N. 37 ORDINANZA (Atto di promovimento) 26 ottobre 2020

Ordinanza del 26 ottobre 2020 del Tribunale di Lecce nel procedimento
penale a carico di G. G.. 
 
Processo  penale  -  Prove  illegittimamente  acquisite  -   Sanzione
  dell'inutilizzabilita' delle prove acquisite in  violazione  di  un
  divieto di legge con riguardo anche agli esiti probatori,  compreso
  il sequestro del corpo del reato o delle cose pertinenti al  reato,
  degli atti di perquisizione e  ispezione  domiciliare  e  personale
  compiuti dalla polizia giudiziaria fuori dai  casi  previsti  dalla
  legge ovvero autorizzati o convalidati dal pubblico  ministero  con
  provvedimento motivato. 
- Codice di procedura penale, art. 191. 
Processo penale - Operazioni di  polizia  per  la  prevenzione  e  la
  repressione  del  traffico  illecito  di  stupefacenti  e  sostanze
  psicotrope - Controlli e ispezioni -  Denunciata  previsione  della
  possibilita' per il pubblico ministero di  consentire  l'esecuzione
  di perquisizioni in forza di autorizzazione orale senza  necessita'
  di una successiva documentazione formale delle ragioni per cui l'ha
  rilasciata. 
- Decreto del Presidente della Repubblica  9  ottobre  1990,  n.  309
  (Testo  unico  delle  leggi  in   materia   di   disciplina   degli
  stupefacenti   e   sostanze   psicotrope,   prevenzione,   cura   e
  riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza), art. 103. 
(GU n.13 del 31-3-2021 )
 
                   IL TRIBUNALE ORDINARIO DI LECCE 
                        Sezione prima penale 
 
    In composizione monocratica in persona del giudice, dott. Stefano
Sernia. 
    Sciogliendo  la  riserva  formulata  all'udienza  del  giorno  26
ottobre 2020 nel processo nei confronti di: 
        G G, nato a...il... 
    letti gli atti, ha pronunziato la seguente 
 
                              Ordinanza 
 
    Si procede con rito ordinario a seguito di  citazione  diretta  a
giudizio dell'imputato davanti a questo tribunale,  con  l'accusa  di
aver detenuto, in data 28 marzo 2018 e presso la propria  abitazione,
modesti quantitativi di  sostanze  stupefacenti  del  genere  hashish
(utile al confezionamento di 6,1 dosi aventi effetto stupefacente)  e
marijuana (utile al  confezionamento  di  28,1  dosi  aventi  effetto
stupefacente),  destinate  alla  cessione  a  terzi;   principale   e
fondamentale  (tutte  le  altre,  come  ad  es.  il  sequestro  e  la
consulenza tossicologica svolta sulla sostanza  sequestrata,  essendo
da esse derivate) fonte  di  prova  e'  l'esito  della  perquisizione
domiciliare, condotta dalla  polizia  giudiziaria  su  autorizzazione
orale del pubblico ministero ed a seguito di un «input»  di  indagine
costituito (come risulta dall'annotazione datata 28  marzo  2018)  da
una telefonata anonima (di cui e' in atti la trascrizione, nonostante
il divieto di cui all'art. 240 del codice di procedura penale). 
    Occorre  quindi  interrogarsi  sulla  liceita'  -  e  conseguente
utilizzabilita' - degli elementi  probatori  acquisiti  mediante  una
perquisizione eseguita pacificamente al  di  fuori  della  preventiva
percezione di una situazione di flagranza, dei casi di flagranza,  ed
in forza di un'autorizzazione  che  il  pubblico  ministero  ha  dato
verbalmente - secondo quanto attestato nella annotazione di  servizio
del 28 marzo 2018 e di cui non vi e' alcuna ulteriore  documentazione
in atti - fondandosi peraltro, verosimilmente, su quanto  esposto  in
una denunzia di reato anonima, e che quindi non avrebbe assolutamente
potuto  essere  utilizzata  ne'   posta   a   fondamento   di   alcun
provvedimento, posto  il  divieto  generale  di  utilizzazione  degli
anonimi derivante dal menzionato art. 240  del  codice  di  procedura
penale. 
    Va infatti ricordato che dall'art. 382 del  codice  di  procedura
penale si evince che la situazione di  flagranza  e'  quella  che  si
presenta allorche' la consumazione del reato cade sotto la percezione
degli  organi  di  polizia  giudiziaria,   ovvero   questi   rilevano
direttamente sulla persona del reo tracce altamente significative che
egli abbia appena commesso un delitto; non vi e' invece flagranza  di
reato se di esso la polizia giudiziaria abbia  notizia  da  parte  di
terzi o in forza del successivo reperimento di indizi  a  carico  del
reo (cfr. ad es. quanto statuito dalla nota  sentenza  C.  Cassazione
SS. UU. n. 39131 del 24 novembre  2015,  che  ha  precisato  che  «E'
illegittimo l'arresto in flagranza operato dalla polizia  giudiziaria
sulla base delle  informazioni  fornite  dalla  vittima  o  da  terzi
nell'immediatezza del fatto, poiche', in tale ipotesi,  non  sussiste
la condizione di "quasi flagranza", la quale presuppone la  immediata
ed autonoma percezione, da parte di chi  proceda  all'arresto,  delle
tracce  del  reato  e  del  loro  collegamento   inequivocabile   con
l'indiziato»), va  in  primo  luogo  escluso  senz'altro  che  quella
eseguita dalla polizia giudiziaria sia  stata  una  perquisizione  in
flagranza di reato. 
    La perquisizione,  come  peraltro  espressamente  indicato  nella
ricordata  annotazione  di  servizio,  e'  stata  quindi  autorizzata
oralmente dal pubblico ministero sulla base di quanto  dalla  polizia
giudiziaria riferito a quel magistrato circa  circostanze  comunicate
da una fonte rimasta processualmente anonima. 
    Sebbene l'art. 103 del decreto del Presidente della Repubblica n.
309/1990 non ne preveda espressamente la necessita' per  il  caso  in
cui il pubblico ministero abbia rilasciato  un'autorizzazione  orale,
il pubblico ministero ha emesso provvedimento di convalida  non  solo
del sequestro,  ma  anche  della  perquisizione,  con  un  solo  atto
contestuale;  la  motivazione  di  detta  convalida,   tuttavia,   e'
pertinente alle  sole  ragioni  del  sequestro  (convalidato  perche'
oggetto ne erano corpo del reato e/o cose pertinenti  al  reato),  ma
assolutamente muta  in  ordine  alle  ragioni  giustificatrici  della
perquisizione. 
    Si pone quindi il problema della liceita' della  perquisizione  e
della utilizzabilita' dei suoi esiti, laddove  la  perquisizione  sia
stata autorizzata o eseguita al di fuori dei  limiti  e  delle  forme
previste dalla Carta Costituzionale; ed  il  connesso  e  conseguente
problema della costituzionalita' della disciplina di legge  ordinaria
vigente,  quale  risultante  del  diritto  vivente   nascente   dalla
monolitica giurisprudenza di  legittimita'  -  stabilmente  applicata
anche in sede locale dal competente Tribunale  del  riesame  e  dalla
Corte  di  appello  -  che  vuole  utilizzabili  gli  esiti  di  tali
perquisizioni, pur nei casi in cui se ne riconosca  l'illegittimita';
e  cio',  nonostante  gli  articoli  13  e  14  (che   estende   alle
perquisizioni domiciliari le garanzie previste per  quelle  personali
dall'art. 13) della Costituzione espressamente prevedano  la  perdita
di ogni efficacia  degli  esiti  (tra  l'altro)  delle  perquisizioni
illegittime. 
    La questione e' gia' stata  sollevata,  anche  se  sotto  diversi
profili, da questo stesso magistrato quale GUP con  ordinanza  emessa
in  data  5  ottobre  2017,  e  successivamente  nuovamente  e   piu'
approfonditamente articolata con ordinanze emesse, sempre in veste di
GUP,  ed  ulteriormente  articolata  alle  udienze  del.  12.12.2017,
nonche' nella date del 13 settembre 2018 (in due distinti processi) e
27 settembre 2018, quale Giudice del dibattimento. 
    Sulle prime  due  di  tali  ordinanze  di  remissione,  la  Corte
costituzionale si e' pronunziata con la sentenza n. 219 del 2019, con
la quale, dopo aver con esemplare sintesi e chiarezza  ripercorso  le
motivazioni delle  ordinanze  di  remissione,  ne  ha  dichiarato  la
inammissibilita' perche' risolventesi nella richiesta di una sentenza
fortemente  manipolativa  (in  quanto   avrebbe   dovuto   introdurre
nell'ordinamento l'istituto  della  inutilizzabilita'  derivata,  non
prevista dal codice di rito), esulante dai  poteri  della  Corte;  il
merito delle questioni veniva quindi sostanzialmente ignorato,  anche
se si richiamava giurisprudenza della Corte di cassazione (a  sezioni
singole), le quali avevano stimato che la tutela contro gli  atti  di
perquisizione arbitraria non dovesse essere necessariamente di natura
processuale,   potendo   essere   sufficiente   la   previsione    di
responsabilita' penali o disciplinari a carico di  chi  procedesse  o
disponesse  perquisizioni  fuori  dei  casi  in  cui  la   legge   le
consentisse. 
    Il Tribunale ritiene tuttavia di dover riproporre alla  Corte  le
argomentazioni gia' sviluppate nelle ordinanze che essa  risulta  non
aver  ancora  vagliato,  potendo  addurre  ulteriori  argomenti   che
potrebbero indurre la Corte a rivedere la sua  precedente  decisione,
anche alla luce della sentenza (non considerata  nelle  ordinanze  di
remissione su cui ha deciso la Corte costituzionale con  la  sentenza
n.  219/2019)  emessa  in  data  27  settembre   2018   dalla   Prima
Sezione CEDU nel caso Brazzi contro  Italia,  come  meglio  oltre  si
dira', qui sottolineandosi che la Corte costituzionale non  e'  stata
quindi gia' chiamata ad affrontare le implicazioni di tale  pronunzia
del giudice internazionale nella decisione del caso che qui occupa. 
    Delle  ordinanze  di  remissione  gia'   emesse,   pertanto,   si
riproducono in  questa  sede  le  argomentazioni,  con  le  ulteriori
specificazioni date dal caso concreto, in  cui  la  perquisizione  e'
stata autorizzata dal pubblico ministero in forza di elementi di  cui
e' vietata l'utilizzazione, quali  le  denunzie  anonime o  le  fonti
confidenziali, ritenendo il  giudicante  di  dover  trarre  ulteriori
argomentazioni, a sostegno dell'incostituzionalita' della  disciplina
data dal diritto vivente, 
    Invero, la situazione di flagranza di reato, che evidentemente si
e' manifestata solo dopo  la  perquisizione,  non  puo'  aver  quindi
svolto la funzione di  preventiva  legittimazione  di  tale  atto  di
ricerca della prova, che la legge ordinaria (articoli 354 e  356  del
codice di procedura penale) e costituzionale (articoli 13 e 14 Cost.)
assegnano solo invia eccezionale all'ambito dei poteri della  polizia
giudiziaria, in deroga al principio generale  per  cui  simili  atti,
limitando la liberta' personale (e la  inviolabilita'  del  domicilio
per quel che attiene alla perquisizione domiciliare), possono  essere
disposti solo dall'A.G. e nei casi e modi previsti dalla legge. 
    Cio'  premesso,  va  sottolineata  la  cautela  del   legislatore
costituzionale, che ha assegnato solo  all'Autorita'  giudiziaria  il
potere di disporre atti di perquisizione ed  ispezione,  purche'  con
provvedimento  motivato  (il  che  appare  implicare  non   solo   la
necessita'  della  forma  scritta  -  o   comunque   una   forma   di
documentazione   dell'eventuale   autorizzazione   orale,   rimanendo
altrimenti inverificabile ed insondabile la sussistenza  o  meno  del
requisito motivazionale - ma  anche  una  motivazione  effettivamente
pertinente  alla  ricorrenza  di  ragioni  atte  a  giustificare   la
perquisizione), a  garanzia  della  verificabilita'  della  effettiva
ricorrenza dei presupposti e della necessita'  di  procedere  a  tali
atti; ed attribuendo tale potere alla  polizia  giudiziaria  solo  in
casi eccezionali ed entro ambiti ben delimitati, fissati dalla legge,
e con rispetto delle garanzie di liberta' della persona. 
    I  limiti  fissati  dalla  legge  devono  essere  necessariamente
ritenuti, in ragione della previsione costituzionale che li  assiste,
come  invalicabili  e  di  stretta  interpretazione;   sicche'   deve
assolutamente rigettarsi qualsiasi interpretazione che, comunque,  si
risolva  in  una  vanificazione  dei  limiti  posti  al   potere   di
perquisizione ad opera della polizia giudiziaria o della stessa  A.G.
(ad es., impedendo la verifica circa il rispetto di tali limiti,  ivi
compreso quello della motivazione del provvedimento  giurisdizionale;
o stabilendo l'irrilevanza processuale di tali violazioni),  o  nella
lesione - sia pure mediata - della liberta' personale. 
    Invero, l'art. 13 Cost. (richiamato, quanto a  garanzie  e  forme
ivi previste, dall'art. 14 Cost. in tema di ispezioni,  perquisizioni
e sequestri eseguite  nel  domicilio)  prescrive  che  ogni  atto  di
limitazione della liberta' personale - tra i quali annovera non  solo
l'arresto o il fermo,  ma  anche  le  perquisizioni  e  le  ispezioni
personali  -  sia  riservato   ad   «atto   motivato   dell'autorita'
giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla  legge»;  la  norma
costituzionale  introduce  quindi  una  riserva   di   legge   e   di
provvedimento  (motivato)  dell'Autorita'   giudiziaria,   cui   puo'
derogarsi solo per casi eccezionali previsti dalla legge, atteso  che
la norma  prosegue  prevedendo  che  solo  «in  casi  eccezionali  di
necessita'  ed  urgenza,   indicati   tassativamente   dalla   legge,
l'autorita'  di  pubblica  sicurezza  puo'   adottare   provvedimenti
provvisori,  che  devono  essere  comunicati  entro  quarantotto  ore
all'autorita'  giudiziaria  e,  se  questa  non  li  convalida  nelle
successive quarantotto ore, si intendono revocati e restano privi  di
ogni efficacia». 
    L'art. 14 Cost. estende agli atti di perquisizione domiciliare le
garanzie dettate per le perquisizioni  personali,  in  considerazione
della primaria  importanza  che  la  tutela  dell'inviolabilita'  del
domicilio assume quale strumento di protezione della  sfera  spaziale
in cui si svolge l'abituale esercizio di fondamentali  diritti  della
persona; tutela costituzionalizzata, per  il  tramite  dell'art.  117
Cost. (cfr. sentenze Corte costituzionale  numeri  348  e  349/2007),
anche dall'art. 8 della Carta  europea  dei  diritti  dell'uomo,  che
sancisce il diritto della persona al rispetto del proprio domicilio -
oltre che della propria vita  privata  e  famigliare  -  anche  dalle
ingerenze  pubbliche,  legittime  solo  se  previste  dalla  legge  e
necessitate da esigenze  di  (per  quel  che  qui  interessa)  difesa
dell'ordine e prevenzione del reati. 
    I suddetti  diritti  sono  quindi  assistiti  -  a  sottolinearne
l'importanza nell'assetto democratico  dell'ordinamento  repubblicano
voluto dal Legislatore Costituzionale come fondato  sulla  tutela  di
quelle  liberta'  individuali  tendenzialmente  negate  o  fortemente
compresse dal precedente regime -  da  un  corredo  di  significative
cautele date  dalla  riserva  di  legge,  dalla  riserva  del  potere
giudiziario, dall'obbligo che questo provveda con atto motivato. 
    Solo in casi eccezionali di necessita'  ed  urgenza,  che  spetta
alla legge indicare tassativamente, agli organi di pubblica sicurezza
(e cioe' alle forze di polizia, che di  tali  compiti  sono  titolari
unitamente a quelli di polizia giudiziaria) e' attribuito  un  potere
di intervento, provvisorio e soggetto a perdere ogni effetto in  caso
di mancata, convalida  da  parte  dell'A.G.  con  provvedimento  che,
sebbene   cio'   non   sia   espressamente   previsto   dalla   norma
costituzionale, deve ritenersi debba anch'esso essere motivato,  dato
che non vi e' ragione di ritenere che il Legislatore  Costituzionale,
per l'ipotesi di particolare delicatezza  costituzionale  data  della
convalida (la cui funzione e' verificare che la  polizia  giudiziaria
non abbia agito in tali delicatissime  materie  abusando  dei  propri
poteri, fuori dei casi in cui essi  sono  loro  riconosciuti),  abbia
voluto esonerare l'Autorita' Giudiziaria dalla necessita' di motivare
i propri provvedimenti, che in tema di atti limitativi della liberta'
personale gli e' specificamente imposta dall'art. 13, comma  2  Cost.
(e come peraltro previsto gia' in via generale dall'art. 111, comma 6
Cost. per tutti i provvedimenti giurisdizionali). 
    Come si e' accennato, tali  garanzie  sono  estese  dall'art.  14
Cost. anche  al  caso  delle  perquisizioni,  ispezioni  e  sequestri
domiciliaci, giusta il richiamo che tale norma  opera  alle  garanzie
prescritte  (dall'art.  13  Cost.)  per  la  tutela  della   liberta'
personale. 
    La presente vicenda processuale si qualifica per  la  circostanza
che la polizia giudiziaria abbia agito in forza di  un'autorizzazione
orale resa dall'AG (e quindi senza  che  ne  risulti  una  originaria
motivazione),  ma  che  tuttavia  tale   autorizzazione   sia   stata
rilasciata in base a richiesta della polizia giudiziaria  fondata  su
di una denunzia anonima (e quindi su di un elemento  inutilizzabile),
ne' l'attivita' di perquisizione sia stata altrimenti successivamente
«sanata», risultando l'assenza, nel provvedimento  di  convalida,  di
una motivazione pertinente alle ragioni della perquisizione. 
    Puo' qui tralasciarsi la considerazione di tutti i  casi  in  cui
norme speciali hanno ampliato i casi in cui alla polizia  giudiziaria
e' consentito procedere ad atti di ispezione e perquisizione, e ci si
puo' limitare ad osservare che i casi maggiormente  ricorrenti,  dati
dalle ipotesi di cui all'art. 4 della legge n. 152/1975, all'art.  41
TULPS, ed all'art. 103 del decreto del Presidente della Repubblica n.
309/1990,  pongono,  a   fondamento   dei   poteri   eccezionali   di
perquisizione di polizia giudiziaria fuori dei casi di flagranza,  la
necessaria ricorrenza di situazioni oggettive («specifiche o concrete
circostanze di tempo o di luogo»; «fondato motivo»;  «indizio»  ecc.)
atte  a  significare  una  qualificata   (in   termini   processuali)
probabilita' di attuale commissione di specifici delitti (tra i quali
quelli relativi alla detenzione di stupefacenti). 
    Fuori  delle  ipotesi  speciali  appena  richiamate,  la  polizia
giudiziaria puo' procedere a perquisizione domiciliare (o  personale)
solo in caso di flagranza di reato; e l'AG deve operare un  controllo
effettivo sulla legalita' di tali perquisizioni, emettendo quindi  un
decreto specificamente motivato. 
    Ed invero, sviluppando ulteriormente l'argomento gia' svolto  con
le precedenti ordinanze di rimessione, va ritenuto  che  nel  disegno
costituzionale - che intende fondare  uno  Stato  di  pieno  diritto,
retto dal principio di legalita', con limiti ai poteri non solo della
polizia giudiziaria, ma anche della  stessa  A.G.  (tra  i  quali  la
riserva di legge e l'obbligo di  motivazione  dei  provvedimenti),  e
previsione di garanzie giurisdizionali a  verifica  e  controllo  del
modo e dei casi in cui le forze di polizia usino dei loro poteri,  al
fine di evitarne l'abuso - non possano essere  tollerate  deroghe  ai
presupposti  di  fatto  e  requisiti  di   forma,   richiesti   dalla
Costituzione, dei provvedimenti dell'A.G., ne' sussistere limiti alla
verifica giurisdizionale suddetta. 
    Ammettere quindi che la polizia  giudiziaria  possa  procedere  a
perquisizione fuori dei casi di flagranza  e  degli  altri  specifici
casi eventualmente previsti dalla legge, o su asserita autorizzazione
orale e non documentata del pubblico  ministero  (che,  si  noti,  ha
successivamente convalidato sia il sequestro  che  la  perquisizione,
pur senza  nulla  specificare  sui  presupposti  di  legittimita'  di
quest'ultima), equivale ad aggirare le cautele che la Costituzione ha
preposto a garanzia del corretto esercizio dei  poteri  dell'A.G.,  e
dell'effettivita' del suo potere di controllo e verifica  sugli  atti
di polizia giudiziaria interferenti con  liberta'  costituzionalmente
garantite. 
    Pertanto, deve ritenersi, in via del tutto  conseguente,  che,  a
fondamento   della   legittimita'    di    una    perquisizione,    e
dell'utilizzabilita' dei suoi  esiti,  debba  essere  necessario  che
l'A.G. abbia  effettivamente  preventivamente  e  con  atto  motivato
autorizzato la perquisizione, o, successivamente, e sempre  con  atto
motivato, verificato la ricorrenza della condizione di  flagranza  (o
altra  situazione  prevista  da  norma   speciale),   che   legittimi
l'esercizio  dei  poteri  di  accesso  domiciliare  o   perquisizione
personale in capo alla polizia  giudiziaria;  in  caso  contrario  si
avrebbe - oltre che degli articoli 13 e 14  Cost.  -  una  violazione
degli articoli 111 e 117 Cost.  (con  riferimento  all'art.  6  della
Convenzione  europea  per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo)
essendo solo apparente la possibilita' di  godere  dell'esame  di  un
giudice imparziale ed indipendente, laddove questo Giudice non  abbia
un adeguato potere di verifica delle circostanze costituenti elementi
a carico dell'imputato. 
    E'  bene  sottolineare  che  interpretazioni  che  ammettano,   a
presupposto  degli  atti   di   perquisizione,   elementi   probatori
particolarmente deboli o inutilizzabili, vadano ad incidere,  fino  a
vanificarle, sulle tutele che la Costituzione appresta alla  liberta'
personale ed all'inviolabilita' del domicilio, materie  che  appaiono
essere invece siano uno dei punti qualificanti  dell'effettivita'  di
uno Stato di diritto,  come  disegnato  dalla  Costituzione  e  dalla
Convenzione  EDU,  nelle   quali   fonte   normative   superiori   il
riconoscimento   di   diritti   fondamentali   della    persona    e'
necessariamente accompagnato dalla previsione di un Giudice non  solo
imparziale ed  indipendente,  ma  anche  dotato  degli  strumenti  di
verifica  e  controllo  atti  ad  assicurarne   l'effettiva   tutela.
Peraltro, in uno Stato di diritto, lo Stato ed i suoi organi sono per
primi vincolati  al  rispetto  delle  leggi  di  cui  pur  pretendono
l'osservanza da parte  dei  consociati,  e  cio'  comporta  non  solo
l'impegno a non violare tali leggi, ma anche a garantire  l'effettivo
rispetto dei diritti  che  tali  leggi  prevedono  ed  attribuiscono;
effettivita'  che  la  Costituzione  appare  voler   perseguire   con
l'inutilizzabilita'  («inefficacia»  nel  linguaggio  costituzionale)
degli atti illegittimamente compiuti in violazione di tali liberta'. 
    Peraltro, gia' nella giurisprudenza della Corte di cassazione  si
rinvengono pronunzie che  statuiscono  la  nullita'  del  decreto  di
perquisizione  emesso  dal  pubblico  ministero  in  base  a  notizie
confidenziali o denunzie anonime: 
        Sez. 6, sentenza n.  34450  del  22  aprile  2016  ,  che  ha
statuito che «Sulla base di una denuncia  anonima  non  e'  possibile
procedere a perquisizioni, sequestri e  intercettazioni  telefoniche,
trattandosi di atti che  implicano  e  presuppongono  l'esistenza  di
indizi di reita'. Tuttavia,  gli  elementi  contenuti  nelle  denunce
anonime possono stimolare  l'attivita'  di  iniziativa  del  pubblico
ministero e della  polizia  giudiziaria  al  fine  di  assumere  dati
conoscitivi, diretti a verificare se dall'anonimo  possano  ricavarsi
estremi utili per l'individuazione di  una  "notitia  criminis".  (In
applicazione di  tale  principio,  la  Corte  ha  ritenuto  legittimi
l'attivita' di perquisizione ed il sequestro di un telefono cellulare
e  di  materiale  informatico  eseguiti  a  seguito  di  un'attivita'
investigativa, avviata sulla base di una denuncia anonima, nel  corso
della quale era emersa la pubblicazione in rete di  numerosi  post  a
contenuto  diffamatorio  pubblicati  mediante  l'account  creato  sul
social network facebook a nome dell'imputato, indagato  in  relazione
ai reati di cui agli articoli 278, 291 e 214 del codice penale ). 
        Sez. 6, sentenza n. 36003  del  21  settembre  2006,  che  ha
statuito che «Sulla base di una denuncia  anonima  non  e'  possibile
procedere a perquisizioni, sequestri e  intercettazioni  telefoniche,
trattandosi di atti che  implicano  e  presuppongono  l'esistenza  di
indizi di reita'. Tuttavia,  gli  elementi  contenuti  nelle  denunce
anonime possono  stimolare  l'attivita'  di  iniziativa  del pubblico
ministero e della  polizia  giudiziaria  al  fine  di  assumere  dati
conoscitivi, diretti a verificare se dall'anonimo  possano  ricavarsi
estremi utili per l'individuazione di  una  "notitia  criminis".  (In
applicazione di tale principio, la Corte ha ritenuto che  la  polizia
giudiziaria aveva  legittimamente  proceduto  alla  perquisizione  di
un'autovettura e al conseguente sequestro di  sostanza  stupefacente,
dopo aver avviato, a seguito di una denuncia anonima, un'indagine sul
posto attraverso la quale aveva acquisito la notizia di reato). 
        Sez. 5, ordinanza n. 37941  del  13  maggio  2004  ,  che  ha
statuito che: «Il decreto  di  perquisizione  e  sequestro  emesso  a
seguito di denuncia anonima, ed utilizzato come mezzo di acquisizione
di una "notitia criminis" e non come mezzo di ricerca della prova, e'
nullo. Infatti la  denuncia  confidenziale  o  anonima,  che  non  e'
inseribile  agli  atti  e  non  e'  utilizzabile,  non  puo'   essere
qualificata come una notizia di  reato  idonea  a  dare  inizio  alle
indagini  preliminari,  cosicche'  l'accusa  non  puo'  procedere   a
perquisizioni, sequestri ed intercettazioni telefoniche,  trattandosi
di atti che  implicano  e  presuppongono  l'esistenza  di  indizi  di
reita'. 
    La Suprema  Corte  ha  altresi'  avuto  modo  di  osservare  che,
ovviamente, anche la polizia giudiziaria - laddove norme di legge  le
attribuiscano il potere di eseguire perquisizioni fuori dei  casi  di
flagranza - e' tenuta al preciso rispetto dei  presupposti  posti  da
tali norme, e non puo' operare sulla base di meri sospetti: 
        Sez. 6, sentenza n. 40952 del 15 giugno 2017, che ha statuito
che «E' configurabile l'esimente della reazione ad atti arbitrari del
pubblico ufficiale  qualora  il  privato  opponga  resistenza  ad  un
pubblico ufficiale che pretende di eseguire presso il  suo  domicilio
una perquisizione finalizzata, ai sensi dell'art. 4, legge  22  marzo
1975, n. 152, alla ricerca  di  armi  e  munizioni  fondata  su  meri
sospetti e  non  su  dati  oggettivi  certi,  anche  solo  a  livello
indiziario, circa la presenza delle suddette cose nel  luogo  in  cui
viene eseguito l'atto. (Fattispecie  in  cui  la  Corte  ha  ritenuto
immune da  vizi  la  mancata  convalida  dell'arresto  per  il  reato
previsto dall'art. 337 del codice  penale  all'imputato  per  essersi
opposto alla perquisizione disposta  dopo  la  contestazione  di  una
contravvenzione al codice stradale, senza che fossero  emersi  indizi
significativi circa  il  possesso  di  armi  o  di  oggetti  atti  ad
offendere); 
    Si rinvengono quindi una serie di pronunzie della  Suprema  Corte
che, a parere di questo giudicante, rispondono pienamente ai principi
costituzionali  e  convenzionali  nella  individuazione  del  minimum
probatorio  necessario  a  rendere   legittima   una   perquisizione;
tuttavia, non se  ne  traggono  le  dovute  conseguenze  in  tema  di
utilizzabilita' degli esiti delle perquisizioni operate al  di  fuori
dei presupposti di legge. 
    Il caso presente  differisce  poi  da  quelli  considerati  dalle
richiamate pronunzie della Suprema Corte; il caso che  qui  viene  in
rilievo, infatti, riguarda una perquisizione  operata  dalla  polizia
giudiziaria fuori dei casi di flagranza, ma su  autorizzazione  orale
del pubblico  ministero  o  da  questi  convalidate  fuori  dei  casi
previsti dalla legge e comunque in assenza  di  motivazione  concreta
sugli  specifici  presupposti   legittimanti   della   perquisizione.
Infatti, poiche' al momento in cui l'abitazione  dell'imputato  venne
sottoposta  a  perquisizione,  non  risultava  gia'  evincibile   una
situazione di flagranza, ne' al pubblico ministero  risultano  essere
stati  comunicati  elementi  legittimamente  utilizzabili   ai   fini
dell'emissione di un provvedimento di perquisizione, quella  compiuta
dalla   polizia   giudiziaria risulta   essere   una    perquisizione
domiciliare  abusiva   perche'   assolutamente   ingiustificata   per
l'assenza di un valido atto autorizzativo e compiuta al di  fuori  di
una situazione di flagranza. 
    Tali attivita' di perquisizione ed ispezione, inoltre, sono state
convalidate dal  pubblico  ministero  con  un  provvedimento  la  cui
motivazione e' sostanzialmente assente ed apparente, atteso  che  non
offre alcuna concreta attestazione  circa  la  ricorrenza  di  alcuna
delle situazioni che, normativamente, legittimano a procedere ad atti
di perquisizione domiciliare (o personale): leggendo il provvedimento
di convalida, ad  es.,  non  e'  dato  comprendere  su  che  basi  la
perquisizione sia stata  convalidata,  se  non  in  forza  della  sua
fruttuosita': come a dire che, purche' abbia portato ad un  risultato
(il reperimento di un corpo del  reato,  ad  es.),  la  perquisizione
debba sempre essere convalidata,  in  quello  che  appare  essere  un
capovolgimento concettuale della nozione di flagranza, trasformata in
un «posterius»  rispetto  all'atto  che  da  essa,  invece,  dovrebbe
derivare la propria legittimita'. 
    Stante l'inutilizzabilita' della fonte anonima, e l'assenza di un
provvedimento  adeguatamente   motivato   ed   atto   a   significare
l'effettivo esercizio di un potere  di  controllo  da  parte  dell'AG
circa  la  ricorrenza  dei  presupposti  per  potersi   procedere   a
perquisizione, e non ricorrendo le ipotesi della flagranza o le altre
ipotesi previste da leggi speciali che a tanto facultizzino le  forze
di polizia, deve ritenersi che gli atti di perquisizione, ispezione e
sequestro da queste eseguiti siano stati compiuti in violazione di un
divieto, derivante dalla generale riserva  di  tali  atti  alla  sola
Autorita'  Giudiziaria  e   mediante   provvedimento   motivato;   la
conseguenza, in base a quanto previsto dall'art. 191  del  codice  di
procedura penale,  che  sancisce  la  inutilizzabilita'  delle  prove
vietate dalla legge,  dovrebbe  quindi  essere  la  inutilizzabilita'
degli esiti  di  detta  perquisizione;  ma  la  giurisprudenza  della
Suprema Corte, come meglio oltre si dira', e' assolutamente di  segno
contrario,  nonostante  la  sanzione  dell'inutilizzabilita'   sembri
emergere gia' direttamente a livello di previsione costituzionale. 
    Come si e' detto,  gli  articoli  13  e  14  Cost.  (che  infatti
richiama le garanzie dell'art.  13  Cost.)  prevedono  che  «in  casi
eccezionali di necessita' ed urgenza, indicati  tassativamente  dalla
legge, l'autorita' di pubblica sicurezza puo' adottare  provvedimenti
provvisori,  che  devono  essere  comunicati  entro  quarantotto  ore
all'autorita'  giudiziaria  e,  se  questa  non  li  convalida  nelle
successive quarantotto ore, si intendono revocati e restano privi  di
ogni efficacia»; cio' comporta, a parere di questo Giudice,  che  gli
atti di ispezione, perquisizione e  sequestro  abusivamente  compiuti
dalla polizia giudiziaria o non motivatamente  convalidati  dall'A.G.
rimangano  senza  effetto  anche  sul  piano  probatorio;  la   legge
ordinaria ha quindi dato attuazione alla  previsione  costituzionale,
prevedendo casi tassativi per  l'esercizio  dei  poteri  di  arresto,
fermo, perquisizione, ispezione e sequestro da parte delle  forze  di
polizia, ed ha introdotto in via generale, con l'art. 191 del  codice
di procedura penale,  la  previsione  della  inutilizzabilita'  delle
prove acquisite in violazione di un divieto di legge. 
    Invero, anche  a  prescindersi  poi  dalla  gia'  chiara  lettera
dell'art.  13,  comma  3  Cost.,  gia'  le   ordinarie   disposizioni
processuali dovrebbero condurre  al  risultato  interpretativo  della
inutilizzabilita' degli esiti  della  perquisizione  illegittima,  in
presenza di una norma,  come  l'art.  191  del  codice  di  procedura
penale, che sanziona con l'inutilizzabilita' le  prove  acquisite  in
violazione di un divieto di legge. 
    Va tuttavia rilevato che il diritto  vivente,  quale  discendente
dalla monolitica interpretazione che  la  giurisprudenza  ha  offerto
delle norme di legge  (in  particolare,  proprio  dell'art.  191  del
codice di procedura penale) dettate a sanzione  di  inutilizzabilita'
dell'assunzione di prove vietate dalle legge, non assegna conseguenze
di inutilizzabilita' agli  esiti  delle  perquisizioni  ed  ispezioni
compiute dalle forze di polizia fuori dei casi in cui la legge glielo
consente, o in esecuzione di un atto giurisdizionale illegittimo. 
    Affermando anzi l'utilizzabilita' probatoria del corpo di reato e
delle cose pertinenti al reato acquisite grazie a tali  perquisizioni
ed ispezioni, anche se avvenute  in  violazione  di  un  divieto,  la
giurisprudenza della Suprema  Corte,  a  parere  di  questo  Giudice,
vanifica le  garanzie  costituzionali,  dando  luogo  ad  un  diritto
vivente che si pone in contrasto  con  esse,  come  meglio  oltre  si
dira'. 
    Come si e' osservato, l'esecuzione di una perquisizione fuori dei
casi o delle forme imposte dalla Costituzione e dalla  legge  che  ne
sia attuazione, dovrebbe  condurre  all'inutilizzabilita'  probatoria
degli esiti della perquisizione e del sequestro, in forza  di  quanto
previsto dagli articoli 13 e 14 Cost., che espressamente  statuiscono
che detti atti, nei casi suddetti, «si intendono revocati  e  restano
privi di ogni efficacia»: con linguaggio  la  cui  chiarezza  non  e'
stata  forse  finora   adeguatamente   apprezzata,   il   Legislatore
costituzionale  aveva  cioe'  chiaramente  introdotto   la   sanzione
dell'inutilizzabilita' degli esiti degli atti di polizia  giudiziaria
illegittimamente invadenti la sfera della liberta' personale. 
    Ed invero, la sanzione delle «revoca e perdita di ogni efficacia»
e' dalla norma costituzionale assegnata  non  solo  alla  illegittima
esecuzione di  atti  di  arresto  o  di  fermo,  ma  genericamente  e
complessivamente  al  caso  dell'adozione  dei   «provvedimenti»   di
polizia, in materia di liberta' personale, fuori  dei  casi  previsti
dalla legge; e -  a  meno  di  voler  affermare  che  il  Legislatore
costituzionale abbia impiegato con imprecisione e  scarsa  padronanza
la lingua italiana - i provvedimenti in  questione  non  possono  non
essere che tutti quelli contemplati  dalla  norma  stessa,  e  quindi
anche le ispezioni e le perquisizioni personali, che l'art. 13  Cost.
tutti ricomprende nell'ambito degli atti  che  limitano  la  liberta'
personale. Non appare quindi corretta  l'interpretazione  che  voglia
limitare la previsione costituzionale della «perdita di efficacia» ai
soli  provvedimenti  soppressivi  della  liberta'  personale,   quali
l'arresto ed il fermo,  atteso  che  l'art.  13  Cost.  utilizza  una
formula  omnicomprensiva  (i  «provvedimenti  provvisori»  adottabili
dalla polizia giudiziaria) che a tutti i provvedimenti da detta norma
contemplati risulta riferirsi, come evincibile anche dalla disciplina
adottata  dall'art.  14  Cost.,  che   espressamente,   li   richiama
«nominatim» («ispezioni,  perquisizioni  o  sequestri»)  prevedendone
l'adattabilita'  da  parte  della  polizia  giudiziaria  «secondo  le
garanzie prescritte per la tutela della liberta' personale». 
    Cio' precisato, va osservato che l'unica efficacia perdurante nel
tempo (e  di  cui  la  norma  costituzionale  si  e'  preoccupata  di
prevedere la cessazione), che puo' ipotizzarsi rispetto  ad  atti  di
perquisizione o ispezione che siano gia' stati compiuti  e  terminati
nella loro esecuzione  (come  e'  necessariamente,  dato  che  ne  e'
prevista la convalida entro 96 ore al massimo dalla loro esecuzione),
e' solo  quella  che  attiene  alla  loro  capacita'  probatoria;  la
sanzione di perdita dell'efficacia equivale quindi  a  quella  -  nel
linguaggio che  il  codice  di  procedura  repubblicano  ha  adottato
quarant'anni  dopo  l'approvazione   della   Costituzione   -   della
inutilizzabilita' introdotta dall'art. 191 del  codice  di  procedura
penale per le prove assunte in violazione di un divieto di legge. 
    E'  bene  poi  ulteriormente  precisare  che  l'art.   13   Cost.
riconnette la conseguenza delle perdita di efficacia  degli  atti  di
polizia, alla circostanza che essi non vengano convalidati  dall'A.G.
in un termine dato; ma la ratio della  norma  costituzionale  sarebbe
senz'altro frustrata se fosse sufficiente  che  il  provvedimento  di
convalida si risolvesse in una pura forma non esprimente un effettivo
controllo circa la legalita' dell'atto di polizia giudiziaria; di qui
la prescrizione (a parere di questo Giudice evincibile  dal  comma  2
dell'art. 13  Cost.,  come  si  e'  gia'  osservato)  che  l'atto  di
convalida debba essere motivato, poiche' e' solo con un  atto  avente
tali caratteristiche che l'art. 13 Cost. consente che  l'A.G.  incida
sulla liberta' personale: e non avrebbe senso prevedere la necessita'
dell'atto motivato allorche' l'A.G., titolare  in  via  ordinaria  di
tale potere, proceda di sua iniziativa, e non  gia'  allorche'  debba
verificare che la polizia giudiziaria non abbia  esorbitato  dai  (od
addirittura abusato dei) casi del tutto eccezionali in cui  la  legge
le concede di intervenire in materia di liberta' personale. 
    E' quindi ovvio che, nel sistema delineato dall'art. 13 Cost., la
convalida operi in quanto  espressione  di  un  effettivo  potere  di
verifica in ordine alla concreta ricorrenza dei presupposti legali di
esecuzione della perquisizione personale (non e' un caso, ad es., che
lo stesso art. 103 del decreto del  Presidente  della  Repubblica  n.
309/1990 prevede, come peraltro e' ovvio, che  l'AG  convalidera'  la
perquisizione  «ove  ne  ricorrano  i  presupposti»),   e   non   sia
sufficiente  un  mero  provvedimento   di   convalida   assolutamente
immotivato sulla  ravvisabilita'  della  situazione  legittimante  la
perquisizione, personale o domiciliare: situazione che,  nel  vigente
sistema, e' data fondamentalmente dalla  ricorrenza  della  flagranza
del reato o  dalla  ricorrenza  di  fondate  ragioni  che  inducano a
ritenere che sia in corso l'esecuzione di un delitto  in  materia  di
stupefacenti o armi (con riferimento alle due norme  -  gli  articoli
103 del decreto del Presidente della  Repubblica  n.  309/1990  e  41
TULPS - legittimanti la perquisizione fuori dei casi di flagranza, di
maggiore rilevanza statistica). 
    Peraltro, non solo le norme nazionali, costituzionali e di  legge
ordinaria,  impongono  che   la   polizia   giudiziaria   proceda   a
perquisizioni solo nei casi tassativamente stabiliti dalla  legge,  e
che il loro operato sia sottoposto ad un effettivo controllo da parte
dell'Autorita' Giudiziaria. 
    Infatti, a proposito della necessita' di una valutazione concreta
e condivisibile da parte dell'A.G., circa la  ricorrenza  di  ragioni
adeguatamente   giustificatrici   dell'esercizio   del   potere    di
perquisizione, va anche richiamata, per l'assoluta  importanza  della
fonte, che assegna alla decisilone rilievo costituzionale ex art. 117
Cost., la sentenza 16 marzo 2017, Modestou c. Grecia, con la quale la
Corte europea dei diritti dell'uomo (d'ora in poi per brevita'  CEDU)
ha ritenuto essersi verificata violazione dell'art.  8  Cedu,  in  un
caso in cui era stata  eseguita  perquisizione  presso  il  domicilio
personale  e  professionale  del  ricorrente  senza  alcun  controllo
giurisdizionale ex ante e sulla scorta di un mandato di perquisizione
generico;   ne'   era   stato   previsto   un   immediato   controllo
giurisdizionale ex post, considerato che la  Corte  d'appello,  adita
dal ricorrente, aveva respinto la doglianza non solo piu' di due anni
dopo la perquisizione in questione, ma nemmeno  indicando  neppure  i
motivi «rilevanti e sufficienti» giustificativi della  perquisizione:
sentenza dalla quale si trae quindi conferma che,  secondo  le  norme
della CEDU, nella vincolante interpretazione  offertane  dalla  Corte
EDU,   l'A.G.   debba   operare   una   illustrazione   motivata   (e
condivisibile) delle ragioni della perquisizione, al fine di  rendere
verificabile la  legittimita'  dell'esercizio  del  relativo  potere;
statuizione che, se vale per le perquisizioni  autorizzate  dall'AG.,
deve a maggior ragione valere per quelle operate  direttamente  dalla
polizia giudiziaria e successivamente convalidate dalla A.G.. 
    Poiche' quindi e' ad un provvedimento adeguatamente motivato  che
l'art. 13 Cost. ricollega  la  salvezza  degli  effetti  dell'operato
della polizia giudiziaria, ne consegue che, sebbene le nullita' degli
atti per difetto di motivazione siano generalmente rilevabili solo su
eccezione di parte, in questo caso  debba  invece  ritenersi  che  la
ricorrenza di un atto di convalida adeguatamente motivato, nella  sua
funzione  costituzionale  di  salvezza  degli  effetti  dell'atto  di
polizia giudiziaria, sia un elemento della fattispecie costituzionale
«sanante» la cui ricorrenza debba essere verificata d'ufficio;  cosi'
come dovra' verificarsi che, a prescindere  da  quanto  eventualmente
affermato col provvedimento di convalida (si pensi ad es. all'ipotesi
di una motivazione non pertinente alle ragioni giustificatrici  della
perquisizione, come e' nel caso in oggetto; o ad una motivazione  non
aderente ai dati fattuali emergenti  dagli  atti;  o  che  da  questi
tragga  conclusioni  assolutamente  illogiche  o  assolutamente   non
giustificate), ricorressero effettivamente i presupposti  perche'  la
polizia giudiziaria esercitasse i suoi poteri  previsti  in  via  del
tutto eccezionale. 
    Tuttavia, come si e' osservato, tali  esiti  epistemologici  sono
estranei   alla   interpretazione   accolta   dalla    giurisprudenza
assolutamente dominante che, a far  data  dall'insegnamento  espresso
dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione con la sentenza n. 5021
del 27 marzo 1996, ha ritenuto la  piena  utilizzabilita'  probatoria
degli esiti delle perquisizioni e sequestri  eseguiti  dalla  polizia
giudiziaria al di fuori dei casi previsti dalla legge, pur  prendendo
le mosse da statuizioni di principio di segno apparentemente  opposto
alle conclusioni finali. 
    In realta', con la suddetta  sentenza,  le  Sezioni  Unite  della
Suprema Corte di cassazione (svolgendo un'argomentazione  di  cui  la
sentenza C. cost. n. 219/2019 non si  e'  occupata)  hanno  in  primo
luogo affermato a chiare lettere che la conseguenza  di  un'attivita'
di  illecita  acquisizione   della   prova,   nello   specifico   una
perquisizione  illegittima,  non  puo'  limitarsi  a  mere   sanzioni
amministrative,  disciplinari  o  penali  nei  confronti  dell'autore
dell'illecito, ma deve  comportare  l'inutilizzabilita'  della  prova
stessa, statuendo che: 
        «non e' certamente difficile riconoscere che allorquando  una
perquisizione  sia  stata  effettuata  senza   l'autorizzazione   del
magistrato e non nei "casi" e nei "modi" stabiliti dalla legge, cosi'
come disposto dall'art. 13 della Costituzione, si e' in  presenza  di
un mezzo di ricerca della prova che non e' piu'  compatibile  con  la
tutela  del  diritto  di  liberta'  del   cittadino,   estrinsecabile
attraverso  il  riconoscimento  dell'inviolabilita'  del   domicilio.
L'illegittimita' della ricerca di una prova, pur quando non assuma le
dimensioni dell'illiceita' penale (cfr. art. 609 del codice  penale),
non puo' esaurirsi nella  mera  ricognizione  positiva  dell'avvenuta
lesione del diritto  soggettivo,  come  presupposto  per  l'eventuale
applicazione di sanzioni amministrative o  penali  per  colui  o  per
coloro che ne sono stati  gli  autori.  La  perquisizione,  oltre  ad
essere un atto di investigazione diretta, e' il mezzo piu' idoneo per
la ricerca di una prova preesistente e, quindi, diviene partecipe del
complesso procedimento acquisitivo della prova, a causa del  rapporto
strumentale che si pone tra la ricerca e la scoperta di cio' che puo'
essere necessario o utile ai  fini  della  indagine:  nessuna  prova,
diversa da  quelle  che  possono  formarsi  soltanto  nel  corso  del
procedimento, potrebbe  essere  acquisita  al  processo  se  una  sua
ricerca non sia  stata  compiuta  e  questa  non  abbia  avuto  esito
positivo. 
        Se e' vero che una perquisizione, quale mezzo di  ricerca  di
una prova, non puo' essere a quest'ultima assimilata e, quindi, e' di
per se'  stessa  sottratta  alla  materiale  possibilita'  di  essere
suscettibile di una diretta utilizzazione  nel  processo  penale,  e'
altrettanto vero che il rapporto funzionale che  avvince  la  ricerca
alla scoperta non puo' essere fondatamente escluso. 
        Ne consegue che il rapporto tra perquisizione e sequestro non
e' esauribile  nell'area  riduttiva  di  una  mera  consequenzialita'
cronologica, come si era affermato in  numerose  pronunce  di  questa
Corte prima dell'entrata in vigore  del  nuovo  codice  di  procedura
penale, e com'e' stato, anche in  epoca  successiva,  qualche  volta,
ribadito (cfr. Sez. 1- 17.2.1976 ric.  Cavicchia;  Sez.  VI-23.1.1973
ric.Ferraro; Sez.V-24.11.1977 ric. Manussardi; Sez. 1-15.3.1984  ric.
Zoccoli; Sez.VI-24.4.1991 ric. Lione; Sez.V-12.1.1994 ric.  Vetralla,
etc) la perquisizione non e' soltanto l'antecedente  cronologico  del
sequestro, ma rappresenta lo strumento giuridico che rende  possibile
il ricorso al sequestro.» 
    Proseguiva inoltre la Corte osservando che, pur vero  che  esista
una distinzione concettuale tra  la  perquisizione,  quale  mezzo  di
ricerca della prova, ed il sequestro quale strumento di  acquisizione
della  prova,  cio'  non  ha   alcuna   rilevanza   ai   fini   della
inutilizzabilita' della prova acquista a seguito di una perquisizione
illegittima, atteso che: 
        «la  stessa  utilizzabilita'  della  prova  e'   pur   sempre
subordinata alla esecuzione di un legittimo procedimento  acquisitivo
che si sottragga, in ogni  sua  fase,  a  quei  vizi  che,  incidendo
negativamente sull'esercizio di  diritti  soggettivi  irrinunciabili,
non  possono  non  diffondere  i  loro  effetti  sul  risultato  che,
attraverso quel procedimento, sia stato conseguito.  Del  resto,  non
puo' neppure ignorarsi che e' lo stesso  ordinamento  processuale  ad
aver riconosciuto il rapporto funzionale esistente tra  perquisizione
e sequestro: l'art. 252 del codice  di  procedura  penale  impone  il
sequestro delle "cose rinvenute  a  seguito  della  perquisizione"  e
l'art. 103, comma VII° dello  stesso  codice  espressamente  sancisce
l'inutilizzabilita' dei  risultati  delle  perquisizioni  allorquando
queste sono state eseguite in violazione delle  particolari  garanzie
di cui debbono fruire i difensori per poter  esercitare  congruamente
il diritto di difesa. E non si vede  perche'  a  diverse  ed  opposte
conclusioni dovrebbe pervenirsi quando una  perquisizione  sia  stata
comunque eseguita in violazione di particolari disposizioni normative
che assicurano,  in  concreto,  l'attuazione  di  quella  ineludibile
garanzia costituzionale, nei limiti in cui essa e' stata riconosciuta
dall'art. 13, comma 2° della Costituzione: si tratta pur sempre di un
procedimento acquisitivo della prova che reca l'impronta  ineludibile
della subita lesione ad un diritto soggettivo, diritto  che,  per  la
sua rilevanza costituzionale, reclama e giustifica la  piu'  radicale
sanzione  di  cui  l'ordinamento   processuale   dispone,   e   cioe'
l'inutilizzabilita' della prova cosi'  acquisita  in  ogni  fase  del
procedimento.» 
    Il prosieguo della statuizione della Suprema Corte  si  risolveva
peraltro, ed alquanto sorprendentemente  (considerate  le  premesse),
nella pratica vanificazione della portata  di  tali  principi  appena
enunciati; continuava  infatti  detta  sentenza  affermando  comunque
valido il sequestro, perche' atto dovuto, allorche' avesse ad oggetto
il corpo del reato o cose pertinenti al reato;  pertanto,  di  fatto,
l'unico sequestro che sarebbe stato inutilizzabile a fini  probatori,
sarebbe stato quello gia' di per se' inutile e che non avrebbe quindi
comunque dovuto essere disposto, perche' non relativo  ne'  al  corpo
del reato, ne' a cose  pertinenti  al  reato;  affermava  infatti  la
Suprema Corte a SSUU: 
        «Orbene, se e' vero che l'illegittimita' della ricerca  della
prova  del  commesso  reato,   allorquando   assume   le   dimensioni
conseguenti ad una palese violazione delle norme poste a  tutela  dei
diritti  soggettivi  oggetto  di  specifica  tutela  da  parte  della
Costituzione, non puo', in linea  generale,  non  diffondere  i  suoi
effetti invalidanti sui risultati che quella ricerca ha consentito di
acquisire,  e'  altrettanto  vero  che  allorquando  quella  ricerca,
comunque effettuata, si  sia  conclusa  con  il  rinvenimento  ed  il
sequestro del corpo del reato o delle cose pertinenti al reato, e' lo
stesso ordinamento processuale a considerare del tutto irrilevante il
modo con il quale  a quel  sequestro  si  sia  pervenuti:  in  questa
specifica ipotesi, e ancorche' nel contesto  di  una  situazione  non
legittimamente creata, il sequestro rappresenta un "atto dovuto",  la
cui omissione esporrebbe  gli  autori  a  specifiche  responsabilita'
penali,  quali  che  siano   state,   in   concreto,   le   modalita'
propedeutiche e funzionali  che  hanno  consentito  l'esito  positivo
della ricerca compiuta. 
    Va osservato che, comunque, le predette Sezioni Unite della Corte
sembravano voler lasciare aperta la possibilita' di  conseguenze  sul
piano probatorio, nel caso di perquisizione eseguita fuori  dei  casi
in cui la legge la consentisse, osservando 
        «Con cio' non si intende affatto affermare che l'oggetto  del
sequestro, a causa della sua intrinseca  illiceita',  ovvero  per  il
rapporto strumentale che esso puo' esprimere in  relazione  al  reato
commesso,  possa,  per  cio'  solo,  dissolvere  quella   connessione
funzionale   che   lega   la   perquisizione   alla    scoperta    ed
all'acquisizione di  cio'  che  si  cercava,  ma  si  vuole  soltanto
precisare che allorquando ricorrono le condizioni previste  dall'art.
253, comma 1° del codice di procedura penale gli aspetti  strumentali
della ricerca, pur rimanendo partecipi del  procedimento  acquisitivo
della prova, non possono mai paralizzare l'adempimento di un  obbligo
giuridico che trova la  sua  fonte  di  legittimazione  nello  stesso
ordinamento  processuale  ed  ha  una  sua  razionale  ed   appagante
giustificazione nell'esigenza che l'ufficiale di polizia  giudiziaria
non si sottragga all'adempimento dei doveri indefettibilmente  legati
al suo "status", qualunque sia la situazione - legittima o  no  -  in
cui egli si trovi ad operare». 
    Tali   statuizioni   avrebbero   potuto,    quindi,    risolversi
nell'asserzione della legittimita' del sequestro, ferma  restando  la
inutilizzabilita' probatoria del suo oggetto; ma  le SS.UU.,  invece,
concludevano  osservando  che  gli  agenti  di  polizia   giudiziaria
avrebbero poi potuto testimoniare sugli  esiti  della  perquisizione,
ferma restando l'inutilizzabilita' di essa in quanto tale  (e  cioe',
par  di  capire,  con  inutilizzabilita'  solo  del  verbale  che  ne
documenta modalita', tempo, luoghi e risultato). 
    Da tale arresto delle Sezioni Unite ha tratto origine e  sviluppo
una giurisprudenza che si e'  ancorata  unicamente  alle  statuizioni
circa  la  legittimita'  ed  utilizzabilita'  a  fini  probatori  del
sequestro, rimanendo apparentemente dimentica dell'insegnamento e dei
principi affermati  dalle  stesse  SS.UU.  nella  prima  parte  della
propria statuizione,  e  che  probabilmente  avrebbero  meritato  una
riflessione e sviluppo su possibili ulteriori  esiti  interpretativi:
come,  ad  es.,  quello  che   volesse   limitare   l'utilizzabilita'
probatoria del sequestro alla res in quanto  tale,  cioe'  nella  sua
materiale idoneita' a provare la sussistenza del fatto (si  pensi  al
rinvenimento di un'arma o di sostanza stupefacenti, idonei a  provare
i reati di detenzione illecita di  tali  oggetti)  ed  a  fungere  da
eventuale supporto di tracce di reato (impronte  digitali,  materiale
biologico suscettibile di  comparazione  del  DNA)  aventi  carattere
individualizzante:  interpretazione,  questa,  sostenuta  da   questo
Giudice in precedenti procedimenti,  ma  non  condivisa  dai  Giudici
competenti per i successivi gradi, che si sono  sempre  rimessi  alla
giurisprudenza che  si  e'  richiamata  e  che  delle  citate  SS.UU.
coglieva, sostanzialmente, solo quanto risultante dal  dispositivo  e
dalla massima. 
    Come si e' detto, la successiva giurisprudenza di legittimita' si
e'  monoliticamente   assestata   su   tali   esiti   interpretativi,
confermando reiteratamente la legittimita' del sequestro  conseguente
ad una perquisizione illegittima,  e  la  sua  piena  utilizzabilita'
probatoria; si citano,  a  titolo  di  esempio  e  senza  pretesa  di
esaustivita', ed in assenza di pronunzie di segno contrario,  che  lo
scrivente magistrato non e' riuscito a rinvenire: 
        Sez. 3, ordinanza n. 3879  del  14  novembre  1997;  Sez.  1,
sentenza n. 2791 del 27 gennaio 1998, Sez. 5, sentenza n. 6712 del  7
dicembre 1998, Sez. 3, sentenza n. 1228 del 17 marzo  2000,  Sez.  4,
sentenza n. 8052 del 2 giugno 2000, Sez. 6, sentenza n.  3048  del  3
luglio 2000, Sez. 2, sentenza n. 12393 del 10 agosto  2000,  Sez.  1,
sentenza n. 45487, del 28 settembre 2001, Sez. 1, sentenza  n.  41449
del 2 ottobre 2001, Sez. 1, sentenza n. 497 del 5 dicembre 2002, Sez.
5, sentenza n. 1276 del 17 dicembre 2002, Sez. 2, sentenza  n.  26685
del 14 maggio 2003, Sez. 2, sentenza n. 26683  del  14  maggio  2003,
Sez. 1, sentenza n. 18438 del 28 aprile 2006,  Sez.  2,  sentenza  n.
40833 del 10 ottobre 2007, Sez. 6, sentenza n. 37800  del  23  giugno
2010, Sez. 1, sentenza n. 42010 del 28 ottobre 2010, Sez. 2, sentenza
n. 31225 del 25 giugno  2014,  Sez.  3,  sentenza  n.  19365  del  17
febbraio 2016 (quest'ultima addirittura nel senso della  legittimita'
di  perquisizioni  ordinate  od  eseguite  in  forza  di  sole  fonti
confidenziali), i Sez. 2, sentenza n. 15784  del  23  dicembre  2016,
Sez. 5, sentenza n. 32009 dell'8 marzo 2018. 
    Anche  le  sentenze  gia'  richiamate  in  precedenza,  che   pur
affermavano l'illegittimita' del sequestro o della  perquisizione  (o
intercettazione) operate in forza di fonti confidenziali  o  anonime,
sembrano in realta' essersi arrestate (tranne che per il  caso  delle
intercettazioni, e verosimilmente in quanto per esse gia'  esiste  un
sistema puntualmente codificato di  inutilizzabilita'  delle  stesse,
che  funge  da  ancoraggio  giuridico-culturale  all'accettazione  di
ulteriori   ipotesi   di   inutilizzabilita')   al    mero    rilievo
dell'illegittimita' dell'atto (e dell'obbligo di  restituzione  della
res), senza trarne sino in fondo le conseguenze relative al regime di
inutilizzabilita' probatoria. 
    Alla luce dei richiamati principi espressi dagli articoli.13 e 14
Cost., questo giudicante ritiene  che  le  norme  vigenti,  per  come
interpretate dalla giurisprudenza assolutamente prevalente e tale  da
dar luogo ad un vero e proprio diritto vivente (che condurrebbe  -  e
gia' ha condotto in altri casi -  alla  riforma  della  sentenza  che
questo Giudice dovesse adottare discostandosi  da  esso),  non  siano
rispettose  del  dettato  costituzionale,  ed  in  particolare  degli
articoli  3,  13,  14  e  117  (con  riferimento  all'art.  8   della
Convenzione EDU) della Costituzione, nella parte in cui le  norme  di
diritto ordinario consentono l'utilizzabilita' processuale - mediante
deposizione testimoniale di chi abbia  operato  la  perquisizione  od
ispezione illegittima, o la lettura od altra forma  di  utilizzazione
del verbale di quanto risultante dalla perquisizione e dal  sequestro
- della  valenza  probatoria  degli  esiti  di  una  perquisizione  o
ispezione  di   quanto   eventualmente   sequestrato   in   occasione
dell'esecuzione di tali atti, allorche' tali atti  di  ricerca  della
prova  siano  stati  disposti  dall'A.G.  senza   il   rispetto   dei
presupposti e delle forme  dettati  dalla  legge,  o  eseguiti  dalla
polizia giudiziaria fuori dei casi in cui la legge  costituzionale  e
quella ordinaria le attribuiscono il relativo potere. 
    Vi sarebbe  poi  anche  violazione  dell'art.  111  Cost.  -  per
vanificazione del diritto dell'imputato ad un  Giudice  imparziale  e
dotato del potere di esercitare la giurisdizione nel giusto  processo
- per la mancata previsione della perdita di efficacia degli esiti di
una perquisizione, nel caso in  cui  il  provvedimento  di  convalida
adottato dall'A.G. sia dato verbalmente e non documentato, o comunque
sia stato adottato senza che ne risultino le ragioni, o in  forza  di
elementi  che  era  vietato   utilizzare   (a   tutela   di   diritti
costituzionali),  e  quella  in  cui  il  pubblico  ministero   abbia
successivamente   convalidato   la   perquisizione   senza   concreta
motivazione in ordine alla  ricorrenza  dei  casi  in  cui  la  legge
assegnava  in  via  eccezionale  il  relativo  potere  alla   polizia
giudiziaria. 
    L'interpretazione   maggioritaria   circa   l'irrilevanza   della
illegittimita' della perquisizione  sulla  utilizzabilita'  dei  suoi
esiti  si  risolverebbe  quindi,  del  tutto  paradossalmente,  nella
teorizzazione di un sistema giuridico che vuole inefficaci ab origine
(e  sempre,  ovviamente,  che  la  Corte  costituzionale   ne   abbia
dichiarato l'incostituzionalita')  le  leggi  contrarie  ai  principi
costituzionali, ma efficacissimi ed inattaccabili gli atti di polizia
giudiziaria compiuti in violazione  dei  diritti  costituzionali  del
cittadino. 
    Tale giurisprudenza, inoltre: 
        a) sembra operare una confusione di piani  tra  il  sequestro
inutilizzabile ed il sequestro inutile probatoriamente, posto che, di
fatto,  e  data  l'estensione  concettuale  della  nozione  di   cose
pertinenti al reato, finisce con escludere la validita' - in caso  di
perquisizione operata  fuori  dei  casi  consentiti  dalla  legge,  e
percio' vietata - solo del sequestro inutile: il che e' assolutamente
inconferente rispetto alle tematiche e problematiche poste  dall'art.
191 del codice di procedura penale; 
        b) non considera che il sequestro non e'  una  prova,  ma  il
mezzo che serve ad assicurare al processo  la  res  che  puo'  essere
fonte di prova; 
        c) non considera che la valenza probatoria di una determinata
res e' generalmente data non dalla sola cosa in se'  (la  quale  puo'
generalmente  provare  solo  la  sussistenza   del   fatto   ma   non
necessariamente chi lo abbia commesso, se non nel caso in  cui  sulla
res siano rinvenibili tracce biologiche, papillari o di altro  genere
che ne permettano la riconducibilita' ad un determinato soggetto), ma
anche dalle circostanze del suo  rinvenimento,  specie  allorche'  si
tratti appunto del corpo del reato, essendo il suo possesso  (svelato
dalla perquisizione) ad essere indizio grave di commissione del reato
stesso; 
        d) non osserva che, pertanto, cio' che sommamente rileva  non
e'  tanto  la  legittimita'  del  sequestro,  quanto   quella   della
perquisizione tramite la quale  si  e'  rinvenuta  la  res  (con  suo
successivo  sequestro),  atteso   che   e'   la   perquisizione   che
generalmente  comprova  quella  relazione  personale  tra   la   cosa
indiziante di delitto e l'autore dello stesso; 
        e) non avverte che la ratio della norma di cui  all'art.  191
del codice di procedura penale, che prevede l'inutilizzabilita' delle
prove acquisite in violazione di un divieto di legge,  e'  quella  di
offrire un valido presidio ai diritti  costituzionalmente  garantiti,
disincentivandone le violazioni  finalizzate  all'acquisizione  della
prova, rendendone inutilizzabili gli esiti probatori (si veda ad  es.
la   disciplina   della   inutilizzabilita'   delle   intercettazioni
illegittime ex art. 271 del codice  di  procedura  penale;  si  pensi
all'inutilizzabilita' ex art. 188 del codice di procedura  penale  di
una confessione assunta sotto tortura o sotto l'effetto di metodi che
possano influire sulle capacita' di autodeterminazione della  persona
dichiarante; si considerino  le  conseguenze  di  un'acquisizione  di
tabulati del traffico telefonico eseguita dalla  polizia  giudiziaria
in assenza di provvedimento motivato dell'A.G.); 
        f) non assegna  adeguato  valore  alla  circostanza  che  una
perquisizione domiciliare o personale, eseguita da chi non ne  ha  il
potere, e' un  caso  tipico  di  prova  vietata  dalla  legge  ed  in
violazione di diritti costituzionali della persona (cfr. articoli  13
e 14 Cost.; art. 8  CEDU),  e  la  conseguenza  deve  necessariamente
essere  la  inutilizzabilita'  dei  suoi  risultati  (come   previsto
dall'art. 13, comma 3 Cost.), conformemente a quella che e' la  ratio
dell'art.  191  del  codice  di  procedura   penale   che,   inibendo
l'utilizzabilita' degli esiti delle prove vietate perche' assunte  in
violazione di diritti costituzionali, intende appunto scoraggiare  la
violazione di quei diritti costituzionali; 
        g) non considera che ritenere altrimenti, lasciando aperta la
possibilita' di una sorta di «sanatoria» ex post, legata  agli  esiti
della perquisizione, equivale a negare la tutela  del  cittadino  dai
possibili abusi della polizia giudiziaria: tutela assicurata  in  via
generale ed astratta dagli articoli 13 e 14 Cost.,  ma  che  verrebbe
vanificata dall'incentivazione agli abusi per mancanza di conseguenze
processuali relative alla inutilizzabilita' dei loro risultati; ed  i
drammatici fatti di Genova e di Bolzaneto  appaiono  esserne  storica
conferma e dimostrazione. 
    Quella discendente dalla citata sentenza delle SS.UU. n. 5021 del
27 marzo 1996 appare quindi essere  un'interpretazione  dalla  scarsa
tenuta  logica,  idonea  a  fungere  da  vera  e  propria   mina   di
irrazionalita', che si presta ad introdurre trattamenti  irrispettosi
del   principio   di   eguaglianza   delle   situazioni   processuali
equiparabili:  si  pensi  alla  gia'  richiamata  giurisprudenza  che
riconosce la non utilizzabilita' di altre prove  vietate,  quali  gli
anonimi  e  le   fonti   confidenziali,   nemmeno   ai   fini   della
legittimazione di una perquisizione. 
    Tali considerazioni devono invece condurre  a  ritenere  che  una
perquisizione eseguita in forza di elementi non utilizzabili, e senza
che ricorresse gia' una preesistente situazione di flagranza, sia non
solo illegittima, ma anche improduttiva di elementi  utilizzabili  ai
fini della prova in danno dell'imputato, atteso che cio' non solo  e'
imposto dagli articoli 13 e 14 Cost., ma anche da una  piana  lettura
dell'art. 191 del codice di procedura penale rispettosa dei  principi
costituzionali, ma allo stato negata dal diritto  vivente,  il  quale
ultimo si pone pertanto in contrasto con i principi costituzionali di
cui agli articoli 13, 14 e 3 Cost.. 
    Nei casi considerati ricorrerebbero infatti, a parere  di  questo
Giudice, i presupposti  di  applicabilita'  della  conseguenza  della
inutilizzabilita' processuale ai sensi dell'art. 191  del  codice  di
procedura penale, in base ad una piana lettura della  norma  ed  alla
ratio della stessa, come colta al punto f) che precede;  ed  infatti,
appare evidente che l'A.G. allorche' autorizza una  perquisizione  in
forza di elementi inutilizzabili o  senza  il  provvedimento  formale
imposto dalla Costituzione -  o  la  polizia  giudiziaria,  allorche'
proceda ad un atto di perquisizione fuori dei casi a lei  consentiti,
compiano un atto che e' loro vietato - e non  semplicemente  un  atto
irrituale o nullo,  come  pure  talora  si  e'  sostenuto  in  talune
pronunzie della Corte  di  Cassazione  -  atteso  che  sia  la  legge
ordinaria che quella costituzionale prevedono una riserva del  potere
di perquisizione all'Autorita' Giudiziria, a sua volta subordinato al
rispetto dei limiti posti dalla  legge,  nella  delineazione  di  una
serie di garanzie a tutela della effettivita' dello Stato di  diritto
(e delle liberta' individuali che questo deve garantire),  in  cui  i
poteri della polizia, degli  organi  amministrativi  e  della  stessa
Autorita' Giudiziaria sono sottoposti al principio di legalita',  nei
casi  che   coinvolgono   l'esercizio   di   diritti   costituzionali
fondamentali dei  privati  (quali  la  liberta'  personale  e  quella
domiciliare, che ex art. 14, comma  2  Cost.  e'  «aggredibile»  solo
«negli stessi casi e modi stabiliti dalla legge secondo  le  garanzie
prescritte per la tutela della liberta' personale»). 
    L'interpretazione dominante che,  invece,  comunque  consente  di
«recuperare» ed utilizzare gli esiti delle perquisizioni illegittime,
negando l'applicabilita' del divieto posto dall'art. 191  del  codice
di procedura penale  all'utilizzabilita'  probatoria  del  corpo  del
reato  o  di  cosa  pertinente  al  reato  e  degli  altri   elementi
conoscitivi acquisiti a seguito di perquisizione illegittima,  appare
pertanto negare concreta attuazione a quanto previsto dagli  articoli
13 e 14 Cost. in ordine alla perdita di efficacia della perquisizione
e delle ispezioni e dei  sequestri  ad  esse  conseguenti,  allorche'
eseguiti  in  violazione  dei  divieti;  l'art.  191  del  codice  di
procedura penale, come esistente nel diritto vivente,  appare  quindi
in contrasto con i predetti articoli 13 e 14 della Costituzione. 
    Non e' peraltro fuori luogo osservare,  come  peraltro  da  tempo
rilevato non solo dalla dottrina, ma anche dalla Suprema  Corte,  che
la  ragione  d'essere  della   disciplina   delle   inutilizzabilita'
stabilita dall'art. 191 del codice di procedura penale non  e'  tanto
di ordine etico (e cioe', il rifiuto del legislatore  di  riconoscere
valore   probatorio   ad   atti   illeciti),   quanto    di    ordine
politico-costituzionale, essendosi rilevato che l'effettivita'  della
tutela dei valori costituzionali che piu' facilmente vengono lesi  in
caso di assunzione di prova in violazione di un divieto,  riposa  nel
negare ogni utilizzabilita' a quanto cosi'  venga  acquisito:  atteso
che, grazie a tale divieto di  utilizzabilita',  si  scoraggeranno  e
disincentiveranno quelle pratiche di  acquisizione  della  prova  con
modalita' illegali (e talora francamente  illecite),  che  violano  i
diritti costituzionali a cui presidio sono appunto  posti  i  divieti
rinvenibili nel codice di rito e nelle norme speciali. 
    Con la citata sentenza n. 219/2019  la  Corte  costituzionale  ha
tuttavia ritenuto che, con l'eccezione sollevata da questo giudicante
(e che qui piu'  argomentatamente  si  ripropone),  si  chiedeva  una
sentenza fortemente manipolativa, eccedente  i  poteri  della  Corte,
perche'  indebitamente  invasiva  sfera   di   discrezionalita'   del
Legislatore, che, ad es. ben potrebbe ritenere bastevole - a garanzia
della inviolabilita' della liberta'  personale  e  domiciliare  -  la
previsione  di  sanzioni  penali  e   disciplinari   in   danno   dei
responsabili di tali violazioni. 
    Orbene, anche a prescindersi di quanto gia' osservato (e  su  cui
la  Corte  costituzionale  non  sembra   aver   svolto   le   proprie
riflessioni) dalla richiamata Sezioni Unite delta Corte di cassazione
sentenza n. 5021 del 27 marzo 1996, in tema di insufficienza  di  una
tutela solo penale o disciplinare (come gia'  si  e'  detto),  questo
Tribunale ritiene tuttavia di dover  sottoporre  ulteriori  argomenti
alla Corte costituzionale,  giudice  delle  leggi;  ed  invero,  puo'
osservarsi che: 
        a) se gli articoli 13 e 14 Cost.  sanciscono  la  inefficacia
degli atti di perquisizione (e limitativi della liberta' personale in
genere), laddove non convalidati (e sul presupposto che convalida  vi
sia solo ove l'atto di  perquisizione  sia  stato  operato  nei  casi
consentiti dalla legge),  e  se  tale  inefficacia  colpisce  e  deve
colpire,  per  previsione   costituzionale,   come   ritiene   questo
giudicante, anche  gli  esiti  probatori  della  perquisizione,  deve
allora ritenersi che l'art. 191 del codice di  procedura  penale  sia
costituzionalmente illegittimo proprio perche' non prevede  anche  la
c.d. inutilizzabilita' derivata,  atteso  che  tale  istituto  apapre
proprio essere quello disegnato dalla sanzione di  perdita  di  «ogni
efficacia» prevista dagli articoli 13 e 14 Cost.; 
        b) il principio di necessaria efficacia dei diritti  e  delle
tutele che la Costituzione ad essi  appresta,  implicito  nella  loro
stessa previsione, ha  gia'  in  piu'  occasioni  mosso  la  Corte  a
sentenze manipolative, della cui  legittimita'  costituzionale  detta
Corte non  ha  dubitato,  e  che  peraltro  sono  generalmente  state
considerate  ampiamente  condivisibili  dalla   dottrina,   allorche'
necessarie a  rimuovere  una  situazione  normativa  complessivamente
lesiva di un diritto costituzionalmente tutelato: e cio' la Corte  ha
generalmente operato «ritagliando», all'interno della  stessa  norma,
ipotesi illegittime da quelle legittime, limitando questa ultime solo
a specifici casi, oltre quei limiti non riconoscendo  l'esistenza  di
una legittima discrezionalita'  legislativa;  a  tale,  a  parere  di
questo Giudice, appare essere anche il caso in oggetto. 
    Cio'   detto,   e   tornando    all'esame    dei    profili    di
incostituzionalita' dell'interpretazione dominante, questo giudicante
deve rilevare che la  giurisprudenza  formatasi  sulla  scorta  della
citata C.  Cass.  SS.UU.  5021/1996  realizza,  pertanto,  anche  una
violazione dell'art. 3 Cost., in quanto del  tutto  irragionevolmente
ed a fronte di una palese identita' di  ratio,  nega  la  conseguenza
dell'inutilizzabilita' di cui all'art. 191 del  codice  di  procedura
penale a casi del tutto sovrapponibili ad altri (e  per  certi  versi
addirittura meno  gravi)  per  i  quali  la  legge  espressamente  la
prevede:  basti  pensare,  ad  es.,  non   solo   alle   ipotesi   di
intercettazioni eseguite d'iniziativa  dalla  polizia  giudiziaria  e
quindi in assenza di decreto motivato dell'A.G. (caso  sanzionato  di
inutilizzabilita' dall'art.  271  del  codice  di  procedura  penale,
avente la medesima  ratio  dell'art.  191  del  codice  di  procedura
penale), ma anche al caso dell'acquisizione dei tabulati del traffico
telefonico  eseguito  senza  provvedimento  motivato   del   pubblico
ministero, ipotesi che  le  stesse  SS.UU.  della  Suprema  Corte  di
cassazione   hanno   ritenuto   dar   luogo    ad    un'ipotesi    di
inutilizzabilita' della prova perche' acquista in  violazione  di  un
divieto di legge (cfr. Sez. U, sentenza n. 21 del 13 luglio 1998). 
    Sempre in tema di violazione dell'art. 3 Cost., appare necessario
rilevare come tale norma si atteggi a scrigno in cui e'  racchiuso  e
riassunto il principio di  necessaria  razionalita'  dell'ordinamento
dello Stato di diritto disegnato dalla Costituzione; razionalita' che
risulta gravemente violata dalla corrente  interpretazione  circa  la
utilizzabilita' degli esiti delle perquisizioni illegittime;  e  cio'
in quanto che: 
        a) l'interpretazione maggioritaria circa l'irrilevanza  della
illegittimita' della perquisizione  sulla  utilizzabilita'  dei  suoi
esiti si risolve attualmente, in maniera del tutto paradossale, nella
teorizzazione di un sistema giuridico che vuole inefficaci ab origine
le leggi incostituzionali (argomenta ex art. 30, comma 3 e  4,  legge
n. 87/1953), e la loro efficacia sospendibile dal  giudice  ordinario
che ne ravvisi un possibile contrasto con le norme costituzionali, ma
efficacissimi - e' non disapplicabili ne' discutibili dal Giudice - e
quindi inattaccabili, anche sotto il profilo probatorio, gli atti  di
polizia giudiziaria compiuti in violazione dei diritti costituzionali
del cittadino; 
        b)  la  suddetta  interpretazione   appare   realizzare   una
negazione  radicale  dei  principi  dello  Stato  di  diritto   quale
tratteggiato dalla Costituzione, racchiuso in germe nell'art. 3 Cost.
(come gia'  si  e'  osservato),  e  piu'  in  particolare  sviluppato
dall'art. 2 Cost., in quanto finisce per risolversi  nell'assenza  di
effettive  garanzie  contro  violazioni   dei   diritti   inviolabili
dell'uomo, tra  i  quali  appare  senz'altro  rientrare  quello  alla
liberta' personale, laddove invece il suddetto art.  2  Cost.  impone
alla Repubblica - anche in adempimento  di  obblighi  internazionali,
atteso che i diritti di cui all'art. 2 Cost.  sono  altresi'  oggetto
della Convenzione europea dei  diritti  dell'uomo,  che  impone  agli
Stati aderenti di garantirne l'effettivita' - non solo di riconoscere
tali diritti, ma di garantirli: il che implica la necessaria adozione
di tutte le cautele necessarie non solo a punire, ma prima di tutto a
proteggere tali diritti scoraggiandone la violazione. In verita',  la
sanzione   dell'inutilizzabilita'   probatoria   che    discenderebbe
dall'art. 191 del codice  di  procedura  penale  (nella  lettura  che
risulterebbe dall'operazione di ortopedia costituzionale  che  questo
Giudicante ritiene necessaria e conforme a quanto statuito dai citati
articoli 13 e 14 Cost.), nel  deprivare  di  effetti  processuali  il
risultato «probatorio» di tali violazioni,  costituisce  la  prima  e
piu' efficace forma di  garanzia  che  uno  Stato  di  diritto  possa
assicurare ai diritti della persona; 
        c) l'interpretazione che si avversa, inoltre, nega  lo  Stato
di diritto quale configurato dall'art. 97, comma 3 Cost., che vuole -
con norma generale che appare applicatile anche alle definizione  dei
poteri dell'A.G. e degli organi di polizia -  l'azione  dei  pubblici
poteri sottomessa al principio di legalita';  se,  come  gia'  si  e'
osservato, in uno Stato di diritto, lo Stato ed i  suoi  organi  sono
per primi vincolati al rispetto delle leggi  di  cui  pur  pretendono
l'osservanza da parte dei consociati, e se  cio'  comporta  non  solo
l'impegno a non violare tali leggi, ma anche a garantire  l'effettivo
rispetto dei diritti  che  tali  leggi  prevedono  ed  attribuiscono,
appare innegabile che ammettere l'efficacia  -  e  per  di  piu'  nel
processo penale ed in aggressione ai diritti di liberta' - degli atti
compiuti dai pubblici poteri in  violazione  di  un  divieto,  appare
negare anche il principio di legalita'  di  cui  all'art.  97  Cost.,
oltre ad attribuire all'azione illegale  degli  organi  statuali  una
prevalenza sui diritti  costituzionali  dei  consociati,  che  appare
realizzare, sotto questo profilo,  una  ulteriore  palese  violazione
dell'art. 3 Cost., in un ordinamento che  vuole  centrali  i  diritti
inviolabili della persona - e quindi quanto  meno  gli  stessi  sullo
stesso piano di quelli della collettivita' e dello Stato - ma finisce
invece per violare tale condizione di pari importanza  per  assegnare
prevalenza all'interesse alla repressione dei reati; 
        d) l'interpretazione di cui si contesta la costituzionalita',
inoltre,  viola   l'art.   3   Cost.   anche   perche',   del   tutto
irrazionalmente, convive con quella che riconosce l'inutilizzabilita'
di prove che la legge vieta  gia'  solo  in  virtu'  della  loro  non
verificabilita' (scritti anonimi,  fonti  confidenziali),  mentre  la
nega a prove acquisite in diretta violazione di un divieto scaturente
dalla legge (anche costituzionale) e che, comunque, si caratterizzano
anch'esse per una ridotta verificabilita': si pensi  appunto  a  come
l'insondabilita'  degli  elementi  che  hanno   spinto   la   polizia
giudiziaria alla perquisizione (come detto, una ignota ed insondabile
fonte  anonima)  non  consenta  di  verificare   la   genuinita'   ed
affidabilita' della «catena indiziaria» e di  escludere  che  possano
essere stati proprio i terzi autori della propalazione  confidenziale
o anonima, o addirittura - come talora e'  purtroppo  accaduto  -  le
stesse forze  di  polizia,  ad  introdurre  nell'abitazione  la  «res
illicita» costituente supposta prova del reato; cosi' evidenziandosi,
sotto  tale  profilo,  anche  un  contrasto  con  l'art.   24   della
Costituzione, per l'evidente limite che la tesi  dell'utilizzabilita'
pone all'esplicazione del diritto di difesa, introducendo nell'ambito
delle prove utilizzabili elementi di cui sia  di  fatto  impossib8ile
verificare approfonditamente la genuinita'. 
    L'interpretazione consolidatasi si pone infine in  contrasto  con
l'art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, e quindi in
contrasto con l'art. 117 Cost. che  impone  allo  Stato  italiano  il
rispetto delle convenzioni internazionali, in quanto si  risolve  nel
non adottare efficaci disencentivi agli abusi delle forze di polizia,
e di qualsiasi organo  dello  Stato  in  genere,  che,  limitando  la
liberta' della persona, si risolvano in indebite  interferenze  nella
sua vita privata o nel suo domicilio, non giustificate  da  oggettive
esigenze di prevenzione o repressione dei  reati;  e  sull'importanza
internazionale del rispetto di tali diritti  fondamentali,  ai  sensi
dell'art. 8 della CEDU, si richiama la gia'  menzionata  sentenza  16
marzo 2017, Modestou c.  Grecia,  della  Corte  europea  dei  diritti
dell'uomo nonche', come si era anticipato, la piu'  recente  sentenza
emessa in data 27 settembre 2018 dalla Prima Sezione  CEDU  nel  caso
Brazzi contro Italia. 
    Con tale  ultima  sentenza,  in  particolare,  la  Corte  EDU  ha
osservato che  la  Convenzione  EDU  impone  che,  nell'ambito  delle
perquisizioni  «il  diritto  interno  offra   garanzie   adeguate   e
sufficienti contro l'abuso e l'arbitrarieta' (Heino, sopra citata,  §
40, e  Gutsanovi  c.  Bulgaria,  n.  34529/10,  §  220,  CEDU  2013",
garantendo "controllo effettivo" delle misure  contrarie  all'art.  8
della Convenzione (Lambert c. Francia, 24 agosto 1998, § 34,  Recueil
des arrêts et decisions 1998-V)», pur osservando che  «il  fatto  che
una  richiesta  di  mandato  sia  stata  oggetto  di   un   controllo
giurisdizionale, non costituisce necessariamente,  di  per  se',  una
garanzia sufficiente contro gli abusi», di talche' la  Corte  EDU  ha
ritenuto essenziale «esaminare le circostanze particolari del caso di
specie e valutare se il quadro giuridico  e  i  limiti  applicati  ai
poteri esercitati costituissero una  protezione  adeguata  contro  il
rischio di ingerenze arbitrarie  delle  autorita'  (K.S.  e  M.S.  c.
Germania, n. 33696/11, § 45, 6 ottobre 2016)». 
    Sulla base di tali premesse concettuali, la Corte EDU giungeva  a
ritenere che, allorche'  (come  e'  nel  caso  oggetto  del  presente
processo) la perquisizione venga ordinata dalla Procura in  una  fase
precoce del procedimento penale (si noti che la  fonte  confidenziale
risulta essere l'unico elemento  che  la  polizia  giudiziaria  abbia
avuto a propria disposizione), il rispetto  dell'art.  8  della  CEDU
comporta «che  una  perquisizione  effettuata  in  questa  fase  deve
offrire garanzie adeguate e sufficienti per evitare che  venga  usata
per  fornire  alle  autorita'  incaricate   dell'inchiesta   elementi
compromettenti su persone non ancora identificate come sospettate  di
aver commesso un reato (Modestou c. Grecia, n.  51693/13,  §  44,  16
marzo 2017). 
    In tale ordine di idee, la Corte EDU e'  pervenuta  ad  affermare
che   lo    stesso    pubblico    ministero    dovrebbe    richiedere
un'autorizzazione ad un Giudice prima di ordinare una  perquisizione,
o quanto meno l'ordinamento dovrebbe garantire la possibilita' di  un
controllo  post   factum,   in   ordine   alla   legittimita'   della
perquisizione; rilevato  che  l'ordinamento  italiano  non  prevedeva
l'autonoma impugnabilita' dei decreto di perquisizione in quanto tale
(e che, nel concreto, non essendo stato rinvenuto alcun  elemento  di
prova ed adottato alcun provvedimento di  sequestro,  tale  controllo
non era stato neanche possibile per via mediata attraverso il riesame
di tale genere di provvedimento), la Corte ha quindi ritenuto esservi
stata una violazione dei diritti della parte istante. 
    Proseguiva poi la Corte osservando che «l'assenza di un controllo
giurisdizionale ex ante puo' essere compensata dalla realizzazione di
un controllo giurisdizionale ex post facto della legittimita' e della
necessita', della misura», rammentando, a tal  proposito,  «di  avere
ammesso  che,  in  alcune  circostanze,  il  controllo  della  misura
contraria all'art. 8  effettuato  dai  giudici  penali  fornisce  una
riparazione adeguata per l'interessato, dal momento  che  il  giudice
procede  a  un  controllo  effettivo  della  legittimita'   e   della
necessita' della misura  contestata  e,  se  del  caso,  esclude  dal
processo penale gli elementi di prova raccolti (Panarisi  c.  Italia,
n. 46794/99, §§ 76 e  77,  10  aprile  2007,  Uzun  c.  Germania,  n.
35623/05, §§ 71 e 72,  CEDU  2010  (estratti),  e  Trabajo  Rueda  c.
Spagna, n. 32600/12, § 37, 30 maggio 2017). 
... omissis paragrafi 46-51 ... 
52. Vi e' stata dunque violazione dell'art. 8 della Convenzione 
    La lettura della sentenza permette quindi di rilevare che,  nella
giurisprudenza della Corte EDU con essa manifestatasi: 
        a)  la  perquisizione  costituisce  un'ingerenza  nella  vita
privata e nella liberta' domiciliare della persona; 
        b) tale ingerenza e' legittima  solo  se  giustificata  dalla
ricorrenza di preesistenti  elementi  indiziari  o  di  sospetto  che
indichino, nel destinatario della perquisizione, l'autore di un reato
le  cui  tracce  possano  essere  reperite   mediante   perquisizione
domiciliare; 
        c) l'ordinamento interno deve assicurare validi ed  effettivi
strumenti di controllo che garantiscano almeno una verifica  ex  post
in ordine alla effettiva  ricorrenza  delle  condizioni  legittimanti
l'ingerenza suddetta; 
        d) tra tali strumenti di controllo ex  post,  ove  altri  non
siano stati attivabili od abbiano concretamente operato, deve  essere
ricompresa l'esclusione degli esiti della perquisizione dal materiale
probatorio utilizzabile. 
    Ne consegue che: 
        1) se il pubblico ministero rilascia un'autorizzazione orale,
o emette un decreto di convalida privo di effettiva motivazione, tali
atti, non costituendo cio' garanzia dell'effettivo  esercizio  di  un
potere di controllo circa la ricorrenza dei presupposti  legittimanti
la perquisizione, non valgono a renderla legittima; 
        2) le fonti  confidenziali,  in  quanto  non  verificabili  e
quindi insuscettibili  di  controllo  ex  ante,  non  possono  essere
utilizzate per disporre perquisizioni; 
        3) laddove una perquisizione sia stata eseguita in virtu'  di
elementi non verificabili o insufficienti a giustificarla, il giudice
penale  debba  escludere  dal   novero   degli   elementi   probatori
utilizzabili quelli acquisiti mediante la suddetta perquisizione. 
    Pertanto, anche alla luce dei principi di cui  all'art.  8  CEDU,
«costituzionalizzati» per il tramite della disposizione dell'art. 117
Cost., la perquisizione eseguita dalla polizia giudiziaria fuori  dei
casi di flagranza, ed in forza  dell'autorizzazione  orale  data  dal
pubblico  ministero,  in  virtu'  di   quanto   riferito   da   fonte
confidenziale o anonima ed in assenza, peraltro, di provvedimento  di
convalida  dotato  di  effettiva  e  concreta  motivazione,  non  era
consentita, e gli esiti dovrebbero essere ritenuti inutilizzabili; la
lettura dell'art. 191 del codice di  procedura  penale,  offerta  dal
diritto vivente, come cristallizzato nelle sentenze gia'  richiamate,
lo esclude, e cio'  la  rende  incostituzionale;  allo  stesso  modo,
risulta contrario agli articoli 13, 14 e 117 Cost. (con  riferimento,
quanto  a  quest'ultima  norma  costituzionale,  all'art.   8   della
Convenzione europea dei diritti dell'uomo), l'art.  103  del  decreto
del Presidente della Repubblica  n.  309/1990,  nella  parte  in  cui
prevede che il pubblico ministero possa  consentire  l'esecuzione  di
perquisizioni in forza di autorizzazione orale  senza  necessita'  di
una successiva documentazione formale  delle  ragioni  per  cui  l'ha
rilasciata: questione di ovvia rilevanza, atteso che e' in forza dfi9
tale disposizione che e'  stata  eseguita  la  perquisizione  che  ha
portato al rinvenimento del corpo del reato ascritto all'imputato. 
    A parere di  questo  giudicante,  la  conseguenza  della  dedotta
incostituzionalita' e' anche il divieto  di  testimonianza,  per  gli
operatori di  polizia  giudiziaria,  in  ordine  al  risultato  delle
attivita'  di  ispezione,  perquisizione  e  sequestro  indebitamente
eseguite; tale divieto, invero, appare  conseguire  alla  perdita  di
ogni  efficacia  di  tali  attivita';  ammettere  tali   deposizioni,
peraltro,  equivarrebbe  a  vanificare  tale  divieto  e   la   ratio
sottostante ai divieti di utilizzabilita' di  cui  all'art.  191  del
codice di procedura penale. 
    Infine, va  osservato  che,  sebbene  si  proceda,  nel  presente
processo, con rito abbreviato, questo non sana  le  inutilizzabilita'
conseguenti alla  violazione  di  divieti  probatori,  come  appaiono
ravvisabili nel caso in oggetto secondo l'interpretazione  di  questo
giudicante, giusta quanto espressamente previsto dall'art. 438, comma
6-bis del codice  di  procedura  penale  (norma  che,  nel  prevedere
l'esclusione dell'effetto sanante nel caso di abbreviato  chiesto  in
udienza preliminare, non  sembra  legittimare  l'interpretazione  per
cui, invece, l'effetto sanante vi sarebbe  nel  caso  di  giudizio  a
seguito di citazione diretta, atteso che cio' darebbe  luogo  ad  una
disparita' di trattamento priva di rilevabile giustificazione). 
    L'imputato non risulta aver  ammesso  il  possesso  o  detenzione
della sostanza stupefacente per cui e' processo, ed e' quindi solo la
perquisizione  eseguita  in  violazione  dei  principi  di  legge   e
convalidata  con  atto  non  rispettoso  dei  principi  di  legge   e
costituzionali, a costituire la fonte di prova a suo carico. 
    Ne consegue che la questione e' rilevante nel  presente  giudizio
anche   laddove   si   volesse   ipotizzare,   per    ovviare    alla
inutilizzabilita' che dovrebbe essere ravvisata nelle  perquisizioni,
l'assoluta necessita'  di  procedere,  ex  art.  507  del  codice  di
procedura penale, all'ascolto dei verbalizzanti in  ordine  a  quanto
rinvenuto nell'abitazione dell'imputato ed in spazi a  lui  assegnati
all'interno  di  essa:  ed  invero,  come  osservato,   la   sanzione
dell'inutilizzabilita'  dovrebbe  investire,  in   un'interpretazione
corretta  dell'art.  191  del  codice  di  procedura  penale,   anche
l'eventuale deposizione in  ordine  agli  esiti  della  perquisizione
illegittima. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Visti gli articoli 1, legge costituzionale n. 1/1948, e 23  della
legge n. 87/1953; 
    Dichiara d'ufficio rilevante e non  manifestamente  infondata  la
questione di illegittimita' costituzionale dell'art. 191  del  codice
di procedura penale, per contrasto con gli articoli 2, 3, 13, 14, 24,
97, comma 3, 111 e e 117 Cost.  (quanto  a  quest'ultima  norma,  con
riferimento ai principi di cui all'art. 8 della  Convenzione  europea
dei diritti dell'uomo),  nella  parte  in  cui  non  prevede  che  la
sanzione dell'inutilizzabilita' della prova acquisita  in  violazione
di un  divieto  di  legge,  prevista  dall'art.  191  del  codice  di
procedura penale, si  applichi  anche  alle  c.d.  «inutilizzabilita'
derivate», e riguardi quindi anche gli esiti probatori, ivi  compreso
il sequestro del corpo del reato o delle cose  pertinenti  al  reato,
degli atti di perquisizione i ed ispezione domiciliare e personale: 
        a) compiuti dalla polizia giudiziaria fuori dei casi  in  cui
la legge  costituzionale  e  quella  ordinaria  le  attribuiscono  il
relativo potere; 
        b) compiuti dalla  polizia  giudiziaria  fuori  del  caso  di
flagranza di reato, in forza di autorizzazione data  verbalmente  dal
pubblico ministero senza che ne risultino contestualmente le  ragioni
concrete ed effettivamente pertinenti; 
        c) compiuti dalla polizia  giudiziaria,  fuori  del  caso  di
previa flagranza del  reato,  in  forza  di  segnalazioni  anonime  o
confidenziali e su tali basi autorizzate o convalidate  dal  pubblico
ministero,; 
        d) compiuti dalla  polizia  giudiziaria  fuori  del  caso  di
previa  flagranza  del  reato,  e  successivamente  convalidati   dal
pubblico ministero, senza motivare concretamente su quali fossero gli
elementi utilizzabili la cui ricorrenza integrasse valide ragioni che
legittimassero la perquisizione; 
    Dichiara altresi' rilevante e  non  manifestamente  infondata  la
questione di illegittimita' costituzionale dell'art. 103 del  decreto
del Presidente della Repubblica n. 309/1990, per  contrasto  con  gli
articoli 13, 14 e 117 Cost. (con riferimento, quanto  a  quest'ultima
norma  costituzionale,  all'art.  8  della  Convenzione  europea  dei
diritti dell'uomo), nella  parte  in  cui  prevede  che  il  pubblico
ministero possa consentire l'esecuzione di perquisizioni in forza  di
autorizzazione   orale,   senza   necessita'   di   una    successiva
documentazione formale delle concrete e specifiche  ragioni  per  cui
l'ha rilasciata; 
    Ordina la notificazione della  presente  ordinanza  al  difensore
dell'imputato  ed  all'imputato,  al  pubblico   ministero,   ed   al
Presidente del Consiglio dei ministri,  e  la  sua  comunicazione  ai
Presidenti dei due rami del Parlamento; 
    Dispone la successiva trasmissione della presente ordinanza, e di
copia  degli   atti   del   procedimento,   unitamente   alla   prova
dell'esecuzione delle notificazioni e  delle  comunicazioni  previste
dalla  legge,  alla  Corte  costituzionale  per  la  decisione  della
questione di costituzionalita' cosi' sollevata; 
    Sospende  il  procedimento  sino  alla  decisione   della   Corte
costituzionale e, in attesa di questa, rinvia il processo all'udienza
del 18 novembre 2021 ore 9,00. 
        Lecce, 26 ottobre 2020 
 
                         Il Giudice: Sernia