N. 44 ORDINANZA (Atto di promovimento) 20 ottobre 2020
Ordinanza del 20 ottobre 2020 della Corte d'appello di Salerno nel procedimento civile promosso da Ferrantino Teresa contro Fondazione Enasarco e altri . Matrimonio - Divorzio - Diritti del coniuge divorziato superstite - Riconoscimento del diritto all'attribuzione della pensione di reversibilita' e ad una percentuale dell'indennita' di fine rapporto - Condizioni - Titolarita' dell'assegno divorzile - Omessa previsione della sussistenza del requisito della titolarita' dell'assegno anche in caso di morte dell'obbligato, intervenuta, in presenza di una sentenza parziale di divorzio, prima della definitiva determinazione dell'assegno gia' riconosciuto in sede di provvedimenti provvisori presidenziali. - Legge 1° dicembre 1970, n. 898 (Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio), artt. 9 e 12-bis; legge 28 dicembre 2005, n. 263 (Interventi correttivi alle modifiche in materia processuale civile introdotte con il decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 maggio 2005, n. 80, nonche' ulteriori modifiche al codice di procedura civile e alle relative disposizioni di attuazione, al regolamento di cui al regio decreto 17 agosto 1907, n. 642, al codice civile, alla legge 21 gennaio 1994, n. 53, e disposizioni in tema di diritto alla pensione di reversibilita' del coniuge divorziato), art. 5.(GU n.15 del 14-4-2021 )
LA CORTE DI APPELLO DI SALERNO Sezione Civile riunita in Camera di consiglio nelle persone dei sigg. magistrati: 1) dott. Bruno de Filippis - Presidente, relatore; 2) dott.ssa Marcella Pizzillo - consigliere; 3) dott.ssa Sabrina Serrelli - consigliere; ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa iscritta al n. 1071/2016 V.G., promossa ex articoli 9 e 12-bis, legge n. 898/1970, da: Ferrantino Teresa, rappresentata e difesa dall'avv. Lucia Vicinanza presso il cui studio e' elettivamente domiciliata in Salerno, C.so Vittorio Emanuele, trav. F. Patella, 10; ricorrente; e Fondazione Enasarco, in persona del presidente e legale rappresentante Gianroberto Costa, rappresentata e difesa dagli avvocati Maria Salafia e Angelica Porcini ed elettivamente domiciliata presso lo studio di quest'ultimo in Salerno, p.zza A. Conforti n. 9; Ferrantino Antonietta, rappresentata e difesa dall'avv. Gaspare Salamone, presso il cui studio e' elettivamente domiciliata in Salerno, via Luigi Guercio, n. 353; Cella Ludovica; INPS, resistenti. Motivi di fatto Con ricorso del 12 luglio 2019 Ferrantino Teresa, in qualita' di coniuge divorziato di Cella Antonio, chiedeva la determinazione della quota di sua spettanza del trattamento di fine rapporto, nonche' della quota di pensione di reversibilita' a lei spettante. Il Tribunale con decreto del 18 febbraio 2020 rigettava entrambe le richieste per la non titolarita', in capo alla ricorrente, del momento della scomparsa del Cella, di un assegno di divorzio. Nella fattispecie, infatti, il divorzio era stato pronunciato con sentenza parziale, con riserva di esaminare nel prosieguo le questioni di carattere economico e il relativo giudizio si era pero' concluso, in conseguenza della morte in corso di causa, con una pronuncia di cessazione della materia del contendere, non impugnata e pertanto divenuta irrevocabile. Avverso tale provvedimento proponeva reclamo Ferrantino Teresa, sostenendo che, per costante giurisprudenza di legittimita', la morte di uno dei coniugi in pendenza del giudizio di separazione o divorzio comporta la declaratoria di cessazione della materia del contendere e che, pertanto, ella non poteva impugnare la conforme sentenza emessa dal Tribunale, impedendo che la stessa divenisse irrevocabile. In tal modo la ricorrente contestava l'iter logico seguito dal Tribunale, secondo il quale la causa doveva invece essere interrotta, con conseguente riassunzione nei confronti degli eredi, proprio al fine di evitare la perdita della reversibilita' e dell'indennita' di fine rapporto. La ricorrente ricordava che, in virtu' dei provvedimenti provvisori in vigore fino alla scomparsa del Cella, aveva percepito durante i cinque anni della causa l'assegno divorzile e invocava, in caso di rigetto della sua domanda, la violazione dei principi costituzionali relativi al divieto di disparita' di trattamento. Si costituiva ritualmente la Fondazione Enasarco affermando che, al momento della scomparsa del Cella, la Ferrantino non era titolare di un assegno di divorzio, con conseguente mancanza di un requisito essenziale per la concessione di quanto richiesto. In ragione di cio' chiedeva il rigetto del reclamo. In via subordinata, chiedeva stabilirsi le quote di reversibilita' spettanti alle parti, con condanna alle riduzione di quanto finora percepito da parte dei percettori. Motivi di diritto L'art. 9, comma 2, legge n. 898/1970, dispone che «In caso di morte dell'ex coniuge e in assenza di un coniuge superstite avente i requisiti per la pensione di reversibilita', il coniuge rispetto al quale e' stata pronunciata sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio ha diritto, se non passato a nuove nozze e sempre che sia titolare di assegno ai sensi dell'art. 5, alla pensione di reversibilita', sempre che il rapporto da cui trae origine il trattamento pensionistico sia anteriore alla sentenza». Con successiva norma di interpretazione autentica, il legislatore ha specificato che «Le disposizioni di cui ai commi 2 e 3 dell'art. 9 della legge 1° dicembre 1970, n. 898, e successive modificazioni, si interpretano nel senso che per titolarita' dell'assegno ai sensi dell'art. 5 deve intendersi l'avvenuto riconoscimento dell'assegno medesimo da parte del tribunale ai sensi del predetto art. 5 della citata legge n. 898 del 1970» (art. 5, legge 28 dicembre 2005, n. 263). L'intervento chiarificatore trae origine dalla necessita' di dirimere il contrasto sorto nella giurisprudenza in ordine ai presupporti della indicata fattispecie legale. In particolare, si discuteva se fosse indispensabile la concreta previsione dell'assegno, da parte del Tribunale, ovvero se tale situazione potesse essere surrogata dall'esistenza, in astratto, dei presupposti per l'attribuzione. La tesi secondo cui l'assegno dovesse risultare effettivamente disposto e' sempre stata prevalente (Cfr.; Cassazione 5548/1995, in Dir. Fam. Pers., 1995, pag. 1436: «La formulazione chiara della nuova disposizione consente di affermare che condizione indispensabile affinche' il coniuge divorziato possa fruire del trattamento pensionistico, sia l'effettiva titolarita' del diritto all'assegno». In senso conforme, si vedano anche Cassazione, 26 luglio 1993, n. 8335, in Giust. Civ., 1994, pag. 2963 e Cassazione 8 gennaio 1997 n. 75, in Foro It., 1997, pag. 794. Si vedano anche: Cassazione, sez. unite, 12 gennaio 1998 n. 159, in Arch. Civ., 1998, pag. 283 e Cassazione, 10 ottobre 2003, n. 15148), ma l'alternativa ha spesso trovato spazio nella giurisprudenza della Corte di cassazione (Cfr. Cassazione Cass. 10 settembre 1990 n. 9309, in Foro It., 1991, pag. 806 «In particolare occorre chiarire se l'espressione si riferisca ad una titolarita' in astratto, ovvero ad una titolarita' in concreto della somministrazione dell'assegno, ed occorre altresi' spiegare la differenza di formulazione esistente tra l'art. 9, ove il soggetto creditore viene indicato con l'espressione generica e piuttosto ambigua di "titolare di assegno ai sensi dell'art. 5", e l'art. 9-bis, ove lo stesso soggetto viene indicato, con una piu' precisa puntualizzazione, come "colui al quale e' stato riconosciuto il diritto". Per intendere il senso dell'espressione adoperata dall'art. 9 e spiegare quindi la diversita' di formulazione rispetto all'art. 9-bis, giova far riferimento ai lavori preparatori della nuova legge ed evidenziare che la relazione al senato, commentando l'art. 9, adopera indifferentemente le espressioni "titolare dell'assegno di mantenimento" e "titolare del diritto alla somministrazione dell'assegno". Da cio' e' agevole quindi desumere che le espressioni sono equivalenti e si riferiscono entrambe ad una situazione astratta: "titolare di un diritto" e' infatti non soltanto chi di quel diritto abbia gia' ottenuto il riconoscimento, ma anche chi non abbia ancora azionato il diritto di cui sia astrattamente titolare». Si veda anche: Cassazione 17 gennaio 2000 n. 457, «Il Collegio, nel condividere in gran parte le argomentazioni delle sentenze 9309/90 e 9528/94 osserva che all'interpretazione data dalla sentenza impugnata non osta la lettera della legge, posto che la parola titolare ben puo' indicare una situazione di diritto che necessiti di accertamento giudiziale» ed in quella della Corte dei conti (Si veda la sentenza della Corte dei conti, sezioni riunite, del 16 novembre - 7 dicembre 2005, la quale supera e compone il contrasto: «Un primo prevalente indirizzo giurisprudenziale, che trova fondamento anche in sentenze della Corte costituzionale ed in particolare nella sentenza n. 777/88, afferma che solo la titolarita' effettiva dell'assegno di divorzio fa nascere il diritto alla corresponsione della pensione di reversibilita' quando l'ex coniuge titolare della pensione diretta cessa di vivere. Detto indirizzo giurisprudenziale si fonda sia sul tenore letterale della norma sia sulla considerazione che l'attribuzione patrimoniale ai divorziato, che ha acquistato carattere di automaticita' a seguito della legge n. 74/1987, non e' piu' subordinata alla condizione di uno stato di bisogno effettivo ma realizza una garanzia di continuita' del sostentamento al superstite. Altro indirizzo giurisprudenziale ha invece fatto ricorso ad un'interpretazione estensiva della norma affermando che e' sufficiente per ottenere il trattamento pensionistico il diritto astratto all'assegno divorzile, diritto accertabile incidenter tantum anche da parte del giudice delle pensioni. Detto indirizzo si fonda sostanzialmente su ragioni equitative e di parita' di trattamento.... (omissis).. P.Q.M. dichiara che ai fini della pensione di reversibilita' all'ex coniuge divorziato e' necessaria la preesistenza di una pronuncia positiva del giudice del divorzio almeno sul diritto all'assegno divorzile, ancorche' non quantificato o non effettivamente goduto..». Nel 2005 il legislatore ha ritenuto di dover intervenire con una norma chiarificatrice, per risolvere definitivamente la questione. L'art. 5 della legge 28 dicembre 2005, n. 263 ha introdotto la seguente norma: «Le disposizioni di cui ai commi due e tre dell'art. 9 della legge 1° settembre 1970, n. 898 e successive modificazioni, si interpretano nel senso che per titolarita' dell'assegno ai sensi dell'art. 5 deve intendersi l'avvenuto riconoscimento dell'assegno medesimo da parte del tribunale ai sensi del predetto art. 5 della citata legge n. 898 del 1970». In virtu' di essa, non vi e' piu' dubbio sul fatto che, per poter ottenere la pensione, il diritto al godimento dell'assegno di divorzio deve essere stato concretamente affermato, con una pronuncia giudiziale, non essendo sufficiente che esso sia astrattamente possibile o rilevabile incidenter tantum (Cfr.: Cassazione, 9 giugno 2011, n. 12546: «E' manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale, per contrarieta' con l'art. 3 Cost., dell'art. 5 della legge 28 dicembre 2005, n. 263, norma di interpretazione autentica dell'art. 9 della legge 6 marzo 1987, n. 74, e come tale retroattiva cd applicabile ai giudizi in corso - secondo cui il diritto del coniuge divorziato alla pensione di reversibilita', o ad una quota di essa in caso di concorso con altro coniuge superstite, presuppone che il richiedente sia titolare, al momento della morte dell'ex coniuge, di un assegno di divorzio, giudizialmente riconosciuto ai sensi dell'art. 5 della legge predetta - sollevata per la sola circostanza che le variate necessita' di vita, le quali in astratto avrebbero potuto consentire la modifica delle condizioni in caso di mutamento della situazione economica di uno degli ex coniugi, siano intervenute dopo decesso del coniuge gia' titolare in vita del trattamento pensionistico, trattandosi di una ipotetica situazione di fatto atta a determinare, semmai, in caso di una sua autonoma rilevanza, un'irragionevole condizione di miglior favore rispetto a quella goduta allorquando l'ex coniuge era in vita».) La giurisprudenza ha altresi' affermato che l'assegno deve essere giudizialmente riconosciuto in modo formale e definitivo, (salva ogni impugnabilita' o successiva possibilita' di revisione), non essendo utili, ai fini in oggetto, determinazioni provvisorie in attesa della decisione. (Si veda Cassazione, 11 aprile 2011, n. 8228: «L'art. 5 della legge 8 dicembre 2005, n. 263, laddove dispone che per titolarita' dell'assegno, ai sensi dell'art. 9 della legge 1° dicembre 1970, n. 898, debba intendersi "l'avvenuto riconoscimento dell'assegno ... da parte del tribunale", va inteso con riferimento non ad una qualunque attribuzione avente carattere provvisorio, ma al riconoscimento definitivo del diritto all'assegno; non e' idonea, pertanto, a fondare il diritto dell'ex coniuge alla pensione di reversibilita' o ad una quota della stessa, l'attribuzione di un emolumento mensile a carattere provvisorio in quanto essa non preclude il rigetto della domanda di assegno divorzile, ove l'espletata istruttoria conduca ad escludere gli estremi per il suo accoglimento». Nella parte motiva della predetta sentenza, si legge: «L'ordinanza con la quale e' stato attribuito un emolumento mensile a carattere provvisorio ed e' stata disposta la prosecuzione del giudizio per la determinazione dell'assegno non costituisce giudicato in ordine alla debenza dell'assegno e, quindi, non era di per se preclusiva del rigetto della domanda dell'assegno divorzile, qualora la espletata istruttoria avesse portato il Tribunale a ritenere che non vi erano gli estremi per il suo riconoscimento. Si consideri, inoltre, che la morte di X ha determinato la interruzione del processo e se il giudice, come riferito dalla stessa ricorrente, ne ha decretato l'estinzione, cio' significa che lo stesso non e' stato proseguito o riassunto, ai sensi dell'art. 305 codice di procedura civile, entro il termine perentorio di sei mesi. L'art. 310 codice di procedura civile, dispone, altresi', che l'estinzione del processo, a meno che non si tratti di sentenze di merito pronunciate nel corso del processo o di pronunce che regolano la competenza, rende inefficaci gli atti compiuti». I principi sin qui descritti sono stati ribaditi dalla sentenza n. 4107 del 20 febbraio 2018, la quale, pur affermando che l'assegno di divorzio deve essere ritenuto esistente anche se vigente in forza di una pronuncia non ancora passata in giudicato, ha affermato (nella parte motiva): «Invero, la legge neppure consente di ritenere sufficiente il provvedimento provvisorio di riconoscimento dell'assegno divorzile concesso dal Presidente dei Tribunale in sede di comparizione delle parti. La legge richiede una pronuncia dei Tribunale non del suo Presidente ed appare quindi sufficiente la pronuncia della sentenza che definisce il primo grado del giudizio e riconosce il diritto all'assegno divorzile». La lettera della legge, dunque, stabilisce che il richiedente la pensione di reversibilita' deve essere gia' titolare dell'assegno divorzile in forza di provvedimento giurisdizionale, Quest'ultimo, secondo l'orientamento da ultimo espresso in sede nomofilattica, deve necessariamente consistere in una sentenza, anche non passata in giudicato, che attesti la concreta ed attuale fruizione di una somma di denaro periodicamente versata all'ex coniuge come contributo al suo mantenimento. Analoga interpretazione vale per l'art. 12-bis della legge n. 898/1970, posto che esso richiede, ai fini del riconoscimento del TFR, il medesimo requisito della titolarita' dell'assegno di divorzio. Ove vi sia stata una sentenza di divorzio non definitiva, bisogna distinguere il caso in cui l'assegno sia stato disposto con la pronuncia e sia stata rimessa al definitivo la sua mera quantificazione, dall'ipotesi in cui la decisione, sia sull'an, che sul quantum dell'assegno, sia stata rinviata alla fase successiva. Nella prima situazione, essendo stato riconosciuto il diritto all'assegno ed essendo irrilevante, ai fini del riconoscimento della pensione, la misura di esso, la sussistenza della condizione della «titolarita' dell'assegno», dovra' essere affermata. Nella seconda, l'accertamento giudiziale non potra' compiersi dopo il decesso dell'obbligato, vigendo l'opposto principio della cessazione della materia del contendere con riferimento al rapporto di coniugio ed a tutti i profili economici connessi (Cfr. Cassazione, ordinanza n. 26489/2017; Cassazione, n. 18130/2013; parz. contra, Cass., 8 luglio 1977, n. 3038 «Anche a proposito della morte di uno dei coniugi nel corso del processo di divorzio, la giurisprudenza di questa Corte si muove nella scia di quella in tema di separazione ed afferma che lo scioglimento del vincolo che ne consegue comporta il venir meno dell'oggetto del giudizio e la cessazione della materia del contendere. Ma trattasi, pure in questo caso, di affermazione che non ha valore assoluto, dovendosi verificare, caso per caso... la possibilita' che residuino, nonostante la sopravvenuta morte, rapporti patrimoniali in ordine ai quali deve essere portato avanti l'accertamento giudiziale». La riassunzione, ove il giudizio sia stato dichiarato interrotto, dovra' essere compiuta nei confronti degli eredi). Nel caso di specie, alla ricorrente residuava il solo riconoscimento dell'assegno divorzile contenuto nell'ordinanza emessa dal Presidente del Tribunale ex art. 4, comma 8, legge n. 898/1970. A detto provvedimento, conformemente agli esposti principi di diritto, non viene attribuita valenza alcuna ai fini della corresponsione della pensione di reversibilita'. Tuttavia, il trattamento pensionistico ex art. 9 della legge n. 898/1970 non ha natura meramente previdenziale, bensi' assolve la precipua funzione di assicurare all'ex coniuge la continuita' del sostegno economico in precedenza garantitogli mediante il pagamento dell'assegno di divorzio (Corte cost., sentenza 20 ottobre 1999, n. 419). Osserva la Corte che il legislatore, poiche' la materia concerne diritti fondamentali, ha inteso disegnare un sistema capace di tutelare gli stessi nel modo piu' completo, per proteggere parti giudizialmente ritenute economicamente deboli e percio' vulnerabili. Secondo il quadro delineato dalla legge, finche' non e' stata emessa una sentenza di divorzio, il coniuge economicamente piu' debole e' tutelato dall'esistenza del rapporto di coniugio, che si protrae durante il periodo di separazione e comporta relativi diritti in tema di riconoscimento della pensione di reversibilita' e dell'indennita' di fine rapporto. Quando la sentenza viene emessa, la tutela, non piu' garantita dallo stato di coniugio, viene assicurata dalle norme divorzili, che equiparano coniuge ed ex coniuge ai fini della reversibilita' e garantiscono una quota dell'indennita' di fine rapporto. All'interno di tale sistema, la cui ratio, come si e' detto, e' la tutela di diritti fondamentali di soggetti deboli, vi e' un vulnus, verosimilmente non considerato dal legislatore, anche in ragione del fatto che sono successivamente intervenute modifiche in tema di sentenza non definitiva di divorzio, che riguarda la posizione di chi non e' piu' coniuge, perche' gia' divorziato, ma non ha ancora visti regolamentati i suoi diritti definitivi in tema di assegno divorzile. Vi e', per la figura indicata, una disparita' di trattamento sia con chi abbia gia' ottenuto un divorzio, sia con chi non lo abbia ottenuto. Vi e' altresi' disparita', tra chi abbia ottenuto una sentenza non passata in giudicato e, quindi, suscettibile di essere travolta e chi abbia ottenuto un mero provvedimento presidenziale, disparita', quest'ultima processualmente giustificabile con la differenza tra provvedimento provvisorio e sentenza, ma possibile fonte di ingiustizie sostanziali, come nel caso di specie, nel quale la parte aveva goduto dell'assegno, non solo durante il periodo di separazione, ma anche per quattro anni nel giudizio divorzile, senza che la controparte mai contestasse tale attribuzione. Pertanto, l'art. 9, comma 2 della legge n. 898/1970, per come interpretato alla luce dell'art. 5 della legge n. 263/2005, si pone in contrasto con l'art. 2 Cost. nella misura in cui subordina la citata funzione solidaristica della pensione di reversibilita' alla sussistenza di presupposti meramente formali. La norma de qua viola altresi' l'art. 3, comma 2 della Costituzione che sancisce il principio fondamentale di uguaglianza sostanziale, in quanto irragionevolmente preclude al destinatario di un assegno divorzile provvisorio l'accesso alla tutela pensionistica ex art. 9, comma 2, sebbene anch'egli beneficiario di una forma di contribuzione economica al pari dell'ex coniuge cui l'assegno sia stato riconosciuto con sentenza. Analoghe riserve di legittimita' costituzionale vanno formulate in ordine al requisito della titolarita' dell'assegno di divorzio richiesto dell'art. 12-bis, legge n. 898 ai fini del riconoscimento del trattamento di fine rapporto in favore dell'ex coniuge.
P.Q.M. Letti gli articoli 134 della Costituzione, 1 della legge costituzionale n. 1/1948 e 23 della legge n. 87/1953, il Presidente delegato: dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale degli articoli 9 e 12-bis della legge 1° dicembre 1970, n. 898 e dell'art. 5, legge 28 dicembre 2005, n. 263, nella parte in cui non prevedono che il requisito della titolarita' dell'assegno sussista anche in caso di morte dell'obbligato, intervenuta, in presenza di una sentenza parziale di divorzio, prima della definitiva determinazione dell'assegno gia' riconosciuto in sede di provvedimenti provvisori presidenziali; sospende il presente giudizio; ordina che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza venga notificata alle parti, al Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' comunicata al presidente del Senato e al presidente della Camera dei deputati; dispone l'immediata trasmissione degli atti, comprensivi della documentazione attestante il perfezionamento delle prescritte notificazioni e comunicazioni, alla Corte costituzionale. Salerno, 14 ottobre 2020 Il Presidente relatore: de Filippis