N. 65 SENTENZA 9 marzo - 13 aprile 2021

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Telecomunicazioni  -  Codice  delle  comunicazioni   elettroniche   -
  Determinazione    dei    diritti    amministrativi     a     favore
  dell'amministrazione - Criteri - Denunciata violazione dei principi
  di  eguaglianza,  buon  andamento,  imparzialita'  della   pubblica
  amministrazione,  nonche'  dei   principi   informatori   e   delle
  prescrizioni  comunitarie  in  materia  -  Inammissibilita'   delle
  questioni. 
- Decreto legislativo 1° agosto 2003,  n.  259,  art.  34  e  art.  1
  dell'Allegato n. 10 al medesimo decreto. 
- Costituzione, artt. 3, 97, 11 e 117 Cost., primo  comma;  Direttiva
  2002/20/CE, considerando numeri 30 e 31 e  art.  12;  Trattato  sul
  funzionamento dell'Unione europea, artt. 106, paragrafo  2,  288  e
  291; Protocollo  n.  26  allegato  al  Trattato  sul  funzionamento
  dell'Unione  europea,  art.  1;  Carta  dei  diritti   fondamentali
  dell'Unione europea, artt. 20 e 21. 
(GU n.15 del 14-4-2021 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Giancarlo CORAGGIO; 
Giudici :Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria  de  PRETIS,  Nicolo'
  ZANON,  Augusto  Antonio  BARBERA,  Giulio  PROSPERETTI,   Giovanni
  AMOROSO, Francesco VIGANO', Luca ANTONINI, Stefano PETITTI,  Angelo
  BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nei giudizi  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  34  del
decreto  legislativo  1°  agosto   2003,   n.   259   (Codice   delle
comunicazioni  elettroniche),  nella  formulazione  originaria  e  in
quella risultante a seguito delle modifiche  apportate  dall'art.  5,
comma 1, lettera a), numeri 1) e 2), della legge 29 luglio  2015,  n.
115  (Disposizioni  per  l'adempimento   degli   obblighi   derivanti
dall'appartenenza dell'Italia  all'Unione  europea  -  Legge  europea
2014), e dell'art. 1,  comma  1,  dell'Allegato  n.  10  al  medesimo
decreto  legislativo,  nella  formulazione  originaria  e  in  quella
risultante a seguito delle modifiche apportate dall'art. 6, comma  4,
lettere a), b) e c), del  decreto-legge  23  dicembre  2013,  n.  145
(Interventi urgenti di avvio del piano "Destinazione Italia", per  il
contenimento delle tariffe elettriche e del gas, per la riduzione dei
premi  RC-auto,  per  l'internazionalizzazione,  lo  sviluppo  e   la
digitalizzazione delle imprese, nonche' misure per  la  realizzazione
di opere pubbliche ed  EXPO  2015),  convertito,  con  modificazioni,
nella legge 21 febbraio 2014, n. 9, e dall'art. 5, comma  1,  lettera
b), numero 1), della legge n. 115 del 2015,  promossi  dal  Tribunale
ordinario di Roma, seconda sezione civile, con ordinanze del 15 e del
9 dicembre 2019, iscritte, rispettivamente, ai numeri 128 e  137  del
registro ordinanze 2020 e pubblicate nella Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica numeri 40 e 41, prima serie speciale, dell'anno 2020. 
    Visti gli atti di costituzione della E. spa e della  V.  I.  spa,
nonche' gli atti di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udita nell'udienza pubblica del 9 marzo 2021 la Giudice relatrice
Emanuela Navarretta; 
    uditi l'avvocato Eutimio Monaco per la E. spa e per la V. I.  spa
e  l'avvocato  dello  Stato  Luigi  Simeoli  per  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri; 
    deliberato nella camera di consiglio del 9 marzo 2021. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con due ordinanze iscritte, rispettivamente, ai numeri 128  e
137 reg. ord. del 2020,  il  Tribunale  ordinario  di  Roma,  seconda
sezione civile, ha sollevato questioni di legittimita' costituzionale
dell'art. 34 del decreto legislativo 1° agosto 2003, n.  259  (Codice
delle comunicazioni elettroniche), nella formulazione originaria e in
quella risultante a seguito delle modifiche  apportate  dall'art.  5,
comma 1, lettera a), numeri 1) e 2), della legge 29 luglio  2015,  n.
115  (Disposizioni  per  l'adempimento   degli   obblighi   derivanti
dall'appartenenza dell'Italia  all'Unione  europea  -  Legge  europea
2014), e dell'art. 1,  comma  1,  dell'Allegato  n.  10  al  medesimo
decreto  legislativo,  nella  formulazione  originaria  e  in  quella
risultante a seguito delle modifiche apportate dall'art. 6, comma  4,
lettere a), b) e c), del  decreto-legge  23  dicembre  2013,  n.  145
(Interventi urgenti di avvio del piano "Destinazione Italia", per  il
contenimento delle tariffe elettriche e del gas, per la riduzione dei
premi  RC-auto,  per  l'internazionalizzazione,  lo  sviluppo  e   la
digitalizzazione delle imprese, nonche' misure per  la  realizzazione
di opere pubbliche ed  EXPO  2015),  convertito,  con  modificazioni,
nella legge 21 febbraio 2014, n. 9, e dall'art. 5, comma  1,  lettera
b), numero 1), della legge n. 115 del 2015. 
    Le questioni di legittimita' costituzionale sono state  poste  in
riferimento agli artt. 3 e 97, nonche' 11 e 117, primo  comma,  della
Costituzione, questi ultimi in relazione ai considerando numeri 30  e
31 e all'art. 12 della direttiva 2002/20/CE del Parlamento europeo  e
del Consiglio, del 7 marzo 2020, relativa alle autorizzazioni per  le
reti  e   i   servizi   di   comunicazione   elettronica   (direttiva
autorizzazioni) e, altresi', in relazione: agli artt. 106,  paragrafo
2, 288 e 291  del  Trattato  sul  funzionamento  dell'Unione  europea
(TFUE), come modificato dall'art. 2 del Trattato di  Lisbona  del  13
dicembre 2007 e  ratificato  dalla  legge  2  agosto  2008,  n.  130;
all'art. 1 del Protocollo n. 26 allegato al TFUE; e agli artt.  20  e
21 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea  (CDFUE),
proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo  il  12
dicembre 2007. 
    2.- In punto di fatto, il giudice rimettente riferisce di doversi
pronunciare,  in  entrambi  i  giudizi  a  quibus,  su   domande   di
ripetizione dell'indebito formulate da due societa' (E.  spa  e  V.I.
spa) - parti attrici nei richiamati processi - operanti  nel  settore
delle  telecomunicazioni  e  titolari  di  licenze  individuali   per
l'installazione e la fornitura di reti di telecomunicazioni aperte al
pubblico nonche' per la prestazione del servizio di telefonia vocale. 
    2.1.-  Le  due  societa'  chiedono  la  restituzione,  ai   sensi
dell'art. 2033 codice  civile,  di  tutte  le  somme  corrisposte  al
Ministero dello sviluppo economico (MiSE) nel  periodo  2009-2018,  a
titolo di diritti amministrativi, in base a quanto previsto dall'art.
34 del d.lgs. n. 259 del 2003 (d'ora in  avanti:  cod.  comunicazioni
elettroniche)  e  nella  misura  stabilita  dall'art.  1,  comma   1,
dell'Allegato  n.  10  al  medesimo  codice.  In  particolare,  viene
invocata la condictio  indebiti  quale  effetto  della  richiesta  di
declaratoria di illegittimita' costituzionale delle richiamate  norme
del cod. comunicazioni  elettroniche,  che  costituiscono  la  giusta
causa dei pagamenti effettuati. 
    2.2.- Il Tribunale rimettente riferisce, poi, che in  entrambi  i
giudizi a quibus il MiSE ha eccepito il difetto di giurisdizione  del
giudice ordinario - trattandosi a suo avviso di controversia devoluta
alla giurisdizione del giudice  amministrativo,  ai  sensi  dell'art.
133, comma 1,  lettera  m),  dell'Allegato  1  (Codice  del  processo
amministrativo)  al  decreto  legislativo  2  luglio  2010,  n.   104
(Attuazione dell'articolo 44 della  legge  18  giugno  2009,  n.  69,
recante  delega   al   governo   per   il   riordino   del   processo
amministrativo)  -  e  ha  rilevato,  altresi',  l'insussistenza  dei
presupposti di legge per  l'azione  di  ripetizione  dell'indebito  e
l'intervenuta  prescrizione   dell'asserito   credito   azionato   in
giudizio. 
    3.- Tanto premesso, il giudice a quo procede a una  ricostruzione
del quadro  normativo  di  riferimento,  a  partire  dalla  direttiva
2002/20/CE,  che  ha  avuto  attuazione  con  il  cod.  comunicazioni
elettroniche. 
    3.1.- Il giudice rimettente espone che  la  direttiva  2002/20/CE
risponde all'esigenza di «istituire un quadro normativo per garantire
la libera prestazione delle  reti  e  dei  servizi  di  comunicazione
elettronica» (considerando n. 3) e intende  assicurare  ai  fornitori
delle reti e  dei  servizi  di  comunicazione  elettronica  «diritti,
condizioni e procedure obiettivi, trasparenti, non  discriminatori  e
proporzionati» (considerando n. 4). 
    In particolare, la direttiva  stabilisce  che  ai  prestatori  di
servizi di  comunicazione  elettronica  possa  «essere  richiesto  il
pagamento di diritti amministrativi a copertura delle spese sostenute
dall'autorita' nazionale di  regolamentazione  per  la  gestione  del
regime di autorizzazione e per la concessione dei  diritti  d'uso»  e
prevede che sia garantita «la trasparenza della contabilita'  gestita
dall'autorita'  nazionale  di  regolamentazione  mediante  rendiconti
annuali in cui figuri l'importo complessivo dei  diritti  riscossi  e
dei costi amministrativi sostenuti», cosi' da consentire alle imprese
di «verificare se vi sia equilibrio tra i costi e gli oneri  ad  esse
imposti» (considerando n. 30). 
    La medesima direttiva aggiunge, nel considerando n. 31, che  «[i]
sistemi  di  diritti  amministrativi»  non  devono   «distorcere   la
concorrenza o creare ostacoli per l'ingresso sul mercato» e  che  «un
esempio  di  alternativa   leale,   semplice   e   trasparente»   per
l'attribuzione  di  tali  diritti  puo'  essere   «una   ripartizione
collegata al fatturato». 
    Stante tale quadro, l'art. 12 della  direttiva  prescrive  quanto
segue: «1. I diritti amministrativi imposti alle imprese che prestano
servizi o reti ai sensi  dell'autorizzazione  generale  o  che  hanno
ricevuto   una   concessione   dei   diritti   d'uso:   a)    coprono
complessivamente i soli costi amministrativi  che  saranno  sostenuti
per  la  gestione,  il  controllo  e  l'applicazione  del  regime  di
autorizzazione generale, dei diritti d'uso e degli obblighi specifici
di cui all'articolo 6, paragrafo 2, che possono comprendere  i  costi
di   cooperazione   internazionale,   di    armonizzazione    e    di
standardizzazione,  di  analisi  di  mercato,  di  sorveglianza   del
rispetto delle disposizioni e di altri controlli di mercato,  nonche'
di preparazione e  di  applicazione  del  diritto  derivato  e  delle
decisioni amministrative, quali decisioni in  materia  di  accesso  e
interconnessione; b)  sono  imposti  alle  singole  imprese  in  modo
proporzionato,  obiettivo  e  trasparente  che  minimizzi   i   costi
amministrativi aggiuntivi e gli  oneri  accessori.  2.  Le  autorita'
nazionali di regolamentazione che impongono il pagamento  di  diritti
amministrativi sono tenute  a  pubblicare  un  rendiconto  annuo  dei
propri costi amministrativi e dell'importo  complessivo  dei  diritti
riscossi. Alla luce delle differenze tra l'importo totale dei diritti
e i costi amministrativi, vengono apportate opportune rettifiche». 
    3.2.- Il rimettente osserva  che,  a  fronte  di  tale  contenuto
precettivo della direttiva, la formulazione originaria  dell'art.  34
del  d.lgs.  n.  259  del  2003  non  prevedeva  alcun   obbligo   di
rendicontazione finale, mentre la misura dei  diritti  amministrativi
veniva determinata nell'art. 1, comma 1, dell'Allegato n. 10,  «sulla
base della  popolazione  potenzialmente  destinataria  dell'offerta».
Nello specifico, la misura dei  diritti  variava  a  seconda  che  il
servizio fosse potenzialmente  destinato:  a)  all'intero  territorio
nazionale (rispettivamente,  con  riguardo  alla  fornitura  di  reti
pubbliche  di  comunicazione  o  a  quella  del  servizio  telefonico
accessibile al pubblico, per un importo di 111.000 e di  66.500  euro
all'anno); b) a un territorio avente fino a 10  milioni  di  abitanti
(rispettivamente, sempre con riferimento alle due forniture,  per  un
importo di 55.500 e di 27.750 euro  all'anno);  c)  a  un  territorio
avente fino a 200 mila abitanti (rispettivamente, come sopra, per  un
importo di 27.750 e di 11.500 euro all'anno). 
    3.3.- Successivamente - riferisce  ancora  il  giudice  a  quo  -
l'art. 6, comma 4, lettere a), b), c) e d), del d.l. n. 145 del 2013,
come convertito, novellava - con effetto a decorrere dal 24  dicembre
2013 - il  solo  art.  1,  comma  1,  dell'Allegato  n.  10  al  cod.
comunicazioni elettroniche, limitandosi a  intervenire  sulla  misura
dei diritti amministrativi dovuti dalle  imprese  con  un  numero  di
utenti pari o inferiore a 50.000. Per tali ipotesi si  stabiliva  che
l'importo fosse determinato - sempre per legge - attraverso una cifra
riferita al numero di utenti effettivi  dell'impresa  (specificamente
300 euro ogni mille utenti per le licenze reti e 100 euro ogni  mille
utenti per le licenze voce). 
    3.4.- Da ultimo, prosegue il rimettente, l'art. 5 della legge  n.
115 del 2015 modificava ulteriormente  le  disposizioni  oggetto  del
presente giudizio, giungendo all'attuale formulazione (vigente a  far
data dal 18 agosto 2015). La novella apportata nel 2015 ha introdotto
specifici obblighi di rendicontazione, integrando l'art.  34  con  il
comma 2-ter che dispone: «Il Ministero, di concerto con il  Ministero
dell'economia e delle finanze, e l'Autorita' pubblicano annualmente i
costi amministrativi sostenuti per le attivita' di cui al comma  1  e
l'importo complessivo dei diritti riscossi ai sensi, rispettivamente,
dei commi 2 e 2-bis. In base alle eventuali differenze tra  l'importo
totale dei  diritti  e  i  costi  amministrativi,  vengono  apportate
opportune rettifiche». Sempre l'art. 5 della legge n. 115 del 2015 ha
poi nuovamente modificato  le  disposizioni  dell'art.  1,  comma  1,
dell'Allegato n. 10, rideterminando come  di  seguito  i  criteri  di
ripartizione dei diritti amministrativi e la  loro  entita'  «a)  nel
caso di fornitura di reti pubbliche di comunicazioni: 1)  sull'intero
territorio nazionale: 127.000 euro; 2) su un territorio  avente  piu'
di 1 milione e fino a 10 milioni di abitanti: 64.000 euro; 3)  su  un
territorio avente piu' di 200.000 e fino a  1  milione  di  abitanti:
32.000 euro; 4) su un territorio  avente  fino  a  200.000  abitanti:
17.000  euro;  5)  per   le   imprese   che   erogano   il   servizio
prevalentemente a utenti finali in numero pari o inferiore a  50.000:
500 euro ogni mille utenti. Il numero degli utenti e'  calcolato  sul
quantitativo delle linee attivate a ciascun  utente  finale;  b)  nel
caso di fornitura di servizio telefonico accessibile al pubblico:  1)
sull'intero territorio nazionale: 75.500 euro; 2)  su  un  territorio
avente piu' di 1 milione e fino a  10  milioni  di  abitanti:  32.000
euro; 3) su un territorio avente piu' di 200.000 e fino a  1  milione
di abitanti: 12.500 euro; 4) su un territorio avente fino  a  200.000
abitanti: 6.400 euro; 5) per  le  imprese  che  erogano  il  servizio
prevalentemente a utenti finali in numero pari o inferiore a  50.000:
300 euro ogni mille utenti. Il numero degli utenti e'  calcolato  sul
quantitativo delle risorse di numerazione attivate a  ciascun  utente
finale [...]». 
    4.- Cosi' ricostruito il  quadro  normativo  di  riferimento,  il
giudice rimettente rinvia «l'esame della questione  pregiudiziale  di
giurisdizione, alla definizione (nel merito) della lite», dopo  aver,
comunque, rilevato che le controversie relative ai giudizi  a  quibus
non possano essere ricondotte a  quelle  contemplate  dall'art.  133,
comma  1,  lettera  m),  dell'Allegato   1   (Codice   del   processo
amministrativo)  al  d.lgs.  n.  104  del  2010,  che  devolve   alla
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo  «le  controversie
aventi  ad  oggetto  i  provvedimenti  in  materia  di  comunicazioni
elettroniche». 
    Ad avviso del Tribunale di Roma, infatti,  nella  fattispecie  in
esame  le  parti  attrici  non   contestano   la   legittimita'   dei
provvedimenti adottati dal MiSE nell'ambito delle sue  competenze  in
materia di comunicazioni elettroniche, bensi'  la  conformita'  della
normativa italiana di recepimento  del  diritto  interno  al  diritto
sovranazionale. Conseguentemente, secondo il  giudice,  il  Tribunale
non sarebbe chiamato a scrutinare incidentalmente ed eventualmente  a
disapplicare  i   provvedimenti,   espressivi   di   discrezionalita'
amministrativa,  ai  fini  della  tutela  della  posizione  giuridica
sostanziale vantata dalle parti attrici, bensi' a pronunciarsi su  un
petitum (la domanda di ripetizione  dell'indebito)  e  su  una  causa
petendi (l'inadempimento  dello  Stato  degli  obblighi  posti  dalla
direttiva 2002/20/CE) che individuerebbero una pretesa avente  natura
sostanziale di diritto soggettivo. 
    5.- In punto di rilevanza, il giudice a quo osserva  che  sarebbe
proprio la  prospettata  illegittimita'  costituzionale  delle  norme
oggetto del presente giudizio  a  rendere  i  pagamenti  non  dovuti,
poiche' la declaratoria  di  illegittimita'  costituzionale  di  tali
norme produrrebbe la caducazione ex tunc  del  titolo  giustificativo
del pagamento, rendendo percio' indebiti i pagamenti effettuati dalle
parti attrici. 
    5.1.- Il rimettente ritiene, inoltre,  che  le  previsioni  della
direttiva, di cui si  assume  il  mancato  rispetto  da  parte  della
normativa  nazionale  di  recepimento,  sarebbero  prive  di  effetti
diretti. In  tal  senso,  deporrebbe  la  pronuncia  della  Corte  di
giustizia dell'Unione europea, sentenza 18 luglio 2013,  nelle  cause
riunite da C-228/12 a C-232/12 e da  C-254/12  a  C-258/12,  Vodafone
Omnitel ed altri, ove si legge che «la direttiva  autorizzazioni  non
prevede  ne'  il  modo  in  cui  determinare  l'importo  dei  diritti
amministrativi [...] ne' le modalita' di prelievo  di  tali  diritti»
(punto  41).  In  mancanza  dell'efficacia  diretta,   non   sarebbe,
pertanto,  possibile  procedere  all'immediata   applicazione   della
normativa sovranazionale, a beneficio dei privati nei  confronti  dei
soggetti di diritto pubblico, con conseguente non applicazione  della
disciplina interna con essa incompatibile. 
    5.2.-  Ancora,  ad   avviso   del   rimettente,   il   «contenuto
estremamente puntuale, analitico, correlato a  parametri  chiaramente
ed    univocamente    predeterminati»    impedirebbe    di    operare
un'interpretazione delle disposizioni della normativa di  recepimento
conforme al diritto dell'Unione europea. 
    5.3.- Infine, il giudice a quo afferma di non  potere  effettuare
il rinvio pregiudiziale di interpretazione alla Corte  di  giustizia,
ai sensi dell'art. 267 TFUE, poiche' le parti attrici, nei giudizi in
via principale, non hanno agito invocando la  responsabilita'  civile
dello Stato per inadempimento del  dovere  di  attuare  la  direttiva
2002/20/CE, bensi' hanno preteso  la  ripetizione  dell'indebito,  ai
sensi dell'art.  2033  cod.  civ.,  sul  presupposto  della  asserita
illegittimita' costituzionale  delle  norme  che  hanno  trasposto  a
livello nazionale la richiamata direttiva. 
    6.- Quanto alla non manifesta infondatezza, il Tribunale di  Roma
rileva, innanzitutto, che in termini generali  e  con  riferimento  a
tutte le diverse formulazioni susseguitesi nel  tempo,  la  normativa
interna  di  recepimento  della  direttiva  2002/20/CE  non   avrebbe
rispettato gli obiettivi e i principi dalla medesima disposti:  tanto
con  riferimento  agli  obblighi  di  rendicontazione,  necessari   a
garantire la trasparenza e la  corrispondenza  fra  costi  e  diritti
amministrativi, quanto con riguardo all'esigenza di una distribuzione
proporzionata,  obiettiva  e  trasparente  di  tali  diritti  fra  le
imprese. L'art. 34 del cod. comunicazioni elettroniche  e  l'art.  1,
comma 1, dell'Allegato n. 10 al medesimo codice, avrebbero, pertanto,
violato gli artt. 11 e 117 Cost. in relazione agli  obblighi  imposti
dagli artt. 288 e 291 TFUE e, in particolare, a quelli dettati  dalla
direttiva 2002/20/CE nei considerando numeri 30 e 31 e nell'art. 12. 
    6.1.- In termini  piu'  specifici,  le  norme  del  codice  delle
comunicazioni elettroniche censurate, nella formulazione  antecedente
alla novella introdotta con la legge n. 115 del 2015,  non  avrebbero
contemplato  l'obbligo  di  rendicontazione  e  i  doveri   ad   esso
conseguenti, il che avrebbe violato non solo  le  prescrizioni  della
direttiva, ma anche il principio di imparzialita' e di buon andamento
della Pubblica amministrazione, di cui all'art.  97,  secondo  comma,
Cost. 
    6.2.- Quanto  ai  criteri  adottati  per  distribuire  i  diritti
amministrativi fra  le  imprese,  il  rimettente  censura  la  scelta
dell'art. 1, comma 1,  dell'Allegato  n.  10  al  cod.  comunicazioni
elettroniche, presente  in  tutte  le  formulazioni  succedutesi  nel
tempo, di utilizzare quale criterio  generale  di  determinazione  di
tali diritti quello degli utenti potenziali,  anziche'  quello  della
capacita' economica e reddituale sul mercato delle imprese, il che si
porrebbe in  contrasto  con  le  prescrizioni  della  direttiva,  per
mancato rispetto della proporzionalita', e con gli artt. 3 Cost. e 20
e 21 CDFUE, sotto il  profilo  di  una  irragionevole  disparita'  di
trattamento fra diverse imprese operanti sul mercato. 
    Infine, con riguardo al metodo di stima introdotto con le riforme
del 2013 e del 2015 a beneficio delle imprese con un numero di utenti
effettivi pari o inferiore a 50.000, vale a dire la previsione di una
cifra  fissa  ogni  mille  utenti,  il  rimettente  censura  la   non
corrispondenza anche di tale  criterio  con  la  effettiva  capacita'
reddituale e produttiva di ciascun operatore, il che renderebbe  piu'
difficoltoso l'accesso al mercato e ostacolerebbe la concorrenza,  in
violazione sia delle prescrizioni della direttiva, sia dell'art.  106
TFUE e dell'art. 1 Prot. n. 26 allegato al TFUE. 
    7.- Con atti depositati il 20 e il 27 ottobre 2020, il Presidente
del Consiglio dei ministri e' intervenuto in giudizio,  rappresentato
e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, e ha  chiesto  che  le
questioni siano dichiarate inammissibili  o  comunque  manifestamente
infondate, svolgendo argomenti di identico tenore  nei  due  atti  di
intervento. La difesa erariale evidenzia come  il  criterio  relativo
alla parametrazione  del  contributo  sulla  base  della  popolazione
potenzialmente destinataria dell'offerta tenga  implicitamente  conto
delle dimensioni dell'impresa, ove si  consideri  «il  potenziale  di
linee che possono essere servite dall'operatore  autorizzato».  Esso,
inoltre, presenterebbe il vantaggio di essere di facile  applicazione
per i destinatari, non estremamente mutevole e suscettibile di creare
certezza e stabilita' nella quantificazione dei costi per le imprese.
Per  converso,  un  onere  calcolato  direttamente  sulla  base   del
fatturato potrebbe disincentivare la competitivita'. Infine, prosegue
l'Avvocatura dello Stato, il correttivo apportato per le imprese  con
un numero di utenti pari o inferiore a 50.000 renderebbe ancora  piu'
evidente,  per  tali  fattispecie,  il  rispetto  del  principio   di
proporzionalita'. 
    Quanto all'obbligo di rendicontazione, la difesa erariale ritiene
infondati  i  dubbi  di  legittimita'  costituzionale  relativi  alla
normativa antecedente la novella  legislativa  introdotta  nel  2015,
adducendo che l'adempimento di quell'obbligo  avrebbe  potuto  essere
anche spontaneo ed effettuato in esercizi successivi a quelli in  cui
si determinano i diritti amministrativi, cosi' come a  posteriori  si
potrebbero    introdurre     eventuali     correttivi     conseguenti
all'adempimento (viene, a tal riguardo, invocata la  pronuncia  della
Corte di giustizia dell'Unione europea, ordinanza 29 aprile 2020,  in
causa C-399-19). 
    8.- Con atti depositati il 20 e  il  27  ottobre  2020,  si  sono
costituite in giudizio, rispettivamente, E. spa  e  V.I.  spa,  parti
ricorrenti nei giudizi a quibus, insistendo per l'accoglimento  delle
questioni sollevate. La difesa delle parti richiama  e  ulteriormente
illustra le censure del rimettente,  ribadendo  la  violazione  delle
prescrizioni disposte dalla direttiva 2002/20/CE. Il contrasto con il
principio di proporzionalita' da parte della  disciplina  antecedente
al 2013 risulterebbe, in particolare, di evidenza palmare  alla  luce
della discrasia fra quanto dovuto dopo tale riforma e  quanto  invece
versato dagli operatori in base alla precedente normativa  (nel  caso
di E. spa l'importo sarebbe passato da 55.500 a 900 euro all'anno per
la licenza reti, e da 27.750 a 300 euro all'anno per la licenza voce;
nel caso di V.I. spa, per la licenza  voce,  da  66.500  a  600  euro
all'anno). 
    La difesa delle parti costituite ritiene, peraltro,  che  nemmeno
l'ulteriore novella  apportata  nel  2015  avrebbe  introdotto  norme
idonee a recepire gli obblighi derivanti dalla direttiva, non  avendo
adottato criteri associati al  fatturato  o  al  reddito,  capaci  di
superare il contrasto con il principio di proporzionalita' e  con  il
libero accesso al mercato. 
    9.- Con due distinte  memorie  integrative  di  identico  tenore,
depositate in data 16 febbraio 2021, il Presidente del Consiglio  dei
ministri afferma che le norme interposte individuate  dal  rimettente
andrebbero a censurare «la  violazione  dell'obbligo  dell'Italia  di
curare la trasposizione della direttiva (art. 291  TFUE)»,  la'  dove
l'art. 34 novellato nel 2015  avrebbe,  viceversa,  riprodotto  quasi
testualmente  l'art.  12  della  direttiva,   dal   che   deriverebbe
l'inammissibilita' delle questioni. 
    L'Avvocatura  dello  Stato,  nelle  medesime  memorie,  eccepisce
inoltre il difetto di rilevanza delle  questioni  aventi  ad  oggetto
mancato rispetto dell'obbligo di rendicontazione, in quanto attinenti
«maggiormente al profilo  del  merito  della  vicenda  che  non  alla
costituzionalita' della norma» e, comunque, in subordine, insiste per
la non  fondatezza,  poiche'  l'obbligo  di  rendicontazione  avrebbe
potuto essere rispettato anche in anni successivi  a  quelli  in  cui
sono stati imposti i diritti amministrativi. 
    10.- In data 16 febbraio 2021, le parti hanno depositato  memorie
illustrative, per  replicare  agli  argomenti  dell'Avvocatura  dello
Stato, in specie la' dove la difesa erariale aveva osservato  che  il
criterio prescelto per la quantificazione dei diritti  amministrativi
integrerebbe  un  «sistema  di  calcolo  del  contributo  di   facile
applicazione  per  i  destinatari,  non  estremamente   mutevole   e,
pertanto, non suscettibile di determinare una variazione di costi non
prevedibile per le imprese». Si obietta, infatti, come  proprio  tali
caratteristiche sarebbero in  contrasto  con  la  logica  di  cui  ai
principi della direttiva  2002/20/CE,  nella  misura  in  cui  questa
avrebbe  invece  voluto  agevolare  la  massima  «corrispondenza  del
contributo  richiesto  ai  "costi  amministrativi  veri  e  propri"».
Infine, la difesa delle parti  deduce  che  la  possibile  osservanza
spontanea  dell'obbligo  di  rendicontazione   non   avrebbe   alcuna
influenza rispetto al dovere di prescrivere in via  legislativa  tale
obbligo, il che e' mancato nella  formulazione  della  disciplina  di
recepimento fino alla novella del 2015. 
    11.- All'udienza del 9 marzo 2021, le parti e la difesa  erariale
hanno insistito per l'accoglimento delle conclusioni rassegnate negli
scritti difensivi e hanno discusso il profilo di ammissibilita' della
questione   di   legittimita'   costituzionale   relativamente   alla
giurisdizione in capo al Tribunale rimettente. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.-  Con  due  distinte  ordinanze  di   tenore   sostanzialmente
identico, il Tribunale ordinario di Roma, seconda sezione civile,  ha
sollevato questioni di legittimita' costituzionale dell'art.  34  del
decreto  legislativo  1°  agosto   2003,   n.   259   (Codice   delle
comunicazioni  elettroniche),  nella  formulazione  originaria  e  in
quella risultante a seguito delle modifiche  apportate  dall'art.  5,
comma 1, lettera a), numeri 1) e 2), della legge 29 luglio  2015,  n.
115  (Disposizioni  per  l'adempimento   degli   obblighi   derivanti
dall'appartenenza dell'Italia  all'Unione  europea  -  Legge  europea
2014), e dell'art. 1,  comma  1,  dell'Allegato  n.  10  al  medesimo
decreto  legislativo,  nella  formulazione  originaria  e  in  quella
risultante a seguito delle modifiche apportate dall'art. 6, comma  4,
lettere a), b) e c), del  decreto-legge  23  dicembre  2013,  n.  145
(Interventi urgenti di avvio del piano "Destinazione Italia", per  il
contenimento delle tariffe elettriche e del gas, per la riduzione dei
premi  RC-auto,  per  l'internazionalizzazione,  lo  sviluppo  e   la
digitalizzazione delle imprese, nonche' misure per  la  realizzazione
di opere pubbliche ed  EXPO  2015),  convertito,  con  modificazioni,
nella legge 21 febbraio 2014, n. 9, e dall'art. 5, comma  1,  lettera
b), numero 1), della legge n. 115 del 2015. 
    A giudizio  del  Tribunale  rimettente,  le  norme  censurate  si
porrebbero in contrasto con gli artt. 3 e 97, nonche' 11 e 117, primo
comma, della Costituzione, questi ultimi in relazione ai considerando
numeri  30  e  31  e  all'art.  12  della  direttiva  2002/20/CE  del
Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 marzo 2020,  relativa  alle
autorizzazioni per le reti e i servizi di  comunicazione  elettronica
(direttiva autorizzazioni), e altresi' in relazione agli  artt.  106,
paragrafo 2, 288 e 291 del  Trattato  sul  funzionamento  dell'Unione
europea (TFUE), come modificato dall'art. 2 del Trattato  di  Lisbona
del 13 dicembre 2007 e ratificato dalla legge 2 agosto 2008, n.  130;
all'art. 1 del Protocollo n. 26 allegato al TFUE; e agli artt.  20  e
21 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea  (CDFUE),
proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo  il  12
dicembre 2007. 
    La  normativa  di   recepimento   censurata   non   avrebbe,   in
particolare, rispettato, in alcuna delle  formulazioni  susseguitesi,
le  prescrizioni  della  direttiva,  specie  per  quanto  concerne  i
principi  di  proporzionalita',  obiettivita'  e  trasparenza   nella
determinazione   dei   diritti   amministrativi,   e   non    avrebbe
implementato, e neppure contemplato a livello legislativo  sino  alla
novella introdotta nel 2015, l'obbligo di rendicontazione  dei  costi
sostenuti dall'amministrazione. 
    1.1.-  Le  due  ordinanze   di   rimessione   pongono   questioni
sostanzialmente identiche in relazione alle disposizioni censurate  e
ai parametri evocati e, pertanto, i giudizi vanno riuniti per  essere
congiuntamente esaminati e decisi con unica pronuncia. 
    2.- Preliminarmente, occorre rilevare che  il  recepimento  della
direttiva 2002/20/CE e' stato  oggetto  di  una  travagliata  vicenda
legislativa, che ha dato luogo a successivi interventi con le novelle
del 2013 e del 2015. 
    Pur prendendo atto di tale processo volto a dare attuazione  agli
obiettivi della citata direttiva, questa Corte non puo' esimersi  dal
constatare che la rigida determinazione dei  contributi,  affidata  a
cifre cristallizzate nella fonte primaria, non consente di  apportare
le opportune rettifiche che - in linea con l'art. 12 della  direttiva
2002/20/CE - devono essere introdotte «[a]lla luce  delle  differenze
tra l'importo totale dei  diritti  e  i  costi  amministrativi».  Del
resto, lo stesso art. 34 del d.lgs. n. 259 del 2003 (d'ora in avanti:
cod. comunicazioni elettroniche),  nella  sua  attuale  formulazione,
dispone che «in base alle eventuali differenze tra  l'importo  totale
dei diritti e i  costi  amministrativi  vengono  apportate  opportune
modifiche», il che pone il problema del coordinamento con la  tecnica
di determinazione dei diritti amministrativi  prevista  dall'art.  1,
comma 1, dell'Allegato n. 10 al cod. comunicazioni elettroniche. 
    3.-   Cio'   premesso,   e'   necessario   esaminare    d'ufficio
l'ammissibilita' delle questioni di legittimita' costituzionale sotto
il profilo della sussistenza della giurisdizione in capo  al  giudice
rimettente. 
    3.1.- L'ordinanza di rimessione e' stata, infatti, sollevata  dal
Tribunale ordinario di Roma, nell'ambito di una  controversia  avente
ad oggetto i diritti amministrativi riconducibili ad una materia  che
l'art. 133, comma 1, lettera m), dell'Allegato 1 (Codice del processo
amministrativo)  al  decreto  legislativo  2  luglio  2010,  n.   104
(Attuazione dell'articolo 44 della  legge  18  giugno  2009,  n.  69,
recante  delega   al   governo   per   il   riordino   del   processo
amministrativo) devolve alla giurisdizione amministrativa  esclusiva.
La  previsione  richiamata  si  riferisce,   in   particolare,   alle
«controversie  aventi  ad  oggetto  i  provvedimenti  in  materia  di
comunicazioni elettroniche, compresi quelli relativi  all'imposizione
di servitu', nonche' i giudizi riguardanti l'assegnazione di  diritti
d'uso delle frequenze, la gara e le altre procedure di cui  ai  commi
da 8 a 13 dell'articolo 1 della  legge  13  dicembre  2010,  n.  220,
incluse le procedure di cui all'articolo 4 del decreto-legge 31 marzo
2011, n. 34, convertito, con modificazioni,  dalla  legge  26  maggio
2011, n. 75». 
    Il giudice, nel valutare l'eccezione sul difetto di giurisdizione
sollevata dalla difesa erariale nel procedimento a quo,  ha  ritenuto
di non affrontare la questione, ma di «rimettere [il suo] esame [...]
alla definizione (nel merito) della lite». In sostanza,  ha  rinviato
ad una fase successiva all'emanazione dell'ordinanza di rimessione la
trattazione della eccezione pregiudiziale, che invero  condiziona  la
rilevanza delle questioni di legittimita' costituzionale. 
    3.2.-  In  premessa  a  tale  determinazione,   con   cui   viene
posticipata al merito la trattazione  dell'eccezione,  il  rimettente
ha, comunque, addotto alcune succinte motivazioni  a  sostegno  della
sua giurisdizione. 
    Secondo il Tribunale di Roma, nei giudizi principali non  sarebbe
in  discussione  alcun  provvedimento   amministrativo,   bensi'   la
ripetizione delle somme che sarebbero state indebitamente pagate  dai
privati, sulla base di  una  normativa  censurata  di  illegittimita'
costituzionale per non «conformita' del diritto  interno  al  diritto
sovranazionale». La giurisdizione, pertanto, spetterebbe  al  giudice
ordinario, essendo controverso, alla luce del petitum (la domanda  di
ripetizione dell'indebito) e  della  causa  petendi  (l'inadempimento
dello Stato  agli  obblighi  imposti  dalla  direttiva),  un  diritto
soggettivo. Aggiunge, infine, il  giudice  a  quo  che  «e'  opinione
oramai consolidata della Corte Regolatrice, che  laddove  si  discuta
dell'inadempimento dello  Stato  all'obbligo  di  cooperazione  e  di
realizzazione degli obblighi posti dalle  direttive  (non  esecutive)
adottate in sede europea (artt. 288, 291 TFUE), la competenza  spetti
al giudice ordinario». 
    3.3.- Tale sintetica ricostruzione appare, invero,  assertoria  e
manifestamente implausibile. 
    Al di la' della circostanza che il giudizio a quo  verte  su  una
questione, quella  dei  diritti  amministrativi,  che  presuppone  la
sussistenza del provvedimento di autorizzazione,  in  ogni  caso,  le
norme  che  devolvono  alla  giurisdizione  esclusiva   del   giudice
amministrativo particolari materie attraggono, alla stregua di quanto
ribadito da questa stessa Corte, anche le controversie «che investono
i  diritti  soggettivi»  (sentenza  n.  204  del  2004),  in   quanto
«riconducibili, ancorche' in via indiretta o  mediata,  all'esercizio
del pubblico potere dell'amministrazione» (sentenza n. 191 del  2006;
in senso analogo, sentenze n. 179 del 2016 e n. 204  del  2004).  Non
basta, dunque, invocare il  diritto  soggettivo  a  fondamento  della
pretesa di condictio indebiti, per richiamare  la  sussistenza  della
giurisdizione ordinaria. 
    Del tutto inconferente, poi, e' il riferimento alla materia della
responsabilita'  civile  dello  Stato,  essendo   nella   fattispecie
implicata la ben diversa azione  di  ripetizione  dell'indebito.  Ne'
puo' certo ritenersi che ogni controversia relativa a norme di cui si
lamenti il contrasto con previsioni di  diritto  dell'Unione  europea
prive di efficacia diretta debba, in  quanto  tale,  ascriversi  alla
giurisdizione ordinaria. 
    3.4.- Per consolidata giurisprudenza costituzionale,  il  difetto
di giurisdizione del giudice a quo determina l'inammissibilita' della
questione, ove esso sia rilevabile ictu oculi (sentenze n. 267  e  n.
168 del 2020, n. 28 del 2019, n. 189 del 2018, n. 269  del  2016,  n.
106 del 2013; ordinanza n. 318 del 2013). 
    In  conformita'  a  tale  orientamento,  l'evidente  carenza   di
giurisdizione  del  giudice  rimettente  comporta  l'inammissibilita'
delle questioni sollevate. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    riuniti i giudizi, 
    dichiara   inammissibili    le    questioni    di    legittimita'
costituzionale dell'art. 34 del decreto legislativo 1°  agosto  2003,
n. 259 (Codice delle comunicazioni elettroniche), nella  formulazione
originaria e in quella risultante a seguito delle modifiche apportate
dall'art. 5, comma 1, lettera a), numeri 1)  e  2),  della  legge  29
luglio 2015, n. 115 (Disposizioni per  l'adempimento  degli  obblighi
derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione  europea  -  Legge
europea 2014), e  dell'art.  1,  comma  1,  dell'Allegato  n.  10  al
medesimo decreto legislativo,  nella  formulazione  originaria  e  in
quella risultante a seguito delle modifiche  apportate  dall'art.  6,
comma 4, lettere a), b) e c), del decreto-legge 23 dicembre 2013,  n.
145 (Interventi urgenti di avvio del piano "Destinazione Italia", per
il contenimento delle tariffe elettriche e del gas, per la  riduzione
dei premi RC-auto, per l'internazionalizzazione,  lo  sviluppo  e  la
digitalizzazione delle imprese, nonche' misure per  la  realizzazione
di opere pubbliche ed  EXPO  2015),  convertito,  con  modificazioni,
nella legge 21 febbraio 2014, n. 9, e dall'art. 5, comma  1,  lettera
b), numero 1), della legge n. 115 del 2015, sollevate, in riferimento
agli artt. 3 e 97, nonche' 11 e 117, primo comma, della Costituzione,
questi ultimi in relazione ai considerando numeri 30 e 31 e  all'art.
12 della direttiva 2002/20/CE del Parlamento europeo e del Consiglio,
del 7 marzo 2020, relativa  alle  autorizzazioni  per  le  reti  e  i
servizi di comunicazione elettronica  (direttiva  autorizzazioni),  e
altresi' in relazione agli artt. 106, paragrafo  2,  288  e  291  del
Trattato  sul  funzionamento   dell'Unione   europea   (TFUE),   come
modificato dall'art. 2 del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 e
ratificato dalla  legge  2  agosto  2008,  n.  130,  all'art.  1  del
Protocollo n. 26 allegato al TFUE, e agli artt. 20 e 21  della  Carta
dei diritti fondamentali dell'Unione europea  (CDFUE),  proclamata  a
Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007,
dal Tribunale ordinario di  Roma,  seconda  sezione  civile,  con  le
ordinanze indicate in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 9 marzo 2021. 
 
                                F.to: 
                   Giancarlo CORAGGIO, Presidente 
                   Emanuela NAVARRETTA, Redattrice 
             Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria 
 
    Depositata in Cancelleria il 13 aprile 2021. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA