N. 54 SENTENZA 24 febbraio - 31 marzo 2021

Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale. 
 
Edilizia e urbanistica - Norme della Regione Veneto  -  Recupero  dei
  sottotetti a fini abitativi - Classificazione degli interventi come
  ristrutturazione  edilizia   e   assoggettamento   al   regime   di
  segnalazione certificata di inizio di attivita' (SCIA) - Violazione
  dei principi fondamentali in  materia  di  governo  del  territorio
  afferenti  al  regime  dei  titoli  abilitativi  -   Illegittimita'
  costituzionale parziale. 
Edilizia e urbanistica - Norme della Regione Veneto  -  Recupero  dei
  sottotetti a fini  abitativi  -  Introduzione,  per  tale  porzione
  recuperata, di specifici requisiti di altezza e di illuminazione  -
  Salvezza delle prescrizioni urbanistiche e legislative, regionali e
  statali, poste a presidio degli edifici soggetti a tutela - Ricorso
  del Governo - Lamentata violazione dei principi fondamentali  nelle
  materie della tutela della salute e  del  governo  del  territorio,
  nonche' del principio di  leale  collaborazione  -  Non  fondatezza
  delle questioni. 
Edilizia e urbanistica - Norme della Regione Veneto  -  Recupero  dei
  sottotetti a fini abitativi  -  Modifiche  esterne  -  Adozione  di
  apposito   regolamento   edilizio   comunale   -   Salvezza   delle
  prescrizioni urbanistiche e legislative, regionali e statali, poste
  a presidio degli edifici soggetti a tutela - Ricorso del Governo  -
  Lamentata violazione della competenza esclusiva statale in  materia
  di tutela dell'ambiente,  dell'ecosistema  e  dei  beni  culturali,
  nonche'  della  tutela  del  paesaggio  -  Non   fondatezza   delle
  questioni, nei sensi di cui in motivazione. 
- Legge della Regione Veneto 23 dicembre 2019, n. 51, artt. 1,  comma
  1, 2, commi 1, 2 e 3, e 3. 
- Costituzione, artt. 3, 9, 32 e 117, commi secondo,  lettera  s),  e
  terzo. 
(GU n.14 del 7-4-2021 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Giancarlo CORAGGIO; 
Giudici :Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria  de  PRETIS,  Nicolo'
  ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI,
  Giovanni  AMOROSO,  Francesco  VIGANO',  Luca   ANTONINI,   Stefano
  PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela  NAVARRETTA,  Maria  Rosaria  SAN
  GIORGIO, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 1,  comma
1, 2, commi 1, 2, e 3, e  3  della  legge  della  Regione  Veneto  23
dicembre  2019,  n.  51  (Nuove  disposizioni  per  il  recupero  dei
sottotetti a fini abitativi), promosso dal Presidente  del  Consiglio
dei  ministri  con  ricorso  notificato  il  25-28   febbraio   2020,
depositato in cancelleria il 2 marzo 2020,  iscritto  al  n.  27  del
registro ricorsi 2020 e pubblicato  nella  Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica n. 15, prima serie speciale, dell'anno 2020. 
    Visto l'atto di costituzione della Regione Veneto; 
    udito nell'udienza pubblica  del  23  febbraio  2021  il  Giudice
relatore Francesco Vigano'; 
    uditi l'avvocato dello Stato Sergio Fiorentino per il  Presidente
del Consiglio dei  ministri,  gli  avvocati  Andrea  Manzi  e  Franco
Botteon per la Regione Veneto, in collegamento da  remoto,  ai  sensi
del punto 1) del decreto del Presidente della Corte  del  30  ottobre
2020; 
    deliberato nella camera di consiglio del 24 febbraio 2021. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ricorso notificato il 25-28 febbraio 2020 e depositato il
2 marzo 2020, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato
e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato gli artt.
1, comma 1, 2, commi 1, 2 e 3, e 3 della legge della  Regione  Veneto
23 dicembre 2019, n. 51  (Nuove  disposizioni  per  il  recupero  dei
sottotetti a fini abitativi), per contrasto complessivamente con  gli
artt. 3, 9, 32, 117, secondo comma, lettera s), e terzo comma,  della
Costituzione, nonche' col principio di leale collaborazione. 
    1.1.- L'Avvocatura generale dello Stato ritiene, in primo  luogo,
che le disposizioni dell'art. 1, comma 1, e  dell'art.  2,  comma  1,
della legge regionale impugnata, laddove individuano limiti minimi di
altezza e di  superficie  di  illuminazione  dei  locali  oggetto  di
recupero diversi da  quelli  stabiliti  dal  decreto  ministeriale  5
luglio 1975 (Modificazioni alle  istruzioni  ministeriali  20  giugno
1896   relativamente   all'altezza    minima    ed    ai    requisiti
igienico-sanitari principali dei locali d'abitazione), e dal  decreto
interministeriale 26 giugno 2015 (Applicazione delle  metodologie  di
calcolo   delle   prestazioni   energetiche   e   definizione   delle
prescrizioni e dei requisiti minimi degli  edifici,  contrastino  con
gli artt. 3 e 32 Cost., «in quanto si discostano,  senza  che  emerga
una ragionevole  giustificazione,  dai  parametri  individuati  dallo
Stato» in tali decreti, strumentali alla tutela  della  salubrita'  e
vivibilita' degli ambienti. 
    Oltre a cio', tali disposizioni regionali contrasterebbero con  i
principi fondamentali nelle materie della tutela della salute  e  del
governo del territorio, stabiliti nel d.m. 5 luglio 1975,  cui  «puo'
essere attribuita efficacia precettiva e inderogabile» anche  per  il
legislatore regionale, come questa Corte  avrebbe  affermato,  in  un
ambito di regolazione contiguo a quello qui in esame, con riferimento
alla disciplina contenuta nel decreto ministeriale 2 aprile 1968,  n.
1444, recante «Limiti inderogabili di densita' edilizia, di  altezza,
di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra  spazi  destinati
agli insediamenti  residenziali  e  produttivi  e  spazi  pubblici  o
riservati alle attivita' collettive, al verde pubblico o a  parcheggi
da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici
o della revisione di quelli esistenti, ai sensi  dell'art.  17  della
legge 6 agosto 1967, n. 765» (e' citata la sentenza n. 134 del 2014). 
    1.2.- L'Avvocatura generale dello Stato impugna, inoltre, i commi
2 e 3 dell'art. 2 della legge reg. Veneto n. 51  del  2019,  in  cui,
rispettivamente, si  demanda  al  regolamento  edilizio  comunale  la
determinazione delle tipologie di interventi eventualmente  necessari
per rendere abitabili i sottotetti (come, in particolare,  l'apertura
nelle  falde),  «al  fine  di  rispettare  gli  aspetti   paesistici,
monumentali  e  ambientali  dell'edificio  sul   quale   si   intende
intervenire», e si fanno salve le diverse disposizioni  sulla  tutela
monumentale contenute nel piano regolatore  comunale  in  riferimento
agli artt. 13 e 17 della legge della Regione Veneto 23  aprile  2004,
n.  11  (Norme  per  il  governo  del  territorio  e  in  materia  di
paesaggio), e alla Parte II del decreto legislativo 22 gennaio  2004,
n.  42  (Codice  dei  beni  culturali  e  del  paesaggio,  ai   sensi
dell'articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137). 
    Le  disposizioni  regionali  impugnate,  laddove   demandano   la
determinazione  delle  condizioni  finalizzate  al   rispetto   degli
«aspetti paesaggistici»  ai  soli  regolamenti  edilizi  o  ai  piani
urbanistici comunali, anziche' al piano paesaggistico, previsto dagli
artt. 135 e 143 cod. beni culturali, o alla disciplina d'uso dei beni
paesaggistici, di cui  agli  artt.  140,  141  e  141-bis  cod.  beni
culturali, sarebbero invasive della competenza esclusiva  statale  di
cui all'art. 117, secondo  comma,  lettera  s),  Cost.,  e  contrarie
all'art. 9 Cost. (sono citate le sentenze n. 367 del 2007 e n. 9  del
2004).  Il  legislatore  statale,  infatti,  nell'esercizio  di  tale
potesta'  legislativa  esclusiva,   avrebbe   «assegnato   al   piano
paesaggistico una posizione di assoluta preminenza nel contesto della
pianificazione territoriale», stabilendo, negli artt. 143, comma 9, e
145, comma 3, cod. beni culturali, l'inderogabilita' e la  prevalenza
di tale piano, da adottarsi previa intesa con lo Stato e  attualmente
in itinere, «su ogni altro atto della pianificazione  territoriale  e
urbanistica» (e' citata la sentenza di questa Corte n. 180 del 2008). 
    Le disposizioni regionali impugnate, inoltre, violerebbero  anche
il principio di leale collaborazione sotteso alle  norme  del  codice
dei beni culturali e del paesaggio - artt. 135 e 143 - che  impongono
l'elaborazione congiunta del Piano paesaggistico regionale  da  parte
di Stato e Regione (e' citata la sentenza di questa Corte n.  31  del
2006). 
    1.3.- Impugnato e', infine, l'art. 3 della legge reg.  Veneto  n.
51 del 2019, il quale, pur correttamente qualificando gli  interventi
di recupero dei sottotetti come ristrutturazioni  edilizie  ai  sensi
dell'art. 3, comma 1, lettera d), del d.P.R. 6 giugno 2001,  n.  380,
recante «Testo unico delle disposizioni legislative  e  regolamentari
in materia edilizia (Testo A)», sottopone tali interventi a  semplice
segnalazione certificata di inizio di attivita' (SCIA), violando  «le
norme interposte contenute negli articoli 10, comma 1°,  lettera  c),
23, comma 01, lett. a) e 22,  comma  1°,  lett.  e)  [recte:  c]  del
medesimo  testo   unico   dell'edilizia»,   il   quale,   ad   avviso
dell'Avvocatura  generale  dello  Stato,   imporrebbe,   per   simili
interventi, il  permesso  di  costruire  o  la  SCIA  alternativa  al
permesso di costruire.  Costituendo  tali  norme  del  t.u.  edilizia
«principi fondamentali in materia di governo del territorio», la loro
deroga da parte dell'art. 3 della legge reg. Veneto n.  51  del  2019
determinerebbe la violazione dell'art. 117, terzo comma, Cost. 
    2.- Con memoria depositata l'8 maggio 2020 si  e'  costituita  in
giudizio la Regione Veneto. 
    2.1.- La resistente  sostiene,  innanzitutto,  l'inammissibilita'
della censura relativa agli artt. 1, comma 1, e  2,  comma  1,  della
legge reg. Veneto n. 51 del 2019, per violazione degli artt. 3  e  32
Cost., in quanto meramente assertiva  (sono  citate  le  sentenze  di
questa Corte n. 109 del 2018, n. 64 del 2016 e n. 82 del 2015). 
    In ogni caso, tale censura sarebbe infondata, posto che le soglie
di altezza di superficie  illuminante  contenute  nelle  disposizioni
impugnate non appaiono, alla luce della specificita' degli interventi
edilizi, ne' irragionevoli,  ne'  lesive  del  diritto  alla  salute,
trattandosi,  «anzi,  di   soglie   che   consentono   la   fruizione
dell'ambiente in condizioni di adeguata salubrita'», in esito  a  «un
congruo bilanciamento fra i vari interessi e  diritti  costituzionali
in gioco». Il che sarebbe comprovato dalle «numerose leggi  regionali
che consentono, negli stessi limiti minimi  di  altezza  o  a  limiti
anche inferiori, il recupero dei sottotetti a fini abitativi», tenuto
anche conto che limiti analoghi a quelli odierni erano gia' contenuti
nella legge della Regione Veneto 6 aprile 1999, n. 12  (Recupero  dei
sottotetti esistenti a fini abitativi). 
    Anche l'ulteriore censura  di  violazione  dell'art.  117,  terzo
comma, Cost., per contrasto con i principi fondamentali delle materie
«tutela  della  salute»   e   «governo   del   territorio»,   sarebbe
inammissibile. Il ricorrente non  spiegherebbe,  infatti,  «come  gli
artt. 3 e 5 del [d.m. 5 luglio 1975] potrebbero assurgere a parametro
normativo interposto e, in seconda battuta, a principio  fondamentale
idoneo  a  condizionare  l'esercizio  delle  competenze   legislative
regionali». 
    In ogni caso,  tale  censura  sarebbe  manifestamente  infondata,
posta la natura regolamentare del parametro interposto di cui al d.m.
5 luglio 1975 e l'attuale  assetto  costituzionale  delle  competenze
legislative regionali e statali.  Si  tratterebbe,  infatti,  di  una
fonte regolamentare, attuativa di una fonte primaria  anteriore  alla
Costituzione (l'art. 218 del regio decreto 27 luglio 1934,  n.  1265,
recante «Approvazione del testo unico  delle  leggi  sanitarie»),  la
quale, alla luce dell'attuale  art.  117,  sesto  comma,  Cost.,  che
attribuisce alle Regioni  la  potesta'  regolamentare  nelle  materie
concorrenti  e  residuali,  non  potrebbe  che  assumere  natura   di
disciplina di dettaglio, cedevole rispetto all'intervento legislativo
regionale. 
    Inammissibile per carenza di motivazione, o  comunque  infondata,
sarebbe anche la censura  basata  sul  contrasto  delle  disposizioni
regionali in questione con il  d.m.  26  giugno  2015.  Tale  decreto
costituirebbe  esso  stesso  una  fonte  regolamentare   inidonea   a
vincolare la potesta' legislativa regionale in materie di  competenza
concorrente.  Inoltre,  essendo  stato  adottato  in  attuazione  del
decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 192, recante «Attuazione della
direttiva (UE) 2018/844, che modifica la direttiva  2010/31/UE  sulla
prestazione  energetica  nell'edilizia  e  la  direttiva   2012/27/UE
sull'efficienza  energetica,  della   direttiva   2010/31/UE,   sulla
prestazione energetica nell'edilizia, e  della  direttiva  2002/91/CE
relativa  al   rendimento   energetico   nell'edilizia»,   detterebbe
prescrizioni in una materia,  quella  delle  prestazioni  energetiche
degli  edifici,  estranea  all'oggetto  della  disciplina   regionale
impugnata. 
    2.2.- Inammissibili  o  comunque  infondate  sarebbero  anche  le
questioni promosse relativamente ai commi 2 e  3  dell'art.  2  della
legge reg. Veneto n. 51 del 2019. 
    La difesa regionale eccepisce,  innanzitutto,  l'inammissibilita'
delle censure  basate  sulla  violazione  dell'art.  9  Cost.  e  del
principio di leale collaborazione, in quanto  estranee  al  contenuto
della deliberazione di impugnativa del Consiglio dei ministri. 
    Anche le restanti censure basate sulla violazione dell'art.  117,
secondo comma, lettera  s),  Cost.,  sarebbero  inammissibili,  o  in
subordine infondate, per errata  interpretazione  delle  disposizioni
impugnate e conseguente difetto di motivazione. Una serie  di  indici
testuali e sistematici condurrebbe,  infatti,  a  escludere  che  gli
strumenti urbanistici ed edilizi dei Comuni possano disciplinare  gli
interventi e le condizioni per operare il recupero dei sottotetti  in
modo difforme dall'emanando piano paesaggistico, o in  modo  comunque
da compromettere l'adozione concordata tra Stato e  Regione  di  tale
piano, ai sensi del codice dei beni culturali e del paesaggio. 
    L'osservazione del ricorrente, per cui la mera  valutazione  caso
per caso della Soprintendenza non garantirebbe «quella valutazione di
insieme che solo il Piano paesaggistico potrebbe fornire», sarebbe da
respingere, posto che la disciplina regionale terrebbe comunque fermo
l'obbligo del  necessario  adeguamento  degli  strumenti  urbanistici
comunali ai piani paesaggistici sovraordinati, senza che la  pendenza
dell'iter di approvazione del Piano paesaggistico  possa  «condannare
all'inerzia il legislatore veneto». 
    2.3.- La questione promossa relativamente all'art. 3 della  legge
reg. Veneto n. 51  del  2019  sarebbe  anch'essa  inammissibile  «per
genericita', perplessita' e contraddittorieta' del petitum». 
    Innanzitutto, il ricorso, pur  impugnando  l'intero  art.  3,  si
limiterebbe a svolgere la censura nei confronti  del  solo  comma  2,
senza nulla rilevare con riferimento ai commi 1, 3 e 4. 
    In secondo luogo, la stessa censura  mossa  al  comma  2  sarebbe
immotivata, in quanto il ricorrente si sarebbe limitato ad  affermare
il contrasto di tale disposizione con gli artt. 3, comma  1,  lettera
d), 10, comma 1, lettera c), 23, comma 1, lettera a), e 22, comma  1,
lettera c), t.u. edilizia, senza argomentare circa il loro  rango  di
principi fondamentali della materia (e' citata la sentenza di  questa
Corte n. 159 del 2018). 
    In  terzo  luogo,  l'inammissibilita'   deriverebbe   dall'omesso
tentativo  di  interpretazione  costituzionalmente   conforme   della
disposizione impugnata, che si imporrebbe anche nei  ricorsi  in  via
principale (e' citata  la  sentenza  n.  153  del  2015).  Lo  stesso
ricorrente,  infatti,  riconosce  la  corretta  qualificazione  degli
interventi di recupero edilizio  come  ristrutturazione  edilizia  ai
sensi dell'art. 3, comma 1, lettera d), t.u. edilizia. Questi  ultimi
potrebbero essere, a seconda dei casi, soggetti a SCIA "ordinaria" o,
per le situazioni ricadenti nell'art. 10, comma 1, lettera  c),  t.u.
edilizia, a SCIA alternativa al permesso di costruire. Ne deriverebbe
che il rinvio genericamente operato dalla norma  regionale  impugnata
alla SCIA, «senza specificazione se ordinaria o in deroga»,  «non  e'
affatto illegittimo, considerato che il titolo da utilizzare seguira'
la natura dell'intervento». Infine, dal ripetuto rinvio operato dalla
norma regionale al t.u. edilizia deriva anche  che  resta  «salva  la
facolta' dell'interessato di chiedere  il  rilascio  di  permesso  di
costruire», secondo quanto previsto  dall'art.  22,  comma  7,  dello
stesso testo unico. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con il  ricorso  indicato  in  epigrafe,  il  Presidente  del
Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso   dall'Avvocatura
generale dello Stato, ha impugnato gli artt. 1, comma 1, 2, commi  1,
2 e 3, e 3 della legge della Regione Veneto 23 dicembre 2019,  n.  51
(Nuove disposizioni per il recupero dei sottotetti a fini abitativi),
per contrasto complessivamente con gli artt. 3, 9, 32,  117,  secondo
comma, lettera s), e terzo comma,  della  Costituzione,  nonche'  col
principio di leale collaborazione. 
    Le disposizioni impugnate promuovono il recupero dei sottotetti a
fini abitativi, con l'obiettivo di contenere il consumo di suolo e di
promuovere  l'efficientamento   energetico,   «nel   rispetto   delle
caratteristiche tipologiche  e  morfologiche  degli  edifici  nonche'
delle prescrizioni igienico-sanitarie riguardanti  le  condizioni  di
abitabilita'» (art. 1), stabilendo, tra l'altro, specifici limiti  di
altezza e di illuminazione (art. 2, comma 1),  e  prevedendo  che  le
eventuali modifiche esterne degli  immobili  avvengano  nel  rispetto
degli «aspetti paesistici, monumentali e  ambientali  dell'edificio»,
secondo quanto stabilito dal regolamento edilizio  comunale  all'uopo
adottato  (art.  2,  comma  2),  con  salvezza   delle   prescrizioni
urbanistiche e legislative (regionali e  statali)  poste  a  presidio
degli edifici soggetti a tutela (art. 2, comma 3). Oltre a  cio',  le
disposizioni regionali impugnate classificano  tali  interventi  come
ristrutturazione  edilizia,  assoggettandoli  al  regime  abilitativo
della segnalazione certificata di  inizio  di  attivita'  (SCIA),  ai
sensi del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, recante  «Testo  unico  delle
disposizioni legislative e regolamentari in materia  edilizia  (Testo
A)» (art. 3, commi 1 e 2). 
    2.- Le censure degli artt. 1, comma 1, e 2, comma 1, della  legge
reg. Veneto n. 51 del 2019, per contrasto con gli artt. 3, 32 e  117,
terzo comma, Cost.,  in  relazione  ai  principi  fondamentali  delle
materie «tutela della  salute»  e  «governo  del  territorio»,  vanno
affrontate congiuntamente. In effetti, la  censura  incentrata  sugli
artt.  3  e  32  Cost.  assume,  nell'economia  del  ricorso,  natura
chiaramente  ancillare  rispetto  a  quella  della  violazione  degli
standard posti dal decreto ministeriale 5 luglio 1975  (Modificazioni
alle istruzioni ministeriali 20 giugno 1896 relativamente all'altezza
minima  ed  ai  requisiti  igienico-sanitari  principali  dei  locali
d'abitazione), le cui  prescrizioni  su  altezze  minime  dei  locali
abitativi e sui requisiti di aeroilluminazione (artt.  1  e  5)  sono
ritenute dal ricorrente espressive  di  principi  fondamentali  delle
citate materie concorrenti. 
    2.1.- La Regione ha eccepito l'inammissibilita' delle censure, in
quanto carenti di adeguata motivazione con riguardo alla idoneita' di
una fonte secondaria a esprimere principi fondamentali delle  materie
di competenza legislativa concorrente. 
    L'eccezione e' infondata. 
    Come recentemente ribadito da questa  Corte,  e  come  del  resto
rilevato dalla stessa  Avvocatura  generale  dello  Stato,  gli  atti
statali  di  normazione  secondaria  possono  vincolare  la  potesta'
legislativa regionale concorrente «solo in ben circoscritte  ipotesi,
ovvero quando, "in settori  squisitamente  tecnici",  intervengono  a
completare la normativa statale primaria (sentenza n. 286 del 2019) e
costituiscono "un corpo unico con la disposizione legislativa che  li
prevede e che ad essi affida il compito di individuare le  specifiche
tecniche  che  mal  si  conciliano  con  il  contenuto  di  un   atto
legislativo e che necessitano di applicazione uniforme  in  tutto  il
territorio nazionale" (sentenza n. 69 del 2018)» (sentenza n. 180 del
2020; in senso conforme, sentenza  n.  125  del  2017).  Il  che  e',
appunto, cio' che si verifica con riguardo  alle  prescrizioni  poste
dal d.m. 5 luglio 1975: di  quest'ultimo  appaiono  evidenti  sia  la
natura  tecnica  delle  prescrizioni  (adottate  previo  parere   del
Consiglio superiore della sanita'), sia la  saldatura  con  il  regio
decreto 27 luglio 1934, n. 1265 (Approvazione del testo  unico  delle
leggi sanitarie), il cui art. 218 - richiamato in premessa  dal  d.m.
del 1975 - attribuisce al Ministro competente il  potere  di  emanare
«le istruzioni di massima», affinche' i «regolamenti locali di igiene
e sanita'» assicurino, tra l'altro, «che nelle abitazioni: a) non  vi
sia difetto di aria e di luce». 
    2.2.- Nel merito, le censure sono tuttavia infondate. 
    La disciplina regionale diretta a introdurre specifici  requisiti
di altezza e  aeroilluminazione  per  la  sola  porzione  dell'unita'
abitativa  costituita  dal  recupero  edilizio  dei  sottotetti   non
comporta deroga agli standard uniformi fissati dal d.m. 5 luglio 1975
in attuazione del r.d. n. 1265 del 1934, i  quali  nulla  prescrivono
riguardo a una fattispecie cosi' specifica come quella in questione. 
    Cio'  perche',  innanzitutto,  i  locali  oggetto   delle   norme
regionali  impugnate  costituiscono  solo   una   parte   dell'unita'
abitativa,  che  deve  preesistere  e  possedere  gia'  i  prescritti
requisiti di abitabilita'. Inoltre, tali locali  sono  caratterizzati
normalmente da una peculiare  morfologia,  tanto  che  la  disciplina
impugnata fa riferimento all'altezza media, da calcolarsi  escludendo
le parti del sottotetto inferiori a una certa soglia. D'altra  parte,
gli interventi di recupero perseguono interessi ambientali certamente
apprezzabili,  quali  la   riduzione   del   consumo   di   suolo   e
l'efficientamento energetico. 
    Evidentemente in considerazione del carattere  di  lex  specialis
della disciplina relativa ai requisiti di abitabilita' dei sottotetti
concernenti altezza e aeroilluminazione, non regolati  a  livello  di
legislazione statale, le  leggi  regionali  hanno  dettato  da  tempo
proprie discipline (si veda  la  legge  della  Regione  Lombardia  15
luglio  1996,  n.  15,  recante  «Recupero  ai  fini  abitativi   dei
sottotetti esistenti»; nonche' la legge della Regione Veneto 6 aprile
1999, n. 12,  recante  «Recupero  dei  sottotetti  esistenti  a  fini
abitativi»),   le   quali   prevedono   requisiti   di   altezza    e
aeroilluminazione a tutela delle medesime esigenze  di  salubrita'  e
igiene di cui si fa carico la disciplina statale, tenendo conto delle
peculiarita' strutturali dei locali oggetto di recupero  e  del  loro
carattere non autonomo rispetto a  unita'  abitative  gia'  esistenti
(sentenze n. 208 del 2019, n. 282 e n. 11 del 2016). 
    3.- Sono poi impugnati i commi 2 e 3 dell'art. 2 della legge reg.
Veneto n. 51 del 2019. 
    La prima di tali  disposizioni,  oltre  a  vietare  modificazioni
della sagoma, delle altezze di colmo e di gronda, nonche' delle linee
di pendenza delle falde, assegna al regolamento edilizio comunale  la
disciplina delle aperture nelle falde «e  ogni  altra  condizione  al
fine di rispettare gli aspetti paesistici, monumentali  e  ambientali
dell'edificio sul quale si intende intervenire» (art. 2, comma 2). La
seconda fa salve «le diverse previsioni del piano regolatore comunale
per gli edifici soggetti a tutela ai sensi degli  articoli  13  e  17
della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11 "Norme per il governo del
territorio e in materia di  paesaggio"  e  della  parte  seconda  del
decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 "Codice dei beni culturali
e del paesaggio ai sensi dell'articolo 10 della legge 6 luglio  2002,
n. 137"», e consente ai regolamenti edilizi  comunali  «la  ulteriore
esclusione di determinate tipologie  edilizie  dal  recupero  a  fini
abitativi dei sottotetti», specificando che sono comunque esclusi gli
«interventi ricadenti in aree soggette a regime  di  inedificabilita'
sulla base di pianificazioni territoriali sovraordinate,  in  aree  a
pericolosita'  idraulica  o  idrogeologica  i  cui  piani  precludano
interventi di ampliamento volumetrico o di superficie» (art. 2, comma
3). 
    Secondo il ricorrente, negli  ambiti  territoriali  sottoposti  a
tutela  paesaggistica  tali  interventi  edilizi  dovrebbero   essere
regolati «necessariamente dal Piano  paesaggistico,  ai  sensi  degli
articoli 135 e 143 del Codice dei beni culturali e del  paesaggio,  o
dalla disciplina d'uso dei beni paesaggistici, di cui  agli  articoli
140, 141 e 141-bis del medesimo Codice», pena l'invasione della sfera
di competenza esclusiva statale di cui all'art. 117,  secondo  comma,
lettera s), Cost., nonche' la  violazione  dell'art.  9  Cost.  (sono
citate le sentenze di questa Corte n. 367 del 2007 e n. 9 del  2004).
La   sola   forma   di   tutela   rappresentata   dall'autorizzazione
paesaggistica, che il ricorrente ritiene comunque fatta  salva  dalle
disposizioni  regionali  in  questione,  non   sarebbe   sufficiente,
dovendosi   procedere   a   «una   valutazione   complessiva    della
trasformazione  del  contesto  tutelato,  quale   dovrebbe   avvenire
nell'ambito del Piano paesaggistico, adottato previa  intesa  con  lo
Stato e attualmente in itinere, rimettendo  alla  Soprintendenza  una
(mera) valutazione caso per caso degli interventi».  Il  che  sarebbe
corroborato   dall'assoluta   preminenza   riconosciuta   al    piano
paesaggistico su ogni altro atto della pianificazione territoriale  e
urbanistica (e' citata la sentenza n. 180 del  2008)  e  dall'obbligo
inderogabile della pianificazione congiunta (tra Ministero e Regione)
del piano paesaggistico, con riferimento ai beni vincolati (e' citata
la sentenza di questa Corte n. 86 del 2019). 
    Le medesime  disposizioni  regionali  violerebbero,  inoltre,  il
principio di leale collaborazione  sotteso  alle  norme  del  decreto
legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali  e  del
paesaggio, ai sensi dell'articolo 10 della legge 6  luglio  2002,  n.
137) - artt. 135 e 143 - che impongono la pianificazione congiunta da
parte di Stato e Regione (e' citata la sentenza n. 31  del  2006),  a
causa della «scelta della Regione del Veneto di  assumere  iniziative
unilaterali,  al  di  fuori  del  percorso  di  collaborazione   gia'
proficuamente avviato con lo Stato». 
    3.1.-  La  Regione  eccepisce  l'inammissibilita'  delle  censure
incentrate sulla violazione dell'art. 9  Cost.  e  del  principio  di
leale  collaborazione,  in  quanto  estranee   al   contenuto   della
deliberazione  del   Consiglio   dei   ministri   di   autorizzazione
all'impugnazione. 
    L'eccezione  e'  infondata,   posto   che   tali   censure   sono
specificamente  svolte  nella  deliberazione  governativa  e  riprese
dall'Avvocatura generale dello Stato nel ricorso. 
    3.2.- Nel merito, le questioni relative ai commi 2 e 3  dell'art.
2 della legge reg. Veneto n. 51 del  2019,  promosse  in  riferimento
agli artt. 9 e 117, secondo comma, lettera s), Cost., sono infondate,
nei termini di seguito precisati. 
    La prima disposizione regionale impugnata contiene  una  generica
clausola di salvaguardia circa il necessario rispetto, da  parte  del
regolamento edilizio comunale, degli «aspetti paesistici, monumentali
e ambientali dell'edificio sul quale si intende intervenire» (art. 2,
comma 2), mentre la seconda disposizione (art. 2, comma 3) richiama i
limiti posti dal piano regolatore (costituito dal  piano  di  assetto
del  territorio  e  dal  piano  degli  interventi),  secondo   quanto
stabilito dalla legge della Regione Veneto  23  aprile  2004,  n.  11
(Norme per il governo del territorio  e  in  materia  di  paesaggio),
contenente la disciplina generale dell'urbanistica e del governo  del
territorio nella Regione Veneto. Si  tratta,  rispettivamente,  delle
prescrizioni contenute nel Piano di assetto del territorio (PAT),  di
cui all'art. 13 della legge reg. Veneto n. 11 del 2004, e  di  quelle
contenute nel Piano degli interventi (PI), di cui all'art.  17  della
stessa legge regionale, da realizzarsi «in coerenza e in  attuazione»
del PAT. Come ricordato dalla difesa regionale, la stessa legge  reg.
Veneto n. 11 del 2004, contiene, al suo art. 16-bis, l'obbligo per  i
Comuni di adeguare  il  PAT  «alle  previsioni  della  pianificazione
paesaggistica regionale, ai sensi dell'articolo 145, commi  3  e  4»,
cod. beni culturali. 
    Da cio' deriva che, sebbene la normativa vincolistica del  codice
dei beni  culturali  e  del  paesaggio  venga  espressamente  evocata
dall'art. 2, comma 3, della legge reg. Veneto n. 51 del 2019 solo  in
riferimento alla Parte II del codice (sui beni culturali) e non  alla
Parte III (sui beni paesaggistici),  le  disposizioni  impugnate  ben
possono essere interpretate nel senso che non esentano gli interventi
edilizi di recupero dei sottotetti dal rispetto del  complesso  delle
prescrizioni d'uso, attuali o future, dei beni  paesaggistici,  siano
esse poste da vincoli derivanti dal piano  paesaggistico  (art.  143,
comma 1, lettere b, c, d ed e), o  dalle  dichiarazioni  di  notevole
interesse pubblico (art. 140, comma 2). 
    Ne' potrebbe sostenersi  che,  nelle  more  della  pianificazione
congiunta  del  piano  paesaggistico  tra  Ministero  e  Regione,   a
quest'ultima sia inibita l'adozione di  ogni  disciplina  legislativa
nella materia del  «governo  del  territorio»,  salvi  gli  specifici
obblighi assunti nelle intese preliminari (ancora, sentenza n. 86 del
2019). 
    Dunque, le disposizioni impugnate non violano gli artt. 9 e  117,
secondo comma, lettera s), Cost., sempre che siano  interpretate  nel
senso di vincolare gli strumenti  urbanistici  ed  edilizi  comunali,
nella parte in  cui  disciplinano  gli  interventi  di  recupero  dei
sottotetti, anche al rispetto di tutte le prescrizioni d'uso dei beni
paesaggistici adottate ai sensi della Parte III del codice  dei  beni
culturali e del paesaggio. 
    3.3.- Anche la censura relativa alla violazione del principio  di
leale collaborazione e' infondata, dal  momento  che  -  come  appena
rilevato - alle  Regioni  non  sono  certamente  preclusi  interventi
legislativi nella materia del «governo  del  territorio»  nelle  more
dell'adozione  del  piano  paesaggistico,   sempre   che   essi   non
contrastino con i puntuali contenuti delle eventuali intese raggiunte
prima dell'approvazione dell'accordo definitivo (sentenza n.  86  del
2019). 
    4.- Sono impugnate, infine, le disposizioni contenute nell'art. 3
della legge reg. Veneto n. 51 del 2019,  in  cui  gli  interventi  di
recupero dei sottotetti vengono classificati  come  «ristrutturazione
edilizia ai sensi [dell'art. 3, comma 1, lettera d), t.u. edilizia]»,
assoggettandoli a SCIA ai sensi dello stesso testo unico. 
    Secondo il ricorrente, tali disposizioni regionali si  porrebbero
in contrasto con l'art. 117, terzo comma, Cost., con  riferimento  ai
principi fondamentali della materia «governo  del  territorio»  posti
dagli artt. 10, comma 1, lettera c), 23, comma 01, lettera a), e  22,
comma 1, lettera c), t.u. edilizia, il quale imporrebbe,  per  simili
interventi, il  permesso  di  costruire  o  la  SCIA  alternativa  al
permesso di costruire. 
    4.1.-  La  Regione,  premesso  che  il  contrasto  lamentato  dal
ricorrente si porrebbe eventualmente solo in riferimento al  comma  2
dell'art. 3, eccepisce anzitutto  l'inammissibilita'  della  censura,
non essendo stato motivato il rango di  principi  fondamentali  della
materia  delle  norme  interposte  del  t.u.  edilizia  evocate   dal
ricorrente. 
    L'eccezione e' infondata. E' orientamento consolidato  di  questa
Corte che il regime dei titoli abilitativi per le varie categorie  di
interventi edilizi costituisce principio fondamentale  della  materia
concorrente del «governo del territorio» (ex plurimis, sentenze n.  2
del 2021, n. 68 del 2018 e n. 231 del 2016). 
    4.2.-  Secondo  la  Regione,   la   questione   sarebbe   inoltre
inammissibile non avendo il Presidente  del  Consiglio  dei  ministri
effettuato  alcun  tentativo  di   interpretazione   conforme   della
disposizione impugnata. 
    Anche tale eccezione e' infondata. La possibilita' di  dare  alle
norme impugnate nei  ricorsi  in  via  principale  un'interpretazione
costituzionalmente    conforme    non    comporta     automaticamente
l'inammissibilita'  della  censura,  attenendo  piuttosto  al  merito
(sentenza n. 46 del 2013). 
    4.3.- Nel merito, la censura e' fondata, nei termini  di  seguito
precisati. 
    L'art. 3 impugnato recita: «1. Gli interventi diretti al recupero
dei sottotetti sono classificati come  ristrutturazione  edilizia  ai
sensi dell'articolo 3, comma 1, lettera d) del decreto del Presidente
della  Repubblica  6  giugno  2001,  n.  380   "Testo   unico   delle
disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia". 
    2.  Gli  interventi  previsti  dal  comma  1  sono   soggetti   a
segnalazione certificata di inizio di attivita' (SCIA), ai sensi  del
decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, e comportano
la  corresponsione  di  un  contributo  commisurato  agli  oneri   di
urbanizzazione primaria e secondaria ed al costo  di  costruzione  di
cui all'articolo 16 del medesimo decreto, calcolati sulla  volumetria
resa abitativa secondo le tariffe  approvate  e  vigenti  in  ciascun
comune per le opere di nuova costruzione. 
    3.  I   comuni   possono   deliberare   l'applicazione   di   una
maggiorazione,  nella  misura  massima  del  venti  per   cento   del
contributo di costruzione dovuto, da destinare  preferibilmente  alla
realizzazione di interventi di  riqualificazione  urbana,  di  arredo
urbano e  di  valorizzazione  del  patrimonio  comunale  di  edilizia
residenziale. 
    4. Gli interventi di recupero dei sottotetti restano  subordinati
al reperimento degli spazi per parcheggi pertinenziali in misura  non
inferiore ad un metro quadrato per ogni 10 metri cubi di  costruzione
soggetta alla ristrutturazione, salvo quanto  disposto  dal  comma  4
dell'articolo 2». 
    Come  riconosciuto  da  entrambe  le  parti,  gli  interventi  di
recupero abitativo dei sottotetti sono da  ricondurre  a  quelli  «di
ristrutturazione edilizia» di cui all'art. 3, comma  1,  lettera  d),
t.u. edilizia, i quali sono assoggettati a permesso di costruire (o a
SCIA alternativa) se rientrano in una delle tipologie  dell'art.  10,
comma 1, lettera c), del medesimo testo unico, mentre sono soggetti a
semplice SCIA  "ordinaria"  se  non  vi  rientrano,  fatta  salva  la
facolta' per le Regioni di stabilire ulteriori casi da  sottoporre  a
permesso di costruire o a SCIA (art. 10, commi 2 e 3, t.u. edilizia). 
    La disposizione dell'art. 3, comma 2, della legge reg. Veneto  n.
51 del 2019,  per  come  formulata,  potrebbe  facilmente  indurre  i
destinatari del precetto a ritenere sufficiente la  SCIA  "ordinaria"
per tutti gli interventi in questione, compresi quelli assoggettati a
permesso di  costruire  o  a  SCIA  "alternativa"  in  base  al  t.u.
edilizia. Tale interpretazione condurrebbe a  un  esito  contrastante
con un principio fondamentale della materia «governo del  territorio»
stabilito  dal  t.u.  edilizia.  E'  pertanto  necessario  dichiarare
l'illegittimita' costituzionale dell'inciso, contenuto nel  comma  2,
«sono soggetti a segnalazione certificata di inizio attivita' (SCIA),
ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001,
e». L'eliminazione di tale inciso comportera' l'applicabilita'  anche
agli  interventi  disciplinati  dalla   legge   regionale   impugnata
dell'ordinario regime stabilito dal t.u. edilizia per gli  interventi
di ristrutturazione. 
    Non   e'   invece    necessario    dichiarare    l'illegittimita'
costituzionale dell'intero art. 3, come richiesto dal ricorrente, dal
momento che la disciplina residua si limita in sostanza  a  prevedere
che gli interventi in  questione  comportano  la  corresponsione  del
contributo di costruzione, su cui il ricorso governativo non  formula
alcuna censura. D'altra parte, l'art. 23, comma 01, ultima parte, del
t.u. edilizia, una volta stabilito che gli  interventi  sottoposti  a
SCIA "alternativa" sono, al pari di quelli sottoposti a  permesso  di
costruire, soggetti al contributo di costruzione, consente alle leggi
regionali di individuare ulteriori ipotesi di intervento per  cui  e'
richiesto tale contributo. 
    Ne deriva, conclusivamente, che la questione relativa all'art. 3,
comma  2,  della  legge  reg.  Veneto  n.  51  del  2019  e'  fondata
limitatamente alle parole «sono soggetti a  segnalazione  certificata
di inizio di attivita' (SCIA), ai sensi del  decreto  del  Presidente
della Repubblica n. 380 del 2001, e». 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    1) dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 2,
della legge della Regione Veneto  23  dicembre  2019,  n.  51  (Nuove
disposizioni per  il  recupero  dei  sottotetti  a  fini  abitativi),
limitatamente alle parole «sono soggetti a  segnalazione  certificata
di inizio di attivita' (SCIA), ai sensi del  decreto  del  Presidente
della Repubblica n. 380 del 2001, e»; 
    2)  dichiara   non   fondate   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale degli artt. 1, comma 1, e 2, commi 1,  2  e  3,  della
legge  reg.  Veneto  n.  51  del  2019,  promosse,   in   riferimento
complessivamente  agli  artt.  3,  32  e  117,  terzo  comma,   della
Costituzione, e al principio di leale collaborazione, dal  Presidente
del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe; 
    3) dichiara non fondate, nei sensi  di  cui  in  motivazione,  le
questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 2, commi  2  e  3,
della legge reg. Veneto n. 51 del 2019, promosse, in riferimento agli
artt. 9 e 117, secondo comma, lettera s), Cost., dal  Presidente  del
Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 24 febbraio 2021. 
 
                                F.to: 
                   Giancarlo CORAGGIO, Presidente 
                    Francesco VIGANO', Redattore 
             Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria 
 
    Depositata in Cancelleria il 31 marzo 2021. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA