N. 61 SENTENZA 25 febbraio - 8 aprile 2021

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Fallimento e procedure concorsuali - Conversione della  procedura  di
  accordo di composizione della crisi da sovraindebitamento in quella
  di liquidazione del patrimonio -  Possibile  conversione  anche  in
  caso di mancato accordo tra i  debitori  e  i  creditori  -  Omessa
  previsione - Denunciata violazione del principio di  eguaglianza  e
  del diritto di difesa - Inammissibilita' delle questioni. 
- Legge 27 gennaio 2012, n. 3, art. 14-quater. 
- Costituzione, artt. 3 e 24. 
(GU n.15 del 14-4-2021 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Giancarlo CORAGGIO; 
Giudici :Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de  PRETIS,  Giovanni
  AMOROSO, Francesco VIGANO', Luca ANTONINI, Stefano PETITTI,  Angelo
  BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale  dell'art.  14-quater
della legge 27 gennaio 2012, n. 3 (Disposizioni in materia di usura e
di   estorsione,   nonche'   di   composizione   delle    crisi    da
sovraindebitamento), promosso dal Tribunale ordinario di Lanciano nel
procedimento relativo a M. C., con ordinanza  del  6  febbraio  2020,
iscritta al n. 125 del registro ordinanze  2020  e  pubblicata  nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica  n.  39,  prima  serie  speciale,
dell'anno 2020. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 24 febbraio 2021  il  Giudice
relatore Luca Antonini; 
    deliberato nella camera di consiglio del 25 febbraio 2021. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 6 febbraio 2020 (r.o. n. 125 del 2020),  il
Tribunale ordinario di Lanciano ha  sollevato,  in  riferimento  agli
artt.  3  e  24  della  Costituzione,   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 14-quater della legge 27 gennaio 2012, n.  3
(Disposizioni in  materia  di  usura  e  di  estorsione,  nonche'  di
composizione delle crisi da sovraindebitamento). 
    Tale disposizione cosi' recita: «1. Il giudice,  su  istanza  del
debitore o di uno dei  creditori,  dispone,  col  decreto  avente  il
contenuto di cui all'articolo 14-quinquies, comma 2,  la  conversione
della procedura di composizione della crisi di cui alla sezione prima
in quella di liquidazione del patrimonio nell'ipotesi di annullamento
dell'accordo o di  cessazione  degli  effetti  dell'omologazione  del
piano del consumatore ai sensi dell'articolo 14-bis, comma 2, lettera
a). La conversione e' altresi' disposta nei casi di cui agli articoli
11, comma 5, e 14-bis, comma 1, nonche' di risoluzione dell'accordo o
di  cessazione  degli  effetti  dell'omologazione   del   piano   del
consumatore ai sensi dell'articolo 14-bis, comma 2, lettera  b),  ove
determinati da cause imputabili al debitore». 
    La norma e' censurata nella  parte  in  cui  non  prevede  che  i
debitori  possano  chiedere,  in  caso  di   mancato   raggiungimento
dell'accordo con i  creditori,  la  conversione  della  procedura  di
accordo di composizione della crisi in  quella  di  liquidazione  del
proprio patrimonio. 
    2.- Il giudizio principale ha ad  oggetto  un  ricorso  volto  ad
ottenere l'ammissione e la successiva omologazione di un  accordo  di
ristrutturazione dei debiti e di soddisfazione dei crediti,  proposto
ai sensi degli artt. 6, comma 1, primo periodo, e 7, comma  1,  della
legge n. 3 del 2012. 
    Secondo quanto riferito dal rimettente, la  proposta  di  accordo
depositata dal debitore ha superato il preliminare vaglio  giudiziale
di ammissibilita' ma non e' stata  poi  approvata  dalla  maggioranza
qualificata dei  creditori  (segnatamente  rappresentanti  almeno  il
sessanta per cento dei  crediti),  sicche'  l'omologazione,  in  base
all'art. 12, comma 2, della  legge  n.  3  del  2012,  non  e'  stata
possibile. 
    Il debitore ha quindi chiesto la conversione della  procedura  di
accordo in quella di liquidazione dei beni di cui agli artt. 14-ter e
seguenti della legge n. 3  del  2012,  ma  all'accoglimento  di  tale
domanda osterebbe, a parere del giudice a quo, il disposto  dell'art.
14-quater della suddetta legge, perche'  prevedrebbe  la  conversione
soltanto in relazione alle fattispecie da esso stesso  tassativamente
contemplate,  tra  le  quali  non  e'  compresa  quella  del  mancato
raggiungimento dell'accordo. 
    Di qui la rilevanza delle questioni sollevate,  sulla  quale  non
inciderebbe, d'altra parte, la prossima entrata in vigore del decreto
legislativo 12 gennaio 2019, n. 14 (Codice della  crisi  d'impresa  e
dell'insolvenza in attuazione della legge 19 ottobre 2017,  n.  155),
essendo  tale  normativa  inapplicabile,   ratione   temporis,   alla
procedura di cui il rimettente e' investito. 
    2.1.-  Quanto  alla  non  manifesta  infondatezza,  il  Tribunale
abruzzese - sul presupposto che «le procedure di  composizione  delle
crisi da sovraindebitamento  (tra  cui  la  stessa  liquidazione  del
patrimonio del debitore) sono  poste  a  tutela  delle  posizioni  di
maggior disagio sociale, ovviamente nel  caso  in  cui  tale  disagio
possa dirsi incolpevole» - ritiene che l'art. 14-quater  della  legge
n. 3  del  2012  rechi  un  vulnus  agli  artt.  3  e  24  Cost.,  in
riferimento,  rispettivamente,  al  principio  di  eguaglianza  e  al
diritto di difesa. 
    L'impossibilita', per i debitori la cui  proposta  non  e'  stata
approvata dai creditori, di chiedere la  conversione  determinerebbe,
infatti,  un'irragionevole  disparita'  di  trattamento  rispetto  ai
debitori che hanno raggiunto l'accordo, ai quali  la  conversione  e'
invece consentita. 
    Piu' precisamente, sarebbe del tutto ingiustificata la scelta  di
consentire la conversione nelle ipotesi previste dal  censurato  art.
14-quater della legge n. 3 del 2012, ovvero  ai  debitori  che  hanno
causato - ponendo in essere condotte dolose o colpose oppure in forza
di inadempimenti imputabili  -  l'annullamento,  la  risoluzione,  la
revoca  o  la  cessazione  di  diritto  degli  effetti   dell'accordo
omologato, e non anche  ai  debitori  che  hanno  solo  subito  («per
effetto di  una  mera  valutazione  di  convenienza  dei  creditori»,
«oltretutto non motivata») il dissenso del ceto creditorio in  merito
alla proposta da essi avanzata. 
    L'irragionevolezza  della  omessa  equiparazione   tra   le   due
categorie  di  debitori  risulterebbe  inoltre   apprezzabile   anche
considerando che i requisiti necessari per accedere alla procedura di
accordo, gia' accertati dal giudice in  occasione  della  valutazione
della sua ammissibilita', coinciderebbero con quelli richiesti per la
liquidazione. 
    Dalla  denunciata   disparita'   deriverebbero   infine   effetti
pregiudizievoli  in  capo  ai  debitori  che  non   hanno   raggiunto
l'accordo. Questi, infatti, non potendo chiedere la  conversione:  a)
sarebbero  totalmente   esposti,   a   seguito   della   revoca   del
provvedimento  inibitorio  delle  procedure   esecutive   individuali
adottato all'esito del suddetto vaglio di ammissibilita', alle azioni
esecutive dei singoli creditori; b) perderebbero la  possibilita'  di
ottenere,  successivamente  alla  liquidazione,  l'esdebitazione;  c)
sarebbero costretti, al fine di accedere alla liquidazione stessa, ad
attivare un nuovo e distinto procedimento e, quindi, a  sostenere  le
relative spese. 
    Sotto quest'ultimo profilo, la norma censurata  violerebbe  anche
l'art. 24 Cost., in quanto precluderebbe ai debitori  che  non  hanno
ottenuto il consenso dei creditori «di difendere e tutelare  in  modo
piu' ampio i propri diritti  (e,  nel  caso  di  specie,  il  proprio
patrimonio) con le procedure previste dalla legge». 
    3.- E' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato,    chiedendo,    in    via    preliminare,    di    dichiarare
l'inammissibilita' delle questioni o di «rinviare gli atti al giudice
rimettente»; nel merito, la  declaratoria  di  non  fondatezza  delle
questioni stesse. 
    3.1.- Le richieste avanzate in limine sono prive di  motivazione,
giacche'   le   argomentazioni   dell'interveniente   si   incentrano
unicamente  sul  merito  dei  prospettati  dubbi  di   illegittimita'
costituzionale. 
    3.2.- In particolare, la censura sull'art. 3  Cost.  non  sarebbe
fondata in forza dell'eterogeneita' delle situazioni in cui versano i
debitori posti a  confronto.  Nelle  fattispecie  previste  dall'art.
14-quater  della  legge  n.  3  del  2012,  infatti,   sarebbe   gia'
intervenuta l'omologazione dell'accordo  per  la  composizione  della
crisi: evidente risulterebbe, pertanto, la differenza  rispetto  alla
fattispecie a cui il rimettente vorrebbe  estendere  la  possibilita'
della conversione,  nella  quale,  invece,  l'accordo  non  e'  stato
raggiunto. 
    Sarebbe privo di pregio anche l'argomento basato sulla soggezione
dei debitori alle azioni esecutive individuali, dal momento  che,  al
contrario,  dopo  la  chiusura  della  procedura  di   accordo   essi
potrebbero  ottenere  l'inibitoria  di  tali  azioni  depositando  la
domanda di liquidazione: con il decreto di  apertura  della  relativa
procedura, infatti, il giudice disporrebbe che  non  possono  «essere
iniziate azioni cautelari o esecutive [...] sul patrimonio oggetto di
liquidazione da parte dei creditori aventi titolo o causa  anteriore»
(art. 14-quinquies, comma 2, lettera b, della legge n. 3 del 2012). 
    Parimenti non condivisibile sarebbe, poi, l'assunto  secondo  cui
dalla preclusione della conversione deriverebbe l'impossibilita'  per
i  debitori  di  essere  ammessi  al  beneficio  della  esdebitazione
conseguente alla procedura di liquidazione. Questa, infatti, potrebbe
essere aperta anche in virtu' di  un'autonoma  domanda  dei  debitori
stessi e pure in tale ipotesi, a prescindere quindi dalla conversione
della precedente procedura  di  accordo,  l'art.  14-terdecies  della
legge n. 3 del 2012 consentirebbe loro di  godere  della  liberazione
dei debiti residui nei confronti  dei  creditori  concorsuali  e  non
soddisfatti. 
    Quanto,  infine,  all'aggravio  degli   oneri   derivanti   dalla
proposizione di una nuova domanda, la difesa statale osserva  che  si
tratterebbe di una «situazione di fatto nient'affatto  necessitata  e
derivante dal testo normativo». 
    Egualmente  non  fondata  sarebbe  la  questione   sollevata   in
riferimento all'art. 24 Cost. 
    Ad avviso  dell'Avvocatura  generale,  la  norma  denunciata  non
pregiudicherebbe l'esercizio della tutela giurisdizionale in  quanto,
in sostanza, il debitore, come gia' detto, potrebbe comunque accedere
alla  procedura  di  liquidazione  a  seguito  della   chiusura   del
procedimento volto all'omologa dell'accordo. A tanto  non  osterebbe,
in particolare, il divieto - desumibile dall'art. 7, comma 2, lettera
b), della legge n. 3 del 2012 - di chiedere la  liquidazione  ove  il
debitore abbia gia' «fatto ricorso, nei precedenti  cinque  anni,  ai
procedimenti» disciplinati dalla legge stessa: tale divieto  sarebbe,
infatti,  funzionale  a  evitare  che  i  debitori  possano   fruire,
nell'indicato arco  temporale,  della  esdebitazione,  cio'  che  non
accade nell'ipotesi in cui l'accordo non sia intervenuto. 
    3.3.- In prossimita'  della  camera  di  consiglio,  l'Avvocatura
generale ha depositato memoria con la quale ha illustrato le  ragioni
dell'eccepita inammissibilita'. 
    Essa deriverebbe, in primo luogo, dal rilievo che  il  rimettente
avrebbe   affermato   apoditticamente   l'impraticabilita'   di   una
interpretazione costituzionalmente conforme  della  norma  censurata.
Interpretazione che sarebbe invece consentita in considerazione,  per
un verso, dell'assenza di  un  diritto  vivente  in  merito  all'art.
14-quater della legge n. 3 del 2012; per l'altro, della  possibilita'
di una «ricostruzione sistematica che elimini qualsivoglia  eventuale
disfunzione», ammettendo la conversione  anche  in  caso  di  mancato
raggiungimento dell'accordo e, comunque, riconoscendo ai debitori  la
facolta' di domandare,  con  il  medesimo  ricorso,  la  liquidazione
subordinatamente al diniego dell'omologazione dell'accordo stesso. 
    Sotto altro profilo, le  questioni  sarebbero  inammissibili  per
insufficiente motivazione in punto  di  non  manifesta  infondatezza.
Secondo la difesa  statale,  il  giudice  a  quo  avrebbe  omesso  di
individuare,  quanto   alla   dedotta   compromissione   del   canone
dell'eguaglianza, il tertium comparationis e  «lo  specifico  profilo
d'irragionevolezza denunciato»; quanto, invece, all'asserita  lesione
dell'art. 24 Cost., le concrete ragioni del lamentato vulnus. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Tribunale ordinario di  Lanciano  dubita,  in  riferimento
agli  artt.  3  e   24   della   Costituzione,   della   legittimita'
costituzionale dell'art. 14-quater della legge 27 gennaio 2012, n.  3
(Disposizioni in  materia  di  usura  e  di  estorsione,  nonche'  di
composizione delle crisi da sovraindebitamento). 
    2.- La disposizione denunciata stabilisce che: «1. Il giudice, su
istanza del debitore o di uno dei  creditori,  dispone,  col  decreto
avente il contenuto di cui all'articolo  14-quinquies,  comma  2,  la
conversione della procedura di composizione della crisi di  cui  alla
sezione prima in quella di liquidazione del  patrimonio  nell'ipotesi
di  annullamento  dell'accordo  o   di   cessazione   degli   effetti
dell'omologazione del piano del consumatore  ai  sensi  dell'articolo
14-bis, comma 2, lettera a). La conversione e' altresi' disposta  nei
casi di cui agli articoli 11, comma 5, e 14-bis, comma 1, nonche'  di
risoluzione   dell'accordo   o   di    cessazione    degli    effetti
dell'omologazione del piano del consumatore  ai  sensi  dell'articolo
14-bis, comma 2, lettera b), ove determinati da cause  imputabili  al
debitore». 
    Essa, per quanto rileva alla luce  del  petitum  del  rimettente,
dunque dispone che i debitori possono chiedere la  conversione  della
procedura   di   accordo   di    composizione    della    crisi    da
sovraindebitamento in quella di  liquidazione  del  patrimonio  nelle
ipotesi in cui l'accordo sia stato raggiunto con i creditori e  -  in
conseguenza del compimento, da parte dei debitori stessi, di condotte
dolose  o   gravemente   colpose   oppure,   infine,   di   specifici
inadempimenti imputabili - sia stato poi annullato, risolto, revocato
o abbia cessato di diritto di produrre effetti. 
    La norma e' censurata nella parte  in  cui  non  prevede  che  la
conversione possa essere chiesta anche dai  debitori  che  non  hanno
raggiunto l'accordo: si determinerebbe  infatti  un'ingiustificata  e
pregiudizievole disparita' di trattamento, con lesione del  principio
di eguaglianza di cui all'art. 3 Cost., tra tali debitori - che hanno
solo subito, per una mera valutazione di convenienza, il dissenso del
ceto creditorio in merito alla proposta da essi avanzata -  e  quelli
che hanno invece ottenuto il consenso  su  tale  proposta,  ma  hanno
causato l'annullamento, la risoluzione, la revoca o la cessazione  di
diritto degli effetti dell'accordo omologato. Risulterebbe,  inoltre,
violato l'art. 24 Cost., dal momento che l'art. 14-quater della legge
n. 3 del 2012 pregiudicherebbe il  diritto  di  difesa  dei  suddetti
debitori che, non potendosi  avvalere  della  conversione,  sarebbero
costretti ad agire in via autonoma per  accedere  alla  procedura  di
liquidazione. 
    3.- Nel suo atto di intervento in  giudizio,  il  Presidente  del
Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso   dall'Avvocatura
generale dello Stato,  ha  chiesto  preliminarmente  la  restituzione
degli atti al giudice a quo. 
    In disparte l'evidente apoditticita' della richiesta,  in  quanto
del tutto priva della benche' minima motivazione, gli estremi per  la
restituzione degli atti non sono, in ogni caso, ravvisabili. 
    Non rileva, in specie, l'adozione, successivamente  all'ordinanza
di rimessione e al deposito dell'atto intervento poc'anzi menzionato,
del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137 (Ulteriori  misure  urgenti
in materia di tutela della salute,  sostegno  ai  lavoratori  e  alle
imprese, giustizia e sicurezza, connesse all'emergenza epidemiologica
da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 18  dicembre
2020, n. 176,  che,  all'art.  4-ter,  ha  modificato  sotto  diversi
profili la disciplina del sovraindebitamento recata dalla legge n.  3
del 2012. Tale ius novum non incide, infatti, su aspetti decisivi  ai
fini della valutazione delle censure oggetto del presente scrutinio e
non  impone,  dunque,  un  riesame  da  parte  del  rimettente  delle
questioni, i cui termini permangono sostanzialmente immutati. 
    4.- Ancora in via preliminare, l'Avvocatura generale ha sollevato
eccezione d'inammissibilita' in  quanto  il  giudice  a  quo  avrebbe
affermato in maniera assertiva l'impossibilita'  di  interpretare  la
norma denunciata secundum constitutionem: da  un  lato,  infatti,  la
tassativita'  delle  ipotesi  di  conversione  non   assumerebbe   il
carattere rigido sostenuto dal rimettente e, dall'altro, non  sarebbe
esclusa la  possibilita',  per  i  debitori,  di  domandare,  con  il
medesimo  ricorso,  la  liquidazione  subordinatamente   al   diniego
dell'omologazione dell'accordo. 
    Tale specifica eccezione va disattesa. 
    Il giudice  rimettente  si  e',  infatti,  soffermato,  ancorche'
succintamente,  sull'art.  14-quater  della  legge  n.  3  del  2012,
osservando  che  il  suo  tenore  letterale  non   consentirebbe   di
convertire la procedura di accordo in quella di  liquidazione  al  di
fuori delle ipotesi da esso previste. Le questioni sollevate non sono
quindi inammissibili, «poiche' e' stata consapevolmente esclusa [...]
la   praticabilita'   di   una   interpretazione   costituzionalmente
orientata» (ex plurimis, sentenza n. 150 del 2020). 
    4.1.- L'Avvocatura generale ha eccepito l'inammissibilita'  anche
per l'insufficiente  motivazione  sulla  non  manifesta  infondatezza
delle  questioni  sollevate:  con  riguardo  all'asserita  violazione
dell'art. 3 Cost., perche' il rimettente non avrebbe individuato  ne'
il tertium comparationis ne' lo «specifico profilo d'irragionevolezza
denunciato»; con riguardo  all'art.  24  Cost.,  perche'  il  dedotto
vulnus sarebbe basato su «considerazioni generiche». 
    Neppure tale eccezione e'  suscettibile  di  accoglimento,  sotto
entrambi i profili in cui e' articolata. 
    Quanto al contrasto con il principio di eguaglianza, va, infatti,
rilevato che il giudice a  quo  non  ha  mancato  di  individuare  il
tertium utile ad apprezzare la denunciata  disparita',  evidentemente
identificandolo nella situazione in cui versano i debitori che  hanno
si' raggiunto  l'accordo,  ma  ne  hanno  determinato  la  successiva
"caducazione". Il rimettente  ha  del  pari  chiarito  i  profili  di
irragionevolezza  di  siffatta  disparita':  circoscrivendo  a   tali
debitori - che per di piu' hanno posto in essere  condotte  dolose  o
gravemente colpose o, comunque, inadempimenti loro  imputabili  -  la
possibilita' di chiedere la conversione, l'art. 14-quater della legge
n. 3 del 2012 del tutto ingiustificatamente precluderebbe la medesima
facolta'  ai  debitori  che  "incolpevolmente"  non  hanno  raggiunto
l'accordo con i creditori. Questa preclusione risulterebbe,  inoltre,
irragionevole    poiche'    i    presupposti    della    liquidazione
coinciderebbero con quelli della procedura  di  accordo  e  sarebbero
stati   gia'   accertati   dal   giudice   in   sede   di    verifica
dell'ammissibilita' di tale ultima procedura. 
    In  ordine,  poi,  alla  lesione  dell'art.   24   Cost.,   dalla
complessiva   motivazione   dell'ordinanza   di   rimessione   emerge
chiaramente  che  il  giudice  a  quo   dubita   della   legittimita'
costituzionale della norma denunciata perche' essa comporterebbe  una
frammentazione della tutela dei  debitori  che  non  hanno  raggiunto
l'accordo, costringendoli a subire la chiusura del procedimento  gia'
aperto e ad attivarne uno distinto per  accedere  alla  liquidazione,
cosi' sopportando un aggravio di spese. 
    Deve  conclusivamente  ritenersi  che   le   argomentazioni   del
Tribunale abruzzese superino il vaglio di ammissibilita',  sotto  gli
aspetti rimarcati dall'Avvocatura generale. 
    5.- L'esame del merito e', tuttavia, precluso da altre ragioni di
inammissibilita'. 
    Queste prescindono dalla possibilita' d'interpretare la specifica
norma  denunciata  secundum  constitutionem,  in  quanto  afferiscono
piuttosto alla lacunosa ponderazione del complessivo quadro normativo
e giurisprudenziale in cui essa s'inserisce. 
    5.1.- Le questioni oggetto dell'odierno incidente di legittimita'
costituzionale, infatti, si sviluppano sul presupposto, sostenuto dal
rimettente, che non sia ammissibile  la  domanda  del  debitore  che,
superato il preliminare esame giudiziale sulla proposta di accordo da
esso formulata,  chieda,  in  conseguenza  del  dissenso  in  seguito
manifestato dai creditori, la conversione della procedura  in  quella
di liquidazione del proprio patrimonio. 
    A tale inammissibilita' il giudice  a  quo  giunge  sulla  scorta
della dirimente considerazione che il censurato art. 14-quater  della
legge n. 3 del 2012, nel disciplinare la  conversione,  non  include,
nel novero dei soggetti legittimati a chiederla, i debitori  che  non
hanno raggiunto l'accordo. 
    Il rimettente perviene  a  questa  conclusione  senza,  tuttavia,
considerare, su un altro piano,  che  la  domanda  con  la  quale  il
debitore  chiede,   in   conseguenza   del   mancato   raggiungimento
dell'accordo, di accedere alla liquidazione puo'  invece  ben  essere
ammessa, in ossequio al principio  di  economia  processuale  e  alla
funzione sociale della disciplina della composizione delle  crisi  da
sovraindebitamento, applicando le norme sul rito  camerale,  per  tal
via giungendo allo stesso sostanziale risultato della conversione. 
    Detta domanda, infatti, si colloca in una fase  del  procedimento
in cui il giudice investito della procedura, al fine della successiva
omologazione dell'accordo, e' chiamato tra l'altro  ad  accertare  il
consenso della maggioranza qualificata dei creditori (rappresentanti,
cioe', almeno il sessanta per cento dei crediti) sulla  proposta  del
debitore. 
    Si tratta di una fase alla quale, sia pure  con  il  temperamento
della compatibilita', appaiono applicabili le norme sul rito camerale
di cui agli artt. 737 e seguenti  del  codice  di  procedura  civile,
espressamente richiamate dagli artt. 10, comma  6,  e  12,  comma  2,
terzo periodo, della legge n. 3 del 2012. 
    5.2.- Il rito camerale, di cui il  rimettente  deve  quindi  fare
applicazione,  come  chiarito   da   questa   Corte,   e'   connotato
dall'assenza di «formalismi non essenziali»  (ordinanza  n.  140  del
2001), in quanto preordinato a soddisfare «esigenze di  speditezza  e
semplificazione» (sentenza n. 10 del 2013;  nello  stesso  senso,  ex
plurimis, sentenza n. 194 del 2005; ordinanze n. 190 del 2013, n. 170
del 2009 e n. 35 del 2002). 
    In questa  prospettiva,  la  giurisprudenza  di  legittimita'  ha
precisato che, in linea  generale,  nel  procedimento  camerale  «non
vigono  le  preclusioni  previste  per  il  giudizio  di   cognizione
ordinario» e, segnatamente, che possono essere finanche «proposte per
tutto il corso di esso  domande  nuove  [...]  in  conformita'  delle
direttive dettate dal giudice» (Corte di  cassazione,  sezione  prima
civile, sentenze 24 ottobre 2003, n. 16035, e  25  ottobre  2000,  n.
14022), al quale gli artt. 737 e seguenti cod. proc.  civ.  riservano
«ampi margini di  discrezionalita'»  (Corte  di  cassazione,  sezione
prima civile, sentenza 27 aprile 2016, n. 8404). 
    Da ultimo, peraltro, non e' nemmeno superfluo ricordare che anche
le  preclusioni  che  invece  contraddistinguono   il   processo   di
cognizione ordinario risultano attenuate,  con  particolare  riguardo
alla modificabilita' delle domande, a seguito della sentenza  con  la
quale le sezioni unite della Corte di cassazione hanno affermato  che
la «modificazione della domanda ammessa a norma dell'art. 183  c.p.c.
puo' riguardare anche uno  o  entrambi  gli  elementi  identificativi
della medesima sul piano oggettivo (petitum e causa petendi),  sempre
che la domanda cosi' modificata risulti in ogni  caso  connessa  alla
vicenda sostanziale dedotta in giudizio [...]» (Corte di  cassazione,
sezioni unite civili, sentenza 15 giugno 2015, n. 12310). 
    5.3.- Nel descritto contesto, il giudice a  quo  avrebbe  dovuto,
quindi, prendere in considerazione la possibilita' di qualificare  la
domanda di conversione nella specie formulata dal debitore quale mera
modifica  dell'originaria   domanda   di   accordo   in   quella   di
liquidazione, ritenendola di  conseguenza  ammissibile  sulla  scorta
delle norme che  disciplinano  il  rito  camerale;  magari  solo  per
escluderla, perche' ad esempio impedita dal divieto  di  reiterazione
infraquinquennale,  volto  «a  fronteggiare  un   uso   ripetuto   ed
indiscriminato» delle procedure in discorso e «dettato a  carico  del
debitore» il quale abbia, pero', fruito «degli effetti  pieni»  delle
stesse (Corte  di  cassazione,  sezione  prima  civile,  sentenza  1°
gennaio 2016, n. 1869;  nello  stesso  senso,  Corte  di  cassazione,
sezione prima civile, ordinanza 1° agosto 2017, n. 19117). 
    I requisiti per accedere alla liquidazione, come rileva anche  lo
stesso rimettente, sono del resto in buona  misura  sovrapponibili  a
quelli previsti dalla legge  n.  3  del  2012  per  la  procedura  di
accordo. Tali requisiti sono stati, d'altro canto, gia' accertati  in
occasione del giudizio di ammissibilita' della  proposta  di  accordo
sulla base di documentazione  del  pari  largamente  coincidente  con
quella  che  deve  essere  depositata  a  corredo  della  domanda  di
liquidazione. 
    La  possibilita'  ermeneutica  che  il  giudice  a  quo  trascura
sarebbe, pertanto,  coerente  sia  con  le  ragioni  di  celerita'  e
semplificazione che, come visto, questa Corte ha ripetutamente  posto
a fondamento della disciplina del rito camerale, sia con il  suddetto
orientamento della giurisprudenza di legittimita'. 
    5.4.-  La  descritta  lacuna  nella  ricostruzione   del   quadro
normativo si traduce quindi in un'insufficiente motivazione in  punto
sia di  rilevanza,  poiche'  il  rimettente,  seguendo  il  descritto
percorso   interpretativo,   non   dovrebbe   necessariamente    fare
applicazione dell'art. 14-quater della legge n. 3 del  2012,  sia  di
non manifesta infondatezza, dal momento che i trascurati  profili  di
applicabilita'  delle  richiamate   disposizioni   codicistiche   sui
procedimenti  camerali  sarebbero  anche   idonei   a   confutare   i
prospettati dubbi di legittimita' costituzionale. 
    Il giudice a quo, peraltro, nemmeno si confronta con  la  tesi  -
accolta sia in dottrina, sia nella giurisprudenza  di  merito  e  qui
sostenuta dall'Avvocatura generale - che ammette la proposizione, con
lo stesso ricorso, di domande (non gia' cumulative,  ma)  subordinate
aventi ad oggetto le diverse procedure  volte  al  superamento  della
crisi da sovraindebitamento. 
    Tale omissione si riverbera sull'adeguatezza della motivazione in
ordine alla non manifesta infondatezza: il sistema normativo, pur  in
assunto precludendo al debitore che non abbia raggiunto l'accordo  di
chiedere  la   liquidazione   nel   corso   del   procedimento,   gli
consentirebbe  pero'  (e  cio'  incide  sui  prospettati  profili  di
illegittimita' costituzionale) di formulare siffatta domanda, in  via
subordinata, con il ricorso, offrendogli per tal via la  possibilita'
(per cosi' dire, "in prevenzione") di non dovere attivare un nuovo  e
distinto procedimento al fine di accedere alla liquidazione stessa. 
    6.-  In  definitiva,  l'incompleta  ricostruzione  della  cornice
normativa   e   giurisprudenziale    di    riferimento    compromette
irrimediabilmente l'iter  logico  argomentativo  posto  a  fondamento
delle valutazioni del rimettente sia sulla rilevanza, sia  sulla  non
manifesta infondatezza, cio' che, secondo il costante orientamento di
questa  Corte,  rende  inammissibili  le  questioni   sollevate   (ex
plurimis, sentenze n. 15 del 2021, n. 264 del 2020 e n. 150 del 2019;
ordinanze n. 147 e n. 108 del 2020). 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara   inammissibili    le    questioni    di    legittimita'
costituzionale dell'art. 14-quater della legge 27 gennaio 2012, n.  3
(Disposizioni in  materia  di  usura  e  di  estorsione,  nonche'  di
composizione  delle  crisi  da  sovraindebitamento),  sollevate,   in
riferimento agli artt. 3  e  24  della  Costituzione,  dal  Tribunale
ordinario di Lanciano con l'ordinanza indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 25 febbraio 2021. 
 
                                F.to: 
                   Giancarlo CORAGGIO, Presidente 
                      Luca ANTONINI, Redattore 
             Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria 
 
    Depositata in Cancelleria l'8 aprile 2021. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA