamento nella legge 7 aprile 2014, n. 56, e precisamente l'art. 1, commi 19 ("Il sindaco metropolitano e' di diritto il sindaco del comune capoluogo"); comma 21 ("il consiglio metropolitano dura in carica cinque anni. In caso di rinnovo del consiglio del comune capoluogo, si procede a nuove elezioni del consiglio metropolitano entro sessanta giorni dalla proclamazione del sindaco del comune capoluogo"; commi 9 e 22 (sulle procedure di adozione e modifica dello statuto della citta' metropolitana), per i parametri indicati in precedenza». Con ordinanza in data 20 dicembre 2019-7 gennaio 2020 il tribunale di Catania, dopo avere richiamato Corte costituzionale n. 1/2014 (con cui, in accoglimento di questione di costituzionalita' sollevata da Cassazione, n. 12060/2013, era stata dichiarata l'incostituzionalita' di alcune norme della legge elettorale della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, c.d. Porcellum, legge n. 270/2005), Corte costituzionale n. 110/2015 (che invece aveva dichiarato inammissibile la questione di costituzionalita' sollevata con riferimento alla legge elettorale dei membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia, legge n. 18/1979) e Corte costituzionale n. 35/2017 (che aveva dichiarato l'incostituzionalita' di talune norme sempre relative alla legge elettorale dei membri del Parlamento, questa volta c.d. Italicum, legge n. 52/2015), dichiarava il ricorso inammissibile, regolando secondo la soccombenza le spese di lite, perche': «ricordato che la questione di costituzionalita' puo' essere posta dal cittadino soltanto in via incidentale rispetto ad un giudizio principale che sia successibile di essere definito con una pronuncia autonoma rispetto al giudizio della Corte costituzionale (art. 23 della legge n. 87/1953), l'azione costitutiva proposta avrebbe come unico fine quello di ottenere dal giudice a quo "un visto d'entrata" per la Corte costituzionale. Tanto si desume dal testo del ricorso, dove, al di la' della mera affermazione dell'oggetto del diritto vantato dal ricorrente, non e' dato evincere un petitum autonomo e distinto da quello oggetto della questione di costituzionalita', come del resto confermato dalle stesse conclusioni dell'atto introduttivo, nelle quali il ricorrente "chiede che codesto tribunale, previa promozione ai sensi dell'art. 23 della legge n. 87/1953 delle questioni di legittimita' costituzionale secondo le prospettazioni in precedenza svolte - accolga il ricorso". Ed invero, ipotizzando che il tribunale, in accoglimento del ricorso, sollevi la questione di legittimita' costituzionale e che la Corte costituzionale accolga la questione di legittimita' prospettata dal ricorrente, l'oggetto del giudizio a quo sarebbe interamente esaurito dalla declaratoria di incostituzionalita', non residuando alcun interesse in capo al ricorrente residuo e diverso dalla demolizione delle norme sospettate di illegittimita'. In tal modo, ci si troverebbe di fronte ad una mera fictio iuris in base alla quale, l'affermazione di un diritto "inviolabile", "permanente" e costituzionalmente rilevante, come quello di voto e di rappresentativita' politica, costituirebbe il lasciapassare per la Corte costituzionale, in palese contrasto con l'art. 23 della legge n. 87/1953 e con il carattere incidentale del sindacato di costituzionalita'. Alla stregua delle superiori considerazioni, non e' individuabile nell'odierna domanda un petitum separato e distinto da quello oggetto della questione di legittimita' costituzionale. Occorre, peraltro, evidenziare come, per un verso, il rischio che vi siano delle "zone franche" dell'ordinamento sottratte al sindacato di costituzionalita' appare scongiurato dalla circostanza che, nel caso in esame, si discute dell'elezione del sindaco e del consiglio metropolitano, ovvero di elezioni soggette al controllo giurisdizionale; per altro verso, non esiste allo stato alcun provvedimento emesso dalla Citta' metropolitana di Catania, atteso che con la legge regionale n. 8 del 7 giugno 2019 sono state annullate le elezioni del consiglio metropolitano indette con decreto del sindaco metropolitano con decreto n. 60 del giorno 8 aprile 2020 per il 30 giugno 2019 e sono state rinviate ad una domenica compresa tra il 1° aprile 2020 ed il 30 aprile 2020. Pertanto, la domanda di accertamento proposta da D F M incardinata al di fuori di una determinata vicenda elettorale, e' inammissibile per difetto del requisito della rilevanza, non essendo possibile ravvisare la pregiudizialita' costituzionale, ovvero l'esistenza di un petitum separato e distinto dalla questione di legittimita' costituzionale su cui il giudice a quo sia chiamato a pronunciarsi» (vedi pagine 10-11 dell'ordinanza impugnata). Avverso la detta ordinanza D F M interponeva appello articolando plurimi motivi di censura avuto riguardo alla ritenuta inammissibilita' del ricorso e riproponendo, nel merito, la domanda azionata con il suo ricorso. 2. Ritiene la Corte che sussistano i presupposti che impongono di sollevare la questione di costituzionalita' degli art. 13, comma 1, e 14 della legge regionale Sicilia 4 agosto 2015 e dell'art. 1, comma 19, legge 7 aprile 2014, n. 56, per contrasto con gli articoli 1, 2, 3, 48, 5, 97, 114 e seguenti della Costituzione. In via preliminare va ricordato che nel sistema delle autonomie locali siccome delineato dagli articoli 5 e 114 della Costituzione ed attuato, per quanto in questa sede interessa, dalla legge n. 56/2014 (c.d. Delrio) e nella Regione Sicilia dalla legge n. 15/2015, l'ente citta' metropolitana, ove e' stato istituito, e' subentrato all'omonima antevigente provincia ad essa succedendo in tutti i rapporti attivi e passivi ed esercitandone le funzioni. Prima della riforma degli enti di area vasta introdotta dalla legge n. 56/2014, gli iscritti nelle liste elettorali dei comuni erano chiamati ad eleggere, in via diretta, gli organi rappresentativi delle provincie a cui appartenevano e quindi il Presidente della Provincia ed i componenti del Consiglio provinciale. Con la legge n. 56/2014 laddove l'ente intermedio e' rimasto individuato nella provincia, e' stato previsto, sia per il Presidente che per il Consiglio provinciale, una elezione di secondo grado in cui l'elettorato attivo e passivo e' attribuito ai sindaci ed ai consiglieri comunali dei comuni della provincia. I cittadini, quindi, in relazione alle provincie riformate, esercitano il diritto di voto in via indiretta nel momento in cui sono chiamati ad eleggere gli organi dei comuni a cui appartengono. Con riferimento alle citta' metropolitane vige lo stesso sistema di rappresentanza limitatamente al Consiglio metropolitano (atteso che anche in questo caso il consiglio e' eletto dai sindaci e dai consiglieri della citta' metropolitana e tra di essi), invece il sindaco metropolitano e' per legge individuato nel sindaco del comune capoluogo ed e' quindi espressione del voto, in questo caso, dei tesori iscritti nelle liste elettorali del comune capoluogo. Cio' posto D F M , cittadino iscritto nelle liste elettorali di comune non capoluogo della Citta' metropolitana di Catania, ha agito in giudizio perche' sia accertato il suo diritto «a che l'amministrazione dell'ente locale di secondo livello sia conformata anche a mezzo della sua scelta elettorale e che sia responsabile nei confronti di tutti gli elettori». La normativa attualmente vigente esclude, come sopra evidenziato, che D F M possa concorrere, con il suo voto, anche indirettamente (ossia attraverso elezioni di secondo grado in cui il ricorrente abbia il solo diritto di eleggere gli elettori), alla elezione del sindaco metropolitano di Catania, e cio' a differenza dei residenti nel comune capoluogo dell'area metropolitana in questione i quali, eleggendo il «loro» sindaco, eleggono al contempo anche il sindaco metropolitano di «tutti» i cittadini dell'area. Proprio per questa ragione il ricorrente ha chiesto che l'autorita' giudiziaria ordinaria da esso adita sollevi questione di legittimita' costituzionale delle norme che, a suo avviso, lo discriminano. Il tribunale, come sopra gia' riportato, ha ritenuto che la domanda di giustizia del ricorrente sia inammissibile perche' attraverso il ricorso il predetto avrebbe sostanzialmente impugnato, in via diretta, le norme di cui ha denunciato la illegittimita' costituzionale, in difformita' del modello di procedimento previsto dalla legge per l'accesso al giudizio dinanzi alla Corte costituzionale in cui, come e' noto, la questione di costituzionalita' puo' essere sollevata dal privato in via meramente incidentale, e cio' perche' nel caso a mani la detta questione esaurirebbe del tutto quella posta dinanzi al giudice a quo, senza che quest'ultimo sia poi chiamato a pronunciarsi su un petitum ulteriore rispetto ad essa. Ritiene la Corte di non potere condividere l'avviso del primo giudice. Va preliminarmente evidenziato che le leggi sopra indicate che non prevedono che il ricorrente, al pari di tutti i cittadini elettori non iscritti nelle liste elettorali del comune capoluogo della citta' metropolitana, possa concorrere, anche indirettamente, all'elezione del sindaco metropolitano non sono leggi elettorali, e tuttavia appare chiaro, specie alla luce del breve excursus normativa sopra riportato, che all'esito della riforma istituzionale degli enti di area vasta (operata a livello di Stato centrale e riprodotta dalla normativa regionale) il D , mentre nel sistema antevigente poteva concorrere con il suo voto all'elezione del legale rappresentante dell'ente intermedio avente anche competenza innumerata, adesso non lo puo' piu'. Pur non venendo in rilievo leggi propriamente elettorali, posto che il ricorso verte sull'accertamento del diritto di elettorato attivo del ricorrente, a suo dire discriminatoriamente limitato, correttamente il tribunale e le parti si sono ampiamente confrontati con arresti giurisprudenziali aventi ad oggetto asserite (e talora risultate tali all'esito del giudizio di costituzionalita'), limitazioni al diritto di voto nell'ambito delle elezioni politiche ed europee. In estrema sintesi secondo il tribunale: a) l'integrale lettura dell'ordinanza n. 12060/2013 con cui la S.C. ha sollevato la questione di costituzionalita' del c.d. Porcellum tiene fermo, anche in materia di diritto di voto, il consolidato principio della necessita' che la questione di costituzionalita' si ponga come incidentale e non esaustiva del petitum del giudizio a quo; b) il caso a mani rientrerebbe nell'ipotesi appena indicata; c) non sussiste il rischio di creazione di zone franche sottratte al sindacato giurisdizionale atteso che non si verte in tema di elezioni politiche per cui vige l'autodichia delle Camere, atteso che piuttosto si discute dell'elezione del sindaco metropolitano in un ambito pienamente soggetto al controllo giurisdizionale, e cio' fermo restando che il ricorso e' stato incardinato al di fuori «di una determinata vicenda elettorale». Secondo l'appellante invece: 1) Cassazione n. 12060/2013 «ha inaugurato un nuovo orientamento della giustizia costituzionale ... che ha appunto posto un meccanismo di incidentalita' attenuata nei giudizi in materia elettorale nei quali viene in questione il diritto fondamentale del cittadino elettore ad un sistema elettorale rispettoso del principio di democrazia e dei suoi corollari tra i quali la partecipazione al voto dei cittadini e la responsabilita' politica di chi governa»; 2) il riferimento alla possibilita' di sottoporre comunque la questione sollevata con il ricorso all'AGO nell'ambito delle impugnative ex art. 21 del decreto legislativo n. 150/2011 (al pari di quanto avviene in tema di elezioni del Parlamento europeo per cui sussiste parimenti l'anzidetta possibilita' ex art. 23 del decreto legislativo n. 150/2011, in difetto di autodichia, sui cui si fonda Corte costituzionale n. 110/2015), non vertendosi in tema di elezioni politiche, non farebbe buon governo del principio dettato dalla Corte nella sentenza da ultimo menzionata atteso che nel caso a mani «non vi sarebbe nessun atto da impugnare in via autonoma» perche' «non vi e' un esito elettorale da gravare e contro cui ricorrere, se non appunto la designazione automatica che deriva dalla scelta legislativa». 2.1. Ritiene la Corte l'esame delle sentenze in relazione alle quali sia le parti che il primo giudice si sono confrontati, deponga nel senso dell'esistenza del carattere incidentale della questione di costituzionalita' sollevata dall'appellante. Per dare conto delle ragioni di tale approdo decisorio bisogna prendere le mosse dall'esame di Cassazione, n. 12060/2013. La S.C. e' stata chiamata a pronunciarsi sul ricorso presentato da un cittadino elettore il quale, con riferimento all'elezione della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica, denunciava che la legge n. 270/2005, impendendo l'espressione di voto di preferenza e prevedendo un «premio di maggioranza» alla lista che abbia ottenuto anche un solo voto in piu' delle altre, senza nemmeno la previsione di una soglia minima in voti o seggi, fosse in contrasto, tra gli altri, con l'art. 1, commi 2 e 3, e 48, commi 2 e 4, della Costituzione, e chiedeva all'AGO dichiararsi che, proprio in ragione delle anzidette norme di legge, il suo diritto di voto non poteva essere esercitato in modo libero e diretto, secondo le modalita' previste e garantite dalla Costituzione e dal protocollo 1 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali e conseguentemente chiedeva di ripristinarlo secondo modalita' conformi alla legalita' costituzionale. A fronte dell'anzidetta domanda di giustizia la S.C. in primo luogo affrontava la questione relativa all'esistenza dell'interesse ad agire del ricorrente ravvisandolo appieno sulla base del fatto che: a) l'azione proposta piu' che di mero accertamento si avvicinava a quelle di accertamento-costitutive, se non proprio costitutive («Del resto, come si e' detto, e' discutibile che si tratti realmente di un'azione di mero accertamento, posto che l'interesse dei ricorrenti non e' tanto quello di sapere di non avere potuto esercitare (nelle elezioni gia' svolte) e di non potere esercitare (nelle prossime elezioni) il diritto fondamentale di voto in modo conforme a Costituzione, ma e' quello di rimuovere un pregiudizio che invero non e' dato da una mera situazione di incertezza ma da una (gia' avvenuta) modificazione della realta' giuridica che postula di essere rimossa mediante un'attivita' ulteriore, giuridica e materiale, che consenta ai cittadini elettori di esercitare realmente il diritto di voto in modo pieno e in sintonia con i valori costituzionali. In tal modo ci si allontana dall'archetipo delle azioni di mero accertamento per avvicinarsi a quello delle azioni costitutive o di accertamento-costitutive»), in relazione alle quali la stessa eventualita' dell'inesistenza dell'interesse ad agire si appalesava certamente remota atteso che: «sarebbe ben difficile sostenere che l'accertamento richiesto abbia ad oggetto una questione astratta o meramente ipotetica o che si risolva nella mera richiesta di un parere legale al giudice»; b) «L'espressione del voto - attraverso la quale si manifestano la sovranita' popolare (art. 1, comma 2, della Costituzione) e la stessa dignita' dell'uomo - costituisce oggetto di un diritto inviolabile (articoli 2, 48, 56 e 58 della Costituzione, art. 3, prot. 1, Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali) e "permanente" dei cittadini, i quali possono essere chiamati ad esercitarlo in qualunque momento e devono poterlo esercitare in modo conforme a Costituzione. Lo stato di incertezza al riguardo e' fonte di un pregiudizio concreto e cio' e' sufficiente per giustificare la meritevolezza dell'interesse ad agire in capo ai ricorrenti». Tanto premesso in punto di interesse ad agire la S.C., al § 3.2 della ordinanza, affrontava funditus la questione che viene in rilievo, in guisa dirimente, nella controversia a mani. E' opportuno riportare i passaggi dell'argomentare della Suprema Corte. La S.C., dopo avere posto con esattezza i temi della questione («3.2. - Si potrebbe ancora obiettare che non si potrebbe distinguere tra l'oggetto del giudizio di merito principale e quello del giudizio avente ad oggetto l'esame della questione di costituzionalita'. In altri termini, non vi sarebbe la possibilita' di configurare la questione di costituzionalita' come incidentale rispetto ad un giudizio principale che non sarebbe suscettibile di essere definito con una pronuncia di merito. Ci si riferisce evidentemente alla tesi secondo cui l'incidentalita' che caratterizza il giudizio costituzionale esige una maggiore ampiezza del giudizio a quo e, dunque, la necessita' di una statuizione ulteriore da parte del giudice di merito in relazione alla domanda proposta, pur dopo che la Corte costituzionale abbia deciso la questione di costituzionalita'. Questa statuizione ulteriore costituisce il segno ineludibile che la questione e' stata sollevata, appunto, davvero in via incidentale e non, surrettiziamente, in via principale, perche' altrimenti sarebbe violato il divieto di accesso diretto alla Corte costituzionale che distingue il nostro ordinamento da altri ordinamenti dove tale accesso e' consentito (la legge 11 marzo 1953, n. 87, art. 23, stabilisce che e' possibile sollevare una questione di legittimita' costituzionale "nel corso di un giudizio dinanzi ad una autorita' giurisdizionale" e "qualora il giudizio non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione"). La tesi sopra ricordata (elaborata rispetto al problema della c.d. fictio litis) e' condivisibile nella misura in cui il giudizio a quo deve effettivamente essere mirato a far ottenere un bene della vita proprio o comunque "concettualmente" distinguibile dalla caducazione della norma di legge all'esito del giudizio di costituzionalita', e cosi' non e' nei casi in cui il petitum del giudizio di merito consista esclusivamente nell'impugnazione diretta di una norma di legge ritenuta incostituzionale)», la risolve positivamente, ritenendo sussistente il carattere incidentale della questione di costituzionalita' sottoposta al suo vaglio preliminare, sulla base della seguente motivazione: «3.2.1. - A queste obiezioni i giudici di merito hanno replicato evidenziando che la proposta questione di legittimita' costituzionale "non esaurisce la controversia di merito" ed ha rispetto ad essa una "portata piu' ampia in quanto introdotta mediante la formulazione di una domanda di accertamento". Questa e' un'affermazione sostanzialmente condivisibile. Infatti non potrebbe ritenersi che vi sia coincidenza (sul piano fattuale e giuridico) tra il dispositivo della sentenza costituzionale e quello della sentenza che definisce il giudizio di merito. Quest'ultima accerta l'avvenuta lesione del diritto azionato e, allo stesso tempo, lo ripristina nella pienezza della sua espansione, seppure per il tramite della sentenza costituzionale. Il punto merita una riflessione ulteriore. 3.2.2. - Si deve considerare che l'autonomia tra l'oggetto del giudizio di merito e di quello costituzionale risulta piu' evidente nelle azioni di condanna, ma non scompare nelle azioni di accertamento e, a maggior ragione, in quelle di accertamento-costitutive. Come osservato da una autorevole dottrina, ci sono leggi che creano in maniera immediata restrizioni dei poteri o doveri in capo a determinati soggetti, i quali nel momento stesso in cui la legge entra in vigore si trovano gia' pregiudicati da esse, senza bisogno dell'avverarsi di un fatto che trasformi l'ipotesi legislativa in un concreto comando. In tali casi l'azione di accertamento puo' rappresentare l'unica strada percorribile per la tutela giurisdizionale di diritti fondamentali di cui, altrimenti, non sarebbe possibile una tutela ugualmente efficace e diretta. L'esistenza nel nostro ordinamento di un filtro per l'accesso alla Corte costituzionale, che e' subordinato alla rilevanza della questione di costituzionalita' rispetto alla definizione di un giudizio comune, di certo non puo' tradursi in un ostacolo che precluda quell'accesso qualora si debba rimuovere un'effettiva e concreta lesione di valori costituzionali primari. Una interpretazione in senso opposto indurrebbe a dubitare della compatibilita' della legge n. 87 del 1953, medesimo art. 23, con l'art. 134 della Costituzione (vedi Corte costituzionale n. 130/1971)»). Riassumendo quindi: a fronte della domanda di un cittadino che agiva in giudizio per sentire accertare dall'AGO che l'esercizio del suo diritto di voto alle elezioni politiche era stato incostituzionalmente compresso dalla legge elettorale all'epoca vigente, la S.C. riteneva che la questione di costituzionalita' dedotta presentasse carattere incidentale, e non principale ed esclusivo, del giudizio incardinato dinanzi al giudice a quo, gia' soltanto perche' la sentenza di merito, in quanto di accertamento del diritto vantato «accerta l'avvenuta lesione del diritto azionato e, allo stesso tempo, lo ripristina nella pienezza della sua espansione, seppure per il tramite della sentenza costituzionale». Non e' inutile peraltro sin da subito evidenziare come la S.C. (nell'affrontare la questione della sussistenza e della attualita' dell'interesse ad agire), parallelamente, e senza accennare minimamente alla questione della autodichia vigente in tema di elezioni delle camere, abbia chiarito che: «Una interpretazione della normativa elettorale che, valorizzando la tipicita' delle azioni previste in materia (di tipo impugnatorio o concernenti l'ineleggibilita', la decadenza o l'incompatibilita' dei candidati), escludesse in radice ovvero condizionasse la proponibilita' di azioni come quella qui proposta al maturare di tempi indefiniti o al verificarsi di condizioni non previste dalla legge (come, ad esempio, la convocazione dei comizi elettorali), entrerebbe in conflitto con i parametri costituzionali (art. 24 e art. 113, comma 2) della effettivita' e tempestivita' della tutela giurisdizionale». Ad avviso della S.C., quindi, se il diritto di voto - di carattere «permanente» - viene compresso da una legge, la tutela giurisdizionale dinanzi al giudice dei diritti puo' essere invocata in qualsiasi momento ed a prescindere dagli strumenti impugnatori tipici e, quindi, dall'esistenza di un determinato procedimento elettorale. Sulla questione di costituzionalita' sollevata da Cassazione n. 12060/2013 si e' pronunciata, accogliendola, Corte costituzionale n. 1/2014, la quale la ha sottoposta a serrato vaglio anche sotto il profilo della sussistenza del carattere incidentale, nel giudizio a quo, con motivazioni che, anche in questo caso, e' opportuno riportare: «...la Corte di cassazione, con motivazione ampia, articolata ed approfondita, ha plausibilmente argomentato in ordine sia alla pregiudizialita' delle questioni di legittimita' costituzionale rispetto alla definizione del giudizio principale, sia alla rilevanza delle medesime. Omissis Il rimettente, con argomentazioni plausibili, ha altresi' sottolineato, in ordine alla natura ed oggetto dell'azione, che gli attori hanno agito allo scopo "di rimuovere un pregiudizio", frutto di "una (gia' avvenuta) modificazione della realta' giuridica che postula di essere rimossa mediante un'attivita' ulteriore, giuridica e materiale, che consenta ai cittadini elettori di esercitare realmente il diritto di voto in modo pieno e in sintonia con i valori costituzionali". A suo avviso, gli attori hanno, quindi, chiesto al giudice ordinario - in qualita' di giudice dei diritti - di accertare la portata del proprio diritto di voto, resa incerta da una normativa elettorale in ipotesi incostituzionale, previa l'eventuale proposizione della relativa questione. Pertanto, l'eventuale accoglimento delle questioni di legittimita' costituzionale non esaurirebbe la tutela richiesta nel giudizio principale, che si realizzerebbe solo a seguito ed in virtu' della pronuncia con la quale il giudice ordinario accerta il contenuto del diritto dell'attore, all'esito della sentenza di questa Corte. Al riguardo, in ordine ai presupposti della rilevanza della questione di legittimita' costituzionale, va ricordato che, secondo un principio enunciato da questa Corte fin dalle sue prime pronunce, "la circostanza che la dedotta incostituzionalita' di una o piu' norme legislative costituisca l'unico motivo di ricorso innanzi al giudice a quo non impedisce di considerare sussistente il requisito della rilevanza, ogni qualvolta sia individuabile nel giudizio principale un petitum separato e distinto dalla questione (o dalle questioni) di legittimita' costituzionale, sul quale il giudice rimettente sia chiamato a pronunciarsi" (sentenza n. 4 del 2000; ma analoga affermazione era gia' contenuta nella sentenza n. 59 del 1957), anche allo scopo di scongiurare "la esclusione di ogni garanzia e di ogni controllo" su taluni atti legislativi (nella specie le leggi-provvedimento: sentenza n. 59 del 1957). Nel caso in esame, tale condizione e' soddisfatta, perche' il petitum oggetto del giudizio principale e' costituito dalla pronuncia di accertamento del diritto azionato, in ipotesi condizionata dalla decisione delle sollevate questioni di legittimita' costituzionale, non risultando l'accertamento richiesto al giudice comune totalmente assorbito dalla sentenza di questa Corte, in quanto residuerebbe la verifica delle altre condizioni cui la legge fa dipendere il riconoscimento del diritto di voto. Per di piu', nella fattispecie qui in esame, la questione ha ad oggetto un diritto fondamentale tutelato dalla Costituzione, il diritto di voto, che ha come connotato essenziale il collegamento ad un interesse del corpo sociale nel suo insieme, ed e' proposta allo scopo di porre fine ad una situazione di incertezza sulla effettiva portata del predetto diritto determinata proprio da "una (gia' avvenuta) modificazione della realta' giuridica", in ipotesi frutto delle norme censurate. L'ammissibilita' delle questioni di legittimita' costituzionale sollevate nel corso di tale giudizio si desume precisamente dalla peculiarita' e dal rilievo costituzionale, da un lato, del diritto oggetto di accertamento; dall'altro, della legge che, per il sospetto di illegittimita' costituzionale, ne rende incerta la portata». La Corte costituzionale inoltre condivideva la posizione assunta dal giudice remittente anche in ordine alla piena possibilita' di chiedere l'accertamento del diritto, e conseguentemente di accedere al giudizio di costituzionalita', «indipendentemente da atti applicativi» della normativa di cui era stata denunciata la incostituzionalita', e quindi anche in difetto di procedimento elettorale in corso. Infine la Corte costituzionale, sempre a sostegno dell'ammissibilita' della questione, aggiungeva alle argomentazioni gia' esposte, introducendole con la congiunzione «anche», specifiche considerazioni relative alla necessita' di evitare che le leggi elettorali del Parlamento venissero sottratte al giudizio di costituzionalita' («Nel quadro di tali principi, le sollevate questioni di legittimita' costituzionale sono ammissibili, anche in linea con l'esigenza che non siano sottratte al sindacato di costituzionalita' le leggi, quali quelle concernenti le elezioni della Camera e del Senato, che definiscono le regole della composizione di organi costituzionali essenziali per il funzionamento di un sistema democratico-rappresentativo e che quindi non possono essere immuni da quel sindacato. Diversamente, si finirebbe con il creare una zona franca nel sistema di giustizia costituzionale proprio in un ambito strettamente connesso con l'assetto democratico, in quanto incide sul diritto fondamentale di voto; per cio' stesso, si determinerebbe un vulnus intollerabile per l'ordinamento costituzionale complessivamente considerato»). Sembra quindi al decidente che il ragionamento di Corte costituzionale n. 1/2014 vada letto nel senso che, posto che la questione sollevata da Cassazione n. 12060/2013 e' ammissibile per le ragioni prima esposte, a cio' si aggiunge che la detta soluzione e' «anche in linea con l'esigenza che non siano sottratte al sindacato di costituzionalita'» leggi, quali quelle relative all'elezione delle camere, che altrimenti difficilmente potrebbero giungere al vaglio della Corte. Ne consegue che non e' la possibilita'/impossibilita' che la norma che viene in rilievo nel giudizio a quo possa essere altrimenti sottoposta a sindacato costituzionale il metro utilizzato dalla Corte per decidere se la questione che la coinvolga presenti, o meno, carattere incidentale, costituendo quello da ultimo riportato un argomento ulteriore che, ad abundatiam, la Corte costituzionale aggiunge. Si e' sopra ricordato come il tribunale, nel ritenere non sussistente il carattere di incidentalita' della questione di costituzionalita' sollevata dal ricorrente, abbia evidenziato come la detta soluzione non determini zone franche sottratte al sindacato di costituzionalita', atteso che la normativa che viene in rilievo nel presente giudizio potrebbe ben costituire oggetto di controllo giurisdizionale, e conseguentemente anche di giudizio di costituzionalita' in detta sede sollevato, da parte del giudice ordinario nell'ambito dei giudizi impugnatori tipici. La detta posizione sembra riprendere il passaggio di Corte costituzionale n. 1/2014 da ultimo riportato, nei termini in cui lo stesso e' stato ampiamente valorizzato da Corte costituzionale n. 110/2015 che prima il tribunale ha citato. Con la sentenza n. 110/2015 la Corte costituzionale ha dichiarato inammissibile, per difetto di incidentalita', la questione di legittimita' costituzionale delle norme della legge elettorale dei rappresentanti italiani al Parlamento europeo sollevata, nel giudizio a quo, da taluni elettori che si dolevano della compressione del loro diritto di voto in ragione della previsione di legge secondo cui i voti sarebbero stati attribuiti solo alle liste che avessero raggiunto una certa soglia di sbarramento pari ad una certa percentuale dei voti validi espressi. Nell'adottare l'anzidetta decisione, effettivamente, la Corte costituzionale ha ritenuto che: «La verifica della pregiudizialita', la quale implica l'esistenza di un petitum separato e distinto dalla questione di costituzionalita' su cui il giudice a quo sia chiamato a pronunciarsi, va compiuta, pertanto, tenendo nel dovuto conto l'imprescindibile esigenza di evitare il rischio di immunita' della legge di cui si tratti dal sindacato di costituzionalita'», ed ha concluso per la inammissibilita' della questione di costituzionalita' perche' in relazione alle elezioni europee, a differenza di quanto avviene per le elezioni politiche, non e' prevista alcuna forma di autodichia e qualsivoglia esigenza di tutela e' devoluta alla giurisdizione dell'AGO nell'ambito di un giudizio principale promosso a tutela del diritto di voto, passivo o attivo, avente ad oggetto la vicenda elettorale e, in particolare, i suoi risultati. 2.2. Ritiene la Corte che la questione di costituzionalita' sollevata dall'appellante presenti carattere incidentale e sia, sotto questo profilo, ammissibile. Va premesso che tutto il sistema delle autonomie locali prevede la partecipazione dei cittadini alla formazione degli organi rappresentativi e di governo delle stesse attraverso l'espressione del diritto di voto. Nel caso delle regioni e dei comuni e' prevista l'elezione diretta a suffragio universale, mentre nel caso delle provincie e delle citta' metropolitane e' prevista l'elezione indiretta. Al pari del voto per le elezioni politiche, anche il voto per le autonomie locali di cui agli articoli 5 e 114 della Costituzione costituisce, come ha chiarito Cassazione n. 12060/2013, l'oggetto di un diritto «permanente dei cittadini, i quali possono essere chiamati ad esercitarlo in qualunque momento e devono poterlo esercitare in modo conforme a Costituzione». Secondo quanto sopra esposto la legge n. 56/2014 e, in Sicilia, la legge n. 15/2015, nell'istituire le citta' metropolitane in luogo delle provincie, all'elezione del cui presidente partecipavano tutti cittadini elettori residenti nel relativo territorio, hanno stabilito che invece il sindaco metropolitano coincide con il sindaco del capoluogo della citta' metropolitana, con il risultato che tutti i cittadini iscritti nelle liste elettorali della citta' metropolitana, fatta eccezione per quelli iscritti nelle liste del capoluogo, con l'introduzione delle leggi in questione non possono piu' prendere parte, neppure indirettamente, alla scelta del sindaco metropolitano che e' a loro sottratta. Sembra al collegio indubbio che, attraverso le leggi sopra indicate, non dissimilmente - in linea di principio - da quanto avveniva in forza della legge n. 270/2005 che impediva di esprimere preferenze in occasione dell'elezione dei parlamentari, sia stato limitato il diritto dei cittadini non residenti nel comune capoluogo a conformare, con la loro scelta elettorale, gli organi di governo dell'ente intermedio, escludendolo in relazione al sindaco metropolitano. Se questo e' vero, ritiene il collegio che debba riproporsi, nel caso a mani, lo stesso percorso logico ed argomentativo che ha portato prima Cassazione 12060/2013 a sollevare la questione di costituzionalita' della legge elettorale che limitava il diritto di voto nelle elezioni politiche e poi Corte costituzionale n. 1/2014 a ritenere la questione ammissibile anche in punto di pregiudizialita'/incidentalita' costituzionale della stessa rispetto al giudizio di merito. Invero, fatta eccezione per il profilo dell'autodichia delle camere, per il resto la questione si ripropone in termini sostanzialmente non dissimili da quelli esaminati dalle giurisdizioni superiori nelle due sentenze appena menzionate e pero', quanto al tema dell'autodichia delle camere ed all'esigenza che non vengano a crearsi zone franche rispetto al sindacato di costituzionalita', si e' gia' sopra osservato come nel ragionamento seguito dal Corte costituzionale n. 1/2014 il profilo in esame non presenti valenza dirimente, bensi' venga addotto solo a conforto della soluzione raggiunta in ordine alla questione di incidentalita', si' come gia' risolta - a prescindere dalla necessita' di evitare zone franche - sulla base delle ragioni sopra riportate. A cio' si aggiunga che, anche a volerla ammettere, la possibilita' di sollevare questione di costituzionalita' in ordine alle norme piu' volte menzionate nell'ambito di un giudizio impugnatorio incoato ai sensi dell'art. 22 del decreto legislativo n. 150/2011, ferma restando la non peregrina difficolta' evidenziata dall'appellante secondo cui: «alla stregua della normativa vigente per il sindaco metropolitano non vi e' un atto da impugnare in via autonoma: non vi e' un esito elettorale da gravare e contro cui ricorrere, se non appunto la designazione automatica che deriva dalla scelta legislativa» -, di per se' non esclude che, sussistendone i presupposti, la questione possa essere sollevata anche nell'ambito del presente giudizio avente carattere non impugnatorio, bensi' di mero accertamento del diritto «permanente» di voto. Alla luce di quanto sopra esposto quindi, ad avviso della Corte, a fronte della domanda con cui D F M , cittadino elettore, ha chiesto che venga accertato il perimetro del suo diritto di voto e, segnatamente, la possibilita' che esso valga anche a conformare l'amministrazione della citta' metropolitana entro cui risiede, con riferimento alla elezione del sindaco metropolitano, senza tuttavia essere iscritto nelle liste elettorali del comune capoluogo: a) sussiste la giurisdizione dell'AGO, vertendosi in tema di diritti politici e, segnatamente di elettorato attivo; b) sussiste l'interesse ad agire, atteso che il ricorrente lamenta che il suo diritto di voto e' attualmente limitato e vuole che l'AGO ne accerti la pienezza; c) sussiste il carattere di incidentalita' della questione di costituzionalita' perche' al fine di rispondere alla domanda di giustizia proposta dall'appellante questa A.G. deve accertare se il suo diritto di voto debba potersi esprimere anche in ordine alla scelta del sindaco metropolitano, e cio' al di la', quindi, della concreta e contingente ragione impeditiva costituita dalle norme la cui incostituzionalita' e' stata eccepita; d) sussiste la rilevanza della questione di costituzionalita' atteso che non si puo' procedere all'accertamento richiesto senza applicare l'art. 13, comma 1, legge regionale n. 15/2015 ed 1, comma 19, della legge n. 56/2014, piu' volte menzionati, che delineano chi concorre a scegliere il soggetto chiamato ad esercitare la carica di sindaco metropolitano (e conseguentemente anche l'art. 14 della legge regionale n. 15/2015 che, in stretta conseguenzialita' rispetto a quanto previsto dall'art. 13, comma 1, condiziona la permanenza nella carica di sindaco metropolitano alla conservazione della carica di sindaco del capoluogo). 3. Va adesso verificato se, le questioni di costituzionalita' sollevate dall'appellante siano, o meno, manifestamente infondate. A tal fine bisogna distinguere le questioni aventi ad oggetto le norme che individuano nel sindaco del comune capoluogo il sindaco metropolitano (art. 13, comma 1, legge regionale n. 15/2015) e che condizionano la conservazione di quest'ultima carica alla permanenza della prima (art. 14 della legge regionale n. 15/2015), dalle altre. Con riferimento alle prime ritiene la Corte che la questione di legittimita' costituzionale non sia manifestamente infondata. Si e' visto che con essa l'appellante si duole di essere sostanzialmente vittima di una ingiustificata discriminazione atteso che, in applicazione delle norme contenute nella della legge regionale n. 15/2015 e 56/2014, soltanto i cittadini iscritti nelle liste del comune capoluogo della citta' metropolitana concorrono, con il loro voto, ad eleggere il sindaco metropolitano. Ad avviso della Corte la questione di costituzionalita' non e' manifestamente infondata, atteso che se e' vero che il sistema delle autonomie locali di cui agli articoli 5 e 114 della Costituzione (che costituiscono anche formazioni sociali nell'ambito delle quali, ai sensi dell'art. 2 della Costituzione, la Repubblica garantisce i diritti inviolabili dell'uomo) e' imperniato sul principio di rappresentanza (attraverso meccanismi elettorali di primo o di secondo grado), la legge che limiti ad una parte soltanto degli amministrati il potere di esprimere, con il suo voto, l'organo rappresentativo ed a competenza innumerata dell'ente intermedio Citta' metropolitana, sembra contraddire il principio stesso di democrazia (art. 1 della Costituzione), di uguaglianza dei cittadini (art. 3, commi 1 e 2, della Costituzione), con particolare riferimento all'eguaglianza del diritto di voto sancita dall'art. 48, comma 2, della Costituzione, atteso che mentre i cittadini iscritti nelle liste elettorali del capoluogo della citta' metropolitana, con loro voto, eleggono sia l'organo rappresentativo del comune che quello dell'ente intermedio, il voto amministrativo degli altri cittadini, parimenti soggetti all'amministrazione dello stesso ente intermedio, e' del tutto irrilevante ai fini dell'elezione del sindaco metropolitano: banalizzando, quindi, con un solo voto (diretto ed a suffragio universale) i cittadini del comune di capoluogo eleggono due cariche mentre i restanti cittadini residenti nella citta' metropolitana sono esclusi dalla scelta di un organo alla cui potesta' amministrativa sono comunque soggetti e che (anche) ad essi dovrebbe rispondere. A cio' va aggiunto che la posizione deteriore, quanto all'eguaglianza del diritto di voto, dei cittadini che si trovano nelle condizioni dell'appellante, rispetto a quelli che risiedono nel comune capoluogo, si apprezza altresi' alla luce del confronto del trattamento ad essi riservato nel caso in cui l'ente intermedio di area vasta di riferimento, anziche' la citta' metropolitana, sia invece costituito dalla provincia, atteso che, in quest'ultimo caso il voto dei predetti e' perfettamente uguale a quello degli altri, visto che tutti i residenti nella provincia, votando alle elezioni amministrative per la scelta del proprio sindaco e del proprio consiglio comunale, concorrono, con un meccanismo elettivo di secondo grado, alla elezione sia del consiglio provinciale che del presidente della provincia, mentre invece, nelle citta' metropolitane, non soltanto i non residenti nel capoluogo partecipano soltanto, sempre con elezioni di secondo livello e questa volta al pari dei residenti nel capoluogo, alla elezione del consiglio metropolitano, bensi', rispetto al sindaco metropolitano, a fronte della loro impossibilita' a concorrere all'elezione si pone la posizione dei residenti nel capoluogo i quali, addirittura, lo eleggono con voto diretto. Sulla base di queste ragioni ritiene la Corte che la questione di costituzionalita' delle leggi in applicazione delle quali si dovrebbe negare che l'appellante abbia diritto a che l'elezione sindaco metropolitano sia anche espressione della sua scelta (e che condizionano la permanenza nella carica di sindaco metropolitano alla conservazione della carica di sindaco del comune capoluogo della citta' metropolitana), non sia manifestamente infondata. Non militano contro la anzidetta soluzione le due pronunce rese ad oggi dalla Corte costituzionale sulle norme che vengono, nuovamente, in questa sede in rilievo. Invero, fermo restando che, come e' noto, le sentenze con cui la Corte costituzionale dichiari infondata la questione di costituzionalita' non precludono che le stesse norme possano essere nuovamente sottoposte a giudizio di costituzionalita' in relazione a diversi, e perfino agli stessi, vizi gia' scrutinati, Corte costituzionale n. 50/2015, nel rigettare le numerose questioni di costituzionalita' sollevate, in via principale, da talune regioni con riferimento a svariate norme della legge n. 56/2014 tra cui quella che individua nel sindaco del comune capoluogo il sindaco metropolitano (art. 19, comma 1), si e' limitata a verificare la compatibilita' costituzionale del modello di governo di secondo grado che le stesse prevedono per la citta' metropolitana, senza occuparsi, specificamente, della loro costituzionalita' con riferimento alle criticita' afferenti l'eguaglianza dei cittadini e del loro diritto di voto su cui, invece, si impernia, la questione che viene oggi sollevata. Ancor meno rilevante ai fini della valutazione in punto di non manifesta infondatezza della questione di costituzionalita' che qui viene in rilievo si appalesa, dipoi, Corte costituzionale n. 168/2018, che ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale degli articoli da 1 a 6 e 7, lettere b), c) ed e), della legge della Regione siciliana 11 agosto 2017, n. 17, modificativa della legge regionale n. 15/2015, con cui, in Sicilia, era stata prevista l'elezione diretta ed a suffragio universale, tra gli altri, del sindaco metropolitano, e cio' perche' la declaratoria di incostituzionalita' e' stata pronunciata non gia' in quanto la Corte costituzionale abbia in qualche modo avallato il sistema di cui oggi si discute in punto di disparita' di trattamento tra i cittadini e di considerazione del loro diritto di voto, bensi' solo perche': «Il "modello di governo di secondo grado", adottato dal legislatore statale, diversamente da quanto sostenuto dalla regione, rientra, tra gli "aspetti essenziali" del complesso disegno riformatore che si riflette nella legge stessa» e perche' «Le disposizioni sulla elezione indiretta degli organi territoriali, contenute nella legge n. 56 del 2014, si qualificano, dunque, come "norme fondamentali delle riforme economico-sociali, che, in base all'art. 14 dello statuto speciale per la regione siciliana, costituiscono un limite anche all'esercizio delle competenze legislative di tipo esclusivo"». Anche in questo caso, quindi, la Corte costituzionale si e' occupata, sia pure attraverso il vaglio del sindacato dei limiti della potesta' legislativa regionale, del solo profilo relativo alla previsione, per la citta' metropolitana, di un modello di governo di secondo grado, senza per nulla affrontare la diversa questione della qui denunciata disuguaglianza tra i cittadini che le norme in questione realizzano avuto riguardo a coloro del cui voto si tiene conto nella istituzione del governo di secondo grado. In definitiva, quindi, ritiene la Corte di non ravvisare, nei giudizi di costituzionalita' gia' espressi dalla Corte costituzionale sulla normativa che viene oggi in rilievo, ragioni che militino nel senso della manifesta infondatezza della questione che oggi, in questa sede, si pone. 4. A diverse conclusioni ritiene la Corte di pervenire con riferimento alle altre questioni di costituzionalita' sollevate dall'appellante. Invero, premesso che il D difetta di interesse con riferimento alla parte della norma riguardante il Presidente del libero Consorzio comunale ed il Consiglio del libero Consorzio comunale atteso che, come detto, e' cittadino iscritto nelle liste elettorali di comune rientrante in una citta' metropolitana - dovendosi quindi parametrare a questo ente di area vasta le questioni alla soluzione cui ha interesse -, va osservato che il Consiglio metropolitano e' eletto dai sindaci e dai consiglieri comunali di tutti i comuni della citta' metropolitana, e l'art. 19, comma 1, della legge regionale Sicilia 4 agosto 2015, n. 15, come modificato dall'art. 7 della legge regionale Sicilia 29 novembre 2018, n. 23, (secondo cui: «Il Presidente del libero Consorzio comunale, il Consiglio del libero Consorzio comunale ed il Consiglio metropolitano durano in carica cinque anni. In caso di rinnovo del consiglio del comune capoluogo della citta' metropolitana, si procede a nuove elezioni del Consiglio metropolitano entro sessanta giorni dalla proclamazione del sindaco del comune capoluogo»), non incide sul diritto di voto dei cittadini non residenti nel capoluogo i cui rappresentanti restano comunque in carica, in caso di rinnovo del consiglio comunale del comune capoluogo, e sono chiamati a rinnovare l'elezione del consiglio metropolitano. Si appalesa cosi' affatto diversa la portata della norma in questione, non equiparabile a quella che vede l'individuazione nel sindaco metropolitano del sindaco del capoluogo e non attinta dai profili di incostituzionalita' con riferimento a quest'ultima denunciati, atteso che la stessa mira soltanto a garantire che il consiglio metropolitano sia espressione del consiglio comunale del capoluogo attualmente in carica. Ne consegue che, con riferimento ad essa, difetta il presupposto di non manifesta incostituzionalita' della questione. Alle medesime conclusioni si deve pervenire, ad avviso della Corte, anche con riferimento all'art. 3, comma 2, della legge regionale Sicilia 4 agosto 2015, n. 15 (secondo cui: «La Conferenza metropolitana, su proposta del Consiglio metropolitano, adotta o respinge lo statuto e le sue modifiche con i voti che rappresentino almeno la meta' dei comuni compresi nella citta' metropolitana e la meta' della popolazione complessivamente residente»), e cio' considerato che la Conferenza metropolitana e' composta dai sindaci dei comuni appartenenti alla citta' metropolitana e trattandosi di norma rispettosa del principio di maggioranza. Quanto infine alla questione posta con riferimento all'art. 13, comma 2, legge regionale n. 15/2015, secondo cui anche in Sicilia si applica l'art. 1, comma 22, della legge n. 56/2014 (che prevede che: «Lo statuto della citta' metropolitana puo' prevedere l'elezione diretta del sindaco e del consiglio metropolitano con il sistema elettorale che sara' determinato con legge statale. E' inoltre condizione necessaria, affinche' si possa far luogo a elezione del sindaco e del consiglio metropolitano a suffragio universale, che entro la data di indizione delle elezioni si sia proceduto ad articolare il territorio del comune capoluogo in piu' comuni. A tal fine il comune capoluogo deve proporre la predetta articolazione territoriale, con deliberazione del consiglio comunale, adottata secondo la procedura prevista dall'art. 6, comma 4, del testo unico. La proposta del consiglio comunale deve essere sottoposta a referendum tra tutti i cittadini della citta' metropolitana, da effettuare sulla base delle rispettive leggi regionali, e deve essere approvata dalla maggioranza dei partecipanti al voto. E' altresi' necessario che la regione abbia provveduto con propria legge all'istituzione dei nuovi comuni e alla loro denominazione ai sensi dell'art. 133 della Costituzione. In alternativa a quanto previsto dai periodi precedenti, per le sole citta' metropolitane con popolazione superiore a tre milioni di abitanti, e' condizione necessaria, affinche' si possa far luogo ad elezione del sindaco e del Consiglio metropolitano a suffragio universale, che lo statuto della citta' metropolitana preveda la costituzione di zone omogenee, ai sensi del comma 11, lettera c), e che il comune capoluogo abbia realizzato la ripartizione del proprio territorio in zone dotate di autonomia amministrativa, in coerenza con lo statuto della citta' metropolitana»), anche in questo caso la stessa appare manifestamente infondata perche' attraverso essa in realta' dubita, questa volta si, della legittimita' costituzionale del modello di governo di secondo livello previsto per la citta' metropolitana (come e' reso evidente alla circostanza che la modifica dello statuto riguarda anche l'elezione diretta del Consiglio metropolitano e non gia' del solo sindaco metropolitano) su cui la Corte si e' gia' espressa e su cui il collegio, condividendone la posizione, non intende ritornare, mentre invece la denunciata disparita' tra i cittadini elettori in quanto residenti, o meno, nel capoluogo, secondo la paventata concezione patrimonialistica del diritto di voto, non sembra essere integrata dalla normativa in questione, se e' vero che il sistema di voto ponderato (previsto, in relazione al voto espresso dai sindaci e dai consiglieri comunali per l'elezione del Consiglio metropolitano da cui dipende l'iniziativa della modifica statutaria prevista dal comma 22 per l'elezione diretta del sindaco metropolitano e dello stesso consiglio metropolitano) costituisce pur sempre promanazione di quello maggioritario e rispecchia la popolazione residente nell'intera citta' metropolitana. E' appena il caso di evidenziare come le questioni di costituzionalita' non manifestamente infondate vadano sollevate non soltanto con riferimento alla normativa regionale introdotta dalla legge n. 15/2015 applicabile in Sicilia, bensi' anche con riferimento alla corrispondente normativa statale di cui alla legge n. 56/2014 rientrante, come chiarito da Corte costituzionale n. 168/2018, tra le «norme fondamentali delle riforme economico-sociali, che, in base all'art. 14 dello statuto speciale per la regione siciliana, costituiscono un limite anche all'esercizio delle competenze legislative di tipo esclusivo» ed a cui chiaramente va ricondotta la scelta dell'assetto da impartire al modello di governo della citta' metropolitana sotto il profilo, che viene qui in rilievo, della attribuzione al sindaco del capoluogo della carica di sindaco metropolitano. Una ultima notazione va riservata al profilo della integrita' del contraddittorio, non ritenuta tale dal giudice di prime cure sulla base di considerazioni che questa Corte non reputa meritevoli di essere condivise. Invero, secondo il tribunale (che poi ha comunque deciso, onde evitare il dispendio di attivita' processuali inutili, di esaminare la questione sollevata in ricorso avendo ritenuto di doverne dichiarare la inammissibilita') il ricorrente, dolendosi della incostituzionalita' di una legge regionale e di una legge statale, avrebbe dovuto promuovere il giudizio a quo non soltanto nei confronti della citta' metropolitana, bensi' anche nei confronti della Presidenza del Consiglio dei ministri e della Presidenza delle Regione siciliana. Ritiene invece il collegio che la domanda di accertamento del diritto di voto sia stata correttamente proposta dal ricorrente nei soli confronti dell'ente intermedio in relazione al quale il suo diritto di elettorato attivo sarebbe, secondo il suo assunto, limitato, non rilevando sotto il profilo del contraddittorio processuale del giudizio a quo (e ferma restando la facolta' del Presidente del Consiglio e del Presidente della Giunta regionale di intervenire nel giudizio dinanzi alla Corte Costituzionale ai sensi dell'art. 25 della legge n. 87/1953) la circostanza che in esso venga eccepita la incostituzionalita' di norme regionali e statali. In altri termini l'impostazione del tribunale, coerente con la dichiarazione di inammissibilita' del ricorso per difetto di incidentalita' della questione costituzionale in esso sollevata, vede la domanda giudiziale proposta dal ricorrente tesa a realizzare l'impugnazione «diretta» delle norme tacciate di incostituzionalita'. Sono pero' state sopra esposte le ragioni per cui, ad avviso della Corte, la suddetta impostazione non sembra condivisibile e conseguentemente, anche in punto di integrita' del contraddittorio, non si puo' che dare atto che il giudizio si' come proposto dal D e' stato ritualmente introdotto con l'evocazione del solo legittimato passivo rappresentato dalla citta' metropolitana.
P. Q. M. Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita': dell'art. 13, comma 1, della legge regionale Sicilia 4 agosto 2015, come modificato dall'art. 4 della legge regionale Sicilia 29 novembre 2018, n. 23 («Il sindaco metropolitano e' di diritto il sindaco del comune capoluogo»); dell'art. 14 della legge regionale Sicilia 4 agosto 2015, n. 15, come modificato dall'art. 4 della legge regionale Sicilia 29 novembre 2018, n. 23, («Qualora il sindaco metropolitano cessi dalla carica per cessazione dalla carica di sindaco del comune capoluogo della citta' metropolitana, il vicesindaco rimane in carica fino all'insediamento del nuovo sindaco metropolitano»); dell'art. 1, commi 19 («Il sindaco metropolitano e' di diritto il sindaco del comune capoluogo») della legge 7 aprile 2014, n. 56, tutte per contrasto con gli articoli 1, 2, 3 e 48, 5, 97, 114 e seguenti della Costituzione. Ordina che, a cura della cancelleria, siano trasmessi gli atti alla Corte costituzionale e che questo provvedimento, ai sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, sia notificato alle parti ed al Presidente del Consiglio dei ministri, ed al Presidente della Giunta regionale siciliana e sia comunicato al Presidente della Camera dei deputati e del Senato ed al Presidente del Consiglio regionale della Regione siciliana. Ordina la sospensione del presente procedimento in attesa della decisione della Corte costituzionale. Cosi' deciso in Catania, nella camera di consiglio della sezione prima civile della Corte d'appello, il 27 maggio 2020. Il Presidente: Ferreri